rassegna di giurisprudenza

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rassegna di giurisprudenza
01
2016
/ RASSEGNA DI
GIURISPRUDENZA
La rassegna delle principali sentenze
in materia di diritto tributario,
societario, penale, fallimentare
e del lavoro.
/
RASSEGNA DI
GIURISPRUDENZA
La Rassegna di giurisprudenza n. 1/2016 riporta le principali
sentenze di interesse in materia di diritto tributario, societario, penale, fallimentare e del lavoro depositate nel corso del
mese di dicembre 2015
© EUTEKNE
01/ Fisco
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RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
012016
INDICE
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02/ Società, obbligazioni e contratti
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03/ Attività finanziarie
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04/ Procedure concorsuali
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05/ Penale
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06/ Lavoro
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Accertamento e controlli
Termini per i controlli - Proroga dei
termini - Violazioni commesse dal socio
di società di persone - Raddoppio dei
termini per violazioni penali
È fondato il ragionamento del giudice di merito, secondo cui il raddoppio dei termini per
violazioni penali non può operare, in automatico, nei confronti del socio di società di persone, in quanto esso, specie se di minoranza,
ben può essere estraneo all’amministrazione.
Considerata, poi, la natura personale della responsabilità penale, “era a ritenersi infondata
ed apodittica ogni affermazione sottesa a riversare in capo alla stessa [n.d.a la socia] eventuali responsabilità penali degli amministratori”.
I giudici di Cassazione evidenziano che sarebbe
stato necessario dimostrare il concreto operare gestionale del socio.
Cass. 30.12.2015 n. 26068
Sanzioni amministrative
Definizione agevolata - Definizione
parziale - Ammissibilità
Cass. 30.12.2015 n. 26061, a quanto risulta per
la prima volta, afferma, in maniera implicita,
che il contribuente può fruire della definizione al terzo della sanzione irrogata anche con
riferimento ad una sola parte delle sanzioni.
Quindi, la definizione in oggetto, che consente
il ricorso limitatamente all’imposta, non deve
necessariamente riguardare tutte le sanzioni
contestate nell’avviso di accertamento.
La soluzione illustrata era stata accolta anche
da alcuna giurisprudenza di merito (C.T. Prov.
Milano 18.6.2014 n. 5902/26/14).
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01 / FISCO
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Cass. 30.12.2015 n. 26061
IVA
Operazioni imponibili - Compagnie
aeree - Recupero dell’IVA sui biglietti
emessi non utilizzati dai passeggeri
(c.d. “no show”) - Esclusione
La Corte di Giustizia UE, con sentenza del
23.12.2015, cause riunite C-250/14 e C-289/14,
Air France - KLM e Hop!-Brit Air SAS, ha negato
alle compagnie aeree la possibilità di recuperare l’IVA percepita sul prezzo di vendita dei biglietti emessi e non goduti dagli acquirenti (c.d.
“no show”). La decisione della Corte si fonda sul
principio che una prestazione di servizi è tale
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quando effettuata a titolo oneroso e ciò avviene
solo qualora tra fornitore e committente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale vi sia uno scambio di reciproche prestazioni
(e il compenso ricevuto dal fornitore costituisca
il controvalore del servizio reso).
Nel caso in esame, quindi, la somma pagata
dall’acquirente che non ha preso parte al volo
non può qualificarsi come indennizzo. Difatti, la
controprestazione relativa alla somma versata
all’atto dell’acquisto del biglietto è costituita dal
diritto di usufruire dell’esecuzione del contratto
di trasporto, indipendentemente dal fatto che il
passeggero si sia avvalso di tale diritto.
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Corte di Giustizia UE 23.12.2015 cause riunite
C-250/14 e C-289/14
tenza 22.12.2015, ha ritenuto possibile la stipula
di un accordo tra due Stati, che impone agli istituti bancari la trasmissione dei dati dei correntisti
a uno dei due Paesi. Infatti, tale accordo è conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Più precisamente, secondo la Corte europea,
pur rientrando i dati bancari tra i dati personali,
risulta comunque legittima un’ingerenza prevista dalla legge, finalizzata alla tutela di un settore strategico per l’economia del Paese.
Corte europea dei diritti dell’uomo 22.12.2015
ICI
Immobili degli enti ecclesiastici
concessi in comodato - Esenzione ICI
Accordo fra Stati per la trasmissione
dei dati bancari dei correntisti Contrasto con la Convenzione europea
dei diritti dell’uomo - Esclusione
La Corte di Cassazione, con la sentenza
18.12.2015 n. 25508, è tornata sulla questione
dell’esenzione ICI per gli immobili degli enti
ecclesiastici.
Nel caso di specie è stato deciso che gode del
beneficio fiscale di cui all’art. 7 co. 1 lett. i) del
DLgs. 504/92 l’immobile di proprietà di una
Fondazione di Culto, concesso in comodato
d’uso gratuito ad una ONLUS, per perseguire le
finalità di promozione, educazione e assistenza in favore di studenti universitari. Secondo i
giudici, la condizione necessaria perché spetti l’esenzione della “utilizzazione diretta del
bene da parte dell’ente possessore” varrebbe
soltanto nelle ipotesi di “locazione” del bene ad
altro ente, o di “concessione di beni demaniali”.
Nel caso di specie, inoltre, tra i due enti (comodante e comodatario) esiste un rapporto
di stretta strumentalità nella realizzazione
dei loro compiti istituzionali, motivo per cui
secondo la Corte si configurerebbe una fattispecie simile a quella considerata nella ris.
Min. Economia e Finanze 4.3.2013 n. 4/DF, in
cui l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto
che l’esenzione di cui alla citata lett. i) spettasse nell’ipotesi in cui l’immobile è concesso
in comodato a un altro ente non commerciale
appartenente alla stessa struttura dell’ente
concedente per lo svolgimento di un’attività
meritevole prevista dalla norma agevolativa.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sen-
Cass. 18.12.2015 n. 25508
Processo tributario
Procedimento dinanzi alla C.T.
Provinciale - Spese processuali Condanna alle spese - Condanna ad una
somma equitativamente determinata
- Responsabilità di Equitalia
L’Agente della riscossione è processualmente
responsabile come qualsiasi altra parte processuale, non avendo nessuna rilevanza il fatto
che esso, tecnicamente, agisce come mandatario, per riscuotere un credito facente capo
all’ente impositore.
A conforto di ciò, basta rammentare che, se
ritiene, Equitalia può chiamare in causa l’ente
creditore interessato, al fine di evitare di rispondere della lite.
Opera quindi, pure nei suoi confronti, l’art. 96
co. 3 c.p.c., secondo cui il giudice può condannare la parte soccombente al versamento di
una somma equitativamente determinata.
Cass. 22.12.2015 n. 25852
Accertamento e controlli
La Corte di Cassazione, nella sentenza
18.12.2015 n. 25478, ha illustrato il trattamento impositivo dell’atto di istituzione di trust
operato prima dell’entrata in vigore del DL
262/2006, ovvero prima della “reistituzione”
delle imposte sulle successioni e donazioni.
Secondo la Corte, in particolare, l’atto istitutivo di trust andava assoggettato all’imposta di
registro nella misura fissa. Nella motivazione
della sentenza si legge, infatti, che non era
corretto applicare l’imposta di registro proporzionale del 3%, a norma dell’art. 9 della
Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/86, atteso
che all’atto di istituzione di trust mancherebbe
il “contenuto patrimoniale” richiesto dall’art. 9
citato, non trattandosi di un atto oneroso. Infine, la Corte esclude anche la debenza delle
imposte ipotecaria e catastale proporzionali
al momento dell’istituzione, atteso che non si
può ritenere che il trust sia “immediatamente
produttivo di effetti traslativi”: solo il trasferimento finale di beni al beneficiario può essere
assoggettato all’imposizione sui trasferimenti.
Cass. 18.12.2015 n. 25473
Cass. 18.12.2015 n. 25480
Agevolazioni prima casa
Accertamento e controlli
Lungaggini per lo sfratto dell’inquilino
- Decadenza dell’agevolazione Esclusione
Redditometro - Aumento di capitale
sociale - Sottoscrizione - Rilevanza
Ai fini dell’accertamento sintetico basato
sull’incremento della spesa patrimoniale, non
ha, di per sé, valore la sottoscrizione di un aumento di capitale sociale, in quanto ciò non necessariamente comporta un esborso di denaro.
Infatti, l’aumento può attuarsi anche mediante
conferimento di servizi, assunzione di obblighi, come ad esempio l’accollo dei debiti della
società conferitaria verso terzi.
Se si tratta del caso da ultimo accennato,
come già rilevato in termini generali (cfr. Cass.
10.9.2014 n. 19030), non rileva il solo dato relativo all’accollo, ma l’effettiva estinzione del
debito accollato.
Processo tributario
Procedimento dinanzi alla C.T.
Provinciale - Fase istruttoria - Poteri
del giudice - Poteri istruttori ex art. 7
del DLgs. 546/92 - Limiti all’utilizzo
I poteri del giudice tributario, specie a seguito del DL 203/2005, che ha espunto dall’art. 7
del DLgs. 546/92 l’ordine di esibizione di documenti, non possono sopperire alle carenze
probatorie delle parti.
Pertanto, va dichiarato nullo l’atto “successivo” emesso in assenza di notifica di quello
“presupposto”, anche quando la prova della
notifica di quest’ultimo sia stata depositata
dalla parte a seguito di ordine giudiziale.
Trattasi, nella specie, di utilizzo illegittimo dei
poteri attribuiti al giudice dall’art. 7 del DLgs.
546/92.
Cass. 18.12.2015 n. 25465
La Corte di Cassazione, nell’ordinanza
17.12.2015 n. 25437, chiarisce che può configurare un’ipotesi di “forza maggiore”, idonea
ad impedire il perfezionarsi della decadenza
dall’agevolazione “prima casa”, il fatto che la
procedura di sfratto per morosità intentata nei
confronti dell’inquilino occupante l’immobile
acquistato si prolunghi oltre i tempi ordinari.
In particolare, nel caso di specie, l’acquirente
di un immobile, dopo aver goduto dell’agevolazione prima casa per l’acquisto, non trasferiva la residenza in esso nei 18 mesi successivi all’atto. Tuttavia, egli sosteneva che la
decadenza non si fosse verificata in quanto il
trasferimento era stato impedito dal prolun-
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Imposte ipotecaria e catastale - Atto
di dotazione del trust - Imponibilità Misura fissa
È dunque onere dell’Agenzia delle Entrate dimostrare che, nel caso di specie, l’aumento di
capitale sociale ha causato un esborso monetario.
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Imposte indirette
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garsi della procedura di sfratto intentata nei
confronti dell’inquilino che abitava l’immobile. Infatti, nel caso di specie, i termini dello
sfratto dovevano scadere prima del termine di
18 mesi ma, a causa degli ostacoli frapposti
dall’inquilino, la procedura si era prolungata
per 10 mesi oltre quelli “ordinari”. In questo
caso, secondo la Corte di Cassazione, non si
può escludere la forza maggiore, atteso che la
situazione verificatasi risulta effettivamente
imprevedibile, non imputabile ed inevitabile
dal contribuente.
Cass. 17.12.2015 n. 25437
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Riscossione
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Fermo dei beni mobili registrati
- Giurisdizione - Fermo derivante
da pretese rientranti in differenti
giurisdizioni - Legittimità
costituzionale - Manifesta
inammissibilità
Corte Cost. 17.12.2015 n. 269 ha dichiarato
manifestamente inammissibile la questione
di legittimità costituzionale, tra gli altri, degli
artt. 2 e 19 del DLgs. 546/92, relativamente
alla giurisdizione in tema di ricorso contro il
preavviso di fermo dei beni mobili registrati.
Sulla questione, dunque, i giudici costituzionali non si sono pronunciati, per motivi di ordine
processuale. Rimane così aperto il problema
derivante dal fatto che, se mediante l’atto
esattivo (cartella di pagamento, intimazione
ad adempiere, preavviso di fermo ...) vengono
richieste entrate di diversa natura, il debitore
può dover essere costretto a presentare anche quattro ricorsi dinanzi a quattro giudici diversi, magari appartenenti a più giurisdizioni.
L’ipotesi classica è la cartella di pagamento
ove vengono esatti sia tributi che contributi
INPS (per i tributi c’è la giurisdizione tributaria con ricorso da notificare entro i 60 giorni
ex art. 21 del DLgs. 546/92, per i contributi, di
contro, sussiste la giurisdizione ordinaria con
ricorso da notificare entro 40 giorni ex art. 24
del DLgs. 46/99).
Corte Cost. 17.12.2015 n. 269
IVA
Presupposto oggettivo - Differenze
tra aliquote IVA ordinarie applicate
dagli Stati membri - Realizzazione
di un’operazione che determina
l’applicazione di un’aliquota IVA
minore
Secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia UE, con sentenza del 17.12.2015 relativa alla causa C-419/14, la realizzazione di
un’operazione che determini l’applicazione di
un’aliquota IVA minore derivante dal differente livello di tassazione esistente in due Stati
membri della UE non è di per se un vantaggio fiscale che possa far scattare un abuso
contrario ai principi del tributo. La nozione di
“luogo della prestazione di servizi” contenuta
nella direttiva 2006/112/CE, agli effetti dell’IVA, ha un carattere obiettivo e, dunque, come
evidenzia la Corte Ue, si applica indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni, senza che l’Amministrazione tributaria
sia obbligata a indagare sulla volontà del soggetto passivo. Per cui, considerato che le differenze tra le aliquote IVA ordinarie applicate
dagli Stati membri derivano dall’assenza di
armonizzazione completa attuata dalla direttiva 2006/112/CE, la Corte ritiene che il fatto
che un contratto di licenza per la concessione di un know-how concluso con una società
con sede inferiore rispetto a quella dello Stato
membro in cui ha sede la società titolare della
licenza non può, in mancanza di altri elementi,
essere considerato come una pratica abusiva
alla luce del diritto comunitario di libera prestazione di servizi.
Corte di Giustizia UE 17.12.2015 causa C-419/14
Imposte dirette
Controlled foreign company legislation
- Costruzione di puro artificio - Libertà
di stabilimento e stipula di convenzioni
contro la doppia imposizione
La Corte di Cassazione, richiamando la Corte di Giustizia Europea 12.9.2006 causa
C-196/04, individua le seguenti condizioni
al cui ricorrere la normativa CFC può essere
considerata compatibile con i principi comunitari: da un lato, il fatto che la controllata
non risulti “realmente impiantata nello Stato
di stabilimento”, né ivi “eserciti attività economiche effettive”, dall’altro l’accertamento
che si tratti di “costruzioni di puro artificio
destinate ad eludere l’imposta nazionale normalmente dovuta”. Tale impostazione risulta
sovrapponibile a quella adottata dall’art. 167
co. 5 del TUIR.
Inoltre, nel ritenere infondata la dedotta violazione delle norme contenute nella Convezione
contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia
e Cipro, la Corte ha sancito la possibilità, per
lo Stato della fonte (nel caso di interesse, l’Italia), di tassare i proventi diretti a un residente cipriota nella misura in cui, diversamente
operando, si avrebbe una distorsione delle
norme “distributive” convenzionali, relative
all’esercizio del potere impositivo degli Stati,
e si consentirebbe una forma di pianificazione fiscale “aggressiva” oltre che lesiva della
libera concorrenza tra gli operatori economici.
L’obiettivo perseguito da uno Stato mediante
la stipula della Convezione – prosegue la Cassazione – ovvero quello di eliminare la doppia
imposizione, non può essere spinto al punto
tale da consentire un abuso della Convenzione
stessa che realizzerebbe un fenomeno di doppia non imposizione.
dopo il trasferimento, fossero state assunte
alcune delibere di distribuzione di dividendo,
poi confluite in un bilancio infrannuale non regolarmente approvato. Infatti, da un lato, né le
delibere di distribuzione di utili, né il bilancio
infrannuale possono essere assimilate ad un
“bilancio approvato”, come richiesto, invece,
dall’art. 16 co. 1 lett. b) del DLgs. 346/90; d’altro canto, secondo la Corte, le delibere suddette non costituiscono “mutamenti sopravvenuti” da tenere in considerazione ai fini della
determinazione del valore delle quote.
Cass. 16.12.2015 n. 25281
L’acquisto separato di un secondo immobile
da accorpare all’abitazione già acquistata con
l’agevolazione prima casa può, a sua volta, godere del beneficio, purché i due immobili siano
oggetto di “riunificazione per intercomunicazione fisica”.
Ove l’accorpamento tra i due immobili, in concreto, non venga realizzato, si configura la
decadenza dal beneficio e l’Amministrazione
finanziaria è legittimata ad accertare le maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale, a meno che il mancato accorpamento non
sia da imputare ad una causa di “forza maggiore”, da valutare in concreto.
Nel caso di specie, il contribuente affermava
che la riunificazione non si fosse realizzata a
causa di un impedimento di “forza maggiore”,
Imposte sulle successioni
e donazioni
Base imponibile - Quote di
partecipazione in società di capitali Determinazione del valore - Valore di
bilancio - Mutamenti sopravvenuti
La Corte di Cassazione, nella sentenza
11.12.2015 n. 25007, ha affermato che la base
imponibile dell’imposta sulle successioni, in
relazione al trasferimento mortis causa delle
quote di partecipazione in una spa, deve essere determinata con riferimento al valore
di esse come desunto dall’ultimo bilancio regolarmente approvato, a nulla rilevando che,
Cass. 11.12.2015 n. 25007
In caso di riqualificazione degli atti ex art. 20
del TUR, il termine triennale di decadenza entro cui va notificato l’avviso di liquidazione decorre dalla registrazione dell’ultimo atto della
fattispecie complessa.
Cass. 11.12.2015 n. 25001
Agevolazioni prima casa
Acquisto di immobile contiguo alla
“prima casa” - Mancata riunificazione Forza maggiore
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
Interpretazione degli atti - Termine
triennale di decadenza - Decorrenza
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Imposte di registro
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RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
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costituito dal ritardo nella ristrutturazione
dell’immobile, causato da “impedimenti frapposti dalla Soprintendenza ai beni ambientali
ed architettonici”, atteso che gli immobili erano vincolati e siti nel centro storico.
La Corte di Cassazione, in relazione alla verifica della sussistenza di un’ipotesi di “forza maggiore”, cassa le affermazioni della
Commissione tributaria che aveva escluso la
“forza maggiore” sulla base della considerazione di “massima” secondo cui la possibilità
di complicanze e di imprevisti, nell’ambito della ristrutturazione di immobili storici ben potrebbe essere prevista “da chi opera nel campo dalle ristrutturazione di immobili vincolati”,
senza aver neppure dimostrato che in concreto il contribuente operasse in tale settore.
In particolare, secondo la Corte di Cassazione,
la verifica della causa di “forza maggiore” va
operata in concreto e non basandosi su “certezze private di incerta origine”: il giudice avrebbe,
dunque, dovute verificare se, in concreto, nel
caso di specie, il ritardo fosse “prevedibile” e,
pertanto, rinvia la causa ad altro giudice.
Cass. 10.12.2015 n. 24963
Riscossione
Rimborsi d’imposta - Presentazione
dell’istanza - Imposta ipotecaria
e catastale dovute in misura fissa
sul trasferimento dell’immobile
strumentale in costruzione - Rimborso
dell’imposta pagata in misura
proporzionale - Termine di tre anni Decorrenza
Il diritto al rimborso delle imposte ipotecaria e
catastale, relative all’acquisto di un immobile
strumentale in costruzione, erroneamente versate dal contribuente in misura proporzionale,
decorre dal giorno del pagamento del tributo.
In particolare, i giudici precisano che il termine dei tre anni (indicato all’art. 77 del DPR
131/86 e all’art. 17 co. 5 del DLgs. n. 347/90)
per il rimborso decorre dal giorno del pagamento o dal giorno in cui è sorto il diritto alla
restituzione e non dal giorno in cui è pubblicata la circolare con cui l’Amministrazione finan-
ziaria chiarisce e specifica quanto contenuto
nella normativa stessa (ossia che, alle cessioni di immobili strumentali non ultimati, devono applicarsi le imposte di registro, ipotecaria
e catastale, in misura fissa).
Cass. 10.12.2015 n. 24956
Accertamento e controlli
Verifica fiscale - Contraddittorio
preventivo - Obbligo generalizzato
- Tributi “armonizzati” e non
“armonizzati”
Non esiste, nell’ordinamento tributario nazionale, un principio generale, nemmeno derivante dai precetti costituzionali, che impone
all’Amministrazione finanziaria un obbligo generalizzato circa l’instaurazione del preventivo contraddittorio con il contribuente.
Quindi, in linea generale, nelle c.d. “indagini a
tavolino”, è legittima la notifica dell’avviso di
accertamento o di altro atto impositivo senza
la necessità che, in un momento antecedente, il
contribuente sia convocato presso gli uffici o sia
stato formato il verbale ex art. 24 della L. 4/29.
Tuttavia, rimane la necessità del verbale ex
art. 24 della L. 4/29 e del rispetto dei sessanta
giorni ex art. 12 co. 7 della L. 212/2000 ove la
verifica si svolga presso i locali dove è esercitata l’attività del contribuente.
Il discorso è diverso nei tributi armonizzati
(come ad esempio l’IVA), in cui il diritto al preventivo confronto discende in via diretta dal
diritto comunitario.
Nella menzionata fattispecie, dunque, l’Amministrazione finanziaria, prima di emettere
l’atto impositivo, deve confrontarsi con il contribuente, ma l’omissione di ciò non sempre
causa la nullità dell’atto.
L’invalidazione, infatti, opera solo quando, come
affermato nella sentenza Kamino (Corte di Giustizia 3.7.2014 causa C-129/13 e C-130/13), sia
dimostrato che, se il contraddittorio fosse stato
instaurato, il procedimento avrebbe avuto un
esito diverso.
Quest’ultimo requisito va però contestualizzato,
per evitare che si concretizzi in un nulla di fatto.
Il contribuente, in giudizio, deve addurre le ra-
gioni che avrebbe potuto far valere nel contraddittorio, “e che l’opposizione di dette ragioni
(valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente
pretestuosa”.
Quindi, esso, anche in Cassazione, può far valere la sopravvenienza del giudicato esterno,
nella misura in cui l’accertamento della sentenza cui si invoca l’autorità del giudicato abbia esaminato nel merito la questione, ed abbia escluso la fondatezza dell’accertamento.
Cass. SS.UU. 9.12.2015 n. 24823
Cass. 4.12.2015 n. 24793
Operazioni esenti - Attività di gestione
dei fondi comuni di investimento
immobiliare
IRAP
La Corte di Giustizia UE, con sentenza del
9.12.2015, relativa alla causa C-595/13, ha
stabilito che anche la società che raccoglie capitali per l’acquisto, la detenzione, la gestione
e la rivendita di beni immobili, per conseguirne
un profitto, distribuito agli investitori sotto forma di dividendi, rientra nella nozione di “fondi
comuni d’investimento”, se soggetta a vigilanza
statale. Per la gestione dei “fondi comuni d’investimento” si applica il regime di esenzione
IVA di cui all’art. 135, par. 1, lett. g) della direttiva 2006/112/CE. La Corte stabilisce, tuttavia,
che la nozione di “gestione”, ai fini del regime
di esenzione, non può applicarsi anche all’effettiva amministrazione dei beni immobili, la
quale va al di là delle diverse attività connesse
all’investimento collettivo dei capitali raccolti.
La Corte di Cassazione, con la sentenza
4.12.2015 n. 24788, ha affermato che, al fine
di desumere l’esistenza di un’autonoma organizzazione, non è sufficiente la circostanza di
avvalersi di un agente e/o, per contratto, di una
società organizzatrice di spettacoli, dovendosi estendere l’accertamento alla natura, ossia
alla struttura e alla funzione, dei due rapporti
giuridici. Pertanto, a nulla rileva che un attore
spenda, per la sua attività professionale, più di
quanto possa ragionevolmente ritenersi, dal
momento che il denaro opera in sé come fattore di scambio monetario e non come fattore
produttivo specifico.
Corte di Giustizia UE 9.12.2015 causa C-595/13
Rimborso annuale - Spese sostenute
su beni di terzi - Terreno in comodato
- Costruzione di complesso turistico Rimborso IVA - Esclusione
Accertamento e controlli
Accertamento presuntivo Presunzione di distribuzione utili
extracontabili nelle società di capitali Giudicato formatosi nei confronti della
società - Riflesso nei confronti del socio
Negli accertamenti basati sulla presunzione di
distribuzione dei maggiori utili extrabilancio,
la rettifica eseguita nei confronti del socio è
una necessaria conseguenza di quella sociale.
Pertanto, ove i processi instaurati dalla società e dai soci pendano in gradi diversi e, quindi,
non siano stati riuniti, il giudicato di accoglimento del ricorso proposto dalla società ha un
automatico effetto nei confronti del socio.
Cass. 4.12.2015 n. 24788
IVA
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24779
del 4.12.2015, ha chiarito che l’IVA assolta sulle spese sostenute sui beni di terzi non può
essere chiesta a rimborso, essendo necessario non solo che il bene sia destinato all’esercizio dell’attività di impresa, ma anche che
ne sia stata acquistata la proprietà o un altro
diritto reale di godimento. Secondo la Cassazione il disposto dell’art. 30 co. 2 del DPR
633/72, facendo riferimento ai soli beni ammortizzabili per l’accesso al rimborso annuale
del credito IVA, impone che i beni in questione costituiscano immobilizzazioni materiali o
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Autonoma organizzazione - Prestazioni
di agenzia - Irrilevanza
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IVA
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immateriali. Per cui, non può ritenersi spettante il rimborso avente ad oggetto l’imposta
assolta per ristrutturare beni di terzi, posto
che i suddetti beni non rientrano tra i cespiti
ammortizzabili che legittimano l’esercizio del
diritto di rimborso.
Cass. 4.12.2015 n. 24779
di distribuzione degli utili extracontabili, l’accertamento del socio è una necessaria conseguenza di quello emesso in capo alla società.
Pertanto, ove possibile, il processo instaurato
dal socio deve essere sospeso ai sensi dell’art.
295 c.p.c. in attesa che diventi definitivo l’accertamento notificato alla società, espressione di un processo pregiudiziale.
IRAP
Cass. 2.12.2015 n. 24572
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
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Determinazione della base imponibile
- Esercenti attività d’impresa Cessione di calciatori - Imponibilità
- Inapplicabilità delle sanzioni per
obiettiva incertezza normativa
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Con la sentenza 2.12.2015 n. 24588, la Corte di Cassazione conferma l’imponibilità, ai
fini IRAP, delle plusvalenze derivanti dalla
cessione di calciatori e di diritti di compartecipazione da parte delle società sportive
professionistiche. Viene altresì riconosciuta,
sulla questione oggetto di pronuncia, la sussistenza delle condizioni di obiettiva incertezza
normativa. In particolare, i giudici di legittimità respingono il ricorso dell’Agenzia delle
Entrate contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che ha considerato
non dovute le sanzioni a fronte dell’omessa
dichiarazione delle suddette plusvalenze
(e minusvalenze). Nel caso di specie, infatti,
proprio a fronte dei citati contrasti giurisprudenziali, la Cassazione ritiene sussistente
l’esimente dell’obiettiva incertezza normativa, almeno fino all’emanazione del parere
del Consiglio di Stato n. 5285 dell’11.12.2012
(che si è pronunciato per la rilevanza di tali
elementi reddituali).
Cass. 2.12.2015 n. 24588
Accertamento e controlli
Accertamento presuntivo - Presunzione
di distribuzione utili extracontabili
nelle società di capitali - Processi
del socio e della società pendenti Sospensione del processo del socio
Negli accertamenti basati sulla presunzione
Accertamento e controlli
Poteri degli Uffici - Rifiuto di esibizione
dei documenti - Elemento soggettivo Necessità del dolo
Il c.d. “rifiuto di esibizione” dei documenti opposto dal contribuente nella fase amministrativa comporta l’inutilizzabilità dei medesimi
solo se connotato da dolo, e non da semplice
colpa.
Non ha, dunque, alcun effetto preclusivo la dichiarazione del contribuente di non possedere
il documento richiesto, se dipende da forza
maggiore, caso fortuito oppure colpa, “quale ad
esempio la negligenza e imperizia nella custodia e conservazione”.
Sono pertanto confermati i principi affermati
nella sentenza delle Sezioni Unite 25.2.2000
n. 45, nonostante, almeno in apparenza, possa rinvenirsi, negli anni successivi al 2000, un
orientamento difforme.
Cass. 2.12.2015 n. 24503
Accertamento e controlli
Avviso di accertamento Sottoscrizione - Mancata esibizione
della delega - Conseguenze
Ai sensi dell’art. 42 del DPR 600/73, l’avviso
di accertamento è nullo se non sottoscritto
dal capo dell’ufficio oppure da un soggetto da
questi delegato, a condizione che sia appartenente alla carriera direttiva.
Ciò opera anche per l’IVA, stante il rinvio alle
disposizioni in tema di imposte sui redditi di
cui all’art. 56 del DPR 633/72.
L’orientamento secondo il quale l’atto è legit-
IVA
L’obbligo di regolarizzazione del cessionario/
committente ex art. 6 co. 8 del DLgs. 471/97
non comporta che questi, ricevuta la fattura
dal cedente/prestatore, sia tenuto a sindacare
le valutazioni giuridiche da esso effettuate.
Infatti, non essendo il soggetto passivo d’imposta, il cessionario/committente è tenuto a
censurare solo la regolarità formale della fattura, mentre ciò “non esige invece il controllo
sostanziale della corretta qualificazione fiscale dell’operazione”.
Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che
non rientra nell’obbligo di regolarizzazione la
mancata applicazione dell’IVA ad opera del cedente/prestatore.
Secondo quanto deciso da C.T. Prov. Milano, con
sentenza n. 9553/25/15 del 26.11.2015, maturano gli interessi sul credito IVA richiesto a rimborso ai sensi dell’art. 38-bis del DPR 633/72
anche nel caso in cui la fideiussione sia presentata con ritardo. In sostanza, gli interessi maturano anche per il periodo che intercorre tra la
data della richiesta della fideiussione e quella
sua effettiva presentazione. La decisione dei
giudici milanesi si fonda sul principio che la fideiussione sul credito a rimborso “costituisce
una garanzia per l’erogazione del rimborso già
liquidato, ma non ha funzione di accertamento della fondatezza del diritto al rimborso” già
riconosciuto dall’Ufficio, che ha provveduto a
comunicare l’esito positivo dell’erogazione del
rimborso al termine della fase istruttoria.
L’interpretazione dei giudici è suffragata dal
dato letterale dell’art. 38-bis co. 1 del DPR
633/72 che prevede la sospensione degli interessi “per il periodo intercorrente tra la data
di richiesta di documenti e la data della loro
consegna”, con riferimento alla suddetta fase
istruttoria della procedura di rimborso, tesa
alla verifica della esistenza del credito e della
spettanza del rimborso.
C.T. Prov. Reggio Emilia 2.12.2015 n. 486/3/15
C.T. Prov. Milano 26.11.2015 n. 9553/25/15
Cass. 2.12.2015 n. 24492
IVA
Obblighi dei contribuenti - Fattura
omessa/irregolare ad opera del
cedente - Omessa regolarizzazione del
cessionario
012016
Rimborso annuale - Esecuzione del
rimborso - Tardiva presentazione della
garanzia patrimoniale - Maturazione
degli interessi
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
timo a prescindere da ogni questione riferibile alla sottoscrizione nella misura in cui sia
provata la sua riconducibilità all’Agenzia delle
Entrate vale solo per diversi atti impositivi (ad
esempio, cartella di pagamento, diniego di condono, avviso di mora), ove, nel sistema normativo di riferimento, non è presente una norma di
tenore analogo all’art. 42 del DPR 600/73.
13
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
012016
02 / SOCIETÀ, OBBLIGAZIONI
E CONTRATTI
14
Beni immateriali
Registrazione di marchio comunitario
di prodotto - Capacità distintiva del
marchio - Utilizzo del nome di un fiore Ammissibilità
Il Tribunale UE, con sentenza del 16.12.2015
(relativa alle cause riunite T-381/13 e T382/13), ha statuito il diritto di una società
di registrare un marchio comunitario di un
prodotto che fa riferimento ad una determinata “forma” (nel caso di specie, il nome di
un fiore). Secondo i giudici, infatti, l’utilizzo di
un termine che fa riferimento ad un oggetto di conoscenza comune non fa perdere la
forza distintiva del prodotto registrato con
quel marchio. Più precisamente, i giudici,
soffermandosi sull’art. 7 del Regolamento n.
207/2009, in base al quale sono esclusi dalla
registrazione i marchi composti da segni o
indicazioni, volti ad individuare determinate
categorie di oggetti, hanno affermato che il
fatto che i consumatori conoscano la forma
a cui si riferisce il marchio comunitario del
prodotto registrato, non comporta che gli
stessi debbano ritenere necessariamente
che i prodotti oggetto di tali domande avranno tale forma.
Trib. UE 16.12.2015 cause riunite T-381/13 e
T-382/13
Società in nome collettivo
Amministrazione - Azioni
di responsabilità contro gli
amministratori - Termini di
prescrizione - Sospensione fino alla
cessazione della carica ex art. 2941
n. 7 c.c. - Inapplicabilità - Illegittimità
costituzionale
La Corte Costituzionale, nella sentenza
11.12.2015 n. 262, ha stabilito che è costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 3
Cost., l’art. 2941 n. 7 c.c. nella parte in cui non
prevede che la prescrizione quinquennale sia
sospesa tra la snc ed i suoi amministratori, finché sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi. Ed, infatti, anche dopo Corte
Cost. n. 322/98 – che ha dichiarato l’illegittimità
della norma in questione nella parte in cui non
Corte Cost. 11.12.2015 n. 262
Procedura civile
Notificazioni - Consegna all’ufficiale
giudiziario per la notifica - Interruzione
della prescrizione
Con la sentenza n. 24822 del 9.12.2015, la
Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha statuito che la prescrizione del diritto esercitato con
l’atto processuale è interrotta con la consegna
dell’atto all’ufficiale giudiziario.
La questione riguarda il principio della diversa
decorrenza degli effetti della notificazione per
il notificante e il notificato. Più precisamente,
secondo i giudici anche per gli atti processuali
vale il principio della certezza giuridica, tutelata, attraverso l’applicazione della tecnica del
bilanciamento, con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario. Infatti, la pronuncia mette in
evidenza la necessità di allocare il vantaggio
sulla parte incolpevole (notificante).
Successioni
Erede legittimario - Lesione della quota
di legittima - Reintegrazione della
quota di legittima e qualità di erede pro
quota
Con la sentenza n. 24755 del 4.12.2015 la Cassazione ha riconosciuto all’erede legittimario,
che, vedendo lesa la sua quota di legittima,
agisce in riduzione delle disposizioni testamentarie, il diritto di ottenere dal giudice una
sentenza che definisca l’entità della quota che
gli spetta sulla massa ereditaria. Più precisamente, il giudice, nell’accogliere la domanda
di riduzione, deve indicare i beni ereditari e
la quota di partecipazione del legittimario sui
beni stessi e non limitarsi a liquidare in denaro il controvalore della quota di eredità.
Cass. 4.12.2015 n. 24755
Persone e famiglia
Accordi patrimoniali in sede di
separazione - Mancanza di omologa
giudiziale
La Cassazione con sentenza n. 24621 del
3.12.2015 ha statuito la validità dell’accordo
a contenuto patrimoniale stipulato tra coniugi,
non destinato a essere omologato dal giudice
e finalizzato, di fatto, a transigere il giudizio di
separazione coniugale. In particolare, i giudici,
012016
Cass. SS.UU. 9.12.2015 n. 24822
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
prevede che la prescrizione rimanga sospesa
tra la “sas” ed i suoi amministratori, finché
sono in carica, per le azioni di responsabilità
contro di essi – per le azioni di responsabilità
intraprese dalle snc contro gli amministratori
non opera la sospensione della prescrizione,
sancita per le persone giuridiche e per le sas.
Ed, allora, il contrasto con il principio di eguaglianza appare stridente. Ciò, in particolare, tra
snc e sas; dal momento che quest’ultima è assoggettata alle disposizioni della snc nei limiti
di compatibilità con il tipo sociale (art. 2315
c.c.). Seppure accomunate da una disciplina
omogenea nei tratti salienti, tali società differiscono nel regime di sospensione della prescrizione delle azioni di responsabilità, realizzandosi una disparità di trattamento priva di una
plausibile giustificazione, al pari di quanto accade tra snc e persone giuridiche. Peraltro, le
motivazioni che hanno condotto ad estendere
alle sas la sospensione della prescrizione vigente per le persone giuridiche “prescindono”
dalla peculiare composizione delle sas e dalla
distinzione tra accomandanti e accomandatari
che ne condiziona alcune specificità di disciplina. Esse, in quanto dotate di valenza generale,
si raccordano alla ratio della causa di sospensione della prescrizione e sono riferibili anche
alle snc. La causa di sospensione in discussione si correla al rapporto gestorio e si atteggia
in termini unitari con riguardo alle esigenze di
tutela della società. Durante la permanenza in
carica degli amministratori è più difficile per la
società acquisire compiuta conoscenza degli
illeciti da essi commessi e determinarsi verso
azioni di responsabilità, e la contrapposizione
di interessi tra società e amministratori – che
ostacola un’azione efficace e tempestiva della
società – non ha alcuna attinenza con la personalità giuridica.
15
discostandosi dall’orientamento tradizionale
(che considerava nulli, per illiceità della causa, i patti stipulati prima del matrimonio o in
sede di separazione, in quanto ritenuti avere
a oggetto materie non negoziabili senza l’intervento del giudice, quali lo status di coniuge
e l’assegno di divorzio), ritengono che possa
escludersi che “l’interesse della famiglia” sia
superiore e trascendente rispetto a quello dei
singoli componenti, per cui si deve ritenere
ammissibile un’ampia autonomia negoziale
(seppur adottando talune cautele laddove sia
necessario tutelare i diritti dei minori e, in genere, i diritti dei soggetti più deboli).
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
012016
Cass. 3.12.2015 n. 24621
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Espropri e risarcimenti
Permute di terreni - Attuazione
di progetti di interesse generale Indennizzo
Il TAR Puglia, con la sentenza 3.12.2015 n.
1590, ha esaminato un caso di esproprio relativo a un consorzio.
Nel caso di specie, il titolare di un lotto era
stato espropriato ricevendo come indennizzo un’area, in permuta. Il Comune, infatti, su
richiesta di altri proprietari consorziati che
intendevano realizzare un ampio piano urbanistico, aveva fatto applicazione dell’art. 27
della L. 166/2001 che consente alla maggioranza assoluta dei proprietari di espropriare
aree dei consorziati in disaccordo, ricorrendo
a permute per gli indennizzi. A seguito del
ricorso dell’espropriato, il TAR, con interpretazione restrittiva, ha ritenuto la norma sulle
permute applicabile solo nel caso di piani di
riabilitazione urbana, ovvero solo ove si tenda alla riqualificazione di immobili ed attrezzature, al miglioramento dell’accessibilità e
mobilità urbana, riordinando reti di trasporto
e infrastrutture. Negli altri casi, invece, chi è
espropriato ha diritto a ricevere un corrispettivo in denaro.
TAR Puglia 3.12.2015 n. 1590
Società a responsabilità
limitata
Circolazione delle quote - Clausola di
prelazione - Violazione - Conseguenze
La Corte di Cassazione, nella sentenza
2.12.2015 n. 24559, ha ribadito che la violazione della clausola statutaria di prelazione
ha “efficacia reale” e, pertanto, è opponibile
rispetto al terzo acquirente in caso di cessione
della quota effettuata in violazione della clausola stessa, nel senso che il cessionario non
entra a far parte della compagine sociale. La
clausola in questione, tuttavia, non attribuisce
alcun diritto di riscattare la partecipazione nei
confronti dell’acquirente, riconoscendo solo
quello al risarcimento dei danni eventualmente prodotti. Non sussiste, peraltro, un danno
“in re ipsa” in caso di violazione della clausola
statutaria attributiva di un diritto di prelazione, poiché la stessa assolve ad una funzione
organizzativa per un interesse sociale e non
del singolo socio. Di conseguenza, grava su
quest’ultimo l’onere di allegare e dimostrare
un suo specifico interesse all’acquisto della
partecipazione societaria rimasto pregiudicato dalla condotta violativa, potendo solo in
tal caso giustificarsi l’eventuale liquidazione
equitativa del danno, ex art. 1226 c.c., in ragione dell’impossibilità o notevole difficoltà
di una precisa quantificazione (cfr. Cass. n.
12370/2014).
Cass. 2.12.2015 n. 24559
Antiriciclaggio
Fattispecie di riciclaggio - Elementi
distintivi rispetto al reato di
ricettazione
Il delitto di riciclaggio (art. 648-bis c.p.) si distingue da quello di ricettazione (art. 648 c.p.)
non con riferimento ai reati presupposto, ma
in base agli elementi strutturali, quali l’elemento soggettivo – che implica il dolo specifico dello scopo di lucro nella ricettazione e il
dolo generico nel delitto di riciclaggio – e l’elemento materiale, con particolare riguardo alla
idoneità ad ostacolare l’identificazione della
provenienza del bene, quale indice caratteristico delle condotte di cui all’art. 648-bis c.p.
Cass. 7.12.2015 n. 48316
Antiriciclaggio
Fattispecie di riciclaggio Accertamento della provenienza
delittuosa - Condotte idonee a renderlo
solo difficoltoso - Confisca
di prevenzione
Integra il delitto di riciclaggio il compimento di
operazioni volte non solo ad impedire in modo
definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un
qualsiasi espediente che consista nell’aggirare
la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere. E ciò appare da configurare nel
caso, corrispondente a quello di specie, in cui la
condotta consista nella ricezione di somme di
provenienza illecita su conti correnti personali
e nella successiva effettuazione di operazioni
bancarie comportanti ripetuti passaggi di denaro di importo corrispondente su conti di diverse
società, oggettivamente finalizzate alla schermatura dell’origine delle disponibilità (cfr. Cass.
n. 3397/2013, che ha ravvisato riciclaggio anche con riferimento a fattispecie concernenti la
effettuazione di versamenti di denaro di illecita
provenienza in favore di varie società controllate dall’imputato, attraverso il temporaneo utilizzo di “conti di sponda” su cui affluiva in modo da
non conservare traccia delle operazioni, mancando gli elementi identificativi della provenienza delle somme confluite nelle società, sia della
destinazione di quelle dalle stesse defluite).
In relazione alla confiscabilità del denaro ex
art. 12-sexies del DL 306/92, inoltre, occorre
considerare che, alla accertata sproporzione
tra guadagni (desumibili dal reddito dichiarato
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
012016
03 / ATTIVITÀ FINANZIARIE
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012016
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
18
ai fini delle imposte) e patrimonio, scatta una
presunzione “iuris tantum” di illecita accumulazione patrimoniale che può essere superata
dall’interessato sulla base di specifiche e verificate allegazioni dalle quali si possa desumere
la legittima provenienza del bene sequestrato
in quanto acquistato con proventi proporzionati
alla propria capacità reddituale lecita e, quindi,
anche attingendo al patrimonio legittimamente
accumulato (cfr. Cass. n. 29554/2015).
A fronte di ciò, è corretto reputare generica e non
rilevante la documentazione che, seppure utile
a dimostrare l’attività professionale all’estero
del titolare dei beni, non ne dimostri la provenienza lecita. Che il soggetto fosse produttivo
di reddito all’estero e non tenuto a presentare
denuncia dei redditi in Italia, in quanto iscritto
all’AIRE, è un “non fatto” inidoneo a superare la
presunzione di illecita accumulazione dovuta
alla carenza di specifiche giustificazioni circa la
provenienza lecita del patrimonio. La giustificazione credibile attiene alla positiva liceità della
provenienza e non si risolve nella prova negativa della non provenienza dal reato per cui vi
è stata condanna. La sproporzione, quindi, va
calcolata avendo come punto di riferimento per
il primo parametro il reddito netto (o l’attività
economica) ossia la capacità reddituale.
Intermediari finanziari
Negoziazione in derivati con la
clientela retail - Restituzione
dell’indebito
Con sentenza n. 23717 del 25.11.2015, il Tribunale di Roma ha confermato la natura indebita delle c.d. “commissioni implicite” in un
contratto derivato IRS del tipo Collar. Infatti,
secondo il Tribunale, tali commissioni:
•• non sono previste dall’ordinamento;
•• non sono contenute in clausole contrattuali;
•• sono escluse dall’art. 23 co. 2 del TUF (che
stabilisce la nullità della pattuizione di rinvio
agli usi per la determinazione del corrispettivo, dei costi e degli oneri dovuti dai clienti
alle banche).
La Corte d’Appello di Milano, nella sentenza
11.11.2015 n. 4303, illustra le principali tematiche sottese alla negoziazione in derivati
con la clientela retail. Tra l’altro, si afferma
che:
•• non ha valore l’autodichiarazione di operatore qualificato resa dal rappresentante di un
Comune, ai sensi dell’art. 31 dell’ormai superato Regolamento intermediari di Consob,
vigente all’epoca dei fatti. L’autodichiarazione costituisce soltanto una presunzione, che
può essere vinta dalla prova positiva della
insussistenza dei requisiti cumulativamente richiesti dal Regolamento e dalla prova
della conoscenza, ovvero della conoscibilità
in concreto della loro mancanza da parte
dell’intermediario;
•• se anche l’autodichiarazione fosse stata valida, non per questo sarebbero venuti meno
gli obblighi a cui l’art. 21 del TUF tiene vincolato l’intermediario nei confronti di qualsiasi
cliente. Essi consistono nel “dovere inderogabile di agire in qualità di cooperatore del
cliente e nel suo esclusivo e miglior interesse”. Tali obblighi sono richiesti a maggior ragione nel caso di contratti OTC, cioè conclusi
al di fuori dei mercati regolamentati, dove
l’intermediario si trova in spiccato conflitto di
interessi con la clientela, poiché contemporaneamente esso struttura geneticamente e
propone il derivato;
•• essendo i derivati contratti aleatori, gli elementi dell’alea e gli scenari ad essa conseguenti costituiscono la causa del contratto.
È ovvio che, per loro natura, i derivati non
incorporano la certezza di un determinato
risultato a scadenza, né l’alea deve essere
perfettamente bilanciata tra le parti. Nondimeno, rileva in maniera essenziale, costitutiva, la circostanza che l’alea sia conosciuta
ex ante dalle parti con i suoi scenari probabilistici.
Trib. Roma 25.11.2015 n. 23717
App. Milano 11.11.2015 n. 4303
Cass. 7.12.2015 n. 48288
Intermediari finanziari
Derivati - Commissioni implicite Indebito
Fallimento
Chiusura della procedura di fallimento
- Effetti
La Corte di Cassazione, con la sentenza
14.12.2015 n. 25135, ha stabilito che:
•• non possono essere chiamati in causa gli
organi della procedura dal momento in cui
viene chiuso il fallimento; gli organi stessi non possono neanche assumere provvedimenti o compiere atti (art. 120 del RD
267/42);
•• qualunque provvedimento eventualmente
emesso dal tribunale fallimentare dopo la
chiusura del fallimento va considerato giuridicamente inesistente per assoluta carenza
di potere.
Cass. 14.12.2015 n. 25135
Fallimento
Azioni di responsabilità nei confronti
degli amministratori - Esercizio
da parte del curatore Caratteristiche - Decorrenza
dei termini di prescrizione
L’azione
di
responsabilità
nei
confronti
dell’amministratore di società di capitali esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 del
RD 267/42 compendia in sé le azioni di responsabilità della società (art. 2393 c.c.) e dei
creditori sociali (art. 2394 c.c.) ed è diretta alla
reintegrazione del patrimonio della società
fallita, visto unitariamente come garanzia dei
soci e dei creditori sociali.
Essa, pur avendo contenuto inscindibile,
offre al titolare la possibilità di scegliere
quale in concreto esercitare e formulare
istanze risarcitorie tanto con riferimento
ai presupposti della responsabilità contrattuale verso la società, quanto a quelli della responsabilità extracontrattuale verso i
creditori sociali. Tale scelta non è di poco
conto, dal momento che tra le due azioni
sussistono notevoli divergenze, non solo
per quanto riguarda la decorrenza del termine di prescrizione, ma anche in relazione
al diverso atteggiarsi dell’onere della prova
e all’ammontare dei danni risarcibili (Cass.
n. 15955/2012). Tuttavia, la scelta rappresenta evidentemente una facoltà, ben potendo il curatore scegliere di esercitare
entrambe le azioni (anzi, come precisato
da Cass. n. 10378/2012, laddove il curatore
non abbia specificato il titolo sottostante,
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
012016
04 / PROCEDURE
CONCORSUALI
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012016
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
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deve presumersi che abbia inteso esercitare congiuntamente entrambe le azioni).
Ai fini della decorrenza del termine quinquennale di prescrizione dell’azione dei creditori sociali occorre avere riguardo non al
momento in cui essi abbiano avuto effettiva
conoscenza dell’insufficienza patrimoniale,
ma al momento, che può essere posteriore o
anteriore al fallimento, in cui essi siano stati
in grado di venire a conoscenza della situazione di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società (cfr. Cass. n. 9619/2009).
L’onerosità della prova a carico del curatore
ha indotto la giurisprudenza a introdurre una
presunzione relativa (iuris tantum) di coincidenza del “dies a quo” con la dichiarazione di
fallimento. Salva la prova contraria, a carico
dell’amministratore, della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza
patrimoniale (Cass. n. 13378/2014). Tale prova, se è vero che può desumersi anche dal
bilancio d’esercizio (Cass. n. 20476/2008),
deve comunque avere ad oggetto fatti sintomatici di assoluta evidenza, nell’ambito di
una valutazione che è riservata al giudice di
merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa.
Cass. 4.12.2015 n. 24715
Concordato preventivo
Dichiarazione di inammissibilità della
proposta concordataria - Contenuto e
limiti del sindacato del giudice
Il Tribunale di Savona, con la pronuncia del
24.11.2015, nel dichiarare l’inammissibilità
della proposta concordataria, ha ribadito alcuni principi già affermati da precedenti giurisprudenziali ed ha affermato, fra l’altro, che
spetta ai creditori il sindacato sulla convenienza economica; il giudice, però, ha comunque
il controllo sulla legittimità della procedura e
sulla legalità della proposta. Il giudice, cioè,
esamina l’esistenza/fattibilità della causa del
negozio, quale possibilità della sua effettiva
realizzazione in senso logico e giuridico.
Trib. Savona 24.11.2015
Tenuità del fatto - Non punibilità Prescrizione - Abuso edilizio
Nei reati permanenti (come la contravvenzione edilizia di cui all’art. 44 lett. b) del DPR.
380/2001) è preclusa, quando la permanenza
non sia cessata, l’applicazione della causa di
non punibilità per la particolare tenuità del
fatto di cui all’art. 131-bis c.p.
Non si può considerare tenue un’offesa all’interesse penalmente tutelato che continua a
protrarsi nel tempo; mentre l’eliminazione
dell’opera abusiva può, sussistendo gli altri
requisiti, consentire la non punibilità.
Nel giudizio di rinvio per una nuova valutazione della particolare tenuità del fatto non può
essere dichiarato prescritto il reato quando la
causa estintiva sia sopravvenuta alla sentenza di annullamento parziale.
può essere attribuito a forza maggiore solo
quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore, che non sia stato in grado di porvi
rimedio per cause estranee alla sua volontà o
che sfuggono al suo dominio finalistico.
È, quindi, irrilevante la c.d. “crisi di liquidità”
del debitore alla scadenza del termine fissato
per legge per operare il versamento, avendo
l’obbligo, il debitore, per un verso, di accantonare le risorse necessarie per il soddisfacimento dell’obbligo tributario prioritario e, per
altro, verso, di adottare tutte le iniziative per
provvedere alla corresponsione del tributo.
Il soggetto che subentri ad altri nella carica
di liquidatore di una società di capitali dopo la
presentazione della dichiarazione IVA e prima
della scadenza del versamento, senza compiere il previo controllo di natura puramente
contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, risponde del reato di cui all’art. 10-ter del DLgs.
74/2000 quantomeno a titolo di dolo eventuale.
Cass. 22.12.2015 n. 50215
Cass. 22.12.2015 n. 50209
Penale tributario
Omesso versamento IVA - Mancanza di
liquidità - Forza maggiore - Soggetto
che subentra dopo la presentazione
della dichiarazione e prima della
scadenza dei termini di versamento
Penale tributario
L’inadempimento dell’obbligazione tributaria
Con riferimento al delitto di dichiarazione in-
Dichiarazione infedele - Responsabilità
penale del socio amministratore Estensione agli altri soci a cui compete
l’attività gestoria
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
Principi generali
012016
05 / PENALE
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012016
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
22
fedele (art. 4 del DLgs. 74/2000), pur non trattandosi di reato proprio (in quanto realizzabile
da chiunque), il soggetto attivo del reato è colui che inserisce all’interno della dichiarazione fiscale per l’anno di riferimento elementi
passivi fittizi o comunque dati che rendono
quella dichiarazione infedele.
Non è, però, escluso che altri soggetti diversi
dal materiale sottoscrittore della dichiarazione possano concorrere nel reato, come per
esempio accade nella ipotesi in cui la dichiarazione infedele venga materialmente compilata dal consulente fiscale su incarico del
contribuente.
La sottoscrizione da parte di un socio amministratore di una società in nome collettivo non
esonera, dunque, automaticamente gli altri
soci amministratori dalle responsabilità fiscali, occorrendo invece accertare in concreto
se gli altri soci svolgano attività gestionali in
quella specifica materia e quale sia l’apporto
concorsuale penalmente rilevante nella gestione della materia fiscale da parte dell’altro
(o altri) socio.
Cass. 22.12.2015 n. 50201
Responsabilità parapenale
delle persone giuridiche
Costituzione nel processo Rappresentante legale Conflitto di interessi Annullamento senza rinvio
Il legale rappresentante di una società, indagato o imputato nel medesimo procedimento
avverso l’ente, non è legittimato ad esprimere la volontà di quest’ultimo né a nominare
il difensore di fiducia per lo stesso, ai sensi di quanto previsto dall’art. 39 del DLgs.
231/2001.
Nel caso in cui si riscontri la sussistenza di un
tale conflitto di interessi, deve dichiararsi la
nullità assoluta di tutti i gradi di giudizio; nullità che può estendersi fino a travolgere l’udienza preliminare e il decreto che ha disposto il
rinvio a giudizio dell’ente.
Cass. 21.12.2015 n. 50102
Penale tributario
Reati tributari del rappresentante
legale - Profitto del reato - Sequestro e
confisca del denaro presente sul conto
corrente della società
Nei confronti di una persona giuridica, per
reati tributari commessi dal legale rappresentante della stessa, è possibile operare il
sequestro preventivo finalizzato alla confisca; sequestro da intendere operato non già
per equivalente bensì in via diretta; e, dunque,
legittimo, laddove avente ad oggetto beni che,
come le somme di denaro, rappresentano beni
fungibili.
Qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle
somme di cui il soggetto abbia comunque la
disponibilità deve essere sempre qualificata
come confisca diretta, ed in tal caso, tenuto
conto appunto della particolare natura del
bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente
oggetto della confisca ed il reato.
E se è ben vero che, specie ove si tratti di reati tributari – il cui profitto consistente nel
mancato pagamento di imposta è certamente
caratterizzato non già da un accrescimento
del patrimonio bensì da una non diminuzione dello stesso – la mancata individuazione,
naturalisticamente non possibile, del profitto
direttamente derivato dal reato potrebbe, sotto tale profilo, comportare che la confisca sia
in realtà più propriamente considerabile come
una confisca per equivalente, una diversa conclusione, nel senso della natura diretta della
confisca, si impone, a monte, in ragione appunto della natura fungibile dei bene appreso.
Cass. 17.12.2015 n. 49673
Penale tributario
Sequestro anche per equivalente del
profitto del reato - Rateizzazione del
debito - Pagamento delle prime rate Procedura per ottenere la riduzione
Non può attribuirsi rilievo, in sede di riesame
del provvedimento di sequestro finalizzato
Cass. 17.12.2015 n. 49666
Penale fallimentare
Bancarotta fraudolenta per distrazione
- Concorso del sindaco - Presupposti
In relazione al concorso del sindaco nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione
dell’amministratore, occorre considerare che
le regole ed i principi utilizzabili nell’ambito
della responsabilità contrattuale non possono
essere automaticamente trasferiti nel campo della responsabilità penale. In tale ultimo
contesto, in particolare, occorre che il sindaco
abbia dato un contributo giuridicamente rilevante, sotto l’aspetto causale, alla verificazione dell’evento e che abbia avuto la coscienza
e la volontà di quel contributo, anche se solo a
livello di dolo eventuale (a parte i casi in cui è
richiesto l’elemento soggettivo del dolo specifico).
Vale a dire che, in campo penale, non basta
imputare e provare comportamenti di negligenza o imperizia, anche gravi, del sindaco,
ma occorre la prova, anche indiziaria, del fatto
che la sua condotta abbia determinato o favorito, consapevolmente, la commissione di fatti
di bancarotta da parte dell’amministratore. Si
deve, inoltre, considerare, da un lato, che non
Cass. 16.12.2015 n. 49628
Penale fallimentare
Bancarotta fraudolenta patrimoniale Reato di pericolo - Conseguenze
La condotta sanzionata dall’art. 216 del RD
267/42 – e, per le società, dal successivo art.
223 co. 1 – non è quella di avere cagionato
lo stato di insolvenza o di avere provocato
il fallimento, bensì – assai prima – quella di
depauperamento dell’impresa, consistente
nell’averne destinato le risorse ad impieghi
estranei all’attività dell’impresa medesima.
La rappresentazione e la volontà dell’agente
debbono perciò inerire alla “deminutio patrimonii” (semmai, occorre la consapevolezza
che quell’impoverimento dipenda da iniziative non giustificabili con il fisiologico esercizio
dell’attività imprenditoriale).
Tanto basta per giungere all’affermazione del
rilievo penale della condotta, per sanzionare
la quale è sì necessario il successivo fallimen-
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è necessaria la prova di un preventivo accordo tra amministratore e sindaco, e, dall’altro,
che l’inerzia di quest’ultimo, quale sinonimo
di omissione, come può essere frutto di mera
negligenza, può anche essere animata dal
dolo, in tutte le sue possibili graduazioni, ed
essa, al pari dell’azione, costituisce una modalità esecutiva di un reato.
È reputata, quindi, corretta la decisione di merito nella parte in cui apprezza l’inerzia dell’imputato rispetto alla situazione complessiva e
non con riguardo a singole operazioni distrattive. Ciò che gli viene addebitato, cioè, non è il
previo concerto con l’amministratore, ma l’inerzia (pluriennale), consapevole e voluta, quale “condizione” degli eventi conseguiti a quelle
condotte. Atteggiamento che non può non avere
avuto, come effetto, il rafforzamento del proposito criminoso dell’amministratore, rassicurato
dalla certezza che non sarebbero state sollevate questioni dal controllore dinanzi ai soggetti
legittimati a reagire (gli altri soci, i creditori o il
Pubblico Ministero). Il tutto integrando una forma di compartecipazione nel reato rilevante ex
art. 110 c.p.
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
alla confisca per equivalente, all’accordo per
la rateizzazione e ai conseguenti pagamenti
parziali effettuati dall’indagato (cfr. Cass. n.
10826/2013, secondo la quale tali pagamenti possono, al più, essere posti a fondamento
di una richiesta di revoca parziale ai sensi
dell’art. 321 co. 3 c.p.p., potendo configurarsi
come quei fatti sopravvenuti idonei a far mancare le condizioni di applicabilità del sequestro, sotto il profilo della non corrispondenza
fra la somma sequestrata e il profitto effettivamente conseguito. In sede di riesame, invece, può essere data rilevanza alle sole condizioni di applicabilità originarie della misura,
con la conseguenza che la corrispondenza fra
il quantum sequestrato e il profitto deve essere valutata con riferimento al profitto inizialmente conseguito dall’indagato e, di regola,
corrispondente all’entità dell’imposta evasa).
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RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
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to, ma non già che questo sia oggetto di rappresentazione e volontà – sia pure in termini
di semplice accettazione del rischio di una sua
verificazione – da parte dell’autore.
È del resto innegabile che ci si trovi dinanzi
ad una fattispecie disegnata come reato di
pericolo. Anzi, la bancarotta fraudolenta patrimoniale è, più propriamente, reato di pericolo concreto, dove la concretezza del pericolo
assume una sua dimensione effettiva soltanto
nel momento in cui interviene la dichiarazione
di fallimento, condizione peraltro neppure indispensabile per l’esercizio dell’azione penale
o per l’adozione di provvedimenti “de libertate”, ai sensi del combinato disposto degli artt.
7 e 238 del RD 267/42.
Ecco spiegato perché rimane esente da pena
il soggetto che impoverisca una società di risorse enormi, quando questa può comunque
continuare a disporne di ben più rilevanti, idonee a fornire garanzia per le possibili pretese
creditorie: in quel caso, a differenza dell’ipotesi dell’imprenditore che si renda responsabile
di una distrazione modesta (ma a fronte di un
patrimonio suscettibile di risentirne significativamente), il pericolo di un pregiudizio per i
creditori non avrà assunto la concretezza richiesta dal dato normativo.
In sostanza, e in definitiva, l’imprenditore deve
considerarsi sempre tenuto ad evitare l’assunzione di condotte tali da esporre a possibile pregiudizio le ragioni dei creditori, non nel
senso di doversi astenere da comportamenti
che abbiano in sé margini di potenziale perdita economica, ma da quelli che comportino
diminuzione patrimoniale senza trovare giustificazione nella fisiologica gestione dell’impresa.
Cass. 16.12.2015 n. 49622
Penale tributario
Dichiarazione fraudolenta - Documenti
falsi - Momento consumativo Tentativo - Mera registrazione in
contabilità - Irrilevanza
La fattispecie di dichiarazione fraudolenta
mediante utilizzo di fatture o altri documen-
ti per operazioni inesistenti (art. 2 del DLgs.
74/2000) si consuma con la presentazione
della dichiarazione nella quale sono effettivamente inseriti o esposti elementi contabili
fittizi, senza che abbiano rilievo le condotte
prodromiche dell’agente, ivi comprese l’acquisizione e la registrazione nelle scritture contabili di fatture o documenti falsi o artificiosi
(cfr., tra le altre, Cass. n. 32348/2015 e Cass.
n. 52752/2014).
L’opzione legislativa trova ulteriore conferma
nel disposto dell’art. 6 del DLgs. 74/2000, che
esclude, per il reato in esame, la configurabilità del tentativo.
Deve, quindi, essere annullata la sentenza di
condanna per tale fattispecie che si “accontenti” del dato neutro della registrazione delle fatture nelle scritture contabili, senza dare
conto per nulla dell’avvenuta indicazione delle
stesse in dichiarazione.
Cass. 16.12.2015 n. 49570
Reati comuni
Truffa - Fatto tipico - Comportamento
patrimonialmente rilevante - Nozione
di artifici e raggiri - Danno
Il fatto tipico del delitto di truffa è costituito
dalla induzione in errore, mediante artifici
e raggiri, e dalla conseguente causazione di
un duplice evento materiale rappresentato
dall’ingiusto profitto e dall’altrui danno.
Vi è poi un ulteriore elemento tacito: il comportamento patrimonialmente rilevante che,
sebbene non richiesto espressamente, è desumibile agevolmente dal fatto che l’errore, in
quanto semplice stato psicologico, non può, di
per sé, produrre alcun danno e vantaggio patrimoniale se non è seguito da un comportamento materiale e patrimonialmente rilevante del “deceptus”.
Per artifizio si intende comunemente una simulazione di circostanze inesistenti o una dissimulazione di circostanze esistenti che genera una trasfigurazione della realtà esterna,
camuffandola. I raggiri consistono, invece, in
qualunque “avvolgimento subdolo dell’altrui
psiche” con parole od argomentazioni.
Cass. 9.12.2015 n. 48630
Penale tributario
Omesso versamento di ritenute
certificate - Riforma diritto penale
tributario - Innalzamento soglia
di punibilità - Retroattività - Non
punibilità
A seguito delle modifiche apportate dal DLgs.
158/2015, la soglia di punibilità prevista in relazione all’art. 10-bis del DLgs. 74/2000 è di
euro 150.000 (antecedentemente al 22.10.2015
era di euro 50.000).
Tale modifica legislativa trova applicazione,
in ordine ai procedimenti pendenti, a norma
dell’art. 2 c.p.
Nel caso in cui la contestazione delle ritenute
omesse si riferisca ad una somma inferiore
alla nuova soglia, va pertanto emessa immediata declaratoria di non punibilità per insussistenza del fatto, ai sensi dell’art. 129 co. 1
c.p.p.
Cass. 4.12.2015 n. 48228
Indebita compensazione - Crediti non
spettanti - Nozione - Crediti utilizzati
in eccedenza rispetto ai limiti legali Rilevanza
La nozione di crediti “non spettanti”, contenuta nella fattispecie di indebita compensazione,
comprende anche il caso di utilizzo di un credito certamente esistente ma non utilizzabile per
la parte eccedente il limite stabilito dalla legge.
La soluzione che colloca tra i crediti non spettanti (in senso oggettivo) sia quelli che, formatisi in riferimento ad un determinato anno,
possono essere utilizzati solo nell’anno successivo, che quelli derivanti da una compensazione oltre i limiti di legge, è infatti reputata
corretta sotto il profilo astratto perché:
•• il concetto di non spettanza include, dal punto di vista logico, tutto ciò che non spetta, ovviamente dal punto di vista tributario;
•• il legislatore tributario, pur differenziando
tra condotte fraudolente o meno, continua a
riferire il concetto di non spettanza anche a
crediti che abbiano attinenza al rapporto tributario tra contribuente ed Amministrazione
finanziaria.
Nel medesimo senso si veda anche Cass. n.
36393/2015, dove si è sottolineato come il credito ultra limite, seppure certo e determinato,
per la parte “eccedente” non è ancora “esigibile”. Per essere tale occorre attendere la liquidazione della pratica di rimborso o il periodo
d’imposta successivo (cfr. anche, seppure con
indicazioni più generiche, Cass. n. 3367/2015).
Cass. 4.12.2015 n. 48211
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Penale tributario
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
La condotta fraudolenta deve avere determinato l’errore. La norma richiede un vero e
proprio nesso di causalità. Considerato che la
norma non richiede il requisito della attitudine
del mezzo ad ingannare o sorprendere la altrui
buona fede non è richiesta una particolare idoneità del mezzo medesimo. Basta che in concreto il mezzo usato abbia cagionato l’inganno.
È perciò irrilevante che l’ignoranza o la leggerezza dell’ingannato abbiano agevolato l’errore.
Il danno, elemento costitutivo del reato di
truffa, può risolversi sia nel danno emergente per la perdita di un bene patrimoniale e sia
nel lucro cessante per il mancato acquisto di
una utilità economica. Nella consapevolezza
che con riguardo al concetto di patrimonio
esistono due concezioni – quella giuridica, secondo la quale è essenziale l’aspetto giuridico
formale del rapporto tra il soggetto ed i suoi
beni ed il danno può realizzarsi nel momento in cui si è costituito un rapporto giuridico
svantaggioso per il soggetto passivo, e quella economica che intende il patrimonio come
complesso dei beni economici di un soggetto,
attribuendo rilievo all’aspetto materiale, al
valore economico apprezzato o sulla base di
criteri oggettivi ed astratti o sulla base di criteri personali e concreti, con la conseguenza
che il danno consiste nell’effettiva diminuzione del patrimonio – non può che rilevarsi
che è indubbio che la truffa sussiste quando
si verifica un danno, cioè quando viene violato
l’equilibrio patrimoniale del soggetto passivo,
che subisce un’effettiva perdita economica.
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Reati speciali
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
012016
Trasferimento fraudolento di valori Natura - Pluralità di atti - Momento
consumativo
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Quando l’attribuzione fittizia di una società si
articola in una serie di condotte culminate con
il rilascio di una procura generale, da parte
dell’amministratore unico della società ad un
dipendente della stessa, è a quest’ultima attività che occorre guardare per l’individuazione
del momento consumativo della fattispecie
di trasferimento fraudolento di valori, di cui
all’art. 12-quinquies del DL 306/92.
Ed infatti, quando la condotta di attribuzione fittizia della società si articola in una serie di atti
che culminano nel conferimento di una procura
generale, il reato viene ad assumere la natura
di fattispecie a condotta plurima o frazionata,
in ordine alla quale la serie concatenata di atti
trasformativi realizza un’azione unitaria che si
esaurisce e si qualifica, sul piano dell’individuazione del relativo momento consumativo, con il
raggiungimento dell’assetto stabile e definitivo
della nuova apparenza della compagine sociale.
E detto momento di stabile e definitivo assetto
di nuova apparenza è individuabile nella data
del conferimento della procura generale, a
nulla rilevando, ai fini dell’individuazione del
momento consumativo del reato, le precedenti
date in cui la società era stata costituita e l’imputato era stato assunto nella stessa (come
invece prospettato nel ricorso, al fine di invocare l’intervenuta prescrizione).
Cass. 1.12.2015 n. 47452
Licenziamento individuale
Cass. 29.12.2015 n. 26005
una discriminazione basata sul sesso deve
essere risarcito in modo integrale. In particolare, la Corte UE ha affermato che:
•• i cambiamenti introdotti dalla direttiva
2006/54, recepita in Italia con il DLgs. n.
5/2010, rispetto alla precedente normativa,
puntano proprio ad assicurare una maggiore
efficacia punitiva e a determinare un effetto
dissuasivo reale nei confronti del datore di
lavoro;
•• gli Stati non sono obbligati a prevedere nel
proprio ordinamento i danni punitivi, ma nei
casi di violazione del principio di parità tra
uomo e donna in cui si realizza un licenziamento discriminatorio, gli ordinamenti nazionali devono prevedere la riassunzione
del soggetto discriminato o un risarcimento
monetario del danno.
Licenziamento individuale
Corte di Giustizia UE 17.12.2015 causa C-407/14
Licenziamento a fronte di una
discriminazione basata sul sesso Risarcimento del danno - Modalità
Previdenza
Superamento del periodo di comporto Errore del datore di lavoro
La Corte di Cassazione, con la sentenza
29.12.2015 n. 26005, ha stabilito che, ai fini
del licenziamento, è irrilevante l’incolpevole
ignoranza del datore di lavoro circa l’effettivo
superamento del periodo di comporto.
Nel caso di specie, un dipendente era stato licenziato dopo 185 giorni di assenza effettuati
per un infortunio sul lavoro, ove parte dell’assenza del dipendente era stata imputata ad infortunio e una parte riferita a malattia. La disciplina contrattuale collettiva del settore terziario
prevedeva la conservazione del posto di lavoro
per due diversi e distinti periodi di tempo.
Con la sentenza del 17.12.2015 (C-407/14), la
Corte di Giustizia dell’Unione europea (in linea
con la direttiva UE 2006/54) ha statuito che il
danno subito da una lavoratrice licenziata per
Contributi di lavoro dipendente Termini di prescrizione dei contributi
versati
Con riguardo alla disciplina introdotta dall’art.
3, co. 9 della L. 8.8.95 n. 335, che riduce a cin-
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
012016
06 / LAVORO
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que anni, a decorrere dal 1.1.96, il termine di
prescrizione per le contribuzioni di previdenza e assistenza sociale obbligatoria, salvi i
casi di denuncia del lavoratore e dei suoi superstiti, ai fini dell’applicazione del termine di
prescrizione ordinaria decennale è sufficiente
che il lavoratore abbia presentato una propria denuncia all’INPS, relativa all’omissione
contributiva del datore di lavoro, non essendo
necessario che, ai fini del più lungo termine di
prescrizione, la denuncia abbia un contenuto
specifico e tecnicamente precisato.
Cass. 10.12.2015 n. 24946
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
012016
Licenziamento individuale
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Procedimento disciplinare nei
confronti di un dipendente - Modalità
di contestazione dell’addebito
La Corte di Cassazione interviene in tema di
procedimento disciplinare nei confronti di un
dipendente di un datore di lavoro privato, ribadendo che la regola desumibile dall’art. 7 della L. 20.5.1970 n. 300, secondo cui l’addebito
deve essere contestato immediatamente, va
intesa in un’accezione relativa, ossia tenendo
conto delle ragioni oggettive che possono ritardare la percezione o il definitivo accertamento e valutazione dei fatti contestati – “da
effettuarsi in modo ponderato e responsabile anche nell’interesse del lavoratore a non
vedersi colpito da incolpazioni avventate”
– soprattutto quando il comportamento del
lavoratore consista in una serie di fatti che,
convergendo a comporre un’unica condotta,
esigono una valutazione unitaria, sicché l’intimazione del licenziamento può seguire l’ultimo di questi fatti, anche ad una certa distanza
temporale da quelli precedenti. In altri termini, il principio della immediatezza della contestazione disciplinare può considerarsi violato
soltanto quando il datore di lavoro prolunghi le
indagini in assenza di una obbiettiva ragione,
pur essendo in possesso di tutti gli elementi
per una compiuta valutazione del comportamento del dipendente e così non consenta al
lavoratore di esercitare il proprio diritto ad
una pronta ed effettiva difesa, ma non quando
la mancata immediatezza della contestazione
sia giustificata da ragioni obiettive che impediscono una piena valutazione della condotta
del dipendente e quindi una ponderata e responsabile contestazione degli addebiti, che
risponde anche nell’interesse del lavoratore a
non vedersi colpito da incolpazioni avventate.
Cass. 10.12.2015 n. 24941
Lavoro subordinato
Diritti e doveri del lavoratore Sciopero - Assenza collettiva dal lavoro
per malattia - Verifica dell’attendibilità
del certificato medico
La Cassazione, con la pronuncia 7.12.2015
n. 48328, ha affermato che l’assenza collettiva
dal lavoro per malattia non esclude la configurabilità di fattispecie di reato, ancorché le
assenze siano giustificate da certificazioni
mediche. L’esistenza del fondato sospetto
che le assenze per malattia celino un’azione
di protesta attuata con metodi illeciti rende
necessario lo svolgimento del processo penale, nel corso del quale saranno svolti tutti
gli accertamenti necessari a valutare l’attendibilità delle fonti di prova (segnatamente, la
veridicità delle certificazioni mediche).Il caso
specifico verteva sull’assenza per malattia dei
dipendenti di un’azienda di trasporti, i quali
erano stati accusati di truffa e interruzione di
pubblico servizio per essersi assentati tutti insieme in due giorni consecutivi.
Cass. 7.12.2015 n. 48328
Lavoro subordinato
Diritti e doveri del lavoratore Modalità di esecuzione dello sciopero
- Casi di illegittimità
L’astensione dal lavoro per sciopero è da ritenersi illegittima laddove i tempi e le modalità
di esecuzione siano rimessi totalmente alla
discrezione dei singoli lavoratori interessati,
senza alcuna predeterminazione. In tale situazione, precisa la Corte di Cassazione, può venir
compromessa la capacità produttiva e organiz-
Cass. 3.12.2015 n. 24653
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prevenire i rischi sulla produttività aziendale
con riferimento ai singoli reparti ove di volta
in volta sarebbe stata attuata – anche all’improvviso – l’astensione dei lavoratori, con l’inevitabile insorgere di pericoli di vario genere,
quali, ad esempio, la sottrazione della merce o
il suo mancato pagamento o l’assenza di controllo delle condizioni di igiene e di sicurezza
sul lavoro all’interno dei vari reparti, anche
in considerazione della presenza di pubblico.
In definitiva, per i giudici di legittimità, quelle
particolari modalità di attuazione della proclamata astensione dal lavoro sono da ritenersi illegittime in quanto esorbitano dai limiti
del diritto di sciopero, ne snaturano la forma e
le finalità tipicamente collettive e pongono in
serio pericolo la produttività e l’organizzazione gestionale dell’azienda.
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
zativa dell’azienda, dal momento che il datore
di lavoro non è nelle condizioni di organizzarsi
per porre rimedio alle improvvise mancanze di
personale. Nel caso in esame, viene pertanto
cassata la sentenza d’appello che, decidendo
a favore delle rappresentanze sindacali, aveva
ritenuto che le predette modalità di attuazione
di un’astensione dal lavoro, indetta presso la
sede di un’azienda della grande distribuzione,
la riconducessero alla tipologia del cosiddetto
sciopero “a singhiozzo” o “a scacchiera”, caratterizzata da interruzioni o sospensioni del
lavoro parziali o temporanee.
Con riferimento al caso di specie, i giudici di legittimità osservano che attraverso l’attuazione
di uno sciopero le cui modalità di esecuzione
erano rimesse totalmente ai singoli lavoratori
interessati, senza una loro predeterminazione, il datore di lavoro era seriamente esposto ai pregiudizi derivanti dall’impossibilità di
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