Trio di Parma - Società del Quartetto di Milano
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Trio di Parma - Società del Quartetto di Milano
Stagione 2010-11 Martedì 14 dicembre 2010, ore 20.30 Alberto Miodini pianoforte Ivan Rabaglia violino Enrico Bronzi violoncello Sala Verdi del Conservatorio Trio di Parma Haydn Trio n. 45 in mi bemolle maggiore Hob.XV.29 Kagel Trio n. 2 in einem Satz Schumann Trio n. 1 in re minore op. 63 Il concerto è registrato da Rai Radio3 5 Consiglieri di turno Mathias Deichmann Clemente Perrone da Zara Direttore Artistico Paolo Arcà Sponsor istituzionali Ringraziamo per il loro contributo volontario, oltre ai vari Soci che hanno scelto l’anonimato o la dedica in memoriam (a Silvia Medugno Ansbacher Bonomi, a Rita Legnini, a Sergio Dragoni), i Soci A.F., S.F. e E.A., Ornella e Giuseppe Lorini, con la speranza che il loro esempio trovi seguito. Sponsor Pianisti al Quartetto Giulio Confalonieri, poeta, scrittore, compositore, eminente protagonista della vita musicale a Milano lungo gran parte del ‘900, scrisse i programmi di sala del Quartetto dal 1953 al 1963. Un ampio estratto fu pubblicato in un nostro piccolo libro, “Il minuto prima di ascoltare”, curato da Lorenzo Arruga. Quest’anno i commenti ai nostri concerti saranno spesso “a due voci”: la voce di Giulio Confalonieri, là dove saranno in programma musiche già da Lui commentate per nostri concerti, e la voce di Oreste Bossini. Due voci che risentono di diverse formazioni musicali e di tempi diversissimi. È anche un modo di valorizzare il patrimonio di cultura del Quartetto e di rispettare i nostri tradizionali criteri di sana gestione economica. Il programma è pubblicato sul nostro sito web dal venerdì precedente il concerto. È vietato, senza il consenso dell’artista, fare fotografie e registrazioni, audio o video, anche con il cellulare. Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo alla fine di ogni composizione. Si raccomanda di: • spegnere i telefoni e ogni apparecchio con dispositivi acustici; • evitare colpi di tosse e fruscii del programma; • non lasciare la sala fino al congedo dell’artista. Con il contributo di Soggetto di rilevanza regionale Con il patrocinio di Franz Joseph Haydn (Rohrau 1732 – Vienna 1809) Trio n. 45 in mi bemolle maggiore Hob.XV.29 (ca. 16’) Poco allegretto – Andantino ed innocentemente – Finale. Allemande. Presto assai Anno di composizione: 1795/97 Anno di pubblicazione: 1797 Durante il soggiorno a Londra, Haydn conobbe e frequentò vari rappresentanti del vivace mondo artistico inglese di fine Settecento. Tra loro figurava anche la pianista Therese Jansen, figlia di un noto maestro di ballo tedesco trapiantato a Londra. Therese era stata una delle migliori allieve di Muzio Clementi e la sua reputazione come virtuosa doveva essere già notevole, malgrado la giovane età, dal momento che il violinista e impresario Johann Peter Salomon offrì a lei e a tutta la sua famiglia dei biglietti omaggio per assistere alla prima serie di concerti di Haydn nella capitale inglese. L’amicizia con Haydn fu rinnovata in seguito anche a Vienna, dove Therese soggiornò per qualche tempo nel 1799 con il marito Gaetano Bartolozzi, figlio del noto incisore Francesco, e la piccola figlia Lucia, destinata a una fulgida carriera come attrice e cantante nel teatro inglese (tra i suoi personaggi favoriti figurava anche il Cherubino delle Nozze di Figaro). Haydn dedicò a Therese una delle sue ultime raccolte di Trii con il pianoforte, forse la più impegnativa dal punto di vista tecnico. Le qualità musicali di Therese rispecchiavano le caratteristiche della scuola pianistica di Clementi, che era considerato dalla maggior parte degli intenditori il massimo virtuoso della sua epoca. Mozart, che si era battuto musicalmente con lui davanti all’imperatore Giuseppe II, non era stato molto tenero nei suoi confronti: «Clementi suona bene, quando si tratta dell’esecuzione della mano destra – recita una lettera al padre del 1782. – La sua forza sono i passaggi di terza – peraltro non ha un briciolo di sentimento né di gusto, insomma è un puro Mechanicus». L’agilità della mano destra peraltro rappresenta anche il punto di forza della scrittura pianistica del Trio in mi bemolle maggiore, che mostra una sicurezza spigliata nella confezione del lavoro degna di Goldoni nella stesura di una commedia. Il tono infatti è tutt’altro che drammatico, al massimo incline talvolta a una delicata malinconia, come avviene nell’episodio in mi bemolle minore del Poco Allegretto iniziale. La forma di questo primo movimento è leggera, trattandosi di un’elementare struttura ad arco, ma non banale. Haydn sfrutta con impareggiabile eleganza il minimo dettaglio armonico e ritmico del tema, in maniera da conferire al discorso piccoli sviluppi interessanti. Anche nell’ultima fase della sua produzione, Haydn non cessava di esplorare le possibilità delle forme musicali, specie di quelle più semplici. Il segreto consisteva, come nel caso di questo movimento, nell’iniezione di energia in ciascuna sezione, che viene ripresa sempre con qualche particolare nuovo e variato, conferendo alla forma una vitalità inestinguibile. Il marchio più caratteristico della sua intelligenza musicale è impresso però sulla mappa dell’armonia, che riesce sempre a trovare nuove e imprevedibili connessioni. L’Andantino centrale, per esempio, consiste solo in una sorprendente modulazione dalla tonalità di si maggiore (già di per sé aspramente dissonante, dopo un movimento in mi bemolle maggiore) a quella della casa madre, che viene raggiunta con l’inizio dell’Allemande finale. Come si vede, l’innocenza proclamata dal titolo del movimento non riguarda tanto il peccato, quanto piuttosto la maniera semplice e in apparenza ingenua di far la penitenza. Il languore malizioso dell’Andantino si esaurisce in una sostenuta cadenza guidata dal pianoforte, che sfocia senza soluzione di continuità nel Finale molto mosso. Il termine Allemande si riferisce al carattere rustico e vigoroso della danza tedesca. La scrittura pianistica domina la scena, ma non manca qualche momento di tensione drammatica tra la tastiera e i due strumenti ad arco, come per esempio al culmine dello sviluppo che porta alla ripresa. Ci sono vari aspetti interessanti anche sotto il profilo della scrittura strumentale. Prima della coda conclusiva, per esempio, Haydn infila come tra parentesi, tra due accordi sospesi, un episodio costruito su una nota bassa tenuta, un si bemolle, che il fortepiano dell’epoca non avrebbe in alcun modo potuto sostenere senza l’aiuto del violoncello. (o. bos.) Mauricio Kagel (Buenos Aires 1931 – Colonia 2008) Trio n. 2 in einem Satz (ca. 19’) Anno di composizione: 2001/02 Prima esecuzione: 29 settembre 2002 Mauricio Kagel, scomparso da soli due anni, è stato uno dei protagonisti della scena musicale del secondo Novecento. La sua produzione, vista sullo sfondo di un periodo storico così travagliato e segnato da radicali trasformazioni del linguaggio, sembra rivolta quasi per intero alla decostruzione razionale e sistematica delle forme espressive tradizionali. Kagel ha cominciato all’inizio a mettere in discussione il principale feticcio della musica occidentale, l’opera, scrivendo un lavoro di teatro musicale da camera, Sur scène (1959), nel quale tutti i musicisti prendevano parte allo spettacolo recitando, oltre che suonando. Questo impulso iniziale a interpretare la musica strumentale come una forma di comunicazione pari a quella teatrale non ha mai abbandonato la produzione del compositore argentino, che ha sempre impresso ai suoi lavori una gestualità particolare e un’ironia a volte caustica, a volte tragica. La sensazione di un vuoto, di un vizio retorico rimane sempre in agguato nella sua percezione della musica del passato, che ha spesso aleggiato sul suo lavoro come lo spettro di Banquo al banchetto di Macbeth. Il punto culminante di questo ossessivo e impossibile dialogo con la storia rimane forse il progetto Ludwig van, che nell’anno del bicentenario beethoveniano, 1970, si tradusse in un lavoro che era allo stesso tempo una commovente rivisitazione della sua musica, un film e un testo teatrale. Questa polifonia d’interessi costituiva un elemento essenziale della sua personalità artistica, che ha cercato la maniera di esprimersi attraverso sia il linguaggio visivo, sia quello musicale, in modo analogo a personaggi come Ciurlionis, Schönberg e Klee. Il Trio in einem Satz segue di diciassette anni la sua prima opera in uno dei generi più rappresentativi della musica strumentale del periodo classico, il Trio con pianoforte. Anche in questo secondo lavoro si potrebbe scorgere in un certo senso l’ombra di Beethoven, che forse ha ispirato tramite il suo famoso Trio degli Spiriti i suoni lugubri e spettrali dell’inizio. L’idea però è più vicina alla rilettura surreale di Samuel Beckett, nella sua omonima opera televisiva, che alla musica vera e propria di Beethoven. Kagel costruisce su questa marcia funebre iniziale un unico torso, sviluppato in un dissonante contrappunto di episodi contrastanti e frammentari. La natura volatile di una scrittura a tratti nevrotica e angosciosa viene bilanciata da una perfetta padronanza del linguaggio strumentale e da un’inesauribile galleria di figure e di colori, che sembrano galleggiare nell’oscuro vuoto del silenzio con leggerezza fantastica. Nei lavori dell’ultima fase il linguaggio dissacrante del suo teatro strumentale, tipico di pezzi come Match (1966) per esempio, dove due violoncelli interpretano una partita di tennis arbitrata da un set di percussioni, si attenua e la sua musica esprime un atteggiamento più introspettivo, come accade in questo secondo Trio. Il Trio in einem Satz è stato scritto nel completo isolamento di una casa in campagna. L’unico legame di Kagel con il mondo era il telefono, tramite il quale il musicista ha appreso il giorno stesso i tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001. La stesura della partitura s’interrompe sull’ultimo accordo scritto prima di apprendere la notizia, come se l’autore fosse rimasto schiacciato dalla sensazione di aver vissuto nella sua musica la premonizione di una catastrofe dalle conseguenze forse ancora indecifrabili. (o. bos.) Robert Schumann (Zwickau, Sassonia 1810 – Endenich, Bonn 1856) Trio n. 1 in re minore op. 63 (ca. 33’) Mit Energie und Leidenschaft – Lebhaft, doch nicht zu rasch – Langsam mit inniger Empfindung – Mit Feuer Anno di composizione: 1847 Prima esecuzione: Lipsia, 13 novembre 1848 È noto che Robert Schumann affrontò per gradi la composizione dei diversi generi musicali. Pianista per rivelazione e predestinazione iniziale, egli, nei suoi primi dieci anni di attività creatrice, dal 1830 al 1840, non scrisse che pel pianoforte. Nel 1840 non appena coronato con il matrimonio il suo lungo e drammatico romanzo d’amore, Schumann si accosta al Lied per canto e pianoforte; l’anno seguente alla Sinfonia per orchestra e infine, nel 1842, alla cosiddetta musica da camera. Più tardi verranno poi l’oratorio profano, la Messa e l’opera. I primi saggi schumanniani di musica da camera consistettero in una serie di tre Quartetti per archi; gli ultimi nel Trio in sol minore op. 110 e nelle due Sonate per violino e pianoforte. Il Trio in re minore compreso nel programma di questa sera e l’altro in fa maggiore op. 80 risalgono, entrambi, al 1847. Una lunghissima evoluzione aveva fatto dell’antica Sonata a tre un mezzo efficacissimo di espressione romantica. Le tre individualità del violino, del violoncello e del pianoforte si erano andate configurando entro contorni sempre meglio marcati e la loro possibilità di personificarsi aveva fornito un istrumento ideale a quell’incontro fra dramma e lirica, ottenuto mediante procedimenti dialettici, che costituisce il succo della Forma-Sonata dopo l’avvento di Ludwig van Beethoven. Nel complesso istrumentale del Trio la presenza del pianoforte toglie all’insieme quel che di astratto che conferisce al Quartetto per archi un fascino particolare, ma, in complesso, afferma un andamento narrativo di straordinario effetto. Nella concezione dei suoi Trio, Schumann si ispirò evidentemente all’op. 70 e all’op. 97 di Beethoven (il famoso Trio dell’Arciduca); ma forse più ancora, all’op. 99 e all’op. 100 di Schubert. Al contrario, i due grandi Trio di Mendelssohn (op. 49 e op. 66) sembrano piuttosto estranei alla concezione di Robert. Nel Trio op. 63, i termini essenziali dell’arte schumanniana si trovano tutti in azione, felicemente palesati da un periodo di singolare vigore creativo. Anzi, elementi inaspettati come il secondo tema cantabile nel primo «tempo» o come certe dissolvenze sonore nel terzo, ci pongono davanti uno Schumann che non ebbe più seguito: improvvisi traguardi dell’anima sopra paesi sconosciuti. Non a torto, molti pensano che, fra i tre Trio di Schumann, quello più ricco d’invenzione, di spontaneità, di libera fantasia sia proprio il primo, op. 63. (g. conf.: Concerto del 22 ottobre 1956 del Trio di Trieste) TRIO DI PARMA Il Trio di Parma si è formato nel 1990 al Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma. Si è poi perfezionato con il Trio di Trieste alla Scuola di Musica di Fiesole e all’Accademia Chigiana di Siena. Ha ottenuto importanti riconoscimenti con le affermazioni al Concorso Internazionale “Vittorio Gui” di Firenze, al Concorso Internazionale di Musica da Camera di Melbourne, al Concorso Internazionale ARD di Monaco e al Concorso Internazionale di Musica da Camera di Lione. Inoltre, nel 1994, ha meritato il “Premio Abbiati” dell’Associazione Nazionale della Critica Musicale quale “miglior complesso cameristico”. Ha suonato per le più importanti istituzioni musicali in Italia e all’estero (Philharmonie di Berlino, Carnegie Hall e Lincoln Center di New York, Wigmore Hall di Londra, Konzerthaus di Vienna, Filarmonica di San Pietroburgo, Festival di Lockenhaus, Teatro Coliseo di Buenos Aires). Ha collaborato con importanti musicisti quali Vladimir Delman, Carl Melles, Pavel Vernikov, Bruno Giuranna, Alessandro Carbonare, Eduard Brunner; ha partecipato a numerose registrazioni radiofoniche e televisive per la RAI e per diverse emittenti estere. Ha inoltre inciso l’integrale del dei Trii di Brahms per l’UNICEF, di Beethoven e Ravel per la rivista Amadeus e di Šostakovič per Stradivarius (“miglior disco dell’anno 2008” dalla rivista Classic Voice). Il Trio di Parma, oltre all’impegno didattico in Conservatorio, tiene corsi alla Scuola Superiore Internazionale di Musica da Camera di Duino e alla Scuola di Musica di Fiesole. È stato ospite della nostra Società nel 1994 e 1996. Prossimo concerto: Martedì 21 dicembre 2010, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio András Schiff pianoforte C’è grande attesa quest’anno per il ritorno al Quartetto di uno dei massimi interpreti del pianoforte d’oggi, András Schiff. Il concerto di Natale ha forse un carattere meno tradizionale del consueto, ma rimane sempre all’ombra della grande musica di Bach. Schiff infatti prosegue un lungo progetto sul pianoforte di Bach, avviato da tempo con la Società del Quartetto. Dopo l’integrale delle Suites francesi e delle Suites inglesi, è la volta del massimo capolavoro bachiano per la tastiera, le Variazioni Goldberg, vero monumento all’arte cembalistica del suo tempo e al lavoro di tutta una vita. Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 - 20122 Milano - tel. 02.795.393 www.quartettomilano.it - e-mail: [email protected]