Atti del Convegno La sostenibilità nella ristorazione collettiva

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Atti del Convegno La sostenibilità nella ristorazione collettiva
 Atti del Convegno
La sostenibilità nella ristorazione collettiva
La crisi globale pone il problema della sostenibilità degli stili di vita. Enti pubblici e privati faticano a mantenere gli attuali standard nei servizi. Occorre scegliere valutando gli effettivi vantaggi sociali. Crisi, da kρjvῶ(cernere), indica un doloroso discernimento, presupposto necessario per la rinascita. Oggi occorrono scelte coraggiose per realizzare un nuovo equilibrio tra agricoltura, industria e servizi, rigettando le incoerenze dell’attuale mercato agroalimentare e combattendo gli sprechi. L’obiettivo del Workshop “La Sostenibilità nella Ristorazione Collettiva”, organizzato da Fosan a Roma il 24 Novembre 2011, nell’ambito della Manifestazione “Settimana della Vita Collettiva” (SEVICOL), è stato quello di creare un’opportunità di cooperazione tra i soggetti della filiera agroali‐
mentare per sviluppare nuovi modelli concertati di ristorazione sostenibile. La giornata è stata una proficua occasione in tal senso, ed ha fornito numerosi spunti di riflessione ed approfondimento tra i partecipanti. La Redazione ha voluto la pubblicazione degli atti del convegno per poter divulgare gli interventi presentati; eventuali approfondimenti possono essere richiesti alla redazione, all’indirizzo e‐
mail:[email protected]. La sostenibilità nella ristorazione collettiva
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Piano d’azione nazionale sul Green public
procurement (PAN GPP)
Riccardo Rifici
Sulla base di quanto disposto dall’art. 1, comma 1126, della l. 296/06 (finanziaria 2007) che ha deman‐
dato al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e ai ministeri Sviluppo economi‐
co ed Economia e Finanze di predisporre il Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione (di seguito PAN GPP), dopo un ampio confronto con le parti interes‐
sate, con il decreto interministeriale n. 135 del 11 aprile 2008 (G.U. 8 maggio 2008), è stato adottato il PAN GPP. Il GPP può essere considerato come uno dei principali strumenti per l’attuazione della strategia eu‐
ropea per una “Produzione e Consumo Sostenibili” (Comunicazione COM(2008)397 sul piano d’a‐
zione “Produzione e consumo sostenibili” e “Politica industriale sostenibile”) che rappresenta uno dei pilastri strategia Sviluppo Sostenibile della UE. Obiettivi del PAN GPP
Il PAN GPP risponde all’esigenza • di dare un forte input politico alla PA per attivare in tutte la amministrazioni pubbliche procedure di acquisto orientate a favorire l’acquisto di beni e servizi a minor impatto ambientale; • dare basi tecnico/amministrative comuni a tutte le amministrazioni pubbliche per facilitare la diffu‐
sione di questo strumento; • dare un riferimento certo ai produttori sugli indirizzi futuri delle scelte di acquisto della PA Gli obiettivi ambientali strategici del PAN GPP sono concentrati su tre punti: • l’efficienza e risparmio di risorse naturali, in particolare dell’energia; • la riduzione dei rifiuti prodotti e il miglioramento della loro qualità; • la riduzione dell’uso e dell’emissione sostanze pericolose. I contenuti del PAN
Il PAN si articola in due parti: 1. Una parte generale relativa alla struttura del piano, e alle indicazioni metodologiche (che è quella contenuta nel decreto interministeriale 135/2008) 2. Una serie di atti aggiuntivi (Decreti del Ministro dell’ambiente) contenenti i requisiti tecnici per ogni gruppo di prodotto (i cosidetti “Criteri ambientali minimi”), che dovranno essere inseriti nei bandi di gara per l’acquisto di beni e servizi delle amministrazioni centrali, e che saranno il punto di rife‐
rimento per tutti gli acquisti degli altri enti pubblici (regioni, province, comuni ed enti che fanno ri‐
ferimento alla PA). I Criteri ambientali minimi consistono in indicazioni generali e prescrizioni specifiche di carattere tecnico (prestazioni/requisiti funzionali specifici o aspetti collegati al ciclo di vita ambientale di un be‐
43 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
ne o di un servizio), che saranno collegate alle varie fasi di una procedura d’acquisto (analisi e razio‐
nalizzazione dei fabbisogni, definizione dell’oggetto d’acquisto, specifiche tecniche, punteggi tecnici premianti, condizioni di esecuzione del contratto, requisiti di qualificazione soggettiva). L’utilizzo dei Criteri ambientali minimi e il rispetto delle indicazioni contenute nel Piano, saranno l’elemento che qualificherà come “acquisto sostenibile” una procedura di acquisto della pubblica am‐
ministrazione. Il Piano che prevede inoltre una serie di attività per la sua gestione: Comunicazione, formazione e Ministero dellʹambiente e della tutela del territorio e del mare Direzione Valutazioni Ambientali moni‐
toraggio dei risultati ottenuti. L’attività di definizione dei criteri ambientali per le diverse categorie di prodotto e servizi ha visto in primo luogo la definizione di un piano di lavoro riguardante circa 40 tipi di prodotti afferenti alle 11 categorie di prodotti previsti dalla citata l. 296/06 dal PAN GPP, e la successiva attivazione di alcuni gruppi di lavoro per definire i diversi criteri. Le 11 categorie di prodotti/servizi previste dalla l. 296/06, indicate nel PAN GPP, sono le seguenti: • • • • • • • • • • • Arredi per ufficio Materiali da costruzione Servizi energetici (illuminazione, riscaldamento, ecc…) Servizi urbani (verde pubblico, arredo urbano,ecc… ) Attrezzature elettriche ed elettroniche per ufficio ( computer, stampanti…) Cancelleria per ufficio (carta, ecc…) Servizi di ristorazione pubblica Prodotti tessili e calzature Servizi per la gestione degli edifici (pulizia, manutenzione ecc…) Trasporto pubblico e mezzi di trasporto Gestione dei rifiuti Seguendo le indicazioni comunitarie, e l’indicazione del codice sugli appalti (Dlgs 163/2006), viene da‐
ta l’indicazione alle stazioni appaltanti, di operare secondo il criterio “dell’offerta economicamente più vantaggiosa”, piuttosto che secondo il criterio dell’offerta al prezzo più basso. Tale scelta permet‐
te, infatti, di favorire soluzioni e prodotti innovative. I criteri formulati consistono, quindi, in indicazioni e prescrizioni specifiche di carattere tecnico per poter accedere alla gara (criteri di base), nonché di ulteriori indicazioni di prestazioni e requisiti tecni‐
ci il cui raggiungimento consentirà di avere dei punteggi premianti (criteri premianti). In sostanza i criteri elaborati consisteranno in due gruppi di indicazioni: • i criteri di base per partecipare alla gara espressi in: in termini di standard tecnici: Prescrizioni atte a definire la conformità a norme, le caratteristiche di un materiale (esempio: obbligo a contenere una certa % di riciclato, ), la qualità di un materiale, di un prodotto o di un servizio (assenza di determinate sostanze, possibilità di essere riutilizzato, resistenza all’uso, ecc.); in termini di prestazioni e requisiti funzionali, che “possono includere caratteristiche ambientali” (art. 68, comma 3, lett. b). In tal caso l’amministrazione, lascia i concorrenti liberi di proporre so‐
luzioni tecniche innovative per il raggiungimento della prestazione richiesta. Si tratta di una pos‐
sibilità non prevista dalle precedenti norme sugli appalti (esempio rendimento energetico mini‐
mo di un apparato); • e in criteri premianti che possono riguardare lo stesso aspetto dei criteri minimi, o anche aspetti di‐
versi: esempio una migliore prestazione ambientale rispetto al requisito di base (il 90% di rendimen‐
to energetico invece del 75%) o un’ulteriore requisito non indicato tra quelli di base. 44 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
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Oltre agli standard tecnici e ai requisiti funzionali, possono essere indicate prescrizioni e/o clausole contrattuali applicabili alla procedura di acquisto, ad esempio, in relazione alle modalità di consegna dei prodotti, alla manutenzione, alla gestione degli imballaggi e alla gestione della fase di fine vita dei prodotti da acquistare (esempio: ritiro apparecchiature dismesse). I criteri ambientali da utilizzare nelle gare devono essere validi da un punto di vista scientifico, veri‐
ficabili da parte dell’ente aggiudicatore, realizzabili per le imprese offerenti e dovrebbero essere Mini‐
stero dellʹambiente e della tutela del territorio e del mare Direzione Valutazioni Ambientali definiti sulla base di LCA. Laddove possibile, i criteri faranno riferimento alle norme tecniche delle etichette ecologiche ufficiali di vario tipo ed alle altre fonti informative esistenti, e saranno calibrati in modo che sia garantito il rispetto dei principi della non distorsione della concorrenza e della par condicio. I Criteri sino ad oggi adottati sono i seguenti: • cancelleria (si è operato sulla carta per copia); • servizi per l’arredo urbano (si è operato sugli ammendanti per il verde urbano); • IT (si è operato sui seguenti prodotti: computer, notebook, stampanti, fotocopiatrici, apparecchi multifunzione); • materiali da costruzione. (si è operato sui corpi finestrati); • arredi per ufficio; • apparati per l’illuminazione pubblica; • prodotti tessili; • ristorazione collettiva. Sono in via di approvazione: • • • • • servizi energetici. Mezzi di trasporto Servizi di pulizia Criteri sociali Servizi per lo smaltimento RSU Sono in lavorazione i criteri per: costruzioni stradali, arredo urbano, materiali da costruzione (edifici). I criteri per la ristorazione collettiva
Il documento riguarda i criteri per il servizio di ristorazione e per l’acquisto di derrate alimentari. Il documento sui criteri per il servizio ristorazione collettiva segue lo schema già usato per altri cri‐
teri e si compone delle seguenti parti: • • • • • • Premesse e riferimenti normativi; Criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; Selezione dei candidati; Specifiche tecniche di base; Criteri premianti; Condizioni di esecuzione (clausole contrattuali). Selezione dei candidati
Capacità ad eseguire il contratto in modo da arrecare il minore impatto possibile sull’ambiente e sulla salute umana Specifiche tecniche di base
• Produzione degli alimenti e delle bevande 45 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
frutta, verdure e ortaggi, legumi, cereali, pane e prodotti da forno, pasta, riso, farina, patate, po‐
lenta, pomodori e prodotti trasformati, formaggio, latte UHT, yogurt, uova, olio extravergine: 40% biologico + 20% da sistemi di produzione integrati, IGP, DOP, STG o Stagionalità prodotti ortofrutticoli Carne, 15% biologico + 25% IGP, DOP Pesce 20% da acquacoltura biologica, evitare prodotti ricomposti. • • • • • • • • Evitare l’utilizzo di bevande confezionate Requisiti dei prodotti in carta tessuto Trasporti Consumi energetici Pulizie dei locali Requisiti degli imballaggi
Gestione rifiuti Informazioni agli utenti Criteri premianti
• • • • • • • Produzione degli alimenti e delle bevande Carbon footprint Destinazione cibo non somministrato Prodotti esotici Trasporti Prossimità del luogo di cottura Riduzione del rumore Condizioni di esecuzione (clausole contrattuali)
• • • • Rapporto sui cibi somministrati e sulla gestione delle eccedenze Riduzione e gestione dei rifiuti Utilizzo di stoviglie riutilizzabili o di stoviglie compostabili Formazione del personale I criteri per l’acquisto di derrate ricalcano quelli già indicati per il servizio di ristorazione per la parte concernente gli alimenti. 46 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
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Il Bio nelle operazioni di ristorazione
collettiva: normativa europea e nazionale
Iamarino
Con l’introduzione del Reg. (CE) n. 834/07 l’UE ha voluto dare spazio, nell’ambito della regolamenta‐
zione del settore dell’agricoltura biologica, all’introduzione dei prodotti biologici nelle operazioni di ristorazione collettiva. In particolare, pur non prevedendo delle norme specifiche per tali operazioni, è lasciata la possibilità, agli Stati membri, di applicare norme nazionali o, in mancanza di queste, norme private, sull’etichettatura e il controllo dei prodotti provenienti da operazioni di ristorazione collettiva nella misura in cui tali norme sono conformi alla normativa comunitaria. L’aspetto più delicato da considerare a tal proposito riguarda la “conformità” di eventuali norme nazionali alla regolamentazione comunitaria di settore. Tale condizione pone di fatto dei paletti a vol‐
te anche estremamente rigidi e di difficile gestione nel campo della ristorazione collettiva. In particolare, procedendo nell’analisi della disposizione europea, una prima aspetto da considerare è la definizione stessa di “operazioni di ristorazione collettiva” che comprende la preparazione di prodot‐
ti biologici in ristoranti, ospedali, mense e altre aziende alimentari analoghe nel punto di vendita o di consegna al consumatore finale. Risulta subito evidente che il legislatore accomuna le operazioni di ristorazione ge‐
stite da Enti pubblici a quelle, note come “ristorazione commerciale”, gestite da privati. Sempre con riferimento alla definizione sopra riportata appare inoltre evidente che una eventuale norma naziona‐
le potrà disciplinare solo le operazioni effettuate nei punti vendita o di consegna al consumatore finale poi‐
ché tutto quanto accade nei centri di preparazione è soggetto allo stesso regolamento nell’ambito della trasformazione dei prodotti alimentari. L’aspetto che però suscita maggiori difficoltà di attuazione riguarda il controllo di tali operazioni. Al fine di rispettare la “conformità” al regolamento europeo una norma nazionale non può prescinde‐
re dal sistema di controllo previsto per le produzioni biologiche al capo V del Reg. (CE) n. 834/07 e successivi regolamenti attuativi. In particolare la normativa europea prevede, tra l’altro, l’adesione al sistema di controllo da parte di ogni operatore che producono, preparano, immagazzinano o importa‐
no prodotti biologici da immettere sul mercato. L’adesione al sistema di controllo, a sua volta, prevede una notifica delle attività alle autorità competenti dello Stato membro in cui è esercitata l’attività stessa e l’assoggettamento dell’impresa al sistema di controllo di cui all’art. 27 dello stesso regolamento. È facile comprendere come tale sistema, se da un lato garantisce gli operatori e i consumatori nei confronti delle produzioni biologiche, d’altro canto non può che comportare uno sforzo, sia in termini economici che gestionali, per i ristoratori che intendono proporre prodotti biologici. L’autorità nazionale ha da tempo avviato un tavolo di lavoro al fine di predisporre una norma na‐
zionale condivisibile da tutti gli stakeholder del settore, includendo sia rappresentanti del settore bio‐
logico che della ristorazione. I documenti redatti nell’ambito di tale tavolo sono stati trasmessi, per le opportune consultazioni, ai rappresentanti delle istituzioni e si sta procedendo nella risoluzione degli aspetti più critici sopra menzionati. L’entrata in vigore di una norma nazionale sulla ristorazione collettiva avrebbe, tra gli obiettivi, quello di fare chiarezza sulla possibilità e modalità di utilizzo dei termini riferiti alle produzioni bio‐
logiche; attualmente infatti l’utilizzo di tali termini nel settore della ristorazione genera non poca con‐
fusione nel consumatore con conseguente rischio di perdita di fiducia da parte dello stesso nei con‐
fronti dell’intero settore delle produzioni biologiche. 47 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
Qualità ambientale e sostenibilità economica
della filiera corta
Rastelli
I nostri produttori preservano e valorizzano le risorse primarie del territorio attraverso la loro identifi‐
cazione, legandole alla qualità delle produzioni, alla bellezza del paesaggio e alla cultura locale. Il progetto della costruzione di una filiera agricola tutta italiana ha l’obiettivo di realizzare un grande sistema agroalimentare che premi i produttori e offra ai consumatori prodotti di qualità e a un giusto prezzo tagliando le intermediazioni e puntando su una estesa rete commerciale nazionale, ca‐
pace di creare più concorrenza e trasparenza, più potere contrattuale per gli agricoltori, più vantaggi per i cittadini. Gli attuali prezzi dell’extra vergine non sono remunerativi per il nostro modello produttivo, ricco di valori. Con i blend venduti nella distribuzione moderna, costituiti con miscele di oli di provenienza dalle diverse aree del mediterraneo, si assiste ad un appiattimento del prezzo di vendita che sempre di più coincide con quello promozionale. In tale situazione di mercato diventa difficile assicurare un adegua‐
to livello di redditività agli olivicoltori che producono olio italiano e sostenere nel tempo la tendenza all’aumento dei prezzi all’origine dovuto all’origine obbligatoria in etichetta. Ciò rappresenta un anomalia da sanare: l’origine italiana, la qualità del lavoro dei nostri agricoltori, non sono ancora supportati da adeguate strategie di filiera in grado di portare il prodotto su segmenti più alti di mercato. È questa la sfida della filiera agricola italiana! Tutto ciò avrà come naturale conseguenza la creazione di un nuovo modello agro‐alimentare, fon‐
dato dai produttori stessi che offra: • • • • una giusta remunerazione a chi produce, un giusto prezzo e una effettiva garanzia di qualità e di trasparenza dei cibi, la valorizzazione dei primati e delle distintività dei nostri territori e di chi vi abita e lavora, un accrescimento del patrimonio complessivo del nostro Paese. I valori della filiera agricola tutta italiana sono dunque l’origine italiana, la rintracciabilità, la qualità, il territorio, la salute e l’ambiente. 48 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
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Il bio in Italia: produzione, prezzi e mercato
per l’introduzione nella ristorazione
collettiva
Francesco Giardina
Il consumo domestico dei prodotti biologici nel primo quadrimestre di quest’anno in Italia cresce del +11,5% rispetto all’anno precedente. Cresce il biologico in tutti i comparti: la pasta con un incremento del 32,9% rispetto all’anno prece‐
dente, i prodotti lattiero caseari (+20,4%), i biscotti e dolciumi (+15,40%) e le uova (+13,4%) e cresce an‐
che in maniera notevole il consumo di ortofrutta bio (+9,2%). Il fenomeno è di portata europea: nel continente infatti il mercato del biologico pesa già 18.4 miliardi di euro, e cresce a tassi di 4‐5 punti percentuali ogni anno. Sempre più capillare è la distribuzione del biologico nel nostro Paese. Sono coinvolte tutte le diverse forme: la Grande Distribuzione Organizzata, la rete di negozi specializzati per il biologico, l’offerta di‐
retta da parte delle aziende agricole. Ma il fenomeno che, più degli altri, merita una attenzione parti‐
colare sta diventando proprio la ristorazione collettiva, che sempre di più, in questi anni, si sta orien‐
tando verso l’agricoltura biologica. Già una legge del 1998 ha imposto alle Amministrazioni pubbliche di preferire il cibo biologico per le refezione collettiva. Già il solo Comune di Roma offre ai bambini delle scuole comunali circa 400 mi‐
la pasti giornalieri (in Italia se ne contano oltre un milione al giorno) con una offerta ampia di prodotti da agricoltura biologica. È uno sforzo difficile per le Amministrazioni locali, soprattutto in un momen‐
to di tagli e riduzioni come quello che stiamo vivendo, ma è una strategia che dà ottime risposte in termini di salute e gusto per i bambini ed una ottima forma di educazione alimentare per tutte le fa‐
miglie coinvolte. A fronte di questa domanda di biologico il settore risponde in maniera abbastanza positiva con dei numeri che posizionano l’Italia tra i paesi leader del settore. Dall’analisi dei dati forniti al MiPAAF dagli Organismi di Controllo attivi in Italia al 31 dicembre 2010, sulla base delle elaborazioni del SINAB, risulta che gli operatori del settore sono 47.663; la distribuzione degli operatori sul territorio nazionale vede, come per gli anni passati, la Sicilia seguita dalla Calabria tra le regioni con maggiore presenza di aziende agricole biologiche; mentre per il numero di aziende di trasformazione impegnate nel settore la leadership spetta all’Emilia Romagna seguita da Veneto e Lombardia. La superficie interessata, in conversione o interamente convertita ad agricoltura biologica, risulta pari a 1.113.742 ettari. I principali orientamenti produttivi sono i cereali, il foraggio e i pascoli. Segue, in ordine di importanza, la superficie investita ad olivicoltura. Per quanto riguarda i prezzi del prodotto biologico, alcune analisi di ISMEA, rilevano che il diffe‐
renziale di prezzo tra prodotti biologici e prodotti convenzionali presenta una maggiorazione compre‐
sa tra il 30% ed il 60 %, con forti differenze nelle diverse fasi di filiera (origine e consumo). Tali varia‐
zioni sono dovute ad alcuni fattori principali: maggiori costi produttivi (rischi più elevati e talvolta re‐
se minori), maggiori costi di distribuzione (per dimensioni del mercato, che ancora non consentono economie di scala), maggiori costi per le garanzie della certificazione. Rispetto invece alle variazioni nel tempo dei prezzi dei prodotti biologici si può affermare, sempre sulla base di specifici studi di ISMEA, che le variazioni nel corso del tempo dei prezzi dei prodotti bio‐
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logici seguono le dinamiche dei prezzi dei prodotti convenzionali con delle oscillazioni che sono in as‐
soluto meno marcate. Il mercato del prodotto biologico quindi può definirsi in qualche modo più sta‐
bile, in ordine ai prezzi, rispetto a quello del convenzionale. Nel corso dell’intervento inoltre viene presentato un caso studio dal titolo “valutazione dei costi aggiun‐
tivi per l’introduzione di prodotti biologici nella scuola Riboli di Lavagna (LIGURIA)” realizzato da AIAB Li‐
guria nell’ambito del progetto “PromobioLiguria” finanziato dal MiPAAF. Tale progetto mette a confronto i costi che l’Amministrazione comunale ha sostenuto per l’introdu‐
zione di cibi biologici nella dieta quotidiana dei bambini della scuola in questione per un determinato periodo di tempo. Si rimanda allo studio in questione per gli approfondimenti del caso. 50 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
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Organizzare la filiera e il servizio per il
biologico nella ristorazione
Paolo Carnemolla
I prodotti biologici presentano molti aspetti positivi rispetto alle esigenze di un servizio di ristorazione collettiva pubblica, non solo per i requisiti intrinseci (assenza di residui di prodotti chimici di sintesi) ma anche per la possibilità di collegare la loro presenza nella composizione dei menù a programmi e iniziative di educazione alimentare e ambientale. I prodotti biologici sono sempre più presenti anche nella ristorazione commerciale più attenta alla qualità e sicurezza dei prodotti che somministra e alle nuove tendenze degli stili di vita. Tuttavia l’utilizzo dei prodotti biologici nella ristorazione pone di‐
verse problematiche, in particole in un contesto di crescente difficoltà economica degli enti locali e di reddito per le famiglie. È dunque evidente il rischio che il valore aggiunto dato dalla presenza dei prodotti biologici nella ristorazione, in particolare in quella collettiva pubblica, sia messo a rischio sul‐
la base di valutazioni economiche superficiali e dalla incapacità di realizzare economie effettive attra‐
verso una scelta oculata dei fornitori, la riorganizzazione dei menù e del servizio. In una situazione di mercato come quella attuale, nella quale la vendita di prodotti biologici conti‐
nua a crescere, è inoltre da considerare la ridotta disponibilità di prodotti per la ristorazione, vista la minore marginalità in questo particolare canale commerciale per i produttori. Per questo motivo è fondamentale comprendere bene quali prodotti e categorie merceologiche possono essere più conve‐
nienti e sfruttare al meglio le peculiarità delle filiere e la loro organizzazione per massimizzare il van‐
taggio economico nella fornitura. La verifica delle potenzialità della produzione locale può inoltre contribuire a ridurre i costi di logistica, aumentando la qualità dei prodotti in particolare per i freschi e freschissimi. Considerata l’incidenza relativa del costo di approvvigionamento delle materie prime sul costo totale del pasto, appare evidente che la presenza dei prodotti biologici nelle ristorazione collettiva pubblica può essere mantenuta e incrementata solo a fronte di una completa riorganizzazione del servizio. È, infatti, opportuno verificare le risorse disponibili per coprire il costo del pasto e, in funzione del loro ammontare, definire un menù e modalità di erogazione del servizio che siano compatibili. È del resto evidente che l’impostazione attuale dei menù e del servizio non solo non è più sostenibile da un punto di vista economico ma contrasta anche con la necessità di scelte nutrizionali corrette e adeguate anche a combattere i rischi ormai noti di tipo sanitario come l’obesità infantile. È dunque necessario un approccio completamente innovativo e molto più flessibile di quello attua‐
le, nel quale i nutrizionisti devono mettere a punto i menù assieme agli esperti delle filiere e dell’orga‐
nizzazione del servizio di ristorazione partendo da uno studio di fattibilità e senza i vincoli formali fi‐
no a ora adottati, che non tengono conto dei nuovi stili di vita e delle effettive necessità degli utenti. 51 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
Servizio di Ristorazione Scolastica
Massimiani
A chi è rivolto il servizio
bambini e ragazzi ‐ dai 2 anni e mezzo a 5 anni: sezioni ponte e scuole infanzia - dai 6 agli 11 anni: scuola primaria - dai 12 ai 14 anni: scuola secondaria di I grado A quanti viene erogato il servizio
Si forniscono 144.000 colazioni, pasti, e merende al giorno. Ciò si traduce in circa 21 milioni di colazio‐
ni e pasti all’anno. Dove viene erogato il servizio
Il servizio è erogato in 550 scuole dotate di cucina. Solo il 17% dei refettori (n. 112 terminali di consu‐
mo) riceve pasti trasportati da mense contigue. Volume finanziario dell’appalto
Il volume di affari annuo ammonta a 140 milioni di euro. Il valore complessivo dell’appalto (in forma diretta e in forma autogestita) è pari a circa 700 milioni di euro nel quinquennio ROMA CAPITALE per l’indotto economiche che crea si colloca tra le prime 10 realtà del settore agro alimentare nazionale. Obiettivi
Sostenibilità ambientale, sociale ed economica nella consapevolezza che il cibo è una parte importante del problema afferente la crisi ambientale e che economia‐ambiente e solidarietà sono strettamente in‐
terconnesse. Misure adottate
1) Sostenibilità ambientale
a) Inserimento prodotti biologici, a filiera dedicata bio, tipici, locali, a freschezza garantita. b) Eliminazione plastica dalle mense, utilizzo detergenti ecocompatibili, abbattimento inquinamento acustico e ristrutturazioni cucine e refettori con materiali ecocompatibili; utilizzo di acqua di rubi‐
netto. 52 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
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2) Sostenibilità sociale
Utilizzo di derrate da agricoltura sociale - prodotti del mercato equo e solidale; - prodotti provenienti da cooperative sociali. 3) Sostenibilità economica
a) Attenzione costante al costo pasto; b) Ottimizzazione degli acquisti; c) Riduzione dei residui mensa. Conclusione
Quello che mangiamo a scuola è: ‐ un’azione culturale attraverso la quale ai bambini viene data una occasione importante per impara‐
re i benefici di un consumo sano e consapevole e dunque per diventare domani consumatori re‐
sponsabili; ‐ un’azione economica che può generare nuovi mercati per i produttori di alimenti di qualità; ‐ un’azione ambientale che può fornire benefici in termini di riduzione dei livelli di inquinamento; ‐ un’azione per la salute pubblica: pensare al cibo come salute, investire in una sana e equilibrata ali‐
mentazione, è un investimento lungimirante, in quanto domani si potrà spendere meno per curare malattie correlate alla cattiva alimentazione. 53 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
Life Cycle Assessment (LCA):
la metodologia per la quantificazione
degli impatti ambientali
Paolo Masoni
Perché misurare
Parlare di sostenibilità significa affrontare problemi complessi che coinvolgono ambiti multidiscipli‐
nari, aspetti normativi (valori) e conoscenza empirica. Le scelte di sostenibilità riguardano tutti, dal decisore pubblico al privato cittadino, con effetti più o meno prolungati e a livelli diversi: • micro o di prodotto; • meso/macro o di intero settore/economia. Avere una misura dell’impatto ambientale derivante dalle nostre scelte consente di supportare le deci‐
sioni con informazioni quantitative e scientificamente valide, aiutando a discernere fra valori e fatti. Come misurare
Le nostre scelte, anche le più semplici, hanno conseguenze su molteplici aspetti ambientali e su fasi diverse. •
Esempio: utilizzare il letame per fertilizzare il terreno evita l’utilizzo di fertilizzanti minerali, con il conseguente risparmio dell’energia necessaria per produrli, ma può comportare emissioni di ammoniaca. Presenza di trade‐off tra i numerosi indicatori da valutare. L’approccio di ciclo di vita, dalla culla alla tomba, consente di valutare gli effetti ambientali dell’intero sistema, evitando gli spostamenti dei problemi tra diversi impatti e tra le fasi del ciclo di vita del sistema. Quale metodo di misura: Life Cycle Assessment LCA
Fasi di uno Studio di LCA. Utilizzo dei risultati di una LCA
• Identifica gli aspetti ambientali più significativi dell’intero ciclo di vita: consente di focalizzare l’attenzione e le prescrizioni su quanto realmente importante; • Identifica i processi e i flussi più impattanti: permette quindi di definire le soglie di accettabilità; • Permette di individuare le migliori tecniche, attraverso il confronto fra prodotti aventi analoghe funzioni. Per questi motivi l’LCA è alla base sia della definizione dei criteri per l’Ecolabel europeo sia per la de‐
finizione dei criteri ambientali per il GPP. 54 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
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Esempio di LCA di prodotto alimentare
LCA di un prodotto alimentare: Latte Alta Qualità a marchio Coop. Alimento ad altissimo valore nutrizionale ma inserito tra i maggiori responsabili dell’impatto am‐
bientale dei consumi in Europa. Ampio dibattito su: • Miglior imballaggio. • Pastorizzato o crudo. • Trasporto. Risultati
Impact Assessment Processi responsabili degli impatti principali • Imballaggi, trasporti e pastorizzazione non sono tra i principali responsabili dell’impatto ambienta‐
le del latte; • i principali impatti degli allevamenti sul ciclo di vita del latte sono dovuti alle seguenti emissioni: ‐ emissioni di CH4 da fermentazione enterica e da gestione delle deiezioni, ‐ emissioni di N2O dovute all’utilizzo di fertilizzanti chimici, alla gestione delle deiezioni e all’uso di letame e liquame sui terreni agricoli come fertilizzanti; ‐ emissioni di CO2 dovute al consumo di gasolio per le lavorazioni agricole. Possibili miglioramenti
I miglioramenti devo avvenire principalmente nella fase agricola e di allevamento dieta specifica che riduca le emissioni enteriche (ad esempio costituita da alimenti a maggiore digeribilità, o da una quantità maggiore di concentrati o grassi), l’ottimizzazione dell’utilizzo dei fertilizzanti attraverso pratiche agronomiche di precisione l’installazione di impianti di digestione anaerobica dei reflui zoo‐
tecnici (letame e liquame) per contribuire alla riduzione dell’emissione di gas climalteranti e per per‐
mettere la produzione di energia da fonti rinnovabili, alleviando la dipendenza da combustibili fossili. Nelle fasi di distribuzione ed uso: utilizzo di impianti di refrigerazione ad elevata efficienza energetica Considerazioni conclusive
L’evidenza scientifica deve sempre supportare il dibattito, soprattutto quando relativo a problemi complessi come quelli ambientali. Misurare consente di individuare dove focalizzare in modo più effi‐
ciente gli interventi di miglioramento (critico in momenti di ristrettezze economiche!) Il Comitato di Gestione del GPP utilizza l’LCA per individuare i principali impatti dei prodotti/servizi da ridurre at‐
traverso al definizione dei Criteri Ambientali per gli appalti pubblici. Risorse e competenze a disposizione del paese
In ENEA presente da 15 anni un gruppo di competenze sulle valutazioni ambientali di prodotto, LCA e Eco‐progettazione La Rete Italiana di LCA, www.reteitalianalca.it, promossa e coordinata da ENEA, è il punto di riferimento in Italia per l’LCA e rende disponibili alle organizzazioni ed alle imprese. 55 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
Risparmio energetico e valorizzazione
dell’energia da fonti rinnovabili nelle cucine
Maurizio Podico
Oggetto della relazione sono le indicazioni e le modalità che prendono origine dal Decreto Ministeria‐
le del 5 luglio 2011 in tema di “Adozione dei criteri minimi ambientali da inserire nei bandi di gara della Pub‐
blica amministrazione per l’acquisto di prodotti e servizi nei settori della ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari e serramenti esterni”. Per la definizione e l’attuazione di procedure e meccanismi che consentano di rispettare il mandato in tema di sostenibilità ambientale dei consumi e l’individuazione dei possibili risparmi di risorse e materie prime attuabili nella gestione dei servizi d ristorazione. Tali indicazioni trovano possibile attuazione sia nella ricerca di risparmi gestionali che nella formu‐
lazione delle richieste e delle offerte, nelle fasi di redazione dei bandi e nelle proposte, inoltrate dei concorrenti per ottenere l’aggiudicazione di appalti di gestione dei servizi di ristorazione collettiva e nelle conseguenti scelte e impiego di attrezzature e impianti capaci di assolvere al mandato citato. In questo ambito la gestione delle strutture non completamente idonee deve trovare dei meccanismi capaci di rimediare al gap tecnico/tecnologico che consente, attraverso degli adeguamenti di vario ti‐
po, di ridurre il fabbisogno energetico delle attività svolte per la produzione, conservazione e sommi‐
nistrazione degli alimenti premiando le strutture che proporranno dei significativi miglioramenti delle prestazioni ambientali. Tali miglioramenti dovranno, comunque essere valutati oggettivamente e la politica gestionale orientata al miglioramento continuo. Un aspetto che potrebbe assolvere alla richiesta di un consistente risparmio energetico oltre all’introduzione di serramenti isolanti potrebbe trovare una interessante applicazione nello sfrutta‐
mento di pannelli solari per ottenere un riscaldamento/preriscaldamento dell’acqua utilizzata sia per cucinare che per le operazione di pulizia e di lavaggio delle stoviglie. Rimane comunque da verificare l’applicabilità di tale soluzione che potrebbe trovare dei seri ostaco‐
li in funzione delle caratteristiche architettoniche di molte strutture. Sempre in ambito di risparmio energetico un aspetto da sottoporre a miglioramento è rappresentato dall’introduzione di dotazioni frigorifere di nuova generazione con classi di risparmio energetico ele‐
vato. Tra gli ulteriori obbiettivi del disposto di riferimento, e in linea con quanto previsto, vengono ad es‐
sere promosse altre caratteristiche innovative proprie anche di altri dispositivi come i piatti o le posate disposable biodegradabili in alternativa a quelli monouso convenzionali. Tutte le soluzioni citate dovranno trovare una valorizzazione o una valutazione separata in quanto i loro costi potrebbero portare a superare i tetti di spesa nelle gare o comunque alterare, anche profon‐
damente, l’offerta economica che i concorrenti per la gestione delle mense inoltreranno alla Pubblica Amministrazione. 56 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
Atti del Convegno
La certificazione agroalimentare:
strumento di tutela del consumatore
Alessandro D’Elia
La certificazione di un prodotto, o più in generale di una filiera agroalimentare, supplisce alla perdita del rapporto di conoscenza, più o meno diretto, tra chi produce cibo e i consumatori. Anni fa ogni fa‐
miglia aveva dei riferimenti noti sul territorio ed il rapporto diretto con la campagna garantiva la pro‐
venienza e gli acquisti di alimenti. Quindi la distanza tra il produttore e il consumatore, amplificata dalla globalizzazione dei mercati, nonché l’indispensabilità di consumare alimenti sempre più sani e ottenuti nel rispetto dell’ambiente e del lavoro dell’uomo sono fattori che hanno determinato (e de‐
terminano) la necessità ed il crescente successo delle certificazioni nel settore food. Come rilevano le statistiche degli ultimi anni, per i prodotti agroalimentari di qualità (es. biologici o a denominazione di origine) il consumatore è sempre più disposto a spendere un quid in più, circostanza che di questi tempi per tutto il comparto non è cosa da poco. Infatti, analizzando la previsione dei dati relativi ai consumi dell’anno, il biologico chiuderà il 2011 con un incremento medio che sfiorerà il 13% (in alcuni segmenti supererà anche il 20%) ed anche le denominazioni di origine in via generale sono in sostan‐
ziale crescita rispetto al 2010. Questo a fronte di un mercato del cibo che nel nostro Paese è in flessione mediamente del 2%. Ciò vuol dire che il consumatore ripone una crescente aspettativa e fiducia nei prodotti certificati fidando nelle garanzie offerte dal sistema di controllo e certificazione. Questo “tra‐
sferimento di fiducia” sta sempre più trovando una risposta coerente e tecnicamente corretta nell’ap‐
plicazione del meccanismo di certificazione mediante il quale Enti terzi, accreditati a livello nazionale ed internazionale, si fanno appunto garanti nei confronti dei consumatori del rispetto delle specifiche di un determinato prodotto. Tali specifiche sono racchiuse in normative emanate dalla UE, da norme nazionali e da disciplinari di produzione. La complessità dei rapporti commerciali a livello nazionale e, soprattutto, con le imprese all’estero porta, quindi, le aziende ad avvertire in modo sempre più dif‐
fuso l’esigenza di operare in condizioni di qualificazione sia dell’efficienza aziendale sia delle produ‐
zioni. I mercati nazionale ed estero, con un ruolo determinante della GDO, sempre più richiedono che le aziende attuino tutte le precauzioni per il controllo delle attività aziendali influenti sulla qualità o le caratteristiche finali del prodotto, basate su tecniche di gestione prevalentemente di tipo preventivo. Da questo nascono le diverse tipologie di certificazioni applicabili al settore agroalimentare. Si parla di certificazione di prodotto per il biologico, per le denominazioni di origine, per il Globalgap, per la rin‐
tracciabilità di filiera e per una miriade di disciplinari privati oppure di certificazione di sistema, det‐
tati ad esempio dalle norme ISO 9001, 22000 e 14001. Esiste anche la certificazione della condotta etica dell’azienda: a SA 8000, infatti, rappresenta un modello di gestione che si propone di garantire il com‐
portamento etico delle organizzazioni che lo adottano attraverso il rispetto di una serie di requisiti so‐
ciali quali tutela del lavoro infantile, certezze di salute e sicurezza sul lavoro, assicurazione di libertà di associazione, del diritto alla contrattazione collettiva, eliminazione di ogni forma di discriminazio‐
ne, rispetto degli orari di lavoro e dei criteri retributivi il più possibile equi. Tale schema risulta parti‐
colarmente importante per le imprese italiane che operano direttamente o hanno rapporti commerciali nei Paesi in cui le condizioni di lavoro sono ancora poco o per nulla accettabili. Purtroppo, ancora oggi, l’istituto della certificazione molto spesso viene vissuta dalle aziende come un mero obbligo da assolvere o un forzoso iter burocratico da seguire con l’obiettivo di ottenere il 57 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
“pezzo di carta” da poter esibire al mercato. Bisogna, quindi, lavorare ancora molto per instillare un approccio diverso e per far comprendere alle aziende che l’implementazione di un processo di certifi‐
cazione, soprattutto di sistema, è indispensabile per il buon funzionamento dell’azienda stessa. A livello nazionale il controllo e la certificazione sono garantiti per la quasi totalità da Enti terzi pri‐
vati; gli stessi, a vario titolo e a seconda dello schema di certificazione, sono accreditati da Accredia ‐ Ente unico nazionale di accreditamento. Per le produzioni regolamentate (esempio il biologico e le de‐
nominazioni di origine) l’accreditamento degli Enti di certificazione è condizione obbligatoria per ot‐
tenere il decreto di concessione ufficiale ad eseguire i controlli, conferito dall’Autorità competente, il Ministero per le politiche agricole, agroalimentari e foresti (MIPAAF). La normativa comunitaria che disciplina le produzioni bio e i prodotti a denominazione di origine, ed il relativo controllo e certifica‐
zione, rappresenta oggi un insieme di regole unico nel suo genere per completezza e articolazione. Una fitta rete che mette in relazione procedure ed obblighi dei diversi attori del sistema: azienda con‐
trollata, Ente di certificazione e Autorità competente. Le garanzie offerte al consumatore finale sono, pertanto, frutto di un processo composito e capace di verificare ogni passaggio produttivo e/o di tra‐
sformazione fino al consumatore finale. Ogni Ente di controllo e certificazione deve dimostrare, ai sensi della norma tecnica di riferimento per l’accreditamento, la UNI EN 45011, imparzialità, indi‐
pendenza, correttezza e competenza. Gli Enti preposti al controllo, per garantire la terzietà, hanno l’obbligo di assicurare assenza di conflitti d’interesse e il fatto che non esercitino direttamente o indi‐
rettamente prestazioni di consulenza alle realtà certificate. Il punto importante, che garantisce l’efficacia e l’efficienza dei controlli, è l’investimento continuo sulle competenze del personale. Infatti, il personale addetto all’attività di certificazione deve essere culturalmente, tecnicamente e professio‐
nalmente continuamente qualificato. Questo sistema, oltre ad essere sottoposto alle verifiche periodi‐
che da parte dell’Ente di accreditamento, è soggetto a continui monitoraggio e vigilanza da parte dell’Autorità competente ‐ e cioè dell’Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e della Repressio‐
ne Frodi dei prodotti agroalimentari del MIPAAF ‐ mentre a livello territoriale operano vari soggetti tra cui le Regioni. La maggior parte degli Enti di controllo del biologico, di cui alcuni concessionari anche per le certificazioni delle denominazioni di origine, sono accreditati alla norma UNI EN 45011 da oltre dieci anni, ancor prima dell’obbligo previsto per legge. Inoltre quasi tutti hanno accredita‐
menti internazionali (es. NOP, JAS e COR). Quindi il sistema e la funzionalità di detti Enti di controllo, oltre ad essere sottoposti alla vigilanza nazionale, sono verificati anche dai funzionari del USDA degli Stati Uniti, del Ministero giapponese e canadese. In prospettiva, tuttavia, è auspicabile l’avvio di un concreto processo di armonizzazione, magari in‐
dividuando un unico Ente preposto alla vigilanza, con risorse, mezzi e specializzazione tali da assicu‐
rare una ancor più efficace tutela del consumatore. 58 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
Atti del Convegno
I marchi di garanzia
della detergenza sostenibile
Alessandro Spadoni
La società dei consumi ha un forte impatto sull’ambiente. La portata di tale impatto dipende dalle scelte che ciascuno di noi consumatori fa per soddisfare i propri bisogni. Una scelta che può essere decisiva è quella di comprare prodotti il più possibile caratterizzati da un elevato livello di sostenibilità ambientale. La domanda del consumatore di prodotti rispettosi dell’ambiente rappresenta un potente stimolo per le imprese, che possono così riflettere su come rendere più compatibili con l’ambiente i loro pro‐
dotti, intensificare gli sforzi in materia di ambiente e migliorare le prestazioni lungo tutto il ciclo di vi‐
ta dei propri prodotti e servizi. Per scegliere i prodotti a minore impatto ambientale, i consumatori devono disporre di informazioni accessibili, comprensibili, pertinenti e credibili sulla qualità ambientale dei prodotti stessi. Unʹaltra problematica importante è quella della sicurezza e salubrità dei prodotti che, in diversi casi, crea importanti costi sociali indiretti. La certificazione “Eco Bio Detergenza” ed “Eco Detergenza” è una certificazione volontaria di prodot‐
to rilasciata da ICEA sulla base di una verifica di conformità dei prodotti e del processo produttivo ai requisiti indicati nel Disciplinare per la Eco Bio ed Eco Detergenza. ICEA ha avviato un percorso di regolamentazione del settore che, ad oggi, ha prodotto un discipli‐
nare condiviso dalle parti interessate alla produzione, commercializzazione e consumo di tali prodotti. I requisiti principali che lo standard vuole garantire sono: L’assenza sia nel prodotto che nel materiale da imballaggio di materie “a rischio” dal punto di vista ecologico. L’assenza di materie prime non vegetali considerate “a rischio”, ovvero allergizzanti, irritanti o rite‐
nute dannose per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Imballaggi da materie prime rinnovabili, materiali riciclabili o collegati ad un sistema di restituzione dei vuoti. 4. Un prodotto, in ogni caso, dotato di una accettabile performance ed efficacia equiparabile con i prodotti convenzionali di alta gamma. Come per la Eco Bio Cosmesi è stato istituito un tavolo tecnico coordinato che vede la partecipazio‐
ne, tra gli altri, di autorevoli esponenti del mondo accademico e scientifico (Università di Ferrara, Università di Padova ‐ Dipartimento di Dermatologia) che lavora al periodico aggiornamento dello standard. Le aziende interessate devono presentare la Richiesta per la Certificazione alla sede nazionale di ICEA, sottoscrivere l’apposito Regolamento per la Certificazione e il relativo Tariffario. Oltre all’elenco dei prodotti certificati e delle ditte produttrici, per ogni prodotto ICEA rende dispo‐
nibile anche l’elenco degli ingredienti. 59 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
Linee guida per la gestione sostenibile
degli imballaggi
CONAI
Assistiamo oggi a numerosi dibattiti e ad una attenzione crescente ai temi della sostenibilità e della green economy, ma cosa vuol dire essere “green”? E come può un imballaggio può definirsi green? Il tema della sostenibilità per la filiera del packaging trae origine dalla direttiva europea 62/94, i cui contenuti sono ancora oggi attuali e indicano le linee guida da seguire per una gestione ecosostenibile. La filiera del packaging è infatti stata tra le prime ad essere normata con riferimento specifico ai temi della sostenibilità e, come tale, rappresenta oggi un modello di successo sia per i positivi risultati di riciclo e recupero raggiunti, sia per il più generale approccio adottato sulle tematiche ambientali. Perno del modello di gestione degli imballaggi in Italia è CONAI, che rappresenta un consorzio pri‐
vato senza fini di lucro costituito dai produttori e utilizzatori di imballaggi con l’obiettivo di persegui‐
re i target di recupero e riciclo dei materiali di imballaggio previsti dalla legislazione europea e recepi‐
ti in Italia prima attraverso il Decreto 22/97 e, ora, tramite il D.Lgs. 152/06. CONAI con circa 1.460.000 aziende iscritte costituisce un modello unico nel quale i privati gestisco‐
no efficacemente un interesse di natura pubblica: la tutela dell’ambiente. E lo gestiscono con un impe‐
gno che non è mai venuto meno. Nel corso del 2010, a fronte di circa 11,4 milioni di tonnellate di im‐
ballaggi immessi al consumo, si è registrato un ulteriore miglioramento delle già buone performance conseguite in passato dal Sistema CONAI: il riciclo complessivo si è attestato al 64,6%, mentre il recu‐
pero complessivo ha raggiunto il 74,9%. Da sempre, inoltre, CONAI è attento al tema della prevenzione e dell’ecosostenibilità degli imbal‐
laggi, in un’ottica che va “dalla culla alla culla”. Questo significa che a partire dalle fasi di progetta‐
zione, che si stima possano incidere su circa l’80% del totale degli impatti connessi al packaging, si de‐
ve porre attenzione a tutte le fasi della filiera, includendo anche il fine vita/nuova vita. Per eco‐sostenibilità CONAI intende quindi la ricerca del miglior compromesso tra: 1. da un lato, le molteplici funzioni dell’imballaggio (dagli aspetti prettamente strutturali fino al con‐
cetto di fascinazione e lusinga, passando attraverso le importanti funzioni comunicative e informa‐
tive, di protezione, di garanzia e sicurezza e, infine, di movimentazione); 2. dall’altro, l’impatto ambientale lungo l’intero ciclo di vita del prodotto. Il che significa trovare il migliore equilibrio tra le scelte legate alla ricerca dell’integrità del prodotto lungo tutta la filiera, elemento centrale soprattutto nel campo alimentare, e l’ottimizzazione e raziona‐
lizzazione dell’uso di materie prime vergini e seconde. Per farlo, le aziende possono intervenire sui propri imballaggi adottando diverse azioni di prevenzione: dal risparmio di materia prima, al riutiliz‐
zo, al ricorso alle materie prime seconde, fino alla facilitazione delle attività di riciclo, passando per interventi di ottimizzazione della logistica e di semplificazione del sistema di imballo, così come illu‐
strato anche all’interno dell’ultimo Dossier Prevenzione CONAI, disponibile anche sul sito www.conai.org. Per ulteriori informazioni: [email protected]. 60 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
Atti del Convegno
Il Sistema Last Minute Market per una
ristorazione sostenibile
Andrea Segrè
I principi, che sottendono al progetto Last Minute Market, permettono di coniugare a livello territoria‐
le le esigenze delle imprese della ristorazione collettiva, che si trovano a dover gestire potenziali spre‐
chi alimentari, e di enti ed associazioni che assistono persone in condizioni di disagio, promuovendo un’azione di sviluppo sostenibile locale, con ricadute positive a livello ambientale, economico, sociale, sanitario ed educativo. Questo si realizza grazie all’interazione che si viene ad instaurare tra tutti gli stakeholders coinvolti. Il fine è quello di creare un nuovo sistema logistico che consenta di gestire in modo conveniente i po‐
tenziali sprechi della ristorazione collettiva. I vantaggi che si generano sono di tipo ambientale (in quanto lo smaltimento e il trasporto delle stesse crea inquinamento), economico (in quanto la gestione delle eccedenze crea per le imprese spese sia dal punto di vista della gestione interna che dello smaltimento), sociale – sanitario (in quanto si re‐
cuperano prodotti alimentari e li si destinano, per quanto possibile all’alimentazione di persone in condizioni di disagio) ed educativo (in quanto permette la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle problematiche dello spreco alimentare). 61 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
RistorAbilità: un nuovo approccio per la
ristorazione collettiva sostenibile e di qualità
Fabrizio Moscariello
Lo schema di certificazione di RistorAbilità, è rivolto a tutte le aziende che si occupano di catering e ristorazione fuori casa, ma anche a tutte le organizzazioni pubbliche e private che forniscono pasti at‐
traverso un servizio in outsourcing di ristorazione collettiva o di vending: scuole, ospedali, case di ri‐
poso, esercizi pubblici e privati. La certificazione di RistorAbilità attesta la presenza e l’efficacia di un sistema di gestione “sostenibi‐
le” di ogni aspetto del ciclo della ristorazione ‒ dalla progettazione dei menu all’approvvigionamento delle materie prime, al trasporto dei prodotti, allo smaltimento dei rifiuti – con i molteplici obiettivi di ridurre l’impatto ambientale, i rischi per la salute dei consumatori e dei lavoratori e gli sprechi dovuti a una cattiva gestione delle risorse energetiche, garantendo allo stesso tempo la qualità e la bontà dei pasti, il benessere e la convenienza economica sia per i singoli che per la collettività. Il valore dello schema RistorAbilità risiede nell’innovatività ‒ che intercetta il bisogno di regole cer‐
te da parte degli utenti delle mense pubbliche ‒ quanto nella poderosa sintesi di norme e indicazioni, uno strumento prezioso per le aziende della ristorazione collettiva che oggi si trovano a dover rispon‐
dere a molte normative di ambiti diversi. Con lo schema di RistorAbilità sostenibilità e responsabilità sociale diventano veri asset competitivi per le aziende della ristorazione fuori casa, caratteristiche misurabili e oggettive in grado di fare la dif‐
ferenza in un mercato che, per sua stessa natura, non può e non deve essere basato esclusivamente sulla variabile prezzo. 62 POSTER
Il ruolo del Dietista
nella sostenibilità alimentare
Maria Pia Angellotti, Carlotta Benvenuti,
Claudia Cremonini, Anna Laura Fantuzzi,
Annamaria Rauti, Elena Tomassetto,
Ersilia Troiano, Stefania Vezzosi
Gruppo di lavoro ANDID Salute Pubblica Abbiamo la possibilità concreta di decidere del nostro futuro. Abbiamo il dovere sociale ed ecologico di fare in modo che il cibo che mangiamo non sia un “raccolto rubato” Vandana Shiva, 2001 La posizione elaborata dal gruppo di lavoro ANDID – Salute Pubblica si inserisce coerentemente in quel percorso di crescita etico e culturale in cui si proietta il dietista del futuro. Da anni, ormai, ANDID ha affiancato il consolidamento scientifico e professionale su competenze “classiche” allo sviluppo di tematiche che guardano al modificato assetto sociale ed economico delle comunità dei cittadini consumatori: l’orizzonte della professione si è ampliato – e si sta ampliando ‐ dall’alimento – e dall’alimentazione – in sé ai comportamenti alimentari e nutrizionali dei singoli, dei gruppi a rischio e della collettività tutta, fino all’inquadramento delle politiche sanitarie come “mate‐
ria” e terreno utile sia allo sviluppo di spazi professionali, sia al riconoscimento dei diritti di tutti ad una alimentazione equilibrata ed equa in tutti i suoi aspetti, dalla produzione primaria all’accesso e al consumo finale. In una frase, la difesa e la possibilità di studio ed opzioni verso un’alimentazione so‐
stenibile. Il tema della sostenibilità alimentare rappresenta, nello specifico, la traslazione nella dimensione del cibo e del cibarsi di quello che per tanti anni hanno costituito i sistemi di welfare in ambito sanitario, sociale ed economico: l’introduzione di parametri di equità in un mondo in perenne e costante compe‐
tizione. Proprio per questo lo sforzo compiuto dal gruppo di lavoro estensore della posizione va letto con grande attenzione: trattasi della prova provata che il dietista moderno non è, o non è soltanto, l’anello terminale del mondo alimentare, colui che “fa la dieta” o collabora alle fasi finali dei sistemi alimentari pubblici e privati sviluppati nei diversi contesti, ma piuttosto colui che si prende in carica, fin dall’inizio, il sistema alimentare in sé e, fin dalla produzione primaria, riconosce al cibo quei valori intrinseci che spesso i sistemi produttivi e distributivi dell’occidente modernizzato hanno negato: il valore del lavoro umano, la de‐
pauperazione del capitale ambientale, l’incapacità della natura di autorigenerarsi in tempi sostenibili quando sfruttata oltre il limite consentito. Con la presente posizione Andid ha quindi ritagliato, al‐
l’interno delle competenze indispensabili all’agire professionale, uno spazio operativo certo al servizio della comunità: il tema della limitatezza delle risorse naturali e il conseguente, improrogabile, cam‐
biamento di rotta necessario nelle dinamiche di consumo proiettano il tema della sostenibilità alimen‐
63 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
tare ai vertici di tutto il complesso dibattito su che cosa è, oggi, lo sviluppo umano e cosa debba invece diventare in un futuro estremamente prossimo. Non è il caso di citare in prefazione quanto i recenti segnali che la natura ha fornito a tutto il mondo abbiano già fatto intravedere uno scenario possibile dove la differenza tra prezzo degli alimenti e co‐
sto reale degli stessi dovrà far spostare il piatto della bilancia a favore di quest’ultimo se davvero è sufficiente una siccità di alcuni mesi, o anche un trattato teoricamente ineccepibile quale quello di Kio‐
to sui biocarburanti per affamare una consistente fetta della popolazione, è evidente che il tema della sostenibilità non è più rimandabile a nessun livello della “catena” delle professioni sanitarie. Gran me‐
rito va ad Andid per lo sviluppo di una riflessione seria e ponderata, in anticipo su tutte le altre figure professionali. Oggi, per fortuna o purtroppo, tutti parlano di sostenibilità alimentare, anche gli insospettabili: nel dicembre 2008, alla Conferenza Internazionale sulla Finanza per lo Sviluppo, è stato affrontata la que‐
stione dell’efficacia degli aiuti internazionali. È stato ribadito che gli aiuti non possono fare miracoli, sostituendosi all’iniziativa politica locale, nazionale e internazionale, data anche la magnitudo degli aiuti stessi: 3 centesimi di dollaro al giorno per ciascuno dei 3 miliardi di poveri del pianeta. Si potrebbe però usare molto meglio tale capitale economico, ancorché ridotto tenendo conto di sensibilità ed effi‐
cacia di esperienze bottom‐up come il consumo critico, il commercio equo e solidale, le filiere corte, il biologico, i gruppi d’acquisto, la sovranità alimentare, i farmer market, i mercati rionali, la finanza eti‐
ca, il microcredito. A tale proposito, la insopprimibile grossolanità dei dati grezzi è pur tuttavia in gra‐
do di rappresentare una prospettiva oltremodo inquietante e che grida vendetta: secondo le stime FAO – riferite all’anno solare 2002 – il mondo produce sufficiente cibo per tutti; l’agricoltura mondiale pro‐
duce il 17% di calorie per persona in più rispetto a trenta anni fa, nonostante il consistente incremento numerico della comunità umana; la produzione, nel suo complesso, è in grado di offrire a tutti gli abi‐
tanti del pianeta almeno 2.700 Kcalorie per persona per giorno, ovvero ben oltre le necessità caloriche individuali. E tutto questo senza minimamente valutare la disparità di accesso al cibo nelle diverse aree geografiche e senza considerare il miliardo ed oltre di cittadini del mondo in condizioni di sottoalimen‐
tazione e malnutrizione per difetto. Non è nemmeno necessario annullare gli effetti di confondimento attribuibili alla diversa distribuzione della ricchezza per far emergere un quadro complessivo di iper‐
produzione inutile, spreco ed eccessivo consumo di energie e risorse naturali solo in parte rigenerabili. Quindi, il gruppo di lavoro ha incarnato alla perfezione l’ideale latino del “sustinere”: nelle sue di‐
verse accezioni di significato, una compresenza di mantenere, sopportare, resistere, supportare, che nelle diverse parti del documento emergono a più riprese. Non è, a mio parere, più “sostenibile” par‐
lare di sostenibilità e sviluppo in termini così generici come si rinviene nella definizione – Bruntland (Commissione delle Nazioni Unite), ove si continua a girare intorno a un concetto senza volerlo svi‐
scerare nei suoi contenuti più complessi; parlare genericamente di sviluppo che soddisfi i bisogni della generazione presente senza compromettere le necessità delle generazioni future non aiuta all’agire professionale, come invece questa posizione ha cercato – attraverso il pensiero e lo scritto delle sue au‐
trici – di fare. I cambiamenti non lineari degli ecosistemi, con interventi urgenti resisi talora necessari per impedi‐
re un totale collasso di alcune risorse naturali, ha rilanciato l’analisi delle prospettive degli assetti fu‐
turi sul governo della produzione alimentare e –conseguentemente – dell’alimentazione nel nuovo se‐
colo: i possibili scenari tracciati transitano da un approccio reattivo/conservativo, compreso tra una possibile opzione di concertazione globale delle scelte ad un più realistico ordine imposto dalle eco‐
nomie forti, verso un approccio proattivo che possa includere elementi di innovazione scientifica e tecnologica, quali quelli emergenti dall’utilizzo delle biotecnologie, ma anche un potenziale mosaico adattivo ove il mondo possa governarsi attraverso sistemi diversi ma integrati di alimentazione, pro‐
duzione, commercio e distribuzione secondo le diverse esigenze delle diverse aree territoriali. 64 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
Poster
Non possiamo rimanere spettatori inerti: dobbiamo partecipare, in scienza e coscienza, forti del proprio agire professionale e di competenze maturate o da sviluppare, alle politiche di governo ali‐
mentare del prossimo futuro. I dietisti sono pronti a farlo. Prof. Guglielmo Bonaccorsi Dipartimento di Sanità Pubblica ‐ Università degli Studi di Firenze 1. Background
La cultura della sostenibilità è “una cultura basata su una prospettiva di sviluppo durevole di cui possano be‐
neficiare tutte le popolazioni del pianeta, presenti e future, e in cui le tutele di natura sociale, quali la lotta alla povertà, i diritti umani, la salute vanno a integrarsi con le esigenze di conservazione delle risorse naturali e degli ecosistemi trovando sostegno reciproco”(1). Parlare di sostenibilità alimentare significa stimolare il pensiero critico, evidenziare il concetto del limite (limite fisico e limite opzionale di libertà di scelta) riferito agli effetti del nostro agire quotidiano e promuovere il senso di collettività e responsabilità nei confronti del mondo in cui viviamo(2). Dal punto di vista alimentare e nutrizionale ci troviamo ad affrontare questioni problematiche e in‐
terconnesse che richiedono un sempre più forte impegno professionale. La salute della popolazione e gli scenari e le tendenze attese nel prossimo futuro rappresentano lo specchio della salute dell’intero sistema alimentare(3). Nel corso degli ultimi decenni, nel mondo occidentale, i cambiamenti intercorsi nelle politiche agri‐
cole, nonché quelli di natura tecnologica, economica e sociale, hanno determinato una profonda tra‐
sformazione nel sistema alimentare globale, con conseguenti implicazioni sugli stili di vita e di con‐
sumo alimentare che l’evidenza scientifica ha dimostrato essere fortemente correlati all’incremento delle patologie cronico‐degenerative ed all’attuale epidemia di obesità(4). Questi mutamenti hanno peraltro generato rilevanti effetti ambientali legati all’aumento dei rifiuti organici e da imballaggio, alle sollecitazioni esercitate sul suolo e sulle risorse idriche, ai consumi energetici indotti da processi industriali sempre più complessi ed articolati. Per i Dietisti parlare di sostenibilità alimentare significa quindi riflettere su tutti gli elementi che compongono la filiera alimentare (processo di produzione, trasformazione, distribuzione, accesso, consumo, produzione e gestione dei rifiuti) valutandone comparativamente gli effetti secondo quattro punti di vista principali: la salute umana, l’ambiente, la società e l’economia. Il ben‐essere della collettività deve essere infatti considerato al centro di tutte le strategie politiche, economiche e sociali e, in questa ottica, la sostenibilità alimentare risulta fortemente correlata all’affer‐
mazione di alcune condizioni irrinunciabili quali l’etica e l’equità all’interno e tra i Paesi nel controllo e nell’utilizzo delle risorse naturali, la giustizia sociale, la diminuzione della povertà, la sicurezza ali‐
mentare e il rispetto dell’ambiente. Un approccio ecologico all’alimentazione, che consenta la soddisfazione delle esigenze delle attuali generazioni senza danneggiare quelle future, si concretizza perciò in un sistema alimentare sostenibile, che offre un cibo “buono” non solo come nutrimento ma anche come punto di congiunzione tra pro‐
duzione alimentare e mantenimento della bio‐diversità, conservando gli ecosistemi in buona salute. Gussow e Clancy declinando il concetto di sostenibilità nell’ambito della nutrizione e della dietetica, raccomandano infatti che “…i consumatori devono fare le proprie scelte non solo per mantenere e/o migliorare la propria salute, ma anche per contribuire alla protezione delle risorse naturali”(5). Con l’elaborazione di questo documento, l’Associazione Nazionale Dietisti intende responsabilizza‐
re i dietisti, il mondo della salute pubblica, delle aziende del settore alimentare, i decisori politici e i cittadini tutti sul tema della sostenibilità alimentare. La dimensione individuale e collettiva di sceglie‐
65 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
re e consumare il cibo condiziona e riflette, infatti, la nostra relazione con l’alterità (la natura, l’altro individuo, le altre culture di consumo, le esigenze di sopravvivenza) influenzando in maniera signifi‐
cativa gli equilibri ecosistemici e geosociali. Il valore dell’azione individuale e collettiva nella sostenibilità alimentare può essere ben chiarito fa‐
cendo riferimento proprio al concetto di responsabilità. Il significato etimologico di questa parola (dal latino spondeo “dò la mia parola” e respondeo “rispondo ad un impegno”) ben esprime infatti il pensie‐
ro di “rispondere a qualcuno di qualcosa,” ovvero l’impegno a prestare attenzione alle conseguenze del proprio agire in termini di effetti sugli altri e noi stessi. Il perseguimento di una sicurezza alimentare sostenibile, passando non soltanto attraverso un piano di gestione ponderata delle risorse naturali ma anche attraverso un ripensamento dei modelli di produ‐
zione, distribuzione e consumo, diviene perciò una responsabilità di tutti ed in primis dei Dietisti che, rivestendo ruoli diversificati nell’ambito della catena alimentare e svolgendo la propria attività in diffe‐
renti ambiti professionali, possono rappresentare un qualificato e significativo riferimento per l’imple‐
mentazione di un sistema alimentare orientato alla tutela della salute e del benessere sociale complessivo. Posizione
È posizione dell’ANDID che ogni Dietista, nel proprio agire professionale: • consideri i bisogni di salute della popolazione all’interno di un sistema alimentare globale, promuo‐
vendo uno stile di consumo che supporti un’agricoltura sostenibile, la conservazione della biodiver‐
sità e delle risorse naturali, minimizzi la produzione di rifiuti e promuova la sostenibilità ecologica; • collabori con i diversi professionisti, gli organismi governativi, gli enti ed i soggetti del settore pub‐
blico, privato e della società civile nella attuazione di modelli teorici che colleghino risorse naturali, produzione alimentare e salute globale; • possegga una formazione di base ed un aggiornamento continuo sulle tematiche correlate alla so‐
stenibilità dei sistemi alimentari; • valuti costantemente il proprio agire in termini di efficacia, efficienza ed appropriatezza. L’ANDID auspica inoltre che i Dietisti siano maggiormente presenti e coinvolti nell’ambito di com‐
missioni ed autorità locali, nazionali ed internazionali, al fine di promuovere e supportare politiche che incoraggino lo sviluppo di modelli alimentari sostenibili. Centralità della popolazione
Applicando i principi della Evidence Based Public Health, il Dietista impiega il proprio giudizio pro‐
fessionale per adattare la migliore evidenza fornita dalla ricerca alle situazioni considerate ed ai valori della comunità(6) (7). Ruolo del dietista
Il Dietista, in collaborazione con altri professionisti, organismi istituzionali, enti, associazioni, soggetti pubblici e privati, partecipa alla progettazione e alla pianificazione di interventi per attivare un siste‐
ma alimentare sostenibile attorno al quale risulta decisivo sostenere e implementare percorsi parteci‐
pativi costituiti da idee, patti, azioni, collaborazioni e cooperazioni imperniate su responsabilità e va‐
lori condivisi. Oltre ad essere esperto nella rilevazione e valutazione delle abitudini alimentari, degli introiti nutri‐
zionali e dello stato nutrizionale della popolazione, il Dietista partecipa alla formulazione della dia‐
66 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
Poster
gnosi epidemiologica e sociale necessaria per elaborare, attuare e/o implementare politiche alimentari sostenibili di cui deve comunque esserne preventivamente valutata l’efficacia o l’impatto sulla salute pubblica. È opinione dell’ANDID che la capacità di coniugare nella giusta misura gli aspetti biologici, socio‐
culturali e ambientali relativi agli stili alimentari di una specifica popolazione costituisca una delle competenze irrinunciabili del dietista. Il Dietista documenta costantemente la propria attività e interagisce con i settori dell’Industria Ali‐
mentare, della Ristorazione collettiva e con i Mass‐Media e collabora con gli Organismi governativi (Ministero della Salute, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Agenzie Regionali della Sanità, Assessorati Regionali alla Sanità, Amministrazioni Comunali e Provinciali) con le Università, le Azien‐
de Sanitarie Locali (Servizio Igiene degli Alimenti e della Nutrizione, Distretti), con altri Enti e soggetti del settore pubblico, privato e della società civile per favorire l’attuazione di politiche alimentari so‐
stenibili. Le attività principalmente svolte, in autonomia o in collaborazione con altri professionisti, com‐
prendono: Nutrizione del singolo e delle collettività
I dietisti che lavorano nell’ambito della salute pubblica, nell’ambito clinico e nella libera professione forniscono ai pazienti/utenti/clienti indicazioni utili (sistemi di produzioni e commercializzazione, uso, smaltimento, rapporto prezzo/costo, ecc.) per favorire l’adozione di un modello alimentare soste‐
nibile: Promuovendo la varietà della dieta; Promuovendo la sobrietà negli acquisti alimentari; Promuovendo l’acquisto e il consumo di alimenti di origine vegetale; Promuovendo l’acquisto e il consumo di alimenti stagionali; Promuovendo l’acquisto e il consumo di alimenti prodotti localmente; Promuovendo l’acquisto e il consumo di alimenti freschi o minimamente processati; Promuovendo il consumo di prodotti ittici con certificazione per la pesca sostenibile; Promuovendo l’acquisto e il consumo di alimenti certificati e/o a basso impatto ambientale e so‐
ciale; o Promuovendo il consumo dell’acqua di rete; o Promuovendo l’acquisto di prodotti caratterizzati da minori quantità di imballaggio o con imbal‐
laggi in materiale riciclato; o Promuovendo l’acquisto di prodotti muniti di ecoetichettatura. o
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Servizi di ristorazione e aziende alimentari
I tradizionali segmenti della ristorazione collettiva (aziendale, scolastica, socio‐sanitaria, commer‐
ciale), per estensione sul territorio e numero di pasti somministrati, unitamente alle aziende alimen‐
tari rappresentano settori strategici nei quali i Dietisti possono supportare l’introduzione di criteri di sostenibilità (caratteristiche degli alimenti, procedure di acquisto, consumi energetici, consumi idrici, modalità di trasporto, utilizzo di sostanze chimiche, produzione e gestione dei rifiuti, gestio‐
ne del personale). ANDID auspica che in questi specifici ambiti, nel rispetto della normativa vigente(13), i Dietisti si adoperino per promuovere programmi di intervento per il recupero e la redistribuzione delle ecce‐
denze alimentari non più commercializzabili ma idonee al consumo, a favore di persone e famiglie in condizioni di vulnerabilità sociale. 67 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
Politiche alimentari
ANDID auspica che i Dietisti presenti e coinvolti nell’ambito di commissioni ed autorità locali, nazio‐
nali ed internazionali si adoperino per sostenere un ambiente capace di incrementare la coerenza delle politiche che riconoscono i legami tra la salute e le altre politiche come quella per l’agricoltura, per l’ambiente, per il commercio, l’istruzione, il lavoro e le politiche sociali, in relazione alle specificità dei diversi territori e ai bisogni di salute della comunità. Valutazione dell’efficacia della prestazione
Il Dietista valuta la qualità della propria attività professionale attraverso la revisione continua dei ri‐
sultati rispetto a standard professionali definiti e condivisi. A questo scopo condivide con il gruppo di lavoro tutti i dati e le informazioni relativi agli interventi attuati. La documentazione delle attività e dei risultati è parte integrante della pratica professionale del Dietista. Formazione e aggiornamento
ANDID auspica che la formazione universitaria di base del dietista garantisca un’adeguata prepara‐
zione teorica e pratica sulle tematiche inerenti alla sostenibilità alimentare.
È pertanto opportuno che l’attività di tirocinio pratico sia svolta, con la guida di dietisti esperti, nei Servizi di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione e nei Servizi di Educazione e Promozione della Salute. È inoltre auspicabile un periodo post‐laurea della durata di almeno sei mesi presso i Dipartimenti Universitari di Sanità Pubblica ed i Servizi di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione delle Aziende Sanitarie Locali; è inoltre auspicabile la frequenza di uno specifico master professionalizzante in Sanità Pubblica e Politiche Alimentari e Nutrizionali. ANDID auspica che dei crediti ECM almeno il 50% sia ottenuto da eventi formativi inerenti alla so‐
stenibilità alimentare e alla promozione della salute e la parte restante da eventi relativi agli aspetti professionali ed etici connessi con lo sviluppo della prestazione dietistica. Bibliografia
1. UNESCO. Strategy for the Second Half of the United Nations Decade of Education for Sustaina‐
ble Development: supporting member states and other stakeholders in addressing global sustain‐
able development challenges through ESD. 2. Illich I. La convivialità. Milano. Mondadori, 1974. 3. Story M., Hamm M.W.; Walling D. Food Systems and Public Health: Linkages to Achieve Health‐
ier Diets and Healthier Communities. J Hunger Env Nutr 2009; 4: 3, 219‐224. 4. Millenium Ecosystem Assessment. 5. Gussow J., Clancy K. Dietary guidelines for sustainability. J Nutr Educ 1986; 18: 1‐5. 6. La Torre M.A. Il cibo e l’altro. Orizzonti etici della sostenibilità alimentare. Napoli. Edizioni Sci‐
entifiche Italiane, 2007. 7. Tagtow A., Harmon A. Healthy Land, Healthy Food & Healthy Eaters. Sustainable Food System: Opportunities for Dietitians, 2009 (disponibile su: http://www.ecocenter.org/healthyfood/pdf/Healthy Land%20HealthyFood%20HealthyEaters.pdf, accesso marzo 2010). 8. Neal D., Robinson J.G., Torner J.C. Evidence Based Public Health. An evolving concep. Am J Prev Med 2004; 27(5) 417‐421. 9. Gray M. Evidence‐Based Health Care and Public Health, 3rd Edition ‐ How to Make Decisions About Health Services and Public Health. Edinburgh: Churchill‐Livingstone, 2008. 10. Neal D., Robinson J.G., Torner J.C. Evidence Based Public Health. An evolving concep. Am J Prev Med 2004; 27(5) 417‐421. 68 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
Poster
11. Green L.W., and Kreuter M.W. (1999). Health Promotion Planning: An Educational and Ecological Approach, 3rd edition. Mountain View, CA: Mayfield. 12. Position of the American Dietetic Association: Food and Nutrition Professionals can implement practice to conserve natural resources and support ecological sustainability. JADA, 2007; 107(6):1033‐1043.
13. Legge 25 giugno 2003, n. 155. “Disciplina della distribuzione dei prodotti alimentari a fini di soli‐
darietà sociale”. GU n. 150, 1 luglio 2003. 69 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
BarBio
Gloria Piastra, Fabrizio Buratti
Chi siamo
Siamo un gruppo di imprenditori con pluriennali esperienze nei settori della ristorazione collettiva e del catering che si sono uniti formando una struttura che cresce e si evolve nella ricerca della qualità dei prodotti offerti a filiera dedicata biologica ed equosolidale. Obiettivi
Il nostro obiettivo è creare una nuova proposta da cui emerga il fascino di un nuovo sodalizio fra la tradizione gastronomica italiana e le più interessanti specialità di prodotti biologici, nella continua ri‐
cerca di nuove esperienze del gusto e della salute con una forte attenzione all’alimentazione per celiaci ed intolleranti e verso scelte di consumo alternativo sia per i vegetariani e sia per i vegan senza trala‐
sciare al cultura della cucina mediterranea. Proposta
Il BarBio è un format di locale gastronomico a filiera dedicata Biologica, dove la cultura della ristora‐
zione veloce deve convivere con prodotti provenienti da agricoltura biologica rispondendo alle esi‐
genze dei moderni consumatori e privilegiando la volontà di applicare la cosiddetta filiera corta (dal produttore al consumatore) e l’aspetto equo solidale BIOLOGICO. La nostra caratteristica è il frutto di una produzione artigianale giornaliera, sempre fresca, con materie prime di alta qualità nel rispetto delle norme vigenti in ambito Biologico. La massima cura nei particolari e l’attenzione per le esigenze ed il gusto del cliente, rappresentano per noi gli ingredienti indispensabili nella progettazione di un servizio mirato alle specifiche esigenze di mercato. A chi ci rivolgiamo
Le diverse esigenze di mercato ci hanno portato a specializzarci, oltre che nel catering anche nel setto‐
re dei prodotti biologici ed equo solidale rivolti alla ristorazione veloce, individuando l’esigenza di realizzare strutture tipicamente a filiera dedicata Bio rivolte a rispondere alle diverse forme di mercato (aziende, scuole, enti pubblici, sanitario, etc.). IL FORMAT BAR BIO è stuzzicante e vivace con una nuova confezione dell’offerta gastronomica, più ricca, più varia, più fantasiosa e salutare. Un prototipo innovativo di servizio, sintonizzato contempo‐
raneamente sui tempi e i modi del consumo leggero, veloce, d’occasione e sulle esigenze della gastro‐
nomia classica quotidiana. È studiato per essere perfettamente integrato con la struttura che ci ospite‐
rà. L’offerta consiste nel proporci nell’ambito della ristorazione collettiva mediante le molteplici for‐
me: ristorazione veloce, catering, banqueting, pasti veicolati e vending. Inoltre possiamo offrire la completa logistica organizzativa degli eventi da Voi promossi all’interno degli ambienti scolastici o aziendali creando, con la nostra esperienza, scenografie particolari e atmosfere coinvolgenti con per‐
sonale altamente professionale e specializzato. 70 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
Poster
Discovering different food culture abroad:
quando gli studenti statunitensi vengono in
Italia per studiare i principi della sostenibilità
della dieta mediterranea
Gustolab
Il poster ha come obiettivo quello di mostrare l’attività accademica condotta negli ultimi 3 anni qui in Italia, con alcune delle più prestigiose Università statunitensi nel campo dei food studies e nelle disci‐
pline della nutrizione e della salute. Gruppi di studenti statunitensi, con o senza background nelle di‐
scipline del cibo, si spostano ogni anno su territorio italiano, per poter analizzare e confrontare idee, pratiche, tradizioni di due diversi tipi di cultura alimentare. Da una prima fase caratterizzata da sentimenti e sensazioni di sospetto e distacco, si passa, nell’arco dello svolgimento del programma accademico, ad una concreta fase di esplorazione e interiorizzazio‐
ne, dove il vero cambiamento non avviene tanto nell’acquisizione delle conoscenze e delle nozioni teo‐
riche, quanto più in quello di uno spirito critico e di autoanalisi che viene acquisito e trasferito, dagli studenti stessi, nei loro paesi. Sempre più le richieste dei dipartimenti statunitensi, sono rivolti ad ave‐
re programmi focalizzati sui temi della sostenibilità e della dieta mediterranea. La dieta mediterranea viene spesso studiata erroneamente, presso le Università in USA, come regime alimentare, piuttosto che come lifestyle ed evoluzione storica e sociale di risorse e pratiche di un territorio ben definito, co‐
me quello mediterraneo. Quello che viene insegnato agli studenti (di età compresa tra i 18 e i 22 anni) nei programmi di cui si occupa Gustolab Institute, è un modo di vedere, senza solo osservare. Un mo‐
dello critico di apprendimento che pone la sostenibilità non tanto come oggetto di studio, quanto so‐
prattutto come metro di misura nelle pratiche della routine e della vita quotidiana. Nozioni teoriche, mescolate ad attività extracurriculari, disegnate sui principi dell’educazione esperienziale, permettono di raggiungere in periodi di studio molto brevi (da 1 a 4 mesi massimo), risultati interessanti. Non tan‐
to in termini di cambiamento delle abitudini alimentari e d’acquisto (come dimostrato anche dalla ri‐
cerca di Lisa Sasson di NYU, svolta su un programma studio statunitense sui temi della nutrizione che si svolge ogni anno a Firenze), ma soprattutto nell’acquisizione di strumenti critici di analisi e problem solving che possono essere poi applicati dagli studenti nei loro territori d’origine. Conseguenza emer‐
gente, e non pianificata, ma evidenziata soprattutto nell’ultimo anno e per i programmi di nutrizione e comunicazione, è la crescente capacità degli studenti di selezionare la qualità dei prodotti e delle solu‐
zioni alimentari presentate su territorio italiano, acquisendo materiale e informazioni che autonoma‐
mente decidono di utilizzare per attività di promozione dei prodotti enogastronomici italiani in USA. 71 LA RIVISTA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE, NUMERO IV, OTTOBRE-DICEMBRE 2011, ANNO 40
Aiutiamoli a crescere
Nella Tucci
Laboratorio Analisi chimiche e microbiologiche I.C.Q. s.r.l. OBIETTIVO
Il progetto realizzato dal Laboratorio di analisi chimiche e microbiologiche ICQ srl propone di intro‐
durre come materia scolastica la “sicurezza alimentare e ambientale” in un quadro più ampio legato alla corretta educazione alimentare e alla sostenibilità dell’ambiente. Questo contribuirebbe all’accre‐
scimento delle competenze dei docenti utilizzando per la didattica i mezzi informatici come abilitanti alla formazione degli studenti della scuola dell’obbligo. L’inserimento di tale materia potrebbe avere come obiettivo quello di portare la scuola a livelli di eccellenza per competere con lo standard europeo. METODO
Il metodo innovativo è consistito nell’inserimento della nuova materia utilizzando strumenti informa‐
tici, al fine di arricchire di nuove potenzialità i modelli didattici, rendendoli più allineati alla realtà in cui i giovani vivono ed interagiscono; ciò ha permesso a sviluppare competenze per il loro percorso formativo e rendere l’apprendimento interattivo. Tali contenuti e metodologie didattiche si affiancano a quelle tradizionali mettendo a disposizione dei docenti strumenti tecnologici abilitanti ad una didattica innovativa e multimediale. Questo meto‐
do ha avvicinato i bambini alla tecnologia utilizzando il gioco uguale conoscenza. In tal modo si è ac‐
cresciuta la loro consapevolezza ai temi proposti. Nella stessa sede si è cercato di coinvolgere i genitori a partecipare on line al percorso formativo. Le tematiche trattate nei corsi sono state le seguenti: • • • • • • • • quadro normativo in campo agroalimentare; Igiene e sicurezza alimentare; contaminazioni fisiche, chimiche, microbiologiche degli alimenti; applicazione pratica dell’autocontrollo nelle varie fasi del processo produttivo; allergie ed intolleranze alimentari; alimenti biologici e funzionali; tracciabilità e rintracciabilità dei prodotti alimentari; riciclo e smaltimento dei rifiuti proveniente da scarti alimentari. La valutazione finale dell’apprendimento è stata eseguita con lo svolgimento di test specifici con di‐
versi gradi di difficoltà. RISULTATI
Il progetto sperimentato su un campione di 400 utenti provenienti da scuole private ha dato una ri‐
sposta soddisfacente in quanto sia i docenti che gli studenti sottoposti a verifica dell’apprendimento hanno avuto rispondenza del 70% di esiti positivi. Ciò ha permesso di chiudere la progettazione con la possibilità di poter proporre programmi di im‐
plementazione innovativi per le scuole dell’obbligo. 72 La sostenibilità nella ristorazione collettiva
Poster
Impianti di digestione anaerobica
dei reflui zootecnici
Vantaggi ambientali ed energetici
per una agricoltura di qualità
Centrale del Latte di Nepi
Il metano di origine zootecnica rappresenta circa il 5% delle emissioni di gas serra in Europa. Le emis‐
sioni di CH4 hanno origine da: 1) fermentazione ruminale 2) fermentazione delle deiezioni La fermentazione ruminale è modulabile con l’alimentazione. Le fermentazioni delle deiezioni posso‐
no essere impiegate per la produzione di biogas apportando i seguenti vantaggi ambientali: elimina‐
zione delle emissioni di metano in atmosfera; produzione di energia da fonti rinnovabili; produzione di compost di qualità (depurato); attivazione di un processo di fermentazione impiegabile anche per lo smaltimento di altri sottoprodotti dell’industria agroalimentare. La CENTRALE DEL LATTE DI NEPI & AZIENDA AGRICOLA BRUNI gestiscono una filiera comple‐
tamente integrata inclusiva di coltura dei foraggi; allevamento zootecnico, trasformazione del latte e lavorazione casearia. L’allevamento zootecnico conta 900 capi bovini di razza frisona allevati a stabu‐
lazione libera. Il 90% dell’alimentazione del bestiame è di provenienza aziendale realizzata con colture foraggiere estese su una superficie di circa 400 ettari; l’azienda produce esclusivamente latte di Alta Qualità. Nelle politiche di sostenibilità ambientale l’impresa ha realizzato un impianto di produzione di Bio‐
gas con annessa centrale di produzione di energia elettrica, impianto di produzione di acqua calda da impiegare come energia termica nelle attività della centrale del latte. L’impianto viene utilizzato anche per lo smaltimento della scotta proveniente dalla produzione ca‐
searia. La realizzazione dell’impianto genera i seguenti vantaggi ambientali: ‐ eliminazione di CH4 e CO2 generate dalle deiezioni animali; ‐ eliminazione dell’impatto odorigeno connesso con la dispersione dei reflui; ‐ produzioni di concimi più puri idonee per la produzione agricola dei foraggi. L’impianto di Biogas funziona attraverso un processo di fermentazione anaerobica gestita da batteri che frantumano le molecole organiche più complesse con formazione di molecole semplici quali CH4 e CO2. Le deiezioni animali e le biomasse confluiscono all’interno dei digestori. Il ciclo anaerobico segue due fasi distinte. Nella prima avvengono l’idrolisi, l’assorbimento dell’ossigeno residuo con conse‐
guente preparazione di un substrato costituito da acidi grassi a catena corta. Su questo substrato in‐
tervengono i batteri metani geni, strettamente anaerobi, che nella fase successiva del processo svilup‐
pano biogas. Il biogas prodotto viene raccolto direttamente nella parte superiore dei digestori median‐
te coperture gasometriche a cupola. Attraverso una condotta il gas viene inviato ad un impianto di co‐
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generazione costituito da un gruppo dotato di alternatore e bruciatore. La composizione di biogas è CH4 : 60‐70 %; CO2 + CO : 30‐35 %; H2S : 0,1 %. L’impianto lavora 8.000ore l’anno bruciando224 m3/h di biogas, generando una potenza termica di 448.920 kcal/h; e una potenza elettrica di 500 kW. Nei programmi di sviluppo 2012 delle politiche ambientali aziendali prevedono: la realizzazione di un nuovo impianto di Biogas da 1 MW; la valorizzazione dell’energia termica per la produzione di ac‐
qua calda e vapori per i fabbisogni energetici della Centrale del Latte; la realizzazione di un impianto fotovoltaico da 500kW da installare sulle coperture degli stabilimenti; l’adozione di packaging biode‐
gradabile e la valorizzazione della produzione a km 0. 74