Vespri dell`Epifania al monastero domenicano di Cremona. Mons
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Vespri dell`Epifania al monastero domenicano di Cremona. Mons
Domenica sera in Cattedrale serata musicale per i vescovi Antonio e Dante con il Coro di voci bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala Si terrà la sera di domenica 7 febbraio, a partire dalle 20.30, nella Cattedrale di Cremona, il concerto del Coro di voci bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala: una serata musicale per i vescovi Dante e Antonio. L’iniziativa, promossa dalla Diocesi, e realizzata grazie al sostegno della Fondazione Arvedi-Buschini, intende infatti da un lato salutare l’ingresso in diocesi del nuovo vescovo, mons. Antonio Napolioni, e dall’altra ringraziare il vescovo emerito, mons. Dante Lafranconi, per gli oltre 14 anni di intenso ministero. Il concerto, con ingresso gratuito, sarà proposto anche in diretta sul nostro portale e in televisione su Cremona1. Dopo il saluto da parte del parroco della Cattedrale, mons. Alberto Franzini, di fronte ai vescovi Antonio e Dante prenderà il via l’esecuzione del Coro di voci bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala, diretto da Bruno Casoni e accompagnato all’organo dal cremonese Fausto Caporali. La diretta dell’evento sul nostro portale e su Cremona1 (canale 211 del digitale terrestre) avrà inizio alle 20.20. Ad accompagnare il filo diretto sarà la giornalista Federica Priori insieme al musicista e critico Roberto Codazzi. La locandina della serata Il programma della serata Ad aprire la serata saranno le note di Bach con “Jesus bleibet meine Freude” (Gesù rimane la mia gioia), dalla Cantata BWV 147. La liturgia sentita come pensiero militante e azione edificante guida la scrittura di Johann Sebastian Bach: note, armonie e contrappunti, immagini, simboli sembrano convergere in una superiore unità e si manifestano con la chiarezza estatica di un sermone. Jesus bleibet meine Freude è ispirato da un sentimento sincero e profondo, in piena sintonia ad un’epoca in cui il pietismo inizia ad entrare nella poesia spirituale protestante. Musicalmente un flusso ininterrotto di terzine eseguito dall’organo intreccia gli interventi stagliati del coro, interrompendosi solo in occasione dei versi Jesus bleibet meine Freude e Jesus wehret allem Leide, quasi a voler sottolineare il senso statico di quelle parole: Cristo eterna la gioia dell’anima e può fermare la sofferenza umana. Composto negli anni giovanili, probabilmente ad Arnstadt, Pièce d’orgue BWV 572 è una splendida fantasia in tre movimenti senza soluzione di continuità: Très vitement, Grave, Lentement. Stilemi “antichi” caratterizzano il lessico musicale di Jahan Alain, una delle figure più significative del Novecento organistico. Le sue Litanies sono aggettanti costruzioni toccatistiche echeggianti modi gregoriani. Per comprenderne lo spirito è significativo quanto lo stesso autore premette all’opera: “Quando l’anima cristiana non trova più parole nuove, nello sconforto, per implorare la misericordia di Dio, essa ripete incessante la stessa invocazione con fede veemente. La ragione raggiunge il suo limite e solo la fede persegue la sua ascesa”. La Messe Modale è stata scritta dal compositore e organista francese nel Natale del 1938 per la chiesa di Saint-Nicolas a Maisons-Laffitte, dove Alain era organista. Ricca di nuances e di mistero questa Messa campisce, attraverso una scrittura trasparente e suggestioni arcaicizzanti, una atmosfera di intensa e serena spiritualità. Un senso di intimità percorre anche l’Ave Maria di Giuseppe Verdi, stasera preceduta da una vibrante parafrasi elaborata da Fausto Caporali. La pagina è ispirata da una scala enigmatica, ovvero con intervalli atipici, pubblicata sulla Gazzetta Musicale di Milano. Quasi una sfida, che il Cigno raccolse non senza qualche esitazione. È una preghiera per coro solo, in latino: un modo antico di fare musica, atipico per il compositore bussetano che sembra guardare alla lezione palestriniana – benché nel quadro di una ricercata armonia tardo-ottocentesca – e attraverso i suoi brani di ispirazione sacra assicura, come annota Massimo Mila “la continuità storica della cantata dai tempi di Bach a quelli di Stravinskij”. Non meno curiosa l’origine dei Tre mottetti op.39. Nel 1830, durante il suo soggiorno romano Mendelssohn alloggia nei pressi della Chiesa di Trinità dei Monti, dove all’Ave Maria ascolta i canti delle monache. Quelle voci “dolci e limpide” esercitano su di lui una profonda suggestione, tanto da spingerlo a comporre Veni Domine per la terza domenica d’Avvento, O Beata per la festa della Trinità – poi sostituito da Laudate pueri – e Surrexit Pastor per il terzo giorno di Pasqua. Se un sobrio equilibrio e l’eco di modelli gregoriani tradiscono una tendenza conservatrice, l’interazione fra canto corale e organo afferma una estetica pienamente romantica. Infine La Carità di Gioachino Rossini, originariamente composta per la tragedia di Sofocle Edipo a Colono ma poiché non venne allestita anche il coro femminile finì per essere dimenticato. Quando un editore francese acquistò gli abbozzi, colpito dalla bellezza della musica, decise di sostituire il testo originale con uno di ispirazione religiosa che esalta la nobile semplicità e la pervasività struggente di linee melodiche essenziali. Proprio questa scrittura sempre eloquente ha peraltro ispirato innumerevoli variazioni virtuosistiche nell’Ottocento, ad iniziare da Paganini, mentre stasera offre a Fausto Caporali lo spunto per una rilettura rorida di invenzioni e sorprese musicali. Qualche cenno biografico sui compositori presentati nel concerto. Jehan Alain è stato uno dei tanti ragazzi prodigio della storia della musica: ad appena 13 anni subentrò al padre organista nella chiesa della piccola città francese dove era nato nel 1911. Mendelssohn tenne il primo concerto all’età di nove anni e pubblicò il suo quartetto per pianoforte, a tredici, benché avesse già scritto numerose operette, brani da camera e pianistici. Verdi iniziò a studiare musica ad 8 anni e presto salì in cantoria. L’Ave Maria è una composizione della maturità, ma pare gli ricordasse i suoi diciotto anni, quando il suo Maestro si divertiva “a rompergli il cervello con bassi consimili”. Bach non fu un bambino prodigio ma probabilmente accumulò notevole esperienza con i fanciulli dal momento che ebbe venti figli. Coincidenze, strani percorsi della storia, suggestioni forse, ma è bello immaginare una empatia particolare tra i piccoli cantori ed i loro più illustri (per ora) colleghi compositori. Il programma del concerto Il Coro di voci bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala Costituito nell’ottobre 1984 dal Teatro alla Scala, è stato affidato alla direzione di Gerhard Schmidt-Gaden, sostituito nel 1989 da Nicola Conci fino al giugno 1993. Dal novembre 1993 la direzione del Coro è stata affidata a Bruno Casoni, direttore del Coro del Teatro alla Scala di Milano. Dalla sua fondazione il Coro partecipa regolarmente alle produzioni d’opera e di concerti del Teatro alla Scala ed è ospite delle stagioni di importanti istituzioni musicali quali l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, l’Orchestra Filarmonica della Scala, l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra Sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi”, il Teatro Comunale di Firenze e il Teatro Comunale di Bologna. Nel 1998 il Coro Voci Bianche ha collaborato all’incisione della Bohème di Puccini con i complessi scaligeri sotto la direzione di Riccardo Chailly. Numerose le composizioni scritte appositamente per il Coro Voci Bianche della Scala da autorevoli compositori quali Azio Corghi (La morte di Lazzaro), Sonia Bo (Isole di luce), Bruno Zanolini (Beati parvuli), Alessandro Solbiati (Surgentes) e Carlo Pedini (Magnificat) eseguite in prima mondiale assoluta. Fra le più recenti partecipazioni a produzioni d’opera e balletto si annoverano Carmen, Lo Schiaccianoci, Turandot, Tosca, La bohème, Pagliacci, Wozzeck. Nell’ambito dell’attività concertistica, si ricordano nel 2013 il concerto di Natale diretto da Daniel Harding, nel 2014 l’omaggio a Fausto Romitelli sotto la direzione di Fabián Panisello nell’ambito del 23° Festival di Milano Musica e nel 2015 il concerto con i Wiener Philarmoniker diretti da Mariss Jansons. Direttore: Bruno Casoni; assistente al direttore: Marco De Gaspari. Coro: Josefina Amadio, Anouk Aruanno, Sofia Barletta, Sara Bellettini, Carlotta Benini, Giulio Benini, Sibilla Boesi, Ilaria Bortone, Giulia Botta, Mariasole Bottelli, Valentina Caldi, Francesca Calori, Sofia Castelli, Chiara Cordoni, Carlotta Corradi, Ginevra Costantini Negri, Sophie Decuypère, Matilde Di Fonzo, Eudossia Drei, Beatrice Fasano, Elisabetta Galindo Pacheco, Lidia Galli, Emma Genovese, Elisa Giaquinto, Emma Gori, Nicole Guarino, Lisa Ludwig, Veronica Maio, Andrea Camilla Mambretti, Sophia Messaggeri, Kata Mogyorosi, Gabriele Monaco, Alabama Paolucci, Margherita Pezzella, Libero Delfo Antonio Rebecchi, Olga Rigamonti, Tobia Simionato, Lucrezia Spina, Riutaro Sugiyama, Lavinia Svae, Alice Terranova, Ester Clara Libera Zanvettor, Leonardo Zappavigna. Il direttore Bruno Casni Bruno Casni è nato a Milano. Dopo aver conseguito i diplomi di pianoforte, composizione, musica corale e direzione di Coro al Conservatorio Giuseppe Verdi della sua città, è stato direttore del Coro del Teatro Pierluigi da Palestrina di Cagliari e successivamente, dal 1983, è diventato altro Maestro del Coro presso il Teatro alla Scala di Milano, incarico mantenuto fino al 1994. Sempre nel 1994 è diventato Direttore del Coro di Voci Bianche del Teatro alla Scala . Dal 1979 è docente di esercitazioni corali al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Nel 1984 ha fondato il Coro dei Pomeriggi Musicali di Milano, che ha diretto fino al 1992. Parallelamente ha collaborato con numerose istituzioni e festivals musicali italiani e Stranieri sia come Direttore di Coro sia dirigendo varie formazioni orchestrali. Ha effettuato diverse tournée in vari continenti ed inciso diversi dischi. Nel 1994 è stato nominato Direttore del Coro presso il Teatro Regio di Torino, alla guida del quale ha ottenuto unanimi consensi di critica e di pubblico nel repertorio lirico, e svolgendo con il complesso un intenso lavoro volto ad ampliare il repertorio concertistico e intensificare la collaborazione con altre istituzioni musicali. Particolarmente significativo il rapporto consolidato con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Dal 2002 è Direttore del Coro del Teatro alla Scala di Milano. L’organista Fausto Caporali Fausto Caporali si è diplomato nel 1981 in Organo e Composizione organistica al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano studiando con Gianfranco Spinelli e nel 1983 ha conseguito il titolo di Maestro in Canto Gregoriano al Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra. Si è in seguito perfezionato partecipando ai corsi di H.Vogel, A.Isoir, E.Kooiman, L.Rogg, M.C.Alain, D.Roth, G.Parodi. Ha studiato a Parigi con D.Roth ed ad Haarlem con N.Hakim. Per i tipi di Armelin Musica – Padova ha pubblicato “L’Improvvisazione Organistica – Un metodo teorico e pratico”, “Propedeutica all’improvvisazione organistica”, “L’accompagnamento del canto liturgico”, un volume sull’opera organistica di Olivier Messiaen (“Il dialogo perpetuo”) ed ha curato pubblicazioni di musiche inedite di autori barocchi e moderni (G.Gonelli, G.Arighi, P.Chiarini, R.Manna, U.Matthey). É autore di un libro sugli organi della città di Cremona (De perfetissima sonoritate – Il patrimonio organario della città di Cremona, Armelin, Padova 2005), di altre pubblicazioni su organi e di contributi musicologici. Si è classificato secondo al Concorso di Improvvisazione Organistica di Biarritz nel 1995 e nel 1997, ed è stato semifinalista nel 1996 al Concorso Internazionale di improvvisazione di Haarlem. Come compositore ha al suo attivo un Terzo Premio al Concorso AGIMUS di Varenna nel 1996; è autore di diverse cantate su testi sacri, libri di Mottetti, musica strumentale e cameristica eseguita con successo di pubblico e critica. Svolge attività concertistica sia come solista che come accompagnatore di gruppi vocali e strumentali. Ha tenuto concerti in Germania, Francia, Svizzera, Inghilterra, Spagna, Lituania. Fra le sue collaborazioni si segnalano quelle con Antonella Ruggiero e con gli Ottoni della Scala. Ha inciso per la Prominence (Il grande organo del Santuario di Caravaggio 1996), per la Syrius (Toccatas 2002, Grand Etudes de Concert 2004), per MV (Organisti e Maestri di Cappella del Duomo di Cremona 2005 – Playing with Bach – Organ and Piano jazz con Erminio Cella 2013), L’organo di don Camillo (Associazione Serassi 2008), Fugatto (L’Opera Omnia per organo di C. Franck 2011 – Le 6 Sinfonie di Louis Vierne, triplo CD, 2015). Tiene regolarmente corsi di improvvisazione in Italia per conto di varie associazioni. È titolare del grande organo della Cattedrale di Cremona e della Cattedra di Organo complementare e Canto gregoriano presso il Conservatorio di Torino. Don Compiani e don D'Agostino dal Papa per l’udienza dei “Missionari della Misericordia”: il mercoledì delle ceneri il mandato I confessori coprano i peccatori “con la coperta della misericordia”. Questa l’efficace immagine che Papa Francesco ha tratteggiato nell’udienza con i “Missionari della Misericordia”. L’incontro, avvenuto nel pomeriggio di martedì 9 febbraio nella Sala Regia, in Vaticano, ha visto la presenza anche di due sacerdoti cremonesi: don Maurizio Compiani e don Marco d’Agostino. I due presbiteri sono stati infatti scelti come “Missionari della Misericordia” per la diocesi di Cremona. Per loro in programma un altro importante appuntamento: il mandato che riceveranno dal Papa nel Mercoledì delle Ceneri. L’udienza del 9 febbraio 726 i Missionari della Misericordia, provenienti da tutti i continenti, presenti nella Sala Regia: più del doppio del totale dei nominati, 1.142 in tutto il mondo. Ad aprire l’incontro il saluto di mons. Rino Fisichella, presiente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, che ha definito Francesco “primo missionario della misericordia”. “La Chiesa è madre”, e i confessori devono essere “canali” della misericordia di Dio. Ricevendo in udienza i Missionari della Misericordia, alla vigilia del mandato, il Papa li ha esortati in primo luogo ad “esprimere la maternità della Chiesa”: “La Chiesa è madre – ha ribadito – perché genera sempre nuovi figli nella fede; la Chiesa è madre perché nutre la fede; e la Chiesa è madre anche perché offre il perdono di Dio, rigenerando a una nuova vita, frutto della conversione”. “Non possiamo correre il rischio che un penitente non percepisca la presenza materna della Chiesa che lo accoglie e lo ama”, ha ammonito Francesco. “Se venisse meno questa percezione, a causa della nostra rigidità – ha sottolineato -, sarebbe un danno grave in primo luogo per la fede stessa, perché impedirebbe al penitente di vedersi inserito nel Corpo di Cristo. Inoltre, limiterebbe molto il suo sentirsi parte di una comunità”. “Noi invece – ha proseguito – siamo chiamati ad essere espressione viva della Chiesa che come madre accoglie chiunque si accosta a lei, sapendo che attraverso di lei si è inseriti in Cristo”. “Entrando nel confessionale – i consigli pratici del Papa – ricordiamoci sempre che è Cristo che accoglie, è Cristo che ascolta, è Cristo che perdona, è Cristo che dona la pace. Noi siamo suoi ministri; e per primi abbiamo sempre bisogno di essere perdonati da Lui. Qualunque sia il peccato che viene confessato, ogni missionario è chiamato a ricordare la propria esistenza di peccatore e a porsi umilmente come canale della misericordia di Dio”. Non è mancato un ricordo personale del Papa: “Vi confesso fraternamente che per me è una fonte di gioia ricordare quella confessione del 21 settembre del 1953, che ha orientato la mia vita”. “Cosa mi ha detto il prete? Non mi ricordo”, ha proseguito Francesco a braccio: “Solo mi ricordo che mi ha fatto un sorriso e poi non so cosa è successo”. Nel corso dell’udienza Papa Francesco è entrato nel concreto della situazione di chi entra in un confessionale. “È un desiderio frutto della grazia e della sua azione nella vita delle persone, che permette di sentire la nostalgia di Dio, del suo amore e della sua casa”, ha spiegato. “Non dimentichiamo – ha aggiunto – che c’è proprio questo desiderio all’inizio della conversione”. “Il cuore si rivolge a Dio riconoscendo il male compiuto, ma con la speranza di ottenere il perdono”, ha evidenziato. E “questo desiderio si rafforza quando si decide nel proprio cuore di cambiare vita e di non voler peccare più. È il momento in cui ci si affida alla misericordia di Dio, e si ha piena fiducia di essere da Lui compresi, perdonati e sostenuti”. “Diamo grande spazio a questo desiderio di Dio e del suo perdono – l’invito di Francesco -; facciamolo emergere come vera espressione della grazia dello Spirito che provoca alla conversione del cuore”. “Essere confessore secondo il cuore di Cristo – ha spiegato il Pontefice – equivale a coprire il peccatore con la coperta della misericordia, perché non si vergogni più e possa recuperare la gioia della sua dignità filiale”. Questo, in sintesi, il ruolo del prete nel confessionale. A riassumerlo è stato il Papa, che non ha nemmeno tralasciato “una componente di cui non si parla molto, ma che è invece determinante: la vergogna”. “Non è facile porsi dinanzi a un altro uomo, pur sapendo che rappresenta Dio, e confessare il proprio peccato”, ha ammesso Francesco, per il quale “si prova vergogna sia per quanto si è compiuto, sia per doverlo confessare a un altro”. “La vergogna è un sentimento intimo che incide nella vita personale e richiede da parte del confessore un atteggiamento di rispetto e incoraggiamento”, il monito del Papa, che ha ricordato che “fin dalle prime pagine la Bibbia parla della vergogna”, come si legge nella Genesi non solo a proposito di Adamo ed Eva dopo il peccato, ma anche nell’episodio in cui Noè si ubriaca. “Noè nella Bibbia è considerato un uomo giusto, eppure non è senza peccato”, ha commentato Francesco. Di qui l’importanza del “ruolo” dei sacerdoti nella confessione: “Avanti a noi c’è una persona nuda, con la sua debolezza e i suoi limiti, con la vergogna di essere un peccatore. Non dimentichiamo: dinanzi a noi non c’è il peccato, ma il peccatore pentito. Una persona che sente il desiderio di essere accolta e perdonata. Un peccatore che promette di non voler più allontanarsi dalla casa del Padre e che, con le poche forze che si ritrova, vuole fare di tutto per vivere da figlio di Dio”. “Non siamo chiamati a giudicare, con un senso di superiorità, come se noi fossimo immuni dal peccato”, le parole del Papa. Al contrario, “siamo chiamati ad agire come Sem e Jafet, i figli di Noè, che presero una coperta per mettere il proprio padre al riparo dalla vergogna”. Un buon confessore deve “capire non solo il linguaggio della parola, ma anche il linguaggio dei gesti”. È la raccomandazione affidata, a braccio, dal Papa. Tornando su un tema già trattato stamattina, durante la Messa ai frati cappuccini di tutto il mondo, nella basilica di San Pietro, il Papa ha esortato ogni singolo confessore a tenere “le braccia aperte per capire cosa c’è dentro in quel cuore che non può venire detto”. Di fronte a sé, infatti, chi sta nel confessionale trova “un peccatore pentito, che non vorrebbe essere così ma non può”, e che magari “non riesce a dirlo”. “Non è con la clava del giudizio che riusciremo a riportare la pecorella smarrita all’ovile, ma con la santità di vita che è principio di rinnovamento e di riforma nella Chiesa”. Ne è convinto il Papa, che ai Missionari della Misericordia ha ribadito che “la santità si nutre di amore e sa portare su di sé il peso di chi è più debole”. “Un missionario della misericordia porta sulle proprie spalle il peccatore, e lo consola con la forza della compassione”, l’identikit degli speciali Missionari provenienti dai cinque continenti. “Vi accompagno in questa avventura missionaria, dandovi come esempi due santi ministri del perdono di Dio, san Leopoldo e san Pio, insieme a tanti altri santi sacerdoti che nella loro vita hanno testimoniato la misericordia di Dio”, l’assicurazione di Francesco. “Loro vi aiuteranno – ha concluso -. Quando sentirete il peso dei peccati a voi confessati e la limitatezza della vostra persona e delle vostre parole, confidate nella forza della misericordia che a tutti va incontro come amore che non conosce confini”. Infine un forte avvertimento: “Si può fare tanto male ad un’anima se non viene accolta con un cuore di padre, con il cuore della santa madre Chiesa”. Tornando ancora una volta a parlare a braccio, il Papa ha concluso l’udienza invitando chi non si sente pronto a fare il confessore ad astenersi dall’esercitare tale ministero. Tornando su un tema già trattato nella Messa di apertura della giornata di oggi, celebrata nella basilica di San Pietro per i frati cappuccini di tutto il mondo, alle presenza delle spoglie di san Pio da Pietrelcina e san Leopoldo Mandic, il Papa ha ricordato che ad ognuno dei presenti sarà capitato di sentire, a proposito della frequenza con cui si ricorre al sacramento della Riconciliazione: “Non ci vado mai, sono andato una volta e il prete mi ha bastonato, mi ha rimproverato tanto, mi ha fatto domande oscure, di curiosità”. “Questo non è un buon pastore”, ha commentato Francesco sempre fuori testo. Di più: “Questo è un giudice che crede che non ha peccato, o un povero uomo malato che con le domande è incuriosito”. “A me piace dire – ha concluso il Papa -: se tu non tela senti di essere padre, non fare questo. È meglio, fai un’altra cosa, perché si può fare tanto male a un’anima se non viene accolta con un cuore di padre, con il cuore della santa madre Chiesa”. Il mandato del 10 febbraio L’11 febbraio, Mercoledì delle ceneri, i Missionari riceveranno lo speciale mandato del Santo Padre per la loro missione di predicazione e confessioni. Chi è il “Missionaro della Misericordia” La figura dei “Missionari della Misericordia” è descritta nella bolla Misericordiae vultus, al n. 18. Si tratta di sacerdoti che provengono dalle diverse parti del mondo e sono stati indicati dai propri vescovi per svolgere questo servizio peculiare. Riceveranno il mandato da parte del Santo Padre di essere predicatori della misericordia e confessori ricolmi di misericordia. Dovranno essere: 1. segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in cerca del suo perdono; 2. artefici presso tutti, nessuno escluso, di un incontro carico di umanità, sorgente di liberazione, ricco di responsabilità per superare gli ostacoli e riprendere la vita nuova del Battesimo; 3. guidati dalle parole “Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti” (Rm 11,32); 4. predicatori convincenti della Misericordia; 5. annunciatori della gioia del perdono; 6. confessori accoglienti, amorevoli, compassionevoli e attenti specialmente alle difficili situazioni della singole persone. I Missionari saranno invitati, dai singoli Vescovi Diocesani all’interno del loro Paese, per animare missioni al popolo o iniziative particolari legate al Giubileo, con particolare riferimento alla celebrazione del sacramento della Riconciliazione. Il Santo Padre, infatti, conferirà loro l’autorità di perdonare anche i peccati riservati alla Sede Apostolica: la profanazione della Santa Eucaristia, l’assoluzione del complice, l’ordinazione episcopale di un vescovo senza il mandato del Papa, la violazione del sigillo sacramentale (che consiste nel far trapelare quanto ascoltato in confessione), la violenza fisica contro il Pontefice. I missionari cremonesi Don Maurizio Compiani, classe 1960 originario di Castelleone, laureto in Sacra Scrittura, è docente di Esegesi presso l’Istituto teologico del Seminario di Scutari (Albania) e presso l’Istituto superiore di Scienze religiose di CremaCremona-Lodi, così come per quello di Mantova: è inoltre responsabile diocesano per la Pastorale universitaria e assistente spiritale della sede cremonese dell’Università Cattolica. Don Marco D’Agostino, classe 1970 originario di Soresina, è responsabile del Centro diocesano vocazioni, vicerettore del Seminario vescovile “S. Maria della Pace” oltre che assistente ecclesiastico del Movimento Ministranti e Lettori. Don D’Agostino è autore tra l’altro del libro “Maria, grembo di misericordia” (San Paolo Edizioni – collana Parole per lo spirito); tra le pubblicazioni di don Maurizio Compiani da segnalare il volume “La Confessione. Sacramento della Misericordia”, uno degli otto sussidi daella San Paolo per conto del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione come strumenti pastorali del Giubileo della Misericordia. I Missionari della Misericordia. Da sinistra: don Compiani e don d’Agostino Giornata mondiale contro la tratta: lunedì 8 veglia alla Casa dell'Accoglienza di Cremona La tratta di esseri umani è una delle peggiori schiavitù del ventunesimo secolo. E riguarda il mondo intero. Secondo le stime dell’Onu circa 21 milioni di persone,spesso povere e vulnerabili, sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale o lavoro forzato, espianto di organi, accattonaggio forzato, servitù domestica, matrimonio forzato, adozione illegale e altre forme di sfruttamento. Ogni anno, circa 2,5 milioni di persone sono vittime di traffico di esseri umani e riduzione in schiavitù; il 60 per cento sono donne e minori. Spesso subiscono abusi e violenze inaudite. D’altro canto, per trafficanti e sfruttatori la tratta di esseri umani è una delle attività illegali più lucrative al mondo: rende complessivamente 32 miliardi di dollari l’anno ed è il terzo “business” più redditizio, dopo il traffico di droga e di armi. Per denunciare questo agghiacciante fenomeno, ma soprattutto per preghiera Dio perchè converta il cuore dei violenti, la Caritas cremonese promuove una veglia per lunedì 8 febbraio, giornata mondiale contro la tratta, presso la Casa dell’Accoglienza di Cremona, a partire dalle ore 20.30. Tema dell’incontro: «Il Giubileo della misericordia per la liberazione degli schiavi oggi». «Scopo di questa Giornata – spiegano dalla Caritas – è quello di creare nell’opinione pubblica maggiore consapevolezza del fenomeno e riflettere sulla situazione globale di violenza e ingiustizia che colpisce tante persone, che non hanno voce, non contano, non sono nessuno: sono semplicemente schiavi. Al contempo cercare di dare risposte a questa moderna forma di tratta di esseri umani, attraverso azioni concrete e coraggiose, consapevoli che il fenomeno è sempre in costante movimento e cambiamento, con un maggior numero di vittime, sempre più giovani, inesperte, analfabete e quindi facilmente ricattabili». Il Giubileo della Misericordia ci offre na concreta opportunità di ricevere e usare misericordia per aiutare i nuovi schiavi di oggi a rompere le loro pesanti catene di schiavitù per riappropriarsi della loro libertà. «Per questo è fondamentale – proseguono gli organizzatori dell’evento -, da un lato, ribadire la necessità di garantire diritti, libertà e dignità alle persone trafficate e ridotte in schiavitù, offrendo a loro accoglienza, recupero e integrazione mentre dall’altro bisogna denunciare sia le organizzazioni criminali con i loro ingenti guadagni e sia coloro che usano e abusano della povertà e della vulnerabilità di queste persone per farne oggetti di piacere». Nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2015 “Non più schiavi ma fratelli e sorelle” Papa Francesco ricorda: «l’enorme lavoro silenzioso che molte congregazioni religiose, specialmente femminili, portano avanti da tanti anni in favore delle vittime in cui l’azione si articola principalmente intorno a tre opere: il soccorso alle vittime, la loro riabilitazione sotto il profilo psicologico e formativo e la loro reintegrazione nella società di destinazione o di origine. Questo immenso lavoro, richiede coraggio, pazienza e perseveranza ma, occorre anche un triplice impegno a livello istituzionale di prevenzione, di protezione delle vittime e di azione giudiziaria nei confronti dei responsabili». Sussidi per la celebrazione della giornata nelle parrocchie Il vescovo Antonio alla veglia della vita: «Svegli e attenti ad ogni seme dato in dono da Dio» «Misericordiosi come il Padre è il tema di questo Giubileo. Stasera lo traduciamo così: svegli e attenti a ogni seme di vita che Dio ci ha dato in dono perchè fiorisca». È l’invito finale di mons. Napolioni alla veglia per la vita celebrata nella serata di sabato 6 febbraio nella palestra comunale di Cavatigozzi. Nella folta assemblea, composta anche da tanti volontari delle diverse associazioni e realtà ecclesiali che si occupano della tutela e dello sviluppo della vita, c’era pure il vescovo emerito Lafranconi che più volte è stato citato e ringraziato per il suo impegno a favore della dignità dell’uomo, soprattutto del più debole e fragile. La veglia, ottimamente preparata dall’ufficio famiglia diretto da don Giuseppe Nevi, ha ripercorso le quattro parti del messaggio dei vescovi dal titolo “La misericordia fa fiorire la vita”: la vita è cambiamento, la vita è crescita, la vita è dialogo, la vita è misericordia. Attraverso i contributi di riflessione e preghiera di grandi testimoni del nostro tempo come San Giovanni Paolo II, il genetista francese Jérôme Jean Louis Marie Lejeune o Benedetto XVI è stata ribadita la necessità di abbondonare stili di vita sterili, come quelli ingessati dei farisei, e di allargare il cuore trasformando la vita in dono. Particolarmente forte la condanna dell’aborto, della carenza di autentiche politiche familiari, del calo demografico frutto di un’esistenza troppo opulenta, ma anche di tante forme di oppressione. A metà della veglia diverse aggregazioni che si impegnano a tutelare, custodire e promuovere la vita si sono presentate al nuovo vescovo: dal Centro Aiuto alla Vita nato nel lontano 1982, all’associazione “Difendere la vita con Maria” che si occupa di seppellimento dei feti abortiti, ai Consultori UCIPEM di Cremona, Viadana e Caravaggio, all’associazione “Il Cireneo” che gestisce “Casa d’oro” che accoglie durante il giorno bambini diversamente abili, fino all’associazione il Girasole di familie affidatarie, ai Centri Aiuto alla Vita di Cremona, Cassano d’Adda e Casalmaggiore, alla Cooperativa Nazareth attenta soprattutto ai giovanissimi stranieri sino a tre realtà impegnate nell’accoglienza di ragazze in difficoltà come Casa Famiglia S. Omobono, Focolare Grassi e Casa Ozanam della San Vincenzo. Un vero e proprio mosaico di bene che di fronte a mons. Napolioni si è formato pian piano e che ha mostrato la vivacità di una Chiesa che si sente in prima linea nella difesa e promozione di ogni persona. Nella sua riflessione mons. Napolioni ha ricordato che la Chiesa, riprendendo immagini tanto care a papa Francesco, è «madre di ogni uomo e donna della terra, maestra non saccente in umanità, infermiera del mondo». Un ruolo fondamentale soprattutto in questo tempo malato di individualismo e di paura di chi è diverso: «Abbiamo bisogno – ha affermato – di uomini e donne che sappiano vegliare e scorgere ciò che ci unisce prima di ciò che ci divide, che amino il bene comune prima di quello privato, che siano convinti costruttori di dialogo con tutti. Perchè pacificati nel profondo». E poi ancora: «Come cristiani non vogliamo restare soli a vegliare in chiese sempre più vuote, quando possiamo uscire, anche nel buoio di certi notti, incontro a chi – senza saperlo – cerca Dio, attende la Parola, e non può vivere senza il dono della salvezza». Infine un invito, grande e lieto, a riconoscere che la vita è impreziosita dalla misericordia di Dio. «Lo sanno le lacrime di quelle donne che hanno finalmente consegnato alla misericordia di Dio e alla maternità della Chiesa i loro aborti non confessati per decenni, a costo di perdere serenità e dignità, ritrovate finalmente in Cristo» e «lo sanno anche certi “scarti” della società che meritano ogni cura da parte di chi sa, nella luce della fede, quanto essi sono preziosi e potenti agli occhi di Dio. E lo sa chi veglia gli inutili, i “terminali”, i morenti: autentici battistrada dell’eternità, che ci insegnano la misura vera del tempo e delle cose». E infine: «Lo sapremo ciascuno di noi, se faremo dell’amore alla vita, alla vita di tutti, a tutta la vita, il nostro progetto, metodo e stile, nella quotidianità di gesti magari nascosti ma efficaci». Al termine della veglia è stato consegnato il Premio “Mariolina Garini” al Centro Aiuto alla Vita di Casalmaggiore per l’impegno costante profuso nella difesa dell’uomo. Il riconoscimento è stato consegnato dal dottor Paolo Emiliani, presidente del Movimento per la Vita, e da Alfeo Garini, marito di Mariolina, alla presidente del Cav Casalasco. La serata è stata particolarmente suggestiva soprattutto grazie alle ombre cinesi sulle diverse fasi della vita proposte dai ragazzi di Vicomoscano-Casalbellotto-QuattrocaseFossa Caprara e al monologo dell’attore viadanese Simone Coroni che ha attualizzato nell’oggi quell’elogia alla follia di Erasmo da Rotterdam. Un plauso a chi ha animato nel canto la serata: il coro giovanile Joy Voices di Casalmaggiore che ha letteralmente coinvolto l’assemblea e anche i due vescovi. Le offerte raccolte al termine andranno al Progetto Gemma che prevede l’adozioni di giovani donne che, senza un aiuto economico, interroperebbero la gravidanza. Photogallery Inaugurata dal prof. Guariso l'edizione 2016 de “La fatica di credere”: on-line l'audio della relazione La fatica di credere, giunta quest’anno alla sua quattordicesima edizione, si incarica quest’anno di indagare il filo doppio che lega la salute della terra e il benessere dell’uomo; legame che Papa Benedetto aveva riassunto nell’espressione “ecologia umana” e che Papa Francesco nella sua Laudato si’ ha ripreso e rilanciato. Sulla scia di questa visione non parziale si è collocato il primo incontro della rassegna, dove alla competenza e alla passione del professor Giorgio Guariso del Politecnico di Milano è stato affidato il difficile compito di fotografare la salute del nostro pianeta. Il relatore, che nella sua attività di ricerca si occupa di modelli e sistemi per prendere decisioni per interventi sul territorio, ha iniziato la sua panoramica denunciando la difficoltà a studiare problemi planetari secondo il modo consueto di fare scienza: la difficoltà di fare esperimenti, i tempi di alcuni fenomeni (basti pensare quelli legati alla specie umana) e la quasi impossibilità di tradurre in linguaggio formale i dati acquisiti rendono ardua la costruzione di modelli su come funzionino fenomeni come il riscaldamento globale, la distribuzione delle precipitazioni ecc. Denunciati così i limiti della ricerca, il relatore non si è però sottratto al compito di presentare alcuni aspetti decisivi per descrivere come sta la Terra. Catturando il pubblico, non abbastanza folto data la gravita e attualità del tema trattato, il prof. Guariso è riuscito a cogliere alcuni snodi fondamentali riguardanti la demografia (crescita esponenziale della popolazione terrestre, natalità, invecchiamento della popolazione in alcuni paesi, ecc…), il disboscamento e la qualità dell’aria (chiarendo tra l’altro alcuni concetti legati al problema delle polveri sottili), il riscaldamento della terra, la distribuzione e la qualità dell’acqua dolce, l’uso di energia rinnovabile e non. L’uso di immagini e di grafici anche animati, talvolta avvincenti, hanno contribuito a rendere l’esposizione chiara e appassionante. La fotografia che emerge è quella di un pianeta in stato di salute precario, in cui si stanno muovendo alcuni passi anche se talvolta troppo timidi per correggere un certo modo di vivere e di sfruttare le risorse della Terra e in cui forse non c’è abbastanza consapevolezza e desiderio di approfondire e di prendere decisioni. Senza indulgere in catastrofismi, il relatore ha segnalato però l’urgenza di un cambio di rotta in merito soprattutto al modo con cui il nostro mondo occidentale vive al di sopra della sostenibilità ambientale. Di grande saggezza anche la sua considerazione che non saranno solo le nostre conoscenze scientifiche a salvarci, anche se renderanno più fruibili le energie rinnovabili o meno dannoso l’impatto delle nostre attività. Occorre un cambio di mentalità che rimanda ad una rinnovata consapevolezza di valori e atteggiamenti che esigono altra educazione e sensibilità. La relazione del prof. Guariso Risposte al dibattito L’ecologia umana quindi è decisiva per l’ecologia del nostro pianeta: se ne saprà di più esplorando il nesso tra spazio e tempo nell’uomo postmoderno nell’incontro del prossimo 20 febbraio. La presentazione dell’edizione 2016 L'esibizione del Coro delle voci bianche del Teatro alla Scala per i vescovi Antonio e Dante La prima settimana del vescovo Napolioni a Cremona si è conclusa in maniera davvera eccellente: domenica 7 febbraio, in una Cattedrale affollata come nelle grandi occasioni, si è tenuto il concerto del Coro di voci bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala. Un evento di alto valore culturale voluto dalla diocesi in collaborazione stretta con la Fondazione Arvedi-Buschini per dare il benvenuto al nuovo pastore della Chiesa cremonese e per ringraziare mons. dopo 14 anni di intenso servizio pastorale. erano seduti in prima fila affiancata dal mons. Mario Marchesi e dal parroco della Alberto Franzini. Dante Lafranconi Entrambi i presuli vicario generale, Cattedrale, mons. Proprio quest’ultimo, all’inizio del concerto, ha fatto gli onori di casa presentando il coro, composto da poco meno di cinquanta ragazzi e ragazze, il direttore Bruno Casoni e l’organista Fausto Capolari, volto noto in città per la sua importante attività concertistica, ma anche per essere da molti anni il titolare dell’organo Mascioni del massimo tempio cittadino, vero e proprio mago dell’improvvisazione. Mons. Franzini ha ricordato che l’ascolto della buona musica non è solo un godimento estetico, ma una profonda avventura spirituale che porta lo spirito umano a schiudersi al divino. http://www.diocesidicremona.it/wp-content/uploads/2016/02/2016 -02-07-concerto_franzini.mp3 La serata ha avuto inizio con un brano d’organo, la BWV 147 scritto negli anni giovanili da Johann Sebastian Bach, cui è subito seguito il corale dolce e intenso , dello stesso autore, Jesus bleibet meine Freude (Gesù rimane la mia gioia). Caporali ha poi eseguito le Litanies di Jehan Alain, una delle figure più significative del Novecento organistico, un brano austero che echeggia modi gregoriani. E sempre dello stesso autore è stata eseguita dal coro, con l’ausilio del flauto di Federica Mandaliti, la Messa Modale scritta dal compositore e organista francese nel Natale del 1938 per la chiesa di SaintNicolas a Maisons-Laffitte. Una messa ricca di nuances e di mistero che crea sempre un’atmosfera di profonda e serena di spiritualità. Nel repertorio del Coro di voci bianche del Teatro alla Scala non poteva mancare una pagina di Giuseppe Verdi, l’Ave Maria, preceduta da una vibrante parafrasi elaborata dallo stesso Caporali. Si tratta di un mottetto in origine per soprano ed archi. In lingua volgare, traduzione di un testo liturgico attribuito a Dante Alighieri, questo brano rimanda a lezioni palestriniane, nel quadro comunque di una ricercata armonia tardo-ottocentesca. Sono seguiti di Felix Mendelssohn-Barholdy tre mottetti: il Veni Domine, il Laudate pueri e il Dominica II post Pascha. Brani estremamente romantici nell’interazione fra canto corale e organo con echi di modelli gregoriani. La serata si è conclusa col pezzo forse più struggente e maestoso: la Carità di Gioacchino Rossini interpretata dalla giovanissima e valente soprano Barbara Massaro. Davvero eccezionale Caporali che prima dell’esibizione corale ha offerto una introduzione e fuga per solo pedale che ha lasciato estasiasta la folta assemblea. Al termine della serata hanno preso la parola i due vescovi. Mons. Napolioni ha espresso parole di elogio e di gratitudine per aver dischiuso le porte della grazia del canto, ma anche della fanciulezza che spinge a guardare il futuro con speranza: «La lode a Dio che questa sera abbiamo innalzato – ha precisato – ci insegna ad ammirare tutta la bellezza che circonda». Da parte sua mons. Lafranconi ha affermato che il concerto – vera e propria armonia di voci – è certamente di buon augurio perchè il suo servizio episcopale ormai terminato e quello del vescovo Napolioni all’inizio possano ben armonizzarsi: «Per questo – ha concluso – vi chiediamo l’aiuto della preghiera». http://www.diocesidicremona.it/wp-content/uploads/2016/02/2016 -02-07-concerto_vescovi.mp3 Photogallery (foto Chiodelli) Il vescovo Antonio a S. Agata: prima visita del presule in una Parrocchia Prima visita del vescovo Antonio in una delle parrocchie della diocesi: l’occasione è stata la festa patronale di S. Agata, a Cremona. Quasi una consuetudine per la comunità di Sant’AgataSant’Ilario, guidata da mons. Dennis Feudatari, poter contare sulla presenza del Vescovo, a sua volta emozionato perché, come ha confessato all’inizio della celebrazione, per lui – fino a pochi giorni fa parroco – è stato quasi come ritornare tra la propria gente. Mons. Napolioni è stato accolto dal parroco alle 10 sul piazzale antistante la chiesa. Una volta in chiesa il Vescovo ha asperso l’assemblea e, accompagnato in processione dai ministranti, si è recato nella cappella del Santissimo per un momento di preghiera personale. Passando tra l’assemblea non ha mancato di salutare i fedeli, fermandosi in particolare per un momento privilegiato con le persone in carrozzina. Dopo che il Presule ha indossato i paramenti liturgici, in una chiesa gremita ha preso avvio la processione d’ingresso. Accanto al Vescovo i quattro sacerdoti delle parrocchie di S. Agata e S. Ilario: il parroco mons. Feudatari, il vicario don Stefano Montagna e i collaboratori don Angelo Guerreschi Parizzi e don Franco Regonaschi. A dare il saluto ufficiale al Vescovo è stato mons. Feudatari che ha ricordato come “fin dagli inizi dell’unità pastorale abbiamo voluto come premessa e come promessa l’unica Eucaristia domenicale per la famiglia cristiana”, presentando poi idealmente al Vescovo le diverse realtà che compongono le parrocchie. Poi ha aggiunto: “Questa famiglia ha creduto e crede nella chiamata ad essere comunità unita e, perciò, sta camminando in salita, a passo cadenzato, imbragati dalla grazia, dalla Parola del Signore. Ma l’euforia o lo sconforto sono alla portata di ogni chiodo piantato o varcato, o ad ogni pioggerellina che fa scivolare il piede. Chiara è la meta. Siamo fidenti nel capocordata che è Cristo Signore”. http://www.diocesidicremona.it/wp-content/uploads/2016/02/2016 -02-07-salutoSantAgata-Cremona.mp3 Iniziando l’omelia mons. Napolioni ha lasciato spazio ad alcuni sentimenti di questi primi giorni da vescovo: “Io sto scoprendo, minuto per minuto, – ha detto – la mia moglie, la mia famiglia, la mia nuova vita. Quindi non nascondo la felicità. Non per il numero – so che siete più di 7mila nell’unità pastorale – ma per i sorrisi, per la vita, per la fraternità che si respira, per la preghiera, per la presenza di Cristo in noi. Lasciamoci sempre stupire dalla presenza del Signore, non facciamoci mai l’abitudine”. Poi il richiamo alla patrona, occasione per riflettere sulla realtà dei martiri, oggi più di un tempo. E subito una precisazione: martire non è sinonimo di kamikaze, ha detto commentando la prima lettura. “Vogliamo essere questi discepoli dei martiri – ha chiesto – che dalla loro memoria traggono giustificazioni per una rinnovata violenza cristiana? C’è stata la violenza cristiana nella storia, non nascondiamocelo, e oggi magari ci sono violenze targate in nome di altre religioni. È una tentazione! E dobbiamo dirgli di no: non è il Vangelo! È qualcosa che istintivamente è comprensibile, ma che distrugge noi stessi insieme agli altri. Quindi no a vedere i martiri come dei soli combattenti in nome di Cristo”. Mons. Napolioni ha poi messo in guardia da una seconda tentazione: “fare le vittime, diventare vittimisti e lamentosi. Chi dei nostri figli e dei nostri ragazzi ci seguirà se questo è il Cristianesimo, fonte di pessimismo e di scoraggiamento! Ma per fortuna arriva Gesù. Gesù, con la sua parola e con la sua vita, ci indica la strada: né terroristi né vittimisti, ma riconoscenti e riconoscibili”. E ancora: “Non dobbiamo certo nascondere la nostra fede, ma non si tratta di mettersi divise o distintivi”. Ciò che rende riconoscibile un cristiano è altro: “Da che cosa si vede che siamo stati a Messa? Da come torniamo a casa contenti, dal sorriso, dagli occhi che brillano, dalla capacità di abbracciare, da questa tenerezza che riceviamo da Dio che diventa capace di rigenerare i nostri rapporti. Ha detto Gesù: chi mi riconoscerò davanti agli uomini anch’io lo riconoscerà davanti al padre. Riconoscere Gesù significa accorgersi della sua presenza”. “La gioia è la vera forza – ha sintetizzato il Vescovo –, la contentezza di sentirsi amati e nutriti da Dio, l’amore profondo che ci commuove e ci consola. Allora saremo riconoscenti, pieni di gratitudine, non ci basterà la vita per dire grazie: avremo l’eternità per vivere in una gratitudine infinita che non ci stancherà mai”. E ha concluso: “Lo chiedo al Signore con tutto il cuore, per me, per voi, per i vostri sacerdoti, per tutta la comunità, per chi più è nella difficoltà, perché non si senta solo, perché le case non restino chiuse, perché ci si accorga gli uni degli altri e ci si incoraggi a vivere con questa serena fierezza la nostra fede”. È stata una celebrazione solenne, ma nello stesso tempo familiare e accogliente. E proprio in questo clima di casa mons. Napolioni, prima della benedizione finale, ha voluto ringraziare la comunità per aver “allevato e custodito” il proprio segretario, da 30 anni residente a S. Agata. E non è mancata neppure una battuta sugli avvisi “proprio come li avrei fatti io nella mia parrocchia”, ha detto il Vescovo, con un po’ di nostalgia per la propria terra, ma anche la certezza di essere chiamato a guidare una porzione di Chiesa che è in comunione con quella universale. Al termine della Messa volentieri con la gente chiesa e poi in oratorio, per le persone sofferenti mons. Napolioni si è intrattenuto di S. Agata e S. Ilario, prima in riservando un attenzione particolare e i bambini. Photogallery A Rivolta d'Adda festa del beato Spinelli con il vescovo Antonio, che nel pomeriggio ha visitato Casa Famiglia e le Adoratrici anziane. Online le foto Sabato 6 febbraio, memoria liturgica del beato Francesco Spinelli, il carisma dell’Istituto delle Suore Adoratrice da lui fondate è stato al centro della giornata vissuta a Rivolta d’Adda dal vescovo Antonio. Per lui, infatti, è stata l’occasione di conoscere da vicino l’operato di queste suore, per la prima volta incontrate personalmente così come gli anziani e i diversamente abili di cui amorevolmente esse si prendono cura nella “Casa famiglia” intitolata proprio al loro Fondatore. La Messa in Casa madre L’intensa giornata ha preso avvio alle 10 nella chiesa di Casa madre, dove il vescovo Antonio ha presieduto la solenne Eucaristia. Insieme a lui, accompagnato dal segretario e cerimoniere don Flavio Meani, è giunto da Cremona anche il vescovo emerito mons. Dante Lafranconi. Ma non mancava neppure un terzo vescovo: mons. Martin de Elizalte, emerito di Nueve de Julio (Argentina). A dare il benvenuto ai tre vescovi è stata la superiora generale, madre Isabella Vecchio, affiancata dalle suore del Consiglio e alcune delle precedenti madri generali. Dando il “benvenuto nella famiglia delle Adoratrici” a mons. Napolioni, madre Vecchio ha fatto sue le parole del beato Spinelli: “All’amatissimo Vescovo rinnovo la protesta sincera della mia filiale riconoscenza e sudditanza. Mi consola il pensiero di averlo mai disobbedito e d’averlo fatto anche con mio danno materiale, ma ho fiducia di aver acquistato qualche modesto vantaggio spirituale. Si obbedisca sempre, da tutti, al Vescovo”. “Si senta amato e ricordato ogni giorno nella preghiera d’adorazione – ha affermato la Generale – ma anche nell’offerta della sofferenza, soprattutto da parte delle sorelle ammalate”. “La strada l’ha imparata, ritorni quando desidera”, ha proseguito, rivolgendo poi parole di ringraziamento al “nostro amato” vescovo emerito Lafranconi, per “tutto il bene che ci ha voluto in questo 14 anni: non è mai mancato e penso continuerà questa comunione dello Spirito, che va oltre i ruoli e oltre i tempi”. E ancora: “È bello avervi qui insieme: i nostri Vescovi! Penso sia la testimonianza più grande e più autentica di comunione nella Chiesa”. http://www.diocesidicremona.it/wp-content/uploads/2016/02/2016 -02-06-salutoGenerale-Rivolta-Adda.mp3 “Sono ancora in garanzia”, ha scherzato il vescovo Antonio rispondendo al saluto della Madre. “Veramente il Signore prepara – ha continuato – la nostra famiglia e la nostra umanità. La parentela spirituale è la più vera! Il Signore ha preparato da sempre il vescovo Dante perché fosse mio padre nell’episcopato. Allora contempliamo questo mistero andando alla sorgente, dalla quale il beato Francesco ha attinto”. In una chiesa gremita, tra tanti amici dell’Istituto, alcuni degli ospiti di Casa Famiglia, e naturalmente tante suore adoratrici, non mancavano neppure le autorità del territorio con il primo cittadino di Rivolta d’Adda, Fabio Calvi. Diversi i sacerdoti concelebranti, della diocesi di Cremona e non solo. E come ormai tradizione hanno voluto essere presenti anche le Suore Sacramentine, fondate da madre Gertrude Comensoli insieme al beato Spinelli. Nell’omelia mons. Napolioni si è anzitutto soffermato sulla “chiesa di casa madre: tre parole che mi sembra contengano un programma”. Anzitutto nella consapevolezza che il Signore sceglie ciascun uomo come “sua casa”: “Si fa casa in noi, piccoli e indegni – ha precisato il vescovo di Cremona –. E fa sì che noi troviamo casa in Lui, porto sicuro delle nostre fatiche e sofferenze”. E ha proseguito: “È la sostanza della fede: di tanti, nel mondo, da sempre. Ma credo che sia in particolare un’esperienza specificamente sacerdotale: quella che ha fatto il beato Francesco Spinelli. L’esperienza che ha fatto lui: non l’ha voluta, gli è venuta incontra. Ed egli l’ha accolta, si è ‘lasciato fare’ da questa esperienza di un Dio che fa casa e che dimora in noi. È l’esperienza che lo ha generato e rigenerato continuamente, che lo ‘ha fatto’ ogni giorno di più uomo, prete e santo: Gesù eucaristia”. “Un prete – ha detto ancora – se prova da solo a misurarsi con questa chiamata scoppia, non ce la fa e magari si arrende. Fare casa a Cristo e con Cristo diventare casa accogliente! Io spesso non ci sono riuscito. Ma se accanto a lui affiorano anime, spesso di donne umili e generose, come madre Geltrude, Caterina e le altre Adoratrici, di allora, di oggi, e di domani, allora si diffonde un contagio benefico. Allora è possibile: ci si incoraggia gli uni gli altri”. Poi il Vescovo ha voluto specificare il senso autentico dell’adorare. Lo ha fatto rifacendosi alla parole di Papa Benedetto XVI alla Gmg di Colonia, mettendo in guardia da ciò l’uomo può adorare finendo per diventarne schiavo. “Il beato Spinelli insegna ad adorare e subito a condividere – ha detto – perché non si può possedere Cristo e nascondersi davanti al suo corpo piagato che giace ai bordi delle strade”. Dalla prima lettura, dell’apostolo Pietro, mons. Napolioni ha quindi tratto tre spunti di riflessione. Anzitutto rifacendosi al sogno del giovane Spinelli a S. Maria Maggiore: intuizione del carisma delle sue suore. “Cristo vive e parla nel cuore di chi si apre all’amore e sente il bisogno di lasciarsi amare per imparare ad amare, e crede che tutto gli viene dato nell’Eucaristia per tutto ridare nella carità. Noi siamo come dei canali: tutto riceviamo e tutto restituiamo”. Il Vescovo non ha neppure tralasciato il fatto che spesso i santi vengano non compresi e rifiutati. “In un certo senso – ha detto – la morte dobbiamo assaporarla prima di portare pienamente frutto: dobbiamo scendere agli inferi, accettare l’umiliazione e quell’opera riparte resa più feconda dalla passione condivisa con Cristo. Ecco perché possiamo guardare con fiducia alla storia: anche alle nostre storie di famiglia che a volte sono sballate e a pezzi. È la forza della mitezza riapre la storia. Mi viene in mente un mio amico, che sta soffrendo perché non riesce a vivere serenamente il rapporto di coppia. Io gli dico sempre: ‘Sta zitto e aspetta! Il Signore ti aprirà una strada’. Mentre, invece, il risentimento, o peggio la vendetta – avvelenano la storia e ci fanno precipitare”. Da ultimo, richiamando la testimonianza su don Spinelli data dal curatore fallimentare, ha sottolineato “la gioia del perdono” del Beato, nella consapevolezza che “chi come lui si abbandona alla Presenza di Gesù, libera dal suo cuore immense capacità di misericordia, anche oggi così necessarie per guarire le ferite più profonde dell’anima”. “Allora grazie, sorelle, che tenete viva non tanto la memoria, ma il dono, attingete alla sorgente, e rendete accogliente anche oggi, più che mai, questa Casa Madre, questa Casa Famiglia, diventando voi stesse, come il vostro Fondatore, casa di Dio e dei poveri. Anche nelle missioni che vi rendono presenti in paesi lontani, dove la Chiesa è giovane e ci dà tanta speranza – ha concluso –. Non fate bilanci, non guardatevi indietro se non per ringraziare, non guardare al futuro se non con l’entusiasmo credente del beato Francesco”. Photogallery La visita alle strutture Dopo il pranzo con le suore a Casa Madre, per il vescovo Antonio il pomeriggio è stato l’occasione per visitare le strutture delle Adoratrici a Rivolta. Intorno alle 15 la prima tappa è stata “Casa Famiglia”, luogo di accoglienza per anziani e disabili. Le parole attaccate ad alcuni palloncini colorati offerte al Vescovo da quattro ospiti hanno permesso di comporre una frase del beato Spinelli. Per tutti l’appuntamento è stato nella chiesa della struttura dove il Vescovo ha incontrato personalmente tutti i presenti, rispondendo anche ad alcune loro domande, occasione di reciproca conoscenza. Photogallery della visita a Casa Famiglia Mons. Napolioni ha quindi fatto visita ad alcuni dei reparti prima di recarsi a “Santa Maria”, la struttura che ospita le religiose anziane o malate. Qui l’incontro con le suore è iniziato nella cappella, con la preghiera del Vespro, cui ha preso parte anche il vescovo Dante. Mons. Napolioni ha colto l’occasione per ringraziare le suore per il prezioso servizio svolto nella loro vita a favore delle giovani generazioni e dei sofferenti, nella consapevolezza che il Signore ricompenserà le loro fatiche garantendo certamente di più di quanto loro hanno potuto donare. Il pomeriggio si è quindi concluso con la visita del Vescovo alle suore allettate, con una particolare parola di conforto e una benedizione tutta personale. Photogallery dell’incontro con le suore a S. Maria Gli altri eventi In preparazione alla festa del Fondatore, le Adoratrici hanno organizzato una serie di eventi sia per presbiteri sia per laici. Giovedì 4 febbraio, in Casa madre, si è svolta la giornata sacerdotale che ha visto la presenza di padre Innocenzo Gargano, monaco camaldolese e biblista. Venerdì 5 febbraio, invece, alle 21 in Casa madre, si è svolta una serata di riflessione sulla figura di don Spinelli dal titolo: “Perdonare a me fu sempre cosa dolce”. A condurre l’incontro è stata suor Loredana Zabai. La sera di sabato 6 febbraio, infine, alle 21 in Casa Madre, l’adorazione comunitaria. Biografia del beato Spinelli Nato a Milano il 14 aprile 1853 da genitori bergamaschi a servizio dei Marchesi Stanga, Francesco cresce bravo e vivace e, come S. Giovanni Bosco, è pieno di gioia quando attira gli altri bambini organizzando spettacolini di marionette. Quando è libero, la mamma lo conduce a visitare poveri e ammalati e lui è felice di amare e aiutare il prossimo, come insegnato da Gesù. Nasce la vocazione, e Francesco studia a Bergamo, e viene ordinato sacerdote nel 1875. In quello stesso anno si reca a Roma per il Giubileo, e in S. Maria Maggiore ha una visione: uno stuolo di vergini che adorano Gesù Sacramentato. Don Francesco capisce il progetto della sua vita, ma aspetta il momento giusto per realizzarlo. Tornato da Roma, svolge attività educative e una scuola serale presso l’ oratorio di don Palazzolo, un’apostolato fra i poveri nella parrocchia dello zio don Pietro, l’insegnamento in Seminario e la guida di alcune comunità religiose femminili, fino a quando nel 1882 recatosi a S.Gervasio d’Adda (CR) incontra una giovane ragazza, Caterina Comensoli, che desidera diventare religiosa in una congregazione che abbia come scopo l’Adorazione Eucaristica. Don Francesco può così realizzare quel sogno visto in S. Maria Maggiore. Il 15 dicembre 1882 le prime aspiranti suore entrano in una casa che sarà il primo convento, in via S. Antonino a Bergamo. Quel giorno l’Istituto delle Suore Adoratrici ha inizio. Intanto si aprono nuove case e le religiose accolgono handicappati, poveri e ammalati. Tutto va bene fino a quando, per una serie di spiacevoli equivoci, don Francesco è costretto ad abbandonare la diocesi di Bergamo, e il 4 aprile 1889 si trasferisce in diocesi di Cremona, a Rivolta d’Adda, dove le sue figlie hanno aperto una casa. Il sacerdote non può più governare l’Istituto, e così la fondazione si divide: madre Comensoli fonda la congregazione delle Suore Sacramentine, don Francesco quella delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento. Ottenuta la giusta approvazione, le Adoratrici prendono vita. Esse hanno il compito di adorare giorno e notte Gesù nell’Eucarestia e di servire i fratelli poveri e sofferenti, nei quali “Ravvisare il Volto di Cristo”. Gesù è la fonte e il modello della vita sacerdotale di don Francesco, dal quale prendeva forza e vigore per servire gli altri. A Rivolta si piega a cercare Cristo fra gli infelici, gli emarginati, i respinti, e dove c’è un bisogno di qualsiasi tipo: scuole, oratori, assistenza agli infermi, agli anziani soli. I suoi prediletti sono i portatori di handicap, per i quali nutre un affetto di padre. Per loro, oltre all’assistenza, si prodiga per farli organizzare in semplici lavori per sollecitare la loro capacità e promuovere una maggiore autonomia personale. Crede in loro e non li tratta come dei “minorati”. Accoglie i giovani del grosso borgo cremonese, nella casa madre, ed è felice di trovarsi con loro e farli divertire. Circondato da vastissima fama di santità, raggiunge l’amato Dio, il 6 febbraio 1913. Viene dichiarato beato da Giovanni Paolo II il 21 giugno 1992,nel Santuario Mariano di Caravaggio. Beato Francesco Spinelli, sacerdote Messale Lezionario Liturgia Ore Proseguono le iscrizioni al pellegrinaggio a Roma presieduto dal vescovo Antonio Sarà il vescovo Antonio a presiedere il pellegrinaggio diocesano a Roma dal 22 al 24 febbraio in occasione dell’Anno Santo straordinario della Misericordia. Sono già 250 gli iscritti – tra i quali anche il vescovo emerito Dante Lafranconi – alla proposta del Segretariato pellegrinaggi che si avvale dell’assistenza organizzativa dell’agenzia viaggi Profilotours, ma ci sono ancora diversi posti disponibili. Il programma della trasferta capitolina, curato da don Roberto Rota, prevede l’arrivo in città nel pomeriggio di lunedì 22 febbraio, festa della cattedra di San Pietro. Il gruppo dei cremonesi si ritroverà a Castel Sant’Angelo per iniziare il cammino giubilare verso la basilica di San Pietro dove avverrà il passaggio per la Porta Santa. Nella basilica vaticana mons. Napolioni presiederà, poi, alle 17 l’Eucaristia solenne della festa della Cattedra, solitamente riservata al cardinale arciprete. Il giorno successivo, martedì 23, in mattinata è prevista la celebrazione dell’Eucaristia nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme e a seguire la visita alle altre due basiliche papali: San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore. Nel pomeriggio i cremonesi saranno impegnati in un suggestivo percorso storico-artistico nel centro della capitale: si partirà dai Fori Imperiali per poi far tappa al Campidoglio, al Carcere Mamertino, alle chiese di San Marco, del Gesù e di Sant’Ignazio, a Fontana di Trevi, fino a piazza di Spagna e a piazza del Popolo. Mercoledì 24 febbraio la mattinata sarà dedicata alla partecipazione all’udienza generale di Papa Francesco in piazza San Pietro. Al termine è in programma la celebrazione della Messa in una chiesa in zona Vaticano. Quindi il trasferimento a San Paolo Fuori le Mura, sulla via Ostiense, per la visita alla basilica che conserva la memoria dell’Apostolo delle genti. Nel pomeriggio l’inizio del viaggio di rientro. Un secondo pellegrinaggio è previsto dal 10 al 13 ottobre. Cliccare qui per i dettagli della proposta per gruppi e per singoli Tutte le proposte di pellegrinaggi per il 2016 La riflessione di don Rota sull’importanza del pellegrinaggio a Roma Donato dal card. Comastri al santuario di Caravaggio un mattone della Porta Santa della basilica vaticana È stata posizionata all’ingresso del Sacro fonte al Santuario “Santa Maria del Fonte” presso Caravaggio una delle mattonelle che componevano il muro con il quale era stata chiusa la Porta Santa della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano. Grazie all’interessamento di Claudio Mario Bressani, volontario del santuario, e per la grande devozione di Mons. Cesare Burgazzi, canonico della Basilica Vaticana e capoufficio alla segreteria di Stato, lo scorso gennaio è stato consegnato al rettore don Antonio Mascaretti il mattone donato dal card. Angelo Comastri Arciprete della Basilica in «segno di legame con il successore di San Pietro». Il muro dal quale il mattone proviene, è stato demolito successivamente alla cerimonia di “Recognitio della porta santa” svoltasi lo scorso 18 Novembre. La celebrazione è stata presieduta dal card. Comastri, che ha guidato la processione del Capitolo della Basilica, quattro “sampietrini” hanno abbattuto a colpi di piccone il muro che sigillava la Porta Santa, estraendo la cassetta metallica custodita dal momento della chiusura del Grande Giubileo dell’Anno duemila e contenente i documenti dell’ultimo Anno Santo, tra cui la chiave che ha consentito di aprire la Porta santa, le maniglie, oltre alla pergamena del rogito, mattoni e medaglie commemorative. Dopo aver pregato all’altare della Confessione, la processione ha raggiunto la Sala capitolare dove la cassetta metallica estratta dalla porta è stata aperta con la fiamma ossidrica. Oltre al Maestro delle cerimonie liturgiche di Papa Francesco, monsignor Guido Marini, che ha preso in consegna i documenti e gli oggetti della Recognitio, era presente l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova evangelizzazione. La porta Santa è stata aperta dal Santo Padre Francesco, l’8 Dicembre scorso dando ufficialmente inizio al Giubileo Straordinario della Misericordia.