fuoco su di me - Amici del Cabiria

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fuoco su di me - Amici del Cabiria
FUOCO SU DI ME
Anno: 2005
Data di uscita: 28/3/2006
Durata: 100
Origine: ITALIA
Genere: DRAMMATICO - STORICO - SENTIMENTALE
Tratto da: LIBERAMENTE ISPIRATO AL ROMANZO "GRAZIELLA" DI ALPHONSE DE LAMARTINE
Produzione: SERGIO SCAPAGNINI PER INDRAPUR CINEMATOGRAFICA E STELLA FILM IN COLLABORAZIONE
CON RAICINEMA E FOCUS FILM
Distribuzione: ISTITUTO LUCE (2006)
Regia: LAMBERTO LAMBERTINI
Attori:
OMAR SHARIF
PRINCIPE NICOLA
MASSIMILIANO VARRESE
EUGENIO
SONALI KULKARNI
GRAZIELLA
ZOLTAN RATOTI
GIOACCHINO MURAT
MAURIZIO DONADONI
AYMON
NICOLA DI PINTO
MAGGIORDOMO
ANTONELLA STEFANUCCI
GOVERNANTE
GIACINTO PALMARINI
MASSEO
MARC FIORINI
MAYER
SUSANNA SMIT
CAROLINA MURAT
BRUNO LEONE
BURATTINAIO
SURAMA DE CASTRO
CAMILLE
MICHELE ALHAIQUE
PESCATORE
FILOMENA IAVARONE
GIOCONDA
ERNESTO LAMA
CECCO
MARIA DEL MONTE
LIBERINA
EGANO LAMBERTINI
GIOCATORE
BRUNO MARINELLI
MINISTRO
NANDO MUROLO
GIOCATORE
NANDO NERI
ARCANGELO
MARCELLO ROMOLO
CAPITANO
GISELLA SOFIO
GIOCATRICE
Soggetto: ALPHONSE DE LAMARTINE - LAMBERTO LAMBERTINI
Sceneggiatura: LAMBERTO LAMBERTINI - SERGIO SCAPAGNINI
Fotografia: PINO SONDELLI
Musiche: SAVIO RICCARDI
Montaggio: ANNA NAPOLI
Scenografia: CARLO DE MARINO - LUIGIA BATTANI
Effetti: GUIDO PAPPADA'
Costumi: ANNALISA GIACCI
Trama:
Napoli, 1815. Dopo aver vissuto per tanti anni in Francia, il giovane Eugenio torna a casa per curarsi una grave ferita riportata
in battaglia. Sono gli ultimi mesi del Regno di Gioacchino Murat, quando il sogno, forse prematuro, di una Italia unita e
indipendente infiammava i cuori del popolo napoletano. Durante la lunga convalescenza, Eugenio riscopre le sue radici mai
dimenticate, inizia a dubitare delle certezze acquisite e scopre il vero amore sognando altre strade più vicine alla natura e allo
spirito del popolo.
Critica:
"Adesso che c'è anche il libro 'Fuoco su di me' può affrontare con maggiori speranze l'incognita del circuito. Il film, insignito
del Premio 'Cinema e Cultura del Dialogo' della Regione Veneto all'ultima Mostra di Venezia, merita attenzione per le sue
qualità compositive, forse le più adatte per rievocare l'effimera epopea di Gioacchino Murat nella cornice di una Napoli più
febbrilmente onirica che puntigliosamente storica. (...) Il viaggio iniziatico è scandito dai consigli e dalle osservazioni
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dell'amatissimo nonno, un nobile aperto alle mutazioni della storia mirabilmente cesellato da Omar Sharif: ed è qui che
Lamberto Lambertini, fine e schivo autore di radio, teatro e cinema, dimostra di sapere governare quel passaggio tra verità e
illusione che travalica il referto di cronaca incarnandosi nelle visioni degli uomini che l'hanno dolorosamente vissuto. Il
merito va esteso agli interpreti che affiancano Sharif - da Massimiliano Varrese a Antonella Stefanucci e Nicola Di Pinto - e ai
deliziosi effetti in stile gouaches forniti da un grande sperimentatore come Guido Pappadà: se il nerbo drammaturgico risente
del pauperismo dei mezzi, le armonie figurative e il flusso rapsodico esprimono valori che arricchiscono l'immaginario dello
spettatore." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 1 aprile 2006)
"'Fuoco su di me' di Lamberto Lambertini, autore di radio, teatro e cinema, gioca sull'intreccio fra verità e illusione,
travalicando quindi la nuda cronaca. E la storia dell'ascesa di Murat al Regno di Napoli si mescola con quella di Eugenio. La
materia è incandescente, ma il regista la governa con mano sottile. Vicino a un Omar Sharif che recita in italiano, a una Sonali
Kulkarni, bella star di Bollywood, che dà vita a una sognatrice credibile, spicca un grandissimo Maurizio Donadoni, nei panni
del cugino cattivo di Eugenio. L'attore, che viene dal teatro, dà una tale vita al personaggio che interpreta, che finisce con lo
spingere gli spettatori a tifare per lui, al posto dell'eroe buono." (Roberta Bottari, 'Il Messaggero', 7 aprile 2006)
Il viaggio interiore di Lamberto Lambertini nella Napoli del 1815. Riflessivo e teatrale con un commosso Omar Sharif
Lo spiazzo davanti ad un castello. Il plotone schierato per la fucilazione. Gioacchino Murat, ex re di Napoli, ordina lui stesso
il fuoco, incitando di mirare al petto. Fra i boschi il giovane Eugenio fugge inseguito dai soldati. Si apre e si chiude con queste
scene il lavoro di Lambertini, in cui lo sfondo storico (1815) di una Napoli sempre fra comicità e dramma, oleografia e
bellezza, serve alla storia di due caratteri, o meglio due possibili modi di essere uomini. Quello del Principe Nicola, alle prese
con la stesura di un "Diario Napoletano" e quella del giovane Eugenio, soldato senza vocazione, alla ricerca di sé stesso. Un
inatteso sbarco a Procida precipita il giovane nell’amore "assoluto" - romantico - per Graziella, irrealizzabile. Ma non
rinuncia, nonostante le accuse di disfattismo del pragmatico cugino Aymon, all’idea di un proprio percorso interiore,
rifiutando violenza, guerra, autoaffermazione esclusiva. Eugenio diventa così lo specchio del nonno Nicola. Quanto questi è
incapace di agire conseguentemente agli ideali, tanto lui, nel finale "aperto" in cui si getta da un precipizio, compie la scelta
della libertà interiore. Opera drammatica, la cui ricchezza di contenuto si condensa nei temi dell’amore, della libertà, della
gentilezza, della famiglia, come vie di una ricerca di sé stessi, allora come ora. Ben girato negli interni, il film mantiene un
andamento teatrale, con dialoghi letterari che ne rendono il ritmo talora lento, anche per l’insistenza su figure di contorno (
l’eremita, il burattinaio…), ma non distolgono dalla riflessione, il che è forse lo scopo vero del regista. Intense le
interpretazioni, da quella commossa di Omar Sharif (Nicola), al volitivo Massimiliano Varrese (Eugenio) alla "mediterranea"
Sonali Kulkarni (Graziella), favorite dall’indugiare sui primi e primissimi piani della mdp. Premiato alla 62a mostra del
Cinema veneziano per "Cinema per la cultura del dialogo".(www.cinematografo.it)
Dopo l’India dell’opera prima Vrindavan Film Studios, Lambertini ci porta questa volta nella Napoli del 1815, negli ultimi
giorni del regno di Gioacchino Murat, cognato di Napoleone, che dopo aver abbandonato la campagna di Russia desidera
riacquistare la fiducia dell’Imperatore progettando di partire con un esercito di patrioti per riunire l’Italia. La stagione delle
riforme e degli ideali rivoluzionari è tuttavia al tramonto: numerosi capi di stato sono riuniti a Vienna in congresso, per
sancire la restaurazione del vecchio ordine.
A narrare gli eventi è il Principe Nicola, letterato e pensatore, interpretato dal carismatico Omar Sharif con un buon italiano.
Parallelamente seguiamo i travagli del nipote Eugenio, un ufficiale tornato a Napoli dopo una grave ferita in battaglia, stanco
di spargere sangue per ideali destinati a soccombere. Suo cugino Aymon, viceversa, è consacrato alla causa napoleonica e
cerca di spronare Eugenio a compiere il suo dovere. Un naufragio costringe il giovane sull’isola di Procida, a contatto con un
frate eremita e una splendida quanto umile fanciulla. Nasce un breve quanto improbabile idillio, alimentato dalla lettura di
Paolo e Virginia, metafora di un’attrazione pura quanto irrealizzabile in tempi di guerra per un soldato.
È il maggio del ’15: Napoleone fugge dall’Elba, il Vesuvio erutta quasi a presagire il precipitare degli eventi. Murat si affretta
ad attaccare a sorpresa gli alleati inglesi ed austriaci, senza aspettare i rinforzi, secondo un disegno irrealizzabile. E il film si
apre e si chiude su di lui, di fronte al plotone d’esecuzione, che sprezzante della morte invita a colpire al petto risparmiando il
viso.
Non è un film biografico Fuoco su di me, ma una riflessione pacata e visivamente elegante sull’involuzione della società, sul
destino degli uomini, sulle energie impiegate a combattere anziché migliorare se stessi e il mondo. È un film corale, con il trait
d’union rappresentato dal personaggio di Omar Sharif che ripercorre con memorie, scritti e riflessioni sette anni di un regno
illuminato, e che commenta i dubbi amletici del nipote, incline a lasciarsi cullare dall’ozio anziché a riprendere le armi.
La Storia si consuma in interni sontuosi, con vedute del Golfo dipinte alle finestre di Palazzo Reale. Le storie sono invece
immerse nelle strade come nei paesaggi di una bellezza che gli uomini non colgono. Elegiaco, intriso di romanticismo e degli
ideali di giustizia e pace, Fuoco su di me è lieve e scorrevole anche nella lunga digressione centrale nella selvatica Procida,
che simboleggia (come in Malick) il richiamo inascoltato della natura.
Il film ha una struttura a incastro tra passato e presente, storia e quotidianità. Il gusto pittorico nella costruzione
dell’immagine, le splendide musiche barocche si aggiungono all’asso nella manica rappresentato dal convincente
protagonista, che sul finale afferma “la gentilezza non appartiene a questa nostra epoca” guardando in macchina: diventa così
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l’alter ego dell’autore, testimone dei tempi che cambiano, di ideali vacillanti. Un film gentile e ispirato, che parla di altri tempi
ma ci costringe a riflettere su quelli che viviamo. (www.fice.it)
Intervista: Lamberto Lambertini “Fuoco su di me”
PRIMA DELLA RESTAURAZIONE
Il tramonto del dominio francese a Napoli in “Fuoco su di me”, con un cast multietnico su cui svetta Omar Sharif.
A dieci anni di distanza dal suo primo lungometraggio, Vrindavan film Studios, Lamberto Lambertini torna ad omaggiare la
bellezza di un luogo. La prima volta è stata l’ammirazione per l’India a spingerlo nel mondo del cinema dopo molti anni di
teatro con Peppe e Concetta Barra; questa volta è Napoli, la sua città, ad essere protagonista del nuovo film, Fuoco su di me,
ambientato nel 1815 durante gli ultimi mesi del Regno di Gioacchino Murat, e recitato da un cast multietnico che va
dall’egiziano Omar Sharif all’indiana Sonali Kulkarni, all’ungherese Zoltan Ratotiri. Italiano invece è il protagonista
Massimilano Varrese, interprete del giovane Eugenio che torna a Napoli dopo molti anni di lontananza, per rimettersi da una
ferita riportata in battaglia. Il contatto con la città, la sua bellezza e l'amore, metteranno in crisi le sue certezze e apriranno
nuove prospettive al suo percorso interiore.
È stato difficile mettere in piedi un film in costume, di produzione indipendente?
Quei due-tre anni che pensavo sufficienti a fare un film su “casa mia”, sulla mia città, sono diventati dieci. Ci ho messo tre
anni e mezzo per scriverlo, poi mi sono trovato negli anni di interregno in cui la vecchia legge cinema non valeva più e la
nuova non c'era ancora. Finalmente con Sergio Scapagnini della Indrapur abbiamo avuto il fondo di garanzia in vecchie lire,
senza avere la possibilità di aggiornare il budget, e abbiamo impiegato altri due anni per trovare dei soci coproduttori, fra cui
Luciano Stella e la Rai. Il film è costato circa 3 milioni di euro, che per un'opera di questo genere, con costumi e scene
d'epoca, non è molto.
Come hai affrontato questo materiale storico? Nelle note di regia parli di “personaggi della storia a loro agio in uno
spazio fuori del tempo”…
La Storia con la “s” maiuscola nel film non si interseca mai con la vicenda del giovane protagonista. È come se gli eventi che
riguardano Gioacchino Murat avvenissero sul palcoscenico di un ideale teatro, con una messa in scena palese che si ispira al
modo di raffigurare gli eroi secondo l'immaginazione popolare, un po' come le figurine di un album. Ho voluto per questo
conservare ai personaggi storici un linguaggio letterale e un modo di recitare un po' enfatico e romantico, tipico di un certo
melodramma, senza cercare di attualizzarli. Secondo me sono più a loro agio così, perché il sogno collettivo li ha sempre
raccontati come fossero personaggi di una favola.
Cosa può suggerirci sul nostro presente una storia ambientata negli ultimi giorni del regno di Gioacchino Murat?
Che la guerra va sempre a intromettersi nei naturali desideri di un giovane, che oggi come ieri sono mirati all'amore e alla
bellezza. L'attualità del film, se esiste, è quella di rappresentare il bivio di fronte al quale si trova un adolescente, fra la
carriera (che allora era la politica o la guerra) e il desiderio di poesia, il sogno. La Restaurazione del 1815 è, come quello che
viviamo oggi, un momento di passaggio di regime, in cui i vecchi ideali muoiono senza che se ne sostituiscano di nuovi.
Gioacchino Murat è l'unico napoleonico che paga la sconfitta con la vita, mentre di solito, quando cade un regime, i perdenti
si salvano con i soldi nascosti da qualche parte. A Napoli la figura dell'invincibile e bellissimo maresciallo, cognato di
Napoleone, è tuttora molto amata. Tutti conoscono la battuta “Mirate al petto, risparmiate il viso”, pronunciata durante la sua
fucilazione. Fuoco su di me si riferisce a questo episodio, ma anche, metaforicamente, al segno che Murat lascia dietro di sé e
al coraggio di esporsi che hanno gli eroi o i poeti. Il titolo è infatti tratto da un frammento di Arthur Rimbaud, al quale mi
sono ispirato per il personaggio del giovane, ed offre anche una terza lettura, ovvero che questo è un film d'autore e che
l'autore si prende il rischio della sua opera fino in fondo.
Sei un artista che ha spaziato in vari campi di attività: teatro, pittura, radio, cinema. A quali di queste esperienze hai
attinto per il film?
La radio mi ha dato una grande libertà espressiva e un’abitudine alla scrittura come sperimentazione sul linguaggio, contagio
fra suoni e parole. Dal teatro ho preso un amore infinito per lo spettacolo in quanto gioco, e un'ammirazione enorme per gli
attori che si mettono a nudo sul palcoscenico, restando sempre se stessi qualsiasi personaggio facciano. La pittura, invece, è
stato il mio primo mestiere d'arte, che ha ispirato tutto il resto. Sia il teatro che il cinema che ho fatto sono molto legati a un
concetto di purezza della visione. Nel cinema non a caso prediligo la camera fissa, adorata dagli intellettuali e poco gradita al
pubblico. Penso che, una volta trovata un'immagine, tutto il resto si muova dentro, senza bisogno di trucchi, dettagli, primi
piani.
Fuoco su di me sembra idealmente cominciare dove finisce Il resto di niente di Antonietta De Lillo, che affronta la
rivoluzione napoletana del 1799. Che rapporto c'è fra i due film?
I due film sono i poli opposti di un punto di vista. Il resto di niente racconta un periodo cupo e senza speranza per Napoli. Il
mio intento era invece di rappresentare solo la bellezza di questa città, perché anche il dolore e il dramma, che pure fanno
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parte della storia, stanno dentro di essa. Non esiste nessun film o libro sul decennio di dominio francese a Napoli, che invece
fu fondamentale per la vita della gente, al punto che anche Ferdinando di Borbone, una volta tornato sul trono, mantenne
molte leggi napoleoniche che si erano dimostrate valide. Quando il decennio finisce siamo già nel Romanticismo, un periodo
che trovo più moderno e più simile a quello attuale. “Dietro di noi ci sono solo rovine fumanti, davanti a noi non c’è niente”,
dice il protagonista, una frase che potrebbe essere pronunciata da un giovane di oggi, secondo quell’individualismo senza
ideologia, un po’ autocompiaciuto e lontano dalla politica, tipico dei giorni nostri. Ma la ragione di tutta la mia storia è un
messaggio di speranza. Con la coscienza del fallimento in questa realtà, si può affrontare col sorriso una via che porti da
qualche altra parte. La poesia e la visionarietà ci aiutano ad affrontare la vita, insieme al coraggio di credere nella libertà.
(www.fice.it)
Note
- REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DEL MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA' CULTURALI (DGC).
-3 CANDIDATURE AL DAVID DI DONATELLO 2006: MIGLIOR SCENOGRAFIA, COSTUMI ED EFFETTI
SPECIALI VISIVI.
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