Processi di definizione degli standards e diritti di proprietà intellettuale
Transcript
Processi di definizione degli standards e diritti di proprietà intellettuale
RIVISTA DI DIRITTO INDUSTRIALE Anno LVI Fasc. 1 - 2007 Vincenzo Zeno-Zencovich processi di definizione degli standards e diritti di proprietà intellettuale Estratto Milano • Giuffrè Editore I. - ARTICOLI - SAGGI - STUDI VINCENZO ZENO-ZENCOVICH PROCESSI DI DEFINIZIONE DEGLI STANDARDS E DIRITTI DI PROPRIETA v INTELLETTUALE (*) SOMMARIO: 1. Il quadro comunitario di definizione degli standards. — 2. Il quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio. — 3. Il futuro degli organismi europei di standardizzazione. — 4. Il futuro dei consorzi privati di standardizzazione. — 5. Profili di disciplina della concorrenza. — 6. Privative industriali e standardizzazione. — 7. I modelli europei e statunitensi a confronto. — 8. Considerazioni conclusive. 1. Il quadro comunitario di definizione degli standards. La disciplina comunitaria della standardizzazione nasce dall’esigenza di eliminare barriere tecniche alla libera circolazione delle merci, dettata dall’art. 28 del Trattato di Roma. Già nel 1973 venne adottata la Direttiva 23/73 nota come Direttiva « basso voltaggio » e che sopprimeva ostacoli alla circolazione di beni che utilizzavano energia elettrica fra i 50 e i 1.000 volts AC oppure fra i 75 e i 1.500 volts DC. L’art. 5 della Direttiva prevedeva una intesa fra gli organismi nazionali di standardizzazione e una presunzione di conformità per chi si adeguava agli standards concordati. Sempre la Direttiva individuava nel CENELEC la sede per la definizione di standards armonizzati. Il processo di armonizzazione è stato poi fortemente accele- (*) Il presente lavoro costituisce il frutto di una ricerca svolta per conto della Fondazione Liberal nell’ambito di un più generale ricerca commissionata dalla Fondazione Ugo Bordoni. Della ricerca originaria facevano parte anche un’ampia ricognizione della situazione negli Stati Uniti d’America curata dal prof. Jay P. Kesan dell’Università dell’Illinois, ed un paragrafo sull’evoluzione del tema nella Repubblica Popolare Cinese a cura del prof. Renzo Cavalieri dell’Università di Lecce. In limine va segnalata la precedente ricerca sul tema della Fondazione Ugo Bordoni e citata infra nella Bibliografia. Diritto Industriale - 2007 6 Rivista di Diritto Industriale - 2007 - Parte I rato dalla nota sentenza Cassis de Dijon resa nel 1979 dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea, la quale ha in primo luogo chiarito l’ampiezza delle « misure di effetto equivalente » alle restrizioni alla libera circolazione delle merci, individuandole anche nelle norme tecniche; ed in secondo luogo affermando il fondamentale principio del « mutuo riconoscimento » che consente ad un prodotto, realizzato in conformità della normativa in uno Stato membro, di circolare liberamente in tutti gli altri Stati. Le conseguenze della decisione sul processo di standardizzazione sono state notevoli perché ha frustrato eventuali finalità protezionistiche delle norme tecniche, inducendo gli organismi preposti non tanto a tutelare un mercato nazionale, bensı̀ a individuare gli standards più idonei per tutto il mercato comunitario. Ciò ha determinato un diverso approccio normativo, iniziato nel 1983 con la Direttiva 189/83 e concluso — per il momento — con la Direttiva 34/98 e tendente a centralizzare le procedure di standardizzazione, utilizzando organismi comuni: quello generale CEN, costituito nel 1961; il CENELEC, costituito nel 1973; l’ETSI, costituito nel 1988. Il rapporto fra tali organismi europei di standardizzazione e la Comunità Europea si estrinseca, solitamente, attraverso « mandati » che consistono nella richiesta ufficiale di individuare uno standard in un determinato settore. Tale standard non diventa vincolante ma spetta al produttore che utilizzi un proprio standard dimostrare che egli si è adeguato ai requisiti essenziali. Tali requisiti riguardano in primo luogo la sicurezza dei destinatari e degli utenti del prodotto. La disciplina comunitaria dell’attività di standardizzazione è, attualmente, retta dalla Direttiva 34/98 sulle procedure di informazione nel settore delle norme e delle regolazioni tecniche, la quale ha subito, nel corso degli anni, alcune modifiche, in particolare dalla Direttiva 48/98. Altre disposizioni ad hoc sono contenute nella disciplina di settore: per quanto qui interessa va richiamato l’art. 17 della Direttiva 21/02 (c.d. « direttiva quadro ») in materia di standardizzazione nel settore delle telecomunicazioni. Va precisato che la direttiva 34/98 riguarda tutti i settori dell’economia e dunque ha una portata generalissima, ben più ampia del settore ICT. La direttiva mira a regolare il processo di standardizzazione in via indiretta, ossia stabilendo che i singoli Stati membri debbano comunicare alle istituzioni comunitarie le iniziative di normalizzazione a livello nazionale. Solo qualora in sede comunitaria si ravvisasse nella regola tecnica nazionale un ostacolo al funzio- I. - Articoli - Saggi - Studi 7 namento del mercato interno le autorità comunitarie interverrebbero per congelare la misura nazionale e valutare l’opportunità di adottare misure uniformanti. Tra i punti che meritano di essere segnalati sono: a) l’esigenza di trasparenza dei procedimenti nazionali di standardizzazione; b) la valutazione dell’impatto sul mercato delle nuove regole; c) l’esigenza che gli operatori economici possano partecipare al processo di formazione. In concreto la Direttiva prevede (art. 2) che la Commissione e gli organismi europei e nazionali di normalizzazione vengano informati da un organismo nazionale qualora questo stia procedendo all’adozione di nuove regole. Di fatto ciò comporta un potere di interlocuzione degli altri organismi suscettibile di bloccare l’attività nazionale. In concreto tale potere risulta essere stato poco esercitato. La Direttiva istituzionalizza il ruolo — collaterale a quello della Commissione — di tre organismi europei di normalizzazione: il CEN - Comitato Europeo di normalizzazione, il CENELEC, Comitato Europeo di normalizzazione elettronica e l’ETSI, Istituto Europeo di standardizzazione nelle telecomunicazioni. La Direttiva 48/98 interessa la presente ricerca perché introduce nel campo di applicazione della Direttiva 34/98 anche il settore dei servizi della società dell’informazione, fra cui rientra ovviamente il settore ICT. Non a caso la Comunicazione della Commissione sulla normazione del 2004 (COM 674/04) individua come settore di preminente azione quello dell’ICT. La Direttiva contiene peraltro una esplicita previsione di riesame a partire dal 2001, il che spiega la notevole riflessione sulle possibili modifiche da apportare alla Direttiva 34/98 e l’emergere di soluzioni alternative a quello che, nei documenti comunitari, viene definito come « nuovo approccio ». L’art. 17 della Direttiva 21/02 (c.d. Direttiva quadro) prevede una complessa procedura, coordinata dalla Commissione, per l’individuazione delle regole tecniche per la fornitura armonizzata di reti di comunicazione elettronica e dei servizi correlati. In sintesi, nel contesto comunitario, il processo di standardizzazione è caratterizzato da un forte intervento pubblico, sia nella formazione delle regole che nel controllo, a posteriori, sulle stesse. Ciò viene fatto a tutela del mercato interno ma anche degli utenti e consumatori. Il ruolo degli operatori economici privati nella definizione degli standards viene considerato sostanzialmente solo quando 8 Rivista di Diritto Industriale - 2007 - Parte I essi partecipino al procedimento avanti gli organismi nazionali o europei. Tale mancata previsione, unita alla inevitabile (lunga) durata dei procedimenti pubblici, ha favorito nel corso degli anni, ed in particolare nel settore ICT, lo sviluppo di consorzi privati di normalizzazione a struttura prevalentemente riservata e costituiti sulla base di occasionali intese economico-industriali fra talune imprese. Anticipando alcuni aspetti dell’analisi che verrà svolta nel par. 5, le critiche al sistema hanno indotto gli organismi pubblici di standardizzazione ad aprirsi agli operatori privati e ad accelerare i tempi per la definizione degli standards. Un esempio pertinente può essere rappresentato dall’accordo 3GPP (3rd Generation Parthership Project) che è stato promosso nel 1998 dall’ETSI. Il progetto era quello di redigere specifiche tecniche comuni per le reti e gli apparati di telefonia mobile di c.d. « terza generazione », partendo dall’evoluzione di uno degli standards europei di maggiore successo, il GSM. Gli obiettivi sono stati poi allargati ad altri aspetti circostanti il sistema UMTS. Aperto inizialmente agli organismi nazionali di standardizzazione, il 3GPP si è successivamente aperto a soggetti qualificati come « Market Representation Partners », ovvero a soggetti od enti privati espressione di esigenze di standardizzazione. 2. Il quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio. Tutto ciò ha significative implicazioni nel contesto del commercio internazionale. L’Agreement on Technical Barriers to Trade (annesso al c.d. Uruguay Round) prevede espressamente all’art. 2.2. che « Members shall ensure that technical regulations are not prepared, adopted or applied with a view to or with the effect of creating unnecessary obstacles to international trade. For this purpose, technical regulations shall not be more trade-restrictive than necessary to fulfil a legitimate objective, taking account of the risks non-fulfilment would create ». L’art. 2, peraltro, è interamente dedicato ai problemi di non discriminazione e trasparenza delle regolamentazioni tecniche e alla necessaria cooperazione fra gli Stati e gli organismi internazionali di standardizzazione. A tale ultimo proposito deve essere citata la Decisione della I. - Articoli - Saggi - Studi 9 commissione dell’OMC sullo sviluppo degli standards internazionali, la quale pone i seguenti obiettivi — trasparenza; — apertura delle procedure; — imparzialità e procedimenti volti ad assicurare il consenso più ampio; — effettività e rilevanza degli standards scelti; — coerenza; — rispetto dei paesi in via di sviluppo. Parimenti importante è il « Code of good practice for the preparation, adoption and application of standards », allegato (n. 3) all’Agreement on TBT, ed al quale gli stati membri (e dunque anche l’UE) è tenuto in forza dell’art. 4 dello stesso Agreement. Non si registrano casi di contenzioso in materia di interpretazione ed applicazione dell’art. 2 e dell’Allegato 3. Il dato peraltro è neutrale, giacché potrebbe indicare tanto un pacifico rispetto dei principi enunciati, quanto una diffusa disapplicazione. In considerazione del crescente ruolo del commercio internazionale nelle politiche comunitarie pare plausibile attendersi che la revisione della Direttiva 34/98 tenga conto dei principi fissati dall’OMC al fine di acquisire una generale conformità internazionale. Vi è una evidente relazione fra politiche comunitarie e quadro del commercio internazionale. Essa è analizzata nel documento sui « Principi della politica europea in materia di normalizzazione internazionale » pubblicato nel 2001 dalla Commissione europea. Esso individua nella appropriatezza dei processi di normalizzazione europea un importante fattore per poter promuovere e trasferire tecnologie europee in altri paesi senza incorrere in ostacoli al loro recepimento. Ciò tuttavia richiede che le procedure europee si conformino a quelle, sopra riportate, del TBT e del Codice di condotta annesso. Peraltro il documento considera tre aspetti: a) il primo è che in settori tecnologici in rapida evoluzione l’elaborazione delle norme tende ad affermarsi in sedi non istituzionali. Il punto importante è che le nuove regole possano poi essere convogliate verso gli organismi internazionali o sovranazionali di normazione; b) la fortemente sentita esigenza di deregolamentazione del settore; ciò è particolarmente evidente nel processo attraverso il quale un certo standard riesce ad affermarsi in determinate aree 10 Rivista di Diritto Industriale - 2007 - Parte I geografiche, attraverso sforzi congiunti sia delle imprese interessate che delle istituzioni politiche; c) in questo contesto si potrebbe demandare ad organismi privati il lavoro tecnico di fissazione degli standards, nel rispetto tuttavia dei principi generali di interesse pubblico. La coerenza ed efficacia dei « principi » proposti deve però misurarsi con la realtà. 3. Il futuro degli organismi europei di standardizzazione. La Direttiva 34/98 prevede espressamente un processo di revisione a partire dal 2001. Sono stati prodotti numerosi documenti: conviene partire dalla Relazione sul funzionamento della direttiva nel periodo 1999/2001, pubblicata nel 2003. Va ribadito che il monitoraggio riguarda l’intero ambito di applicazione della Direttiva 34/98 e dunque i risultati non necessariamente rilevano ai fini del settore ICT. Il rapporto evidenzia che: a) gli organismi nazionali di normalizzazione assai raramente chiedono l’adozione di norme europee o di partecipare ai lavori di enti appartenenti ad altro stato; b) il livello di informazione intra-comunitario è ancora piuttosto basso. c) per quanto riguarda il settore ICT le procedure notificate risultano il 16% del totale, ma gli interventi comunitari sono stati piuttosto marginali e riguardanti principalmente i requisiti di compatibilità elettromagnetica. Vi sono anche stati casi relativi alle apparecchiature radio e ai terminali di telecomunicazioni. Sulla base di tali risultanze la Comunità ha emanato nel marzo 2003 degli « Orientamenti generali » per la cooperazione fra CEN, CENELEC e ETSI con la Commissione e, nell’ottobre dello stesso anno, un « Mandato programmatico » indirizzato agli stessi enti per il settore dei servizi. In tali documenti si rafforza il rapporto fra istituzioni europee ed enti pubblici di standardizzazione nel settore dei servizi fra cui è ricompresa l’ICT. L’elemento di novità è rappresentato dall’indicazione di coinvolgere nel processo anche le associazioni di imprese operanti nel campo della normazione. Un altro punto di maggiore riflessione è sui tempi della standardizzazione nel campo dell’ICT. Ciò che viene messo in luce è che i prodotti ICT non hanno sempre una vita breve e quindi si giustifica una loro adeguata elaborazione. Quel che rileva, piutto- I. - Articoli - Saggi - Studi 11 sto, è che lo standard non si impone ai prodotti esistenti, quanto piuttosto è anticipativo rispetto a prodotti che devono essere realizzati. Il che è comprensibile in considerazione della normale destinazione dei prodotti ICT ad un uso di rete (e in rete). I benefici del prodotto si percepiscono se esso può colloquiare con altri prodotti, e ciò è possibile solo se vi sono standards che consentono l’interconnessione fra gli apparati. L’attività pubblica di standardizzazione ha dunque significativi effetti sul mercato giacché è in grado di selezionare i prodotti che emergeranno. Il punto è di enorme importanza per l’ICT essendovi una molteplicità di prodotti le cui funzioni parzialmente si sovrappongono e dunque si pongono in forte concorrenza fra di loro. Uno standard condiviso per un prodotto può dunque segnare la fine o il declino di un altro prodotto sostitutivo. Nel contempo tuttavia la Commissione sembra essersi resa conto che le istituzioni pubbliche di normazione sono generalmente superate o aggirate da consorzi privati particolarmente attivi nei campi più innovativi. Come è stato osservato, uno standard fissato da un organismo pubblico che non diventa uno standard utilizzato dalle imprese, rimane uno standard meramente de jure, implica uno spreco di risorse e potrebbe anche rivelarsi una barriera allo sviluppo tecnologico. In questo senso si muove il rapporto, commissionato all’Università di Delft, « Beyond Consortia, Beyond Standardisation » dell’ottobre 2001, che dedica particolare attenzione al settore ICT analizzando numerosi casi di standardizzazione da parte di consorzi privati, e ponendo in luce le similarità fra processi pubblici e processi privati. Pur essendo intercorso abbastanza tempo dalla presentazione di tale rapporto, non sembra che il suggerimento, rivolto alla Commissione, di prestare maggiore attenzione ai consorzi privati sia stato del tutto seguito. La Comunicazione della Commissione del 2004 (COM 674/04) osserva che i consorzi e le associazioni hanno assunto un ruolo di crescente rilievo e che pertanto è necessario ridefinire le politiche, le procedure e le strutture organizzative in stretta collaborazione con le parti interessate, in particolare con l’industria (par. 2.2.3). Tale indicazione non si è però tradotta in una modifica del quadro legislativo. Critiche agli organismi pubblici di standardizzazione, provengono anche dalle associazioni dei consumatori, per ragioni quasi opposte, in particolare per ciò che concerne l’ICT. Infatti l’apertura dell’ETSI alle imprese private fa sı̀ che queste siano in numero ben superiore (e dunque abbiano un peso nel voto maggiore) rispetto all’unica associazione europea dei con- 12 Rivista di Diritto Industriale - 2007 - Parte I sumatori, le quali ritengono di essere ridotte ad un ruolo oggettivamente marginale. La prospettiva degli utenti emerge anche sotto un diverso aspetto, molto evidente nell’ICT. Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono complesse non solo nella loro realizzazione ma anche nel loro utilizzo. Vi è un significativo rischio che la loro evoluzione accresca, anziché ridurre, quel che viene chiamato il « digital divide », molto evidente per fasce di età e per distribuzione territoriale. Ciò pone un dilemma: se sia preferibile adottare uno standard tecnicamente eccellente ma di meno facile uso, ovvero uno di livello inferiore che si presta ad una diffusione maggiore. L’idea di fondo è quella di standards graduali e graduabili in relazione alle variegate esigenze degli utenti. Occorre infatti tenere presente che le tecnologie ICT sono in larga misura destinate ad utilizzatori finali i quali pongono in essere comportamenti diversificati anche in relazione a pratiche sociali e culturali. Standardizzare le tecnologie non può significare standardizzare i comportamenti individuali, pena il fallimento dello standard. Ed anche nell’utilizzo non individuale bensı̀ aziendale dell’ICT si pongono questioni analoghe, in considerazione dei costi che le imprese devono sostenere per aggiornare il personale alle nuove tecnologie. 4. Il futuro dei consorzi privati di standardizzazione. Le riflessioni sul futuro degli organismi pubblici portano l’analisi sulle prospettive che hanno i consorzi privati di standardizzazione. Allo stato essi non sembrano contemplati in maniera organica dalla normativa comunitaria se non sotto il profilo, ritenuto patologico, della loro potenzialità anti-concorrenziale. Tradizionalmente essi vengono visti come antagonisti degli enti pubblici di normazione, sia per l’attività svolta, sia per la prassi di stornare i loro dipendenti più capaci. Al tempo stesso è diffusa la valutazione secondo cui mentre gli enti pubblici producono regole condivise, i consorzi privati producono regole rapide. Ricerche recenti, tuttavia, mettono in luce come non sempre tali giudizi siano corretti: taluni consorzi privati sono, in pratica, aperti al contributo dei soggetti interessati e vanno alla ricerca del consenso. Nel contempo i tempi di approvazione di standards negli enti pubblici sono stati progressivamente ridotti. In ogni caso il problema della partecipazione ai consorzi pri- I. - Articoli - Saggi - Studi 13 vati — e degli strumenti per conseguire tale risultato — è stato ampiamente esaminato nella precedente ricerca della FUB su « Standardizzazione, diritti di proprietà intellettuale e l’evoluzione dell’industria dell’informazione in Europa » che si è citata in apertura (vedi la Bibliografia in fondo). Le prospettive sono, dunque, o di proseguire nell’attuale tendenza comunitaria di disinteresse verso i consorzi privati, pur subendone direttamente o indirettamente la concorrenza, ovvero in qualche modo di includerli nel processo di formazione degli standards. Il punto sarà esaminato nelle conclusioni. Fin d’ora è opportuno segnalare nel quadro della « privatizzazione » del processo di standardizzazione, l’esperienza formatasi nella GSM Association, una associazione che raggruppa diverse centinaia di operatori mobili che utilizzano lo standard GSM e altre imprese che operano su tale rete. Al di là degli evidenti benefici di rete che derivano dall’utilizzo di una comune tecnologia (in particolare per il c.d. roaming internazionale, che consente ad un utente di un paese di essere collegato a — o da — reti di altri paesi) interessano le relazioni fra l’associazione e l’ETSI, la quale — costituita nel 1988, e dunque dopo l’associazione — ha consentito di passare da accordi privati e flessibili (il c.d. Memorandum of Understanding - MoU), ad uno standard europeo. L’esperienza GSM evidenzia che se sicuramente l’associazione, soprattutto all’inizio, ha potuto contare sul sostegno pubblico, determinando un effetto di adesione in tutti i paesi europei, è anche vero che ora l’associazione diventa un importante strumento di « esportazione » dello standard in aree extra-europee con evidenti ritorni di immagine per le istituzioni europee ed economici per le imprese europee. Vale la pena di segnalare che agli occhi di taluni osservatori americani tale esperienza viene vista come « using private actors for public purposes », delegando ad essi funzioni regolatorie. 5. Profili di disciplina della concorrenza. La standardizzazione si fonda su un accordo. Quando ciò avviene in un organismo privato il rischio che ci si trovi di fronte ad un cartello è elevato. i) Il primo punto da considerare è la inter-relazione fra revisione della Direttiva 34/98 e linee-guida dell’UE in materia di concorrenza; ii) un secondo punto da considerare è se gli standards pub- 14 Rivista di Diritto Industriale - 2007 - Parte I blici siano completamente immuni dal dubbio di costituire intese restrittive della concorrenza. La questione rileva non solo dal punto di vista del diritto comunitario ma anche alla luce delle regole del WTO; iii) si dovrebbe inoltre considerare se l’imposizione di lineeguida pubbliche sugli organismi privati (composizione, procedure, interventi esterni ecc.) potrebbe immunizzarli da contestazioni antitrust ed in tal modo favorire il raggiungimento degli obiettivi che solitamente sono propri degli organismi pubblici. Ad integrazione degli spunti di riflessione sulla intersezione fra revisione della Direttiva 34/98 e politica della concorrenza appare utile tenere conto delle recenti « Linee direttrici sull’applicazione dell’art. 81, paragrafo 3, del trattato » pubblicate dalla Commissione europea in data 27 aprile 2004. Com’è noto, la disposizione richiamata prevede una deroga al divieto di intese ed accordi che possono pregiudicare il commercio fra gli stati membri o che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza. Tale deroga può essere concessa in caso di accordi che contribuiscono a migliorare le produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico. Nel valutare il ricorso alla deroga le autorità comunitarie richiedono che si determinino i benefici prodotti dall’accordo e si valutino se essi superino gli effetti negativi per la concorrenza. In particolare fra questi benefici vi sono gli incrementi di efficienza che possono generare un incremento di valore in quanto riducono i costi di fabbricazione di un prodotto, ne migliorano la qualità o portano alla realizzazione di un nuovo prodotto. Le linee-guida della Commissione indica quattro condizioni cumulative per l’applicazione della deroga, delle quali due positive e due negative: « a) l’accordo deve contribuire a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico; b) agli utilizzatori deve essere riservata una congrua parte dell’utile che ne deriva; c) la restrizione deve essere indispensabile per raggiungere tali obiettivi, ed infine d) l’accordo non deve dare alle imprese interessate la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti o dei servizi di cui trattasi ». Le stesse linee-guida dedicano due lunghi paragrafi (70 e 71) I. - Articoli - Saggi - Studi 15 agli incrementi di efficienza qualitativi legati all’innovazione tecnologica: « 70. I progressi tecnici e tecnologici rappresentano una componente essenziale e dinamica dell’attività economica, in quanto generano significativi benefici sotto forma di prodotti e servizi nuovi o migliori. Attraverso la cooperazione, le imprese possono essere in grado di generare incrementi di efficienza che non sarebbero stati possibili senza l’accordo restrittivo, o che sarebbero stati possibili solo con notevole ritardo o ad un costo più elevato. Simili incrementi di efficienza costituiscono un’importante fonte di benefici economici di cui alla prima condizione dell’articolo 81, paragrafo 3. Gli accordi in grado di determinare incrementi di efficienza di questo tipo comprendono in particolare gli accordi di ricerca e sviluppo (...). 71. Cosı̀ come la combinazione di mezzi complementari può comportare una riduzione dei costi, la combinazione di mezzi può creare anche sinergie che determinano incrementi di efficienza in termini di qualità. La combinazione dei mezzi di produzione può ad esempio permettere la produzione di prodotti di migliorare qualità o con caratteristiche nuove. Tali incrementi di efficienza possono ad esempio essere determinati da accordi di licenza e da accordi per la produzione in comune di prodotti o servizi nuovi o migliori. Gli accordi di licenza possono assicurare in particolare la diffusione più rapida delle nuove tecnologie nella Comunità e consentire ai licenziatari di rendere disponibili nuovi prodotti o di utilizzare nuove tecniche di produzione che consentono miglioramenti in termini di qualità. Gli accordi di produzione in comune possono permettere, in particolare, l’introduzione sul mercato di prodotti o servizi nuovi o migliori in tempi più rapidi ed ad un costo inferiore. Nel settore delle telecomunicazioni si ritiene, ad esempio, che gli accordi di cooperazione abbiano creato incrementi di efficienza, in quanto hanno reso disponibili più rapidamente nuovi servizi globali (...) ». Il riferimento al settore tlc è particolarmente significativo nell’ambito della presente ricerca. Del pari importante, ai presenti fini, è il requisito dei benefici a vantaggio degli utilizzatori derivanti dagli incrementi di efficienza. In questo senso va considerata l’opportunità di esaminare preventivamente ed espressamente le implicazioni per il mercato dei consumatori dalla adozione di un nuovo standard. Problemi concorrenziali sono posti anche dagli organismi pubblici di standardizzazione. Essi, infatti, fanno pagare i documenti tecnici da essi elaborati. Si tratta di una delle principali fonti di finanziamento di tali enti, i quali dunque esercitano sulle informazioni da essi elaborate un diritto di esclusiva. Le conse- 16 Rivista di Diritto Industriale - 2007 - Parte I guenze sono che uno standard ancorché pubblico, per la fonte che lo promana, lo è solo parzialmente, essendo limitata la discussione e la critica a coloro che pagano il corrispettivo. Allo stesso tempo gli organismi pubblici sono restii a vedere i loro standards adottati in sede internazionale, perché ciò li priverebbe di una fonte di reddito. Con il paradosso che enti preposti alla massima diffusione di uno standard — con tutti i benefici di scala che ciò comporta — si pongono in una situazione di conflitto di interessi. E la situazione è accresciuta nei casi in cui lo standard è realizzato su mandato della Comunità. 6. Privative industriali e standardizzazione. Una delle principali difficoltà — che spesso si trasforma in un incubo — nella procedure di definizione degli standards è quella di aprirsi la strada in quel che, appropriatamente, viene chiamato il « groviglio brevettuale » (patent thicket). I diritti di privativa industriale sono un evidente incentivo alla ricerca e allo sviluppo nel settore dell’ICT. Questo, tuttavia, mette in campo pesanti interessi economici nelle procedure per la definizione degli standards. Se un’impresa è titolare di brevetti su parte di uno standard vi possono essere significativi profitti da raccogliere. Il che solleva anche questioni antitrust. La revisione della Direttiva 34/98 dovrebbe considerare i seguenti punti: i) il ruolo degli consorzi per la gestione di diritti di privativa e le stanze di compensazione fra diritti di brevetto; ii) i brevetti incorporati in uno standard dovrebbero essere soggetti a licenze obbligatorie, gratuite o a prezzo orientato al costo? iii) si può sviluppare uno scambio virtuoso fra accettazione pubblica di uno standard e limitazione dei diritti di privativa che vi sono incorporati? iv) quali possono essere le implicazioni in sede di WTO di una nuova politica riguardante i diritti di privativa incorporati negli standards? Utili indicazioni sulle prassi correnti in materia di gestione dei diritti di privativa industriale all’interno dei processi pubblici di standardizzazione, possono venire dalle linee-guida dell’ETSI, che si è visto essere l’ente di standardizzazione con maggiore presenza di soggetti privati. L’obiettivo delle regole è quello di evitare che l’adozione di uno standard o di una specifica tecnica venga I. - Articoli - Saggi - Studi 17 frustrata dall’esistenza di una essenziale e non acquisibile privativa industriale. Qualora si riscontri l’esistenza di una privativa, l’ETSI chiede che il titolare voglia concedere licenze irrevocabili su basi eque, ragionevoli e non discriminatorie. Qualora il titolare della privativa non voglia concedere una licenza nel senso sopra indicato, l’ETSI può anche negare il riconoscimento allo standard incorporante la privativa. 7. I modelli europei e statunitensi a confronto. La complessità della valutazione sulle procedure di determinazione degli standards è ben rappresentata dalle speculari osservazioni che si muovono nei confronti dei due principali modelli. In campo europeo ci si duole — per una molteplicità di ragioni evidenziate nelle pagine precedenti — del modello pubblicistico di definizione degli standards. I tempi, i principi di finanziamento, ma soprattutto la scarsa presa dei risultati, inducono a guardare con favore a processi di « privatizzazione » della standardizzazione o, quantomeno, ad un maggior coinvolgimento delle imprese nelle procedure. Vale tuttavia la pena di mettere in luce, come proprio nell’esperienza americana si levino numerose voci critiche che indicano — all’opposto — il modello europeo come più efficiente. E ciò si verifica soprattutto nel campo dell’ICT. Due sono gli esempi che vengono fatti. Il primo è quello dello standard GSM per le reti di telefonia mobile di c.d. seconda generazione, rispetto al quale si evidenzia — oltre Atlantico — la sinergia tra attività di coordinamento comunitario (tramite l’ETSI) ed impulso delle imprese del settore, che ha consentito in primo luogo la creazione di una rete interconnessa europea, in secondo luogo la esportazione di tale standard in altri paesi, ivi compresi alcuni considerati come naturali destinatari degli standards statunitensi (come l’America Latina) e persino negli stessi Stati Uniti. L’approccio liberalizzato adottato negli Stati Uniti con i sistemi di seconda generazione ha prodotto una forte competizione fra diversi modelli, al termine della quale sono emersi due standards (TDMA e CDMA). Pur pienamente coerente con la tradizione americana, la concorrenza tra standards viene vista come fonte di diseconomie per una molteplicità di ragioni, di cui le più evidenti sono i problemi di interconnessione, la duplicazione delle infrastrutture di rete 18 Rivista di Diritto Industriale - 2007 - Parte I (anche quando potrebbero essere condivise), la « cattura » dell’utente. Questioni che, agli occhi americani non si pongono — o si pongono assai meno — nel sistema GSM qualora esso sia l’unico. Il secondo esempio che viene prospettato è quello della radio digitale. Data la dimensione necessariamente regionale delle trasmissioni in modulazione di frequenza, l’adozione di uno standard europeo comune — DAB — per un verso è adeguato alle esigenze delle reti radiofoniche europee ed offre sufficienti garanzie di incentivo alle imprese che lo hanno sviluppato. La risposta americana allo standard europeo è vista da alcuni osservatori come tardiva e puramente difensiva: lo standard IBOC sarebbe stato adottato su spinta delle imprese per contrastare l’espansione dello standard europeo Eureka. Anche qui vengono evidenziate diseconomie: poiché il DAB aumenta le risorse frequenziali disponibili (e dunque il numero di emittenti), la sua adozione avrebbe portato nuovi soggetti sul mercato, diminuendo il valore delle licenze radiofoniche, pagate — negli Stati Uniti — a caro prezzo. Ancora una volta per gli americani le scelte europee appaiono preferibili rispetto a quelle proprie. Al di là della maggiore o minore enfasi su taluni vantaggi o svantaggi dei singoli modelli di regolazione degli standard, il confronto mette in luce che sono valutati positivamente esempi europei nei quali vi è stato da parte degli organismi pubblici un forte coinvolgimento delle imprese interessate, e che hanno portato all’adozione di uno standard preventivamente rispetto all’avvio del servizio. Il che rafforza la tesi della necessitata sinergia pubblico/privato per il successo, tanto regionale che internazionale, di uno standard. Il tema è ampiamente sviluppato tanto nel documento di lavoro allegato alla Comunicazione della Commissione del 2004 (COM 674/04, al par. 8) quanto nella proposta di Decisione del 2005 sul finanziamento della normazione europea (COM 377/05). 8. Considerazioni conclusive. A) Integrazione e/o compatibilità intergenerazionale come uno degli obiettivi della standardizzazione nel settore ICT. a) Una prima osservazione è che lo sviluppo del settore dell’ICT è fortemente dipendente dal mercato dei consumi, e questo mercato, attualmente, è composto da centinaia di milioni di indi- I. - Articoli - Saggi - Studi 19 vidui. Ne consegue che nei procedimenti per la determinazione degli standards tecnici dovrebbero essere presi in considerazione e formalizzati questi ulteriori aspetti: i) Quali sono le implicazioni per il mercato dei consumatori della adozione di un nuovo standard? Una ipotesi potrebbe essere che se il nuovo standard costituisce lo sviluppo di un precedente ed è integrato e/o compatibile con quest’ultimo, i consumatori saranno molto più disponibili ad adottare il nuovo standard. Ciò apparirebbe particolarmente verosimile qualora, in tale processo di evoluzione, i consumatori possono trarre beneficio dalla pregressa conoscenza accumulata utilizzando lo standard precedente. Di conseguenza dovrebbero solo incrementare il livello di conoscenze. In questo senso vi sono significativi esempi dall’esperienza americana. ii) Oltre a tali profili di psicologia dei consumi nello sviluppo degli standards, vi sono anche importanti fattori economici. Un’altra ipotesi potrebbe essere che se il nuovo standard costituisce lo sviluppo di uno precedente, i costi — e dunque i prezzi — saranno significativamente più bassi e quindi potranno incentivare il passaggio alla nuova tecnologia. iii) L’integrazione e/o compatibilità inter-generazionale appaiono indispensabili per trarre tutti i benefici di rete dalla standardizzazione. Quando vi sia una netta distinzione fra due generazioni di standards vi sono due mercati che possono continuare a competere fra di loro per molti anni, con lo standard più vecchio che cerca di ritardare il processo di passaggio alla nuova tecnologia. iv) Infine, va valutata la circostanza che in mercati spinti dai consumi la individuazione di nuovi standards dovrebbe prendere in considerazione nuovi modelli commerciali per una sostituzione a basso costo delle tecnologie più risalenti. Nuovi standards possono avere significative esternalità negative se comportano la distruzione del valore dell’investimento che i consumatori hanno fatto acquistando una certa tecnologia od un certo apparecchio. Soprattutto se gli standards sono posti da soggetti pubblici ed i produttori sono (come normalmente accade) gli stessi, potrebbe essere utile incoraggiare l’adozione del nuovo standard adottando diversi e nuovi modelli contrattuali (ad es. canoni per l’uso dell’apparecchio con opzione a favore delle nuove tecnologie) oppure interventi pubblici (ad es. incentivi ai consumatori o alle industrie finanziati da politiche di royalties differenziate). b) L’integrazione e/o compatibilità trans-generazionale può 20 Rivista di Diritto Industriale - 2007 - Parte I presentare, tuttavia, alcuni inconvenienti che dovrebbero essere attentamente esaminati: i) L’integrazione e la compatibilità proteggono gli investimenti sia delle imprese che dei consumatori, ma possono anche creare dipendenza da standards passati e possono avere effetti negativi sui processi di innovazione. Scelte migliori potrebbero essere scartate a causa di incompatibilità tecniche; decisioni assunte decenni prima, in uno scenario tecnologico profondamente diverso, potrebbero pregiudicare soluzioni più efficaci e concorrenziali. ii) Gli standards in vigore sono rappresentativi di interessi economici che prevedibilmente potranno influenzare il procedimento per la definizione di nuovi standards, il quale dovrebbe essere il più possibile aperto a tutte le soluzioni e non pre-giudicato. Anche qui sono istruttive le riflessioni e le preoccupazioni emerse negli Stati Uniti. iii) La gradualità, che è una caratteristica dell’integrazione, presenta indubbiamente numerosi vantaggi. La storia dello sviluppo tecnico, offre tuttavia numerosi esempi di innovazioni dirompenti che hanno travolto gli standards all’epoca esistenti e cambiato il cammino dell’evoluzione economico-sociale. Ovviamente il procedimento di definizione degli standards non può essere governato dalla preveggenza, e tuttavia il passato suggerisce approcci flessibili. B) Concorrenza o cooperazione fra organismi pubblici e organismi privati di definizione degli standards? La direttiva 34/98 è principalmente destinata ad organismi pubblici di definizione degli standards, i quali sono visti come componenti essenziali del procedimento di regolazione. Vi sono degli evidenti vantaggi nel controllo pubblico sugli organismi di definizione degli standards sia per le responsabilità che assumono che per la rilevanza degli interessi pubblici. Tuttavia come con ogni istituzione pubblico o para-pubblica, gli organismi di definizione degli standards tendono a diventare macchinosi e, comunque, meno agili dei consorzi fra privati. Questi ultimi, a loro volta, inevitabilmente riflettono gli interessi economici delle imprese che li costituiscono. A parte gli aspetti anticoncorrenziali, vi è il significativo rischio che tali organismi privati prendano in considerazione solo il benessere delle imprese e I. - Articoli - Saggi - Studi 21 possano incoraggiare esternalità negative che verranno pagate, in ultima analisi, dal pubblico o dai contribuenti. Da questo punto di vista, nel processo di revisione della Direttiva 34/98 due aspetti appaiono rilevanti: i) una prospettiva, sulla quale tuttavia continuano ad esservi significative resistenze da parte delle autorità comunitarie, è quella di estendere agli organismi privati di definizione degli standards linee-guida che sono seguite dagli organismi pubblici, senza tuttavia trasformarli in istituzioni pubbliche de facto ed evitando di rallentare significativamente la loro attività. Una possibile soluzione potrebbe essere trovata in una teoria degli incentivi pubblici; ii) è opportuno ricordare la lunga storia dei « regolatori catturati »: una istituzione pubblica non è, di per sé, immune da influenze di interessi economici. In linea di principio potrebbe essere preferibile che questi ultimi emergano trasparentemente, piuttosto che essere occultati da finzioni procedurali. BIBLIOGRAFIA ABBOTT K.W. e SNIDAL D., 2001, International Standards and International Governance, in Journal of European Public Policy, 345-370. AUSTIN M.T. e MILNER H.V., 2001, Strategies of European Standardization, in Journal of European Public Policy, 411-431. BALTO D.A., 2000, Standard Setting in a Network Economy, disponibile su www.ftc.gov/speeches/other/standardsetting.htm. CARGILL C.F., 1999, Consortia and the Evolution of Information Technology standardization, disponibile su www-i4.informatik.rwthaachen.de. CARGILL C.F., 2001, The Role of Consortia Standards in Federal Government Procurements in the Information Technology Sector, disponibile su www.house.gov/science/ets/jun28/cargill.pdf. CARGILL C.F., 2002, Intellectual Property Rights and Standards Setting Organizations: An Overview of Failed Evolution, disponibile su www.ftc.gov/opp/intellect/020418cargill.pdf. DEHOUSSE R., 1997, Regulation by Networks in the European Community: The Role of European Agencies, in Journal of European Public Policy, 247-261. EGAN M.P., 2001, Constructing a European Market. Standards, Regulation and Governance, O.U.P. 22 Rivista di Diritto Industriale - 2007 - Parte I FABISH G., 2003, Consumer and Standards: Consumer Representation in Standards Setting, disponibile su www.stanhopecentre.org/costswolds/papers.htm. FAN X., 2001, Communications and Information in China. Regulatory Issues, Strategic implications, U.P. of America, Lanham. FARRELL J. e SALONER G., 1988, Coordination through Committees and Markets, in Rand Journal of Economics, 19(2), 235-252. FARRELL J. e SALONER G., 1985, Standardization, Compatibility, and Innovation, in Rand Journal of Economics, 16(1), 70-83. FONDAZIONE UGO BORDONI, 2003, Standardizzazione, Diritti di Proprietà Intellettuale ed Evoluzione dell’Industria dell’Informazione in Europa, a cura di G. RIVA, M. CALDERINI, A. GIANNACCARI, M. GRANIERI. FUNK J.L. e METHE D.T., 2001, Market - and Committee - based Mechanisms in the Creation and Diffusion of Global Industry Standards: The Case of Mobile Communication, in Research Policy, 30(4), 589-610. GALPERIN H. e LEVI T., 2002, The Rise of Regional Standards Setting Bodies in Digital Radio Technology, disponibile su ascweb.usc.edu/admin/faculty/uploads/vita_1.pdf. GENSCHEL Ph., 1997, How Fragmentation Can Improve Coordination: Setting Standards in International Telecommunications, in Organization Studies, 18/4, 603-622. LAZER D., 2001, Regulatory Interdependence and International Governance, in Journal of European Public Policy, 474-492. LEMBKE J., 2002, EU Regulatory Strategy for Mobile Internet, in Journal of European Public Policy, 9(2), 273-291. LEMLEY M.A., 2002, Intellectual Property Rights and Standard Setting Organizations, in Boalt Working Papers on Public Law, Paper 24. MAJONE G., 1997, The New European Agencies: Regulation by Information, in Journal of European Public Policy, 262-275. MATTLI W., 2001, The Politics and Economics of International Institutional Standards, in Journal of European Public Policy, 328344. NICOLAÏDIS K. e EGAN M., 2001, Transnational Market Governance and Regional Policy Externality: Why Recognize Foreign Standards?, in Journal of European Public Policy, 454-473. PATTERSON M.R., Inventions, Industry Standards, and Intellectual Property, in 17 Berkeley Tech. L.J. 1043 (2002). PELKMANS J., 2001, The GSM Standards: Explaining a Success Story, in Journal of European Public Policy, 432-453. I. - Articoli - Saggi - Studi 23 SABIDO P.D.G., 2004, Defending Against Patent Infringment Suits in Standard-Setting Organizations: Rambus Inc. v. Infineon Technologies, in 13 Federal Circuit Bar Journal, n. 4. SHAPIRO C., 2000, Setting Compatibility Standards: Cooperation or Collusion? pubblicato in http://haas.berkeley.edu/shapiro/ standards.pdf. SIMCOE T., 2004, Committees and the creation of technical standards, pubblicato in http://haas.berkeley.edu/simcoe/committees.pdf. SIMCOE T., 2004, Delays and de Jure Standards: Who Caused the Slowdown in Internet Standards Development?, pubblicato in http://haas.berkeley.edu/simcoe/delays.pdf. SIRBU M. e ZWIMPFER L., 1985, Standard Setting for Computer Communication: The Case of X.25, IN IEEE Communications Magazine, 23(3), 35-45. SPRUYT H., 2001, The Supply and Demand of Governance in Standard-Setting: Insights from the Past, IN Journal of European Public Policy, 371-391. TAN Z., 2001, Comparison of Wireless Standards-Setting. United States v. Europe, disponibile sulla pagina www.web.syr.edu/ztan/ tan-publication.html. WERLE R., 2001, Institutional Aspects of Standardization - Jurisdictional Conflicts and the Choice of Standardization Organizations, in Journal of European Public Policy, 392-410. WILLIAMS R., 1999, ICT Standard setting from an innovation studies perspective, disponibile su www-i4.informatik.rwthaachen.de.