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Ero
giovane
avevo
bisogno
di
lavorare...
di Gianluca Morozzi
(Articolo apparso su Scritture Obsolete n.45, del 21 maggio 2051, a firma Raul Bizzarri)
Il complesso quadro della letteratura del secolo ventunesimo ha finalmente
visto colmata una drammatica lacuna. Dopo lunghe ricerche nei cassetti, negli
archivi e negli anfratti delle abitazioni private dello scrittore Gianluca Morozzi, del quale mi onoro di tener viva la memoria, posso finalmente far luce sul
Morozzi inedito. Ovvero, sui romanzi mai pubblicati, prima e dopo l’esordio
del 2001.
Quello che segue è il frutto delle Nostre ricerche.
ALBA D’ACCIAO (1986)
Questi quattrocentoventi fogli battuti a macchina in un quasi insopportabile
carattere blu, ritrovati in una scatola di cartone, ci regalano un Morozzi quindicenne, drogato di fantascienza, dallo stile acerbo ma non privo di interessanti spunti.
La trama: in un futuro non troppo remoto, la cerimonia di nozze dell’operaio
Bob Winston con la bella e bionda Wendy viene funestata dall’invasione del
pianeta a opera di malevoli androidi senza volto che lanciano raggi laser da un
foro al centro della fronte. Wendy viene uccisa dall’androide con il numero
di serie G-116. Bob viene portato nelle arene, dove combatterà per il divertimento degli androidi, i quali vengono programmati con le impronte cerebrali
umane ricavate dai morti.
Bob riesce a fuggire dall’arena, iniziando un lungo viaggio attraverso luoghi
come Albany e Trenton, sorretto dalla foto della moglie morta che porta nella
tasca, e con il numero G-116 impresso in mente. Temprato nell’arena, è diventato un guerriero: distrugge alcuni androidi che cercano di impedirgli la
fuga, e si unisce a un piccolo gruppo di ribelli capeggiati dallo sfregiato Simon
detto Scar. I ribelli scoprono che un certo gas –l’Argon- può far impazzire i
cervelli elettronici degli androidi. Sferrano l’attacco al quartier generale degli
androidi, nel centro di Manhattan, e, beh, vincono.
Non dopo aver scoperto che –incredibile sorpresa!- G-116 è stato programmato con gli schemi cerebrali di Wendy. Come ciò sia possibile, visto che l’ha
uccisa lui, viene spiegato in un lungo, complicato e quasi incomprensibile capitolo sul quale soprassediamo. Tanto, a pagina 420, la foto della moglie è già
sbiadita e Bob si è innamorato di una certa Susan.
LA PARTITA (1989)
Influenzato dalla lettura del romanzo di Stephen King La lunga marcia (sotto
lo pseudonimo di Richard Bachman), Morozzi tenta di scrivere un romanzo
con le stesse atmosfere e con un gioco la cui posta è la morte. Alcuni carcerati si sfidano in una partita di calcio interminabile e dalle regole complicate in
cui, in pratica, la squadra vincitrice ottiene la libertà e un premio in denaro, la
perdente viene giustiziata in diretta. La partita può concludersi anche con due
soli giocatori avversari in campo, dopo giorni e giorni di tempi supplementari.
Non si va ai rigori: si gioca fino alla vittoria.
Di questo romanzo battuto anch’esso a macchina –ma con un nastro nerorestano solo i primi tre capitoli. In cui i protagonisti dicono cose molto dure
del tipo “ricordo solo i suoi capelli da puttana.”
LA MASCHERA DEL LIBERATORE (1990)
Un romanzo di fantascienza scritto con un incredibile, fastidiosissimo nastro
rosso (!) e con una macchina da scrivere mancante della lettera elle minuscola
(per fortuna il personaggio si chiama Il Liberatore).
Siamo in Italia, poco dopo il 2000. La nazione è governata da un regime autoritario: un nuovo partito nato dal nulla è arrivato al potere nel giro di pochi
anni. Alla sua testa un personaggio misterioso noto come Diktor, che nessuno
ha mai visto di persona ma solo in tv. Nessuno sa che Diktor è un mutante in
grado di manipolare le emozioni umane: grazie al suo potere ha potuto vincere le elezioni e ha fatto approvare le sue aperte violazioni alla Costituzione. La
sua influenza si manifesta anche attraverso il tubo catodico, e la popolazione è
obbligata a seguire i suoi discorsi tre volte al giorno.
Poi c’è anche una droga che crea supereroi, un supereroe governativo chiamato il Patriota, il supereroe dei ribelli (il Liberatore), e il giovane Alex, che
indosserà la maschera del Liberatore dopo la sua caduta.
ABISSO (1993)
Da non confondere con un quasi omonimo romanzo successivo (pubblicato),
anche di quest’opera non ci restano che pochi capitoli: due, per l’esattezza.
Nel primo assistiamo a un inseguimento tra due navi spaziali. Nel secondo, c’è
un fidanzato tradito che guida tristemente verso il paese in cui abita la cornificatrice. Non ci rimane null’altro di questo indubbio capolavoro.
SALAMANCA (1999)
Un’importante svolta nella produzione narrativa morozziana inedita: basta
con la fantascienza, basta con i plagi di Stephen King. Ora si copia Nick Horby.
Un ventinovenne bolognese riceve un’ambigua lettera dall’amico Ciccio, partito mesi prima per la città spagnola di Salamanca. Nella lettera, Ciccio lo invita
a raggiungerlo. Il ragazzo, appena lasciato dalla fidanzata, parte in compagnia
della sua migliore amica Cristina. Comincia una bizzarra avventura on the
road, con l’apparizione qua e là di un sosia di Ligabue (che lo salva anche da
una strampalata rapina in Francia).
In Spagna, cercando l’amico Ciccio, il Nostro finisce in mezzo a tre sorelle,
una bellissima, una diabolicamente intelligente, un’altra cattiva come una biscia. Finirà anche in un giro di porno casalingo, in cui c’entrano le tre sorelle e
l’amico Ciccio. Che si innamorerà, ricambiato, di Cristina. Finale a tarallucci e
vino di nuovo a Bologna, a fine estate, alla festa dell’Unità.
COLUI CHE GLI DEI VOGLIONO DISTRUGGERE (2001)
Da non confondersi con l’omonimo romanzo del 2009, questo è l’anello mancante tra il primo e il secondo romanzo edito: prima di Luglio, agosto, settembre nero e dopo Despero, c’era questo bizzarro incrocio tra L’abisso (per la
trama) e L’era del porco (per i personaggi), rifiutato dall’editore Fernandel.
La caratteristica più curiosa di questo romanzo è che negli anni, ogni sua riga
è stata pubblicata da qualche parte, tra racconti, L’abisso, L’era del porco, Le
avventure di zio Savoldi, una pagina di Luglio, agosto, settembre nero...
Mancava solo il titolo. Pure quello, come abbiamo visto, riciclato.
Perché, come Morozzi ripeteva spesso, la letteratura è come il porco: non si
butta mai via niente.