sardinia blues

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SARDINIA BLUES
DI FLAVIO SORIGA
Sardinia blues
DI FLAVIO SORIGA
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Brucia di stelle il cielo di luglio in quest’isola immensa che suda l’estate,
siamo tre laureati senza macchia e
senza paura e senza amore e senza fede e la Sardegna è il nostro Messico
Controlliamo l’orologio in silenzio, tra sessanta secondi entriamo in azione
Martello e pile e calze di nylon, lucidità e coraggio: tutto è pronto, tre pirati
nella notte calda di un’isola del Sud
Tra un minuto entriamo in azione: Progetto Agevolazione Immigrazione
Parallela
Fumiamo sigarette francesi nella mia stationwagon grigio chiaro da zingari
senza denari, parcheggiati sotto i rami di un ulivo di cent’anni nel cortile
dell’ultimo edificio prima della campagna
Un paese inesistente in mezzo a una piana infinita, Villanova Truschédu,
quattro file di case cadenti, siamo allegri squinternati conquistatori di bionde di
provincia, nessuno ci chiama per nome, nemmeno noi stessi: Pani, Licheri e
Corda, per servirvi
Summertime, cantiamo nel silenzio notturno, And the livin’ is easy, cantiamo
La sfortuna terribile desolante di vivere in quest’isola l’inverno lungo e freddo,
si muore di noia e non c’è niente da inventare e i nostri paesi sono la morte
dell’anima e nessuna ragazza da incontrare e scoprire e nessuna avventura
da affrontare, tutto si trascina come in una specie di letargo
E invece poi per fortuna all’improvviso ci troviamo in una notte come questa
ed è piena estate e tutto è colori e caldo e sudori e stelle e danze e viva la
vita, — Azzurro —, cantiamo a una voce sola io e i miei soci, — Il pomeriggio
è troppo azzurro, e lungo, per me —
— L’altroieri —, dice Licheri, — Ero nella mia soffitta con una ragazza
bellissima di vent’anni, un’eccellente studentessa di Belle Arti che ha
viaggiato e conosce le cose del mondo, una giovane eccellente donna
sempre capace di farmi vedere le cose da nuovi inaspettati punti di vista —,
dice Licheri, — Era quasi sera e stavamo preparandoci per andare a cena
fuori, ho infilato i boxer e i jeans, ho preso dall’armadio i miei vecchi anfibi
marroni distrutti da vent’anni di cammino, i miei anfibi fabbricati in Germania e
venduti da un’azienda multinazionale in più di ottanta Paesi, i miei splendidi
stivali distrutti da un uso continuo e pluridecennale, ero lì che li infilavo ai
piedi, questa ragazza viaggiatrice mi ha guardato e mi ha detto Non vorrai
metterti quegli affari?, mi ha detto, Sembrano gli stivali dei pastori di Busàchi,
mi ha detto con la sua voce senza accenti da ex Erasmus e apolide
entusiasta —
— Con una rosa hai detto vienimi a cercare —, cantiamo io e i miei soci in
questa notte messicana, — Tutta la sera io resterò da sola — cantiamo, — E
io per te, muoio per te, con una rosa sono venuto a te —
— Capite? —, dice il saggio Licheri dando l’ultimo tiro alla sua sigaretta, — I
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miei anfibi fatti in Germania e portati ai piedi da milioni di giovani in tutte le
nazioni del mondo, gli stivali dei pastori di Busàchi, così mi ha detto quella
ventenne della Sardegna di oggi, Sembri un pastore, ha detto, a me, al
postmoderno cantore dell’estetica sradicata, a me impavido sostenitore della
destrutturazione delle appartenenze, per Dio — Io non fumo molto perché il
fumo fa male, fumare provoca emolisi, dicono i medici, hanno ragione, il fumo
consuma i globuli rossi, il sangue, l’energia vitale
Corda sta zitto, Corda non parla quasi mai, Corda emette brevi sentenze,
approva o si dissocia, Corda rimugina
Soltanto che non è solo il fumo, a provocare questo spiacevole effetto: tutte le
attività umane provocano emolisi, camminare e correre e giocare a tennis e
fare sesso, tutto, il sangue si consuma in fretta e la vita corre e le trasfusioni
si avvicinano l’una all’altra e si susseguono negli anni e i giorni finiscono e
ricominciano e il consumo di energia è inarrestabile, come il tempo e il
bisogno di respirare, — Io fumo poco ma fumare è bello, un po’ di fumo ci
vuole —, ho detto un giorno al mio medico, lui ha scosso la testa come a dire
Va bene, lasciamo perdere
— Noi —, dice Licheri, — Noi siamo perdutamente sconfitti in partenza da
queste paranoie identitarie e antidentitarie e non se ne esce, in quest’isola
maledetta, il danno di essere isolani —, dice Licheri il pontificatore con un
sorriso, — Noi dobbiamo liberarci dai fantasmi della storia, dai nostri immensi
stordenti sensi d’inferiorità e di marginalità e di perifericità, accettare che
siamo come gli altri, tutti gli altri, né meglio né peggio, eccellenti uomini
qualunque del mondo, questa è la rivoluzione che ci toccherà fare, prima o
poi —, dice ispirato Licheri, — Quant’è bella l’estate —, dice il mio socio, —
Quanto sono belle le notti di luglio — Noi, appena lo scorso dicembre, io e
Licheri e Corda, appena qualche mese fa eravamo tre fidanzati sereni e
pacifici, tre lunghe storie d’amore, tribolate e traballanti, tre giovani donne nei
cui cuori avevamo riposto il nostro incontenibile sentimento, nel nostro
rapporto con loro custodivamo tante delle nostre più alte speranze per il futuro
Poi, ci hanno lasciato
Aggiornata il giovedì 15 maggio 2008
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
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