Materiale offerto a studenti e docenti - Orienta Chimica

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Materiale offerto a studenti e docenti - Orienta Chimica
Appuntamenti
con la Chimica
2008-2009
LABORATORI
APERTI
Guida alle esperienze presentate nei
laboratori dei nostri Dipartimenti
Chimica Organica e Industriale
Sintesi del nylon 6,6
Chimica Fisica ed Elettrochimica
Pila a combustibile
Chimica Inorganica, Metallorganica e
Analitica "Lamberto Malatesta"
Chimica e ambiente
2-9 Febbraio 2009
Ore 10:00
Aula G07
Nuovo Settore Didattico
Università degli Studi di Milano
Polo Città Studi
Via Golgi1 19
Milano
Sintesi del nylon 6,6
Università degli Studi di Milano
Dipartimento di Chimica Organica e Industriale
Con il termine nylon ci si riferisce ad una famiglia di polimeri sintetici, il cui capostipite è
il nylon 6,6. Il nylon 6,6 è stato ottenuto per la prima volta in Germania, da Gabriel e Maas,
nel 1899. Nel 1929 furono riconosciute a questo polimero delle proprietà utilizzabili
commercialmente. Fu però solo in seguito agli studi sulle poliammidi, condotte da Wallace
Carothers alla DuPont di
Wilmingtown nel Delaware a
partire dal 1935, che nel 1939
poté iniziare la produzione
acido adipico
esametilendiammina
industriale del nylon. Il primo
lotto di nylon industriale fu
prodotto nel maggio dell'anno
successivo.
Il nylon 6,6 è il nylon per
antonomasia ed è il più diffuso.
nylon 6,6
Chimicamente esso deriva dalla
polimerizzazione per condensazione tra la esametilendiammina e l'acido adipico. Il nylon
6 è invece il prodotto della polimerizzazione del caprolattame (vedi pag. 3).
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COSA E’ UN POLIMERO?
Un polimero (dal greco molte parti) è una macromolecola di elevato peso molecolare,
costituita da un gran numero di piccole unità, dette monomeri (una parte), uguali o
diverse fra loro, legate a catena mediante la ripetizione dello stesso tipo di legame
chimico.
Con il termine polimeri si intendono comunemente macromolecole di origine sintetica:
materie plastiche, gomme sintetiche e fibre tessili, sebbene siano polimeri anche molte
molecole presenti nei sistemi viventi, quali proteine, acidi nucleici e polisaccaridi.
Oggi i nostri abiti possono essere di poliestere, le sedie sono di polivinile e le scrivanie di
formica. Le nostre automobili hanno gli pneumatici di gomma sintetica e la tappezzeria
di polivinile. La vernice dei pavimenti di legno è di poliuretano. Tra i prodotti polimerici
di più largo consumo figurano quelli per le confezioni alimentari e per la fabbricazione di
una grande serie di oggetti. Materiali polimerici sono infine utilizzati per scopi
particolari: ad esempio isolanti elettrici, nella fabbricazione di valvole cardiache e di
parabrezza per aerei.
I polimeri possono appartenere a tre grandi classi: gli elastomeri, dotati cioè di proprietà
elastiche come la gomma; le fibre, utilizzate nell'industria tessile; le materie plastiche, che
vanno da sottilissime pellicole a solidi duri prodotti a stampo.
La grande varietà nelle proprietà dei polimeri dipende dalla varietà delle strutture
possibili e lo studio della scienza e della tecnologia delle macromolecole è un settore di
primo piano nel mondo industriale.
LA FAMIGLIA DEL NYLON
Dopo lo sviluppo del nylon 6,6, e del nylon 6, ci sono stati molti altri tentativi di
polimerizzare un diacido con una diammina, pertanto il termine nylon è passato ad
identificare tutta la famiglia di polimeri. I numeri che seguono il nome "nylon" specificano
il numero di atomi di carbonio presenti rispettivamente nella diammina e nel diacido. Se il
numero è uno solo, come nel caso del nylon 6, significa che il gruppo acido e il gruppo
amminico coinvolti nella reazione di polimerizzazione sono presenti sulla stessa molecola
e che questa molecola contiene quel numero di atomi di carbonio.
caprolattame
nylon 6
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CARATTERISTICHE DEL NYLON
Uno degli usi principali del nylon è come fibra tessile. La filatura del nylon è condotta a
temperature di 30-40 °C superiori rispetto al punto di fusione, attraverso l'uso di
macchinari detti estrusori. La particolare lavorazione consente di orientare fisicamente le
macromolecole in lunghe catene lineari
stabilizzate da ponti idrogeno tra i
gruppi CO e NH di macromolecole
adiacenti e dirette secondo l'asse della
fibra in formazione. Inoltre, l'alternarsi
regolare delle catene alchiliche nella
macromolecola concorre a conferire un
notevole grado di cristallinità al
polimero. Tutto ciò consente di ottenere
un materiale dalle ottime caratteristiche
meccaniche, quali l'elevato modulo
elastico, la durezza e la resistenza
all'abrasione. La fibra infatti presenta
direzione della fibra
una ottima resistenza all'usura, un
elevato recupero elastico, si tinge facilmente e ha una buona solidità al colore. Per contro, il
nylon è sensibile a svariati reagenti chimici quali i candeggianti e gli acidi minerali e offre
poca resistenza alle temperature superiori ai 100 °C.
USI DEL NYLON
La fibra di nylon può essere utilizzata in filo continuo per la fabbricazione dei collant,
costumi da bagno e abbigliamento sportivo in genere (tute da ciclista, giacche a vento).
Trova inoltre uso in borsetteria e per la produzione di ombrelli, fodere, tessili per
l'arredamento e per la pavimentazione. In quest'ultimo caso il diametro del filo è
maggiore.
La fibra può anche essere usata in fiocco, vale a dire che molte fibre tagliate a corta
lunghezza sono torte insieme a formare il filo. In questo caso l'impiego è soprattutto in
mischia con altre fibre, quali cotone e lana. I materiali così ottenuti sono usati per la
produzione di calze da uomo, maglieria e, con fili di diametro più spesso, per la
fabbricazione di tappeti.
SINTESI DEL NYLON 6,6
La sintesi industriale del nylon differisce da quella qui presentata su scala di laboratorio.
Nel processo industriale l'acido adipico e la esametilendiammina sono mescolati insieme a
dare il sale esametilendiammonio adipato. Il sale è poi portato a 275° C per mezzo di
vapore sotto pressione. In queste condizioni avviene la formazione del legame ammidico
tra le molecole dei monomeri.
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Per la nostra esperienza ricorreremo invece alla tecnica della polimerizzazione
interfacciale tra l'adipoil cloruro e la esametilendiammina. Il cloruro acilico rappresenta
una forma reattiva dell'acido, e pertanto il suo uso consente di ottenere la reazione di
polimerizzazione in condizioni più blande. La tecnica della polimerizzazione interfacciale
consiste nello sciogliere l'adipoil
cloruro in un solvente organico
immiscibile con l'acqua (il
toluene) e nel mettere a contatto
questa soluzione organica con
adipoil cloruro
esametilendiammina
una soluzione acquosa della
diammina. All'interfaccia tra i
due liquidi immiscibili avverrà la
reazione di polimerizzazione, con
la formazione di un sottile film di
nylon. Il nylon in formazione può
nylon 6,6
essere rimosso dall'interfaccia tra
i due liquidi, in quanto viene
continuamente rigenerato man mano che la reazione procede. Nella reazione si libera
anche acido cloridrico come sottoprodotto. L'acido cloridrico può interferire con l'esito
della reazione, in quanto può salificare la diammina, rendendola inerte. Per questo motivo,
la soluzione acquosa è resa basica sciogliendovi dell'idrossido di sodio, che neutralizza
l'acido cloridrico man mano che questo si forma.
PROCEDURA SPERIMENTALE
•
Sciogliere 0.2 g di esametilendiammina in 20 ml di NaOH 0.1 M.
•
Sciogliere 0.2 g di adipoil cloruro in 20 ml di toluene.
•
Introdurre la soluzione acquosa di esametilediammina in un beaker da 100 ml.
•
Versare
lentamente
la
soluzione toluenica sulla
soluzione
acquosa
lasciandola stratificare.
•
Osservare la formazione di
un film bianco all'interfaccia
ed allontanarlo in continuo
utilizzando una bacchetta di
vetro.
•
A reazione conclusa lavare abbondantemente in acqua e toluene per eliminare la soda, il
sodio cloruro formato ed i monomeri non reagiti.
•
Seccare in stufa fino a peso costante.
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La Pila a Combustibile
Università degli Studi di Milano
Dipartimento di Chimica Fisica ed Elettrochimica
L’elettrochimica è quella branca delle scienze che studia tutti i processi in cui si ha un
trasferimento di carica elettrica. In un processo elettrochimico si può avere la
trasformazione di energia elettrica in energia chimica (è ciò che accade negli
ELETTROLIZZATORI) o la trasformazione di energia chimica in energia elettrica (è ciò
che accade nelle PILE o BATTERIE).
I processi elettrochimici caratterizzano la vita di tutti i giorni. Nelle nostre attività
quotidiane utilizziamo apparecchi elettrochimici (pile di vario genere ed anche
elettrolizzatori, per es. un carica batteria) e noi stessi esistiamo grazie a processi
elettrochimici, come ad esempio i meccanismi cellulari e nervosi.
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CENNI STORICI
L’elettrochimica nasce nel 1800 con la comunicazione di Alessandro Volta alla Royal
Society di Londra nella quale si descrive la realizzazione ed il
funzionamento della pila. La Pila di Volta, era in realtà una serie di pile,
ciascuna costituita da un dischetto di rame (o argento), un dischetto di
feltro imbevuto di acido solforico, ed un dischetto di zinco.
Impilando (da cui il nome “pila”) una o più serie di dischetti si può
osservare che tra i due capi della pila si ha una
differenza di potenziale.
Volta non possedeva una strumentazione adeguata
a misurare questa differenza, ma ne vedeva gli effetti (era ad esempio
in grado di far muovere le zampe delle rane come nell’esperimento
di Galvani).
Oggi questa differenza di potenziale può essere misurata con
strumenti quali il potenziometro o il voltmetro elettronico ad
altissima impedenza, in grado di misurare la differenza di potenziale
“a circuito aperto” (Open Circuit Potential, OCP), cioè senza che vi
sia passaggio di corrente.
La pila di Volta non è altro che l’antesignana delle moderne pile
(alcaline, al litio, Ni-MH) che comunemente utilizziamo per far funzionare le
apparecchiature elettriche portatili (orologi, telefoni cellulari, torce elettriche, i-POD, PC
ed altri srumenti portatili, dispositivi elettromedicali, es. pace-maker).
Le pile moderne possono essere suddivise in tre categorie:
1. pile primarie, non ricaricabili: in esse la reazione di conversione dei reagenti nei
prodotti è irreversibile, quindi, una volta utilizzate possono essere solo smaltite e
possibilmente riciclate (i materiali che le compongono non devono essere dispersi
nell’ambiente, bensì recuperati, con altri processi chimici ed elettrochimici);
2. pile secondarie, o ricaricabili (accumulatori): in esse la reazione di conversione dei
reagenti nei prodotti è reversibile (applicando un generatore esterno) e quindi
possono essere utilizzate anche per migliaia di cicli di
scarica/ricarica. Fanno parte di questa categoria gli
accumulatori al piombo (comunemente utilizzati negli
autoveicoli per far funzionare le sempre più numerose
apparecchiature elettriche e il fondamentale “motorino di
avviamento”), le batterie al Li che si trovano nei telefoni
cellulari e nei PC. Una corretta gestione della ricarica è
fondamentale per la lunga vita della batteria e l’efficienza
delle apparecchiature, dal cellulare all’automobile. Anche
nel caso dell’accumulatore al piombo possiamo misurare la
differenza di potenziale a circuito aperto che risulta di 2 V;
3. pile a combustibile o “fuel cells”, di cui parleremo estesamente nel prossimo
paragrafo.
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PILE A COMBUSTIBILE o “FUEL CELLS”
Proprio come in un normale processo di combustione (si pensi a quando bruciamo della
legna in un camino o il gas metano nelle cucine domestiche), le pile a combustibile
utilizzano un combustibile e un comburente. La differenza rispetto alla combustione
“classica” sta nella separazione della reazione in due aree differenti, per cui è possibile
produrre energia elettrica, a causa del passaggio di elettroni dal polo negativo al polo
positivo della pila attraverso conduttori di I specie (metalli) e di ioni attraverso conduttori
di II specie (soluzioni elettrolitiche).
Il combustibile maggiormente utilizzato è l’idrogeno (H2), che tuttavia non è presente
come tale in natura[1] e deve essere ottenuto attraverso diverse metodologie, come
mostrato in figura.
Riproduzione da Brochure conclusiva Progetto ECTOS-CUTE (http://www.fuel-cell-bus-club.com/)
Come comburente si utilizza l’ossigeno, o meglio, l’aria che ha il vantaggio di essere
presente a costo zero nell’atmosfera che ci circonda. Utilizzando idrogeno come
combustibile, l’unico prodotto finale della reazione è l’acqua, il che rende il processo
assolutamente ECOcompatibile. Inoltre, questa combustione “elettrochimica” è
intrinsecamente molto più efficiente di quella chimica termica, portando così a possibili
risparmi energetici.
1
L’idrogeno, perciò, è un ottimo vettore di energia, ma non una fonte energetica primaria. La sua
importanza risiede quindi nel fatto che la reazione di combustione “elettrochimica”, come descritto nel testo,
dà come unico prodotto acqua. Ciò rende questa reazione ottimale per la riduzione della produzione di CO2
e di NOx, sostanze legate ai processi di combustione diretta di qualunque tipo di combustibile, che
rappresentano un problema particolarmente sentito nelle aree urbane in relazione al traffico ed al
riscaldamento domestico. Perciò, l’interesse verso la produzione di idrogeno (da fonti energetiche
rinnovabili) ed il suo utilizzo in una pila a combustibile non risiede certo nel bilancio energetico globale (che
è senz’altro negativo), ma nella sostenibilità ambientale del suo impiego per applicazioni di energia
distribuita sul territorio.
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Le due semireazioni di pila sono le seguenti:
polo negativo: H2 ) 2H+ + 2epolo positivo: ½ O2 + 2e- + 2H+ ) H2O
e portano alla seguente reazione globale che è la combustione dell’idrogeno a dare acqua:
H2 + ½ O2 ) H2O
Il circuito si chiude con il passaggio dei 2e- nel circuito esterno di conduttori di I specie
(generando così corrente elettrica) e con il passaggio dei 2 ioni idrogeno (H+) attraverso
conduttori di II specie (elettrolita) e la membrana cationica che separa le due zone
elettrodiche.
Polo negativo
Polo positivo
Polo positivo
UTILIZZI DELLE PILE A COMBUSTIBILE
Innumerevoli sono gli utilizzi previsti delle pile a combustibile. Celle a combustibile
miniaturizzate sono in procinto di essere commercializzate per alimentare telefoni
cellulari, PC e altre apparecchiature portatili. Alcuni ospedali, compagnie di carte di
credito, stazioni di polizia e banche negli Stati Uniti d’America utilizzano già pile a
combustibile per alimentare la rete elettrica. A livello sperimentale, le pile a combustibile
sono impiegate in automobili, autobus, navi, treni,
aeroplani, scooter.
Utilizzi stazionari
In tutto il mondo sono stati installati oltre 2500
sistemi basati sulle pile a combustibile in ospedali,
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Impianto da 200kW - Central Park – New York
asili, alberghi, uffici, scuole, centrali elettriche sia connessi alla rete elettrica per garantire
una potenza supplementare o in casi di emergenza (blackout elettrici), sia installati come
generatori per un servizio on-site in aree inaccessibili alle linee elettriche convenzionali.
Questi sistemi raggiungono una efficienza (combustibile-elettricità) intorno al 40%.
Utilizzando combustibili fossili. Oltre e ridurre le emissioni di inquinanti, poiché si tratta
di centrali silenziose, non si ha produzione di inquinamento acustico. Inoltre, quando
queste centrali sono collocate vicino ai punti di utilizzo, il calore prodotto durante il
funzionamento può essere recuperato per altri utilizzi (cogenerazione). In questo modo
sono raggiungibili efficienze intorno all’85%.
Mezzi di trasporto
Attualmente, le maggiori case automobilistiche
stanno
lavorando
per
arrivare
alla
commercializzazione di automobili basate su
questa tecnologia. Alcuni produttori prevedono
di mettersi sul mercato nel 2012.
Negli ultimi anni, più di 50 autobus hanno operato in
diversi paesi del mondo. In Europa negli anni 2002-2006,
il progetto ECTOS-CUTE (Ecological City TranspOrt
System - Clean Urban Transport for Europe) finanziato
dalla Unione Europea, ha portato alla realizzazione di
diversi prototipi in nove città europee.
(http://www.fuel-cell-bus-club.com/).
Le pile a combustibile utilizzate in questo campo garantiscono, quando alimentate da
idrogeno, zero o basse emissioni di inquinanti e poco rumore.
In questo caso esiste il problema dello stoccaggio dell’idrogeno, che può essere trasportato
in opportune bombole (come nel caso del bus mostrato in figura), opportunamente ririempite in stazioni di servizio e rifornimento .
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Altre possibilità….
SISTEMI PORTATILI
Le pile a combustibile possono fornire energia elettrica quando
non si ha a diaposizione alcun collegamento alla rete elettrica.
Offrono inoltre il vantaggio di essere più leggere delle batterie
convenzionali e di durare più a lungo.
Le
pile
a
combustibile
cambieranno inoltre il sistema
di
telecomunicazione,
alimentando telefoni cellulari,
laptop e palmari per un
tempo maggiore rispetto alle batterie convenzionali.
Alcuni produttori hanno ottenuto dei prototipi che
sono in grado di alimentare i telefoni cellulari per 30
giorni e i laptop per 20 ore, senza ricarica.
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DESCRIZIONE dell’ESPERIENZA di LABORATORIO
Il prototipo di cella a combustibile da laboratorio che viene mostrato è costituito da due
elettrodi di platino finemente suddiviso disperso su feltro di carbone, separati da una
membrana polimerica idratata che garantisce il contatto tra i due scomparti, ma impedisce
il contatto diretto del combustibile con il comburente, per il quale si avrebbe la reazione di
combustione normale.
Quando la pila viene alimentata
con idrogeno ed ossigeno, essa
genera
una
differenza
di
potenziale sufficiente a far
funzionare una piccola elica. Per
far funzionare un orologio da
parete, sono invece necessarie due
pile collegate in serie. Così,
proprio come nella pila di Volta,
mettendo in serie un congruo
numero di pile, sfruttando la
modularità del sistema e tenendo
conto
anche
della
potenza
necessaria, è possibile alimentare
un orologio da parete o una
automobile o addirittura una
centrale elettrica.
L’idrogeno e l’ossigeno che
servono per alimentare la pila,
sono prodotti attraverso il
processo di elettrolisi dell’acqua,
in un sistema simmetrico al
precedente, ossia usiamo energia
elettrica per convertire l’acqua
nei suoi costituenti: idrogeno e
ossigeno. I gas prodotti vengono
convogliati e raccolti in due reservoir, prima di essere utilizzati nella pila. Si può osservare
che il volume di idrogeno prodotto è doppio rispetto a quello dell’ossigeno, come da
stechiometria di reazione: H2O ) H2 + ½ O2
Tale cella di elettrolisi è analoga alla cella a combustibile, ma i suoi due elettrodi vengono
collegati a un apparecchio che genera una differenza di potenziale in grado di far avvenire
la reazione. Questo apparecchio può essere un trasformatore direttamente collegato alla
presa di rete elettrica oppure un sistema di pannelli solari, che trasforma l’energia solare in
energia elettrica.
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Chimica e Ambiente
Università degli Studi di Milano
Dipartimento di Chimica Inorganica, Metallorganica e Analitica
"Lamberto Malatesta"
L’ACQUA
ANALISI DELLE ACQUE
L'acqua è forse la più importante tra le risorse umane. Un uomo può sopravvivere senza
cibo per settimane, ma senz'acqua morirebbe in pochi giorni. Con argomentazioni meno
drammatiche, è sufficiente osservare che ogni giorno, nell'intero pianeta, sono necessari
milioni di litri d'acqua per lavare, irrigare i campi, per raffreddamento nei processi
industriali, nonché per attività ricreative come piscine e centri per sport
acquatici. Nonostante ciò spesso i bacini (fiumi, laghi, mari) vengono
utilizzati come scarichi per ogni sorta di rifiuti, procedendo ad un
inquinamento che può avere conseguenze anche molto serie sullo stato di
salute dell’uomo. Se infatti le epidemie provocate da agenti infettivi
batterici o virali trasportati dalle acque sono più rare e limitate ai
paesi ancora fortemente poco sviluppati, rimane elevata la minaccia
di contaminazione chimica delle acque delle nazioni industrializzate
e soprattutto di quelle in fase di industrializzazione.
Le acque possono essere suddivise in acque interne (superficiali,
sotterranee e potabili), acque di transizione (le acque superficiali in
prossimità della foce di un fiume, che sono parzialmente di natura
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salina a causa della loro vicinanza alle acque costiere, ma sostanzialmente influenzate dai
flussi di acqua dolce), acque marino-costiere (le acque superficiali situate all'interno
rispetto a una linea immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico dal limite
delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque
di transizione), acque balneari.
Occorre inoltre considerare che il 97% delle acque presenti sul pianeta è rappresentato da
"acqua salata" e solo il 3% da "acque dolci".
La percentuale maggiore delle acque dolci è costituita da ghiacciai polari, che però sono
una risorsa d'acqua dolce non utilizzabile dall'uomo; una piccola percentuale è
rappresentata dalle acque di superficie e dall'acqua presente nell'atmosfera e nella
biosfera.
SUDDIVISIONE DELLE RISERVE IDRICHE
600 Km3
Biosfera
15.000 Km3
Atmosfera
950.000 Km3
Fiumi e Laghi
8.000.000 Km3
Acque sotterranee
29.000.000 Km3
Ghiacciai e ghiacci polari
1.350.000.000 Km
Oceani
3
Le acque sotterranee rappresentano la maggiore risorsa idrica utilizzabile dall'uomo e
sono importanti perché:
rappresentano il 20%, dell'acqua dolce presente nel pianeta; l’80% della riserva d’acqua
dolce è costituita da una risorsa non utilizzabile dall’uomo (ghiacciai e ghiacci polari), e
quindi le acque sotterranee costituiscono un patrimonio inestimabile, fondamentale per la
vita e per lo sviluppo socio-economico del pianeta;
sono una risorsa rinnovabile anche se esauribile;
forniscono il flusso di base di numerosi fiumi (che nei periodi di magra può arrivare fini al
90%) e servono pertanto da tampone nei periodi di siccità;
sono essenziali per la conservazione delle zone umide;
rappresentano la quasi totalità della risorsa idropotabile.
IL CICLO DELL’ACQUA IN NATURA
L’acqua del mare, grazie all’energia termica fornita dal sole, evapora formando le nuvole
che spinte dai venti sulla terraferma e incontrando strati atmosferici più freddi subiscono
un processo di condensazione, e precipitano sotto forma di pioggia e neve.
L’acqua piovana si satura dei gas dell’atmosfera (N2, O2 e CO2), cade sulla superficie
terrestre e in parte penetra nel sottosuolo (percolando attraverso strati porosi di terreno),
in parte scorre in superficie formando fiumi e laghi.
L’acqua sotterranea scorrendo su strati di terreno impermeabile, riemerge sotto forma di
sorgenti e si riunisce alle acque fluviali e lacustri, facendo ritorno al mare, dove si conclude
il ciclo.
Durante il percorso nel sottosuolo, l’acqua grazie al suo potere solvente, scioglie i
costituenti del terreno. In alcuni casi si tratta di un semplice processo fisico, in altri avviene
una vera e propria reazione chimica, come per il carbonato di calcio, la cui solubilità in
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acqua è minima. L’anidride carbonica disciolta nell’acqua consente l’attacco chimico e la
Ca++ + 2HCO3dissoluzione del calcare:
CaCO3 + H2O + CO2
Ecco perché nelle acque naturali è presente lo ione bicarbonato.
La tabella I mostra le sostanze disciolte nelle acque sotterranee; molti altri cationi e anioni
possono essere presenti in minime quantità (Sr2+, Li+, Fe2+, Mn2+, NH4+, NO2-, NO3-, Br-, I-..).
TABELLA I - Principali sostanze disciolte nelle acque naturali sotterranee.
Sostanze gassose
Azoto N2
Ossigeno O2
Anidride carbonica CO2
(Idrogeno solforato H2S)
Sostanze solide dissociate
Cationi
+
+
Sodio Na
Calcio Ca
(potassio K )
++
++
Magnesio Mg
Anioni
Cloruro Cl
-
Bicarbonato HCO3
Sostanze
dissociate
solide
Solfato SO4-non Silice SiO2
Sostanze organiche (umiche)
Le acque naturali di superficie contengono anche sostanze sospese (detriti argillosi o
organici).
+
++
++
-
L’acqua del mare contiene nove ioni principali (Na , Mg , Ca , K+, Sr2+, Cl-, SO42-, HCO3 ,
Br-) che da soli costituiscono il 99,5 % della salinità totale, e numerosissimi altri in minime
quantità.
Accanto al ciclo fisico dell’acqua in natura, occorre considerare il ciclo biologico. Le piante
assorbono l’anidride carbonica dell’aria mediante le foglie, estraggono dal terreno per
capillarità l’acqua contenente gli elementi nutritivi e grazie all’energia solare, sintetizzano
le molecole organiche ed emettono ossigeno (fotosintesi clorofilliana).
Il ciclo viene chiuso dai microrganismi aerobi del terreno e delle acque naturali, i quali
trasformano i prodotti finali del metabolismo animale, ed i resti degli stessi animali e delle
piante al termine della loro esistenza, in sostanze minerali, che tornano a far parte
dell’ambiente.
Questi cicli naturali vengono alterati, talvolta gravemente, dalla presenza dell’uomo e
delle sue multiformi attività. Per l’uomo che vive in grandi comunità agglomerate in breve
spazio, uno dei problemi più assillanti è quello del trasporto e dello smaltimento dei suoi
residui fisiologici; tale problema è stato risolto col mezzo di trasporto più semplice ed
economico, ossia l’acqua; da qui nasce il primo tipo di inquinamento idrico:
l’inquinamento di origine domestica.
L’uomo ha dedicato sempre maggiori cure all’agricoltura, incrementando l’irrigazione
artificiale, producendo fertilizzanti sintetici tratti dal suolo (fosfati) e dall’atmosfera
(concimi azotati), proteggendo le colture con anticrittogamici, insetticidi, e diserbanti
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anche di sintesi, sviluppando e razionalizzando l’allevamento del bestiame. Dalle acque
che lasciano i campi risultano così elevate concentrazioni di sostanze nocive che danno
luogo all’inquinamento di origine agricolo.
A seguito della Rivoluzione industriale, le fabbriche incominciarono a consumare enormi
quantitativi d’acqua per le lavorazioni, i lavaggi, la produzione di vapore, il
raffreddamento, ecc.; buona parte di quest’acqua veniva restituita all’ambiente assieme ai
residui (disciolti o sospesi) delle attività lavorative. A ciò si deve la grande diffusione
dell’inquinamento di origine industriale.
LA CLASSIFICAZIONE DELLE ACQUE AI FINI ANALITICI.
Poiché la legislazione classifica le acque in funzione del loro utilizzo oltre che in base alla
provenienza, si rende necessaria la loro analisi chimica per verificare che le loro
caratteristiche corrispondano ai requisiti imposti. Di seguito verranno pertanto elencati i
principali tipi di acque sottoposti ad analisi chimica.
ACQUE MINERALI E DI SORGENTE
In Italia può essere venduta con la dicitura acqua minerale solo l'acqua che risponde ai
criteri di legge stabiliti dal D.L. 25/1/1992 n.105, secondo il quale "Sono considerate acque
minerali naturali le acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo,
provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche
particolari e proprietà favorevoli alla salute". La legge italiana impone perciò che
sull’etichetta delle bottiglie contenenti acque “minerali”, sia riportata l’analisi chimico
fisica completa. Pertanto non tutti i chimici sono abilitati ad eseguire tali analisi, ma solo
quelli appartenenti a laboratori ufficiali. Secondo l'uso corrente si possono chiamare acque
minerali quelle acque che o per la quantità di corpi disciolti, o per la natura di essi, o per la
temperatura che possiedono alla sorgente sono riconosciute adatte a scopi terapeutici.
Occorre ricordare che il più recente Decreto Legislativo n.339 del 1999, che ha dato
attuazione alla Direttiva europea n.96/70, ha introdotto la categoria delle acque di
sorgente. Le acque di sorgente appartengono alla categoria delle acque naturali,
batteriologicamente pure all'origine, ma non possono vantare effetti salutari
La tabella II mostra la classificazione delle acque minerali.
TABELLA II - Classificazione delle acque
Grado di
mineralizzazione
Minimamente mineralizzate
Oligominerali
Mediominerali
Minerali
Residuo a 180 °C
mg/l
< 50
< 500
500 - 1500
> 1500
Le acque minerali possono essere denominate
A) Salse (cloruro–sodiche; Salso-solfato-alcaline; Salso-solfato-alcalino-terrose; Salsobromo-iodiche ;Salso-iodiche-solfato-alcaline ; Salso-iodiche-alcalino-terrose)
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B) Solfuree (Solfuree-bicarbonate; Solfuree-salse; Solfuree-salso-bromo-iodiche;
Solfuree-salso-solfato-alcaline; Solfuree-solfato-alcaline
C) Arsenicali ferruginose
D) Bicarbonato-alcaline
E) Solfate (Solfato-bicarbonate, Solfato-alcalino-terrose
ACQUE POTABILI PER USO ALIMENTARE E CIVILE
Un'acqua si dice potabile quando, oltre a possedere sapore, colore e limpidezza che la
rendono grata al gusto e alla vista e a non avere odore spiacevole, abbia composizione
adatta a soddisfare i bisogni fisiologici dell'organismo e non possa recare a questo alcun
danno o malattia per la presenza in essa di germi patogeni. Secondo l'origine le acque da
adoperarsi per bevanda si possono classificare in piovane, superficiali e sotterranee (di
falda). I caratteri che si studiano in questi diversi tipi di acque si distinguono in:
•
organolettici; apprezzabili con i sensi (limpidezza, mancanza di odore e sapore,
ecc.);
•
fisici; tra cui il più importante è la temperatura che dovrebbe mantenersi tra 7 e
15°C;
•
chimici, che rivelano la presenza di sostanze inquinanti che, se prese in grande
quantità, rendono l'acqua poco gradita e meno adatta alla sua funzione
nell'organismo;
•
biologici, che indicano se l'acqua è pura e se contiene germi di malattie.
Non sempre le acque da adibire ad uso potabile possiedono tutti i requisiti necessari,
soprattutto se si tratta di acque superficiali o provenienti dal sottosuolo.
Come conseguenza occorre quindi sottoporre l'acqua a particolari trattamenti fisici o
chimici come:
•
filtrazione, che serve per chiarificare le acque torbide mediante l'uso di filtri
particolari di ghiaia e sabbia;
•
sterilizzazione con radiazioni, che rende sterili le acque mediante l'uso di raggi
ultravioletti, X o ;
•
addolcimento, che diminuisce il grado di durezza di acque molto dure;
•
sterilizzazione con reagenti chimici, che prevede l'uso di sostanze come cloruro di
calce, cloro gassoso o ipocloriti, i quali rendono le acque sterili grazie all'azione del
cloro. Tali sostanze hanno il difetto di alterare il sapore e l'odore dell'acqua
rendendolo sgradevole.
I metodi analitici per eseguire le determinazioni relative a queste acque non differiscono
sensibilmente da quelli impiegati per le acque minerali, anche se si richiede una precisione
inferiore e il numero di saggi occorrenti è molto minore.
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Le caratteristiche chimiche delle acque destinate al consumo umano sono stabilite dalla
direttiva CEE 80/778 del 15 luglio 1980, recepita dalla legislazione italiana con il D.P.C.M.
dell’8 febbraio 1985. Si rammenti tuttavia che il giudizio di potabilità di un’acqua è di
pertinenza del medico e che quindi il chimico non è abilitato a formularlo.
ACQUE INDUSTRIALI
Si chiamano acque industriali quelle acque che, presentando determinati requisiti fisici,
chimici e talora anche batteriologici, possono venire impiegate in particolari processi
industriali; vanno anche comprese sotto tale nome le acque che, proveniendo da certe
lavorazioni, devono essere depurate per poter essere immesse nei condotti ordinari di
scarico. A seconda del loro uso le acque devono possedere determinati requisiti:
•
acque per caldaie; per essere destinata a tale uso l'acqua non deve corrodere le lamine di
ferro o dare origine a incrostazioni causate dalla presenza di carbonati di calcio e
magnesio;
•
acque per industrie tessili e affini; in questo tipo di industrie l'acqua, unitamente al
sapone, si impiega come detergente; occorrono perciò acque che non contengano ioni
alcalino-terrosi (Mg++, Ca++, Sr++), poiché essi fanno precipitare i saponi neutralizzando la
loro azione anche sulla fibra stessa in modo che le successive operazioni di tintoria non
diano risultati soddisfacenti. Nell'acqua per tintoria inoltre non ci devono essere metalli
pesanti che possano provocare macchie.
Le acque possono essere utilizzate inoltre per il raffreddamento di impianti o, come
materia prima, nella produzione di energia elettrica (es. centrale idroelettrica).
ACQUE AGRICOLE
In agricoltura l'acqua esercita un ruolo vitale; non è possibile, infatti, alcuno sfruttamento
del suolo senza un adeguato e razionale sistema di irrigazione. Per tale uso l'acqua non
deve contenere elevate concentrazioni di quelle sostanze che risultano nocive alle colture
come gli ioni Na+ e Cl-, i bicarbonati ed il boro, che provocherebbero alterazioni del
terreno. Inoltre non devono essere presenti metalli fitotossici. Anche per l'allevamento del
bestiame è richiesta acqua di elevata purezza con requisiti simili a quelli richiesti per
l'acqua potabile.
CAMPIONAMENTO
L’operazione del prelievo del campione è una delle più delicate dell’intero processo
analitico. Se il campione è alterato, mal prelevato o comunque non rappresentativo, si
hanno conseguenze per quanto riguarda la certificazione legale o almeno ufficiale.
Anzitutto i campioni devono essere raccolti in recipienti perfettamente puliti e con tappo a
tenuta. I recipienti usati sono di materiale diverso in relazione all’analisi, in quanto ogni
materiale può cedere all’acqua le sostanze di cui è composto. In genere si usa plastica
(polietilene), il vetro (pirex) e l’acciaio inossidabile. E’ opportuno avvinare il recipiente con
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l’acqua in esame, prima del prelievo del campione, e riempire quanto più possibile la
bottiglia prima di chiuderla, per evitare che vi rimangano bolle d’aria. Quando la sorgente
è accessibile, il prelievo non presenta difficoltà. Per i fiumi è opportuno prelevare il
campione al centro della corrente, a 20-50 cm dal pelo dell’acqua.
Nel caso dei laghi, o comunque di acque non correnti, si devono eseguire prelievi a varie
profondità .
ANALISI DELLE ACQUE
PARAMETRI CHE DEVONO ESSERE ANALIZZATI E CRITERI
Nonostante la Gazzetta Ufficiale n° 236 del 24/05/1988 indichi ben 62 parametri da tenere
in considerazione per l’analisi delle acque, quelli fondamentali sono:
• Temperatura
• pH
• Conducibilità Elettrica Specifica
• Durezza Totale, Temporanea E Permanente
• Cloruri
• Solfati
• Calcio
• Magnesio
• Sodio
• Potassio
• Ossigeno Disciolto
• Azoto Nitrico
• Azoto Nitroso
• Ossidabilità
• Alcalinità
Descriveremo qui di seguito solo i parametri che determineremo insieme in laboratorio
TEMPERATURA
La temperatura è un parametro fisico di notevole interesse in quanto fattore condizionante
di tutte le cinetiche delle reazioni. Una sua variazione può infatti alterare, talvolta in modo
irreversibile, gli equilibri chimici e biochimici dell’acqua. Per le acque sorgive la misura
della temperatura fornisce preziose indicazioni sulle caratteristiche della falda in quanto
un valore costante della sorgente testimonia un’origine profonda, che non risente cioè
delle variazioni né diurne né stagionali della temperatura esterna. Al contrario le acque di
falda freatica, e ancor più quelle superficiali, sono soggette a escursioni termiche più o
meno ampie.
Valori normali di temperatura di una buona acqua potabile sono compresi tra i 9 ed i 12
°C, ma sono comunque tollerate temperature sino a 25 °C. Valori superiori sono indizio di
inquinamento termico, di cui le cause più frequenti risiedono negli scarichi caldi delle
acque di raffreddamento, o di altra natura, prodotti dalle industrie (valido soprattutto per
le acque superficiali).
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Questo fatto si ripercuote sfavorevolmente sul bilancio dell’ossigeno, con tutte le
conseguenze negative che il fatto può comportare, sia direttamente, a causa della sua
diminuita solubilità, sia indirettamente, attraverso il maggior consumo di ossigeno che
l’aumentato metabolismo della flora acquatica comporta.
In laboratorio determineremo la temperatura del campione di acqua grazie ad una
termocoppia inserita nel campione stesso.
DETERMINAZIONE DEL pH
Il pH è pari a -lg(aH+), dove aH+ è l’attività degli ioni idrogeno presenti in soluzione
Grazie ad un pH-metro preventivamente tarato con soluzioni tampone a pH noto, ad un
elettrodo a vetro ed un elettrodo di riferimento (Ag/AgCl) si misurerà direttamente il pH
del campione di acqua in esame.
DETERMINAZIONE DELLA CONDUCIBILITÀ SPECIFICA
Per conducibilità si intende l’inverso della resistenza elettrica che una soluzione
elettrolitica presenta al passaggio della corrente, quando viene interposta tra due elettrodi.
Questo parametro dipende dalle componenti ioniche dell’acqua e costituisce quindi una
misura indiretta del suo contenuto salino. La sua determinazione viene effettuata
mediante un conduttimetro, grazie ad una cella di conducibilità, previa determinazione
della costante di cella. La conducibilità specifica, che viene espressa in μS/cm, nella
maggior parte delle acque naturali è compresa tra 100 e 1000 μS/cm, ma non sono rare le
acque che presentano valori esterni a questo intervallo (l’acqua distillata per esempio ha
un valore inferiore a 2).
Dopo aver impostato sul conduttimetro la costante di cella ed una volta immersa la cella di
conducibilità nel campione di acqua in esame, si legge direttamente la conducibilità
specifica in μS/cm.
DETERMINAZIONE DELLA DUREZZA
La DUREZZA TOTALE corrisponde alla somma delle concentrazioni dei cationi dei
metalli alcalino terrosi (Ca2+, Mg2+) presenti in combinazione sia di acidi forti (Cl-, SO42-,
NO3-) sia di acidi deboli (HCO3-). Anche altri cationi, come Fe2+, Sr2+ e
Ba2+ potrebbero contribuire alla durezza delle acque, ma la loro
presenza in genere è trascurabile quindi il loro contributo non è
rilevante. La durezza totale si divide in temporanea e permanente.
La durezza esprime un indice di qualità delle acque sia per scopi civili
che industriali: alti contenuti di durezza implicano tra l’altro problemi
di difficoltà di cottura dei cibi, precipitazione dei saponi come sali di Ca
e/o Mg dei rispettivi acidi grassi (limitando l’azione sgrassante dei detergenti), problemi di
salute legate a calcolosi renali, etc.
Per scopi industriali si ha ad esempio che la formazione di sali insolubili
di calcio in apparecchiature di scambio termico pregiudica severamente
l’efficienza del trasferimento di calore: pertanto l’aumento di pH delle
soluzioni a seguito di riscaldamento porta ad una incipiente
precipitazione dei sali di calcio con susseguenti problemi di incrostazioni
e barriere termiche nei processi di trasferimento di calore. La formazione di depositi
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calcarei, cioè precipitati di sali minerali che provocano la formazione di incrostazioni,
possono compromettere il funzionamento di macchine sia industriali che domestiche.
Da questo si capisce l’importanza della determinazione della durezza dell’acqua e del suo
eventuale addolcimento (rimozione parziale o totale dei sali di calcio, magnesio e ferro).
La DUREZZA TEMPORANEA è la porzione di durezza totale che scompare se si fa
bollire l’acqua e corrisponde ai bicarbonati dei metalli alcalino terrosi, che durante
l’operazione suddetta precipitano sotto forma dei corrispondenti carbonati con perdita di
CO2.
Ad es.
Ca(HCO3)2 ) CaCO3 + + CO2 , + H2O
La DUREZZA PERMANENTE è la porzione di durezza totale che rimane dopo
ebollizione dl campione e corrisponde ai cationi dei metalli alcalino terrosi presenti nel
campione solo in combinazione con anioni di acidi forti.
DUREZZA TOTALE = DUREZZA TEMPORANEA + DUREZZA PERMANENTE
Come si esprime la durezza?
La durezza si esprime in gradi francesi (più spesso) o in gradi tedeschi.
Gradi francesi
Gradi tedeschi
°f = (durezza espressa come mg CaCO3)/(100 g soluzione)
°f = (durezza espressa come mg CaO)/(100 g soluzione)
CLASSIFICAZIONE DELLE ACQUE IN BASE ALLA DUREZZA
Classificazione
Acqua molto dolce
Acqua dolce
Acqua a durezza media
Acqua a durezza discreta
Acqua dura
Acqua molto dura
Durezza in gradi francesi
0÷4
4÷8
8 ÷ 12
12 ÷ 18
18 ÷ 30
> 30
Vi sono 2 metodi per determinare la durezza nei suoi contributi.
Primo metodo: 1) Titolazione potenziometrica di Ca2+ e Mg2+ usando EDTA (sale disodico)
come agente complessate; si determina così la durezza totale.
2) Titolazione pH-metrica dei bicarbonati con HCl; si determina così la
durezza temporanea.
3) Per differenza si determina la durezza permanente.
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Secondo metodo: 1) Titolazione colorimetrica di Ca2+ e Mg2+ usando EDTA (sale disodico)
come agente complessate; si determina così la durezza totale.
2) Titolazione colorimetrica dei bicarbonati con HCl; si determina così la
durezza temporanea.
3) Per differenza si determina la durezza permanente.
Noi in laboratorio utilizzeremo questo secondo metodo.
Titolazione colorimetrica di Ca2+ e Mg2+ con EDTA (sale disodico) per determinare la
durezza totale.
PRINCIPIO:
La durezza totale dell’acqua si può determinare per titolazione con una soluzione del sale
disodico dell’acido etilendiamminotetraacetico (EDTA)
HOOC-CH 2
CH 2-COOH
2 Na+
N-CH2-CH2-N
-OOC-CH 2
CH 2-COO-
EDTA
Na2H2Y
a pH tamponato a 10, usando come indicatore il nero eriocromo T.
Infatti a tale pH EDTA dà complessi incolori molto stabili con Ca2+ e Mg2+.
Y4- + Ca2+ = CaY2- ; Y4- + Mg2+ = MgY2Il rapporto di combinazione è 1:1 ed il complesso dell’EDTA con il calcio è più stabile di
quello con il magnesio.
L’indicatore usato per la titolazione di calcio e magnesio totali è il NET (nero eriocromo T)
che a pH=10 forma con Mg2+ un complesso color rosso vino:
Mg2+ + Hin2- (blu) = MgIn- (rosso) + H+
In- forma con Mg2+ un complesso meno stabile di Y4-; tuttavia, all’inizio della titolazione,
quando Y4- è in difetto, è Ca2+ a reagire per primo con Y4-(perchè Y4- forma con Mg2+ un
complesso più debole che con Ca2+), lasciando la soluzione rossa per la presenza del
complesso MgInCa2+ + MgIn- (rosso) + Y4- = CaY2- + MgIn- (rosso)
Quando tutto il Ca2+ è stato titolato da Y4-, MgIn- può reagire a sua volta con Y4-:
MgIn- (rosso) + Y4- = MgY2- + In3- (incolore)
A sua volta In3- si idrolizza:
In3- (incolore) + H2O = HIn2- (blu) + OHQuindi la determinazione del punto di equivalenza è resa possibile dal passaggio di
colore da rosso ad azzurro chiaro.
SPERIMENTALMENTE:
Prelevare 100 ml dell’acqua di rete da analizzare; aggiungere 10 ml di una soluzione
tampone a pH 10 (NH3/NH4Cl) ed una un puntina di spatola dell'indicatore nero
eriocromo T. Titolare con una soluzione di sale disodico di EDTA 0,01 M utilizzando una
buretta da 50 ml, osservando il punto di viraggio da rosso vino a blu.
Ogni ml di titolante consumato corrisponde ad 1 grado francese di durezza (con titolo dell’
EDTA esattamente pari a 0,01 M). Si deve determinare la durezza totale dell’acqua in
esame.
°f = [EDTA (mol/l)] x V EDTA(l) x PM CaCO3 (g/mol)
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x 1000 (mg/g)
Titolazione colorimetrica dei bicarbonati con HCl per determinare la durezza
temporanea.
PRINCIPIO:
Possiamo stimare la durezza temporanea (dovuta cioè alla presenza di bicarbonati) come
“alcalinità al metilarancio”. L’alcalinità di un’acqua, evidenziata anche dalla misura del
suo pH (che è compreso nelle comuni acque minerali tra 6 e 8, con netta prevalenza di
valori >7, ed è quindi decisamente più alto di quello dell’acqua distillata contenente CO2
per esposizione all’aria, che sta tra 5 e 6) è dovuta alla presenza di idrossidi, carbonati,
bicarbonati ed altri sali.
L’alcalinità di un’acqua si può valutare titolandola con HCl 0.05 N utilizzando due
indicatori: fenolftaleina e metilarancio. Con l’uso della fenolftaleina (che vira intorno a pH
= 9) si rilevano globalmente anioni basici forti come CO32-; OH-, PO43- (“alcalinità alla
fenolftaleina”). Aggiungendo il metilarancio (che vira intorno a pH 4) si rilevano
globalmente anioni basici più deboli quali HCO3- e HPO4- (“alcalinità al metilarancio”).
[Naturalmente se non si esegue la titolazione con i due indicatori in serie ma si mette solo
il metilarancio si rilevano insieme globalmente tutti gli anioni suddetti, “alcalinità totale al
metilarancio", anche se effettivamente tra di essi i bicarbonati fanno la parte del leone].
SPERIMENTALMENTE:
Prelevare 100 ml dell’ acqua di rete da analizzare ed aggiungere alcune gocce di
metilarancio. Titolare con HCl 0.05 N utilizzando una buretta da 50 ml, osservando il
punto di viraggio da giallo ad arancione. Si deve determinare la durezza temporanea
dell’acqua in esame (tenendo conto del rapporto Ca2+ : HCO3- = 1 : 2).
°f = {[HCl (mol/l)] x V HCl (l) x PM CaCO3 (g/mol) x 1000 (mg/g)} / 2
La durezza permanente si ottiene per differenza tra la durezza totale e quella temporanea.
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Per maggior chiarezza ricordiamo cos’è una titolazione.
La titolazione è una procedura che serve per determinare la concentrazione di una
determinata sostanza (analita) in una soluzione. Titolare una soluzione significa
determinare la concentrazione dell’analita in essa disciolto, quindi titolo è sinonimo di
concentrazione.
Titolare una soluzione di HCl (acido cloridrico) significa determinare la concentrazione
dell’HCl in soluzione.
2+
Determinare la durezza di un’acqua significa determinare il titolo di Ca dell’acqua,
esprimendolo poi in gradi francesi o tedeschi.
In base al tipo di reazione chimica che si sfrutta si distinguono diversi tipi di titolazione:
1) Titolazione acido-base: sfrutta una reazione di neutralizzazione tra un acido ed una
base
2) Titolazione ossidimetrica: sfrutta una reazione di ossidoriduzione (o redox)
3) Titolazione gravimetrica: sfrutta la formazione di un sale (o composto) insolubile
4) Titolazione complessometrica: sfrutta la formazione di un composto di coordinazione
In una titolazione vi è una soluzione titolante a titolo noto (della quale cioè si conosce la
concentrazione) che viene introdotta in una buretta (di varie capacità, munita di tacche
graduate che consentono la lettura di circa 0.05 ml; nella estremità inferiore vi è un
rubinetto che consente il lento svuotamento della buretta mediante sgocciolamento);
questa viene lentamente aggiunta (goccia a goccia) alla soluzione a titolo incognito. Il
gocciolamento continua sino al raggiungimento del cosiddetto punto di equivalenza (pto
eq.), al quale vale la seguente relazione:
numero di moli di titolante = numero di moli di analita
Il punto di equivalenza individua la fine della titolazione. Sempre al punto eq. valgono le
seguenti relazioni:
n° mmoli titolante = (ml di titolante gocciolati sino al pto eq.) x (molarità del titolante)
n° mmoli analita = (ml di soluzione dell’analita) x (molarità dell’analita)
e quindi:
(ml di titolante gocciolati sino al pto eq.) x (molarità del titolante) =
= (ml di soluzione dell’analita) x (molarità dell’analita)
quindi se indichiamo con 1 il titolante e con 2 l’analita si può scrivere:
V1M1 = V2M2
Dove M è la molarità (moli/litro) delle soluzioni; V1 si legge sulla buretta, M1 e V2 sono noti
e quindi si può ricavare M2.
L’individuazione del punto di equivalenza risulta quindi fondamentale in una titolazione;
a questo scopo si possono utilizzare degli indicatori, delle sostanze cioè che provocano
una netta variazione della colorazione della soluzione una volta soddisfatta una certa
condizione.
La titolazione viene quindi eseguita gocciolando lentamente la soluzione di titolante nella
soluzione da titolare, sino al cambiamento di colore (viraggio) della soluzione che equivale
al punto equivalente.
Nell’esperienza della durezza totale la titolazione è di tipo complessometrico.
Una titolazione complessometrica sfrutta la formazione di un complesso: la soluzione
titolante contiene una molecola legante ad elevata affinità con lo ione o gli ioni analiti, ed
una volta a contatto con essi forma un complesso ad elevata stabilità.
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