Suicidio: La guerra contro se stessi

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Suicidio: La guerra contro se stessi
Suicidio: La guerra contro se stessi
SUICIDIO: LA GUERRA CONTRO SE STESSI
CAUSE E RIMEDI
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Suicidio: La guerra contro se stessi
Il formato cartaceo era stato pubblicato da Libreria universitaria - Padova nel 2009
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INTRODUZIONE
Il suicidio è una guerra mossa contro se stessi.
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Suicidio: La guerra contro se stessi
Sant'Agostino scrive: "Chi si uccide, uccide un uomo". Nella sua visione religiosa, chi si uccide
commette un peccato e viola il quinto comandamento che recita: "Non uccidere".
Dal punto di vista psicologico, chi si uccide muove guerra contro se stesso.
Quali sono le cause che conducono a questo gesto estremo?
La disperazione su tutti i fronti, l'angoscia nel cuore, il buio della mente, la solitudine cosmica, il
nulla che sgretola ogni guizzo di vita, la fatica di vivere, l'odio verso la vita, l'odio verso gli altri,
l'odio verso se stessi. Volersi male e farsi del male.
I motivi che spingono una persona a muovere guerra contro se stessa non risiedono solo nel
mondo interiore, ma anche in quello relazionale.
Il suicidio è anche un messaggio per gli altri:
«Chi, nella tua famiglia, avrebbe motivi per suicidarsi? Chi vorrebbe il tuo suicidio? Chi sarebbe
contento di questo tuo gesto? Chi, tra i tuoi famigliari, ne soffrirebbe di più? Chi vorresti punire?
Di chi o di che cosa ti vorresti vendicare? Chi vorresti colpevolizzare?».
Queste e altre domande ci permettono di comprendere meglio il gesto suicida, considerandolo
sia come il risultato di una psiche sconvolta dalla disperazione, sia come conseguenza di
relazioni interpersonali avvelenate, oppressive, intollerabili. Chi si toglie la vita o chi tenta il
suicidio può essere considerato anche come il portatore di un progetto distruttivo del suo
gruppo. È colui che coagula nel suo animo tutta la distruttività presente nel proprio ambiente.
Chi vive in un gruppo molto patologico, è spinto a mettere in atto un comportamento distruttivo,
pazzo o suicida, proprio sotto la spinta di dinamiche patologiche, violente e distruttive, presenti
nel gruppo.
E.Fromm (1995), nel libro Psicanalisi della società contemporanea, afferma che "l'alto tasso di
suicidio indica quanto sia malata la nostra società". Il titolo originale di questo libro è: «Siamo
sani?». La risposta di E.Fromm è: «No».
Non si vive di solo pane o di benessere economico, ma si vive anche di significati, di valori, di
progetti.
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Ogni persona ha bisogno di attribuire senso e valore agli eventi e alla propria esperienza e di
costruire il progetto della propria vita, sviluppando la capacità di autorealizzarsi e di espandere il
proprio essere.
Il suicida compie il gesto estremo, per affermare la propria individualità, soffocata da ogni parte
in questa nostra società, quasi a marchiare la realtà con un gesto di libertà: «Mi potete togliere
tutto, condizionare in tutto, manipolare in tutto, ma non mi potete togliere la scelta di decidere
sulla mia vita e la mia morte».
Il suicida stimola i sopravvissuti a chiarire le loro gerarchie di valori e li interroga sulla qualità
della loro esistenza: «È vita questa? Ha senso vivere così?».
A.Camus (1943) scrive: "Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del
suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, significa rispondere al
quesito fondamentale della filosofia. Il resto viene dopo. Tutti gli altri problemi sono secondari,
perché prima bisogna rispondere a questa domanda".
In altri termini, ognuno deve dare una risposta personale. Non è solo un problema filosofico
generale («Vale la pena vivere?»), ma è anche una pungente questione esistenziale («Questa
mia vita vale la pena di essere vissuta così? Questa mia vita ha valore e significato? »).
L'angoscia che schiaccia chi tenta il suicidio o chi si toglie la vita non è tanto l'angoscia di
morire, quanto piuttosto il terrore della disintegrazione della sua psiche, dell'annientamento
della sua umanità, della morte del suo spirito: questo è intollerabile, insostenibile, devastante.
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Non è sufficiente una spinta biologica per vivere. È necessario anche avere una forte
motivazione esistenziale, assegnando un significato positivo alla propria vita. Bisogna
progettarla creativamente e sentirsene gli autori.
Il progetto di vita suscita la speranza che è l'attesa di cose buone nel futuro della propria
esistenza. Permette di recuperare risorse seppellite dalla disperazione. Apre nuove porte e
prospettive. Focalizza l'attenzione. Rende lucida la mente. Disegna il sorriso sul volto. Riempie
lo sguardo di entusiasmo. Crea slancio. Crea miglioramento continuo.
Chi spera è capace di dare significato alla propria vita, è disponibile ad elaborare un progetto, è
desideroso di cercare nuove risorse, di guardare al futuro, di intravedere possibilità di
miglioramento e di creatività.
Quello che manca al nostro tempo è una cultura della speranza.
Quello che manca al suicida è l'attesa di una vita degna di essere vissuta.
Una volta un maestro chiese ai suoi discepoli di indicare quand'è che finisce la notte e inizia il
giorno. Uno rispose: "È quando si vede un animale in lontananza e si può stabilire se si tratta di
un cane o di un gatto". "No", rispose il maestro. Un altro disse: "È quando si guarda un albero
da lontano e si può dire se si tratta di un melo o un fico". "No", rispose il maestro. I discepoli,
non sapendo cosa altro dire e pensare, vollero sapere la risposta dal maestro. Egli disse loro:
"È quando guardate il volto di una donna, di un uomo o di un bambino e capite subito che è
vostra sorella o vostro fratello. Perché, se non riuscite a vedere questo, sarà ancora notte".
Conoscere le cause del suicidio è un dovere di tutti. Aiutare chi è disperato, saper comprendere
la sua tragedia interiore, significa essere una persona di cuore e un cittadino responsabile e
solidale.
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È necessario attrezzarsi di cultura e di umanità per capire e aiutare chi ha bisogno di speranza.
È una forma di solidarietà e di civiltà. Il suicida vuole uccidere la sofferenza morale intollerabile,
non se stesso. Vorrebbe azzerare tutto e ricominciare una nuova vita.
La prevenzione del suicidio non riguarda gli specialisti, ma tutti noi. Come? Dando senso,
entusiasmo e gioia alla nostra esistenza e creando condizioni di vita migliori per noi e per gli
altri. Tutto qui? È sufficiente? Sì.
INDICE DEL LIBRO
PARTE PRIMA
IL FENOMENO DEL SUICIDIO
CAPITOLO 1
DEFINIZIONE DI SUICIDIO
1.1 Statistiche generali
1.2 Definizione di suicidio
1.3 I comportamenti autodistruttivi
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1.4 Gli aspetti del suicidio
1.4.1 L’aspetto medico
1.4.2 Gli aspetti legali
1.4.3 Gli aspetti etico-morali
1.4.4 Gli aspetti sociali
1.4.5 Gli aspetti psicologici
1.5 Eventi precipitanti e fattori di rischio del suicidio
CAPITOLO 2
LA CLASSIFICAZIONE DEL SUICIDIO
2.1 Classificazioni sociologiche e psicologiche
2.2 La classificazione sociologica di Émile Durkheim
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2.3 La classificazione psicologica
2.4 Vari tipi di suicidio
2.4.1 Il suicidio altruistico
2.4.2 Il suicidio anomico
2.4.3 Suicidio da bilancio
2.4.4 Suicidio di coppia
2.4.5 Il suicidio di denuncia o di protesta
2.4.6 Il suicidio egoistico
2.4.7 Il suicidio fatalistico
2.4.8 Il suicidio impulsivo
2.4.9 Il suicidio istituzionale
2.4.10 Il suicidio lucido e il suicidio razionale
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2.4.11 Il suicidio da noia o da tedium vitae
2.4.12 Il suicidio mascherato
2.4.13 Il suicidio di massa
2.4.14 Il suicidio “organico” contro il proprio corpo
2.4.15 Il suicidio ordalico
2.4.16 Il suicidio passionale
2.4.17 Il suicidio religioso
2.4.18 Il suicidio riparatore
2.4.19 Il suicidio persecutorio
2.4.20 L’omicidio-suicidio
2.4.21 Il suicidio sansonico
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2.4.22 Suicidio aggressivo dei kamikaze
2.4.23 Suicidio indiretto
2.4.24 Suicidio assistito
2.5 I parasuicidi
CAPITOLO 3
IL SUICIDIO NELL’ARCO DELLA VITA
3.1 Il suicidio nell’infanzia
3.2 Il suicidio nell’adolescenza
3.2.1 L’esperienza del lutto
3.2.2 Atteggiamento sfrontato e temerario verso la morte
3.2.3 Il suicidio come mezzo sbrigativo per allontanarsi dalle frustrazioni
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3.2.4 Aff ermazione illusoria attraverso la morte
3.2.5 Il suicidio come mezzo di pressione sull’ambiente
3.2.6 L’insuccesso scolastico e il crollo dell’autostima
3.2.7 Incapacità di aff rontare le frustrazioni
3.2.8 Inquietudine e pessimismo cosmico
3.3 Il suicidio nella mezza età
3.4 Il suicidio nella terza età
3.4.1 La depressione e la disperazione
3.4.2 Il deterioramento fisico
3.4.3 Le malattie invalidanti
3.4.4 I lutti
3.4.5 La perdita
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3.4.6 La vedovanza
3.4.7 L’isolamento
3.4.8 Il pensionamento
3.4.9Il bilancio della vita nella terza età
3.4.10 La disperazione degli anziani ci priva della loro saggezza
3.5 Il suicidio e il fallimento dei compiti di sviluppo5
CAPITOLO 4
DIFFERENZE TRA MASCHI E FEMMINE NEL SUICIDIO
4.1 Maggiore integrazione sociale
4.2 Minore ambizione e mania di grandezza
4.3 Maggiore flessibilità
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4.4 Maggiore consapevolezza del proprio corpo
4.5 Maggiore cura delle emozioni e degli aff etti
4.6 Minore aggressività
4.7 Valori di solidarietà e di comunità
4.8 Valorizzazione della capacità di dare aiuto
4.9 Maggiore varietà di ruoli
4.10 Stile di vita più naturale
4.11 Maggiore capacità di chiedere aiuto
4.12 Capacità di leggere il significato psicologico di un proprio sintomo fisico
4.14 Rete sociale più ampia
4.15 Migliore smaltimento del carico emotivo
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4.16 Autostima più flessibile e più ricca
4.17 Maggior numero di tentati suicidi
CAPITOLO 5
ARGOMENTAZIONI CONTRO E A FAVORE DEL SUICIDIO
5.1 Argomentazioni contro il suicidio
5.1.1 Il suicidio è un peccato contro Dio
5.1.2 Il suicidio è contro se stessi
5.1.3 Il suicidio è contro la società
5.1.4 Il suicidio è contro la vita
5.2 Argomentazioni a favore del suicidio
5.2.1 Il suicidio come diritto di libertà e affermazione della propria dignità
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5.2.2 L’eutanasia come diritto a vivere e morire dignitosamente
5.2.2.1 Libertà di suicidarsi o diritto di suicidarsi?
CAPITOLO 6
LE STATISTICHE SUL SUICIDIO
6.1 Sesso e suicidio
6.2 Le età critiche rispetto al rischio di suicidio
6.3 Stato civile e suicidio
6.4 Classe sociale e suicidio
6.5 Disoccupazione e suicidio
6.6 La famiglia e gli affetti
6.7 Ereditarietà e suicidio
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6.8 Istruzione e suicidio
6.9 Religione come antidoto del suicidio
6.10 Crollo dell’autostima e suicidio
6.11 La perdita, il lutto e il suicidio
6.12 Malattia fi sica grave e suicidio
886.13 Malattia mentale e suicidio
6.14 Rapporto tra suicidio e tentato suicidio
6.15 Mezzi di esecuzione
6.16 Fattori temporali e suicidio
6.17 Etnicità e suicidio
6.18 Distribuzione geografi ca dei suicidi in Italia
6.19 Mezzi di comunicazione di massa e suicidio
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6.20 Omicido-suicidio
6.21 Ricadute letali dopo il tentato suicidio
6.22 Capire per prevenire
CAPITOLO 7
IL VISSUTO PSICOLOGICO DEL SUICIDA
7.1 Quale strada percorrere per capire il suicida?
7.2 Andare oltre le etichette di comodo
7.3 Perché una persona rinuncia alla vita?
7.4 La strada dell’empatia
7.5 Distinzione tra comprensione empatica e comprensione intellettuale
7.6 La vita mi ha tradito
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7.7 Le domande inquietanti del suicida
7.8 L’atteggiamento ambivalente verso la morte
7.9 Disperazione, impotenza e infelicità
7.10 Il bisogno di significato
7.11 Il senso di colpa totale e senza perdono
7.12 Il senso di costrizione, il sentirsi accerchiato, incastrato, braccato
7.13 La retroflessione dell’aggressività
7.14 Fantasie e fantasmi di suicidio
7.15 Conflitto tra l’autoconservazione e l’autodistruzione
7.16 Desiderio di morire o di vivere diversamente?
7.17 La visione a tunnel
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7.17.1 Visione a tunnel e suicidio lucido
7.18 Il non-senso e il suicidio
7.19 La riduzione a cosa
7.20 Dalle idee di suicidio all’attuazione
7.21 Il tentato suicidio come “suicidio fallito”
7.22 Il senso di sollievo dopo il tentato suicidio
7.23 Perché si ritenta?
7.24 Il suicida non è contro la vita ma contro questa vita
CAPITOLO 8
SEGNALI DI AVVERTIMENTO E INDIZI DI SUICIDIO
8.1 Lista di indizi di suicidio
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8.2 La comunicazione dell’intenzione di suicidio
8.3 Intenzione di suicidio mascherata
8.4 I precedenti tentativi di suicidio
8.5 Disperazione
8.6 I cambiamenti improvvisi di comportamento e di atteggiamento
8.7 Linguaggio e pensiero polarizzato
8.8 Comportamenti pericolosi
8.9 Il messaggio relazionale della comunicazione dell’intenzione di suicidio
8.10 Cosa succede quando una persona comunica
il suo intento di suicidarsi?
8.11 Si leggono gli indizi di rischio di suicidio troppo tardi
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CAPITOLO 9
I MEZZI DI ESECUZIONE DEL SUICIDIO
9.1 Classificazione di mezzi di esecuzione
9.2 Significato simbolico dei mezzi di esecuzione
9.3 Evitare le generalizzazioni
9.4 Alcuni esempi sul significato simbolico dei mezzi di esecuzione
9.5 Punire se stesso per punire l’altro
9.6 Punire se stesso come si pensa di essere puniti dagli altri
9.7 Mi avveleno come voi mi avete avvelenato
9.8 Il significato simbolico del mezzo di suicidio analizzato nel percorso di psicoterapia
CAPITOLO 10
LE NOTE O I BIGLIETTI DI SUICIDIO
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10.1 Pochi messaggi scritti
10.2 Gli adolescenti lasciano più biglietti degli adulti
10.3 Il contenuto dei messaggi scritti
10.4 Quali altre ragioni, oltre a quelle dichiarate?
10.5 Differenza tra biglietti di suicidio maschili e femminili
10.6 Differenza tra i biglietti di suicidio lasciati dagli adolescenti e dagli anziani.
10.7 Alcune caratteristiche delle note di suicidio degli adolescenti
10.7.1 La drammatica perturbazione emotiva
10.7.2 Situazioni interpersonali intense ma disturbate
10.7.3 Percezione della perdita o del rifiuto dell’altro come perdita di sé
10.7.4 Una percezione di sé in termini dicotomici e polarizzati
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10.7.5 La debolezza del senso di identità che li spinge ad autosvalutarsi, vergognarsi, odiarsi
10.8 Alcune caratteristiche delle note di suicidio degli anziani
10.8.1 Una lunga storia di problemi irrisolti o irrisolvibili
10.8.2 Perturbazione emotiva più bassa
10.8.3 Espressioni emotive meno dirette
10.8.4 Problemi di solitudine, abbandono, perdita di dignità
CAPITOLO 11
LE REAZIONI DEGLI ALTRI VERSO IL SUICIDIO E IL
TENTATO SUICIDIO
11.1 Le reazioni emotive
11.1.1 Shock
11.1.2 Negazione e distorsione dei fatti
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11.1.3 Rabbia
11.1.4 Senso di colpa
11.1.5 Vergogna
11.1.6 Impotenza
11.1.7 Ansia e depressione
11.1.8 Rischio di suicidio
11.1.9 Ricerca del significato di quanto è successo
11.2 La resistenza dei sopravvissuti
11.3 L’elaborazione del lutto in chi resta
11.3.1 La funzione dello shock iniziale
11.3.2 Il tormento interiore
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11.3.3 Il ritorno della persona suicida nei sogni
11.3.4 Recuperare il positivo della persona che ci ha abbandonato
11.3.5 Dare parole al proprio dolore
11.3.6 Il sostegno sociale e comunitario alla famiglia
11.3.7 Il sostegno della psicoterapia
11.3.8 Il sostegno della religione
11.3.9 Riorganizzazione della propria vita
PARTE SECONDA
LE CAUSE DEL SUICIDIO
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CAPITOLO 12
LE CAUSE DEL SUICIDIO
12.1 Cause molteplici
12.2 Il messaggio relazionale del suicidio
12.3 La retroflessione dell’aggressività
12.4 Il suicidio come “omicidio timido”
12.5 Il suicidio come interruzione del contatto con la realtà e con la vita
12.6 Cause predisponenti e cause precipitanti
12.7 Il bisogno di orientarsi tra molteplici cause
CAPITOLO 13
L’ANNIENTAMENTO DEL SÉ
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13.1 La sensazione del freddo vuoto interiore: il niente
13.2 L’annientamento del Sé e l’assenza dell’altro
13.3 Il non-essere, la non-vita, la non-esistenza
13.4 L’annientamento delle parti vitali di Sé
13.5 L’introiezione del senso di annientamento ambientale
13.6 L’annientamento del corpo
13.7 Il momento del congedo dal proprio corpo
CAPITOLO 14
IL CROLLO DELL’AUTOSTIMA E LA FERITA
NARCISISTICA
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14.1 Crollo dell’autostima e sensazione di annientamento
14.2 Immagine di sé e autostima
14.3 La perdita di status sociale
14.4 Narcisismo e suicidio
14.5 Narcisismo e autopunizione
14.6 La reazione depressiva al successo
14.7 Immagine di sé deturpata da una malattia grave
CAPITOLO 15
SENSO DI COLPA E BISOGNO DI ESPIAZIONE
15.1 Il senso di colpa patologico
15.2 La scissione della personalità
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15.3 La sottomissione totale
15.4 Un Superio sadico
15.5 L’espiazione e la riparazione
15.6 Il suicidio come condanna anticipata della condanna degli altri
15.7 Perdere la faccia dalla vergogna
15.8 Assunzione della colpa e proiezione della colpa
CAPITOLO 16
LA SIMBIOSI E L’IDENTIFICAZIONE
16.1 La patologia della simbiosi
16.2 La simbiosi nella coppia, nella famiglia, nei gruppi e nella società
16.3 Simbiosi ed eccessiva “regolazione sociale”
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16.4 L’annullamento del sé nella simbiosi
16.5 Introiezione e simbiosi
16.6 Introiezione dell’oggetto cattivo
16.7 Spinta al ricongiungimento dopo la separazione
16.8 Il suicidio di coppia
16.9 Il dramma di Medea
16.10 Suicidio come ritorno all’utero
16.1 Il suicidio per imitazione e per contagio
16.12 L’identificazione durante l’adolescenza
CAPITOLO 17
L’ASSENZA TOTALE DEL CONTROLLO SULLA PROPRIA
VITA
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17.1 Impotenza totale e bisogno di controllo
17.2 L’insostenibile invasione della propria vita
17.3 Il recupero della sensazione di controllo attraverso il suicidio
17.4 Sensazione di controllo e appagamento
17.5 Autodistruzione e liberazione dal dolore
17.6 Insoddisfazione di questa vita e volontà di vivere
17.7 Il mito di Sisifo
17.8 Il “diritto” di suicidarsi
17.9 L’affermazione di sé attraverso la libera morte
17.10 Il suicidio come ricatto
17.11 Il suicidio per rifiutare il tradimento della vita
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CAPITOLO 18
LA DISPERAZIONE
18.1 La disperazione come malattia mortale
18.2 Il riconoscimento della disperazione
18.3 Le emozioni debilitanti racchiuse nella disperazione
18.4 Il rischio di suicidio nei momenti di remissione
18.5 La perdita del significato, del valore e dello scopo della vita
18.6 La noia che spegne la vitalità
CAPITOLO 19
IL DESIDERIO DI LIBERAZIONE DA UN DOLORE
O DA UNA SITUAZIONE INSOPPORTABILE
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19.1 Situazioni esistenziali intollerabili
19.2 Liberazione a un prezzo altissimo: il sacrificio della vita
19.3 La liberazione da una malattia incurabile
19.4 La morte come un’invalicabile protezione contro l’angoscia
19.5 Desiderio di liberazione e di trasformazione
19.6 L’effetto catartico dopo il tentato suicidio
CAPITOLO 20
LA MANCATA ELABORAZIONE DEL LUTTO
20.1 Perdita ed elaborazione del lutto
20.2 Perdita e infelicità
20.3 Il disprezzo di se stessi in seguito alla perdita della propria autostima
20.4 Il suicidio come risultato del fallimento dell’elaborazione del lutto
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20.5 La fissazione sull’oggetto perduto
20.6 La delusione amorosa
20.7 Ci si può suicidare per amore?
20.8 Salvare il salvabile e aprirsi nuovamente alla vita
CAPITOLO 21
LA PULSIONE DI MORTE
21.1 Perché il suicidio?
21.2 La risposta di Freud: la pulsione di morte
21.3 Critica dell’origine biologica della pulsione di morte
21.4 Le conseguenze del concetto biologico di pulsione di mortesulla terapia
21.5 La disperazione personale e sociale come originedella pulsione di morte
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21.6 La pulsione di morte esiste ma ha origine personale ed esistenziale
CAPITOLO 22
LA RETROFLESSIONE DELL’AGGRESSIVITÀ
22.1 Il suicidio come omicidio timido
22.2 Depressione e inibizione dell’aggressività
22.3 Retroflessione e scissione della personalità
22.4 Scissione paranoica: il nemico interno
22.5 Autodistruttività come aggressione retroflessa
22.6 Alcuni ricerche in etologia
22.7 L’autolesionismo
22.8 Retroflessione dell’aggressività nella vita quotidiana
22.9 Le cause dell’inibizione dell’aggressività
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22.10 Il suicida e il suo corpo
CAPITOLO 23
L’ILLUSIONE DEL TRIONFO DELL’IO SULLA MORTE
23.1 L’illusione di controllare tutto: la vita e la morte
23.2 Dall’impotenza all’onnipotenza
23.3 La dimensione narcisistica
23.4 La fantasia dei propri funerali
23.5 Superiori alla vita, al destino e a Dio
23.6 La negazione della morte
23.7 Morire per continuare a vivere
CAPITOLO 24
LA VENDETTA
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24.1 Il suicidio per vendetta come “omicidio camuffato”.
Uccidersi per uccidere
24.2 Sarò per voi lo spirito del male
24.3 Vi tormenterò in eterno
PARTE TERZA
CAPIRE PER PREVENIRE
CAPITOLO 25
IL TENTATO SUICIDIO DEGLI ADOLESCENTI
25.1 Ascoltare il grido di aiuto di tutte le persone che tentano il suicidio
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25.2 L’adolescenza come una seconda nascita
25.3 L’ostacolo insormontabile
25.4 Vergognarsi da morire
25.5 Attacco al corpo
25.6 Che cosa fare con gli adolescenti che hanno tentato il suicidio?
25.7 L’esaltazione del suicidio
25.8 Media e notizie sui suicidi
25.9 Che cosa fare quando il tentato suicidio avviene a scuola?
25.10 Parlare di morte e di suicidio
25.11 Come aiutare i reduci dal tentato suicidio
25.11.1 Che cosa può fare la madre?
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25.11.2 Che cosa può fare il padre?
25.11.3 Che cosa possono fare i fratelli?
25.11.4 Che cosa possono fare gli amici?
25.11.5 Che cosa può fare la scuola?
25.12 La psicoterapia con gli adolescenti che hanno tentato il suicidio
CAPITOLO 26
LA PREVENZIONE DEL SUICIDIO
26.1 Alcune indicazioni per non disperare
26.2 L’autorealizzazione
26.3 Non banalizzare
26.4 La cultura della solidarietà e degli affetti
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26.5 La valorizzazione di ogni persona
26.6 Non deterrenti ma opportunità di autorealizzazione
26.7 La cultura della speranza e del coraggio
26.8 L’amore non basta
CAPITOLO 27
ALCUNI SUGGERIMENTI PER AIUTARE LE PERSONE
CON IDEE DI SUICIDIO
27.1 Come aiutare chi sta male
27.2 Che cosa dire e che cosa non dire?
27.3 Cosa può fare la psicoterapia?
27.4 Il vissuto dello psicoterapeuta con i pazienti che hanno tentato il suicidio
27.5 Dall’impulso suicida al progetto di vita
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27.6 Immaginare le conseguenze del proprio gesto
27.7 Aumentare le risorse personali
27.8 Imparare a distinguere ciò che è benefico e ciò che è dannoso
27.9 Fantasie sostitutive della scarica dell’aggressività
27.10 Differenziarsi e allontanarsi dall’ambiente nocivo
27.11 Allontanarsi e difendersi dalle persone tossiche
27.12 Comprendere i motivi della retroflessione dell’aggressività
27.13 Canalizzare l’aggressività per rispettare l’integrità
27.14 Superare la scissione e lacerazione tra persecutore e vittima
27.15 Dalla retroflessione dell’aggressività all’espressione di sé
27.16 Riprendere il cammino
27.17 Ristabilire il contatto con la vita
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Suicidio: La guerra contro se stessi
CONCLUSIONE
BIBLIOGRAFIA
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INTERVISTA
IL GIORNALE DI VICENZA
Questa mattina a Vicenza un seminario curato dall'Istituto di Psicologia Umanistica
QUANDO IN FONDO AL TUNNEL RESTA SOLTANTO IL SUICIDIO
Ogni anno 250 veneti si uccidono e cento ci provano
Intervista di Cristina Dianin
Stando alle rilevazioni dell’Istat, il Veneto è la sesta regione in Italia per numero di suicidi. Ogni
anno, nella nostra regione, si tolgono la vita 250 persone e altre cento tentano senza riuscirvi.
In pratica ogni giorno qualcuno decide di morire. In termini percentuali è il 38 per cento dei
suicidi attuati in Italia, pari, questi ultimi, a circa quattro mila annui. Una cifra già di per se alta,
ancora più elevata se poi si considera che, tra familiari, parenti ed amici stretti del defunto, sono
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toccate almeno una ventina di persone per cui, soltanto nel Veneto, ogni anno sono cinque mila
le persone coinvolte, direttamente o indirettamente, nel fenomeno.
Alle cause e alla prevenzione dei suicidi è dedicato un seminario di studio dall'Istituto di
psicologia umanistica che si svolge questa mattina dalle 10 alle 13 presso l’Istituto di
psicomotricità infantile in Via Pescherie Vecchie 19. A curare il seminario sarà il dott. Mario
Polito, direttore dall'Istituto di psicologia umanistica, psicologo e psicoterapeuta specializzato
nell’analisi bioenergetica e nella terapia familiare e di coppia, autore, tra l’altro, di un libro
(“Suicidio: perché muovere guerra contro se stessi?”) frutto di un anno di lavoro e che sarà dato
alle stampe prossimamente.
- Quali sono, dottor Polito, le motivazioni che inducono una persona al suicidio?
«Le cause più determinanti sono tre: la disperazione, il senso di colpa e l’autoaggressività.
Arriva a suicidarsi anzitutto chi è disperato, cioè chi ha la convinzione che non c’è nessun’altra
via d’uscita. Chi non ha più il potere di controllare la propria vita perché è tutto un fallimento,
perché tutto è perduto, ritiene, illusoriamente, di avere diritto sulla vita e sulla morte
uccidendosi. In chi è disperato c’è una distorsione cognitiva. È quella che si chiama «visione a
tunnel», cioè una visione finale, a senso unico, senza alternative: il suicidio. Altra causa è il
senso di colpa. La colpevolizzazione continua ricevuta dagli altri diventa autocolpevolizzazione.
Il senso di colpa è tale che il suicida si punisce per le colpe che gli vengono attribuite e che egli
stesso finisce per l’attribuirsi, togliendosi la vita.
«In tal modo è come se fosse punito da chi ha ingenerato in lui il senso di colpa. Quando un
gruppo anche familiare o di amici, scarica le proprie colpe unicamente su una persona, questa
finisce con il diventare il capro espiatorio di un progetto, seppur involontario, di suicidio
dell’ambiente. Togliendosi la vita il suicida rivolta la colpevolizzazione contro l’ambiente: con il
suo gesto è come se dicesse «E’ colpa vostra se ho fatto questo». Il suicida non si uccide per
morire, ma perché è già stato «ucciso», dall’ambiente familiare o sociale.
Infine l’autoaggressività, cioè la pulsione di morte, fa sì che il suicida rivolti contro di sé
l’aggressività che era rivolta contro altri».
- Cosa fare per prevenire? Come evitare che chi ha idee suicide arrivi a compiere un
gesto estremo?
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«Contro la disperazione occorre costruire una cultura della speranza per dare significato alla
vita. Se negli ultimi anni i suicidi vanno aumentando è proprio perché va diminuendo la
speranza. Poi è necessario una cultura della progettualità. Per aiutare chi ha idee suicide a
uscire dalla ‘visione a tunnel’ bisogna trasmettergli un progetto, fare in modo che si confronti
con un’alternativa al suo progetto di morte. È stato infatti dimostrato che se chi ha tentato il
suicidio viene aiutato a ricostruire la propria vita, non tenta più di suicidarsi proprio perché ha
acquisito altri punti di vista della realtà».
«Inoltre il suicida, proprio per evitare di confrontarsi con altre possibilità, si rinchiude in se
stesso morendo così nell’isolamento e senza che nessuno sappia spiegarsi il perché sia
arrivato a tanto. Ecco perché è importante coltivare il senso della solidarietà familiare, amicale e
degli affetti. Tutte le forme di aggregazione sociale, famiglia e relazioni affettive comprese, sono
un freno al suicidio. Non per nulla i singles, i divorziati, i separati e i vedovi sono maggiormente
esposti a tale rischio. Infatti, è importante curare il proprio equilibrio psicologico, l’autostima.
Per impedire invece che il senso di colpa possa condurre alla morte occorre far sì che il
soggetto venga aiutato a riconoscere chi nel proprio ambiente di vita lo colpevolizza».
- È possibile stabilire una correlazione tra le ragioni che inducono a uccidersi e il
mezzo adoperato?
«Un nesso certamente sussiste. Uccidendosi il suicida vuole mandare un messaggio: per
esempio ‘Mi impicco perché mi avete asfissiato?, ‘Mi butto giù perché avete continuato a
buttarmi a terra’. È significativa la diversità di mezzi adoperati dagli uomini e dalle donne. Se il
30 per cento dei maschi si uccide impiccandosi, la medesima percentuale di femmine sceglie di
gettarsi nel vuoto.
Generalmente le donne, che solitamente curano la propria immagine più degli uomini, scelgono
i mezzi che deturpano meno il corpo».
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- Molto spesso il suicidio di una persona è accompagnato da incredulità: nessuno riesce a
spiegarsi il perché si arrivi a tanto. È davvero impossibile cogliere dei segni premonitori?
«Il segnale di avvertimento più chiaro si ha quando uno esprime chiaramente le proprie
intenzioni. Perciò quando si sente dire da qualcuno: “Io mi ammazzo” non bisogna mai
sottovalutare il messaggio. Poi ci sono altri segnali, improvvisi cambiamenti nella conduzione
della propria vita, nelle amicizie e nell’amore, l’abbandono del lavoro, l’isolamento estremo, il
mutismo, la chiusura in se stessi e l’apatia conditi con atteggiamenti depressivi: sono tutti
segnali premonitori da prendere in estrema considerazione».
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