Discorso di saluto del Rettore Magnifico ai neo

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Discorso di saluto del Rettore Magnifico ai neo
Discorso di saluto del Rettore Magnifico
ai neo-laureati della Pontificia Università Lateranense
Laterano, 7 luglio 2011
Carissimi amici,
non è questo il momento dei lunghi discorsi.
Tuttavia, ci tengo a sottolineare che si tratta di un momento “storico” per la nostra
Università, che oggi – per la prima volta nelle sue “festa di laurea” – è rappresentata da tutte le
Facoltà e da tutti i suoi Istituti.
Sono presenti il prof. Tangorra, per la Facoltà di Sacra Teologia; il Decano, prof. Basti, per
la Facoltà di Filosofia; il Decano, prof. Bombin, per la Facoltà di Diritto Canonico; il Decano, prof.
Buonomo, per la Facoltà di Diritto Civile; per l’Institutum Utriusque Iuris il Preside, prof. Arroba; e
per l’Istituto Pastorale il prof. Padula.
Naturalmente, con i laureati delle medesime Facoltà e Istituti sono presenti molti genitori,
amici e parenti. Ringraziamo e salutiamo anche il Pro Rettore, le Autorità Accademiche, e altri
professori e officiali dell’Università.
Questa sera mi limito a lasciarvi due pensieri.
Il primo è una specie di favola antica.
C’era una volta un giardino bellissimo. Vi cresceva un albero di bambù, enorme, che era un
autentico splendore. Il padrone del giardino era orgoglioso di questo bambù, e gli voleva molto
bene. Verso sera, al calar del sole, si intratteneva volentieri, e a lungo, a parlare amichevolmente
con il suo bambù.
Una sera, però, il padrone si avvicinò molto pensieroso.
Prima di parlare, dovette farsi coraggio, e poi disse: “Caro bambù, io devo ucciderti. Devo
tagliarti a pezzi…”.
“Padrone”, rispose il bambù angosciato, “ma perché? Tu, che mi vuoi bene, devi proprio
trattarmi così?”.
“Caro bambù”, spiegò il padrone, che ormai aveva preso coraggio, “non solo devo ucciderti
e devo tagliarti a pezzi, ma devo anche strapparti il cuore”.
Il bambù pianse a lungo. Poi disse: “Padrone, fai di me quello che vuoi!”.
Il padrone, con le lacrime agli occhi, tagliò il bambù, lo fece a pezzi, e ne scavò tutte le sue
parti. Poi fece una lunga conduttura, che – passando attraverso il bambù, scavato – portò l’acqua a
tutta la zona vicina. Molti campi assetati e molte famiglie provate ripresero a vivere, grazie al cuore
scavato del grande bambù.
È solo una parabola, ma è una parabola di grande significato.
Miei cari laureati della Pontificia Università Lateranense, voi siete quel bambù.
Voi dovete essere bravi, buoni, belli… non per voi stessi. Il vostro cuore, la vostra
intelligenza, la vostra laurea sono per gli altri: per la Chiesa, per la società, e anche per questa Alma
Mater, che ha ancora molto bisogno di voi.
Ed ecco il secondo pensiero.
Quando, il 29 dicembre 1842, Jules Michelet – famoso storico francese – tenne la Prolusione
del suo corso1 nel Collège de France, usò parole vibranti, incisive quanto una testimonianza.
Ho pensato di consegnarvele proprio in occasione della festa di laurea, che suggella il vostro
percorso formativo nell’Università del Papa.
Insieme ai vostri professori, vi siete messi in gioco, entrando in una feconda relazione
formativa, per camminare su una medesima strada: il sentiero della sapienza. Avete cercato quella
che nel Medioevo si chiamava la “medicina dell'anima”: l’avete chiesta alla teologia, alla filosofia,
alla storia, al diritto, alla scienza.
“L’insegnamento”, diceva dunque Michelet, “non è, come si crede, un discorso accademico o
un’esibizione; è la comunicazione vicendevole, doppiamente feconda, tra un uomo e un’assemblea
che cercano insieme. La stenografia più completa, più esatta, riprodurrà forse il dialogo? No,
riprodurrà solamente ciò che ho detto, e neanche ciò che ho detto: io parlo anche con lo sguardo e
con il gesto. La mia presenza e la mia persona sono una parte considerevole del mio insegnamento.
[…] Occorre quindi lasciar volare queste parole alate. Che si perdano, alla buon’ora! Che si
cancellino dalla vostra memoria: se ne resta lo spirito, va bene. Sta qui ciò che di toccante e di
sacro c’è nell’insegnamento. Che sia un sacrificio, che non ne resti niente di materiale, ma che tutti
ne escano forti, abbastanza forti per dimenticare questo debole punto di partenza”.
E “punto di partenza“ è anche questa tappa importante, che celebriamo nella comunione
gioiosa e conviviale.
Sì, miei cari, voi oggi – fortificati – proseguite una ricerca più gravosa, che è la vita stessa.
Con commossa soddisfazione vi dono questo Almanacco, che testimonia un pezzo di strada
compiuto insieme.
Insieme lo conserveremo, la nostra Università nel suo archivio, e voi nella teca preziosa delle
vostre memorie.
Il vostro Rettore
+ Enrico dal Covolo
1
J. MICHELET, Cours au Collège de France. 1838-1851, a cura di P. Viallaneix - O. A. Haac - I.
Tieder, Gallimard, Paris 1995, I, 519-520 (corsivo mio).
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