LA FORMAZIONE COME LABORATORIO PERMANENTE

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LA FORMAZIONE COME LABORATORIO PERMANENTE
LA FORMAZIONE COME LABORATORIO PERMANENTE
a cura di Sandra Renzi
Il nostro gruppo ha auspicato una formazione qualitativamente avanzata di
tutti i responsabili del processo formativo rispetto al profilo culturale delle
Indicazioni. In proposito credo possiamo essere tutti d’accordo e cominciare ad
interrogarci, con atteggiamento di autentico confronto e di ricerca, sui caratteri
che la formazione può e deve assumere a partire dal bisogno individuato.
Il primo punto su cui voglio portare la riflessione ed aprire un eventuale
dibattito rispetto alla direzione auspicata, è:
• che cosa caratterizza, o potrebbe caratterizzare, una formazione di
qualità per tutti gli operatori delle scuole, chiamate alla partecipazione
sociale e al miglioramento della vita della comunità?
La domanda genera altre domande. Quali sono i simboli attuali della
formazione? Quali dovranno essere adeguati alla scuola delle Indicazioni? Quali
dovrebbero essere i nuovi riti della formazione? A che tipo di individualità e di
professionalità siamo chiamati oggi? Non mi sembra più possibile rispondere a
queste domande utilizzando solamente la nostra abilità ricombinatoria. È vero
che per molti anni abbiamo spesso utilizzato gli stessi ingredienti, dosandone
opportunamente la quantità e mescolandoli in modo diverso, per ottenere
progetti e azioni formative sovente interessanti e innovativi, ma che spesso,
pur nel loro valore, non esprimevano uno sguardo veramente diverso sulla
formazione.
La sfida per una formazione di qualità oggi mi sembra sia quella di trovare
nuove definizioni, nuove immagini progettuali a cui ispirarci, senza cadere, per
la paura (o la pigrizia) di non saperci più definire, nella tentazione pericolosa,
come diceva Camus, di non assomigliare più a nulla! Per tutti noi la formazione
è un modo per contrastare l’incertezza e meglio orientarci nella complessità,
per questo credo che essa non possa essere più chiamata solamente al
raggiungimento di determinati obiettivi, ma debba anche rivedere il discorso
che fa su di sé. Voglio dire che sarebbe opportuno rimettere in discussione la
formazione nel suo descriversi e presentarsi. È questa sicuramente una sfida
che riguarda non solo i docenti in quanto formatori nelle proprie aule, ma
anche i formatori che si rivolgono a tutti gli operatori della scuola ed è
necessario per tutti apprendere a valorizzare la parola sfida non per la sua
seduttività letteraria, ma come componente essenziale del tessuto narrativo
che definisce l’identità della formazione, anche per poter eliminare parole che
una presunta scientificità dell’approccio formativo definisce tabù. Parole come
paura, emozioni, bellezza, amore, piacere …. Nella mia esperienza di docente e
di formatrice sento da tempo questo bisogno, prima ancora che le Indicazioni
per il curricolo ce lo mostrassero in tutta la loro forza. Ragionando di
formazione a seguito dell’esperienza A.L.I.C.E. ho scritto una volta: ”…sento
che è tempo di migrare verso le sponde della propria anima, a riscoprire le
tante forme che essa dà all’esperienza: desiderio, passione, attaccamento,
fedeltà, pazienza o altro ancora. …”
Entrare in questa dimensione di riflessività e di scelte formative significa
portarci a scoprire degli elementi simbolici “forti” che permettano di definire le
nuove regole del gioco formativo stesso. Ad esempio, una diversa sensibilità e
attenzione verso la visione della soggettività e delle differenze che la
caratterizzano farà forse ripensare anche ad una visione del sapere e della
conoscenza che forse non si connoterebbe più solamente come unica visione
del sapere, ma come visione dello scambio e della condivisione di saperi e di
competenze.
L’altro aspetto su cui mi sembra importante riflettere riguarda gli obiettivi del
processo formativo che si inseriscono nella possibile sfida formativa delineata:
• quali sono, o potrebbero essere, gli obiettivi del processo formativo in
un contesto di profondi cambiamenti e di disomogeneità fra le scuole, un
contesto in cui i saperi tendono rapidamente a consumarsi e quindi a
rinnovarsi senza la necessaria e diffusa riflessività sugli esiti e i processi
di tale rinnovamento?
Esiste in questo momento intorno a noi e dentro di noi non solo il desiderio di
prendere coscienza socialmente ed eticamente di fini formativi diversi, ma
anche il desiderio di fare coincidere a questi fini delle azioni formative
coerenti. Che qualcosa stia cambiando è innegabile e senz’altro siamo portati a
chiederci come situarci rispetto a una domanda di formazione che muta e che
ci chiede, come scuola, impegni diversi. Non è certo la prima volta che questo
accade, perciò credo sia utile e responsabile chiederci: quanto abbiamo saputo
cogliere l’opportunità di questi cambiamenti?
Sono stati, laddove si sono verificati, cambiamenti intrinseci all’impianto
formativo: metodi, strategie, tecniche, didattiche, saperi diversi. Possiamo e
dobbiamo farne tesoro. Oggi però la scuola ci domanda maggiore
professionalità per attuare un curricolo che “sviluppi e organizzi la ricerca e
l’innovazione educativa” in uno scenario multiculturale e questo dovrebbe
volgere il nostro sguardo anche ai mutamenti che sono estrinseci al mondo
formativo, ma che lo toccano profondamente. La formazione quindi vuole
cambiamenti che vadano oltre il raggiungimento degli obiettivi naturali di
apprendimento professionale, per diventare il luogo in cui condividere e
scambiare valori, aumentare il peso delle relazioni umane e sviluppare
l’incontro e il movimento delle diverse soggettività.
Negli scenari in cui anche la formazione sta vivendo il travaglio della ricerca di
una nuova identità espressa in nuove e diverse linee strategiche e
metodologiche, potremmo evidenziare alcune direzioni operative e di senso:
9 la valorizzazione del patrimonio interno alla scuola (istituto o reti di
istituti) per ragionare attorno ai casi didattici tratti dalle esperienze
innovative degli ultimi tempi;
9 l’autogestione dei processi formativi attraverso incontri che perdono la
ritualità della lezione e assumono caratteristiche delle riunioni di gruppo;
9 la realizzazione di progetti che fondino l’apprendimento sull’esperienza
nella forma di laboratori o di ricercazione;
9 la realizzazione di finalità che producano ricchezza e benessere psichico,
tenendo presente che la motivazione al benessere sta alla base delle
altre motivazioni;
9 il perseguimento di una competenza professionale che coniughi
conoscenze e capacità tecniche con conoscenze e capacità psicologiche;
9 la realizzazione di percorsi, anche fuori dall’aula, per sperimentare
l’intelligenza emotiva, l’esperienza esistenziale, il contatto con le
emozioni, la dimensione etica e morale;
9 la chiara definizione del processo formativo che dovrebbe attraversare
essenzialmente due fasi:
¾ la fase di ricerca per l’analisi dei casi innovativi. I casi devono
essere ricchi di dati e informazioni di carattere pedagogico,
organizzativo, sociale. L’analisi deve riguardare gli aspetti di
contesto, ossia le diverse variabili che hanno contribuito al
successo del progetto (modelli di interazione, modalità di
osservazione utilizzate, forme di comunicazione con l’esterno,
aspetti organizzativi, linguaggi utilizzati, forme di apprendimento
perseguite);
¾ la fase di progettazione con il compito di trasformare modelli e
conoscenze acquisite nella fase di ricerca, in progetti didattici da
realizzare nei possibili contesti scolastici.
In sintesi, senza volere riduttive semplificazioni, occorre che la formazione
diventi un luogo in cui costruire un linguaggio comune, non certo omologato,
che sia espressione di responsabilità condivise. La domanda deve partire dai
singoli protagonisti dell’azione formativa, in primis i docenti, nella
consapevolezza dei propri bisogni e dei propri desideri e con la precisa e
inderogabile richiesta che qualunque azione formativa abbia risonanza nei
progetti di vita individuali.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
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