Rischio sismico - k9ucinofilacormano

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Rischio sismico - k9ucinofilacormano
G.O.R. PROTEZIONE CIVILE
Corsi formativi generali
RISCHIO SISMICO
Analisi dei fenomeni sismici e dei
prodotti della loro attività
A cura di Fabio Benigni e Maurizio Buoso
Sommario
Sommario _____________________________________________________________________II
Fenomeni sismici _______________________________________________________________
Onde sismiche e meccanismi focali _______________________________________________
Intensità, magnitudo ed energia __________________________________________________
Distribuzione e origine dei terremoti ______________________________________________
Danni prodotti _______________________________________________________________
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Le accelerazioni del suolo _________________________________________________________________ 5
Fattori che determinano l’entità del danneggiamento_____________________________________________ 5
Tsunami ______________________________________________________________________________ 6
Previsioni ___________________________________________________________________ 6
Teoria della dilatanza e segni premonitori _____________________________________________________
Modello dei piani di faglia ad asperità ________________________________________________________
Il ruolo dell’acqua _______________________________________________________________________
Ricerche di paleosismicità _________________________________________________________________
6
6
7
7
Difesa dai terremoti ___________________________________________________________ 7
Rischio sismico in Italia ________________________________________________________ 8
Bibliografia ___________________________________________________________________ 10
II
Fenomeni sismici
I terremoti sono scuotimenti del suolo che interessano senza sosta la Terra: quelli più violenti sono per
fortuna relativamente meno frequenti e localizzati in determinate regioni, spesso purtroppo densamente
abitate (Giappone, California, America centrale, Italia, Iran).
Le vibrazioni sismiche sono indotte da improvvise rotture che si producono per lo più nella litosfera
terrestre con movimento relativo delle masse rocciose lungo il piano di frattura che le separa. Spesso
sono provocate da una ripresa di movimento su preesistenti piani di faglia.
Nei sismi si ha rilascio di energia localmente accumulata nelle masse rocciose dalle forze che agiscono
costantemente nella Terra. La pressione o sforzo di intensità crescente, all’inizio produce deformazione
elastica e successivamente rottura delle rocce oppure superamento dell’attrito lungo un piano di faglia
preesistente sul quale di conseguenza avviene il movimento. L’energia immagazzinata viene in parte
spesa nella frantumazione e nella deformazione permanente delle rocce e in parte si trasforma in onde
elastiche generatrici di scuotimenti e in calore.
L’energia si scarica di solito con una forte scossa principale, per lo più preceduta da piccole scosse
premonitorie e seguita da una serie di
numerosi altri scuotimenti detti repliche.
I sismi, oltre che in questo modo, si possono
manifestare anche in altra maniera. In alcuni
casi possono mancare le premonitorie e
l’attività inizia con una forte scossa principale
seguita da numerose repliche con intensità
decrescente, pur con molte irregolarità. In
altri casi l’attività si sviluppa sotto forma di
una lunga serie di scuotimenti che non
raggiungono mai forte intensità e che sono
intervallati da una successione di altri minori.
Fig. 1.1 – Una lastra sottoposta a sforzi, prima si flette
elasticamente (B), poi si spezza (C) e i due tronconi
riprendono la forma piana dopo aver compiuto vibrazioni.
Talvolta infine, dopo un certo intervallo di tempo a partire da una prima scossa principale, preceduta e
seguita da scosse premonitorie e repliche, si manifesta una seconda forte scossa a sua volta preceduta e
seguita rispettivamente da premonitorie e repliche.
Risulta evidente che le differenti modalità di presentarsi dei fenomeni sismici rendono oltremodo
difficile fare una previsione sulla base delle scosse premonitorie che possono anche mancare o
confondersi con le repliche di una forte scossa precedente nel caso di ripetizione di un evento di forte
intensità. L’energia dovuta a sforzi agenti sulla Terra può anche essere rilasciata con continuità; in tal
caso non ha modo di accumularsi e i blocchi sui due lati di una faglia scorrono delicatamente l’uno
accanto all’altro senza scatti bruschi, qui di senza produrre terremoti importanti.
Esistono anche altri tipi di sismi. I terremoti vulcanici sono collegati con il vulcanesimo: il movimento
dei magmi in profondità sotto la spinta dei gas, può fratturare le rocce circostanti con conseguente
liberazione di onde sismiche. I terremoti di crollo, in genere di piccola intensità, avvengono per crollo
della volta di caverne sotterranee e di miniere o, anche per caduta di enormi frane.
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Onde sismiche e meccanismi focali
Dal punto sotterraneo in cui si è avuto il
movimento, denominato ipocentro o fuoco si
liberano onde sismiche di due tipi: longitudinali e
trasversali. Le onde longitudinali (onde P), di
compressione, sono analoghe alle onde acustiche e
consistono in successive compressioni e rarefazioni
lungo la direzione della loro propagazione. Le onde
trasversali (onde S), di taglio, sono oscillazioni
ortogonali alla direzione di propagazione e non si
trasmettono nei fluidi.
Fig. 1.2 – Distribuzione dei primi arrivi di compressione e
Le onde P sono più veloci delle S (in uno stesso
dilatazione di un terremoto sulla superficie di una terra
sferica, in cui la velocità sismica aumenta con la profondità. mezzo), mentre nei liquidi la velocità delle onde S è
nulla, in quanto essi non oppongono nessuna
resistenza alle forze che mirano a farne variare la
forma, assumendo infatti quella del recipiente che li contiene. Inoltre le onde sismiche hanno una
velocità di propagazione inversamente proporzionale alla densità del mezzo attraversato: sembrerebbe
quindi che debbano viaggiare più lentamente nelle rocce più dense.
Le onde P e S vengono anche chiamate onde di volume.
Quando emergono in superficie, le onde P subiscono rifrazione
nell’area entro la quale si propagano come onde acustiche; le
onde S invece scuotono la superficie del suolo sia
orizzontalmente
che
verticalmente,
provocando
il
danneggiamento delle strutture che sorgono su di esso.
Le onde superficiali dette onde
L, viaggiano in vicinanza della
superficie terrestre; sono quelle
di maggiore lunghezza e,
poiché si attenuano meno delle
onde di volume, a partire da
una
certa
distanza
dall’epicentro la loro ampiezza
è maggiore: possono essere
onde di Rayleigh e onde di
Love. Le prime provocano
spostamenti
ellittici
delle
particelle nel piano verticale Fig. 1.3 – Ambiguità nella soluzione del
contenente le direzioni di meccanismo focale per una faglia
propagazione. Quelle di Love, normale.
nelle quali gli spostamenti sono
Fig. 1.4 – (a) Irraggiamento delle
orizzontali e trasversali alle medesime direzioni, non si propagano
onde P per un meccanismo della
sorgente sismica di tipo I e di
nell’acqua.
tipo II; (b) irraggiamento delle
La registrazione delle onde sismiche viene effettuata per mezzo di
onde S da una sorgente di tipo I;
sismografi, costituiti da masse sospese che registrano il movimento del
(c) irraggiamento delle onde S da
suolo rimanendo ferme per inerzia agli inizi dell’oscillazione. La
una sorgente di tipo II.
registrazione del sismografo, il sismogramma, permette di riconoscere
l’arrivo delle onde P alle quali seguono le S ed infine le L. Dai sismogrammi si può risalire alla distanza
dell’epicentro, il punto che rappresenta la proiezione superficiale dell’ipocentro, in base alle differenze
dei tempi di arrivo delle onde P e S, differenze che vanno aumentando, seppur non linearmente, con il
crescere delle distanze stesse. Disponendo dei dati relativi a tre stazioni è possibile risalire alla
localizzazione dell’epicentro come intersezione, su una carta geografica, di tre circonferenze centrate sui
tre sismografi.
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Ricavando i sensi di primo spostamento del suolo sui sismogrammi ottenuti in varie stazioni attorno ad
un’area colpita da un terremoto, è possibile ricostruire gli spostamenti che si sono verificati lungo un
piano di faglia durante quell’evento. Dall’esame dei sismogrammi, in particolare dall’andamento della
registrazione della prima mezza oscillazione, si può stabilire se in una stazione sismografica è pervenuta
inizialmente una compressione oppure una dilatazione. Infatti in un sismografo che registri la
componente verticale delle oscillazioni, la compressione corrisponde a un movimento verso l’alto, la
dilatazione a uno verso il basso.
Intensità, magnitudo ed energia
Per valutare l’intensità di un terremoto furono proposte varie scale, la più antica delle quali, nota come
scala De Rossi-Forel, fu formulata attorno al 1880. Risale al 1902 la scala Mercalli, alla quale furono
apportate modifiche nel 1931. Il grado di intensità viene determinato in base al danneggiamento delle
strutture e all’entità dello sconvolgimento del suolo. La scala Mercalli comprende dodici gradi e dal
primo grado (scossa avvertita solo da strumenti), si arriva progressivamente al nono (distruzione di
case) fino al dodicesimo quando gli oggetti vengono proiettati in alto.
Sono attualmente in uso diverse scale: oltre alla Mercalli modificata, vi è la Medveded-SponhauerKarnik e la Mercalli-Cancani-Sieberg.
Unendo i punti situati al limite
delle aree in cui si è avuto ugual
grado di intensità, si costruiscono
le carte delle aree isosisme.
La magnitudo, collegata con la
quantità di energia emessa e
calcolata indipendentemente dagli
effetti distruttivi, si determina
misurando
l’ampiezza
del
movimento del terreno in base
alla registrazione di uno dei tipi di
onda.
Le
magnitudo
comunemente calcolate sono la
Richter o locale, quella delle onde
P, quella delle onde superficiali e,
infine, la magnitudo di momento
Fig. 1.5 – Variazione con la profondità delle velocità delle onde P e S nella
sismico.
Terra
e loro correlazione con la stratificazione basata su composizione e
La magnitudo locale ML fu
reologia.
introdotta da Richter nel 1935 ed
è il logaritmo in base dieci della
massima ampiezza d’onda sismica (misurata in micrometri) registrata da un sismografo standard a una
distanza di 100 chilometri dall’epicentro: per definizione quindi, se in tale sismografo l’ampiezza
massima registrata è pari a un millesimo di millimetro, il terremoto ha una magnitudo uguale a zero; ad
ogni aumento di un grado, corrisponde un incremento di dieci volte nell’ampiezza di oscillazione. I
valori della magnitudo non hanno limite superiore, né inferiore (esistono anche magnitudo negative,
dovute a sismi non percepiti dall’uomo ma solo dagli strumenti).
La magnitudo delle onde superficiali MS è calcolata in base alla misura dell’ampiezza massima delle
onde di Rayleigh con periodo attorno a 20 secondi, alla quale si apportano correzioni tenendo conto
della distanza dell’epicentro e delle condizioni geologiche locali. Una formula spesso utilizzata è la
seguente:
MS = log10A + 1,66 log10°Δ + 2,0
in cui A è l’ampiezza dello spostamento in micrometri e °Δ la distanza dell’epicentro espressa in gradi.
Per poter utilizzare questa formula occorre che °Δ sia maggiore di 25° e minore di 90°.
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La magnitudo delle onde P, detta anche delle onde di volume mb viene ricavata in base alla misura
dell’ampiezza massima delle onde P e sempre per 25° < °Δ < 90° può essere così calcolata:
mb = log10A – logT + 0,01°Δ + 5,9
dove T = periodo
La MS non coincide con la mb in quanto quest’ultima non è influenzata dalla profondità della sorgente a
differenza della MS: i terremoti profondi producono infatti piccole onde superficiali e la loro MS è
quindi inferiore a quella di terremoti superficiali che liberino la stessa quantità di energia.
La magnitudo delle onde superficiali rispecchia più fedelmente la lunghezza L della frattura prodottasi
nel terremoto, per il cui calcolo viene utilizzata la seguente formula:
MS = 6,10 + 0,70 log10L
Si può inoltre fare una stima approssimativa dell’energia liberata E (Joules) con la formula:
log E = 4,8 + 1,5 MS
L’energia aumenta quindi considerevolmente al crescere della magnitudo, in ragione di circa trenta volte
per l’aumento di un grado.
La magnitudo di momento sismico MW viene calcolata conoscendo il momento sismico M0, essendo:
MW = (log M0 – 16,1)/1,5
e
M0 = μ Δu A
dove μ è il modulo di rigidità (o di scorrimento), A l’area della superficie di rottura e Δu il valore medio
dell’entità dello spostamento lungo la faglia. Il momento sismico si esprime in dine · cm. Si ritiene che
questi parametri siano i più significativi nel determinare la grandezza di un terremoto. Il momento
sismico non dipende dal tipo di onde o dalla collocazione di un determinato sismografo e l’ampiezza
delle onde emesse in tutte le direzioni risulta ad esso proporzionale. M0 consente inoltre di calcolare il
grado dei terremoti molto forti in quanto per cause strumentali e scelta delle frequenze, la magnitudo
MS satura gli strumenti quando ha un valore superiore ad otto.
Distribuzione e origine dei terremoti
I terremoti si verificano prevalentemente presso i confini tra le placche litosferiche. Vi sono però sismi
anche di grande intensità che interessano zone ubicate a notevole distanza dai bordi delle zolle, in aree
che potrebbero essere considerate stabili, ponendo non pochi interrogativi sulle cause che li scatenano.
I terremoti ai limiti tra le placche litosferiche
Le aree sismiche sono in genere ubicate ai confini fra le varie placche
o zolle costituenti l’involucro superficiale rigido del pianeta, la
litosfera, e sono il risultato dell’interazione fra le placche stesse. Le
fasce nelle quali sono concentrati i sismi permettono di individuare i
limiti delle placche, i cui reciproci rapporti nelle zone di contatto
vengono chiariti nel dettaglio dalla distribuzione degli ipocentri e dai
sensi di primo spostamento delle onde P prodotte.
Fig. 1.6 – Determinazione
dell’ipocentro e del relativo
epicentro.
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I terremoti intraplacca
I terremoti intraplacca si verificano in aree sismiche ubicate non ai bordi, bensì all’interno delle placche.
Gli squilibri che generano i sismi intraplacca hanno probabilmente cause profonde in gran parte ancora
da chiarire.
I terremoti generati da esplosioni nucleari
Le esplosioni nucleari sotterranee liberano un’enorme quantità di energia e istantaneamente, attorno al
punto della deflagrazione, si generano pressioni elevatissime e temperature dell’ordine di milioni di
gradi. Queste producono una vaporizzazione delle rocce circostanti e si forma una cavità sferica di
parecchi metri di diametro. All’esterno della zona centrale, l’onda d’urto determina la frantumazione
della roccia in una fascia all’incirca concentrica. Al di fuori di questa zona fratturata si propagano onde
di compressione in tutte le direzioni. In superficie, per esplosioni molto profonde, si possono avere
fessurazioni e un inarcamento del suolo seguito immediatamente da un abbassamento oppure, per
deflagrazioni non molto profonde, la proiezione in aria di rocce e suolo e conseguente formazione di
un cratere.
Le esplosioni nucleari generano pertanto onde elastiche come i terremoti naturali ma, non essendovi
slittamento lungo le faglie e propagandosi le onde P in tutte le direzioni, non si potranno individuare
attorno alla sorgente aree in cui arrivino i primi impulsi delle onde P rispettivamente sotto forma o di
compressioni o di dilatazioni. In teoria, inoltre, le esplosioni dovrebbero generare solo onde P e di
Rayleigh e non onde S e di Love legate agli sforzi di taglio che si hanno nelle faglie: in pratica sono però
presenti anche questi tipi di oscillazioni.
Danni prodotti
I terremoti procurano spesso gravi danni alle persone e alle cose. Il numero delle vittime è a volte
molto elevato. A parità di energia rilasciata, evidentemente un terremoto più vicino alla superficie è più
dannoso di uno profondo. Come si è già ricordato, i maggiori danni sono causati dalle onde S e
parzialmente dalle superficiali.
Le accelerazioni del suolo
Le accelerazioni del suolo che divengono molto più grandi proprio in corrispondenza dell’arrivo delle
onde S, si misurano con strumenti detti accelerografi. Le registrazioni in genere prendono come
riferimento l’accelerazione di gravità g, di cui sono solitamente inferiori, risultando comprese tra 0,05 e
0,35 g per la maggior parte dei sismi moderati con ipocentro ubicato ad alcune decine di chilometri di
distanza. Per le accelerazioni, come per le onde, vengono registrate le componenti orizzontali e quella
verticale; le accelerazioni orizzontali sono maggiori delle verticali in quanto le onde S hanno un
contenuto energetico molto più elevato delle P e le onde sismiche emergono in superficie con direzione
di propagazione prossima alla verticale a causa della rifrazione che esse subiscono attraversando strati
che divengono via via più lenti verso la superficie.
I moti orizzontali del terreno abbattono le strutture, mentre la componente verticale riveste grande
importanza nel calcolo antisismico di dighe o di fondazione di oleodotti.
Fattori che determinano l’entità del danneggiamento
A parità di grandezza di un sisma, i danni sono differenti in relazione a moltissimi fattori quali il tipo di
costruzione, la natura del sottosuolo nella sua parte più superficiale, la posizione della falda acquifera.
In particolare sabbie fini presenti nel sottosuolo impregnate dell’acqua di falda possono, in seguito alle
scosse, dar luogo a fenomeni di liquefazione, possono cioè comportarsi come fluidi causando crolli di
manufatti sul suolo soprastante.
Contribuiscono inoltre ad accrescere le distruzioni frane e valanghe in aree montuose, incendi per
cortocircuiti in città. Questi ultimi hanno causato danni a volte addirittura maggiori di quelli prodotti
dalle scosse.
Importante è anche la durata dell’oscillazione: quanto più essa è prolungata, tanto maggiore è l’energia
rilasciata e, di conseguenza, tanto più ingenti i danni.
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Il numero delle vittime di un sisma distruttivo è inoltre in relazione al momento della giornata in cui
avviene la scossa; infatti più è elevato nelle ore tardo serali e notturne, quando la maggior parte delle
persone si trova nelle case.
Tsunami
Si possono qui ricordare anche i disastri causati alle località costiere dagli tsunami, le onde sismiche
marine: viaggiando a velocità di 650-800 km/ora, possono produrre ondate alte anche 30 m in
prossimità della costa.
Oltre che da improvvisi grandi movimenti verticali del fondo marino prodotti dai sismi, i maremoti
possono essere causati da crolli di apparati vulcanici in seguito a esplosioni vulcaniche e da frane
sottomarine.
Previsioni
Gli sforzi che agiscono entro la crosta terrestre, localmente con grande intensità, producono
deformazioni che debbono tradursi in qualche cambiamento di proprietà fisiche delle rocce. Su questa
base si è cercato di mettere in evidenza quali siano le variazioni misurabili nelle masse rocciose
sottoposte a stress. Tra i parametri più interessanti, sembrerebbero avere una certa importanza i
cambiamenti nel livello del suolo e i mutamenti nel rapporto tra le velocità delle onde P e S nell’area
soggetta a sforzi.
Teoria della dilatanza e segni premonitori
Per cercare di spiegare variazioni di parametri fisici che precedono e accompagnano i terremoti si è
sviluppata la teoria della dilatanza. Con questo termine si intende l’aumento di volume subito dalle
rocce sottoposte a forti pressioni, a causa della formazione di microfratture e vuoti. I vuoti, inizialmente
asciutti, si riempirebbero successivamente di acqua che provoca una riduzione delle forze di coesione,
responsabile dell’innesco del sisma.
Con questa teoria sono spiegate molte delle variazioni osservate prima di qualche terremoto. In tal
modo, per mezzo di rilievi continui ed accurati in una data area, è possibile cogliere alcune di quelle
variazioni che possono precedere lo scatenarsi di un terremoto.
La teoria della dilatanza, rivelatasi stimolante nel campo della previsione dei terremoti, sembra
applicabile unicamente a sismi di non grande profondità
L’elenco dei segni premonitori dei sismi è molto lungo; si possono citare i cambiamenti del livello del
suolo, l’aumento di conduttività elettrica, l’aumento dei gas radon ed elio nelle acque dei pozzi
profondi, la variazione del livello dell’acqua delle falde acquifere nei pozzi e i comportamenti anomali
degli animali.
Sono segnalati come precursori anche fenomeni meteorologici inconsueti quali anomale alte
temperature, basse pressioni atmosferiche e forti precipitazioni: in questi casi le possibili relazioni con i
sismi sono molto oscure.
Comunque sia, rimangono purtroppo sempre le incertezze sul momento in cui può scatenarsi il
terremoto, in quanto gli eventuali segni premonitori possono manifestarsi anche con anticipo di due
anni.
Modello dei piani di faglia ad asperità
Indicazioni per prevedere il punto di una faglia sismogenetica in cui è probabile avvenga un terremoto
di grande intensità, sono fornite dal modello ad asperità dei piani di faglia. Si ritiene infatti che questi
presentino spesso irregolarità dette appunto asperità, in grado di bloccare localmente il movimento.
Esse possono a volte essere individuate perché danno luogo a lacune sismiche, diversamente dalle altri
pari della faglia interessate da continui piccoli scorrimenti asismici o a debole sismicità. Quando una
delle asperità, in corrispondenza della quale si è concentrato lo sforzo, cede improvvisamente, si genera
un forte terremoto.
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Il ruolo dell’acqua
Nei meccanismi innescanti i sismi l’acqua sotterranea gioca certamente un ruolo importante, come può
essere dimostrato da una serie di scosse di bassa magnitudo causate da iniezioni di liquidi nel sottosuolo
in un’area interessata da una faglia. Si è preposto in alcuni casi di impedire l’accumulo di energia lungo i
piani di faglia lubrificandoli appunto con l’iniezione di liquidi nel sottosuolo. In effetti i movimenti
lungo le faglie, indipendentemente dalle iniezioni di fluidi, possono verificarsi in talune regioni con
continuità e senza scatti; in tal caso non ha modo di accumularsi una gran quantità di energia quale
sarebbe necessaria per provocare improvvise forti scosse.
Anche l’azione dell’uomo può generare terremoti, ad esempio ciò può accadere talvolta dove vengono
costruite dighe e relativi grandi serbatoi sui corsi d’acqua. Si ritiene che a provocarli sia l’acqua raccolta
nei maggiori bacini artificiali con il suo carico, ma soprattutto penetrando in microfratture nelle rocce
sottostanti al bacino, per via dell’incremento di pressione prodotta dall’invaso.
Ricerche di paleosismicità
Prodotti da episodici movimenti lungo faglie, i terremoti tettonici hanno un intervallo di ricorrenza che
può essere di millenni. Un aiuto per l’individuazione dei singoli eventi sismici che si sono succeduti in
una determinata area, causati da riprese di movimenti lungo il piano di una faglia ben individuata, può
venire da studi di paleosismicità. Mediante la stratigrafia si riescono a datare i singoli terremoti che si
sono susseguiti. L’intervallo cronologico in cui ciascuno di questi si è verificato è fissato dall’età dello
strato di sedimenti più alto su cui riposano i detriti derivati dall’erosione della scarpata prodotta
dall’evento e quella dei più antichi dei detriti stessi.
Difesa dai terremoti
Le aree della Terra più instabili per la
loro sismicità sono spesso densamente
abitate. Il fatto si spiega con la frequente
coincidenza di tali territori con quelli
climaticamente più favorevoli allo
sviluppo della vita e delle attività umane
quali l’agricoltura. Si sono così formati
agglomerati urbani la cui estensione è
cresciuta
con
l’avvento
dell’industrializzazione. Anche lungo le
coste marine vi sono spesso aree
sismiche. Di contro vastissime regioni
della Terra prive di sismi importanti
sono purtroppo ubicate in aree con
clima ostile alla vita e all’attività
dell’uomo.
Il problema della difesa dai terremoti è
pertanto di fondamentale importanza
per le aree sismiche, quindi anche per
l’Italia che è una delle regioni a più
elevato grado di sismicità.
Predisporre la difesa sulla base dei segni
premonitori non pare una buona norma
da seguire in quanto si è visto che essi
possono comparire troppo tempo o,
inversamente, troppo poco tempo prima Fig. 1.7 – Pericolosità sismica in Italia.
della scossa principale. È tuttavia
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indispensabile continuare le ricerche sui fenomeni precursori introducendo calcoli probabilistici,
mediante i quali valutare statisticamente i singoli fenomeni e le percentuali in cui si siano rivelati falsi o
veritieri.
La prima operazione da effettuare è un’accurata delimitazione delle aree sismicamente attive in base
all’analisi dei terremoti verificatisi in passato e delle loro ricorrenze. Oltre a questa macrozonazione,
cioè divisione in zone omogenee rispetto al pericolo di eventi sismici, si deve procedere a una
microzonazione a livello comunale nei territori di maggiore rischio. Si devono cioè indicare aree a
differenti caratteristiche geologiche e geomorfologiche, proprietà geotecniche dei terreni, profondità
della falda acquifera, ecc... In base a questi parametri si possono individuare zone a diversa gravità di
danni prevedibili per una scossa di data intensità.
Di fondamentale importanza è l’adozione e l’applicazione di adeguate norme di edilizia antisismica per
gli edifici di nuova costruzione mentre per i vecchi sono indispensabili opere di consolidamento.
Queste operazioni sono relativamente dispendiose e ancora largamente da completare anche in Stati
industrialmente avanzati.
Gli studi effettuati, prospettano la possibilità di intervenire efficacemente anche su vecchi edifici che
costituiscono ancora la maggior parte delle costruzioni sia dei centri storici che degli abitati rurali. Il
consolidamento di questi edifici richiederebbe però una spesa molto ingente, ritenuta insopportabile per
lo Stato, per cui la soluzione non può essere che quella di demandare ai singoli privati l’intervento sulle
proprie abitazioni.
Si deve infine ricordare la necessità dell’organizzazione di un efficiente servizio di Protezione Civile che
non solo crei le strutture di intervento, ma che coinvolga la popolazione mobilitandola in esercitazioni.
Rischio sismico in Italia
L’Italia è un’area in gran parte sismica; la penisola è infatti situata in una zona di orogenesi recente,
dove i fenomeni dinamici crostali sono attivi. Secondo il Catalogo dei Terremoti Italiani del Consiglio
Nazionale delle Ricerche, fra l’anno mille e il 1980 si sono verificati circa duecentoventi sismi di
intensità superiore all’VIII grado della scala Mercalli; negli ultimi duemila anni le vittime sono state oltre
450˙000, un numero enorme se rapportato a quello delle vittime provocate su tutta la Terra da
terremoti della stessa intensità di quelli italiani. In effetti, solo la Penisola
Salentina e la Sardegna risultano regioni dove non vi sono epicentri
sismici. Fra gli eventi della prima metà del XX secolo si possono
ricordare quello di Messina del 1908 che, accompagnato da una
disastroso maremoto, rase al suolo la città e provocò un numero di
vittime elevato (sicuramente oltre 60˙000, ma il numero esatto non fu
mai appurato a causa della distruzione degli archivi comunali), e quello
disastroso di Avezzano in provincia dell’Aquila del 1915, che raggiunse
l’XI grado. Fu proprio a partire da questo evento che la legislazione
italiana cominciò a dettare norme per le costruzioni antisismiche, la cui
applicazione non è certo stata sufficiente, visti i danni e le vittime
provocate dai sismi nella seconda metà del Novecento. Scosse violente
con numerose vittime e distruzione di interi paesi, come Gibellina, S.
Ninfa, Salaparuta, si ebbero nel 1968 nella Sicilia occidentale (Valle del
Belice), nel 1976 in Friuli (dove l’attività sismica precedente era stata
sempre di lieve entità) e soprattutto nel 1980 nell’Irpinia e Basilicata,
dove si riattivò una delle numerose faglie che tagliano l’Appennino
Fig. 1.8 – I sismografi a
pendolo registrano il moto del
suolo nelle sue componenti
verticali (A) e orizzontali (B).
Queste ultime devono essere
registrate da due strumenti posti
tra loro ad angolo retto.
Meridionale. Anche in questo caso interi paesi, come S. Angelo dei
Lombardi, Laviano, Lioni, dove le abitazioni erano vecchie e costruite con
tecniche tradizionali, furono praticamente rasi al suolo e 300˙000 persone
rimasero senza tetto. L’intensità fu del X grado della scala Mercalli e le
vittime oltre 3˙000; numerosi furono anche i danni arrecati alle strade, ai
campi coltivati e alle masserie dalle frane innescate dal terremoto.
L’evento dell’Irpinia suggerì la costituzione ad opera del Consiglio dei
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Ministri di un Gruppo Nazionale per lo Studio dei Problemi Inerenti la Difesa dai Terremoti, che
coordina le ricerche di numerosi studiosi, mentre l’applicazione delle norme antisismiche fu lasciata al
Ministero dei Lavori Pubblici.
Il rischio sismico in Italia deriva non solo dalle possibilità o probabilità che possano verificarsi eventi di
una data intensità, ma anche dalla vulnerabilità del sistema antropico (sismi più violenti di quello che ha
distrutto l’Irpinia, avvenuti in zone scarsamente popolate, come l'Alaska, oppure in aree dotate di edifici
antisismici, come il Giappone o la
California, hanno provocato danni
modesti e un numero ridotto di vittime).
Dal punto di vista antropico, il rischio
sismico nel nostro Paese è reso elevato
da numerosi fattori (sui quali, ove
possibile, è indispensabile intervenire),
quali:
– il tipo e la qualità degli edifici (nei
numerosi centri storici, dove le
costruzioni sono vecchie e fragili, si
devono
attuare
opere
di
consolidamento);
– la densità della popolazione Fig. 1.9 – Emissione delle onde di dilatazione e compressione
(numerosa e concentrata anche dall’epicentro di un terremoto.
nelle
aree
dichiaratamente
sismiche);
– le strutture economiche (in un’economia industriale e terziaria le reti di collegamento e di trasporto
sono essenziali; la loro interruzione provocherebbe danni enormi, si deve quindi provvedere alla
loro protezione);
– la ridotta educazione sismica (un’adeguata divulgazione di massa sulla conoscenza dei terremoti,
sulle attività di prevenzione, sull’organizzazione delle operazioni di soccorso può ridurre
notevolmente il rischio sismico).
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Bibliografia
BERNARDI, SMIRAGLIA – L’ambiente dell’uomo, introduzione alla geografia fisica.
Patron Editore
CASATI P. – Scienze della Terra, elementi di geologia generale.
Città Studi Edizioni
KEREY, VINE – Tettonica globale.
Zanichelli, Bologna.
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