Tú ne quaésierís, || scíre nefás, || quém mihi, quém tibi fínem dí

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Tú ne quaésierís, || scíre nefás, || quém mihi, quém tibi fínem dí
Tú ne qua
quaésierí
sierís, || scí
scíre nefá
nefás, || qué
quém mihi,
mihi, qué
quém tibi
fínem dí dederí
dederínt,
nt, || Léuconoé
uconoé, || néc Babyló
Babylónios
témptarí
mptarís numeró
numerós. || Út meliú
meliús, || quí
quídquid erí
erít, pati!
pati!
Séu plurí
plurís hiemé
hiemés || séu tribuí
tribuít || Iúppiter últimam,
ltimam,
qua
ppositís || débilitá
bilitát || púmicibú
micibús mare
quaé nunc ópposití
Týrrhenú
rrhenúm, sapiá
sapiás, || vína liqué
liqués, || ét spatió
spatió brevi
spé
spém longá
longám resecé
resecés. || Dúm loquimú
loquimúr, || fúgerit ínvida
aétas:
tas: cárpe dié
diém, || quá
quám minimú
minimúm || cré
crédula póstero.
stero.
il pronome in forte risalto caratterizza il
tono intimo e colloquiale dell’ode,
accentuato dai pronomi successivi (mihi
e tibi) accostati dall’anafora di quem.
La stessa anafora sembra
rivelare l’ansia della
ragazza, prima ancora
che per il suo, per il futuro
del poeta.
Tu ne quaesieris (scire nefas)
nefas) quem mihi,
mihi, quem tibi
finem di dederint,
erint, Leuconoe,
Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros.
numeros.
allitterazione
Il nome fittizio della ragazza
significa dalla candida mente:
allude all’ingenuità di chi si illude
di poter conoscere il futuro.
Metonimia hiemes = annos; gli anni della vita
sono significativamente indicati con la
stagione più triste; viene inoltre introdotta
l’immagine successiva
Ut melius,
melius, quicquid erit,
erit, pati!
pati!
Seu plures hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
ultimam,
L’atto di filtrare il
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
vino allude alla
preparazione di un
Tyrrhenum,
Tyrrhenum, sapias,
sapias, vina liques et spatio brevi
simposio.
spem longam reseces.
reseces.
Oppositis pumicibus=abl.
strumentale in iperbato; il
mare d’inverno che si affatica
contro gli scogli diventa il
drammatico simbolo
dell’affaticarsi degli uomini.
Il futuro anteriore nella
principale sottolinea il fatto che
nel momento in cui parliamo il
tempo è già trascorso.
L’enjabement e la callida iunctura
enfatizzano l’immagine che domina gli
ultimi versi, quella del tempo “invidioso”.
Dum loquimur,
loquimur, fugerit invida
aetas:
aetas: carpe diem,
diem, quam minimum credula postero.
Altra callida iunctura
“Carpo è di tutti i verbi il più nuovo e il più espressivo,
dicendosi di un movimento lacerante e progressivo tra le
parti e il tutto, come sfogliare una margherita o piluccare
un grappolo d’uva. Il tutto è l’aetas, il tempo maligno
(invida) visto nella continuità della sua fuga: la parte è il
dies, l’oggi, da spiccare giorno per giorno senza contare
sul domani.” A. Traina