Il Parlamento europeo e quella sede di troppo - Il Duemila -11-02

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Il Parlamento europeo e quella sede di troppo - Il Duemila -11-02
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Il Parlamento europeo e quella sede di troppo - Il Duemila -11-02-11
C’è un Palazzo, in Europa, ‘abitato’ solo per quattro giorni al mese. E che Palazzo: un emiciclo da 785
posti, 47 sale conferenze, ben 2.650 uffici che per oltre trecento giorni l’anno sono praticamente deserti.
Ma costano. Eccome se costano.
Già, perché anche quando gli ‘inquilini’ non ci sono, i contatori girano, le luci restano accese, il personale
addetto alla manutenzione e alla sorveglianza continua a lavorare e vigilare affinché tutto sia
perfettamente in ordine e funzionante per quando gli ‘inquilini’ vi faranno ritorno.
Sveliamo il mistero: il Palazzo in questione è la sede del Parlamento europeo, quella di Strasburgo, gli
‘inquilini’ gli eurodeputati che, una volta al mese, si riuniscono lì in sessione plenaria, dalle 15 del lunedì
alle 17 del giovedì (mentre per le altre 3 settimane sono a Bruxelles, dove si svolgono le ‘mini sessioni’ e
la maggior parte del lavoro politico)”.
Così scrivevamo su il Duemila nel 2007. Da allora sono passati tre anni, l’argomento ha suscitato notevoli
e ripetute polemiche e una petizione per unificare le sedi – promossa dalla liberale svedese Cecilia
Malmström – ha raccolto più di un milione di firme. Eppure nulla è cambiato.
Il Parlamento europeo continua ad essere l’unica assemblea al mondo a non avere una sede, bensì tre:
come molti sapranno, il Parlamento si divide infatti tra Lussemburgo, dove hanno sede il Segretariato
generale e molti altri uffici amministrativi, Bruxelles, dove si svolge la maggior parte delle attività
parlamentari – incluse le riunioni delle commissioni e dei gruppi politici – e Strasburgo, dove hanno luogo
le sessioni plenarie.
Un’anomalia, quella europea, che ciclicamente torna sotto i riflettori e fa discutere soprattutto per le
spese che comporta. La ‘transumanza’ mensile da Bruxelles a Strasburgo di deputati, assistenti e
funzionari – per non parlare delle tonnellate di documenti al seguito – ha un costo tutt’altro che
indifferente. Se nel 2001 – quando ci siamo occupati per la prima volta dell’argomento – gli spostamenti
degli allora 626 deputati e dei 2 mila funzionari costavano circa 230 miliardi di vecchie lire (quasi 119
milioni di euro), oggi, dopo l’allargamento dell’Ue, tali costi sono ulteriormente lievitati e non accennano a
diminuire. Ogni mese, infatti, arrivano a Strasburgo 736 europarlamentari, con oltre 3 mila impiegati al
seguito (circa 1.500 portaborse e 1.745 funzionari) cui l’Unione europea rimborsa sia il viaggio sia vitto e
alloggio.
Non solo: ogni volta che deputati e funzionari si recano in missione a Strasburgo portano con loro
pratiche e documenti. Montagne di carta, racchiuse in oltre 3 mila casse e un centinaio di armadi, che
mensilmente vengono ‘traslocate’ da una sede all’altra su 20 tir che costano 9 mila euro l’uno e che
causano un’emissione nell’aria di circa 20 mila tonnellate di anidride carbonica.
Oltre al danno (ambientale), anche la beffa (economica): nonostante il riserbo degli uffici amministrativi,
si stima che il trasloco mensile – unitamente alle spese di manutenzione della sede francese (che,
curiosamente, sono più alte rispetto a quelle di Bruxelles) – assorba oltre il 15 per cento dell’intero
budget dell’Unione europea. Tradotto in soldoni, stiamo parlando di oltre 250 milioni di euro l’anno,
miliardo in quattro anni.
Una cifra di tutto rispetto, che lievita ulteriormente se si considerano anche i costi in termini di
efficienza, visto che per ogni trasferta si perdono circa due giorni tra l’andata e il ritorno.
In un periodo di crisi come quello attuale, perché l’Unione europea – che, giustamente, continua a
chiedere ai propri Stati membri di ridurre gli sprechi – non dà il buon esempio unificando le sedi del
Parlamento e spostando tutte le sedute a Bruxelles?
La capitale belga sarebbe infatti la sede più adatta, vuoi perché vi risiedono anche Consiglio e
Commissione, vuoi perché lì si svolge già la maggior parte del lavoro, vuoi perché è meglio collegata al
resto d’Europa rispetto all’Alsazia.
Naturalmente, l’enorme edificio di Strasburgo non verrebbe abbandonato: si potrebbe trasformarlo, come
ha proposto qualcuno, nella prima Università trans-europea, oppure trasferirvi la sede e i summit del
Consiglio europeo, o ancora istituirvi una scuola di formazione per amministratori pubblici europei.
Quest’ultima proposta porta la firma della deputata europea Amalia Sartori che alcuni mesi fa ha
indirizzato una lettera, sottoscritta anche da altri europarlamentari, al presidente francese Sarkozy
invitandolo – nel nome del “rigore e del risparmio da parte di tutti” – ad assumere “la difficile e storica
decisione di rinunciare alle 12 sessioni annuali di Strasburgo”.
Modificare lo status quo, però, non è cosa facile.
A decidere che il Parlamento avesse tre sedi furono i Capi di Stato e di Governo riuniti ad Edimburgo nel
’92 (guarda caso soprattutto per volontà francese) e il principio fu poi inserito nel Trattato di Amsterdam
del ’97, con una duplice conseguenza: da un lato il Parlamento europeo è l’unico al mondo a non poter
decidere dove riunirsi, dall’altro, essendo un principio inscritto in un Trattato, per modificarlo occorre il
voto unanime di tutti i Paesi membri, Francia inclusa.
Fino ad ora la lobby francese ha sempre fatto quadrato, ricordando come Strasburgo sia la città-simbolo
della pacificazione europea e dunque non la si possa privare del prestigio di essere sede del Parlamento.
Alla luce dei costi che comporta il mantenimento della doppia sede, Strasburgo sembra però essere
diventata la città-simbolo di qualcos’altro: dello spreco.