Ippogrifo - Comune di Jesi

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Ippogrifo - Comune di Jesi
MARZO 2007
LICEO CLASSICO STATALE V. EMANUELE II JESI
Anno 23 N. 1 • Indirizzi: Classico • Socio Psico Pedagogico • Scienze Sociali
TRE
F
INDIRIZZI, UN’UNICA
inalmente, dopo
una lunga concertazione, i tre indirizzi dell’Istiatuto,
Liceo Classico, Liceo Socio
Psico Pedagogico e Liceo
delle Scienze Sociali sono
stati riuniti in un’unica sede,
l a s e d e s t o r i c a d e l l ’ ex
Appannaggio.
La nuova logistica, che
abbiamo fortemente voluto
S
abato 21 ottobre
l a Preside Prof.
Giuliana Petta ha
inaugurato i nuovi
locali del Liceo classico, del
Liceo socio-psico pedagogico e
delle scienze sociali. Alla presentazione, che si è tenuta
nell’Aula Magna sita al 1° piano
della scuola in corso Matteotti
48, sono intervenuti i rappresentanti delle Istituzioni, del
Comune di Jesi e della provincia di Ancona .
Il Dirigente Scolastico ha salutato e ringraziato i presenti con
un discorso rivolto alla forma-
per una migliore unitarietà
e qualità del servizio scolastico, offre un sostanziale
ampliamento degli spazi
didattici (aule, laboratori,
biblioteche) reso necessario
da un ormai consolidato
trend crescente di iscrizioni
ed un accentramento dei servizi amministrativi. La nuova
sede unica dell’Istituto si
configura come traguardo
decisivo verso una didattica
ed una progettualità scolastica di sempre più ampio
respiro. Per questo risultato
vogliamo ringraziare in primis gli enti locali e la
Provincia di Ancona che
hanno reso possibile l’accorpamento e tutto il personale della scuola, dal
Direttore dei Servizi Generali
e Amministrativi Dott.ssa
SEDE
M.C. Zampetti allo staff di
presidenza, dal personale
ATA ai collaboratori scolastici che, con grande spirito
di sacrificio, hanno predisposto i nuovi locali scolastici al fine di garantire un
regolare ed efficiente avvio
di anno scolastico 2006/2007.
Il Dirigente Scolastico
Prof.ssa Giuliana Petta
L’INAUGURAZIONE
zione dei giovani sia in ambito
personale che sociale, ribadendo i diritti di ognuno di loro,
soprattutto il diritto all’ascolto
che molte volte viene violato
sia da ragazzi che da adulti.
Un’altra parte del discorso è
stata rivolta ai ragazzi stranieri, che rivendicano la cittadinanza non come mondi a parte,
ma come parte della nostra
realtà, non solo come causa di
problemi, ma come risorsa per
risolverli.
Per finire la Preside ha ringraziato tutto lo staff che quest’estate ha lavorato alla realizza-
zione di una scuola finalmente
unita, condizione indispensabile per la crescita umana e
sociale degli adolescenti.
Nella prima parte della mattinata le alunne del liceo
socio-psico pedagogico e delle
scienze sociali hanno presentato un lavoro di ricerca sull’acqua e sulla sensibilizzazione ai problemi ambientali,
lavoro che entra nell’ambito del
progetto della Regione Marche
“Per l’ambiente si cambia”.
Durante l’incontro è intervenuto il Presidente della
Provincia Enzo Giancarli che
La dirigente Giuliana Petta durante la consegna dei diplomi al teatro San Floriano nel luglio 2006.
ha sottolineato i concetti, già
espressi dalla Preside, sull’importanza di una scuola unita,
evidenziando il fatto che al centro del processo educativo ci
sono gli studenti, portatori di
diritti, ai quali bisogna garantire servizi sempre migliori.
Anche il Vescovo di Jesi Mons.
Gerardo Rocconi è intervenuto
evidenziando i problemi a cui
vanno incontro i ragazzi che
spesso non sono ascoltati dagli
adulti, sottolineando l’importanza del dialogo costruttivo per
la ricerca di una vita serena e
votata all’ascolto del prossimo
senza pregiudizi.
L’evento ha suggellato gli sforzi di rendere viva una realtà scolastica nel cuore della città, polmone di cultura e di saggezza
cui si guarda con sempre maggiore attenzione in una fase storica difficile, nella quale sembrano svanire o perdere vigore
i forti valori che sono stati il
baluardo della formazione di
molti uomini che ci hanno preceduto.
Filippo Maria Triccoli, III B L.C.
Giovanni Cacciani, II A L.C.
Francesca Giuliani, IV L L.S.S.
Giacomo Martarelli, III F L.S.S.
2
2007
UN RICORDO DEL PROFESSOR AMBROSI
E
ra andato in pensione
pochi anni fa, nell’agosto
2000, dopo una vita passata nella scuola e dopo
che intere generazioni di liceali si
erano formate, sotto la sua guida,
alla dura disciplina della grammatica: quarant’anni di insegnamento del latino e del greco nelle
classi del ginnasio, durante i quali
è stato un’istituzione del nostro
Liceo. Ha insegnato ai padri e ai
figli, spiegando loro come orientarsi tra i meandri del Rocci e in
mezzo ai trabocchetti della grammatica, di cui era conoscitore
esperto e sul cui studio minuzioso
e serissimo si sono fatte le ossa
decine di classi ginnasiali.
Il 30 luglio 2006, all’età di 73 anni,
il professor Adolfo Ambrosi è morto
a Jesi, e noi vogliamo ricordarlo qui
e salutare con affettuoso rispetto la
sua figura di docente che per una
vita ha adempiuto con competenza e puntualità al suo ruolo di formatore di tanti giovani, contribuendo a costruire quell’immagine
di serietà e di affidabilità che sul
Liceo Classico di Jesi hanno depositato gli anni della sua lunga storia e le persone che vi hanno lavora t o. N o n l o d i c i a m o p e r
auto-incensarci - sarebbe inopportuno ed inutile - ma perché crediamo che, nell’alternarsi delle
generazioni, solo la memoria di
ciò che siamo stati possa renderci
consapevoli di ciò che siamo e darci
i giusti stimoli per affrontare i difficili impegni del futuro. È per lo
stesso motivo, in fondo, che in questa scuola studiamo i classici e la
tradizione degli antichi.
Il professor Ambrosi aveva iniziato la sua carriera di docente nel
1960 e quasi subito era stato incaricato dell’insegnamento delle
materie letterarie presso il nostro
liceo, in cui è rimasto poi come
vincitore di concorso per tutto l’arco della sua vicenda professionale. Insegnava con grande competenza tutte le materie dell’ambito
letterario, ma certamente ciò di cui
ha lasciato il ricordo più vivo è
stato l’insegnamento del latino e
del greco nelle classi ginnasiali.
Per anni, in questo ruolo, ha preparato i giovani usciti dalle scuole medie ad affrontare con adeguati strumenti il complesso
percorso del triennio liceale, e gli
alunni della sezione B ricordano
ancora la precisione e l’attenzione con cui verificava la loro preparazione grammaticale, la loro
puntualità nello studio, la loro
capacità di tradurre i testi.
Ricordano le versioni greche da
lui composte autonomamente e proposte per la traduzione in classe e
a casa, i sussidi didattici che distribuiva loro perché li studiassero,
tra cui quei grandi fogli formato A3
- poi passati alla storia, nell’espressivo linguaggio studentesco,
col significativo soprannome di
“lenzuola” - su cui annotava
manualmente con esattezza le casistiche più minute della morfologia
e della sintassi. Un insegnamento
rigoroso e indubbiamente anche
esigente e severo, ma nella migliore delle accezioni di questa parola, che applicata a un docente sapp i a m o e s s e re , s p e s s o, u n
complimento. I suoi alunni, che
pure tanta fatica avevano fatto sulle
sudate carte ginnasiali, hanno sempre poi detto di aver “vissuto di
rendita”, una volta passati al liceo.
Chi scrive ha del professor Ambrosi
un ricordo da collega, non avendo
avuto modo di conoscerlo come
proprio insegnante. Un ricordo in
cui emergono con vivezza sia le
molte occasioni di confronto in
sala professori, le osservazioni
acute e penetranti, l’ironia, sia la
grande capacità che aveva di
inquadrare con efficacia il profilo
degli alunni. I divertenti e istruttivi aneddoti sulla scuola di un
tempo, di cui era stato testimone ed
attore (ricordo in particolare lo
spaventevole titolo in latino del
tema di un concorso d’altri tempi
che raccontò aver avuto modo di
svolgere: “Quid Dantes de Statio
sentiat”). Prezioso nell’indicare
studi su cui aggiornarsi e nel prestare saggi e volumi, in particolare testi fondamentali italiani e stranieri non più in commercio, che
metteva a disposizione con generosità, era una figura di riferimento
per alunni e colleghi, e la città stessa in lui riconosceva una delle figure più note del Classico di Jesi.
Un docente che alla scuola ha dedicato tutta la vita, svolgendo esemplarmente e ammirevolmente il suo
lavoro attraverso un lungo periodo di tempo in cui questa istituzione è cambiata profondamente
nelle strutture, nei rapporti, nel
sentire delle persone; e in cui anche
il nostro liceo è cambiato, si è
ingrandito, si è attrezzato per essere al passo coi tempi e per rimanere un’istituzione importante nella
vita della città. Ma se cambiano i
tempi e le persone - non solo gli
alunni, ma anche i professori e
tutto il personale che porta il suo
contributo alla costruzione di una
scuola - solo il ricordo del percorso che si è fatto insieme può
rendere consapevoli di ciò di cui si
fa parte e capaci di svolgere con
entusiasmo e impegno il proprio
compito. Grazie, professor Ambrosi.
(P. Z.)
ALBERTO BERTI IN MOSTRA AL LICEO
D
all’11 al 25 novembre 2006 i locali del
Liceo Classico
hanno ospitato una
mostra di Alberto Berti, sintesi
dell’opera e del percorso dell’artista nato a Jesi nel 1938 (e
diplomatosi presso il nostro
liceo) il cui lavoro ha varcato
negli anni i confini nazionali e
internazionali.
“Le opere recenti che Alberto
Berti espone negli ambienti del
L i c e o C l a s s i c o Vi t t o r i o
Emanuele II di Jesi - scrive nella
presentazione della mostra il
prof. Attilio Coltorti - testimoniano come la ricerca del nostro
artista si sia evoluta nel corso
degli anni, fino ad approdare
sulle sponde dell’astrattismo.
Pur tuttavia non rinunciando a
quelli che possiamo considerare come i tratti più caratteristici della sua produzione: la roton-
dità dei contorni e la pastosità
del segno (Russi), accanto ad
un colore oggi più che mai vivo
e maturo, su cui l’artista modula liberamente i diversi soggetti prescelti. Il prodotto pittorico
che ne scaturisce, sempre
espressivo della natura lirica
dell’artista, sia esso relativo al
tema del viaggio, tema particolarmente caro a Berti (per il
quale i numerosi viaggi intrapresi in ogni parte del mondo
hanno rappresentato delle vere
e proprie tappe formative della
sua esistenza), che all’intima
necessità di visualizzare coloristicamente i propri stati d’animo, risulta sublimato in una
sorta di neorealismo magico e
trasognante. Che in una situazione compositiva oscillante tra
vaghezza indefinita dell’insieme e rappresentazione ravvicinata di soggetti tipici (fiori, natu-
re morte ecc.), è la valenza stilistica, ora profondamente decorativa ora poeticamente visio-
naria, a costituire il denominatore comune di tutta la sua produzione artistica”.
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L’ORESTEA NEL III MILLENNIO
I
l rapporto madre-figlio,
all’apparenza così elementare e quotidiano, portatore invero di una memoria
ancestrale che riconduce ogni
uomo alla sua origine.
Dietro la figura materna è
celato il lontano passato di
una mentalità arcaica che nel
correre inesorabile del tempo
ha evoluto la propria gerarchia da madre a padre, da clan
a società.
Nel nucleo familiare e nei
conflitti che lo attanagliano è
riposta la storia della civilizzazione , ma, per ben comprendere questo, è necessaria
una prima analisi dei componenti di tale nucleo e della
proiezione che ciascuno di
questi ha nel sistema sociale
ed umano.
Madre, Padre, figli.
Madre: il doppio ruolo
come dea della creazione e
della distruzione.
Quella terra di cui è fatto
l’uomo, il grembo da cui
nascono tutti gli alberi e le
erbe, è il luogo in cui torna il
corpo, il grembo della madreterra diventa la tomba.
Madre emblema del ciclo
vitale e delle limitazioni che
ne derivano: nascita, vita,
morte come prima essenza
dell’essere.
Padre: il ruolo di civilizzazione, portatore di giustizia e valori istituiti dall’uomo, il distacco dalla
condizione istintiva e primordiale dell’essere.
Padre emblema dell’artificiosa evoluzione dell’uomo
da animale a cittadino per
sfuggire, seppure in modo illusorio, a quel ciclo vitale di cui
fa parte.
Figli: il futuro della società,
la potenza non ancora in atto.
Eredi della condizione
umana materna e dei valori
sociali paterni, assorbono la
storia dell’uomo e la proiet-
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Oreste uccide la madre Clitennestra ed Egisto
teranno nella società che
saranno tenuti a far evolvere.
Figlio: emblema della speranza e della sete di progresso che inducono alla sopravvivenza.
In questa visione sociale
della famiglia ben si coniugano la tesi di Fromm secondo cui “Il rapporto tra madre
e figlio è paradossale e per
un senso tragico. Richiede il
più intenso amore da parte
della madre, e tuttavia questo
stesso amore deve aiutare il
figlio a staccarsi dalla madre
e a diventare indipendente” e
quella di Quilici secondo cui
“Tutte le ricerche mettono in
luce la fondamentale rilevanza della figura paterna ai fini
di una equilibrata personalità
e di un corretto comportamento sociale”.
I caratteri di questo conflitto madre-padre sono estrapolabili dalla trilogia eschilea dell’“Orestea”: Oreste f iglio di Agamennone e
Clitemestra - venuto a conoscenza dell’omicidio del padre
per mano materna, brama vendetta, arrivando ad uccidere la
madre, seppur vacillando
davanti alle suppliche della
donna: “Fermati, figlio; abbi
rispetto, creatura, di questo
seno, sul quale tante volte tu,
addormentandoti, con le gengive hai succhiato il latte, la
tua vita!”.
Oreste, figlio e futuro della
società, uccide l’istinto materno che cerca di affermarsi
sulla complessa struttura
sociale incarnata nella figura
paterna.
Oreste vacilla di fronte alla
sua istintività, ma la annienta poi in nome di quella giustizia dettata dal vivere sociale.
Questo mondo tribale macchiato di sangue - è quel
mondo che persiste nell’ottica del clan, e quale esempio
nei nostri giorni può essere
più valido se non la mafia?
Come scrive Emma Donti
nella sua opera teatrale ‘Cani
di bancata’: “La mafia è una
femmina-cagna che mostra i
denti prima di aprire le cosce.
èè a capo di un branco di figli
che, scodinzolanti, si mettono
in fila per baciarla…
La cagna dà ai suoi figli il
permesso di entrare: “nel
nome del Padre, del Figlio e
della Madre e dello Spirito
Santo„.
Il mafioso risorge e riceve
dalla Madre la benedizione.
I fratelli lo abbracciano e
comandano il giuramento:
“Entro col sangue ed uscirò
col sangue. Il patto si stringe.”
Questo è infatti l’organizzazione maf iosa, una
deficienza (dal latino ‘deficio’: manco, sono carente di
qualcosa).
È l’umano istinto che non
si è evoluto in civilizzazione.
È il ritenere debolezza e
viltà il ricorrere alla giustizia ufficiale.
È la Madre che male ha
saputo coniugarsi al Padre.
Il maf ioso è quindi il
maggior portavoce di quel
mondo a noi apparentemente così lontano: dal principio che ‘chi sa farsi rispettare’ deve aff idarsi alla
giustizia delle sue mani per
compiere la vendetta, deriva
“l’omertà”, la regola cioè per
cui è disonorevole dare informazioni alla giustizia per
quei reati che l’opinione
maf iosa crede si debbano
liquidare tra offeso e offensore, secondo una legge di
natura per lo più riscontrabile
nel mondo animale anziché
nel complesso sistema sociale umano.
La domanda da porsi è
allora questa: come supplire
a questa deficienza quale la
mafia è?
Dal patrimonio letterario
greco ci perviene la realtà di
questa condizione umana che
abolisce il clan in nome di
una nuova organizzazione
più civile e costruttiva.
Gli antichi ci insegnano,
e all’alba del III millennio
sta a noi, eredi di questa
verità assoluta, coltivarla e
preservarla, non prestando
attenzione all’uomo-animale che tenta di ancorarsi a
una tribalità ormai volta
all’estinzione.
Riccardo Giustini, II B L.C.
o sport, come altre realtà
della nostra vita, svolge un
ruolo, più o meno importante, all’interno di essa. E di sport,
ma non solo, abbiamo parlato con
due ragazzi della nostra scuola:
due ragazzi che, di questo, hanno
fatto una vera passione. Cristina
Lenardon, 18 anni, nazionale di
pallamano, e Andrea Petrignani,
14 anni, schermitore, campione
interregionale di fioretto.
Quanto tempo dedicate allo sport?
Cristina: Mi alleno quattro, cinque
volte alla settimana: l’allenamento,
di solito, dura un’ora, un’ora e
mezza, poi, tra la doccia e tutto il
resto, non sono a casa prima di un’altra mezz’ora. Il fine settimana ho la
partita a casa o in trasferta.
Andrea: Mi alleno cinque volte
alla settimana, solitamente dalle
17 alle 20.30».
Quando avete iniziato a praticare il vostro sport?
Cristina: In quinta elementare, con
l’avviamento allo sport tenuto dalla
mia società. Poi alle medie ho iniziato a giocare nei campionati giovanili, e dal primo superiore in A 2.
Andrea: Quando avevo cinque
anni, anch’io con l’avviamento allo
sport; poi, dai sei, sette anni ho
cominciato a gareggiare.
La vostra famiglia vi ha sempre
sostenuto nel vostro impegno sportivo?
Andrea: Sì, anche perché la mia è
una famiglia di sportivi. Mia madre
è un ex-schermitrice ed ha partecipato ai mondiali; mio padre è un
ex-arbitro ed ha diretto alle olimpiadi.
Cristina: Si, i miei genitori, in particolare mio padre, mi hanno sempre sostenuta: accompagnandomi
alle partite ed aiutandomi a far
conviver lo studio con lo sport.
Avete dei personaggi, dei punti di
riferimento in ambito sportivo?
Andrea: Nella scherma ho sempre
ammirato Giovanna Trillini e Paolo
Milanoli, e poi altri schermitori a
livello nazionale e mondiale.
Cristina: I miei punti di riferimento
sono le ragazze che ho incontrato
nel mio percorso sportivo: quando
ho iniziato a giocare in A2 avevo
quattordici anni, mentre la maggior
parte delle mie compagne di squadra ne avevano ventisei, ventotto;
il mio rapporto con loro è stato
abbastanza formale, ma ho imparato lo stesso molto da loro. In particolare c’è una ragazza tra quelle, che ora ha una famiglia e dei
figli, e continua a giocare ad altissimi livelli - è veramente un grande stimolo!
Qual’è stato il momento più bello
della vostra carriera sportiva?
Andrea: Senza dubbio il 20 maggio 2005, quando sono riuscito ad
arrivare, inaspettatamente, alle
finali dei campionati italiani di
spada. È stata una vera sorpresa,
visto che la mia arma preferita è il
fioretto. Tutto merito dei miei maestri che mi hanno spinto a provarci.
Cristina: Quest’anno a giugno,
quando la mia squadra ha raggiunto
la finale dei campionati under 17.
È stata la mia seconda finale - davvero una bella emozione!
Negli ultimi anni si sono verificati
di frequente episodi in cui sportivi, anche famosi, facevano uso
di sostanze dopanti per migliorare le loro prestazioni, cosa ne pensate?
Cristina: Nella mia realtà, non ho
mai notato comportamenti del
genere. Sicuramente la pallamano
è meno toccata da queste vicende
rispetto ad altri sport più visibili;
comunque la mia idea è che, chi fa
uso di queste sostanze, svilisce lo
spirito dello sport: cioè quello di
gareggiare per la soddisfazione
personale e non per raggiungere,
a tutti i costi, quel dato risultato.
Tra l’altro, in questo modo, si sminuisce il lavoro di chi ha sudato per
raggiungere certi obbiettivi.
Andrea: Sono pienamente d’accordo.
Ritenete che la scuola dia abba-
stanza attenzione al ruolo dello
sport?
Andrea: No, certo i professori
hanno ragione a dire che prima di
tutto viene lo studio, ma quando ci
sono ragazzi che fanno dello sport
un vera passione, impegnando
buona parte del loro tempo negli
allenamenti, credo che dovrebbero esseri più flessibili nei loro
riguardi.
Cristina: Per me in genere lo sport
a scuola non viene valorizzato
come si dovrebbe: ci sono pochi
progetti, giusto la corsa campestre
di fine anno e poco più. Anche se
non sono d’accordo con Andrea,
quando parla di poca flessibilità
da parte dei professori nelle scuole: personalmente sono sempre riuscita a conciliare lo studio con lo
sport, anche se a volte, è vero, con
qualche difficoltà.
Secondo la vostra esperienza personale, trovate delle differenze tra
la figura del professore e quella
dell’allenatore?
Andrea: Non molte, a parte le
dovute disparità tra il mondo sportivo e quello scolastico, credo che
le finalità del professore e dell’allenatore siano simili: trasmetterci
senso di responsabilità e rispetto.
Cristina: Anch’io penso che le
finalità siano le stesse. Differenze
ne vedo più sul comportamento
del ragazzo nei confronti dell’una
e dell’altra figura: all’allenatore, di
solito, si presta più attenzione, perché si è sempre interessati a quello di cui parla; questo a volte non
succede a scuola, che è vista, spesso, come un’imposizione.
In generale, vi sentite più appagati dal vostro percorso scolastico o sportivo?
Cristina: Dal mio percorso scola-
stico. Sono, comunque, due forme
di appagamento diverse: lo sport ti
offre una soddisfazione più immediata e legata a quella data prestazione, mentre con lo studio i risultati si vedono con il tempo.
Andrea: Dal mio percorso sportivo. Sarà perché non mi piace molto
studiare, ma di certo, mi sento più
appagato da una bella gara, che, per
esempio, da una buona interrogazione.
Quindi, in un’ipotetica scala di
priorità, come collochereste lo
‘sport’, la ‘scuola’, gli ‘amici’?
Cristina: Bella domanda, sono tutte
cose importanti nella mia vita.
Comunque, metto prima la ‘scuola’, poi lo ‘sport’ e gli ‘amici’.
Andrea: ‘Sport’, ‘scuola’ e ‘amici’.
Perché?
Cristina: Perché se penso al mio
futuro, ritengo che la scuola è la
cosa che mi potrà offrire più possibilità di realizzarmi. Lo sport mi
piace, ma non credo di riuscire ad
impostarci la mia vita. Gli amici li
ho messi per ultimi, non perché
non siano importanti, ma perché ho
poco tempo da dedicargli.
Andrea: Prima lo sport, perché
trovo sia molto stimolante; certo
più della scuola, anche se, ha ragione Cristina, quando dice che questa ti apre molte prospettive per il
futuro. Gli amici per ultimi, perché
anch’io ho poco tempo, e tranne il
fine settimana esco poco con loro.
Quali sono i vostri obbiettivi, scolastici e sportivi, per il futuro?
Andrea: Per la scuola, avere buoni
voti ed arrivare alla maturità senza
essere bocciato. Riguardo allo
sport, quando avrò 16 o 17 anni,
riuscire ad entrare nelle forze dell’ordine, che mettono a disposizione dei migliori ragazzi uno stipendio, buoni impianti sportivi per
allenarsi e la possibilità di entrare
nel mondo dello sport professionistico.
Cristina: Dopo la maturità, vorrei
fare architettura; ho in mente anche
un progetto con la nazionale di
pallamano, di cui, però, non parlo
per scaramanzia. Comunque, vorrei che prospettive scolastiche e
sportive continuassero a coesistere, riuscendo a prendere una borsa
di studio con cui pagarmi l’università e gli allenamenti.
Alessandro Mancia, III B L.C.
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DI CHE SPORT STIAMO PARLANDO?
È
I CHE SPORT STIAMO PARLANDO
ad Olimpia, che si
affrontano i corridori più veloci, là
che si giudicano la forza, il
valore, la resistenza alle fatiche” (Pindaro, Olimpica I).
Sport ed etica, due concetti
che ci giungono dal passato
legati indissolubilmente nell’immagine fulgida del campione che vince, ma che lo fa
nel pieno rispetto delle regole e degli avversari, che matura la vittoria in un impegno
costante fatto di regole e
disciplina, che sa plasmare il
suo corpo e il suo spirito al
gesto imposto dal suo cimento, che a volte perde ma sa
trovare anche nella sconfitta
nuovi stimoli ed insegnamenti, sempre teso alla ricerca affannosa del limite e della
perfezione del suo gesto.
Oggi, è ancora così? Certo
anche il mondo dello sport si
è dovuto piegare a quelli che
sono gli interessi commer-
ciali di una società che tende
al raggiungimento del benessere economico.
In molte discipline sportive,
specie le più “visibili” per i
media, gli atleti sono guidati dalle scelte degli sponsor,
legati alle società da stipendi da favola che spesso non
rispettano il reale valore .
Sono veri e propri “personaggi”, conosciuti ed idolatrati, famosi come gli antichi
corridori di Olimpia, ma questa gloria spesso è costruita a
scapito del mantenimento
dell’integrità etica.
Gli sponsor pagano per i
risultati, le società più hanno
successo più riescono ad
accumulare introiti, il “dio
denaro” manovra a piacimento gare, tornei e campionati, molti atleti, troppi purtroppo, f inalizzano tutto al
guadagno che deriverà dalla
loro performance anche se
per ottenerla utilizzeranno
metodi che falsano le reali
capacità fisiche.
Non conta l’uomo, conta il
risultato, il risultato ad ogni
costo.
Non credo che questo non
lasci comunque neppure una
lieve macchia nelle coscienze, ci si vanta del risultato
ottenuto mascherandosi dietro un palliativo “tanto fanno
tutti così; se voglio emergere, devo adeguarmi!”
Come gli antichi atleti, essi
sono presi ad esempio dalla
massa sconosciuta; ma è forse
questo il modello da perseguire?
Per fortuna non tutto il mondo
dello sport è così e, guarda
caso, dove ancora esiste il
rapporto etica-sport è proprio
nelle discipline meno conosciute, quelle in cui gira meno
denaro, quelle che vengono
alla ribalta, se va bene, solo
ogni quattro anni, in occasione di una diretta televisi-
va o di un successo ai Giochi
Olimpici.
Sport nei quali il raggiungimento di un obbiettivo è
ancora frutto di sacrifici, di
rinunce, di duri allenamenti,
spesso rubando spazio alla
scuola, al lavoro, alla famiglia, perché di questi sport
non si vive materialmente
parlando, ma si trae da essi,
proprio perché praticati con
sacrif icio, una grande ricchezza morale.
Il gesto atletico è puro, la
competizione è leale, il legame tra gli atleti è onesto,
basato sì sulla voglia di emergere ma anche sul rispetto
reciproco.
Sport come scuola di vita, ma
una vita fatta di valori, di educazione e di disciplina, enfatizzando sempre l’uomo nella
sua integrità fisico - morale
e non il risultato in assoluto.
Cristina Lenardon, III B L.C.
DAI GRECI AD OGGI
M
orale, etica, lealtà,
scorrettezza… li
ritroviamo in tutto,
in ogni ambito, in
ogni scelta e sono sempre oggetto di riflessione, di disappunto,
a qualunque contesto si voglia
fare riferimento. Limitiamoci
ora ad aprire una semplice parentesi sull’etica sportiva. Per modo
di dire, perché poi la parentesi
è tutt’altro che semplice.
Per evidenziare la straordinaria
evoluzione e il cammino fatto
faremo anche qualche confronto con il passato.
La società che senza ombra di
dubbio si è maggiormente avvicinata al nostro ideale di sport è
la Grecia classica, che ha dato
enorme rilevanza ai Giochi
Olimpici, giochi animati da un
grande spirito religioso: sacra
era l’occasione per i festeggiamenti del Dio, sacro era il luogo
presso il quale si svolgevano le
gare, sacro il rituale al quale si
sottoponeva
l’atleta per
essere ammesso ai giochi.
Ritenuta sacra, infine,
l’origine stessa della
festa.
Si ripetevano ogni
quattro anni, per
una durata di
cinque giorni e
le specialità
che venivano
praticate erano
gare di corsa, lancio del disco, lancio
del giavellotto, lotta,
salto in lungo, pancrazio, pugilato, corsa
con i carri e infine la corsa
con i cavalli. Fattaci
ora un’idea
(un po’
vaga) di
come si
svolg eva n o
questi
Giochi
Olimpici,
concentriamoci
sulla figura
dell’atleta.
Possiamo
constatare oggi
come il campione
sportivo sia designato come modello e messo sopra un
piedistallo, ma nulla è
a confronto della gloria
e del clamore di
c u i v e n iva
investito un
campione a
quei tempi; nei poemi dello stesso Omero vengono ampiamente narrate gare in cui il successo di un partecipante aveva la
stessa rilevanza di un trionfo
riportato da un eroe in battaglia.
Dietro l’audacia e l’incredibile
voglia di prevalere su tutti non
si celava però un fine materiale: ad ogni vittoria riportata non
corrispondeva un compenso in
denaro: la vittoria era prettamente morale, un guadagno che
andava ad arricchire il valore
interiore e faceva di un uomo
oggetto di ammirazione pubblica. Il premio totalmente simbolico era un ramo d’alloro o di
pino, eguagliabile alle medaglie
in metallo date ora, riconoscimento eterno di un qualcosa di
grande; anche se, ad onor del
vero, il personaggio in questione, una volta tornato nella propria città, riceveva oltre alla tanta
anelata fama, vantaggi concreti
come premi in denaro, vitalizi,
luto rispetto per una manifestazione di tale tipo, la comprensione che in quel momento nulla
poteva precedere ed esigere più
attenzione della gara in svolgi-
ni hanno agevolato in ogni modo
l’uomo nella visione di qualsiasi competizione, queste ultime si
sono arricchite e sono divenute
più interessanti: e allora perché
mento.
Ma, alla fine dei giochi, dopo
tanto dilungarsi su valori, obbiettivi mancati, guadagni e potere,
forse il vero significato della
la maggior parte dei tifosi, di
tutto il bello che ha il privilegio
di vedere, spesso vede unicamente l’agonismo, la competitività e li trasferisce su di sé
parola etica va colto nel messaggio che una manifestazione
sportiva è in grado di inviare al
proprio pubblico: se, quindi, il
messaggio in questione porta
tanti tifosi alla violenza, agli
insulti e a commettere danni a
volte irreparabili, allora può solo
voler dire che il motivo dell’istituzione della gara non è stato
poi tanto chiaro e che il suo valore morale non sia stato proprio
recepito.
Ciò su cui occorre riflettere è a
mio parere la negativa trasformazione che l’atteggiamento
degli spettatori ha subito negli
anni: sono nati tanti altri generi
di sport, le continue innovazio-
come arma di contesa, discussione contro altri? Perché, anni
addietro, la gente percepiva l’intoccabilità di questi eventi e ne
faceva motivo di unione, unione sostenuta dalle solide basi di
una passione reciproca e invece
adesso, che materialmente abbiamo molto più di prima, questa
intoccabilità non la sentiamo
proprio ed ogni spunto è buono
per farci la “guerra” tra noi?
È troppo facile, però, puntare il
dito solo sull’essere umano che
di per sé non riesce più a cogliere i valori dello sport: perché
non è un crimine, credo, perdere ogni sentimento di nobiltà nei
confronti di questo mondo nel
momento in cui si viene a conoscenza (come se ne sta venendo
a conoscenza in questi anni) di
tutte le falsità, le bugie passate
per vere, le ipocrisie e i doppiogiochismi che vengono alla luce.
È vero, spesso il tifoso assume
comportamenti vergognosi, esasperando situazioni che dovrebbero rimanere tranquillamente
nella norma, ma ugualmente
vero è sostenere che spesso il
tifoso ha sotto gli occhi questi
illustri esempi proprio nel campo
da gioco, nella televisione, ecc.
Lo sport che vediamo oggi è
spesso inquinato, la gente se ne
accorge, e molti rispondono di
conseguenza: lo stesso fatto di
veder di continuo spuntar fuori
atleti dopati, è alquanto sconcertante. Per chiunque non
sapesse di preciso (oramai è piuttosto improbabile) cosa sia il
doping, rispondo che è l’uso di
sostanze che consentono di
migliorare artif icialmente,
soprattutto scorrettamente, le
prestazioni dell’atleta.
Cosa che non va unicamente
contro l’etica sportiva, ma
anche contro quella della
scienza medica; fenomeno
ormai di grande diffusione,
che purtroppo non ha invaso
solamente l’ambito professionistico, ma anche quello dilettantistico e perfino amatoriale.
Nonostante ora sia divenuto
un reato, quindi una colpa più
facilmente sanzionabile, ciò
non toglie che se ne faccia
comunque largo uso: ennesima
prova che tanti atleti antepongono la voglia di vincere e di
portare in alto il loro nome, al
senso di lealtà, correttezza,
voglia di farcela unicamente con
le proprie forze, senza dover dire
grazie a nessuno a parte se stessi. Non importa il rischio che
corrono, il fatto che lo strumento
di cui si servono sia ingiusto a
livello morale, il danno che comportano al loro fisico: ciò che
conta è raggiungere l’obbiettivo,
non conta il mezzo.
Etica. Sarà pur bella come parola, ma quanto costa.
s
sp
po
or
rt
ti
iv
va
a
importanti cariche pubbliche.
Precisiamo quindi che il buon
esito della gara, come d’altronde ogni cosa a buon esito, aveva
un suo profitto anche concreto,
una comodità indubbiamente
non trascurabile ma totalmente
in secondo piano.
Non è azzardato dire che lo sportivo dell’età moderna gareggi di
certo per passione e per talento,
ma sospinto in gran parte dal
desiderio di arricchirsi e di raggiungere un ambita notorietà,
mentre non è altrettanto esagerato dire che lo sportivo dell’antica Grecia partecipasse ad
ogni competizione allettato,
prima di ogni altra cosa, dalla
voglia di completarsi come persona.
Non è mio intento però, quello
di dipingere gli atleti attuali
come fredde macchine che usufruiscono delle loro doti al solo
fine di guadagnare ed avere prestigio, ma sicuramente i loro
propositi sono alquanto differenti rispetto a quelli degli atleti del passato; risultare vincitori, riferendoci a questi ultimi,
significava incarnare l’emblema dell’ uomo ideale, aver raggiunto la completezza e l’assolutezza in quanto essere umano,
la rappresentazione concreta di
un individuo kalòs kai agathòs.
Oltre a questo, c’è da dire che lo
sport costituì un fattore di primaria importanza nella vita politica greca in tutte le fasi della sua
storia, esercitando sulla società
un grande impatto; i politici ne
erano consapevoli e cercavano di
sfruttare il suo grande potenziale propagandistico. Gli stessi epinici che venivano commissionati a poeti come
Simonide, Bacchilide e Pindaro
dagli atleti, possono essere letti
anche come strumenti di propaganda.
Si può dire che lo stesso insegnamento morale derivi dal
modo di porsi verso le
Olimpiadi, a cui si era educati:
la sola regola, mai violata, di
sospendere ogni guerra, ogni
battaglia, non importa di che
genere o rilievo, bastava ad
impartire a tutti coloro che assistevano, la devozione e l’asso-
L
L ’’ e
et
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L’ETICA SPORTIVA
Elena Cardinali, II B LC
7
2007
La fame nel mondo
n pianeta urla per la
fame e non solo…
Diamoci una mossa!
U
800 milioni di persone
senza cibo
Un mondo condannato alla fame
ed alla sofferenza. Sono 800
milioni le persone, da un emisfero all’altro, che soffrono di
fame. E non basta, perché la
malnutrizione riguarda un
numero ben superiore di persone: oltre 2 miliardi.
Nel corno d’Africa, cuore della
disperazione, l’80% della
popolazione soffre di gravi
malattie legate alla malnutrizione. I bambini sono soggetti alla caduta dei capelli, fino
alla calvizie, alla perdita delle
unghie e, talvolta, anche del
primo strato di pelle. I1 mondo
è pieno di affamati perché le
risorse sono distribuite male.
Per questo non è sufficiente
aumentare la produzione alimentare, ma combattere la lotta
su più piani: da una parte sviluppare l’agricoltura nelle zone
più povere, proteggendo le economie rurali, e dall’altra correggere certi effetti dell’economia globalizzata: caduta dei
prezzi dei prodotti agricoli, diffusione incontrollata delle colture industriali volute dai gruppi economici più forti,
liberazione dei contadini e dei
paesi poveri dal giogo dell’indebitamento.
Occorrono interventi strutturali in grado di modificare le tendenze spontanee dell’economia
mondiale. È necessario che i
bisogni ed i contributi dei Paesi
in via di sviluppo ottengano una
giusta considerazione nel commercio mondiale. “Liberare
dalla fame significa anche liberare dalla guerra”, ha detto il
Pontefice in un suo messaggio.
“Liberare dalla fame milioni di
esseri umani non è impresa facile e presuppone di estirpare le
cause stesse alle radici della
fame, come guerre e conflitti
interni”.
8
2007
La FAO ha calcolato in 10 centesimi di dollaro a persona
all’anno il costo di una integrazione a base di ferro (l’anemia
è la principale malattia da regime alimentare - colpisce un
miliardo e mezzo di persone)
del cibo destinato alle persone
anemiche. Nella sola India un’operazione del genere verrebbe a
costare 44 milioni di dollari l’anno. In Thailandia si è avuto successo con un programma che,
prima di aggredire la malnutrizione, combatte la povertà. Il
programma ha dato vita ad una
serie di iniziative produttive,
che comprendono l’introduzione di tecnologie agricole più
moderne, la creazione di
migliaia di centri di allevamento di bestiame ed il miglioramento delle strutture educative
e dei servizi sociali: la carenza
di proteine è stata ridotta così da
una prevalenza del 51% fino al
21% in termini globali, mentre
le forme più drastiche di malnutrizione sono calate dal 2,1%
allo 0,01%.
RAPPORTO UNICEF
lavorare in condizioni estreme, come i
“bambini soldato”, o
quelli nei bordelli,
vittime dello sfruttamento sessuale. Oltre
600 milioni, sotto i 5
anni, devono sopravvivere con meno di
un dollaro al giorno,
200 milioni sono
affetti da rachitismo per malnutrizione e oltre 110 non vanno
a scuola.
AIDS
Ogni minuto 6 ragazzi sotto i 25
anni vengono infettati dall’HIV
e l’AIDS colpisce soprattutto
l’Africa: su 2,8 milioni di persone morte lo scorso anno il
79% era costituito da africani.
RACHITISMO
Carenze alimentari e mancanza
di cure adeguate pregiudicano la
crescita del bambino nei primi
anni di vita. Nei Paesi in via di
sviluppo il 39% dei piccoli sotto
i 5 anni è affetto da rachitismo,
mentre sono oltre 170 milioni
quelli sotto peso.
VACCINAZIONI
30 milioni di bambini non sono
protetti dalle vaccinazioni obbligatorie (nel primo anno di età);
tra questi 11 milioni muoiono
per malattie che si potrebbero
prevenire.
ACQUA E SERVIZI IGIENICI
È “allarme rosso” per la situazione dell’infanzia ne1 mondo.
Ogni anno 11 milioni di bambini
muoiono per cause facilmente
prevenibili e molti altri si “perdono in mezzo ai vivi”, resi invisibili dalla miseria, non registrati alla nascita o costretti a
Più di un miliardo di persone
continua a non avere accesso
all’acqua potabile ed un terzo
della popolazione mondiale non
dispone di servizi igienici,
soprattutto in Cina, Congo,
Etiopia, India, mentre sono 2
milioni i bambini che muoiono
per malattie diarroiche ed altri
disturbi legati al consumo d’acqua.
MATERNITA’ ASSISTITA
44 milioni di donne non ricevono alcuna assistenza durante
la gravidanza ed il parto.
Questa è ogni anno la causa di
morte di circa 600.000 puerpere e di 5 milioni di neonati
prima, durante il parto o nella
prima settimana di vita. Ancora
oggi nel mondo oltre 130 milioni di donne hanno subìto la
mutilazione degli organi genitali.
COSA FARE
Tutti gli uomini devono e possono battersi per la tutela dei
diritti umani, troppo spesso violati. Non può esserci sviluppo se
questo non è planetario: obiettivi dello sviluppo sono quelli di
assicurare una condizione di
vita dignitosa, un’alimentazione adeguata, un’assistenza sanitaria, istruzione, lavoro e protezione contro le calamità.
Inter venire in aiuto delle
Nazioni povere e combattere la
povertà attraverso ogni mezzo;
sostenere i programmi internazionali; diffondere il messaggio con campagne di informazioni capillari e ripetute nel
tempo, al fine di sensibilizzare
sempre più il cittadino; prom u ov e r e i n c o n t r i c o n l e
Istituzioni, cooperando con esse
per istituire centri di raccolta e
per formalizzare programmi di
intervento educativo; attivarsi
con i media per diffondere l’obbligo della difesa dei diritti
umani.
Maila Trillini, V D L.C.
AFRICA MERIDIONALE:
UN CONTINENTE SCONVOLTO DALL’AIDS
RIFLESSIONI
A
SULLE PROBLEMATICHE CHE OSTACOLANO UN EVENTUALE SVILUPPO DELL’AFRICA
ttualmente il continente
africano è quello meno
ricco e con maggiori difficoltà di sviluppo e nella
ricerca di stabilità economica. In
tutto il mondo l’Africa rappresenta uno dei più grandi drammi che
costantemente tutte le popolazioni appartenenti alle nazioni ricche ed industrializzate tendono a
sottovalutare, o comunque ad
accantonare. Ad aggravarne ulteriormente l’immutabile instabilità
influiscono pesantemente dati,
stupefacenti per la loro negatività,
riguardanti la popolazione, la denutrizione e le gravi malattie che, in
modo persistente, colpiscono
uomini, donne e bambini africani,
che non possono sfuggire a seri
problemi per inadeguata igiene.
Gli abitanti del continente africano sono danneggiati da malattie
endemiche (affezioni a carattere
diffusivo circoscritte ad un territorio
determinato). Da sempre la
povertà, le carestie e la fame affliggono l’Africa; negli ultimi decenni, però, queste problematiche
sono divenute ancora più gravi,
serie ed allarmanti. Gli Stati che si
trovano in una condizione maggiormente precaria e che, a tutt’oggi, più ne risentono sono prevalentemente i Paesi colpiti da
carestie, calamità e fenomeni naturali oppure quelli sconvolti da disastrosi conflitti. L’Etiopia, il Sudan,
il Niger, il Burkina Faso sono solamente alcuni esempi di nazioni
oppresse dalla fame e dalla malnutrizione. Dati statistici sconvolgenti hanno portato alla conclusione che ogni bambino africano
ha una possibilità su dieci di
rischiare una morte prematura,
prima di aver raggiunto il primo
anno d’età e che una donna incinta ha una probabilità su venti di
morire prima ancora di terminare
la gravidanza, di mettere alla luce
suo figlio oppure durante il parto
stesso. Milioni di persone, non
solo in Africa, soffrono per mancanza di cibo, fame quantitativa o
qualitativa. A ciò si aggiunge che
i Governi africani ed i Capi di Stato
del continente hanno in precedenza attuato una riduzione netta
degli investimenti stanziati per la
Sanità, che più richiedeva di particolari attenzioni e di impiego di
denaro. Questi tagli in ambito sanitario sono stati per lo più effettuati in seguito al fatto che i Paesi
del Terzo Mondo dovevano far
fronte al debito estero, che ha
messo in una posizione di seria difficoltà in particolare l’Africa.
Accanto a simili problematiche si
pone anche un ulteriore aggra-
vante: la continua crescita demografica a cui sono sottoposti gli
abitanti di questo continente. Dal
1900 ad oggi, infatti, la popolazione dell’Africa è quasi quintuplicata. In tutta la Terra sono sicuramente presenti altri territori
sconvolti dal boom demografico
del quale sono state oggetto, quali,
ad esempio, l’Asia e l’America
Latina; questi ultimi però non registrano percentuali paragonabili di
crescita demografica, tanto allarmanti quanto i dati statistici africani. Ad accelerare il ritmo della
mortalità è comparsa intorno agli
anni ‘80 del’900 la sindrome da
immunodeficienza acquisita,
meglio nota con la denominazione di AIDS. Questo morbo è stato
addirittura identificato con la
“peste del Duemila”, e l’unica soluzione per poterla sconfiggere è
stata considerata esclusivamente
un’accorta prevenzione. La sensibilizzazione verso tale malattia è
stata insistentemente promossa
dai mass-media nei Paesi occidentali. In Africa però, come si
può ben capire, ben pochi hanno
la possibilità di possedere un televisore o anche solo di avere una
radio, soprattutto se si parla di
persone che vivono in aree rurali
o periferiche piuttosto che in centri urbani. La sindrome da immunodeficienza acquisita, un tempo
etichettata come malattia fatale, si
è trasformata negli ultimi anni,
secondo un editoriale uscito sul
New England Journal of Medicine,
in una malattia infettiva curabile. I
successi della medicina, però,
appartengono ai Paesi industrializzati e sono un privilegio di pochi:
basta rivolgere lo sguardo all’Africa
per ricavarne un quadro totalmente differente. L’inizio della storia dell’AIDS risale probabilmente
agli anni Trenta proprio nel continente africano. Solo dopo circa
cinquant’anni s’iniziò a considerare
l’infezione come un pericolo per la
salute generale. Da allora si sono
contati cinquanta milioni di persone che hanno contratto il virus:
in Africa muoiono per AIDS più di
cinquemila persone ogni giorno, e
le previsioni fanno salire questo
numero a tredicimila. I primi a farne
le spese sono stati gli abitanti
dell’Africa centrale, mentre secondo gli ultimi dati la parte del continente più colpita è ora quella
meridionale. Nell’Africa subsahariana, dove vive circa il 10% della
popolazione mondiale, si trova il
70% dei sieropositivi o dei malati di AIDS: ogni minuto sono contagiate dieci persone, ogni giorno
dodicimila. Il Sudafrica detiene il
triste primato della velocità di diffusione del virus, con millecinquecento persone infettate ogni
giorno. La terapia dell’AIDS, che
richiede una combinazione di farmaci, controlli della carica virale,
nonché monitoraggi attenti e continui, trova un ostacolo ulteriore
nella mancanza di un’organizzazione adeguata del sistema sanitario locale, altro punto da sanare, per il quale, ovviamente,
occorrono, ancora una volta,
disponibilità economiche.
Secondo uno studio dell’UNICEF
solo negli anni Novanta l’AIDS ha
ucciso le mamme di 5,5 milioni di
bambini al di sotto dei quindici
anni, nel 2000 gli orfani africani di
madre o di entrambi i genitori
sono stati circa 10,4 milioni, una
cifra che copre il 90% di tutti quelli resi tali dal virus. È da ricordare,
però, che in alcuni Stati africani si
sono riscontrati miglioramenti o
sono stati compiuti dei significativi progressi. Ad esempio, il
Senegal ha portato la percentuale di infettati sotto il 2% e l’Uganda,
da cui si è verosimilmente originata
l’epidemia di AIDS in Africa ha
potuto, in cinque anni, ridurre del
200% il numero di ragazze colpite dal virus, del 30% il tasso di infezione delle donne incinte e del 5%
il numero di adulti contagiati fra il
1996 ed il 1997. La popolazione
africana è sempre più composta
da bambini ed anziani; la vita
media, che dall’inizio degli anni
Cinquanta all’inizio degli anni
Novanta era passata da 44 a 59
anni, è ora nuovamente crollata a
45 anni. Purtroppo la situazione si
mantiene costantemente complessa e non è possibile sbloccarla: mancano i lavoratori, e ciò
va a stravolgere l’economia di
Paesi già di per sé poveri, in cui
la povertà è un ostacolo alla prevenzione, alla diagnosi ed al trattamento sanitario dell’ AIDS che
prevede costosi farmaci. Nei Paesi
africani non è scontata la possibilità di una terapia preventiva adeguata durante la gravidanza ed il
parto. La questione dell’allattamento poi presenta differenti implicazioni. Nei Paesi industrializzati
l’alimentazione artificiale evita la
possibilità di trasmissione del virus
attraverso l’allattamento materno.
In territori come l’Africa è fondamentale una valutazione locale
mirata delle condizioni esistenti,
del tipo di allattamento consigliabile nei diversi casi (in base anche
alle terapie preventive disponibili), della durata e dell’epoca migliore per lo svezzamento. Secondo
l’Organizzazione Mondiale della
Sanità in Africa il virus ha contagiato approssimativamente trentaquattro milioni di persone. In ben
undici milioni e mezzo sono già
morte. Chi rimane o è già ammalato o ignora la propria condizione. Diversamente dagli altri Paesi,
la diffusione della malattia avviene soprattutto per via eterosessuale e tra madre e neonato, ma
in Africa – secondo quanto affermato da Peter Piot, Direttore esecutivo dello specifico settore
dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità – solo l’1% circa delle persone sieropositive è consapevole
di esserlo. Cinque grandi compagnie farmaceutiche hanno dichiarato, a metà maggio, la loro disponibilità a ridurre drasticamente (si
parla del 70-80%) il costo dei farmaci contro l’AIDS per il continente africano, flagellato e messo
in ginocchio dalla malattia. Gli Stati
Uniti non hanno interferito nella
decisione eventuale di Paesi africani di produrre in proprio e fuori
brevetto i farmaci anti-AIDS. Gli
aiuti economici e la maggiore
disponibilità da parte delle multinazionali farmaceutiche, però, non
possono risolvere a pieno la rilevante problematica. La soluzione,
infatti, deve venire dall’Africa stessa, da una presa di coscienza delle
Autorità politiche e religiose, da
una politica sanitaria che agisca su
tutti i fronti, non miri alla discriminazione del malato e tenda a non
fargli nascondere la sua condizione. Con uno dei computer più
potenti del mondo alcuni ricercatori del Los Alamos National
Laboratory, nel New Mexico,
hanno studiato una base dati completa delle sequenze genetiche
delle varianti dell’HIV-1. A partire
da centosessanta di esse, l’applicazione di modelli matematici per
lo studio dell’evoluzione a livello
molecolare ha permesso di risalire al periodo storico in cui queste
hanno avuto origine: sembra infatti che la diversificazione da un
virus comune avvenga in particolari condizioni, quali la trasmissione dell’infezione a un nuovo
ospite. Secondo i calcoli dei ricercatori la comparsa del virus sarebbe da situare tra il 1910 ed il 1950,
con tutta probabilità intorno al
1930. La nuova data proposta
mette in dubbio la controversa
ipotesi secondo la quale l’inizio
della diffusione dell’AIDS sarebbe
da connettere con l’utilizzo, in
Africa, di lotti contaminati di vaccino orale contro la poliomielite
fra il 1957 ed il 1959.
Angela Anconetani Lioveri, V D L.C.
9
2007
TI
U
na delle nuove esperienze della scuola
superiore è stato
l’incontro con il dottor Luca
Butini per il Progetto di
Educazione alla Salute Prevenzione A.I.D.S.
A noi alunni delle classi
prime è stato precedentemente proposto un questionario che aveva lo scopo di
saggiare le nostre conoscenze sull’ argomento.
Sulla base dei risultati delle
risposte, il dottor Butini
quindi, ha impostato la propria lezione in modo che
potesse colmare le nostre
lacune o comunque far luce
sui nostri dubbi.
Si sono quindi riunite le classi interessate al progetto.
Il dottor Butini ci ha chiarito lo scopo del suo intervento, cioè aiutare i ragazzi della nostra fascia d’ età,
a prendere conoscenza di
questo problema e, quindi,
ad avere comportamenti
adeguati nella vita di tutti i
giorni. Ha proseguito la sua
lezione, aiutandosi con le
immagini e illustrandoci, in
modo scientifico, quello che
è la malattia dell’A.I.D.S.
Nonostante la complessità
di alcuni termini usati in
medicina, il dottore è riuscito a spiegarli con parole
più comuni e a renderceli
più comprensibili. La parte,
forse, più produttiva e utile
è stata il momento in cui ,
rivolgendosi a noi, portava
degli esempi di situazioni
che potevano essersi verificate o comunque che potevano capitarci nella vita quotidiana. Così facendo, ci ha
reso molto interessati e
attenti alle sue parole e alle
sue spiegazioni.
Arrivati dunque alla fine
della lezione programmata,
il dottor Butini si è detto
disponibile a rispondere ad
eventuali domande per chiarire i dubbi rimasti.
10
2007
AMO DA… VIVERE
Inizialmente c’era una certa
esitazione da parte nostra:
era difficile parlare di certi
argomenti!
Poi però il dottore ci ha incoraggiati ad interagire e a
cogliere quell’occasione e
sfruttarla: infatti non ci sono
molte possibilità di avere a
disposizione una persona con
tale preparazione sull’argomento, disposta a capire le
nostre richieste e in grado di
darci risposte utili e corrette.
Abbiamo quindi cominciato
a parlare, riuscendo ad
esprimere dubbi ed incertezze anche su questioni che
potevano, in un qualche
modo, imbarazzarci.
Il dottore ci ha fornito risposte molto chiare e, allo stesso tempo, precise e dirette,
direi molto adatte alla nostra
età, come quando ha spiegato lo slogan dell’ANLAIDS
“Ti Amo da… vivere” che
molti di noi non avevano
compreso!
Ha reso, così, facile e comprensibile un argomento
importante e delicato, di cui
ci ha permesso di avere una
conoscenza molto puntuale.
Secondo la maggioranza degli
studenti partecipanti al
Progetto, quest’intervento è
stato a dir poco utilissimo,
efficace e una valida proposta anche per gli anni a venire.
Quest’esperienza ci ha interessato e coinvolto, in quanto trattava di un tema attualissimo e molto sentito,
specialmente tra i più giovani, di cui è importante
sapere il più possibile.
Dunque un grazie al disponibile e preparatissimo dottor Butini, che è sicuramente riuscito nell’obiettivo di
conoscenza-prevenzione
dell’A.I.D.S e alla scuola che
ci ha offerto questa importante opportunità.
Jenny Galli, II E L.S.P.P.
Che cos’è la poesia
C
os’è davvero la poesia? Lo so, lo so,
potrebbe apparentemente sembrare una domanda un po’ marzulliana, ma in
realtà provate un momento a
soffermarvi sul vero significato di questa parola.
Noi, la classe VA, abbiamo cercato di farlo durante l’incontro con la poetessa Maria Rita
Sampaolesi, la quale ci ha guidato in un percorso, volto ad
approfondire questa tematica,
coadiuvati dalla prof.ssa Valeria
Fava.
A scuola siamo soliti affrontare lo studio della poesia, ma,
in questa occasione, ci siamo
riproposti di farlo in una
maniera del tutto nuova, nell’arco di tre incontri.
Dapprima ci siamo immersi
nell’approfondimento della
ricerca lessicale, da eseguire
per un componimento.
Lasciati alle spalle i soliti cliché e luoghi comuni, ci siamo
soffermati a riflettere in merito alla lingua italiana ed all’uso che ne facciamo nel quotidiano. È emerso che troppo
spesso compaiono nei nostri
discorsi vari intercalari (diciamo, comunque, praticamente,
cioè…). “Cioè, in pratica ripetiamo sempre le stesse parole,
diciamo, e la conseguenza è
quella di, appunto, perdere
una viva proprietà di linguaggio e spogliare l’italiano della
sua ricchezza”. Come è accaduto in questa frase. Il messaggio stesso risulta meno
diretto ed efficace, non sortendo magari l’effetto desiderato. Questo si verifica nel linguaggio comune, ma, in
maniera particolare, in poesia,
dove la scelta delle parole deve
essere molto accurata: l’obiettivo è creare con un linguaggio carico di senso un’atm o sfera, un pensiero,
un’emozione.
Abbiamo pertanto sintetizzato i punti chiave nell’ambito
poetico: “la parola innamorata” perché esistono termini particolarmente vicini alla nostra
sfera emotiva, “l’imperialismo
del significante” in quanto un
ruolo fondamentale viene oggi
assunto, purtroppo, solo dal
piano del significante, per cui
“non parliamo parole, siamo
parlati dalle parole”.
Dobbiamo ricercare, invece,
un linguaggio in cui chi ci
legga possa leggersi, possa, cioè,
individuare nelle parole dell’altro il proprio personale percorso, il proprio sentire.
Nel secondo incontro, invece,
ci siamo occupati dell’analisi
testuale, comparando due poesie: la prima di Ungaretti e l’altra di Neruda.
La poesia all’interno dell’esistenza dei due autori costituiva il tema portante delle opere,
sviluppato però in maniere diametralmente opposte. Infine,
nel terzo incontro abbiamo
concluso questa attività, scindendo tra le parole “pesanti” e
“leggere”. Le prime descrivono in modo preciso il soggetto del componimento; mentre
le altre sono più evanescenti,
sfruttando il potere evocativo.
Neruda si avvale prettamente
di queste ultime; mentre
Ungaretti predilige uno stile
più scarno sul piano delle figure, ma ricco di vocaboli “pesanti”. Si è in tal modo conclusa
questa esperienza al fianco di
una personalità indubbiamente molto preparata; ma
non si può però dire finito il
nostro contatto con il mondo
della poesia. Il più grande insegnamento della signora
Sampaolesi resta quindi la
volontà di farci amare questa
forma d’arte, che altrimenti
resterebbe soltanto una delle
tante discipline scolastiche, che
ci viene imposto di studiare.
Invece la poesia è parola di
vita, ed appare essenziale, ogni
giorno di più, riscoprirne la
magia ed il potere riflessivo,
per riuscire a vivere con maggiore consapevolezza.
In un mondo sempre più frenetico, si può nutrire il bisogno di momenti in cui dedicarsi alla riflessione, di ascoltare
soltanto la propria voce.
È stata appunto questa la motivazione che ha spinto la poetessa ad intraprendere la sua
professione. Infatti, superato
l’impatto iniziale, (siamo rimasti stupiti di fronte ad una
donna così elegante e di classe… dove è finito il mito dei
poeti maledetti?!) è stata in
grado di entrare in contatto
con noi. Era impossibile non
scorgere in lei una luce particolare. Una presenza davvero
illuminante.
Mi è parsa una donna con un
trascorso importante alle spalle, sempre capace, però, di
guardare al mondo con occhi
nuovi. Credo che il suo
profondo amore per la poesia
la inducesse a condividere questo suo interesse con noi.
Ci ha invitati a riflettere senza
imposizioni, semplicemente ci
ha permesso di spaziare, proprio perché la poesia ci concede
la libertà di esprimere la nostra
anima.
Ciò che più mi ha colpito in
lei è stata la presa di coscienza del fatto che non si è sempre pronti ad esternare le proprie emozioni e si nutre spesso
la necessità di darci del tempo
per maturare. In fondo, ognuno scrive per sé, ma ad un certo
punto si può manifestare anche
una volontà, l’esigenza di prendere i propri scritti dal cassetto e condividerli con gli altri,
senza alcuna costrizione, in
assoluta libertà, soltanto perché si è maturi e pronti per
farlo. D’altro canto, coloro che
esercitano questa arte sono
strumenti dei propri sentimenti e non possono fare altro
che seguire questo loro istinto. Per concludere vorrei anche
precisare che dare una definizione di poesia è molto complesso, proprio perché, come
molte altre discipline artistiche, non si esplica su un piano
che può essere considerato soggettivo.
Potremmo, però, guardare alla
poesia con un respiro più
ampio: a mio giudizio si tratta di una forma d’espressione
trasversale, con la quale si può
intendere un qualunque mezzo
in grado di scaturire emozioni profonde. Quando leggendo nutriamo questa sensazione di vuoto colmato nel
profondo, questa certezza di
non essere i soli a sentire il
peso di un messaggio: allora
abbiamo le netta sensazione
di trovarci di fronte allo scritto di un poeta.
Pertanto vorrei porgere a tutti
l’invito delle poetessa ad esprimere le proprie emozioni,
attraverso vari metodi espressivi.
La poesia ne è un esempio!
Laura D’Ascanio, VA
11
2007
Le penne dell’Ippogrifo
Giunto ormai alla terza edizione, anche quest’anno il concorso letterario “Le penne
dell’Ippogrifo” ha visto cimentarsi i nostri studenti con la difficile arte della scrittura. Il tema
intorno a cui i giovani talenti
dovevano esercitare la loro
creatività era “In viaggio: itinerari d’altrove”. E, a meritare
la palma della vittoria per il
2007, è stato il racconto “Il
domani non è che il viaggio di
ieri” di Mark Bakkum, della I C
del Liceo Classico, che verrà
premiato con un buono di 100
euro per l’acquisto di materiale scolastico offerto dalla MATT
- OFFICE 1 SUPERSTORE di
Jesi. Seconda si è classificata
Alessia Balducci, della V B del
Liceo Classico, con il racconto
“Viaggio altrove”, aggiudicandosi un buono dello stesso tipo
per l’importo di 60 euro, e terza
Cora Ceccarelli, della II E del
Liceo Socio-psico-pedagogico
con il racconto “Fragile”, che
ha vinto un buono di 40 euro.
Pubblichiamo qui il racconto
la cui vittoria è stata decretata
dal verdetto di una giuria composta da docenti e studenti dei
due licei.
Il domani non è
che il viaggio di ieri
Era felice quel giorno, felice
come non mai, il cielo limpido
con qualche piccola nuvola
bianca che correva veloce, quel
vento fresco che gli accarezzava i capelli, il sole radioso che
quasi irreale si stagliava nel
cielo, grande e luminoso, le
cime bianche che sfidavano il
cielo che come Icaro non avrebbero mai raggiunto.
Si sedette per terra emozionato, meravigliato e chiese:
“Perché una cosa così bella è
così difficile da raggiungere?”
Ridendo gli si avvicinò, si sedette vicino a lui e gli rispose quasi
sussurrando: “Vedi, il bello di
una cosa non è solo in se stessa , ma nel desiderio che una
persona prova per questa.
Se per esempio quello che tu
vedi ora fosse comune nessuno
si fermerebbe a osservarlo
meravigliato, anche lo smeraldo non è nient’altro che una
pietra, ma è rara e difficile da
12
2007
trovare”.
Non gli piacevano queste risposte serie e noiose, non le sopportava e, lasciandolo parlare
invano, si mise a osservare un
piccolo fiore che faticosamente emergeva tra i sassi. Era proprio bello.
Faticosamente ricordava questo evento, sinceramente non
capiva nemmeno perché ci stesse pensando. Ormai tutto era
diverso, non era più giovane
come allora, non si inerpicava
sulle montagne, non si divertiva più d’estate ad andare a fare
il bagno al mare, non correva
più dietro al suo cane.
Era un uomo quasi anziano,
seduto su una poltrona rossa
imbottita in un salotto di una
casa di città davanti a una stufa
a legna scoppiettante che emanava un dolce calore e, come
un personaggio di un film, ricordava con nostalgia il passato.
Tuttavia non riusciva a non pensare a quello che era diventato,
a quello che avrebbe voluto
essere, si chiedeva se i suoi
sogni che lo avevano accompagnato per quasi tutta una vita
si erano almeno in parte realizzati; se almeno uno di quei
tesori, che ognuno ha dentro
come una stella nel cielo notturno e che guida sempre la
rotta anche nella tempesta, fosse
stato trovato.
Si chiedeva se dopo un così
lungo viaggio la sua strada fosse
stata quella giusta. Aveva molte
volte sbagliato percorso, questa
era la sua unica certezza, ma
alla fine era riuscito a imboccare
la giusta via?
Si era domandato già molte
volte se alla fine ci fosse stato
un senso in quello che aveva
fatto e in quello che era diventato, ma questa era la prima
volta che ci pensava così a
lungo.
Ricordava la sua giovinezza,
quando tutto era ancora da decidere e i suoi sogni sembravano
tutti realizzabili e vicini, pensava
affascinato alla prima volta che
gli avevano regalato un fumetto illustrato in cui erano raffigurati posti esotici e lontani e
aveva deciso che da grande li
avrebbe visitati tutti.
Questi pensieri gli calarono un
velo di tristezza addosso, si sentiva vecchio e stanco, aveva
perso quella voglia di novità
che lo spingeva costantemente
in tutto, sia nelle avversità che
nei momenti favorevoli.
Andò in soffitta più tardi per
cercare tra quegli oggetti ormai
inutili, ma che però lo avevano
accompagnato per tutta una
vita, una piccola scatola verde
con i bordi dorati che sua nonna
gli aveva cucito molto tempo
fa come regalo di compleanno.
Faticosamente la ritrovò tra gli
scatoloni stracolmi di cianfrusaglie, era tutta coperta di polvere. Si sedette su una cassapanca antica che cigolò sotto il
suo peso, e, dopo aver levato la
patina di polvere con un soffio
deciso, la aprì con cautela.
Dentro quella scatola aveva
messo molti ricordi della sua
vita, cose di nessun valore, ma
che per lui soltanto significavano un’esistenza intera. Tra molte
foto e qualche piccolo giocattolo di legno scorse un libricino dall’aria malconcia sul
fondo, lo riconobbe subito. Lo
aprì e vampate di ricordi si alzarono: quel desiderio di avventura, quei disegni di paesaggi
esotici e affascinanti, quel personaggio senza patria e scopo
ma realizzato, un Ulisse senza
la sua Itaca , un supereroe interiore, tutte cose che lui aveva
sognato ardentemente di diventare per una buona parte della
sua vita ma che ora, se ne rendeva conto, desiderava ancora.
“All’orizzonte di quell’oceano
ci sarebbe sempre stata un’altra
isola per riposarsi durante un
tifone, o per riposare e amare.
Quell’ orizzonte sarebbe stato
sempre lì, un invito ad andare.”
Hugo Pratt
Si stava facendo tardi, senza
che se ne fosse accorto il tempo
era scivolato via come sabbia al
vento. La sera con tutte le sue
stelle era arrivata, la luna gli
parve più luminosa che mai, la
luce che emanava illuminava
la finestrella della stanza.
Si affacciò e ridendo pensò tra
sé che dopotutto anche nel
pieno della notte e con lo smog
cittadino si vedevano sempre
le stelle.
La mattina successiva lo svegliò
il camion della nettezza urbana che come ogni settimana
veniva a svuotare i cassonetti,
tuttavia non si arrabbiò come
dopotutto faceva settimanalmente: quella era stata infatti
una delle poche notti in cui era
riuscito a dormire bene, e inoltre oggi era il suo giorno libero
e poteva starsene a casa a correggere tranquillamente tutte
quelle verifiche che il giorno
successivo, per la felicità dei
suoi ragazzi, avrebbe riportato
a scuola.
Però, mentre era impegnato nel
suo lavoro, si ricordò di quando lui andava a scuola.
Non era mai stato molto bravo,
sì, era uno studente che se ne
stava sulle sue con dei voti
discreti tuttavia non vedeva nella
scuola il suo futuro. Si immaginava come un grande generale,
un grande giocatore di pallone
o un avventuriero o un grande
scienziato. Già, pensò, che strani scherzi che fa la vita, chi
avrebbe mai detto che avrei finito per essere un comune insegnante dopo aver per tutta la
vita inseguito sogni di un grande futuro. Questo pensiero tuttavia non gli mise tristezza ma
anzi lo fece sorridere: quante
follie aveva commesso in gioventù per inseguire quei sogni.
Si ricordava quasi sbellicandosi dalle risate dei suoi tentativi
di studiare libri di fisica per
diventare un grande scienziato
senza però capir nulla, di quando, durante una vacanza con i
genitori in Marocco, si era allontanato dal gruppo d’escursione
per andare a caccia di un leone
che dopo aver domato avrebbe
dovuto addomesticare e tenere
con sé in casa, ed aveva avuto
come risultato quello di addormentarsi sotto un dattero.
Quanti ricordi aveva e quante
cose aveva visto nella sua vita
così relativamente breve, quante risate si era fatto e quanto era
stato felice: si ricordava dei suoi
viaggi in cerca di quei posti affascinanti del Pacifico, quando
pregava i pescatori di quelle
piccole isole in un ridicolo
inglese di raccontargli le leggende e le storie di qui luoghi
misteriosi, di quel viaggio in
Oceania in cui aveva ammirato i canguri e i koala e di quando emozionato in televisione
aveva visto il primo uomo andare sulla luna.
Come il giorno precedente,
perse la cognizione del tempo
e l’unica cosa che lo riportò alla
realtà e lo costrinse ad abbandonare i suoi ricordi fu il fatto
che l’ora di pranzo si avvicinava.
Si alzò dalla poltrona e si diresse in cucina, aprendo il frigo
capì che nel pomeriggio avrebbe dovuto andare a far la spesa
se non avesse voluto morire di
fame. Tirò fuori dal suo frigo
color panna quel poco che c’era
e mangiò di gusto, tutto quel
ricordare lo aveva affamato
molto.
Dopo che da bravo uomo di
casa aveva sparecchiato e aveva
lavato i pochi piatti che aveva
usato, si accasciò sulla poltrona.
Avrebbe avuto voglia di giocare a dama come faceva con suo
padre dopo pranzo. Non era
mai riuscito a batterlo: era negato, lo ammetteva, e perdeva in
continuazione, ma si divertiva
comunque moltissimo. Gli piaceva stare con suo padre, si sentiva al sicuro con lui e gli piaceva moltissimo quando con la
pipa riusciva a fare i cerchietti di fumo; se lo ricordava benissimo con quei pantaloni marrone chiaro, e quella camicia
bianca con la cravatta nera.
Nonostante fosse passato molto
tempo dalla sua morte gli occhi
si inumidirono e gli sfuggì una
lacrima che non sarebbe stata
l’unica, ma si ricordava bene
le ultime parole che gli aveva
detto: “Non piangere figliolo
perché sappi che me ne vado
felice, non ho rimorsi e se potessi rinascere rifarei tutto quello
che ho fatto. Non voglio vederti triste, sii felice in vita come lo
sono stato io”.
Subito pensò alle tante belle
cose che aveva fatto con lui e
la tristezza si allontanò; la felicità che aveva provato vivendo
con lui e con sua madre sarebbe stata sempre con lui.
migliori, la camicia bianca, il
cappotto nero e le sue scarpe di
cuoio regalo del nipote, prese
il portafoglio e le chiavi di casa
e, dopo essersi assicurato di
aver spento tutte le luci, uscì.
L’aria della città era come sempre densa di smog, che in quel
periodo invernale aveva addirittura ingrigito la neve che era
caduta pochi giorni prima. Ai
suoi tempi, ricordava, questo
non accadeva.
Decise che sarebbe andato a
far la spesa a piedi non solo per
un’ispirazione ambientalista,
ma anche per il fatto che c’era
un tale traffico che alla fine il
tempo che avrebbe impiegato
sarebbe stato lo stesso.
Incamminandosi fu colto però
dalla voglia improvvisa di passare per il suo quartiere natale:
dopotutto a cena sarebbero
venuti suo figlio e suo nipote, i
quali come sempre lo riempivano di provviste come se stesse per scoppiare una carestia.
Perciò, anche se non si fosse
trattenuto molto al supermercato, avrebbe potuto comunque preparare un lauto pasto.
Una volta imboccato il viale
natio cercò con gli occhi la
madonnina al crocicchio della
strada.
Quella era infatti l’unica cosa
che non era cambiata in tutto
questo tempo, se la ricordava
con un vestito verde e rosso
anche se adesso, probabilmente per restauro, indossava un
candido vestito azzurro chiaro.
La sua casa si trovava esattamente di fronte alla madonnina dall’altra parte della strada, dove ora non c’erano
nient’altro che delle banalissime villette a schiera.
Guardando il suo orologio da taschino, anch’esso
ricordo di famiglia, si diresse al supermercato, dove si
trovavano centinaia di persone intente come lui a fare
la spesa. Velocemente
entrò passando sotto
quelle luci al neon
intermittenti che
av vo l g e va n o
l’edificio, il periodo natalizio
era appena finito e le luci non
erano state ancora rimosse.
Dopo aver selezionato con rigore il minimo indispensabile - la
borsa della spesa non doveva
pesar troppo altrimenti non
avrebbe potuto nemmeno sollevarla - ed aver pagato, si avviò
verso casa. In una mezz’oretta
giunse alla sua porta e l’aprì
con fatica: aveva sempre problemi con l’aprire la serratura da
quando aveva cominciato a
essere astigmatico, ma per fortuna l’appuntamento con l’oculista per i nuovi occhiali si
avvicinava.
Entrato si diresse subito in cucina per sistemare la spesa , apparecchiò la tavola per quattro e
iniziò a cucinare qualcosa .
Poco dopo suonarono alla porta,
suo figlio e sua moglie con il suo
nipotino erano arrivati. Subito si
misero ad aiutarlo e in poco
tempo avevano preparato tutto
il necessario per la cena.
Felice come tutte le volte che lo
venivano a trovare, si sedette a
tavola con loro: suo nipote era
tutto suo padre, scuro di pelle
con quei grossi occhi marroni
e i capelli neri.
I lineamenti del volto invece
assomigliavano di più a quelli
della madre, così come quel
naso insolitamente piccolo per
un africano: di lui, un tipico
europeo nord occidentale, non
aveva preso nulla tranne che la
lingua e gli usi, eppure quello
era suo nipote e ne andava
molto orgoglioso.
Si ricordava di quando aveva
adottato suo figlio contro il parere di tutti.
Lui,
uno scapolo, che voleva adottare un bambino per di più africano. Aveva dovuto lottare
molto perché ciò avvenisse,
aveva vissuto quasi due anni tra
le scartoffie prima di poterlo
vedere.
Ma in quel momento più che
mai non si pentiva dello sforzo
che aveva fatto: aveva combattuto ma nello sforzo di ieri aveva
ottenuto la felicità di oggi, e,
come suo padre, anche lui
avrebbe rifatto tutto quello che
aveva fatto per adottarlo.
Dopo aver cenato, si mise a parlare sul divano con il figlio mentre il nipote con la madre vedeva la TV. Gli parlò dei suoi ultimi
pensieri, dei suoi ricordi. Il figlio,
dopo averlo ascoltato attentamente, gli chiese: “Vuoi giocare a dama, papà?”
In quel momento capì che tutti
gli eventi che aveva vissuto avevano un senso, tutto quello che
aveva dato gli era stato ridato,
così come quel fiore tra i sassi
in montagna anche lui era riuscito a fiorire; oltre al bellissimo
presente che aveva con sé portava tutti i bei ricordi, e il suo
viaggio nella memoria lo avrebbe accompagnato per sempre
insieme a quello che sarebbe
stato.
“La vita è un viaggio, viaggiare
è vivere due volte” Omar
Khayyam
Mark Bakkum, I C L.C.
“Non piangere perché qualcosa è finito, sorridi perché è accaduta” Gabriel Garcia Marquez
Dopo questi pensieri si preparò
per fare la spesa, si tolse le ciabatte, si mise i suoi pantaloni
13
2007
Tutti contro uno
S
econdo gli attuali orientamenti della filosofia della
scienza, una teoria è
“potente” quando riesce a dar
ragione di fenomeni, anche i più
disparati, sulla base di un ristretto numero di elementi.
In astronomia per esempio, l’eliocentrismo risultò “più potente”
del geocentrismo perché spiegava in maniera più semplice ciò che
si poteva osservare nel cielo.
La “teoria mimetica” di René
Girard (n. 1923) nelle scienze
umane aspira a questo titolo
basandosi su poche assunzioni:
l’evento fondante d’ogni civiltà è
l’assassinio (ritualizzato) del
cosiddetto “capro espiatorio”, sul
quale si proietta mimeticamente
la violenza dei gruppi umani che,
riconciliati, possono ritornare alla
vita, liberi e “innocenti”. Dal “tutti
contro tutti”, che segna la crisi
della convivenza, al “tutti contro
uno”che la risolve e salva il gruppo altrimenti destinato all’autodistruzione. In questa vicenda,
secondo Girard, si può individuare l’origine e l’evoluzione storico-culturale di ogni comunità.
La violenza, dato “universale”
degli uomini di ogni epoca e
civiltà, si accende a causa del
“desiderio mimetico” per il quale
nella vita sociale tutti desiderano
ciò che hanno o che desiderano
gli altri. All’origine della società
umana vi è un assassinio; ma
alla vittima sacrificata vengono
poi riconosciuti attributi divini e
sacrali, proprio perchè la sua uccisione è stata il mezzo che ha posto
fine alla violenza. Scaricando su
un capro espiatorio la violenza
che oppone ciascuno a tutti gli
altri, si placano i conflitti interpersonali e viene fondato o confermato il vincolo sociale.
Siamo oggi ben lontani dalla possibilità di mostrare all’opera questo principio in tutte le vicende
14
2007
umane, ma si può in ogni caso
affermare, sempre in linea con
l’epistemologia contemporanea,
che questa teoria rappresenti un
fecondo programma di ricerca
per future indagini.
In trent’anni di attività Girard,
applicando questo modello, ha
ritenuto di trovarne conferme nei
campi più diversi, dall’antropologia alla psicologia sociale, dalle
storia delle religioni alla letteratura, rivelando nessi insospettati
là dove prima si poteva osservare solo una varietà inspiegabile di
fenomeni.
Sullo stesso piano possiamo citare come esempio l’opera di
Darwin il quale, avendo individuato nella teoria dell’evoluzione per selezione naturale un
“potente” principio esplicativo
unitario con cui dar conto della
estrema varietà altrimenti inspiegabile delle forme viventi, si
impegnò a trovarne conferme con
innumerevoli indagini e osservazioni.
Con queste poche parole dovrei
dar a mia volta conto di centinaia
di pagine di Girard, ma poiché
l’impresa è impossibile mi limito a fornire qualche eterogenea
“suggestione”.
Innanzitutto anche Freud nell’opera “Totem e tabù” (1912)
accenna, descrivendo la situazione dell’orda primitiva teorizzata da Darwin, ad un parricidio
originario come inizio dell’organizzazione sociale, delle restrizioni morali e della religione.
Egli, tra l’altro, riteneva con ciò
di aver presentato un sostituto
credibile del racconto biblico del
peccato originale. Lo stesso
Darwin con la sua teoria dell’evoluzione riteneva di aver fornito una spiegazione sostitutiva del
“creazionismo” biblico circa
varietà delle forme viventi.
Poiché citiamo la Bibbia notiamo
che nella Genesi è presentato un
omicidio “fondatore”; non nel
racconto del peccato “originale”
il quale non comporta uccisioni,
ma nella vicenda di Caino e
Abele; Caino infatti dopo l’assassinio, “divenne fondatore di
una città” (Gen. 4, 17), cioè di una
comunità, di un gruppo umano.
Per i classicisti: l’omicidio di
Remo, come è noto, è collegato
alla fondazione di Roma (e anche
di Romolo in alcune tradizioni si
dice che fu ucciso dalla folla).
Un altro omicidio, quello di
Giulio Cesare, è all’origine dell’impero. Per i grecisti: Edipo
nella tragedia di Sofocle non
viene ucciso, ma come capro
espiatorio, viene “caricato” delle
più gravi colpe e scacciato dalla
comunità, che si salva con ciò dal
pericolo che ne minacciava l’esistenza. La morte di Socrate, in
certo senso, assume lo stesso
ruolo fondativo per la filosofia.
E ancora prima, nella polis ateniese è presente il rituale del
pharmakos, cioè di una persona,
uomo o donna, scelta per il suo
aspetto ripugnante che in occasione della festa del Targhelie era
fatto bersaglio di violenze collettive, cacciato fuori dalle mura
delle città e spesso ucciso.
Per i “cinefili”: nel film “2001
Odissea nello spazio” di Kubrik
l’omicidio primordiale perpetrato nell’orda delle scimmie, “innesca” la civiltà umana, nella celeberrima
scena
della
trasformazione dell’arma omicida in una astronave. E visto che
siamo in tema: il recente film
“Apocalypto” di Mel Gibson, che
tanto ha fatto discutere per le
scene di violenza, descrive in
maniera eloquente i sacrif ici
umani fondamento delle civiltà
“amerindie”.
Alla teoria del capro espiatorio,
come abbiamo visto, è legata
quella del “desiderio mimetico”
per il quale nella vita sociale
secondo un “triangolo del desiderio” tutti desiderano ciò che
hanno o che desiderano gli altri.
Secondo Girard il desiderio nell’uomo non si origina in maniera autonoma secondo la via linea-
re: soggetto - oggetto, ma si istituisce per imitazione del desiderio di un altro soggetto, secondo lo schema triangolare:
soggetto - modello - oggetto. Nel
desiderare, noi imitiamo il desiderio di altri che prendiamo a
modello, anche inconsapevolmente. Questo meccanismo lo
possiamo vedere all’opera nella
pubblicità: il “testimonial” si propone come modello: lui possiede l’oggetto e ci invita ad imitarlo
“invidiando” la sua soddisfazione. Siamo indotti a desiderare
anche noi quello che lui ha desiderato e quindi soddisfare il desiderio attraverso l’acquisto dell’oggetto.
Anche questo aspetto delle teoria costituisce un programma di
ricerca in campo psicologico. Lo
stesso Girard lo ha applicato alla
critica letteraria nell’opera
“Menzogna romantica, verità
romanzesca” (1962) in cui la
menzogna romantica presenta il
desiderio come qualcosa di autonomo, mentre le vicende umane
narrate dai grandi scrittori,
Cervantes, Proust, Stendhal,
Shakespeare, Dostoevskij, presentano la realtà umana, “troppo
umana” , di un desiderio per imitazione e “invidia”.
Federico Lecchi
Bibliografia.
René Girard:
“La violenza e il sacro” (1972), trad.
it. Adelphi 1992
“Menzogna romantica e verità romanzesca” (1962), trad. it Bompiani 2002
“Vedo Satana cadere come la folgore”
(1999) trad. it. Adelphi, 2001
“Il caso Nietzsche. La ribellione fallita dell’anticristo” (con Giuseppe
Fornari) Marietti, 2002
Dante e l’ISLAM
I
l Duecento fu un secolo
particolarissimo nella cultura europea, un secolo in
cui mondo arabo e mondo cristiano vennero a contatto in
molte aree mediterranee; questo contatto, che in alcuni casi
(probabilmente il più delle
volte) era uno scontro violento tra due civiltà, che si ritenevano diversissime e che
quindi si guardavano con odio
e sospetto, in altri casi si trasformava invece in una proficua collaborazione, che portava a quel fenomeno, che
purtroppo non si è più verificato in seguito, definito “trasmissione di cultura”, grazie
al quale gli europei poterono
fare quel salto di qualità che
riportò la filosofia in Europa,
con la nascita della Scolastica.
Gli Arabi infatti riportarono in
Occidente la cultura e il pensiero greco, che essi, dopo la
caduta dell’Impero Romano,
avevano provveduto a conservare e, in alcuni casi, a sviluppare (vedi i commenti aris t o t e l i c i d i Av e r r o è ) . S i
crearono quindi molti centri di
studio, soprattutto nella
Spagna di re Alfonso X il Savio
e nella Sicilia di Federico II,
nei quali i testi islamici venivano tradotti e studiati. Dante
si trovò ad operare in questo
periodo ed in questo contesto
ed è perciò probabile che
anche lui, nella composizione
dei suoi lavori (non solo del
suo capolavoro, la Divina
Commedia, ma anche delle
cosiddette “opere minori”)
abbia risentito di quella “moda
musulmana” (come l’ha definita lo studioso Giordano Berti)
che aveva contagiato l’Europa.
La questione della maggiore o
minore influenza musulmana
nelle opere dantesche, sollevata dallo studioso spagnolo
Miguel Asin Palacios con il
saggio La escatologia musul-
mana en la Divina Comedia
(1919), è ancora molto dibattuta. A favore dell’ipotesi di
un influsso arabo in Dante si
possono citare varie rassomiglianze tra la Divina
Commedia e un testo religioso islamico, il Liber Scalae
Machometti, il Libro della Scala
di Maometto. Questo testo,
rinvenuto per la prima volta
in traduzione francese all’inizio del secolo scorso, narra
d’un viaggio del Profeta arabo
attraverso le profondità infernali e i cieli del Paradiso, com-
piuto sotto la guida dell’Angelo
Jibrail: comuni a entrambi i
viaggi sono, ad esempio, la
forma della voragine infernale (a imbuto rovesciato), la
legge del contrappasso che
regola le pene dei peccatori, la
visione delle schiere angeliche che ruotano intorno al
trono celeste e le sensazioni
causate dalla visione di Dio
sul pellegrino (sia Dante che
Maometto si dicono infatti
incapaci di descrivere ciò che
hanno visto o provato).
A sfavore dell’ipotesi soprac-
citata, si può portare invece il
celebre passo del canto XXVIII
dell’Inferno, in cui Dante incontra Maometto, punito con i
“seminator di scandalo e di scisma” nella IX bolgia: va detto
tuttavia che questo episodio si
ricollega ad un’errata tradizione medievale, che vedeva
Maometto come un Cardinale
il quale, viste cadere le sue
aspirazioni al Papato, si era
staccato dalla Chiesa Cattolica,
causando appunto uno scisma
all’interno della Cristianità.
Lorenzo Focanti, III B LC
15
2007
PROGETTO FO
INIZIATIVE DI STUDIO E UN CONVEGNO PER VALORIZZARE L’OPERA DEL GEOLOGO NATO A JESI NEL 1884
ENRICO FOSSA MANCINI
UN PROGETTO RIVOLTO AGLI STUDENTI, CON RICERCHE TRA CLASSICI E STORIA NATURALE
P
er ricordare la figura di Enrico Fossa Mancini, geologo nato
a Jesi alla fine dell’800 e morto in Argentina nel 1950, autore di poderose opere di geologia e paleontologia, il nostro Liceo
ha organizzato un progetto di durata biennale che coinvolge alcune classi articolandosi in ricerche, iniziative di approfondimento e
un convegno dal titolo “Enrico Fossa Mancini e la storia naturale
dell’Appennino”, che si svolgerà il 5 maggio prossimo presso il
Palazzo della Signoria della nostra città.
Si tratta di un’iniziativa di studio che interessa diverse discipline, dalle
scienze alla filosofia alle lingue e letterature classiche e che si propone, attraverso lavori svolti dagli alunni sotto la guida dei docenti,
di approfondire aspetti legati sia alla conoscenza più diretta delle
tematiche scientifiche connesse con l’opera dello studioso, sia - più
estensivamente - al modo che la cultura antica e moderna ebbe di
porsi in relazione con le questioni di storia naturale e con gli argomenti che furono oggetto della sua indagine.
In particolare, un interessante e stimolante percorso di studio, tutto
fondato sulla lettura e sulla traduzione di testi latini e greci, è stato
condotto a partire dal passato anno scolastico nell’attuale classe III
B. Interrogandosi su come gli antichi “leggessero” le testimonianze
naturali del loro passato e su come interpretassero i fossili che in misura abbondantissima venivano reperiti nelle loro terre, si sono potute
delineare le tracce di un quadro complessivo di notevole complessità e suggestione, che si raccorda in maniera affascinante e per certi
versi inattesa con le notizie in nostro possesso sul loro modo di pensarsi nella storia. Ne è scaturito che le immagini mitiche che essi creavano erano in buona parte frutto della loro rielaborazione di dati materiali concretamente in loro possesso e testimoniati dai moltissimi
resoconti che ne lasciarono; che lo stesso pensiero mitico, anche attraverso l’esame di questi dati, risulta raccordarsi in maniera significativa al successivo svilupparsi di un pensiero storico e scientifico; che
già duemilacinquecento anni fa, ben prima di quanto le moderne teorie ritennero, essi erano in grado di comprendere - o quanto meno
intuire - la natura dei fossili e di interpretare correttamente, con
buona approssimazione, fenomeni studiati scientificamente secoli e
secoli dopo, come le trasgressioni e regressioni marine.
Queste e altre questioni sono oggetto delle ricerche degli alunni che,
in gruppo, hanno lavorato e stanno lavorando ancora esaminando
testi e mettendo a confronto testimonianze.
Questi gli ambiti intorno a cui si è proposta la ricerca, coordinata
dai proff. Stefano Sassaroli, Enrico Baldoni e Patricia Zampini:
La Storia naturale nel mondo antico (Plinio il Vecchio, Seneca, e altri).
La mineralogia nella Naturalis Historia di Plinio.
I fossili tra mito, credenza popolare e scienza.
La geologia di Aristotele e Teofrasto.
Fossili e diluvio universale nella letteratura cristiana dei primi secoli
(Tertulliano, Eusebio di Cesarea, Agostino, Paolo Orosio…).
Acqua, terra e i monti dell’Appennino nella letteratura italiana
tra Medioevo e Rinascimento (Ristoro d’Arezzo, Boccaccio, Dante,
Leonardo da Vinci).
Rivoluzione scientifica e origini della geologia dei moderni.
La rivoluzione scientifica e l’età della Terra: la scoperta del tempo
geologico.
La controversia sulla natura dei fossili nell’età della rivoluzione
scientifica.
Al termine dell’attività, che comunque potrà costituire la premessa
per una futura pubblicazione dei risultati anche in forma multimediale,
è prevista una giornata di studio dal titolo “ENRICO FOSSA MANCINI E LA STORIA NATURALE DELL’APPENNINO” con la presentazione del progetto e le conferenze di docenti universitari, inframmezzate dalle relazioni degli studenti. Tale giornata si svolgerà il 5
maggio prossimo, mattina e pomeriggio, e vedrà la partecipazione
dei seguenti relatori con la trattazione dei sottoindicati argomenti (programma di massima, suscettibile di eventuali modifiche):
• Prof. Leonsevero Passeri (Università di Perugia):
Progressi nella conoscenza della geologia dell’Appennino.
• Prof. Federico Venturi (Università di Perugia):
Il genere Hammatoceras, gli studi di Fossa Mancini e le
attuali conoscenze degli Hammatoceratinae.
• Prof. Simone Galeotti (Università di Urbino)
Dalla Geologia descrittiva alla Geologia quantitativa:
l’esempio della successione Umbro-Marchigiana.
• Prof. Mauro Coltorti (Università di Siena):
L’Appennino nel Quaternario e le grotte di Frasassi e del Vernino.
Nota biografica
l conte Enrico Fossa Mancini nacque a Jesi (AN) il 7 dicembre 1884
da Eugenio e Margherita Censi,
discendente da nobile famiglia originaria di Arcevia (AN).
Compiuti gli studi liceali si laureò in
Giurisprudenza presso l’Università di
I
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2007
Perugia (1907). Studiò poi Fisica
all’Università di Roma, (1909-1910),
per trasfersi infine all’Università di
Pisa (1910-1913), dove conseguì la
laurea in Scienze Naturali. Nell’Ateneo
toscano fu allievo del geologo e paleontologo Mario Canavari con cui si laureò con una tesi di paleontologia avente per oggetto la distribuzione del
genere Hammatoceras (Ammonitina)
nelle rocce dell’Appennino UmbroMarchigiano. Il giovane naturalista fu
definitivamente attratto dallo studio
della geologia e della paleontologia,
come testimoniano le sue prime pubblicazioni scientifiche che, infatti,
hanno per oggetto la stratigrafia e i
fossili dell’Appennino Marchigiano,
principalmente dell’area della Gola
della Rossa e della Gola di Frasassi
(AN). Le indagini scientifiche di Fossa
Mancini furono, tuttavia, interrotte dal-
l’intervento dell’Italia nella I Guerra
mondiale, cui partecipò come ufficiale di artiglieria, pilota aeronautico e
ufficiale del servizio meteorologico.
Alla fine del conflitto riprese il lavoro nel campo della geologia e della
paleontologia, pubblicando nuovi studi
che gli valsero la nomina di Assistente
nell’Istituto di Geologia dell’Università
di Pisa e, poco dopo, di Libero Docente.
Nel frattempo s’impegna, sotto la direzione del Lotti, ai rilevamenti sul campo
relativi alla descrizione della Carta
Geologica d’Italia. Nel 1922, su incarico del governo italiano, fu inviato in
Venezuela per dare avvio in quel paese
alle ricerche petrolifere. Nel 1923-1924
fu nominato Professore di Geologia
nell’Università di Cagliari, nonché
Direttore dell’annesso Museo di
Scienze Naturali.
Durante questo periodo l’attività scien-
tifica di Fossa Mancini fu molto intensa e pubblicò lavori aventi per oggetto
le ricerche di idrocarburi nel Modenese;
la stratigraf ia e la tettonica
dell’Appennino, della Sicilia, della
Sardegna e del Varesotto; la paleontologia degli invertebrati; la geologia
militare; la geoarcheologia; la geologia pratica e la didattica della geologia.
Ritornato in America latina nel 1226,
dove a tutt’oggi è considerato un pioniere della ricerca petrolifera, si stabilì
definitivamente in Argentina occupandosi, oltreché di ricerche di idrocarburi, anche di geologia generale, di
insegnamento all’Università di Buenos
Aires e di Direttore del Museo di La
Plata.
Morì a La Plata (Argentina) il 12 marzo
del 1950, in seguito alle gravi lesioni
riportate in un incidente stradale.
S. S.
OSSA MANCINI
CACCIATORI DI FOSSILI E NARRATORI DI STORIE
“C’è una località dell’Arabia situata press’a poco
di fronte alla città di Buto, e a questa località io
andai per informarmi sui serpenti alati. Lì giunto
vidi ossa di serpenti e spine dorsali in quantità
impossibile a descriversi; erano cumuli di spine
dorsali grandi e meno grandi e ancora più piccole, ed erano molte. (…) Si narra che all’inizio
della primavera serpenti alati volino dall’Arabia
in Egitto, e che gli uccelli ibis facendosi loro
incontro al punto di ingresso di questa regione
non lascino entrare i serpenti ma li uccidano”.
(Erodoto, “Storie”, II, 75, 1-3 passim)
“Dirò ora quel che poi è anche degno d’essere
ammirato oltre i fiumi e la vastità della pianura:
mostrano su una pietra un’orma di Eracle, che somiglia sì all’impronta di un uomo, ma è grande due
cubiti, presso il fiume Tire”.
(Erodoto, “Storie”, IV, 82)
Q
uesti due passi, scelti tra i moltissimi
che la letteratura antica ci offre, costituiscono un esempio significativo di
come, nei classici, possiamo trovare testimonianze del modo in cui i Greci e i Romani interpretavano i resti paleontologici arrivati fino a loro.
Serpenti alati, grifoni, orme gigantesche di eroi,
titani di eccezionali dimensioni: trovandosi a
contatto con gigantesche ossa o minuti frammenti di animali pietrificati, di cui non avevano
ancora gli strumenti scientifici per capire l’esatta origine, gli antichi ricorsero spesso, per interpretarli, alla spiegazione mitica. Fu così che
quello che Erodoto ebbe modo di vedere nel suo
viaggio in Egitto - probabilmente un ricco giacimento di resti fossili di animali preistorici - venne
da lui interpretato come un cimitero di mitologiche creature, serpenti alati, appunto, di cui gli
parve di intravedere le sembianze nelle ossa
affioranti dal terreno. O ancora, quella che ci
descrive come orma di Eracle a causa della lunghezza di due cubiti (corrispondenti a circa 90
cm.), era probabilmente un’impronta fossile la cui
forma si era conservata nella roccia.
Di testimonianze come queste sono piene le
opere degli antichi scrittori. Ne troviamo ad
esempio moltissime in Pausania; e molto spesso,
al ritrovamento del reperto fossile, è associata
la presenza di un santuario o di un culto tributato a questo o a quell’eroe o divinità che si riteneva avessero lasciato tracce del loro passaggio in tempi remoti. Esistevano perfino falsificazioni
di “reliquie” che venivano venerate nei templi e
attiravano folle di pellegrini (ad esempio, di un
enorme sandalo che si diceva fosse appartenuto a Perseo, e che veniva custodito nella località
di Chemni, Erodoto ci dà notizia in un altro
passo, il II, 91, della sua opera).
Le storie sugli eroi del passato, tradizionalmente raffigurati come molto più alti e forti degli
uomini contemporanei (in accordo con l’antichissimo mito della progressiva decadenza delle
razze dall’Età dell’oro), ben si prestavano a dare
una spiegazione a ritrovamenti che altrimenti
sarebbe stato assai difficile interpretare.
E tuttavia questo non deve affatto farci pensare
che gli antichi Greci si fossero limitati a prestare fede a fantasiose leggende, o si fossero accontentati, nella loro credulità, di invenzioni improbabilissime e superstiziose. Al contrario, la lettura
dei testi ci offre un panorama di sorprendente
varietà e complessità, in cui - accanto a spiegazioni in chiave mitico-religiosa - troviamo intelligenti e rigorosi tentativi di interpretazione dei
“documenti” materiali, ricostruzioni scientifiche
che, se non valutabili come esatte alla luce delle
conoscenze da noi acquisite migliaia di anni
dopo, ci appaiono certamente acute, rigorose,
e spesso contenenti intuizioni notevoli.
Elaborazioni di interi sistemi che, ben lungi dall’essere il frutto di bizzarre speculazioni, rivelano capacità e conoscenze che forse non abbiamo apprezzato appieno, che non abbiamo
saputo cogliere (vittime noi stessi di un pregiudizio) e che meriterebbero la nostra attenzione.
Il mito stesso, d’altronde, cui un approccio superficiale potrebbe negare vero valore documentario,
nasconde in sé fondamentali informazioni sulla
cultura e sulle conoscenze profonde degli antichi, anche in questo campo. Basterebbe ad
esempio la nozione di líthinos thánatos, “morte
di pietra”, reperibile già in Pindaro (Pitiche, X,
75) e riecheggiante nelle pagine di Aristotele in
contesti assai significativi (ad es. in De partibus
animalium 641a 20) a farci comprendere che i
Greci associavano strettamente il concetto di
pietrificazione a quello di morte (pensiamo anche
allo sguardo mortifero e pietrificante della
Gorgone) e che probabilmente, con buona pace
di certe semplicistiche stroncature della vulgata
scientifica, avevano già per lo meno sospettato,
se non pienamente compreso, che i reperti fossili che trovavano ovunque nelle loro terre appartenessero ad animali e creature realmente esistite
in tempi passati. E non fossero frutto invece,
come poi un - tuttora radicato - mito paleontologico su Aristotele affermò, di una vis insita nella
natura che si sarebbe divertita a creare, da
sostanze inorganiche, oggetti di aspetto, sì, simile a conchiglie e piccoli animali pietrificati, ma
che non erano, e non erano mai stati in realtà,
esseri viventi.
Attento e aperto dev’essere dunque, da parte
nostra, lo sguardo con cui guardare a questi documenti. Una lettura sgombra da pregiudizi e capace di cogliere con obiettività ciò che le fonti dicono, ci offre non solo interessanti conoscenze
sulla cultura di Greci e Romani in questo ambito, ma anche informazioni preziose per una
ricerca più propriamente scientifica, ad esempio
sulla diffusione di certe specie preistoriche nel
Mediterraneo, sulla localizzazione e reperibilità dei resti, sulle modalità con cui affioravano.
I racconti e le questioni di “storia naturale” che
troviamo negli antichi sono moltissimi. Diversi tra
loro, certamente, sia per tipo di approccio che
per profondità d’indagine. Altro sono i resoconti
di Pausania e Senofonte, le metafore poetiche
di Eschilo e Pindaro, altro le rigorose deduzioni
e casistiche di Aristotele e del suo scolaro Teofrasto,
di cui Diogene Laerzio riporta il titolo di un perduto trattato Sulle pietrificazioni. I Meteorologica
e le altre opere del filosofo stagirita che a questa si collegano sono documenti di eccezionale
profondità e complessità.
Va dunque, naturalmente, tributato il giusto riconoscimento al ruolo svolto dalla filosofia, che fin
dai primi sapienti di scuola ionica, ad esempio
Senofane, coltivò un approccio nuovo a certe questioni, sostituendo alle simbologie del mito le
razionali e “laicissime” ricostruzioni del logos.
Il pensiero razionale ha uno stato civile, ed è
greco: nelle città greche d’Asia Minore del VI secolo, allontanandosi e liberandosi dal mito, esso
sorge per la prima volta come forma di riflessione
nuova, interamente positiva, sulla natura. Se
l’uomo greco ha inventato la filosofia ha potuto
farlo, come affermò J. Burnet, “per le sue qualità eccezionali d’intelligenza: lo spirito d’osservazione unito alla potenza del ragionamento”.
E tuttavia, negli ultimi decenni, lo ricorda JeanPierre Vernant, altri studi hanno messo in evidenza
che la frattura tra mythos e logos è forse molto
meno netta di quanto si credesse in passato,
che il mythos conteneva già in sé alcuni presupposti di quelle che furono poi le conquiste e
le elaborazioni del logos; che certi approcci dei
primi filosofi alle questioni poi sviluppate autonomamente rispetto alla prospettiva religiosa
non sono pensabili né spiegabili se non a partire da un’impostazione le cui strutture si trovano già in nuce nella forma del racconto mitico,
se letto e interpretato con profondità.
L’archeologo inglese John Boardman, nell’attribuire la giusta importanza all’analisi del mito come
fonte per le sue ricerche, sottolinea appunto que17
2007
PROGETTO FO
sta peculiarità del mondo greco: per eventi anche
legati al loro passato antichissimo - il fatto che col
Medioevo ellenico, che spezzò i ponti col passato miceneo, essi persero la diretta razionale consapevolezza del legame con la propria storia più
antica - i Greci diedero ai racconti su quelle epoche perdute la forma del discorso mitico. Pur coscienti del profondo della discendenza da antenati che
portavano il nome di Achille, Ettore, Agamennone,
essi non ne possedettero mai delle prove documentali e oggettivamente verificabili (basti ricordare
che queste prove furono fornite con certezza solo
millenni dopo dagli scavi archeologici e dalla decifrazione del Lineare B). A differenza di un sovrano della Mesopotamia che, scavando in un vecchio
palazzo, avrebbe potuto leggere la scrittura cuneiforme dei documenti d’archivio in esso contenuti e avere
la percezione storica della propria discendenza da
antenati vissuti secoli prima, i Greci non ebbero mai
questa possibilità di rapportarsi al loro passato più
remoto per questa via. E vi si accostarono forse per
questo, anche più degli altri, attraverso il mito, che
nella loro civiltà assunse un’importanza e delle
proporzioni non paragonabili con alcun’altra cultura. La stessa storiografia iniziò come racconto mitico per poi liberarsi, progressivamente e orgogliosamente, dei “molti e ridicoli” racconti che venivano
tramandati oralmente, per andare alla ricerca della
verità.
Dobbiamo dunque dare il giusto peso a quanto di
vero c’è nelle cose che essi ci raccontano, con la
scrittura e con l’arte, anche miticamente. E distinguere, certo, tra le letture più ingenue e favolistiche e il fondamentale passo compiuto da storici e
filosofi. Nello stesso autore sono presenti, spessissimo, narrazioni riconducibili a una lettura mitica
ed esposizioni obiettive sostenute da ragionamenti logici più che fondati. Sempre in Erodoto, per esempio, si può leggere una descrizione geofisica
dell’Egitto molto dettagliata ed attenta (II, 10-12),
e delle riflessioni che, a partire dalla constatazione del rinvenimento sui monti di conchiglie, portano l’autore a formulare l’ipotesi che il territorio di
cui tratta fosse stato occupato un tempo dal mare,
arrivando a considerazioni che oggi possiamo
definire corrette e anticipatrici della teoria delle trasgressioni e regressioni marine. Analoghi ragionamenti si ritrovano in Strabone e Plutarco.
Seguendo il dipanarsi di questa trama, potremo ricavare informazioni inattese e affascinanti.
Potremo constatare ad esempio che il “mostro di
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2007
Troia” dipinto su un vaso corinzio del VI sec. a.C.,
che rappresenta la creatura marina in procinto di
divorare la vergine Esione offerta in sacrificio e poi
salvata da Eracle, è con ogni evidenza il teschio
di un animale preistorico: una giraffa del Miocene
secondo la studiosa americana Adrienne Mayor,
che ai primi “cacciatori di fossili” dell’antichità ha
dedicato un libro avvincente e ricco di documentazione. O forse anche un altro mammifero, che probabilmente era stato rinvenuto in una grotta e aveva
colpito l’immaginazione dell’artista. Le rappresentazioni di mostri su pittura vascolare sono infatti di
solito profondamente diverse da questa.
Potremo ancora stupirci nell’apprendere che la leggenda sui Ciclopi, testimoniata dal notissimo episodio dell’Odissea omerica, deriva forse dai cospicui ritrovamenti di teschi di elefanti nani diffusi
anticamente in Sicilia, la cui cavità centrale per la
proboscide veniva interpretata come un’unica grande orbita oculare in mezzo alla fronte.
Potremo comprendere come nacquero le leggende sui Titani, immaginando gli scheletri di giganteschi mammuth ricostruiti dai Greci in posizione
eretta, fino ad assumere sembianze semiumane e
risultare dunque paragonabili a mitiche creature
sepolte dalla terra (non a caso il racconto mitico
sui Titani dice che essi furono sconfitti e rinchiusi
da Zeus nel Tartaro, sede sotterranea dell’oltretomba). Nel Prometeo incatenato di Eschilo sembra
di poter intravedere, descritto in forma poetica, un
processo di tipo tafonomico: “Per prima cosa - è la
minaccia di Ermes a Prometeo - il Padre (Zeus) farà
a pezzi questo baratro dirupato con tuoni e fulmini ardenti, e ricoprirà il tuo corpo: ti stringerà l’amplesso delle rocce. Poi, quando un lungo tratto di
tempo si sarà compiuto, tornerai alla luce” (vv.
1016-1021).
Raccogliendo ed esaminando le fitte e spesso minute testimonianze antiche potremo individuare in
una creatura mitica, il grifone frequentemente effigiato su mosaici e dipinti e descritto da Erodoto in
un passo delle sue Storie, la ricostruzione sorretta
dalla fantasia di un effettivo animale preistorico, il
Protoceratops, i cui resti affioravano, e tuttora affiorano - proprio nelle zone indicate dagli antichi
come sua sede.
Tanti altri e appassionanti sono i racconti che possiamo leggere, e le notizie che possiamo ricavare.
Il poeta Ovidio, nelle Metamorfosi, in un lungo
discorso pronunciato da Pitagora, indica nel mutamento (omnia mutantur, nihil interit) la legge dell’universo, cui l’uomo deve docilmente adeguarsi,
e scrive: “Io ho visto farsi mare ciò che un tempo
era terraferma, ho visto terre nascere dal mare, ho
visto che lontano dai flutti vengono alla luce conchiglie marine, e che si trovano antiche ancore in
cima ai monti” (XV, 262-265).
Nell’antica Roma è testimoniato più volte, tra i prodigi che annunciavano guerre e sventure, l’affiorare
di pesci dalla terra rivoltata dagli aratri (ce lo racconta Livio), o il verificarsi di fenomeni celesti cui
possiamo dare oggi una lettura in chiave astronomica. Svetonio ci informa invece che già nell’antichità esistevano dei collezionisti di fossili: Augusto,
nella sua villa di Capri, conservava “enormi reliquie di immani belve, che son dette ‘ossa dei giganti’ e ‘armi degli eroi’” (Aug. 72).
Plinio il Vecchio dedicava un’intera sezione della
sua Naturalis historia alla mineralogia, e - benché
sia di norma poco elogiato per la scarsa scientificità del suo metodo - si rivela spesso, a leggerlo
direttamente, molto
meno ingenuo di come
si racconta. Delle glossopetre, denti fossili di
squalo miocenico così
chiamate perché di
forma simile a una lingua, non diceva, come
gli viene ingiustamente
attribuito, che piovessero dal cielo e che
avessero poteri magici,
ma, riportando questa
diceria, affermava di
non crederci affatto.
Ed è sempre Plinio a
parlarci dell’ammonite, o Corno d’Ammone - perché questo era il nome antico del fossile, che rassomigliava a un corno d’ariete, animale sacro al
dio Ammone, come spiega anche Erodoto -, e a
descriverci anche il tipo di fossilizzazione dell’ammocriso, in cui la conchiglia è ricoperta da pirite a grana finissima, tanto che la fa sembrare
“corazzata d’oro”.
Esso infatti, per Plinio, “è come d’oro misto a sabbia”.
E sebbene gli esempi possano andare ben oltre questi, come le questioni oggetto di ricerca, forse quanto descritto basta a far comprendere come uno studio di queste cose supportato dalla lettura diretta
dei classici possa aggiungere interessanti e nuovi
elementi alle conoscenze che crediamo di avere.
Uno studio interdisciplinare, preferibilmente, che concili le competenze dei filologi, ferrati in campo linguistico ma poco esperti di storia naturale, e quelle dei naturalisti, che spesso hanno accesso a
queste informazioni attraverso resoconti di seconda mano, non sempre documentati e attendibili.
Patricia Zampini
Bibliografia minima:
Jean-Pierre Vernant, “Mito e pensiero presso i
Greci” (Parigi 1965), Einaudi 1970, 1978 e 2001
Adrienne Mayor, “The first fossil hunters Paleontology in Greek and Roman times”, Princeton
Paperbacks 2000
John Boardman, “Archeologia della nostalgia Come i Greci reinventarono il loro passato ”, Bruno
Mondadori 2004
Immagini:
• Pleuroceras proveniente dal Giurassico inferiore di
Holzmaden (Baviera).
• Ricostruzione dello scheletro di un Protoceratops e
sua interpretazione fantastica come grifone (da Mayor).
• Scheletro di mammuth confrontato con lo scheletro
umano (da Mayor).
• Scheletro di mammuth ricostruito in posizione eretta
e somigliante a uno scheletro semiumano di grandi
dimensioni (da Mayor).
• Vaso corinzio ritraente il “mostro di Esione”, nella
forma di teschio di animale preistorico (da Mayor).
OSSA MANCINI
ARISTOTELE, LE SCIENZE DELLA TERRA E I FOSSILI
Introduzione
Esiste una consolidata tradizione storiografica, oggi tramandata da storici della scienza come Adams (1938), Rudwick (1985) e
Paolo Rossi (1979), secondo cui il contributo
della scienza antica al progresso delle conoscenze geopaleontologiche sarebbe irrilevante, e nel caso di Aristotele addirittura negativo. Lo Stagirita, secondo tale interpretazione,
sarebbe stato all’origine di numerosi pregiudizi, rimossi solo successivamente alla rivoluzione scientifica, che hanno ostacolato per
secoli il progresso delle scienze della Terra.
L’autorevole P. Rossi (1997) ha scritto che
«Come scienze delle vicissitudini attraversate dalla Terra e dall’universo, geologia e cosmologia sono scienze recenti […] Fatta eccezione per Leonardo da Vinci, che tratta dell’origine
dei fossili marini, […] dominano fino al
Seicento le interpretazioni aristoteliche e platoniche […]; i fossilia sono formati per l’azione
di un succus lapidescens o di un’aurea bituminosa che circola entro la superficie terrestre.
Per azione del calore solare […] i metalli e gli
altri fossili sono formati da un’esalazione che
sale dall’interno della Terra». Su questa linea
si pongono anche i manuali universitari di
paleontologia. Il noto testo di Raffi & Serpagli
(2003) individua due teorie fondamentali sull’origine dei fossili: la teoria della genesi inorganica, prevalente fino alla rivoluzione scientifica e che avrebbe in Aristotele e nello scolarca
del Liceo Teofrasto alcuni tra i principali sostenitori; la teoria della genesi organica, che diventa prevalente dopo la rivoluzione scientifica,
ma anticipata da alcuni precursori “illuminati” del tutto scevri da pregiudizi, ad esempio
da Leonardo da Vinci. Da qui alla formazione
di una vera e propria “mitologia” negativa su
Aristotele il passo è breve, e infatti è stato
scritto che il filosofo riguardo ai fossili si
sarebbe pronunciato «in un modo che ora ci
sembra inspiegabile. Osservando pesci fossili provenienti da Eraclea attribuì la loro origine “a uova disperse, durante il diluvio di
Deucalione e Pirra” e in seguito sviluppatesi
per intervento di una vis formativa» (C. LorigaBroglio). Si rende necessario, a questo punto,
ristabilire la verità dei fatti e spezzare una lancia per Aristotele. Dimostreremo in questa
breve sintesi come Aristotele abbia contribuito in modo significativo allo sviluppo della
geologia dei moderni; mostreremo altresì come
egli non abbia avuto quelle concezioni così
poco scientifiche sui “fossili” che solitamente gli vengono attribuite.
La geologia di Aristotele e del Peripato
I quattro libri Meteorologica costituiscono
la fonte più importante della geologia di
Aristotele, opera esoterica che è la continuazione del De generatione et corruptione; qui,
infatti, si possono trovare quei concetti e principi generali poi applicati in concreto allo studio dei mutamenti che si verificano sulla superficie e nell’atmosfera terrestre, che appunto ne
costituiscono l’oggetto specifico. Aristotele
sarebbe stato autore dell’opera essoterica nota
nel medioevo col titolo De mundo e dai latini,
così come dagli arabi, attribuita allo Stagirita.
Altre interessanti nozioni che riguardano il
nostro tema si trovano in varie altre opere di
Aristotele, come i Problemata, il De sensu, il
De partibus animalium, e i Parva naturalia.
Diogene Laerzio include nel catalogo delle
operedel filosofo un libro, ora perduto, dal
titolo Perí tes líthou, che testimonia ancora l’interesse di Aristotele per la geologia. Questi
studi vennero poi sviluppati all’interno del
Liceo, in particolare da Teofrasto, autore secondo Diogene Laerzio di un’opera in due libri dal
titolo Perí ton <apo>lithouménon, di un’opera in due libri Perí metállon, tutte perdute, e
infine di un libro Perí líthon che ci è pervenuto,
e che fu noto nel Medioevo col titolo De lapidibus. È possibile che in queste opere fosse trattata esplicitamente, oltre alla mineralogia,
anche la paleontologia. Ricordiamo che tra il
345 e il 344 a.c. Aristotele diresse nell’isola di
Lesbo la scuola di Mitilene, dove conobbe
Teofrasto, e che in questo luogo sono ancor oggi
visibili i resti fossili di una foresta pietrificata. Inoltre, sempre nell’isola di Lesbo, si rinvengono oggi zanne fossili di proboscidati, di
cui Teofrasto tratta in effetti nel De lapidibus
(VI, 37).
La meteorologia studia nell’ottica di
Aristotele i fenomeni connessi al ciclo della
generazione e corruzione dei quattro elementi terrestri. Nell’ottica della scienza odierna
alcuni fenomeni indagati da Aristotele cadrebbero nell’ambito della geologia: i terremoti e
i maremoti, le eruzioni vulcaniche, le trasgressioni e regressioni marine, la formazione dei “fossili” e dei minerali. Altri fenomeni
sono ancora oggi trattati propriamente dalla
meteorologia, fra questi il ciclo delle acque, correttamente descritto dallo Stagirita nelle linee
essenziali. Contrariamente a quanto comunemente si pensa, Aristotele nel trattare questi
argomenti utilizzava la logica e l’esperienza,
criticando coloro che si affidavano ad altre
presunte fonti del sapere, come i miti ancora
cari a Platone.
Riguardo ai mutevoli rapporti fra mare e terraferma, Aristotele li inseriva in un ciclo di
mutamenti incessanti propri della natura. Infatti,
a suo a parere, le parti interne della Terra,
ovvero dell’intero globo terracqueo, sono soggette nel tempo ad un continuo processo di
generazione e corruzione, non meno degli esseri viventi; sebbene, a differenza di questi che
singolarmente nascono, si sviluppano e muoiono, solo porzioni della Terra, di volta in volta,
si sviluppano e decadono, essendo la Terra
nella sua totalità eterna. Tuttavia, questi mutamenti sulla superficie della Terra, posti dallo
Stagirita in relazione alla traslazione del Sole
e alla sua attività, si verificano gradualmente
e su scale temporali enormi rispetto alla brevità della vita umana, tanto che se ne perde infine il ricordo In tal modo Aristotele descrive
regioni paludose che inaridiscono, così come
regioni secche che diventano infine umide; la
genesi delle valli fluviali e il loro colmamento detritico con la formazione di depositi alluvionali e lo sviluppo sopra essi di vaste regioni abitabili (come la valle del Nilo); la
trasgressione e la regressione dei mari sui continenti secondo un ciclo senza principio e
senza fine (Meteor.351b-352b). La causa efficiente dei fenomeni meteorologici risiede principalmente nel Sole, il cui moto di traslazione produce il calore necessario a tutti i processi
di generazione e corruzione che avvengono
sulla Terra. Tuttavia, Aristotele ammette come
causa anche il calore interno alla Terra, posto
direttamente in connessione con l’attività vulcanica. Da questo calore è generata una duplice esalazione (anathymíasis): l’esalazione
umida e fredda, simile al vapore, che si genera dall’umido che è all’interno della Terra e sulla
sua superficie; l’esalazione secca e calda, simile al fumo e al soffio, che si genera dalla Terra
stessa che per natura è secca.
La genesi dei fossili e dei minerali secondo
Aristotele.
Dopo aver mostrato gli effetti della separazione degli elementi nell’atmosfera, cioè i
fenomeni prodotti dalla doppia esalazione,
umida e secca, nella sfere dell’acqua, dell’aria e del fuoco e anche sulla superficie della
terra, Aristotele evidenzia i fenomeni prodotti da tale separazione all’interno stesso della
terra, quando la doppia esalazione è intrappolata nelle sue parti. Il processo di separazione
degli elementi produce all’interno della Terra
due tipologie di corpi omeomeri, poiché le
esalazioni sono, come sappiamo, di due specie: i metalli (metalleutá) e i “fossili” (oryktá)
(Meteor. 378a). L’esalazione umida e fredda
produce tutti i metalli nativi, fusibili e malleabili
(oro, argento, ferro, rame, stagno, piombo,
mercurio). L’esalazione secca e fumosa produce, invece, tutti i “fossili” quali le rocce e i
minerali non fusibili. Notiamo le ottime qualità di Aristotele come osservatore e classificatore dei fenomeni naturali. Pur non disponendo degli strumenti tecnici e teorici degli
scienziati odierni, il suo metodo era di indubbia efficacia, poiché la distinzione tra i “fossili” e i metalli, corrisponde, sebbene non perfettamente, alla attuale distinzione tra i minerali
non metallici e i minerali metallici. Il significato originario di “fossile”, termine che nell’uso odierno sta a significare specificatamente
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2007
PROGETTO FOSSA MANCINI
ciò che si è conservato, normalmente allo stato
minerale, dei resti di un antico organismo
vivente, è dunque piuttosto vasto e sta a significare nei Meteorologica di Aristotele tutte
quelle rocce e minerali generalmente non metallici che sono raccolti “scavando” nella Terra.
Il sostantivo usato da Aristotele, tá oryktá,
’
’
richiama infatti il verbo orysso
(att. orytto)
che significa “scavare” (es. una fossa) o “estrarre scavando” (ovvero, cavare dal terreno). In
effetti anche il “fossile” nel significato attuale si rinviene normalmente scavando nel terreno, ma il significato originario dato da
Aristotele è molto più ampio. Da qui riteniamo sia nata la “leggenda” dei pesci fossili di
Eraclea. Lo Stagirita narra, infatti, (De respiratione, 475b11-12) di certi pesci “fossili” che
al sopraggiungere della siccità si rifugiano nel
limo ancora umido e che vengono poi ricercati,
evidentemente a scopo alimentare, scavando
nella terra (eurískontai oryttómenoi); un modo
invero piuttosto inusuale di pescare, ma che è
ancora oggi praticato da certe tribù africane.
In questo caso non si trattava, tuttavia, di pesci
pietrificati, cioè di fossili nel significato attuale, bensì di pesci viventi e commestibili. Che
il pensiero di Aristotele fosse ancora influente nei secoli successivi a questo riguardo è
provato dall’opera del padre della mineralogia
e della metallurgia moderna, Georgius Agricola
(Georg Bauer, 1494-1555), che nel De natura
fossilium (1546) e nel De re metallica (1555)
chiamava ancora “fossilia” (dal latino fodio,
scavo) tutti gli oggetti trovati nel sottosuolo scavando, come i minerali e le forme animali e
vegetali pietrificate, ciò che oggi si denomina
propriamente come fossili. Chiarita la questione che Aristotele attribuiva al termine fossile un significato che non coincide esattamente con quello vigente, si pone la questione
se dal punto di vista di Aristotele fosse possibile o meno che i resti di un organismo vivente potessero conservarsi, o pietrificandosi o in
altro modo, dopo la morte. In altri parole, per
Aristotele possono esistere fossili, nel senso
odierno del termine? Per quanto poco noto, e
contrariamente alle leggende dei moderni e
dei contemporanei, sembra che Aristotele abbia
dato alla questione una risposta positiva.
Anzitutto i principi della sua “tafonomia” (De
generatione et corruptione) sembrano ammettere che le parti omeomere degli animali e
delle piante possano sotto peculiari circostanze “congelarsi” e quindi sfuggire alla putrefazione. Ad esempio, Aristotele afferma a proposito dell’ambra che può inglobare degli
insetti, quindi dei fossili nel senso attuale. Nei
Problemata il filosofo tratta la questione della
causa dell’arrotondamento delle pietre e delle
conchiglie che si vedono in riva al mare, fornendo peraltro la giusta soluzione in senso
meccanico. Non è diff icile trovare nel
Mediterraneo quelle che potremmo chiamare
spiagge fossili, ora anche molto lontane dal
mare o in collina o addirittura in montagna, cioè
ammassi di ciottoli e conchiglie litificate di antichi organismi marini, arrotondati dal moto
20
2007
delle onde e cementati dalla sabbia. Ora è evidente che Aristotele si riferisse a ciò che osservava camminando sulla spiaggia. Ma se avesse incontrato la stessa scena camminando in
montagna quali conclusioni avrebbe tratto,
applicando semplicemente il suo stesso, corretto, ragionamento? Certo è che altri Greci,
prima (come Senofane di Colofone ed Erodoto)
e dopo (come Eratostene e Xanto di Lidia) lo
Stagirita, avevano osservato la stessa scena e
tratto, giustamente, la conclusione che evidentemente in quei luoghi un tempo esisteva
una spiaggia. Anche Aristotele avrebbe sicuramente tratto questa conclusione, e forse l’ha
effettivamente tratta per quanto non ne abbiamo una testimonianza diretta, poiché ha rettamente teorizzato che il mare e la terraferma
vanno incontro a cicli di regressione e trasgressione. Il geografo Strabone (65 a.c.- 25
d.c) scrive, ad esempio, che, tra gli altri, anche
Stratone di Lampsaco, discepolo di Teofrasto
e secondo scolarca del Liceo, credeva che la
presenza di conchiglie fossili sulla terraferma
provasse la trasgressione, seguita dalla regressione, del mare sulla terraferma. Questa è una
chiara testimonianza della continuazione della
geologia aristotelica nel Liceo; tradizione che
passa poi ai filosofi arabi.
I seguaci della geologia di Aristotele nel
medioevo e oltre.
È noto il debito della filosofia di Avicenna
(980-1037 d.c.) verso il pensiero di Aristotele.
Nel suo Kitab al-Shifa (Libro della guarigione), che include una Metafisica, una Fisica e
un trattato di medicina, il filosofo arabo affronta tematiche tipiche della meteorologia aristotelica, come le trasgressioni marine e le cause
dei terremoti, ma tratta anche dell’origine dei
fossili seguendo uno schema che, come abbiamo visto, i pensatori greci avevano già elaborato nelle linee essenziali e che, al più, Avicenna
aggiorna e perfeziona. Anche Alberto Magno,
considerato tra i più acuti dei seguaci latini di
Aristotele, raccolse l’eredità della geologia del
Liceo. Le principali fonti degli studi di Alberto
in questo campo furono il De generatione et
corruptione, i Meteorologica e il De mundo di
Aristotele; il De lapidibus di Teofrasto, un
estratto delle sezioni geologiche e mineralogiche del Kitab al-Shifa di Avicenna, noto col
titolo De mineralibus. Nella sua opera geologica e mineralogica più importante, De
Mineralibus et rebus metallicis, Alberto si
espresse riguardo ai fossili in modo ineccepibile, tale da sfatare tante leggende costruite a
posteriori dai moderni e dagli storici della
scienza sopracitati: “Non c’è alcuno che non
sia stupito di trovare delle pietre che, esternamente e internamente, recano l’impronta di
animali. Avicenna ci insegna che la causa di
questo fenomeno è che gli animali possono
essere completamente trasformati in pietre…
Come la terra e l’acqua sono la materia ordinaria delle pietre, egli dice, così gli animali possono diventare materia di certe pietre. Se i
corpi di questi animali si trovano in posti in
cui esala un potere mineralizzante (vis lapidificativa), sono ridotti ai loro elementi e sottoposti all’influenza di quel particolare potere… poi il potere mineralizzante trasforma
l’elemento terrestre in pietra. Le diverse parti
esterne e interne dell’animale conservano la
forma che avevano in precedenza».
L’errore più grave della storiografia apologetica dei moderni è che pone una rivoluzione
concettuale nella geologia degli antichi e dei
moderni di cui non v’è traccia alcuna.
Consideriamo il caso di Leonardo da Vinci
che, nella prospettiva storiografica pro-moderni, incarna il mito dell’innovazione rivoluzionaria contro le obsolete spiegazioni degli aristotelici.
Ora si dà il caso che questa lettura popolare degli eventi sia poco attendibile. Leonardo,
infatti, fu indotto allo studio dei fossili e della
geologia dal desiderio di comprovare l’idea
dell’uomo microcosmo. A questo scopo egli
studiò le opere di interesse geologico e cosmologico di Aristotele, Teofrasto, Avicenna, e
Alberto Magno. Le sue conclusioni sui fossili risultano corrette, e anzi egli confutò l’idea
degli intellettuali cristiani (Tertulliano, Eusebio
di Cesarea, Paolo Orosio) che le conchiglie fossili che si trovavano in cima ai monti testimoniassero l’occorrenza biblica del diluvio universale. Secondo Leonardo (Codice di
Leicester), per contro, queste conchiglie sono
prova del sollevamento dei fondali marini,
come già sostenuto dagli antichi; egli, inoltre,
spiegava il processo di fossilizzazione nei termini che dovevano essere altrettanto familiari ai seguaci moderni di Aristotele, Avicenna
e Alberto Magno: “Quando la natura viene
alla generazione delle pietre, essa genera una
qualità d’omore vischioso, il quale, col suo
seccarsi, congela in sé ciò che dentro di lui si
rinchiude”.
Può esser vero che nel Rinascimento abbia
momentaneamente prevalso la teoria della
genesi inorganica dei fossili, sostenuta tra gli
altri da Cardano, Aldovrandi, Michele Mercati,
Kircher e Campanella, ma questa derivava i suoi
principi dal neoplatonismo magico-ermetico,
piuttosto che dalla tradizione aristotelica. Prova
ne è che in quel tempo gli avvocati della teoria della genesi organica si ritenevano seguaci dell’aristotelismo, come Fracastoro e
Cesalpino.
Stefano Sassaroli
Bibliografia
• F.D. Adams, The Birth and Development of the
Geological Sciences, Dover Inc., New York 1938
S. Raffi & E. Serpagli, Introduzione alla paleontologia, UTET, Torino 2003
• P. Rossi, I segni del tempo. Storia della terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico, Feltrinelli, Milano
1979.
• P. Rossi, La nascita della scienza moderna in
Europa, Laterza, Roma-Bari 1997
• M.J.S. Rudwick, The Meaning of Fossils. Episodes
in the History of Palaeontology, University of Chicago
Press, Chicago 1985, 2ndEd.
Sulle ali di un ippogrifo
gni anno, grazie a molti
racconti ed esperienze
scritte dagli studenti, il
giornalino “L’Ippogrifo” diventa sempre più speciale ed interessante.
Ma che cos’è un ippogrifo?
Qual’è la sua storia?
L’ippogrifo è una creatura della
mitologia greco-romana.
Analizzando il suo nome, si può
facilmente dedurre che è frutto di una fusione tra due parole di origine greca: hìppos, che
significa “cavallo”, e grypòs,
che significa “adunco”, riferito al becco di questa fantastica
creatura. L’ippogrifo è dunque
una creatura alata, descritta
come un incrocio tra un cavallo e un grifone. Ha quindi la
testa, le ali e le zampe anteriori come quelle di un’aquila e le
zampe posteriori e il resto del
corpo di un cavallo.
In alcune iconografie e descrizioni lo si può trovare anche
con il corpo di un leone.
L’idea del connubio tra grifone
e cavallo si trova inizialmente
nelle Bucoliche di Virgilio, in un
passo in cui si considerava questo incrocio come qualcosa di
impossibile e di assurdo, poiché
si credeva in un leggendario
odio tra i due animali:
“Iugentur iam grypes equis”
(“da oggi i grifoni si uniranno
ai cavalli”).
L’antagonismo tra le due razze,
pari a quello tra cani e gatti, fa
dell’ippogrifo un animale estremamente raro e difficile sia da
possedere che da domare.
In età medioevale, l’ippogrifo
inizia ad assumere molte caratteristiche. Nelle leggende è di
solito l’animale domestico di
un cavaliere o di un mago.
Bestia di incredibile forza e
sovrumana velocità, funge spesso da destriero eccezionale: lo
si descrive mentre vola in altro
nel cielo alla velocità di un fulmine.
L’ippogrifo assume un importante ruolo nel capolavoro letterario di Ludovico Ariosto,
L’”Orlando Furioso”.
Molti, infatti, attribuiscono la
vera invenzione di questa creatura fantastica proprio
all’Ariosto, che ne fa un animale straordinario ed inconfon-
O
dibile nella sua celeberrima
opera.
Nel poema si narrano le vicende di Orlando, che, essendo
innamorato di Angelica, ma non
corrisposto, diventa folle. Sarà
poi Astolfo, che partirà alla
ricerca del senno perduto dell’eroe, compiendo un viaggio
che lo porterà dal Paradiso alla
Luna. È chiaro che per raggiungere queste località è necessario un veicolo eccezionale,
una cavalcatura fantastica: l’ippogrifo.
Anche nella narrativa fantastica dei nostri giorni viene fatto
ricorso alla figura dell’ippogrifo.
Nel terzo capitolo della famosissima saga di J.K. Rowling,
“Harry Potter e il prigioniero
di Azkaban”, gran parte del racconto verte attorno alla sorte di
questa creatura, che viene
descritta nobile, fiera di sé, ma
tuttavia difficile da avvicinare.
L’ippogrifo infatti si lascia accarezzare soltanto da persone fiere
e nobili d’animo, e mostra la
propria riconoscenza con un
inchino e lasciandosi cavalcare.
Animale di intelligenza pari, se
non superiore a quella umana,
nella saga di Harry Potter è
capace persino di percepire il
male e le cattive intenzioni di
chi si trova davanti.
Così, nato da un verso latino di
Virgilio, l’ippogrifo ha vissuto
le sue storie più fantastiche ed
indelebili nel Medioevo, ed
anche oggi, in racconti sempre
più fantastici ed inverosimili, in
circostanze sempre più magiche, con il suo coraggio, la sua
fierezza, la sua forza e la sua
velocità, continua, ad ali spiegate, a volare.
Niccolò Arena, I C L.C.
21
2007
Snuff,
crimine piu’ reale
della realta’
i è un sottogenere
cinematografico piuttosto sconosciuto ai
più (e verrebbe da
dire fortunatamente), che è un
misto fra hard core e splatter,
ma qualcosa di più riprovevole,
disgustoso ed esecrabile di questi ultimi, che vide la luce nel
1976, grazie alla macabra fantasia di due scarsi registi,
Michael e Roberta Findlay. Essi
girarono un film il cui originario
titolo era “Slaughter” (strage),
che poi diventò in un secondo
momento “Snuff”. Questo termine, in seguito passò ad indicare nello slang familiare americano “uccidere”, un fatto a dir
poco emblematico.
Il film realizzato trattava della
strage di Bel Air ad opera della
setta satanica capeggiata da
Charles Manson, in cui morì
anche Sharon Tate, la moglie
del regista polacco Roman
Polanski.
Risultò essere di fattura talmente misera che un responsabile
della produzione, tale Allan
Shackelton lo volle “condire”
con una scena di ben più di
quattro minuti in cui si vedeva
una donna orribilmente martoriata e straziata.
Pare che la sequenza sia stata
girata a spese di un’ignara attrice di nazionalità argentina (il
film era stato ripreso proprio nel
paese sudamericano), convinta
di essere stata ingaggiata per un
provino.
Eloquenti in proposito erano le
locandine, che recitavano succintamente: “Gli eventi più sanguinosi che siano mai accaduti
DI FRONTE ad una macchina
da presa!”.
Vi è da chiarire che i punti fondamentali che caratterizzano lo
snuff sono sostanzialmente tre: i
membri della crew sono degli
assassini, gente cosciente di uccidere un essere umano: essi sanno
cosa stanno realizzando e per
chi lo stanno facendo.
V
22
2007
Ovviamente è il denaro il fine ultimo delle loro azioni, ma non
bisogna trascurare il fattore di
perversione e di crudeltà che li
induce a eseguire tali nefandezze ottenendone grande appagamento.
Il secondo punto consiste nella
totale inconsapevolezza dell’attore. Egli non sa di girare la sua
ultima scena, di essere sul punto
di rendere l’anima al Creatore
dopo atroci sofferenze. Il terrore sul volto degli sventurati quando all’improvviso realizzano di
essere in trappola e destinati al
massacro è la cosa che il depravato amante di snuff cerca con
più morbosa ossessione.
In ultimo, ma non ultimo, lo spettatore, il destinatario “dell’opera”,
la persona per cui viene ucciso
l’attore, che può essere consapevole o inconsapevole della
realtà di quanto sta vedendo.
Ricordiamo inoltre che la vittima
è uccisa ai soli fini del film.
L’esibizionismo, il voyeurismo,
la necrofilia sono alcune componenti psicopatologiche basilari
del video. Una persona sensata
rabbrividisce di fronte a tali turpitudini, anche solo nel sentirne
parlare. C’è da tenere conto
però che non tutti son dotati di
equilibrio e di assennatezza.
Sono proprio questi individui a
toccare i limiti più nefandi dell’operato umano.
In fondo quale crimine è peggiore dell’omicidio? Nessuno. E
se l’omicidio è compiuto per una
macabra soddisfazione, l’atrocità compiuta non ha davvero
eguali. È un fenomeno davvero
allarmante, è il prodotto di un
mondo a più volti, di cui uno
dei tanti genera abiezioni e brutalità di tal genere. La violenza
genera la violenza, in qualunque
forma essa sia, questo è indubbio. Figuriamoci se viene addirittura esibita davanti allaaaae
telecamere.
Maria Costanza Boldrini,
II B L.C.
…………………………………
…………………………………
Nel cuore dello sterminio:
Auschwitz tra storia
e testimonianza
…………………………………
Il caso Welby riaccende il dibattito
Eutanasia… buona morte?
P
er eutanasia, che etimologicamente signif ica
“buona morte”, s’intende
“un’azione o un’omissione che
di natura sua, o almeno nelle
intenzioni di chi la attua, procura la morte allo scopo di eliminare
ogni dolore. Questa definizione
della Santa Congregazione per la
Dottrina della Fede si deve completare con il concetto di “morte
dignitosa”, che quindi permetterebbe al malato di terminare la
vita non in ospedale, ma tra l’affetto dei propri cari.
Il “problema” dell’eutanasia
non è solo recente: fin da epoche
remote, infatti, i medici hanno
ricevuto dai propri pazienti la
richiesta di anticipare la morte.
Ben noto è il giuramento di
Ippocrate, secondo il quale ogni
medico giura che non somministrerà mai a nessuno un farmaco
che provochi la morte del paziente. La particolarità del nostro
tempo, che spiega tra l’altro l’acutizzarsi del fenomeno, è data dal
profondo cambiamento che le circostanze in cui si muore hanno
subìto per via del progresso della
medicina e del miglioramento
delle condizioni igienico-sanitarie. Fino a pochi decenni fa la
morte giungeva presto, poiché
non si riusciva a combattere efficacemente la malattia o perché
insorgevano infezioni o complicazioni dovute alle dure condizioni di vita. I decessi avvenivano prevalentemente a casa; anche
se non era dolce o quieta, la morte
era sicuramente più rapida ed
indolore. Oggi si muore più tardi,
per malattie croniche o degenerative legate alla vecchiaia. Come
si evince dalla definizione “azione o omissione che procura la
morte…”, esistono diversi tipi di
eutanasia, precisamente tre: il
primo, la forma attiva, prevede
la somministrazione di un farmaco letale, il secondo, quella
passiva, consiste nel sospendere
la terapia abituale, il cosiddetto
“accanimento terapeutico”; infine il terzo, il “suicidio assistito”,
che si verifica quando un medico o un familiare procura al malato del veleno, senza però collaborare all’assunzione dello stesso
da parte del richiedente.
Da quanto esposto si capisce
bene che il problema etico non
coinvolge solo il malato, ma
anche operatori sanitari e legislatori, nonché le Commissioni
nazionali e sopranazionali per i
diritti dell’uomo e dell’ammalato. Fino ad ora tutti gli Organi
competenti si sono espressi contro l’eutanasia, consentendo soltanto la sospensione o la diminuzione delle terapie
farmacologiche. Ad opporsi a
qualsiasi forma di eutanasia è
invece la Chiesa, la cui dottrina
muove da tre punti fermi: il riconoscimento del carattere sacro
della vita dell’uomo in quanto
creatura di Dio; il primato della
persona sulla società; il dovere
delle Autorità di rispettare la vita.
Al riguardo papa Pio XII dichiarò:
“Per quanto concerne il paziente,
egli non è padrone assoluto di se
stesso, del proprio corpo, del proprio spirito. Non può dunque
disporne liberamente. Per quanto riguarda i medici, nessuno al
Mondo, nessuna persona privata,
nessuna umana pietà, può autorizzare il medico alla diretta
distruzione della vita; il suo ufficio non è di distruggere la vita, ma
di salvarla”.
Altri Papi si sono più volte
espressi contro l’eutanasia, ma si
sono rivelati favorevoli alla riduzione dell’accanimento terapeutico. Anche esponenti di altre confessioni religiose (quali
l’Anglicanesimo e il Calvinismo,
che recentemente si è dichiarato
favorevole ad ogni tipo di euta-
nasia) si sono pronunciati contro
l’uso massiccio di farmaci.
Contro la “buona morte” si
sono
espresse
anche
Organizzazioni Sanitarie
Internazionali,
perf ino
l’Assemblea del Consiglio
d’Europa. Precisamente l’articolo 7 della Dichiarazione dei Diritti
del Malato esclude l’eutanasia
con tali parole: “Il medico deve
sforzarsi di placare la sofferenza,
ma non ha il diritto […] di affrettare intenzionalmente il processo
naturale della morte”.
Dal punto di vista legislativo,
in Italia l’eutanasia è considerata alla pari di un omicidio volontario, anche se sono previste delle
attenuanti. Il codice penale stabilisce dai sei ai quindici anni di
reclusione per chiunque causi la
morte di un uomo con il consenso dello stesso. Esistono anche
altre sanzioni minori decise dall’articolo 580. Negli USA la Corte
Costituzionale Federale ha fissato il diritto di ogni Stato di legiferare in proposito, ma solo
l’Oregon si è espresso favorevolmente sulla dolce morte. Sempre
negli “States” ha fatto scalpore il
caso del dottor Kervokian, processato e condannato a vent’anni di reclusione per aver praticato l’eutanasia attiva su cento
pazienti terminali. Per quanto
riguarda l’Europa gli unici Stati
che hanno legiferato in materia
sono l’Olanda, l’Austria e la
Svizzera. Nel primo Paese essa è
tollerata da circa vent’anni, ma
solo a particolari condizioni; nel
secondo esiste una legge apposita dal 1997, mentre più recente
l’adesione all’eutanasia da parte
della Federazione Elvetica, dove
però si accetta solo il “suicidio
assistito”.
“Caro Presidente, scrivo a Lei,
e attraverso Lei mi rivolgo anche
a quei cittadini che avranno la
possibilità di ascoltare le mie
parole, questo mio grido, che non
è di disperazione, ma carico di
speranza umana e civile per questo nostro Paese”.
Queste sono le parole con le
quali Piergiorgio Welby, alla fine
di settembre, ha scosso l’Italia.
Egli, malato terminale di distrofia muscolare da circa nove anni,
negli ultimi mesi si era aggravato e, ormai disperato, aveva inviato una lettera aperta al Presidente
d e l l a R e p u b bl i c a G i o rg i o
Napolitano, domandando per sé
l’eutanasia. Chiedeva che le sue
sofferenze venissero messe a tacere e che, quindi, potesse morire.
Il diff icile “caso Welby” dal
Quirinale è sceso f ino a
Montecitorio, e il suo recente epilogo ha scosso le coscienze.
Questa tematica mi coinvolge
molto in quanto ho conosciuto
situazioni simili a quelle di Welby.
Quella ad esempio di un
ragazzo malato di distrof ia
muscolare da vent’anni, non si
alza dal letto da circa nove anni,
vive tramite un respiratore autom a t i c o . A d i ff e r e n z a d i
Piergiorgio, mangia senza l’ausilio di presidi esterni e parla ma,
se non lo si conosce, non si può
notare la più evidente caratteristica che li differenzia: la voglia
di vivere, la speranza nel futuro.
È l’unico “farmaco” efficace.
Il suo mondo si può vedere
attraverso il monitor di un computer; ha saputo adattarsi a questa situazione riuscendo a sfidare la malattia. Se i malati
terminali, giovani o anziani che
siano, invece di disperarsi e chiedere la morte, provassero a farsi
coraggio e a resistere ad essa, non
ci sarebbe bisogno di legiferare
sulla “buona morte”, che, pur
essendo “dolce”, rimane comunque un evento irrimediabile.
Federico Rango
V° D L. C.
23
2007
Orientarsi in economia
S
i è conclusa con grande successo la seconda edizione delle
giornate di studio del progetto
"Orientarsi in Economia - Questioni
di macroeconomia nell’era della
globalizzazione". Nelle aule della
Biblioteca Petrucciana di Jesi si sono
svolte, dal 16 al 18 novembre 2006,
le giornate di formazione previste
dal progetto, che ha coinvolto gli
alunni delle classi terze del Liceo
Classico e delle classi quinte del
Liceo Sociopsicopedagogico e delle
Scienze Sociali, i docenti universitari
Giuliano Conti (professore ordinario
di Economia Internazionale presso
l’università Politecnica delle Marche)
e Alberto Niccoli (professore ordinario di Politica Economica e
Finanziaria presso l’università
Politecnica delle Marche). Due grandi temi, strettamente legati fra loro,
sono stati al centro dell’attività formativa proposta: il rapporto fra etica
ed economia e il fenomeno della
globalizzazione visto in relazione al
problema dello sviluppo. Questi i
seminari all’interno dei quali si è
articolata l’attività, coordinata dalla
Prof.ssa Maura Brambilla:
Sviluppo e sottosviluppo (Prof.ssa
A. Marcuccini), La povertà nei paesi
ricchi (Prof.ssa S. Valentini), Costi
privati e costi sociali: il problema
dell’inquinamento (Prof. S.
Sassaroli), Globalizzazione (Dott.ssa
F. Scaturro), Consumi e capabilities:
solo consumo o anche qualcos’altro? (Dott.ssa L. Romagnoli), Finanza
etica (Prof. E. Savini), Istituzioni e
sviluppo economico (Prof.ssa M.
Pozzi), La demografia e il problema
del sovrappopolamento (Prof. F.
Lecchi).
La terza fase del percorso è consistita in una prova scritta, svolta in
classe su tracce legate ai temi del
progetto, formulate secondo le tipologie A, B e D della prova scritta di italiano dell’Esame di Stato. L’elaborato
giudicato vincitore da un’apposita
commissione è stato quello di Lucia
Arcaleni, della classe III A LC.
Secondo si è classificato il lavoro di
Giada Gardini (III C LC), e terzo
quello di Giuseppina Coscia (III C
LC). Ad essi verranno consegnati i
premi (buoni libro offerti dalla Banca
Popolare di Ancona, di 150, 100 e 50
euro, da spendersi presso la Libreria
Cattolica di Jesi).
Ecco il tema vincitore:
Dalla fine della seconda guerra
mondiale l’andamento delle singole
economie nazionali ha cominciato
a dipendere da regole e relazioni
24
2007
economiche internazionali.
L’economia mondiale si è così via via
strutturata come sistema unico,
coinvolgendo anche le economie dei
paesi meno sviluppati. A questo
processo d’integrazione internazionale della produzione industriale e degli scambi commerciali è
stato dato il nome di globalizzazione
o anche di mondializzazione.Rifletti
sulla questione avvalendoti delle
tue competenze storiche e di quelle
acquisite durante il corso
“Orientarsi nell’ Economia”.
Solidarietà, interdipendenza, coscienza più ampia di bene comune: questi
gli obiettivi individuati dalla cooperazione internazionale allo sviluppo al termine del secondo conflitto
mondiale. Sebbene inizialmente tale
cooperazione fosse nata per sostenere
economicamente la ricostruzione di
alcuni paesi colpiti dal conflitto, già
dagli anni Cinquanta ci si pone l’obiettivo di incoraggiare lo sviluppo
economico e la crescita del prodotto nazionale lordo dei paesi sottosviluppati, attraverso il finanziamento di progetti di sviluppo,
applicabili per risultati a lungo termine o in risposta ad un’emergenza.
È con tale spirito che prendono vita,
a partire dal 1946, organismi internazionali, bilaterali e multilaterali,
per la cooperazione allo sviluppo,
tra i quali emergono gli istituti
finanziari specializzati in materia di
sviluppo dell’Organizzazione delle
Nazioni Unite: Banca Mondiale e
Fondo Monetario Internazionale,
aff iancati negli anni ‘90 dalla
Organizzazione Mondiale del
Commercio.
Sebbene le iniziali intenzioni della
cooperazione internazionale lasciassero credere in una possibile e
concreta soluzione alla dilagante
povertà del pianeta, l’opinione internazionale fu costretta, già negli anni
‘60, a rivedere l’idea di povertà che
stava alla base dei progetti fino ad
allora proposti.
I finanziamenti di imprese private o
quelli per la realizzazione di grandi
infrastrutture tendevano a far ricadere
i guadagni sulle potenti nazioni occidentali, facendo sì che non venisse
raggiunto il reale obiettivo, ma che
ci si allontanasse da esso, aumentando, peraltro, il divario economico tra Nord e Sud del mondo.
Se inizialmente la crescita economica si limitava a considerare l’incremento del prodotto interno lordo procapite, ad esso si sono aggiunti, in
seguito, indicatori sociali, quali l’ac-
cesso all’istruzione, l’alfabetizzazione degli adulti, l’aspettativa di
vita alla nascita, l’accesso alla sanità e all’acqua potabile.
Spostando ed ampliando, dunque, il
campo di azione dei progetti, si è
tentato si creare uno sviluppo che
fosse partecipativo (che vedesse
dunque la partecipazione diretta delle
popolazioni locali allo sviluppo) e
sostenibile (lo sfruttamento delle
risorse da parte delle attuali generazioni non ne avrebbe dovuto limitare
la sfruttamento da parte delle successive), ritenendo fondamentale
aumentare, ben prima del P.I.L., la
capacità amministrativa e di gestione
delle imprese locali, e favorire processi democratici degli organi di governo e di sviluppo dello stato di diritto dei cittadini.
Nonostante la fondante base etica, il
meccanismo internazionale ha stentato e stenta a procedere efficacemente verso gli obiettivi preposti: da
un lato la stessa base etica è risultata totalmente incompatibile, o quasi,
con il sistema economico neoliberista
adottato dagli occidentali ed imposto da essi a tutti i paesi che desiderano finanziamenti da parte degli stessi. Dall’altro la realtà governativa di
molti paesi in via di sviluppo limita
il potere dei finanziamenti, dato il loro
orientamento tutt’altro che liberale e
democratico.
Il tentativo di una globalizzazione
efficace fallisce, in parte, come già
accennato, a causa di meccanismi
innestati dal neoliberismo stesso.
Esso, riprendendo il concetto di
“mano invisibile” di Smith, secondo
cui un sistema economico in concorrenza perfetta è capace di regolare
le allocazioni soddisfacendo tutti gli
agenti, seppur essi agiscano egoisticamente, in modo tale che ogni equilibrio di mercato sia un ottimo paretiano, ne amplifica l’individualismo,
annullando la giustizia morale, posta
da Smith alla base dei rapporti sociali.
In tal modo, se ognuno può agire in
base al proprio interesse, ritenendo
così di rispettare anche quello altrui,
secondo il concetto della mano invisibile, senza rispettare alcun principio
morale, in realtà l’assunto stesso
cade: l’iniziale idea di ricchezza quale
guadagno si trasforma in una serie di
innumerevoli attività finanziarie e di
operazioni in conto capitale per il
finanziamento di processi di innovazione, cardine del neoliberismo,
che scadono in giochi a somma zero,
in cui il guadagno di un agente corrisponde esattamente alla perdita dell’altro. Non ci si pone, così, alcun
problema etico nell’imporre, in cambio di finanziamenti, la privatizzazione dei servizi, l’aumento delle
imposte, la diminuzione della spesa
pubblica e l’apertura ai commerci
internazionali, ad economie nazionali che non ne possono controllare il
peso, da un lato a causa dell’incapacità di gestione, dall’altro a causa
della debolezza dei loro mercati
rispetto a quelli occidentali.
La globalizzazione, dunque, se astratta da un contesto storico determinato, si dimostra, a mio avviso, efficace
per dar risposta alla povertà, ma,
come già accennato, è la realtà governativa degli stati sottosviluppati
che ne annulla la possibilità di successo. Governi dispotici, antiliberali non hanno alcun interesse a lasciar sviluppare la capacità produttiva
dei loro cittadini, né, tanto meno, a
proporre loro alcuna forma di
istruzione: una minima coscienza
storica ed etica creerebbe sommosse
popolari che ribalterebbero il governo, ed un arricchimento della popolazione media corrisponderebbe ad
un aumento della sua influenza nelle
decisioni politico-economiche,
diminuendo così l’autorità statale.
Da un lato è, dunque, in difetto l’interesse occidentale a risolvere la questione, dall’altra è l’impossibilità di
rendere efficace tale interesse, anche
nel caso in cui esso sia totale.
Non credo, dunque, sia possibile
fornire una soluzione unicamente
economica: in una società occidentale, nella quale è la sua stessa cultura a decadere vertiginosamente
verso il baratro di un disinteresse
ignorante, sarà difficile dar vita a
progetti di sviluppo o a sistemi economici internazionali che siano volti
unicamente e realmente alla crescita socio-economica altrui.
Così, il problema non è tanto nell’erroneo sfruttamento delle risorse
produttivo-economiche, quanto nel
preoccupante depauperamento di
quelle intellettuali, proprio là dove il
benessere sarebbe capace di concederne un utilizzo illimitato.
Tralasciando i meccanismi sociopolitici attuali, i quali ritengo abbiano
un ruolo fondamentale nel fallimento
socio-economico della globalizzazione, non sarebbe peregrino incentivare l’annullamento dell’ipocrisia
intellettuale occidentale, nella sua
inconscia approvazione delle ideologie integraliste, per rendere,
almeno parzialmente, efficace la
cooperazione internazionale allo
sviluppo.
Lucia Arcaleni, III A L.C.
Sei romanzi sui classici
I
l genere del romanzo
storico basa la sua validità principalmente su
tre aspetti, dei quali ogni scrittore che si rispetti deve tener
conto: l’esattezza storica di
fondo, l’attendibilità della
vicenda che si innesta sugli
eventi “ufficiali” e la verosimiglianza dei personaggi.
I libri di cui sto parlando, cioè
quelli che la scrittrice australiana Collen Mc Cullough
(nota ai più per il suo romanzo d’esordio “Uccelli di
rovo”) ha dedicato alla Roma
del I secolo a.C., rispettano
tutti e tre questi punti. Rapida
elencazione dei titoli:
1) I giorni del potere.
2) I giorni della gloria.
3) I favoriti della fortuna.
4) Le donne di Cesare.
5) Cesare, il genio e la passione.
6) Le idi di Marzo.
I sei volumi coprono gli anni
che vanno dal 110 al 42 a.C.
e hanno come protagonisti
quei personaggi che siamo
stati abituati a studiare sui
libri di storia, in particolare
Mario, Silla, Pompeo e Giulio
Cesare. Ma, (e questo è il
bello della serie), quegli stessi uomini che nei manuali di
studio sono visti soltanto dal
“di fuori”, come semplici
figure di passaggio nel corso
degli eventi storici, o che, in
altri luoghi, sono stati tristemente stereotipati o ridicolizzati (vedi alcune riprese
moderne della f igura di
Cicerone, spesso degradata
al rango d’una macchietta da
commedia), grazie alla penna
della Mc Cullough riacquistano spessore e credibilità:
come riporta la postfazione
con cui l’autrice conclude le
Idi di Marzo: “Lungo il percorso di questi sei libri, sono
partita dagli eventi esteriori di
alcune vite molto famose e ho
tentato di creare esseri umani
credibili, a tutto tondo, con
tutte le complessità che il
buon senso ci impone di credere abbiano posseduto”.
A mio parere, questo tentativo ha avuto pieno successo:
la figura di Silla, visto spesso come un pazzo sanguinario (una sorta di Caligola ante
litteram) nei tre libri che lo
vedono come protagonista,
viene descritto con una
profondità mirabile, con le
sue luci e le sue ombre, con
le sue torbide passioni e i suoi
slanci di teatralità. L’abilità
della Mc Cullough è evidente anche in un altro personaggio, Giulio Cesare, gigantesco (non mi vengono in
mente altri aggettivi abbastanza pregnanti) protagonista della seconda parte della
serie, geniale politico, colto
letterato e formidabile generale.
Discorso simile, del resto,
può essere fatto per tutti gli
altri personaggi, Mario,
Pompeo, Catone Uticense,
Crasso, Bruto, Antonio (figura ben lontana da quella idealizzata di Shakespeare),
C i c e r o n e o O t t av i a n o ,
costruiti con una vivezza
sconcertante.
La cura che la nostra autrice
ha messo nel creare le fisionomie dei suoi protagonisti,
è visibile anche nella descrizione della Roma tardorepubblicana e degli eventi
storici che l’hanno coinvolta,
basata su un’attenta analisi
delle fonti greche o latine che
ne hanno parlato, come le
Vite Parallele di Plutarco o le
monografie di Sallustio.
A questo proposito, è sufficiente leggere il capitolo
dedicato alla congiura di
Catilina, intriso fino all’orlo
di fosche tinte sallustiane.
Senza dilungarmi troppo,
tutto ciò che mi resta da dire
è questo: leggete questi libri,
leggeteli senza lasciarvi scoraggiare dalle loro dimensioni (la scrittura della Mc
Cullough scorre che è un piacere). Questa lettura non solo
costituirà un piacevole modo
per passare il tempo, ma vi
porterà anche un grande
arricchimento personale,
arricchimento derivato dalle
riflessioni che l’autrice dedica a temi ancora oggi attualissimi, quali l’amore, la guerra e l’ambizione.
Lorenzo Focanti
III B L. C.
25
2007
Viaggio nella pubblicità
A
vete mai provato ad osservare un vecchio manifesto
pubblicitario di fine ‘800
o inizio ‘900?
Le tecniche figurative ed il littering sono molto cambiati
rispetto ad ora, eppure lo studio
più attento di una pubblicità
d’epoca può risultare molto
interessante per capire meglio
la società e la cultura degli anni
in cui è stata creata.
Alla base della comunicazione
pubblicitaria possiamo considerare lo schema di Jacobson:
EMITTENTE-MESSAGGIODESTINATARIO. In esso il
destinatario assume un ruolo
centrale sia in relazione al livello dell’informazione che il messaggio comunica, sia in relazione al livello emotivo che
punta a coinvolgere chi riceve
l’informazione. L’emittente del
messaggio va considerata l’azienda produttrice che delega
la rappresentazione di sé stessa al personaggio o ai personaggi cui il messaggio viene
affidato; infine il messaggio,
oltre ad avere la funzione di
presentare al pubblico una grande quantità di prodotti per invitarlo all’acquisto, opera una
funzione più complessa, come
quella di suggerire modi di vivere, abitudini e bisogni fino a
modificare i nostri comportamenti.
La pubblicità si serve di codici
legati alla grafica, all’immagine, ai colori, alla cultura integrandoli con quelli verbali: l’efficacia dipende infatti dalla
forza espressiva dei linguaggi
visivi e verbali per la pubblicità
a stampa, per gli spot dipende
anche dalla suggestione del
sonoro.
Il messaggio pubblicitario ha il
fine di persuadere ed informare tramite diversi stili comunicativi: quello oggettivo, che usa
lessico comune per fornire il
maggior numero di informazioni relative all’uso, al funzionamento e alle qualità del
prodotto; lo stile scientifico,
che fa uso di termini tecnici e
immagini dettagliate dell’oggetto descritto (impiegato per
26
2007
pubblicità di creme, medicinali ecc); lo stile conativo, che
interpella l’acquirente con l’uso
dell’imperativo per persuaderlo; lo stile emotivo, utilizzato per
produrre nell’osservatore spirito di emulazione e identificazione (come, ad esempio, negli
spot che mostrano un ambiente familiare) ed è legato al lessico del parlato informale; infine lo stile enfatico,
caratterizzato da espressioni
enfatiche e solenni, per dare
particolare rilievo a qualcosa o
spingere l’acquirente all’identificazione con il testimonial.
È evidente, quindi, come dietro
a tutto questo ci sia un vero e
proprio studio della psicologia
umana, per definire il consumatore sulla base di “stili di
vita” e di indirizzarne gli acquisti, anche se negli ultimi anni sta
prevalendo la tendenza a non
considerare il consumatoredestinatario passivo rispetto al
messaggio, ma di cogliere
forme di feedback, come il
reclamo, per verificare il successo del prodotto sul mercato.
Nel corso de “Progetto sul
Linguaggio Pubblicitario” sono
stati analizzati anche diversi
manifesti d’epoca.
Le tecniche e i soggetti dei
manifesti pubblicitari (e della
pubblicità in genere) si sono
evoluti notevolmente nel corso
del XX secolo; alla f ine
dell’800 un manifesto veniva
dipinto quasi come un quadro,
in modo molto pittorico, con
l’aggiunta di una didascalia
informativa; col passare del
tempo le figure sono diventate
sempre più schematiche, simboliche, rappresentative, gli slogan più incisivi e significativi,
i caratteri più chiari e leggibili, fino ad arrivare alla pubblicità come la conosciamo noi. In
questa evoluzione sono stati
fondamentali i grafici pubblicitari, artisti del secolo scorso
che tuttora fanno sentire la loro
influenza. Come nel caso del
marchigiano Federico Seneca,
creatore di numerosi manifesti,
che agli inizi del ‘900 ha ideato un famosissimo “logo” uti-
lizzato fino a
poco tempo fa
da una nota
marca di cioccolatini, la
“Per ugina”;
o p p u r e
Armando
Pomi, grafico
pubblicitario
del ‘900 che
ha lavorato a
lungo per la
ditta “Bayer.
Noto
è
Marcello
D u d ov i c h ,
a u t o r e
di importanti
manifesti per
ditte quali
“Campari”,
“Martini”,
“Bugatti”.
In ogni manifesto d’epoca sono
emerse le figure tipiche di un
periodo storico e le diverse abitudini, cambiate nel corso degli
anni. Negli anni ‘40, ad esempio, una donna doveva badare
alla casa e alla famiglia, curare i figli e preoccuparsi del
marito: ecco allora che nei
manifesti compare la figura
della massaia perfetta che recla-
mizza prodotti per la casa; una
personalità molto diversa da
quella precedente degli anni
‘30, quando nelle pubblicità la
donna, che iniziava ad emanciparsi, appariva “borghese”, elegante e giocava a tennis, pubblicizzava prodotti di bellezza,
gioielli e articoli sportivi o località turistiche. Insieme ai manifesti sono cambiati i modi di
pensare, di comprare, di rappresentare: un vero e proprio
“viaggio nella pubblicità”.
Roberta Vinaccia
III C L. C.
Bisogno di qualcuno
Q
ualche tempo fa ero
in treno. È bello viaggiare in treno: è come
stare al centro del tempo, semplice spettatore delle cose che
passano, della vita che scorre
e che non è mai uguale.
Ma nella vita purtroppo (o per
fortuna), non si è mai spettatori
perché il tutto come il particolare mi chiama in causa e ogni
avvenimento, anche il più
distante da me, mi coinvolge,
interpella continuamente il mio
pensiero, il mio giudizio, la
mia coscienza, il mio fragile
cuore.
Certo, il rischio di essere spettatori ben pensanti c’è, eccome
se c’è, ma in questo caso si è
delle patate e nulla di più (con
tutto il rispetto per le patate!)
Avvicinandomi ad una stazione il mio sguardo è attirato da
uno stupendo murales (chi riesce a disegnare cosi è davvero un artista, forse incompreso, ma comunque artista).
E c’era scritto: “Non ti accorgi che ho bisogno di te?!
Beh, che dire… è bello sapere che ci sono cuori così stupendi, che scrivono cose stupende perché hanno un animo
stupendo. E credo che chi ha
scritto quelle parole, abbia un
cuore grande proprio come il
mio. Ho iniziato a piangere in
silenzio. Sentivo dentro tante
emozioni che si mischiavano
tra loro come fossero una
cascata interminabile di stelle
e poi… decisi di scendere.
Scendo quindi dal treno e mi
avvicino al murales per fotografarlo. Accanto al murales,
in piccolo, con un pennarello
indelebile di colore rosso, c’era
scritta una preghiera.
La grafia mi sembrava la stessa quindi suppongo che l’abbia scritta la stessa persona di
prima.
La preghiera era intitolata:
e dammi la sensibilità
necessaria per ispirare
fiducia.
Signore liberami da me stesso
Perché ti possa servire,
ascoltare e amare in ogni
fratello che mi fai incontrare.
Che non passi accanto ad
alcuno con volto indifferente,
con cuore chiuso,
con passo affrettato.
Accorgersi
Signore,
aiutami ad accorgermi di
quelli che mi stanno accanto.
Fammi vedere quelli
preoccupati e disorientati;
quelli che soffrono
e non lo mostrano;
quelli che si sentono isolati
senza volerlo,
Il destinatario è chi legge.
Questa volta non mi chiesi a
chi poteva essere indirizzato il
murales ma, come forse non mi
era mai successo prima, in un
lampo capii che in quel preciso istante, il destinatario di quel
profondo appello… ero io.
Gagliardi Debora
5 L L.S.S.
Cinque giorni sulla neve
al 7 all’11 gennaio si
è svolta l’attività
sportiva sulla neve
organizzata dal nostro liceo.
La “settimana sulla neve” ha avuto
luogo in Trentino Alto Adige,
presso la località di Folgarida,
dove erano situati sia l’albergo
che l’impianto sciistico. Per quanto riguarda l’aspetto sportivo,
quindi, i corsi di sci e snowboard,
abbiamo potuto riscontrare una
buona organizzazione. Già durante il viaggio d’andata ci era stato
comunicato il gruppo a cui eravamo stati assegnati: principianti, intermedi, esperti, per il corso
di sci o snowboard. Pur essendo
pochi i giorni di soggiorno, avevamo 4 ore al giorno di lezione
con i maestri di sci; quindi siamo
riusciti ad imparare le tecniche
basilari di questo sport, che si è
rivelato molto divertente ma
D
alquanto stancante ed impegnativo.
La giornata praticamente, funzionava così: la sveglia era alle
7.30, poi si scendeva e si faceva
una colazione buona (a parte il
caffè che non era dei migliori!) e
sostanziosa perché dopo si doveva andare a sciare!
Alle 8.30 si andava con la funivia sui campi da sci e alle 9 ci
incontravamo con i maestri e si
iniziava la nostra “attività sciistica”! È stato molto divertente: noi
abbiamo imparato a sciare un po’
meglio e poi c’era il nostro maestro di sci, Pietro, che era davvero professionale e simpaticissimo!
All’inizio eravamo titubanti poi,
constatato che nessuno era un
campione paragonabile ad Alberto
Tomba nello sci, ci siamo tranquillizzate e spesso ci capitava di
cadere in modo buffo e così scop-
piavamo a ridere!
Dopo tutte le risate, lo sci e, purtroppo, le cadute, verso le 11 11.30 ritornavamo in albergo e
lì avevamo un’oretta tutta per noi
per riposarci prima del pranzo.
Verso le 14 ritornavamo a sciare
facendo lezione con il maestro
fino alle 16.30, poi, tornati in
albergo, avevamo un’oretta e
mezza dedicata allo studio nella
grande sala a nostra disposizione
nell’albergo. Finita l’attività didattica avevamo un’intera ora per
prepararci per la cena… Fra le
camere di noi ragazze giravano
piastre e tutti i prodotti per lisciare e sistemare i capelli! Dopo cena
si scendeva in “discoteca” dove
c’era l’animazione! Tutte le sere lo
spettacolo variava… abbiamo
potuto apprezzare spettacoli di
cabaret e giochi dove dei nostri
compagni venivano coinvolti e
facevano di tutto: dal recitare delle
frasi a cercare le proprie scarpe nel
buio totale! Poi l’ultima sera è
arrivato lo spettacolo migliore e
cioè… il ballo! Ci siamo scatenati
davvero fino a mezzanotte (anche
se il “coprifuoco” di solito prevedeva che alle 23 tutti fossero a
“nanna”)! È stata davvero una
bella esperienza, non solo perché
con questa attività scolastica si
ha l’opportunità di mettersi in
gioco autonomamente in uno
sport impegnativo e formativo,
ma anche perché è un’ottima occasione per integrarsi con gli alunni delle altri classi e degli altri
due licei (scienze sociali e classico).
Quindi la consigliamo a tutti perché ragazzi, ve lo assicuriamo, è
divertentissimo!
Elisa Gianuario, Sara Bordoni
2 F L.S.P.P.
27
2007
Sui passi dell’amore
iao a tutti… quello che voglio
fare è scrivervi una lettera… “una
lettera per la vita”.Chi sono io per
farlo? Nessuno… e so bene che la pretesa può sembrare un po’ esagerata,
però credetemi, ciò che mi spinge è
proprio la passione per questa avventura incredibile che è la vita stessa,e inoltre, è l’amore che porto dentro, nel mio
mondo e… vorrei farvelo un pochino
conoscere, ecco tutto.
Anche voi, come me, state crescendo e
voi con il vostro mondo. Come vedete
questo mondo? Cosa ne pensate? E
cosa pensate di voi stessi,come vi vedete, come vi ascoltate, come sta cambiando la vostra vita a quest’età? Forse
non sapete rispondere,perché non sempre ci si capisce qualcosa,perché spesso, solo nell’andare si trovano le risposte, perché solo nel cammino si arriva
a capire e scegliere. Quante domande,
quanti pensieri, quante paure, quanti
sogni, quante gioie, quanti dolori attraversano l’esistenza, questa lunga autostrada verticale verso il Cielo,dove tante
“cose” scorrono, passano e ripassano;
qualcuna si ferma e qualcuna se ne va,
qualcuna fa piangere e qualcuna sorridere,qualcuna dà gioia,speranza,pace,
amore e qualcuna rattrista,lascia il dubbio, l’incertezza, il fiato sospeso. Tutte
queste “cose” sono la vita che accade,
che scorre e a viverle siamo tutti noi e
sei anche tu. Si, proprio tu che ora stai
leggendo e ti ritrovi in quello che scrivo. Forse, a volte, anche tu come me, ti
ritrovi solo, con te stesso, a guardare il
soffitto della tua cameretta con le mani
dietro la testa, con la tua musica preferita (oggi “a palla”,domani a basso volume) e con le tue “cose”, con la tua vita
che scorre, che va, verso un senso,
verso una direzione, verso una meta.
Eh,si… perché la vita,questa benedetta
vita,questa straordinaria vita.Non sempre facile e non sempre felice ha una
meta e il suo nome è… Beh, se non ti
dispiace vorrei svelartelo più tardi, perché voglio vedere se riesci a scoprirlo
da solo, con le tue uniche forze e non
pensare che io sia presuntuosa in questo modo. No, aspetta un attimo! Voglio
solo procedere con calma,per dare spazio ai miei sentimenti più puri e autentici. È vero che sono solo una ragazza
di 18 anni e nient’altro, ma sono sicura che dopo aver letto tutto questo,dentro di te nascerà un tipo di amore, che
nemmeno tu saprai di possedere, quindi… ascoltami, ti prego! Innanzitutto
sono stata figlia (e lo sono tuttora per fortuna), sono stata bambina, sono ragazza, giovanotta, adolescente, ecc, pertanto, pur con tutta l’esperienza che ho
da fare ancora,so un po’ come va la vita,
so cos’è la gioia,quella vera e quella che
fugge via, so cos’è il pianto, quello libe-
C
28
2007
ratorio, che trascina tutto il dolore che
hai dentro; so cos’è il dolore,quello passeggero, quello per cui non vale la pena
di soffrire, e quello che ti fa dire: “Ce la
farò?; so cos’è l’amore e il bruciore che
uno prova quando qualcuno te lo ferisce; so cos’è l’amicizia e cosa vuol dire
quando il tuo amico più caro (o almeno
che sembrava tale) ti taglia fuori e ti
tradisce; so cosa vuol dire perdonare ed
essere perdonati, conosco bene la
pesantezza dell’andare avanti ma anche
la gioia che ti ridona energia e vigore
nuovi; so cosa vuol dire incontrare all’improvviso, “per caso”, una persona che
diventa la luce del tuo andare, la spalla
su cui appoggiarti,il cuore a cui puoi confidare tutto di te perché sei certo che mai
ti tradirà. E poi, so cosa vuol dire passare per il dubbio su Dio e quanto possa
far male, ma so anche che la vita è un
cammino e che camminando la vita si
apre, ti spalanca orizzonti mai immaginati dalla tua fantasia, incontri stupendi
e del tutto imprevedibili,esperienze fantastiche certamente non segnate sulla tua
agenda. So anche che, se non molli, se
ti rivolgi anche a Dio e non solo a chi vuoi
bene e gli dici: “Guarda Dio, non sono
certo della tua esistenza ma se ci sei
voglio incontrarti”, Dio stesso si rivela al
tuo cuore e ti ritrovi a non avere più bisogno di nessuna prova o dimostrazione
della sua esistenza perché sai che ormai
è dentro di te e il mondo lo inizi a guardare con occhi nuovi, pieni di speranza
e privi di sconforto.
Ma ognuno ha la sua strada da fare, il
suo personalissimo percorso, diverso
dagli altri, diverso dal mio, i suoi passi
da fare. E ho scoperto che ciascuno di
noi ha un “compito” da svolgere nella
vita, un compito che gli viene affidato e
nel quale, se lo si accetta, ci si scopre
realizzati e contenti nonostante le inevitabili difficoltà. Questo compito che è
il tuo lo scopri mentre vivi, giorno dopo
giorno,nell’alternarsi degli eventi e delle
vicende. Io ti parlerò e tu mi giudicherai, lo so. Ma non mi importa perché
comunque io ti parlerò con il cuore e se
non sarà cosi te ne accorgerai, vedrai.
Voglio solo fare una precisazione. Le
parole racchiudono molto di più di quello che dicono,pertanto,ti invito ad andare al di là per trovare quel di più di significato che esse contengono. Allora và
ragazzo, va’. La vita è sempre, ad ogni
età. Ragazzo che stai venendo su, va’ e
non temere. Sii forte, come lo sono io,
anche se sperimenterai la tua debolezza e la tua fragilità; conosci te stesso,
ciò che sei e ciò che vali veramente, i
tuoi doni, i tuoi pregi e i tuoi difetti, sii
leale con te stesso e con gli altri, perché a nulla vale mostrarsi per ciò che
non si è; coltiva nel tuo animo il coraggio, la fiducia e la speranza, perché a
niente giova pensare sempre al peggio,
appesantisce il cuore e ogni tua azione.
Sentiti un viandante,un ragazzo in cammino, sempre in cammino, mai arrivato, pronto a ripartire verso la meta, ama
la verità e và alla ricerca di lei:non andare lontano a cercarla perché essa è dentro di te! Io, nel mio piccolo, ti sono vicino anche se non te ne accorgi. Intanto
seguo il tuo cammino con il pensiero,
con la mia immaginazione… con la
discrezione di un padre e le premure di
una madre, intanto ti guardo quando tu
non mi vedi, intanto prego il buon Dio
che ti conduca per le sue splendide vie.
Quando incrocerò i tuoi occhi per caso,
mi sembrerà di vedere il mio mondo
nel tuo, quello che porto nascosto nel
cuore, quello che non voglio che altri
conoscano compresi quelli a cui tengo
di più. Sai, spesso bastano gli occhi per
dire senza parlare e quante cose si dicono con la semplicità di uno sguardo!
Carissimo, non stancarti mai di andare!
Ciò significa che non devi stancarti mai
di sperare che il domani sarà migliore.
Se puoi scaccia via quella malinconia che
a volte mette un velo ai tuoi occhi e un
peso alle tue ali. Ti dico “se puoi”, perché ci sono giorni in cui non riesci a non
essere triste e ti capisco! Ma… accettali, perché non sono per sempre.
Lasciatelo dire da una ragazza che,dietro gli occhialetti un po’ storti, dietro
quel suo corpicino “poco cresciuto” per
la sua età, dietro quel suo volto in apparenza, sempre sorridente e ridente,
nasconde tante paure, tante angosce,
tanti dolori che ancora non riesce a
superare, ma…si nasconde anche una
bella verità. Quella di una ragazza dal
cuore grande e in perenne movimento,
una ragazza che nonostante la sofferenza e l’indifferenza, non si lascia più
vivere dalla vita ma,al contrario,la interroga per capirla, la studia per non sprecarla! Una ragazza che racchiude dentro di sé sentimenti sinceri, che pochi
possono comprendere.Una ragazza che
ha un grande mondo dentro di sé, dove
pochi riescono a entrare e a capire un
po’ come funziona… E questa ragazza, nonostante tutto possiede anche dei
sogni, perché senza un sogno la vita è
destinata ad andare avanti nell’illusione, nella pesantezza, senza più stupore e meraviglia, senza più bellezza. Si,
perché il sogno ti dà energia, ti dà grinta, ti dà gioia. Non ti parlo del sogno di
vincere al lotto o di fare 13 al totocalcio, di avere una storia con quell’attore
o con quel cantante, di avere un altro
volto, altri capelli, un altro fisico, un altro
carattere,insomma,non ti parlo di sogni
che sono delle autentiche balle ,vere e
proprie fughe dalla realtà di ogni giorno. Ti parlo, invece, di quei sogni la cui
distanza dal loro avverarsi non è poi
cosi lontana. Non so qual è il tuo sogno
ma, proprio perché lo possiedi solo nell’avverarsi che accada, proprio perché
lo vivi non come realtà, ma nel pensiero, proprio perché è un sogno, allora…
allora lo devi affidare, lo devi consegnare. Non senti che alle volte ti batte
dentro come una gran cassa? Non percepisci che è qualcosa più grande di te
e che lo ritrovi cosi e non sai perché?
Non preoccuparti… sogna, sogna e
sogna!!! Ma con i piedi per terra,eh! Non
bastano le tue qualità e tu lo sai, i tuoi
talenti, le tue capacità.
Ecco, qua… Ho quasi finito, eh! Vi ho
annoiato? Beh, probabilmente in questo
preciso istante vi starete chiedendo il
perché mi sono messa a parlare di queste cose, giusto? Il mio non vuole essere un tentativo di sfiducia nei vostri confronti, poiché credo e spero che ci siano
ragazzi che come me,combattono la vita
e non la sciupano,semplicemente il mio
è un esempio, le parole di una ragazza
che crede in qualcosa e nonostante le difficoltà, ha deciso di buttarsi, di rischiare
nella vita e benchè molti tentativi non
siano andati come lei sperava,sta lottando
contro tutti e contro se stessa per rimettersi in gioco, vuole vivere finalmente!
Certo,i colpi sono stati duri e lo sconforto, la paura e la delusione sono stati
grandi, ma non sono mai tanto grandi
da spegnere l’amore smisurato che questa ragazza ha per la vita. Sì, perché per
lei la vita non è solo piacere, lei la sente
dentro la vita… Ora la vive! E per questo si sta buttando a capofitto nei suoi
sogni, ci vuole credere fino in fondo e
adesso cerca di vivere senza rimpianti, perché la paura di una delusione non
le ha impedito di rimettersi in gioco,
comunque siano andate le cose. Ed è
questo che voglio farvi capire. Se ami
qualcosa, se la vivi, se la senti dentro,
allora non puoi fare a meno di dargli tutto
te stesso. Come quando senti una canzone e non puoi fare a meno di ballarla,come quando credi in un ideale e non
puoi fare a meno di gridarlo.Come quando sei innamorato e non puoi fare a
meno di confessarlo e se non vieni
ricambiato in fin dei conti non è poi cosi
drammatico,dai! Certo,fa male,però vivi
senza rimpianti, per ciò che sarebbe
potuto succedere ma che non è successo solo perché la paura di andare a
sbattere è stata più forte della voglia di
gridare. Se avete voglia di gridare…
gridate!!! Se avete voglia di ballare…
ballate!!! Se avete voglia di cantare…
cantate!!! Se avete voglia di amare…
amate!!! Se avete voglia di correre…
correte!!! E se sentite qualcosa scorrere nelle vene, non potete fare finta di
niente… dovete viverlooooooooo!!!!!!!!
Gagliardi Debora, V L L. L. S. S.
Essere cittadini: uno stile di
vita, una ricchezza interiore
I
seminari del corso di formazione “Il bene comune.
Ragioni e passioni di cittadinanza” tenuti dal professor Viroli,
docente di Teoria Politica
all’Università di Princeton, sono
iniziati ad Ancona nel dicembre
2006. L’iniziativa è nata a seguito della prima edizione dell’evento “Europa e non solo. Dialoghi
intorno ai confini” che ha permesso l’incontro di docenti e ragazzi di diversi paesi del mondo per
riflettere sul “ricercare le tracce di
una comune umanità”.
Il 16 gennaio si è tenuto il seminario conclusivo durante il quale
ho avuto occasione di leggere il mio
“racconto”, che qui ora trascrivo,
della mia partecipazione a quest’esperienza:
I nostri seminari sono iniziati ad
Ancona con due prime giornate il
22 e il 23 marzo 2006 dal titolo “Il
comune sentire dei maestri di cittadinanza”. Abbiamo poi proseguito con altre giornate in diversi
luoghi delle Marche.
Per parlare di questo progetto
comincerei prima di tutto a raccontarvi dell’atmosfera vissuta in
queste giornate di lavoro. È proprio l’atmosfera, fatta di emozioni
e sensazioni, che mi è rimasta nel
cuore. Ascoltare pensieri, concetti e valori in cui ho sempre creduto,
poterli in qualche modo vivere con
la guida del nostro professor Viroli
è stata una vera e propria ricarica
di energia.
Bello è stato guardarsi intorno e
aver trovato tanti ragazzi, tante
persone con cui condividere questi valori. È stato bello vedere come
sia forte questo bisogno di parlare di cittadinanza e vedere come
siamo in tanti a credere in quest’avventura che ci è stata proposta.
Un’avventura. Si è trattato proprio
di un’avventura del pensiero che
è iniziata scoprendo, come veri e
propri archeologi delle parole,
come ci ha insegnato il professore a fare, quel qualcosa di magico che c’è nell’idea di come si può
essere cittadini.
È così che abbiamo scoperto il cit-
tadino come colui che sa assolvere dei doveri oltre che possedere
diritti, doveri verso i concittadini,
doveri che vogliono dire possedere quel particolare tipo di saggezza che ci permette di vedere quello che è il bene comune e la corda
di questa saggezza l’abbiamo ritrovata anche nell’arte del Lorenzetti
nel suo affresco “Il buon governo”.
Abbiamo ritrovato l’importanza
del lavoro della mente e dell’anima; l’importanza delle passioni
come la carità, quella capacità di
condividere una sofferenza, di sentire vicino chi soffre e accanto alla
carità lo sdegno, la passione che
si prova quando un principio è
offeso. E poi la mitezza.
Abbiamo incontrato l’idea di
libertà che non vuol dire solo
assenza di interferenze ma vuol
dire non essere dominati, non
dipendere dalla volontà arbitraria
di un altro; abbiamo immaginato
lo “sguardo abbassato” che è segno
della persona non libera, della
persona che ha paura; abbiamo
ascoltato l’idea di uguaglianza non
assoluta ma di una disuguaglianza dei meriti e allora abbiamo
anche appreso quale è la vera
nobiltà: “vera nobilitas virtus sola
est” e la “dolcezza del vivere libero” di Machiavelli; la “virtù leggera” come capacità del cittadino
di non prendersi sempre troppo
sul serio, di fare ironia su sé stesso. Abbiamo incontrato le figure
del suddito, del minore e dell’immigrato.
Abbiamo appreso la pericolosità
dell’adulto bambino e del sovrano
padre. Abbiamo scoperto chi è il
minore, cosa è l’immaturità e il
rischio enorme della banalità.
È stato bello.
È stato bello aver imparato di poter
essere cittadini di una patria e cittadini del mondo.
Abbiamo parlato di religione della
libertà. E soprattutto è stato bello
provare a scoprire se…
vale la pena essere cittadini?
Riprendendo le parole del professore: “È naturale crescere, se
hai buona salute, diventare adulti e invecchiare, amare, odiare,
avere invidie, avere fame e sete,
ma cittadino
non è naturale, è artificiale, nel senso
che è sempre
il risultato di
uno sforzo…”
Vi v o r r e i
anche dire
che è stato
bello capire
come la strada per scoprire se vale
la pena essere cittadini
sia quella di
chiederlo a
chi, vivendo da cittadino, vede e
sente una particolare eccellenza.
Altrettanto bello è stato apprezzare come si può essere cittadini
nella vita quotidiana, “nel modo in
cui educhi i figli, ricerchi la verità,
nel modo in cui fai gli affari”. È
stata proprio questa la specialità:
poter tornare a casa dopo le giornate trascorse a discutere sulla
cittadinanza con un arricchimento dentro, quella ricchezza interiore
di cui parlava il professore, tornare
con l’entusiasmo di provare a raccontare, rendere partecipi, le persone con cui trascorri il tuo tempo
di questa piccola grande crescita
vissuta, di questa gioia acquisita.
E spero proprio possa trasparire da
queste poche parole un po’ di quel
qualcosa di magico che ho avuto
occasione di ascoltare e di vivere.
Ora, quale occasione per condividere all’interno dell’esperienza scolastica quanto detto durante i seminari tenuti dal prof.
Viroli?
Spesso, tra i partecipanti ai seminari, ci si è posti questa domanda, e l’occasione è stata trovata
nell’ambito di un’assemblea
d’Istituto a seguito della visione
di un film, come spunto per iniziare un dibattito. Il film, “La
Rosa Bianca” di Marc
Rothemund, ambientato durante il totalitarismo nazista, racconta la storia di un gruppo di
giovani che si opposero al regi-
me trovando la morte.
Quale lo spunto per iniziare un
dibattito dopo la visione di questo film? L’intento era quello di
attualizzare una realtà che, sempre viva nella nostra memoria,
appartiene al passato: i ragazzi
della Rosa Bianca vissero da
forti e coraggiosi cittadini.
Che vuol dire essere cittadini
oggi? Come essere cittadini? Vale
la pena esserlo? Da questi spunti e riprendendo alcune delle
parole del professor Viroli, si è
avviato il nostro dibattito, che ci
ha permesso di confrontarci e di
porci domande sul nostro modo
di vivere, sul nostro essere cittadini. È nata una lunga e ricca
discussione ed è stato bello condividere almeno parte di ciò che
è stato appreso, vissuto e scoperto durante i seminari.
La bellezza di questo corso, al
quale ho avuto occasione di partecipare è stata proprio quella
di discutere, approfondire, scoprire temi che non sono difficili da comprendere ma di cui
quasi mai si sente parlare in
modo esplicito, pensieri che difficilmente si concretizzano in
parole ben definite proprio perché quello del cittadino è uno
stile di vita, è un qualcosa che
si sente nel profondo del cuore.
E credo proprio valga la pena
trovare un modo per poter condividere queste emozioni.
Laura Pontoni, III C L. C.
29
2007
IL LINGUAGGIO DEGLI SMS
NL MZZO DL KAMMIN
D NSTR VITA...
OVVERO COME FU CHE
L’ITALIANO SI RITROVÒ IN
UNA SELVA OSCURA
(DI K E DI X)
…
utto ebbe inizio in un
giorno non troppo lontano ma neppure troppo vicino, il giorno felice in cui
vennero inventati i telefoni cellulari.
Questi attrezzi, comodissimi e
utilissimi senza dubbio alcuno,
si diffusero alla velocità del
lampo, e a quella medesima
velocità diventarono il sogno
proibito di tutta la mia generazione di ingenui adolescenti.
Sudato, implorato, spesso e
volentieri barattato, alla fine in
un modo o nell’altro l’Oggetto
giungeva nelle nostre manine
adoranti (magari dopo che finalmente i nostri intransigenti genitori avevano ceduto dietro promessa ricompensa di un bel
voto a scuola).
Così fu più o meno per me e presumo - per molti altri come
me.
Più o meno in quel periodo,
nelle nostre fetide ed insaziabili
zampette adolescenti giungeva anche qualcos’altro: Internet
(e chi aveva mai visto un computer prima?)
E sì, quando i due elementi cellulari e pc - si incontrarono,
si innescò la bomba a orologeria che avrebbe portato nel giro
di qualche anno all’inabissamento sempre più totale e palese della nostra adorata ed adorabile lingua madre.
Addio qualche! Addio perché!
Addio quando!
Ma occorre procedere con ordine, poiché a questa mia parola distratta sono sfuggite alcune piccole e fondamentali
cosette.
Occorre precisare innanzitutto
che i cellulari sono simili alle
peripatetiche: vanno pagati per
T
30
2007
i loro servizi. Ecco quindi fioccare le ricariche, i soldi, il business dietro questi innocui
aggeggini.
Ed ecco fioccare pure un’altra
cosa: le k, le x, letterine d’importazione alquanto infrequenti nel nostro alfabeto che, stranamente, iniziarono a fiorire
come rossi papaveri nel grano.
Avevano in ogni caso un loro
perché: giustamente, i messaggini costano e per risparmiare è necessario accorciare
le parole in modo da guadagnare spazio. Nulla in contrario
in questo. Ecco quindi che alcune lettere iniziano a sparire, altre
vengono contratte in modi spesso squisitamente arbitrari.
Ora accadde che qualche
tempo fa io stessi vagabondando in giro per il mio regno
virtuale (perché sì, io vivo di
pane e Internet); me ne andavo bel bella e ignara per la mia
strada quando mi imbattei in
una bestia veramente strana:
tale paxato.
Ammetto quindi di averci messo
due ignominiosi minuti per comprendere che non si trattava di
un qualche strano ibrido idioma
alieno, ma della strana deformazione della parola “passato”.
Oh b,, direte voi, e che c’è di
tanto strano?
Oh, io non lo so, so soltanto
che la mia unica reazione è
stata un brivido di puro orrore.
Brivido di orrore che ha avuto
il grande merito di farmi mettere alla tastiera a tediare un po’
il prossimo con la mia “pignoleria”.
Perché me la sono presa tanto,
vi chiederete?
Urge precisare a questo punto
che la sottoscritta si diletta a
frequentare gli ambienti “letterari” di Internet, nello specifico
quei siti che ospitano gratuitamente storie di autori dilettanti, oppure storie ispirate a libri
o film. La sottoscritta inoltre non
ha niente in contrario se la
cosiddetta “scrittura sms” viene
utilizzata nell’ambito in cui è
nata, vale a dire lo spazio
ristretto del telefonino cellulare.
Premesso questo, iniziai a notare una
cosa: che guarda
un po’, le storie
migliori dal punto
di vista stilistico
erano quelle di autori
sopra i vent’anni. Me ne
chiesi la ragione, e per puro
motivo di raffronto spulciai alcune storie di autori più giovani.
Notai quindi che questi ultimi,
unitamente ad un’ignoranza
spesso notevole di tipo strettamente sintattico e grammaticale - congiuntivi, questi sconosciuti!, presentavano anche un
uso massiccio e perlopiù ingiustificato di abbreviazioni.
Quelle stesse abbreviazioni da
messaggino grazie alle quali
perché diventa xkè, però diventa xrò, che diventa ke e le vocali subiscono un processo di sparizione peggio del senno di
Orlando!
Ma qui, badate bene, non si
parla affatto di sms.
Si parla di tutto il resto della lingua scritta.
Si parla di frasi scritte su fogli
bianchi dalla durata potenzialmente infinita, senza limiti di
spazio.
E infine, quel che ne risulta è un
“italianese” incomprensibile che
premia la velocità più della
forma.
Eppure tutto questo dovrebbe
essere così ovvio! Il nostro è il
mondo dell’immediatezza, ci si
può quindi aspettare qualcosa
di meno?
Difatti, chi prova a rimbrottare
qualcuno al riguardo si trova spesso coperto di insulti e finisce per
passare dalla parte del torto
(quante volte è successo a me!).
Come se le abbreviazioni non
bastassero, è stato osservato
anche uno strano e veramente
incomprensibile fenomeno di
assimilazione della k, per cui
quando non diventa soltanto
qnd (ah sì, devo ricordarmi di
dire qnd la prossima volta che
parlo, ma aiutatemi a pronunciarlo che da sola non ci riesco!) ma anche - orrore degli
orrori, bestemmia, sacrilegio kuando (e così anche kualke,
kualkuno e via discorrendo).
Qui non c’è neanche la scusa
della velocità, e io inizio seriamente a domandarmi se non ci
sia in ballo un qualche significato trascendentale a me ignoto. Cosa ci sta a fare una k lì,
io mi domando? Che sia un fattore estetico? Il tondino e l’asticella della q sono così brutti? O si tratta di moda?
Io provo sincero terrore ogni
volta che vedo implumi bimbetti
di otto anni armati di cellulare
ultimo modello con tele-fotovideocamera-computer incorporati.
Mi chiedo se davvero sia questo il destino dell’Italiano: quello di sprofondare sempre più,
novello Titanic, dopo essersi
sventrato contro un iceberg a
forma di K.
Maria Letizia Cardinali
V I A.S. 2005/2006
Le nanotecnologie
ella punta di uno
spillo, abbiamo
abbastanza spazio
per trascrivere tutti e 24 i volumi
dell’Enciclopedia Britannica…”
affermò Richard Feynman.
E, anche se potrà sembrare una frase
assurda, le parole di questo fisico in
un certo qual modo corrispondono
a verità, se viste attraverso il mondo
delle nanotecnologie.
Ovviamente, non tutti sapranno
quale sia il significato preciso di
questo termine. Per farci un’idea
cominciamo a immaginare qualcosa 200.000 volte più piccolo dello
spessore di un capello, così da percepire le dimensioni di un nanometro, che sono poi le dimensione
delle molecole e degli atomi della
cui manipolazione si occupa proprio la nanotecnologia.
Assemblando atomo dopo atomo,
molecola dopo molecola, si arriverebbe alla realizzazione di macchine nanoscopiche in grado di
compiere un lavoro preciso.
Le tecnologie tradizionali hanno
un approccio top-down, costruiscono in grande per riprodurre,
mentre la nanotecnologia ha un
approccio bottom-up, raggruppa
atomi, neutroni e protoni per formare molecole da far funzionare a
proprio piacimento.
Di questo vasto argomento ci ha
ampiamente parlato il professor
Rustichelli, venuto in visita nella
nostra scuola il 28 novembre scorso proprio perché noi avessimo un
primo approccio con questa nuova
e strana dimensione.
Molti, con ogni probabilità, non
avranno dato eccessivo peso a questa innovazione, ma credo che, visto
l’attaccamento smisurato che si ha
al giorno d’oggi per cellulari e
apparecchi elettronici in generale,
potrebbe suscitare grande interesse sapere dei futuri sviluppi delle
nanotecnologie nel campo delle
telecomunicazioni. Per Internet,
per esempio, si pensa ad una Rete
su scala mondiale che arrivi alla
velocità dell’ordine di grandezza di
migliaia di miliardi di bit al secondo, ovvero in grado di trasmettere
migliaia di miliardi di informazioni al secondo.
Non solo, si arriverebbe a telefoni
cellulari di terza o quarta generazione che funzioneranno a 100
Megabit (100 milioni) al secondo!
L’enorme attenzione, che si sta concentrando attorno a questo argomento, è giustificata dal fatto che
le conoscenze in questione posso-
“N
no riversarsi in un’ampia gamma di
applicazioni tecnologiche.
Ad esempio la possibilità di modificare la struttura molecolare della
materia potrà consentire di ristrutturare molti processi industriali per
la lavorazione dei materiali più
comuni.
Anche se non ce ne rendiamo
conto, ci sono molti prodotti da cui
siamo circondati che si basano sulle
nanotecnologie: a nessuno verrebbe mai in mente, per esempio, mentre gioca una tranquilla partita di
tennis, che la pallina che sta usando sia uno di questi prodotti. Invece
è proprio così, poiché grazie a queste tecniche è stato possibile sviluppare una membrana con migliori caratteristiche di permeabilità,
che garantisce che la pressione
rimanga sempre costante.
Ma, palline da tennis a parte, è il
caso di fare il nome di una cosa ben
più importante e sensazionale:
sapevate dell’esistenza di un nanocomputer, dotato dell’incredibile
capacità di diagnosticare tumori
microscopici e di realizzare subito la medicina che può distruggerli? Infatti, le molecole che lo compongono sono in grado di leggere
l’RNA delle cellule, individuare
eventuali difetti, diagnosticare così
il tipo di tumore e riuscire totalmente a distruggerlo, senza intaccare le cellule sane.
Le nanotecnologie si stanno rivelando sempre più essenziali e
potrebbero compiere grandi cose...
stanno invadendo ogni settore e in
ogni settore il loro approccio si sta
rivelando sempre di maggiore
importanza.
Perciò la prossima volta che ci
imbatteremo casualmente o non,
in questo argomento, proviamo a
ripensare a come cose tanto piccole
e non visibili ai nostri occhi, possono realizzare cose tanto grandi e
così manifeste.
Elena Cardinali
II B LC
…e le Biotecnologie
e Biotecnologie sono tecniche che sfruttano le
proprietà delle cellule
vegetali e animali per produrre
nuove varietà di piante o animali con scopi che vanno dal consumo alimentare alla produzion e d i f a r m a c i o va c c i n i , a l
trapianto di geni per contrastare
determinate malattie.
Tra le piante che subiscono processi transgenici vi sono il mais
e la soia (coltivati soprattutto in
Nord America) che vengono
modificate con geni estranei in
modo da divenire resistenti a
certi parassiti e insetti.
Uno degli aspetti negativi delle
piante geneticamente modificate è il problema dei geni resistenti agli antibiotici; infatti, poiché le piante vengono poi
consumate, potrebbero rendere
ineff icaci le cure antibiotiche
praticate sull’uomo per debellare malattie infettive; oppure
potrebbero dare origine allo sviluppo di allergie.
Lo scopo della ricerca è quindi
quello di produrre nuove soluzioni alternative sempre più sicure.
Le biotecnologie sul mondo animale procedono più cautamente
e si stanno solo sperimentando
alcune strade senza che vi sia
l’intenzione di mettere in commercio in breve tempo i risultati della ricerca: dal salmone che
pesa trenta volte il suo peso normale, agli animali che producono farmaci con il latte, alla umanizzazione di un animale (per
esempio il maiale) con un gene
umano per consentire che gli
organi del suino siano disponibili
per trapianti sull’uomo (xenotrapianti).
Proprio questi argomenti sono
stati oggetto delle due conferenze tenute il 15 Dicembre 2006 e
L
il 16 Gennaio2007 dalla dott.
Andreoni e dal prof. Mezzetti,
rispettivamente delle Università
di Urbino e di Ancona.
Sentir parlare della possibilità
di intervenire sulla materia manipolandola e operando su atomi e
molecole ci ha veramente affascinato, anche se siamo rimasti
perplessi e un po’ diffidenti sui
risultati che promettono le nuove
tecniche.
Ci rendiamo conto che esistono
molti problemi di carattere etico
e religioso ed è proprio per questi motivi che bisogna intervenire
cercando di sensibilizzare ed
istruire le masse mostrando come
e perché le biotecnologie portino vantaggi e possano migliorare la vita non solo in Occidente
ma anche nei Paesi in via di sviluppo.
Francesco Mattioni
II B L. C.
31
2007
Le pagine d
Come una candela
Caterina Pentericci IB L.C., 06-06-06
Giulia Orsi, III B LC
Cora Ceccarelli, II E L.S.P.P.
I raggi del primo sole
invadono il mio animo assopito,
la leggera brezza mattutina prude
sul mio corpo accartocciato,
il pudoroso ego si svela
rassicurato dal tempo immortale
non più intimorito dalla Sera
tumultuosa e scura che quasi fatale
gettava le sue ombre
sulle deboli viscere del mio cuore.
Mi sciolgo
nell’ombra,
candida,
mi consumo,
colo
lacrime di cera,
dense,
opache,
fredde,
dure,
come se
dimenticassi tutto,
in una fiamma nasco,
nel pianto vivo
e muoio,
come se quello
fosse il mio destino ,
accettato
con immobile
sottomissione;
al mondo
un grido silenzioso,
composto,
distaccato.
Lentamente finisco,
goccia dopo goccia,
in un sordo lamento
mi spengo,
affogando
il profumo,
in uno
stagno
di tenebra.
Dolore
Immenso abisso che si propaga
dentro me
Uomo perché non odi il mio urlo
disperato?
Insistente
Penetrato
Unico suono percettibile ma tu
insensibile
Come vento impetuoso che disperde
le foglie
tu fai lo stesso con le mie parole
Mai ascoltate
Percepite
Sono solamente fuggite mai
esistite
Rompi il mio silenzio!
Non guardare me solo dentro me
Distruggi il mio silenzio!
ora ascoltami dolore
Sconforto
Caterina Pentericci, 11-03-06
Sprofondo
Nel buio del mio sconforto,
Annego
Negli abissi del mio ego.
La madre
Caterina Pentericci, 07-05-06
Fra le onde spumose
del mare infuriato,
fra le nuvole burrascose del ciel
inchiostrato,
scorgi la luce sicura del faro
e sorgi
di nuovo nel caro
abbraccio di tua madre
che ti desta
dal sogno e poi ti apre
all’austera vita.
Tempo corrode il passato
Caterina Pentericci, 19-11-06
Tempo corrode il passato
Tempo vela i ricordi
Tempo cancella ciò che è stato,
ma Tempo non potrai entrare nei sordi
fondali profondi
delle viscere del mio cuore
e rubare il calore
dei secolari miei sentimenti.
L’adulterio della vita
Caterina Pentericci, 02-12-06
Vorrei afferrare un Narciso
per fuggire all’illusione
di questo mondo intriso
di spontaneo dolore.
Non fuggire al desiderio
che, se pur rattrista il mio cuore
gioisce per l’adulterio
della vita.
Tremule insicurezze
Caterina Pentericci, 19-11-06
Lento il giorno s’alza,
inesorabile il tempo passa
e io rimango immobile
inondata da pensieri incerti,
fluttuanti
sulle correnti della mia anima
flebile.
32
2007
Dolore di Donna
Risveglio dalla tempesta
ΜΕΛΙΧΟΣ
Giulia Orsi, III B LC
Al kleos
offristi il fiore dei tuoi anni,
mio adorato
eroe,
dal meriggio
al tramonto
danzasti tra i dardi,
splendido
in alie vesti celato
indomito
cavalier dell’Ellade
una
due
tre volte
t’uccisero
alle spalle
colpito da Febo,
vertigine ingiusta
d’un dio stolto,
nel mezzo
la schiena si sciolse
per mano troiana
cadesti a terra,
e
d’Ettore l’asta
ti strappò via
la vita.
Solo allora
non fuggisti la Chera,
t’avvolse,
e scendesti
nell’Ade
lasciando
il vigore,
lasciando
l’Amore.
Ma in me,
immortale,
tu vivi.
Girasoli
Giulia Orsi, III B LC
Sono ormai un girasole stanco,
stanco
di volgere lo sguardo al sorgere del
sole
e d’inchinarmi al tramonto
e al crepuscolo torcere di nuovo il
dolorante collo,
verso la vita,
verso la luce.
Febo Apollo,
accechi i tuoi figli
con l’ardore del tuo carro,
adusti ormai, sono i miei occhi
non dal fuoco delle tue lacrime,
ma dalla glacialità del tuo animo...
Voglio addormentarmi per sempre
avvolta nel manto del fosco
orizzonte,
celata da nubi a mezz’aria,
vana preghiera d’ un ateo;
non voglio sparire,
ma essere invisibile,
d’etere
le membra,
di marmo
il cuore,
per poi pattinare in un oceano di
diamante
e scivolare
tra le cosce della vita,
per carpire il frutto di una vuota
eternità,
per assaporare l’essenza d’un Dio,
che forse sà solo di paura.
Eterno letargo
Cora Ceccarelli, II E L.S.P.P.
Fermo e inevitabilmente immobile
come un tempo che fu
nella mia mente tu
Sei troppo forte perché io possa
respingerti
Con una potenza erculea mi sovrasti
mi comandi
mi possiedi
Io per te son solo l’ormai spento
fuoco dell’amore
che tanto amabilmente in te ardeva
si muoveva irrefrenabile
Tu per me sei ghiaccio e freddo
perenne costante immutabile
Ricordo costretto a ibernarsi per
colpa di un litigio tra amanti
che ora sognanti giocano a dimenticarsi
Il grido dell’Uomo
Cora Ceccarelli, II E L.S.P.P.
Ascolta
Non odi anche tu il fuggevole
e persistente grido dell’Uomo
intento farsi a sentire?
Perché mai siamo così sordi
ai sentimenti?
Non ci sforziamo in alcun modo
di capire
Come si può ignorare il potere
del Cuore?
Quella nota forza oscura
che ci possiede
e infervora le nostre gote;
L’immanità delle azioni a volte
è dettata da essa
ma solo la metà le commettiamo
a causa del nostro sordo orecchio
più peccatore della colpa stessa
Ascolta
e sii benedetto
Ignora
che tu sia maledetto
della poesia
La tua vita
Cassandra a Micene
In aeternum, partigiano
Lorenzo Focanti, III B L.C.
Al “Partigiano Johnny”
Perché il Partigiano Johnny
è uno qualunque di loro
Vescovo Francesca, V F
A volte ci guardiamo attorno
E tutto ciò che abbiamo desiderato sembra essere proprio lì…
davanti a noi…
Ma quanto è orribile poi aprire
gli occhi
Vedere che il paradiso
è in realtà l’inferno,
una dimensione da cui
non si può più fuggire
uno spazio chiuso
in assenza di aria.
Quando vedi che tutto intorno a te
è buio
Quando l’unica luce
della speranza
è solo pura immaginazione…
Quando ti rendi conto
Che la tua esistenza
non è come le altre
Che non è UNA vita…
Vorresti urlare
Sbattere la testa contro il muro
almeno cento e più volte…
Ma a cosa servirebbe?
Non vuoi
Non ci puoi credere
Perché proprio a Te?
Allora…
Forse solo allora…
Ti renderai davvero conto che
ciò che stai vivendo è
LA vita…
Non una qualsiasi…
Ma la TUA vita…
Quella che non puoi cambiare
Quella che ti sta alle costole
Quella fatta di salite e siscese
Quel viaggio lungo e faticoso
Che solo i veri eroi riescono ad
affrontare.
Magica
Assurda
Irripetibile
Cattiva
Fantastica
Malvagia
…
ma alla fine di tutto
LA vita
È UNA sola e bisogna portarla
avanti.
“capita che tutto il mondo
ti crolli addosso,
schiacci ogni tuo sogno e
renda vano ogni tuo sforzo…
che tutti quanti gli eventi
seguano un corso
ma l’alba dei più belli vede
presto il suo tramonto.
E delle volte ti capita che…
Che non trovi risposta
ai tuoi melle perché,
e delle volte ti capita che…
che più che credere in te
tu credi in quello che c’è…”
Ecco davanti a te l’alta dimora
In cui nero sangue sarà versato:
cadrà il toro sotto la scure doppia,
in un bagno di morte macellato.
Cosa sarà di te, lo sai già da ora:
la giovenca al toro sempre s’accoppia.
Maria Letizia Cardinali,
V I A.S. 2005/2006
Lasciasti la tua terra in silenzio, partigiano.
In aeternum, partigiano.
Non pensasti ai tuoi genitori, partigiano.
In aeternum, partigiano.
Partisti, partigiano, diretto chissà dove.
In aeternum, partigiano.
Diretto nei tuoi sogni, verso chi combatteva, partigiano.
In aeternum, partigiano.
E litanie di preghiera, e compagnie, partigiano.
In aeternum, partigiano.
Poi ti unisci a loro, partigiano.
In aeternum, partigiano.
A quelli come te, partigiano.
In aeternum, partigiano.
E trovi la morte, partigiano.
In aeternum, partigiano.
E vedi la guerra, partigiano.
In aeternum, partigiano.
La vedi in faccia, partigiano.
In aeternum, partigiano.
Quale mai l’avevi veduta prima, partigiano.
In aeternum, partigiano.
Ti svelle le membra, partigiano.
In aeternum, partigiano.
Ti battezza nel sangue, partigiano.
In aeternum, partigiano.
Nello scoppio e nell’armi, partigiano.
In aeternum, partigiano.
Sotto il cielo e nella terra, partigiano.
In aeternum, partigiano.
Nell’inverno e nell’estate, partigiano.
In aeternum, partigiano.
Tu li guardi in viso, partigiano.
In aeternum, partigiano.
I fucili su di te, partigiano.
In aeternum, partigiano.
E pensi al giuramento.
Oh, dei! Già vedo i miei futuri mali!
Io stessa mi predico la condanna!
Scorgo la terra che il sangue tracanna,
il denso sangue di due stirpi reali!
Spaccarsi vedi la vasca dorata
E l’acqua al suo interno spargersi fuori:
ride la regina e l’ascia bipenne
goccia rugiada di morte e dolori.
Orgogliosa l’aquila incoronata
Verrà denudata delle sue penne.
Ah, incostante, imprevedibile Sorte,
cui deve obbedir anche Zeus Signore!
Accomuni il vinto e il vincitore
In un medesimo fato di morte!
È il tuo destino, non puoi fuggire.
E non fuggirò! Cassandra, coraggio!
È il tuo destino, devi morire.
Vita felice... perduto miraggio...
Filemone e Bauci
Lorenzo Focanti, III B L.C.
Sparse le stelle nel cielo oltremare,
sognante la notte, calma e profonda;
lucente di perla e placido il mare,
bianca la luna si specchia nell’onda.
Bagnati di latte, in tiepida brezza
Una quercia e un tiglio sono abbracciati:
l’una con le fronde l’altro accarezza
questo la bacia con rami estasiati.
In aeternum, partigiano.
S’ergono lì, a monumento perenne
D’un tenero amore, giammai toccati
Da crudele accetta o da ascia bipenne,
viva effigie di sposi innamorati.
Ispirata dal libro di Beppe Fenoglio,
“Il partigiano Johnny”
Perché si possa non dimenticarli
Vita compiuta! Vecchi fortunati!
I Polidici
Fabio Ragni, IV C L. C.
I polidici è na cadegoria strana muntobè
Ce fa discorsi ma miga ce vole bè
Chi de sinistra, de destra o de centro
Tutto un magna magna stanne certo
Va tutti vestidi con giacche e cravattoni
E ai comizi ce rempe le recchie de paroloni
Pe piasse i vodi ce fanno grandi promosse
Per esempio de non facce pagà le tasse
Ce dice che giusteranno nigò
N’vece finisce tutto n’ten calderò
Se spartiscono pure la pensione
E non vogliono mai lascià le poltrone
Tutti capisciò e tutti miliardari
Che co luscì tanti soldi ce potrebbe sfamò
‘ncora l’Africani
Mi nonno dice sempre che chi fa la torta se
licca le mà
È proprio questo che essi sta a fa.
N’ somma se non sa decide de mettese
d’accordo pe facce sta in pace e in tranquillità
Credo che li dovremmo fa ammazzà!
Pe questo el politico voglio fa signorsì
Nede capido non fadiga per niè
e fa n’ sacco de quadrì!
33
2007
Autori jesini
ono molti gli autori della nostra
città che pubblicano libri, alcuni già affermati altri agli esordi, e forse non li conosciamo tutti
abbastanza. Invece vale la pena leggerli, perché a volte parlano di noi.
E altre volte, invece, ci aprono attraverso il racconto e la poesia spazi
insospettati di riflessione, immaginazione, in uno scenario variegato e
anche stimolante.Vi proponiamo una
rapida carrellata di titoli, messi gentilmente a disposizione dalla Libreria
Cattolica di Jesi (le descrizioni sono
tratte dalle quarte di copertina o dalle
pagine interne).
S
Lorenzo Verdolini
“La trama segreta”
Nel novembre 1931 un giovane e insospettabile impiegato di banca, Faustino
Sandri, viene arrestato a Oneglia, cittadina del Ponente ligure. Nella sua
abitazione gli agenti dell’Ovra scoprono un ordigno in via di fabbricazione
con una notevole quantità di esplosivo. Chi era Sandri? Con chi era in contatto? Quali erano le sue intenzioni?
Seguendo passo passo questa storia
dimenticata - fatta rivivere grazie a una
minuziosa ricerca d’archivio - l’autore s’immerge nel mondo finora poco
esplorato del terrorismo politico, che
proprio nel 1931 si manifestò con
un’improvvisa quanto effimera fiammata.
Ed. Einaudi, 2003, € 18,00
Massimo Fabrizi, “Guarda come
corrono i fiamminghi pedalatori”.
Narrato in terza persona, in un ritmo
incalzante ed avvincente, il romanzo è incentrato sulla personale vicenda umana e sentimentale di Fabio
Clementi, studente italiano in Belgio.
Il linguaggio, fortemente intriso d’ironia, pare riprodurre, attraverso gli
slang e le mescolanze linguistiche
tipiche del parlato giovanile, e non
solo, la babele linguistica della nuova
Europa unita. Sotto il nucleo principale della trama, costituita dalla storia d’amore, si celano in realtà prospettive d’indagine e di riflessione
ben più ampie, che spaziano da problematiche esistenziali a questioni
etico-sociali ed economico-culturali.
Fratelli Frilli Editori, 2002, € 7,50
Francesca Spaccia,“Come i cavoli a merenda”.
In questo libro d’esordio, con stile
semplice e felice, con sguardo fresco e a volte ironico, Francesca
34
2007
Spaccia affronta temi importanti
come la prostituzione, l’amore e il
rapporto con se stessi, con l’altro
che è racchiuso in tutti noi. Racconta
piccole storie di vita quotidiana
cogliendone vizi e virtù, a cominciare dal primo racconto: perché la diversità, che dovrebbe essere oggetto di
arricchimento culturale, diventa strumento di discriminazione sociale alimentata dalla paura di chi non conosciamo? Eppure è questa la realtà di
un piccolo paese di provincia dove un
giorno arriva Margherita, donna affascinante e ambigua, che sconvolgerà la quotidianità e l’immobilismo
che reggono il falso equilibrio dei
paesani.
Ed. peQuod, 2002 € 7,55
Andrea Piersantelli, “Selva infernale”.
La storia convulsa di questo libro è
ispirata ad un certo senso di rivolta
nei confronti della violenza e del
sopruso. Al meccanismo di inseguimento della preda da parte del cacciatore va sostituendosi bruscamente
l’azione di un terzo soggetto, almeno in apparenza privo di intenzioni e
di emozioni: la selva. L’insidia della
selva non assume un significato
sostanziale nella prima parte, né particolare nella seconda. Soltanto in
conclusione si sa trasformare nel
supremo predatore contro cui ogni
tentativo convenzionale di fuga risulta frivolo ed inefficace sino all’ultimo.
Prospettivaeditrice, 2003, € 8,50
Alessio Pasquinelli, “Il Cappello di
un Clochard”.
Una sera particolare, una sconosciuta, su un biglietto, mi lasciò in eredità queste parole: “Ho raccolto con
profonda emozione il sudore dell’artista che ha messo in gioco il canto
della sua anima. La sua voce continua a contornare paesaggi irresistibili. Non fermarti spirito ribelle... torna
presto ed un fortissimo IN BOCCA AL
LUPO! Ciao dolcissimo Alino, e sogni
d’oro”. Firmandosi per sempre nella
mia anima come... Lady Sweet.
Stampa Nova - Jesi, 2001, € 7,75
Martina Risté, “Una voce per
amica”.
“Al mio cuore grande, immenso, a
tutto l’amore che ho per me, per lui,
per i miei cari e per il mondo intero.
Per ogni creatura su questa terra
perché è l’immagine dell’amore di Dio
che ci ha donato il bene più prezioso... la vita. Spero che per il suo dono
di scrivere nelle mie mani possa
lasciare l’impronta preziosa della sua
generosità”.
Gabrieli Editore, 2006, € 10,33
Vittorio Graziosi,“La vita è un arco
teso”.
Il vento è cessato di colpo dopo aver
cancellato, nella notte, un po’ di storia degli uomini. Mario guarda le sue
mani e non le riconosce, le sente
nemiche, strumento di morte. Le rigira sotto la luce strofinandole tra loro.
Ha gli occhi fissi sulla macchia di
luce, come vedesse un film dove violenza e felicità non gli appartengono. Quella luce, nella stanza, svanisce. Non racconta più la storia di
nessuno né rievoca fantasmi. E questo va bene per sopravvivere una
notte di più.
Prospettivaeditrice, 2004, € 8,00
Maria Chiara Teodori, “A manoscritto”.
Questo racconto, fantastico, storico,
ambientato nei primi anni del millecinquecento, è costruito come se si
lavorassero maglie montate su tre
ferri per fare la calza. Il lettore, quarto ferro, dovrà lavorare le maglie dei
tre ferri e ricostruire la storia.
Prospettivaeditrice, 2004, € 7,00
Serenella Barbaresi, “Pensieri,
Riflessioni, Sentenze”.
Raccolta di massime tratte da autori diversi, con lo scopo di offrire spunti per la riflessione, indirizzi per dirigere lo sguardo, vie per iniziare un
passo in direzione migliore.
Prospettivaeditrice, 2006, € 10,00
ne ingegnere amante della natura e
camminatore instancabile che, attraverso i suoi itinerari in Vallesina, ha
raccolto foto, testimonianze ed aspetti storico-culturali del grande patrimonio della tradizione locale.
Stampa Nova - Jesi, 2006, € 12,00
Emanuele Ramini, “Quegli anni
Cinquanta - Jesi tra speranze e
nostalgie”.
Il cordaio e il canapino, lo stagnino, il fabbro e il facocchio, il carbonaio e le tante altre figure di artigiani che lavoravano nelle loro
piccole botteghe ed esprimevano
un’inventiva e una capacità straordinarie; le lavandaie che lavavano
i panni al Vallato o nei lavatoi cittadini; le maestre delle piccole
scuole elementari di campagna; gli
operai della Sima e le ultime sedarole; i giocatori della Jesina e le loro
mitiche sfide contro l’Anconitana,
gli emuli locali di Coppi e Bartali, il
maestro Triccoli e gli esordi della
scuola di scherma... Le lunghe file
di persone davanti alle Sale
Cinematografiche per vedere i
Kolossal del tempo; l’entusiastica
partecipazione popolare alla Festa
dei Fiori e al Carnevalone del Prato.
Un nostalgico ritorno alla Jesi degli
anni ‘50 e la ricostruzione delle sue
vicende politiche, economiche, culturali, sociali e sportive.
Gruppo Editoriale Informazione,
2005, € 14,00
Emanuele Colò, “Versi di un giovane analfabeta”.
Sentimenti, sensazioni ed emozioni,
versi scritti con l’intento di comunicare immagini e parole che hanno
affollato il cuore e la mente.
Libroitaliano, 2005, € 10,00
Cristiana Simoncini, “La pieve tra
Cupramontana e Apiro”.
Un libro, tratto dalla tesi di laurea
dell’autrice, che approfondisce aspetti poco conosciuti del nostro territorio, aggiungendo un capitolo di particolare interesse alla conoscenza
della nostra storia e dell’origine di
tante denominazioni e tradizioni che
sono arrivate fino ad oggi.
Ed. Cupramontana, 2005, € 7,00
Francesco Formiconi, “Vallesina
misteriosa”.
Memorie storiche e tradizioni leggendarie di carattere sacro e profano, fatti straordinari ed enigmi storici, clamorose truffe, tesori nascosti
e sette esoteriche, vicende umane e
aspetti particolari, curiosi o suggestivi
del paesaggio della Vallesina: questi
gli argomenti che il lettore interessato
alla cultura locale potrà trovare in
questo libro. Il vario materiale è organizzato in una specie di “guida vagabonda”; l’autore, infatti, è un giova-
Marco Torcoletti, “Gli Amatori Una famiglia nobile nel secolo della
borghesia”.
Una ricerca storica scrupolosa,
paziente e difficile che vuole, attraverso la storia di una famiglia - gli
Amatori di Jesi, Monteroberto e
Maiolati, guidarci anche attraverso
le fortunose vicende di un ceto
sociale: la nobiltà. E approfondire
la sua storia nel momento della
grandezza e della crisi, in cui seppe
conservare tuttavia dignità e virtù.
Effeci Edizioni, 2002
Vision to Visions
In Xanadu did Kubla Khan
A stately pleasure dome decree:
Where Alph, the sacred river, ran
Through caverns measureless to man
Down to a sunless sea.
So twice five miles of fertile ground
With walls and towers were girdled round:
And here were gardens bright with sinuous rills,
Where blossomed many an incense-bearing tree,
And here were forests ancient as the hills,
Enfolding sunny spots of greenery...
From “KUBLA KHAN” (lines 1-9) S.T. Coleridge
Disegni realizzati da:
Sofia Cartuccia e Riccardo Giustini, II B L.C.
Kubla Khan
Kubla Khan fece in Xanadù
un duomo di delizia fabbricare:
dove Alfeo, sacro fiume, verso un mare
senza sole fluiva giù
per caverne che l’uomo non può misurare.
Per cinque e cinque miglia di fertile suolo
lo circondò con torri e mura;
c’erano bei giardini, ruscelli sinuosi,
alberi da incenso in fioritura;
c’erano boschi antichi come le colline
e assolate macchie di verzura.
Traduzione di Mario Luzi
35
2007
O
Ai nostri giovani poeti e narratori proponiamo qui una
selezione di concorsi cui è possibile partecipare.
CONCORSI di POESIA e NARRATIVA
2) Premio Nazionale di Poesia “Dire” (aperto anche a studenti), organizzato dall’Associazione Culturale “Pegaso” di Biella
Presentazione testi a: Libert Libero Biondi, Presidente dell’Associazione
Culturale “Pegaso”, Via Quittengo, 3 - 13900 BIELLA (tel. 015-404120)
A
1) Concorso Letterario Internazionale “Città di Ancona” (anche con una
sezione “Studenti”), organizzato dall’Associazione Culturale
Marchigiana “Voci Nostre” (sede legale: Via Sabotino, 9 - 60124 ANCONA).
Presentazione testi a: la Circoscrizione,Via Cesare Battisti, 11/C - 60124
ANCONA (tel. 071-52748)
R
I
(con sezioni anche “Studenti”)
S
6) Euro Premio Letterario dì Poesia e Narrativa “Umberto Fraccacreta”,
organizzato dal Centro Culturale “L. Einaudi” di San Severo (FG).
Presentazione testi a: Segreteria Centro Culturale “L. Einaudi” (Prof.
Domenico Vasciarelli), Via M. Pagano, 56 - 71016 SAN SEVERO (FG)
(il concorso si svolge con cadenza biennale, negli anni dispari)
M
5) Premio Nazionale di Poesia e Narrativa “Pinayrano”, organizzato
dall’Associazione “Pinayrano”. Presentazione testi a Via Biscaretti,
15/5 - 10025 PINO TORINESE (TO). Tel. 011-842247
O
4) Premio Penisola Sorrentina “A. Esposito”, organizzato
dall’Associazione Culturale “Il Simposio delle Muse”. Presentazione
testi a: Via C. Amalfi 8 - 80063 PIANO di SORRENTO NA - tel. 0818787670, Dott. Mario Esposito.
M
3) Concorso Internazionale di Narrativa e Poesia “Atena”.
Presentazione testi a: Edizioni “Atena” (Redazione) Via F. Crispi, 9 73037 POGGIARDO (LE) - tel. 0836-909787
Tre indirizzi, un’unica sede . . . . . . . . . . . . 2
L’imaugurazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
Un ricordo del professor Ambrosi . . . . . . . . 3
Alberto Alberti in mostra al Liceo . . . . . . . . 3
L’Orestea nel III millennio . . . . . . . . . . . . . 4
L’etica sportiva: intervista doppia . . . . . . . . 5
Di che sport stiamo parlando? . . . . . . . . . . 6
Dai Greci ad oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
La fame nel mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Africa Meridionale: un continente sconvolto dall’Aids 9
Ti amo… da vivere . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
Che cos’è la poesia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
Le penne dell’Ippogrifo . . . . . . . . . . . . . . 12
Tutti contro uno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
Dante e l’ISLAM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
Progetto Fossa Mancini
Enrico Fossa Mancini - Nota biografica . . . 16
Cacciatori di fossili e narratori di storie . . . 17
Aristotele, le scienze della terra e i fossili . . 19
Sulle ali di un ippogrifo . . . . . . . . . . . . . . 21
Snuff, crimine più reale della realtà . . . . . 22
Eutanasia… buona morte? . . . . . . . . . . . . 23
Orientarsi in economia . . . . . . . . . . . . . . . 24
Sei romanzi sui classici . . . . . . . . . . . . . . . 25
Viaggio nella pubblicità . . . . . . . . . . . . . . 26
Bisogno di qualcuno . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
Cinque giorni sulla neve . . . . . . . . . . . . . . 27
Sui passi dell’amore . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
Essere cittadini: uno stile di vita,
una ricchezza interiore . . . . . . . . . . . . . . . 29
Il linguaggio degli SMS . . . . . . . . . . . . . . . 30
Le nanotecnologie . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
Le pagine della poesia . . . . . . . . . . . . . . . 32
Autori jesini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
Vision to Vision . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
Kubla Khan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
Concorsi di Poesia e Narrativa . . . . . . . . . 36
Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
Disegno di copertina di: Sofia Cartuccia, IIB L.C., su versi di Fabrizio De Andrè
“Un blasfemo”. 1971
MARZO 2007
LICEO CLASSICO STATALE V. EMANUELE II JESI
Anno 23 N. 1 • Indirizzi: Classico • Socio Psico Pedagogico • Scienze Sociali
Editore
LICEO CLASSICO STATALE
“V. EMANUELE II”
C.so Matteotti, 48 - 60035 JESI (An)
Tel. 0731.57444 - 0731.208151
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LICEO CLASSICO
LICEO SOCIO PSICO PEDAGOGICO
LICEO DELLE SCIENZE SOCIALI
Dirigente Scolastico:
Prof.ssa Giuliana Petta
Direttore Responsabile:
Enrico Filonzi
Comitato di Redazione
Coordinatori:
Prof.ssa Patricia Zampini
Prof.ssa Paola Giombini
Prof. Francesco Rossi
Studenti:
Anna Chiara Boschi - L.C. II B
Alessandro Mancia - L.C. III B
Giulia Orsi - L.C. III B
Sara Trillini - L.S.P.P. IV E
Ilaria Serpentini - L.S.P.P. IV E
Disegno di copertina:
Sofia Cartuccia - L.C. IIB
Stampa: Stampa Nova, Jesi
Reg. del Trib. di AN n.2 del 26.01.94
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