Ippogrifo - Comune di Jesi
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Ippogrifo - Comune di Jesi
MARZO 2007 LICEO CLASSICO STATALE V. EMANUELE II JESI Anno 23 N. 1 • Indirizzi: Classico • Socio Psico Pedagogico • Scienze Sociali TRE F INDIRIZZI, UN’UNICA inalmente, dopo una lunga concertazione, i tre indirizzi dell’Istiatuto, Liceo Classico, Liceo Socio Psico Pedagogico e Liceo delle Scienze Sociali sono stati riuniti in un’unica sede, l a s e d e s t o r i c a d e l l ’ ex Appannaggio. La nuova logistica, che abbiamo fortemente voluto S abato 21 ottobre l a Preside Prof. Giuliana Petta ha inaugurato i nuovi locali del Liceo classico, del Liceo socio-psico pedagogico e delle scienze sociali. Alla presentazione, che si è tenuta nell’Aula Magna sita al 1° piano della scuola in corso Matteotti 48, sono intervenuti i rappresentanti delle Istituzioni, del Comune di Jesi e della provincia di Ancona . Il Dirigente Scolastico ha salutato e ringraziato i presenti con un discorso rivolto alla forma- per una migliore unitarietà e qualità del servizio scolastico, offre un sostanziale ampliamento degli spazi didattici (aule, laboratori, biblioteche) reso necessario da un ormai consolidato trend crescente di iscrizioni ed un accentramento dei servizi amministrativi. La nuova sede unica dell’Istituto si configura come traguardo decisivo verso una didattica ed una progettualità scolastica di sempre più ampio respiro. Per questo risultato vogliamo ringraziare in primis gli enti locali e la Provincia di Ancona che hanno reso possibile l’accorpamento e tutto il personale della scuola, dal Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi Dott.ssa SEDE M.C. Zampetti allo staff di presidenza, dal personale ATA ai collaboratori scolastici che, con grande spirito di sacrificio, hanno predisposto i nuovi locali scolastici al fine di garantire un regolare ed efficiente avvio di anno scolastico 2006/2007. Il Dirigente Scolastico Prof.ssa Giuliana Petta L’INAUGURAZIONE zione dei giovani sia in ambito personale che sociale, ribadendo i diritti di ognuno di loro, soprattutto il diritto all’ascolto che molte volte viene violato sia da ragazzi che da adulti. Un’altra parte del discorso è stata rivolta ai ragazzi stranieri, che rivendicano la cittadinanza non come mondi a parte, ma come parte della nostra realtà, non solo come causa di problemi, ma come risorsa per risolverli. Per finire la Preside ha ringraziato tutto lo staff che quest’estate ha lavorato alla realizza- zione di una scuola finalmente unita, condizione indispensabile per la crescita umana e sociale degli adolescenti. Nella prima parte della mattinata le alunne del liceo socio-psico pedagogico e delle scienze sociali hanno presentato un lavoro di ricerca sull’acqua e sulla sensibilizzazione ai problemi ambientali, lavoro che entra nell’ambito del progetto della Regione Marche “Per l’ambiente si cambia”. Durante l’incontro è intervenuto il Presidente della Provincia Enzo Giancarli che La dirigente Giuliana Petta durante la consegna dei diplomi al teatro San Floriano nel luglio 2006. ha sottolineato i concetti, già espressi dalla Preside, sull’importanza di una scuola unita, evidenziando il fatto che al centro del processo educativo ci sono gli studenti, portatori di diritti, ai quali bisogna garantire servizi sempre migliori. Anche il Vescovo di Jesi Mons. Gerardo Rocconi è intervenuto evidenziando i problemi a cui vanno incontro i ragazzi che spesso non sono ascoltati dagli adulti, sottolineando l’importanza del dialogo costruttivo per la ricerca di una vita serena e votata all’ascolto del prossimo senza pregiudizi. L’evento ha suggellato gli sforzi di rendere viva una realtà scolastica nel cuore della città, polmone di cultura e di saggezza cui si guarda con sempre maggiore attenzione in una fase storica difficile, nella quale sembrano svanire o perdere vigore i forti valori che sono stati il baluardo della formazione di molti uomini che ci hanno preceduto. Filippo Maria Triccoli, III B L.C. Giovanni Cacciani, II A L.C. Francesca Giuliani, IV L L.S.S. Giacomo Martarelli, III F L.S.S. 2 2007 UN RICORDO DEL PROFESSOR AMBROSI E ra andato in pensione pochi anni fa, nell’agosto 2000, dopo una vita passata nella scuola e dopo che intere generazioni di liceali si erano formate, sotto la sua guida, alla dura disciplina della grammatica: quarant’anni di insegnamento del latino e del greco nelle classi del ginnasio, durante i quali è stato un’istituzione del nostro Liceo. Ha insegnato ai padri e ai figli, spiegando loro come orientarsi tra i meandri del Rocci e in mezzo ai trabocchetti della grammatica, di cui era conoscitore esperto e sul cui studio minuzioso e serissimo si sono fatte le ossa decine di classi ginnasiali. Il 30 luglio 2006, all’età di 73 anni, il professor Adolfo Ambrosi è morto a Jesi, e noi vogliamo ricordarlo qui e salutare con affettuoso rispetto la sua figura di docente che per una vita ha adempiuto con competenza e puntualità al suo ruolo di formatore di tanti giovani, contribuendo a costruire quell’immagine di serietà e di affidabilità che sul Liceo Classico di Jesi hanno depositato gli anni della sua lunga storia e le persone che vi hanno lavora t o. N o n l o d i c i a m o p e r auto-incensarci - sarebbe inopportuno ed inutile - ma perché crediamo che, nell’alternarsi delle generazioni, solo la memoria di ciò che siamo stati possa renderci consapevoli di ciò che siamo e darci i giusti stimoli per affrontare i difficili impegni del futuro. È per lo stesso motivo, in fondo, che in questa scuola studiamo i classici e la tradizione degli antichi. Il professor Ambrosi aveva iniziato la sua carriera di docente nel 1960 e quasi subito era stato incaricato dell’insegnamento delle materie letterarie presso il nostro liceo, in cui è rimasto poi come vincitore di concorso per tutto l’arco della sua vicenda professionale. Insegnava con grande competenza tutte le materie dell’ambito letterario, ma certamente ciò di cui ha lasciato il ricordo più vivo è stato l’insegnamento del latino e del greco nelle classi ginnasiali. Per anni, in questo ruolo, ha preparato i giovani usciti dalle scuole medie ad affrontare con adeguati strumenti il complesso percorso del triennio liceale, e gli alunni della sezione B ricordano ancora la precisione e l’attenzione con cui verificava la loro preparazione grammaticale, la loro puntualità nello studio, la loro capacità di tradurre i testi. Ricordano le versioni greche da lui composte autonomamente e proposte per la traduzione in classe e a casa, i sussidi didattici che distribuiva loro perché li studiassero, tra cui quei grandi fogli formato A3 - poi passati alla storia, nell’espressivo linguaggio studentesco, col significativo soprannome di “lenzuola” - su cui annotava manualmente con esattezza le casistiche più minute della morfologia e della sintassi. Un insegnamento rigoroso e indubbiamente anche esigente e severo, ma nella migliore delle accezioni di questa parola, che applicata a un docente sapp i a m o e s s e re , s p e s s o, u n complimento. I suoi alunni, che pure tanta fatica avevano fatto sulle sudate carte ginnasiali, hanno sempre poi detto di aver “vissuto di rendita”, una volta passati al liceo. Chi scrive ha del professor Ambrosi un ricordo da collega, non avendo avuto modo di conoscerlo come proprio insegnante. Un ricordo in cui emergono con vivezza sia le molte occasioni di confronto in sala professori, le osservazioni acute e penetranti, l’ironia, sia la grande capacità che aveva di inquadrare con efficacia il profilo degli alunni. I divertenti e istruttivi aneddoti sulla scuola di un tempo, di cui era stato testimone ed attore (ricordo in particolare lo spaventevole titolo in latino del tema di un concorso d’altri tempi che raccontò aver avuto modo di svolgere: “Quid Dantes de Statio sentiat”). Prezioso nell’indicare studi su cui aggiornarsi e nel prestare saggi e volumi, in particolare testi fondamentali italiani e stranieri non più in commercio, che metteva a disposizione con generosità, era una figura di riferimento per alunni e colleghi, e la città stessa in lui riconosceva una delle figure più note del Classico di Jesi. Un docente che alla scuola ha dedicato tutta la vita, svolgendo esemplarmente e ammirevolmente il suo lavoro attraverso un lungo periodo di tempo in cui questa istituzione è cambiata profondamente nelle strutture, nei rapporti, nel sentire delle persone; e in cui anche il nostro liceo è cambiato, si è ingrandito, si è attrezzato per essere al passo coi tempi e per rimanere un’istituzione importante nella vita della città. Ma se cambiano i tempi e le persone - non solo gli alunni, ma anche i professori e tutto il personale che porta il suo contributo alla costruzione di una scuola - solo il ricordo del percorso che si è fatto insieme può rendere consapevoli di ciò di cui si fa parte e capaci di svolgere con entusiasmo e impegno il proprio compito. Grazie, professor Ambrosi. (P. Z.) ALBERTO BERTI IN MOSTRA AL LICEO D all’11 al 25 novembre 2006 i locali del Liceo Classico hanno ospitato una mostra di Alberto Berti, sintesi dell’opera e del percorso dell’artista nato a Jesi nel 1938 (e diplomatosi presso il nostro liceo) il cui lavoro ha varcato negli anni i confini nazionali e internazionali. “Le opere recenti che Alberto Berti espone negli ambienti del L i c e o C l a s s i c o Vi t t o r i o Emanuele II di Jesi - scrive nella presentazione della mostra il prof. Attilio Coltorti - testimoniano come la ricerca del nostro artista si sia evoluta nel corso degli anni, fino ad approdare sulle sponde dell’astrattismo. Pur tuttavia non rinunciando a quelli che possiamo considerare come i tratti più caratteristici della sua produzione: la roton- dità dei contorni e la pastosità del segno (Russi), accanto ad un colore oggi più che mai vivo e maturo, su cui l’artista modula liberamente i diversi soggetti prescelti. Il prodotto pittorico che ne scaturisce, sempre espressivo della natura lirica dell’artista, sia esso relativo al tema del viaggio, tema particolarmente caro a Berti (per il quale i numerosi viaggi intrapresi in ogni parte del mondo hanno rappresentato delle vere e proprie tappe formative della sua esistenza), che all’intima necessità di visualizzare coloristicamente i propri stati d’animo, risulta sublimato in una sorta di neorealismo magico e trasognante. Che in una situazione compositiva oscillante tra vaghezza indefinita dell’insieme e rappresentazione ravvicinata di soggetti tipici (fiori, natu- re morte ecc.), è la valenza stilistica, ora profondamente decorativa ora poeticamente visio- naria, a costituire il denominatore comune di tutta la sua produzione artistica”. 3 2007 L’ORESTEA NEL III MILLENNIO I l rapporto madre-figlio, all’apparenza così elementare e quotidiano, portatore invero di una memoria ancestrale che riconduce ogni uomo alla sua origine. Dietro la figura materna è celato il lontano passato di una mentalità arcaica che nel correre inesorabile del tempo ha evoluto la propria gerarchia da madre a padre, da clan a società. Nel nucleo familiare e nei conflitti che lo attanagliano è riposta la storia della civilizzazione , ma, per ben comprendere questo, è necessaria una prima analisi dei componenti di tale nucleo e della proiezione che ciascuno di questi ha nel sistema sociale ed umano. Madre, Padre, figli. Madre: il doppio ruolo come dea della creazione e della distruzione. Quella terra di cui è fatto l’uomo, il grembo da cui nascono tutti gli alberi e le erbe, è il luogo in cui torna il corpo, il grembo della madreterra diventa la tomba. Madre emblema del ciclo vitale e delle limitazioni che ne derivano: nascita, vita, morte come prima essenza dell’essere. Padre: il ruolo di civilizzazione, portatore di giustizia e valori istituiti dall’uomo, il distacco dalla condizione istintiva e primordiale dell’essere. Padre emblema dell’artificiosa evoluzione dell’uomo da animale a cittadino per sfuggire, seppure in modo illusorio, a quel ciclo vitale di cui fa parte. Figli: il futuro della società, la potenza non ancora in atto. Eredi della condizione umana materna e dei valori sociali paterni, assorbono la storia dell’uomo e la proiet- 4 2007 Oreste uccide la madre Clitennestra ed Egisto teranno nella società che saranno tenuti a far evolvere. Figlio: emblema della speranza e della sete di progresso che inducono alla sopravvivenza. In questa visione sociale della famiglia ben si coniugano la tesi di Fromm secondo cui “Il rapporto tra madre e figlio è paradossale e per un senso tragico. Richiede il più intenso amore da parte della madre, e tuttavia questo stesso amore deve aiutare il figlio a staccarsi dalla madre e a diventare indipendente” e quella di Quilici secondo cui “Tutte le ricerche mettono in luce la fondamentale rilevanza della figura paterna ai fini di una equilibrata personalità e di un corretto comportamento sociale”. I caratteri di questo conflitto madre-padre sono estrapolabili dalla trilogia eschilea dell’“Orestea”: Oreste f iglio di Agamennone e Clitemestra - venuto a conoscenza dell’omicidio del padre per mano materna, brama vendetta, arrivando ad uccidere la madre, seppur vacillando davanti alle suppliche della donna: “Fermati, figlio; abbi rispetto, creatura, di questo seno, sul quale tante volte tu, addormentandoti, con le gengive hai succhiato il latte, la tua vita!”. Oreste, figlio e futuro della società, uccide l’istinto materno che cerca di affermarsi sulla complessa struttura sociale incarnata nella figura paterna. Oreste vacilla di fronte alla sua istintività, ma la annienta poi in nome di quella giustizia dettata dal vivere sociale. Questo mondo tribale macchiato di sangue - è quel mondo che persiste nell’ottica del clan, e quale esempio nei nostri giorni può essere più valido se non la mafia? Come scrive Emma Donti nella sua opera teatrale ‘Cani di bancata’: “La mafia è una femmina-cagna che mostra i denti prima di aprire le cosce. èè a capo di un branco di figli che, scodinzolanti, si mettono in fila per baciarla… La cagna dà ai suoi figli il permesso di entrare: “nel nome del Padre, del Figlio e della Madre e dello Spirito Santo„. Il mafioso risorge e riceve dalla Madre la benedizione. I fratelli lo abbracciano e comandano il giuramento: “Entro col sangue ed uscirò col sangue. Il patto si stringe.” Questo è infatti l’organizzazione maf iosa, una deficienza (dal latino ‘deficio’: manco, sono carente di qualcosa). È l’umano istinto che non si è evoluto in civilizzazione. È il ritenere debolezza e viltà il ricorrere alla giustizia ufficiale. È la Madre che male ha saputo coniugarsi al Padre. Il maf ioso è quindi il maggior portavoce di quel mondo a noi apparentemente così lontano: dal principio che ‘chi sa farsi rispettare’ deve aff idarsi alla giustizia delle sue mani per compiere la vendetta, deriva “l’omertà”, la regola cioè per cui è disonorevole dare informazioni alla giustizia per quei reati che l’opinione maf iosa crede si debbano liquidare tra offeso e offensore, secondo una legge di natura per lo più riscontrabile nel mondo animale anziché nel complesso sistema sociale umano. La domanda da porsi è allora questa: come supplire a questa deficienza quale la mafia è? Dal patrimonio letterario greco ci perviene la realtà di questa condizione umana che abolisce il clan in nome di una nuova organizzazione più civile e costruttiva. Gli antichi ci insegnano, e all’alba del III millennio sta a noi, eredi di questa verità assoluta, coltivarla e preservarla, non prestando attenzione all’uomo-animale che tenta di ancorarsi a una tribalità ormai volta all’estinzione. Riccardo Giustini, II B L.C. o sport, come altre realtà della nostra vita, svolge un ruolo, più o meno importante, all’interno di essa. E di sport, ma non solo, abbiamo parlato con due ragazzi della nostra scuola: due ragazzi che, di questo, hanno fatto una vera passione. Cristina Lenardon, 18 anni, nazionale di pallamano, e Andrea Petrignani, 14 anni, schermitore, campione interregionale di fioretto. Quanto tempo dedicate allo sport? Cristina: Mi alleno quattro, cinque volte alla settimana: l’allenamento, di solito, dura un’ora, un’ora e mezza, poi, tra la doccia e tutto il resto, non sono a casa prima di un’altra mezz’ora. Il fine settimana ho la partita a casa o in trasferta. Andrea: Mi alleno cinque volte alla settimana, solitamente dalle 17 alle 20.30». Quando avete iniziato a praticare il vostro sport? Cristina: In quinta elementare, con l’avviamento allo sport tenuto dalla mia società. Poi alle medie ho iniziato a giocare nei campionati giovanili, e dal primo superiore in A 2. Andrea: Quando avevo cinque anni, anch’io con l’avviamento allo sport; poi, dai sei, sette anni ho cominciato a gareggiare. La vostra famiglia vi ha sempre sostenuto nel vostro impegno sportivo? Andrea: Sì, anche perché la mia è una famiglia di sportivi. Mia madre è un ex-schermitrice ed ha partecipato ai mondiali; mio padre è un ex-arbitro ed ha diretto alle olimpiadi. Cristina: Si, i miei genitori, in particolare mio padre, mi hanno sempre sostenuta: accompagnandomi alle partite ed aiutandomi a far conviver lo studio con lo sport. Avete dei personaggi, dei punti di riferimento in ambito sportivo? Andrea: Nella scherma ho sempre ammirato Giovanna Trillini e Paolo Milanoli, e poi altri schermitori a livello nazionale e mondiale. Cristina: I miei punti di riferimento sono le ragazze che ho incontrato nel mio percorso sportivo: quando ho iniziato a giocare in A2 avevo quattordici anni, mentre la maggior parte delle mie compagne di squadra ne avevano ventisei, ventotto; il mio rapporto con loro è stato abbastanza formale, ma ho imparato lo stesso molto da loro. In particolare c’è una ragazza tra quelle, che ora ha una famiglia e dei figli, e continua a giocare ad altissimi livelli - è veramente un grande stimolo! Qual’è stato il momento più bello della vostra carriera sportiva? Andrea: Senza dubbio il 20 maggio 2005, quando sono riuscito ad arrivare, inaspettatamente, alle finali dei campionati italiani di spada. È stata una vera sorpresa, visto che la mia arma preferita è il fioretto. Tutto merito dei miei maestri che mi hanno spinto a provarci. Cristina: Quest’anno a giugno, quando la mia squadra ha raggiunto la finale dei campionati under 17. È stata la mia seconda finale - davvero una bella emozione! Negli ultimi anni si sono verificati di frequente episodi in cui sportivi, anche famosi, facevano uso di sostanze dopanti per migliorare le loro prestazioni, cosa ne pensate? Cristina: Nella mia realtà, non ho mai notato comportamenti del genere. Sicuramente la pallamano è meno toccata da queste vicende rispetto ad altri sport più visibili; comunque la mia idea è che, chi fa uso di queste sostanze, svilisce lo spirito dello sport: cioè quello di gareggiare per la soddisfazione personale e non per raggiungere, a tutti i costi, quel dato risultato. Tra l’altro, in questo modo, si sminuisce il lavoro di chi ha sudato per raggiungere certi obbiettivi. Andrea: Sono pienamente d’accordo. Ritenete che la scuola dia abba- stanza attenzione al ruolo dello sport? Andrea: No, certo i professori hanno ragione a dire che prima di tutto viene lo studio, ma quando ci sono ragazzi che fanno dello sport un vera passione, impegnando buona parte del loro tempo negli allenamenti, credo che dovrebbero esseri più flessibili nei loro riguardi. Cristina: Per me in genere lo sport a scuola non viene valorizzato come si dovrebbe: ci sono pochi progetti, giusto la corsa campestre di fine anno e poco più. Anche se non sono d’accordo con Andrea, quando parla di poca flessibilità da parte dei professori nelle scuole: personalmente sono sempre riuscita a conciliare lo studio con lo sport, anche se a volte, è vero, con qualche difficoltà. Secondo la vostra esperienza personale, trovate delle differenze tra la figura del professore e quella dell’allenatore? Andrea: Non molte, a parte le dovute disparità tra il mondo sportivo e quello scolastico, credo che le finalità del professore e dell’allenatore siano simili: trasmetterci senso di responsabilità e rispetto. Cristina: Anch’io penso che le finalità siano le stesse. Differenze ne vedo più sul comportamento del ragazzo nei confronti dell’una e dell’altra figura: all’allenatore, di solito, si presta più attenzione, perché si è sempre interessati a quello di cui parla; questo a volte non succede a scuola, che è vista, spesso, come un’imposizione. In generale, vi sentite più appagati dal vostro percorso scolastico o sportivo? Cristina: Dal mio percorso scola- stico. Sono, comunque, due forme di appagamento diverse: lo sport ti offre una soddisfazione più immediata e legata a quella data prestazione, mentre con lo studio i risultati si vedono con il tempo. Andrea: Dal mio percorso sportivo. Sarà perché non mi piace molto studiare, ma di certo, mi sento più appagato da una bella gara, che, per esempio, da una buona interrogazione. Quindi, in un’ipotetica scala di priorità, come collochereste lo ‘sport’, la ‘scuola’, gli ‘amici’? Cristina: Bella domanda, sono tutte cose importanti nella mia vita. Comunque, metto prima la ‘scuola’, poi lo ‘sport’ e gli ‘amici’. Andrea: ‘Sport’, ‘scuola’ e ‘amici’. Perché? Cristina: Perché se penso al mio futuro, ritengo che la scuola è la cosa che mi potrà offrire più possibilità di realizzarmi. Lo sport mi piace, ma non credo di riuscire ad impostarci la mia vita. Gli amici li ho messi per ultimi, non perché non siano importanti, ma perché ho poco tempo da dedicargli. Andrea: Prima lo sport, perché trovo sia molto stimolante; certo più della scuola, anche se, ha ragione Cristina, quando dice che questa ti apre molte prospettive per il futuro. Gli amici per ultimi, perché anch’io ho poco tempo, e tranne il fine settimana esco poco con loro. Quali sono i vostri obbiettivi, scolastici e sportivi, per il futuro? Andrea: Per la scuola, avere buoni voti ed arrivare alla maturità senza essere bocciato. Riguardo allo sport, quando avrò 16 o 17 anni, riuscire ad entrare nelle forze dell’ordine, che mettono a disposizione dei migliori ragazzi uno stipendio, buoni impianti sportivi per allenarsi e la possibilità di entrare nel mondo dello sport professionistico. Cristina: Dopo la maturità, vorrei fare architettura; ho in mente anche un progetto con la nazionale di pallamano, di cui, però, non parlo per scaramanzia. Comunque, vorrei che prospettive scolastiche e sportive continuassero a coesistere, riuscendo a prendere una borsa di studio con cui pagarmi l’università e gli allenamenti. Alessandro Mancia, III B L.C. s sp po or rt ti iv va a NTERVISTA DOPPIA L L ’’ e et ti ic ca a L’ETICA SPORTIVA I L 5 2007 s sp po or rt ti iv va a L L ’’ e et ti ic ca a 6 2007 L’ETICA SPORTIVA D ? DI CHE SPORT STIAMO PARLANDO? È I CHE SPORT STIAMO PARLANDO ad Olimpia, che si affrontano i corridori più veloci, là che si giudicano la forza, il valore, la resistenza alle fatiche” (Pindaro, Olimpica I). Sport ed etica, due concetti che ci giungono dal passato legati indissolubilmente nell’immagine fulgida del campione che vince, ma che lo fa nel pieno rispetto delle regole e degli avversari, che matura la vittoria in un impegno costante fatto di regole e disciplina, che sa plasmare il suo corpo e il suo spirito al gesto imposto dal suo cimento, che a volte perde ma sa trovare anche nella sconfitta nuovi stimoli ed insegnamenti, sempre teso alla ricerca affannosa del limite e della perfezione del suo gesto. Oggi, è ancora così? Certo anche il mondo dello sport si è dovuto piegare a quelli che sono gli interessi commer- ciali di una società che tende al raggiungimento del benessere economico. In molte discipline sportive, specie le più “visibili” per i media, gli atleti sono guidati dalle scelte degli sponsor, legati alle società da stipendi da favola che spesso non rispettano il reale valore . Sono veri e propri “personaggi”, conosciuti ed idolatrati, famosi come gli antichi corridori di Olimpia, ma questa gloria spesso è costruita a scapito del mantenimento dell’integrità etica. Gli sponsor pagano per i risultati, le società più hanno successo più riescono ad accumulare introiti, il “dio denaro” manovra a piacimento gare, tornei e campionati, molti atleti, troppi purtroppo, f inalizzano tutto al guadagno che deriverà dalla loro performance anche se per ottenerla utilizzeranno metodi che falsano le reali capacità fisiche. Non conta l’uomo, conta il risultato, il risultato ad ogni costo. Non credo che questo non lasci comunque neppure una lieve macchia nelle coscienze, ci si vanta del risultato ottenuto mascherandosi dietro un palliativo “tanto fanno tutti così; se voglio emergere, devo adeguarmi!” Come gli antichi atleti, essi sono presi ad esempio dalla massa sconosciuta; ma è forse questo il modello da perseguire? Per fortuna non tutto il mondo dello sport è così e, guarda caso, dove ancora esiste il rapporto etica-sport è proprio nelle discipline meno conosciute, quelle in cui gira meno denaro, quelle che vengono alla ribalta, se va bene, solo ogni quattro anni, in occasione di una diretta televisi- va o di un successo ai Giochi Olimpici. Sport nei quali il raggiungimento di un obbiettivo è ancora frutto di sacrifici, di rinunce, di duri allenamenti, spesso rubando spazio alla scuola, al lavoro, alla famiglia, perché di questi sport non si vive materialmente parlando, ma si trae da essi, proprio perché praticati con sacrif icio, una grande ricchezza morale. Il gesto atletico è puro, la competizione è leale, il legame tra gli atleti è onesto, basato sì sulla voglia di emergere ma anche sul rispetto reciproco. Sport come scuola di vita, ma una vita fatta di valori, di educazione e di disciplina, enfatizzando sempre l’uomo nella sua integrità fisico - morale e non il risultato in assoluto. Cristina Lenardon, III B L.C. DAI GRECI AD OGGI M orale, etica, lealtà, scorrettezza… li ritroviamo in tutto, in ogni ambito, in ogni scelta e sono sempre oggetto di riflessione, di disappunto, a qualunque contesto si voglia fare riferimento. Limitiamoci ora ad aprire una semplice parentesi sull’etica sportiva. Per modo di dire, perché poi la parentesi è tutt’altro che semplice. Per evidenziare la straordinaria evoluzione e il cammino fatto faremo anche qualche confronto con il passato. La società che senza ombra di dubbio si è maggiormente avvicinata al nostro ideale di sport è la Grecia classica, che ha dato enorme rilevanza ai Giochi Olimpici, giochi animati da un grande spirito religioso: sacra era l’occasione per i festeggiamenti del Dio, sacro era il luogo presso il quale si svolgevano le gare, sacro il rituale al quale si sottoponeva l’atleta per essere ammesso ai giochi. Ritenuta sacra, infine, l’origine stessa della festa. Si ripetevano ogni quattro anni, per una durata di cinque giorni e le specialità che venivano praticate erano gare di corsa, lancio del disco, lancio del giavellotto, lotta, salto in lungo, pancrazio, pugilato, corsa con i carri e infine la corsa con i cavalli. Fattaci ora un’idea (un po’ vaga) di come si svolg eva n o questi Giochi Olimpici, concentriamoci sulla figura dell’atleta. Possiamo constatare oggi come il campione sportivo sia designato come modello e messo sopra un piedistallo, ma nulla è a confronto della gloria e del clamore di c u i v e n iva investito un campione a quei tempi; nei poemi dello stesso Omero vengono ampiamente narrate gare in cui il successo di un partecipante aveva la stessa rilevanza di un trionfo riportato da un eroe in battaglia. Dietro l’audacia e l’incredibile voglia di prevalere su tutti non si celava però un fine materiale: ad ogni vittoria riportata non corrispondeva un compenso in denaro: la vittoria era prettamente morale, un guadagno che andava ad arricchire il valore interiore e faceva di un uomo oggetto di ammirazione pubblica. Il premio totalmente simbolico era un ramo d’alloro o di pino, eguagliabile alle medaglie in metallo date ora, riconoscimento eterno di un qualcosa di grande; anche se, ad onor del vero, il personaggio in questione, una volta tornato nella propria città, riceveva oltre alla tanta anelata fama, vantaggi concreti come premi in denaro, vitalizi, luto rispetto per una manifestazione di tale tipo, la comprensione che in quel momento nulla poteva precedere ed esigere più attenzione della gara in svolgi- ni hanno agevolato in ogni modo l’uomo nella visione di qualsiasi competizione, queste ultime si sono arricchite e sono divenute più interessanti: e allora perché mento. Ma, alla fine dei giochi, dopo tanto dilungarsi su valori, obbiettivi mancati, guadagni e potere, forse il vero significato della la maggior parte dei tifosi, di tutto il bello che ha il privilegio di vedere, spesso vede unicamente l’agonismo, la competitività e li trasferisce su di sé parola etica va colto nel messaggio che una manifestazione sportiva è in grado di inviare al proprio pubblico: se, quindi, il messaggio in questione porta tanti tifosi alla violenza, agli insulti e a commettere danni a volte irreparabili, allora può solo voler dire che il motivo dell’istituzione della gara non è stato poi tanto chiaro e che il suo valore morale non sia stato proprio recepito. Ciò su cui occorre riflettere è a mio parere la negativa trasformazione che l’atteggiamento degli spettatori ha subito negli anni: sono nati tanti altri generi di sport, le continue innovazio- come arma di contesa, discussione contro altri? Perché, anni addietro, la gente percepiva l’intoccabilità di questi eventi e ne faceva motivo di unione, unione sostenuta dalle solide basi di una passione reciproca e invece adesso, che materialmente abbiamo molto più di prima, questa intoccabilità non la sentiamo proprio ed ogni spunto è buono per farci la “guerra” tra noi? È troppo facile, però, puntare il dito solo sull’essere umano che di per sé non riesce più a cogliere i valori dello sport: perché non è un crimine, credo, perdere ogni sentimento di nobiltà nei confronti di questo mondo nel momento in cui si viene a conoscenza (come se ne sta venendo a conoscenza in questi anni) di tutte le falsità, le bugie passate per vere, le ipocrisie e i doppiogiochismi che vengono alla luce. È vero, spesso il tifoso assume comportamenti vergognosi, esasperando situazioni che dovrebbero rimanere tranquillamente nella norma, ma ugualmente vero è sostenere che spesso il tifoso ha sotto gli occhi questi illustri esempi proprio nel campo da gioco, nella televisione, ecc. Lo sport che vediamo oggi è spesso inquinato, la gente se ne accorge, e molti rispondono di conseguenza: lo stesso fatto di veder di continuo spuntar fuori atleti dopati, è alquanto sconcertante. Per chiunque non sapesse di preciso (oramai è piuttosto improbabile) cosa sia il doping, rispondo che è l’uso di sostanze che consentono di migliorare artif icialmente, soprattutto scorrettamente, le prestazioni dell’atleta. Cosa che non va unicamente contro l’etica sportiva, ma anche contro quella della scienza medica; fenomeno ormai di grande diffusione, che purtroppo non ha invaso solamente l’ambito professionistico, ma anche quello dilettantistico e perfino amatoriale. Nonostante ora sia divenuto un reato, quindi una colpa più facilmente sanzionabile, ciò non toglie che se ne faccia comunque largo uso: ennesima prova che tanti atleti antepongono la voglia di vincere e di portare in alto il loro nome, al senso di lealtà, correttezza, voglia di farcela unicamente con le proprie forze, senza dover dire grazie a nessuno a parte se stessi. Non importa il rischio che corrono, il fatto che lo strumento di cui si servono sia ingiusto a livello morale, il danno che comportano al loro fisico: ciò che conta è raggiungere l’obbiettivo, non conta il mezzo. Etica. Sarà pur bella come parola, ma quanto costa. s sp po or rt ti iv va a importanti cariche pubbliche. Precisiamo quindi che il buon esito della gara, come d’altronde ogni cosa a buon esito, aveva un suo profitto anche concreto, una comodità indubbiamente non trascurabile ma totalmente in secondo piano. Non è azzardato dire che lo sportivo dell’età moderna gareggi di certo per passione e per talento, ma sospinto in gran parte dal desiderio di arricchirsi e di raggiungere un ambita notorietà, mentre non è altrettanto esagerato dire che lo sportivo dell’antica Grecia partecipasse ad ogni competizione allettato, prima di ogni altra cosa, dalla voglia di completarsi come persona. Non è mio intento però, quello di dipingere gli atleti attuali come fredde macchine che usufruiscono delle loro doti al solo fine di guadagnare ed avere prestigio, ma sicuramente i loro propositi sono alquanto differenti rispetto a quelli degli atleti del passato; risultare vincitori, riferendoci a questi ultimi, significava incarnare l’emblema dell’ uomo ideale, aver raggiunto la completezza e l’assolutezza in quanto essere umano, la rappresentazione concreta di un individuo kalòs kai agathòs. Oltre a questo, c’è da dire che lo sport costituì un fattore di primaria importanza nella vita politica greca in tutte le fasi della sua storia, esercitando sulla società un grande impatto; i politici ne erano consapevoli e cercavano di sfruttare il suo grande potenziale propagandistico. Gli stessi epinici che venivano commissionati a poeti come Simonide, Bacchilide e Pindaro dagli atleti, possono essere letti anche come strumenti di propaganda. Si può dire che lo stesso insegnamento morale derivi dal modo di porsi verso le Olimpiadi, a cui si era educati: la sola regola, mai violata, di sospendere ogni guerra, ogni battaglia, non importa di che genere o rilievo, bastava ad impartire a tutti coloro che assistevano, la devozione e l’asso- L L ’’ e et ti ic ca a L’ETICA SPORTIVA Elena Cardinali, II B LC 7 2007 La fame nel mondo n pianeta urla per la fame e non solo… Diamoci una mossa! U 800 milioni di persone senza cibo Un mondo condannato alla fame ed alla sofferenza. Sono 800 milioni le persone, da un emisfero all’altro, che soffrono di fame. E non basta, perché la malnutrizione riguarda un numero ben superiore di persone: oltre 2 miliardi. Nel corno d’Africa, cuore della disperazione, l’80% della popolazione soffre di gravi malattie legate alla malnutrizione. I bambini sono soggetti alla caduta dei capelli, fino alla calvizie, alla perdita delle unghie e, talvolta, anche del primo strato di pelle. I1 mondo è pieno di affamati perché le risorse sono distribuite male. Per questo non è sufficiente aumentare la produzione alimentare, ma combattere la lotta su più piani: da una parte sviluppare l’agricoltura nelle zone più povere, proteggendo le economie rurali, e dall’altra correggere certi effetti dell’economia globalizzata: caduta dei prezzi dei prodotti agricoli, diffusione incontrollata delle colture industriali volute dai gruppi economici più forti, liberazione dei contadini e dei paesi poveri dal giogo dell’indebitamento. Occorrono interventi strutturali in grado di modificare le tendenze spontanee dell’economia mondiale. È necessario che i bisogni ed i contributi dei Paesi in via di sviluppo ottengano una giusta considerazione nel commercio mondiale. “Liberare dalla fame significa anche liberare dalla guerra”, ha detto il Pontefice in un suo messaggio. “Liberare dalla fame milioni di esseri umani non è impresa facile e presuppone di estirpare le cause stesse alle radici della fame, come guerre e conflitti interni”. 8 2007 La FAO ha calcolato in 10 centesimi di dollaro a persona all’anno il costo di una integrazione a base di ferro (l’anemia è la principale malattia da regime alimentare - colpisce un miliardo e mezzo di persone) del cibo destinato alle persone anemiche. Nella sola India un’operazione del genere verrebbe a costare 44 milioni di dollari l’anno. In Thailandia si è avuto successo con un programma che, prima di aggredire la malnutrizione, combatte la povertà. Il programma ha dato vita ad una serie di iniziative produttive, che comprendono l’introduzione di tecnologie agricole più moderne, la creazione di migliaia di centri di allevamento di bestiame ed il miglioramento delle strutture educative e dei servizi sociali: la carenza di proteine è stata ridotta così da una prevalenza del 51% fino al 21% in termini globali, mentre le forme più drastiche di malnutrizione sono calate dal 2,1% allo 0,01%. RAPPORTO UNICEF lavorare in condizioni estreme, come i “bambini soldato”, o quelli nei bordelli, vittime dello sfruttamento sessuale. Oltre 600 milioni, sotto i 5 anni, devono sopravvivere con meno di un dollaro al giorno, 200 milioni sono affetti da rachitismo per malnutrizione e oltre 110 non vanno a scuola. AIDS Ogni minuto 6 ragazzi sotto i 25 anni vengono infettati dall’HIV e l’AIDS colpisce soprattutto l’Africa: su 2,8 milioni di persone morte lo scorso anno il 79% era costituito da africani. RACHITISMO Carenze alimentari e mancanza di cure adeguate pregiudicano la crescita del bambino nei primi anni di vita. Nei Paesi in via di sviluppo il 39% dei piccoli sotto i 5 anni è affetto da rachitismo, mentre sono oltre 170 milioni quelli sotto peso. VACCINAZIONI 30 milioni di bambini non sono protetti dalle vaccinazioni obbligatorie (nel primo anno di età); tra questi 11 milioni muoiono per malattie che si potrebbero prevenire. ACQUA E SERVIZI IGIENICI È “allarme rosso” per la situazione dell’infanzia ne1 mondo. Ogni anno 11 milioni di bambini muoiono per cause facilmente prevenibili e molti altri si “perdono in mezzo ai vivi”, resi invisibili dalla miseria, non registrati alla nascita o costretti a Più di un miliardo di persone continua a non avere accesso all’acqua potabile ed un terzo della popolazione mondiale non dispone di servizi igienici, soprattutto in Cina, Congo, Etiopia, India, mentre sono 2 milioni i bambini che muoiono per malattie diarroiche ed altri disturbi legati al consumo d’acqua. MATERNITA’ ASSISTITA 44 milioni di donne non ricevono alcuna assistenza durante la gravidanza ed il parto. Questa è ogni anno la causa di morte di circa 600.000 puerpere e di 5 milioni di neonati prima, durante il parto o nella prima settimana di vita. Ancora oggi nel mondo oltre 130 milioni di donne hanno subìto la mutilazione degli organi genitali. COSA FARE Tutti gli uomini devono e possono battersi per la tutela dei diritti umani, troppo spesso violati. Non può esserci sviluppo se questo non è planetario: obiettivi dello sviluppo sono quelli di assicurare una condizione di vita dignitosa, un’alimentazione adeguata, un’assistenza sanitaria, istruzione, lavoro e protezione contro le calamità. Inter venire in aiuto delle Nazioni povere e combattere la povertà attraverso ogni mezzo; sostenere i programmi internazionali; diffondere il messaggio con campagne di informazioni capillari e ripetute nel tempo, al fine di sensibilizzare sempre più il cittadino; prom u ov e r e i n c o n t r i c o n l e Istituzioni, cooperando con esse per istituire centri di raccolta e per formalizzare programmi di intervento educativo; attivarsi con i media per diffondere l’obbligo della difesa dei diritti umani. Maila Trillini, V D L.C. AFRICA MERIDIONALE: UN CONTINENTE SCONVOLTO DALL’AIDS RIFLESSIONI A SULLE PROBLEMATICHE CHE OSTACOLANO UN EVENTUALE SVILUPPO DELL’AFRICA ttualmente il continente africano è quello meno ricco e con maggiori difficoltà di sviluppo e nella ricerca di stabilità economica. In tutto il mondo l’Africa rappresenta uno dei più grandi drammi che costantemente tutte le popolazioni appartenenti alle nazioni ricche ed industrializzate tendono a sottovalutare, o comunque ad accantonare. Ad aggravarne ulteriormente l’immutabile instabilità influiscono pesantemente dati, stupefacenti per la loro negatività, riguardanti la popolazione, la denutrizione e le gravi malattie che, in modo persistente, colpiscono uomini, donne e bambini africani, che non possono sfuggire a seri problemi per inadeguata igiene. Gli abitanti del continente africano sono danneggiati da malattie endemiche (affezioni a carattere diffusivo circoscritte ad un territorio determinato). Da sempre la povertà, le carestie e la fame affliggono l’Africa; negli ultimi decenni, però, queste problematiche sono divenute ancora più gravi, serie ed allarmanti. Gli Stati che si trovano in una condizione maggiormente precaria e che, a tutt’oggi, più ne risentono sono prevalentemente i Paesi colpiti da carestie, calamità e fenomeni naturali oppure quelli sconvolti da disastrosi conflitti. L’Etiopia, il Sudan, il Niger, il Burkina Faso sono solamente alcuni esempi di nazioni oppresse dalla fame e dalla malnutrizione. Dati statistici sconvolgenti hanno portato alla conclusione che ogni bambino africano ha una possibilità su dieci di rischiare una morte prematura, prima di aver raggiunto il primo anno d’età e che una donna incinta ha una probabilità su venti di morire prima ancora di terminare la gravidanza, di mettere alla luce suo figlio oppure durante il parto stesso. Milioni di persone, non solo in Africa, soffrono per mancanza di cibo, fame quantitativa o qualitativa. A ciò si aggiunge che i Governi africani ed i Capi di Stato del continente hanno in precedenza attuato una riduzione netta degli investimenti stanziati per la Sanità, che più richiedeva di particolari attenzioni e di impiego di denaro. Questi tagli in ambito sanitario sono stati per lo più effettuati in seguito al fatto che i Paesi del Terzo Mondo dovevano far fronte al debito estero, che ha messo in una posizione di seria difficoltà in particolare l’Africa. Accanto a simili problematiche si pone anche un ulteriore aggra- vante: la continua crescita demografica a cui sono sottoposti gli abitanti di questo continente. Dal 1900 ad oggi, infatti, la popolazione dell’Africa è quasi quintuplicata. In tutta la Terra sono sicuramente presenti altri territori sconvolti dal boom demografico del quale sono state oggetto, quali, ad esempio, l’Asia e l’America Latina; questi ultimi però non registrano percentuali paragonabili di crescita demografica, tanto allarmanti quanto i dati statistici africani. Ad accelerare il ritmo della mortalità è comparsa intorno agli anni ‘80 del’900 la sindrome da immunodeficienza acquisita, meglio nota con la denominazione di AIDS. Questo morbo è stato addirittura identificato con la “peste del Duemila”, e l’unica soluzione per poterla sconfiggere è stata considerata esclusivamente un’accorta prevenzione. La sensibilizzazione verso tale malattia è stata insistentemente promossa dai mass-media nei Paesi occidentali. In Africa però, come si può ben capire, ben pochi hanno la possibilità di possedere un televisore o anche solo di avere una radio, soprattutto se si parla di persone che vivono in aree rurali o periferiche piuttosto che in centri urbani. La sindrome da immunodeficienza acquisita, un tempo etichettata come malattia fatale, si è trasformata negli ultimi anni, secondo un editoriale uscito sul New England Journal of Medicine, in una malattia infettiva curabile. I successi della medicina, però, appartengono ai Paesi industrializzati e sono un privilegio di pochi: basta rivolgere lo sguardo all’Africa per ricavarne un quadro totalmente differente. L’inizio della storia dell’AIDS risale probabilmente agli anni Trenta proprio nel continente africano. Solo dopo circa cinquant’anni s’iniziò a considerare l’infezione come un pericolo per la salute generale. Da allora si sono contati cinquanta milioni di persone che hanno contratto il virus: in Africa muoiono per AIDS più di cinquemila persone ogni giorno, e le previsioni fanno salire questo numero a tredicimila. I primi a farne le spese sono stati gli abitanti dell’Africa centrale, mentre secondo gli ultimi dati la parte del continente più colpita è ora quella meridionale. Nell’Africa subsahariana, dove vive circa il 10% della popolazione mondiale, si trova il 70% dei sieropositivi o dei malati di AIDS: ogni minuto sono contagiate dieci persone, ogni giorno dodicimila. Il Sudafrica detiene il triste primato della velocità di diffusione del virus, con millecinquecento persone infettate ogni giorno. La terapia dell’AIDS, che richiede una combinazione di farmaci, controlli della carica virale, nonché monitoraggi attenti e continui, trova un ostacolo ulteriore nella mancanza di un’organizzazione adeguata del sistema sanitario locale, altro punto da sanare, per il quale, ovviamente, occorrono, ancora una volta, disponibilità economiche. Secondo uno studio dell’UNICEF solo negli anni Novanta l’AIDS ha ucciso le mamme di 5,5 milioni di bambini al di sotto dei quindici anni, nel 2000 gli orfani africani di madre o di entrambi i genitori sono stati circa 10,4 milioni, una cifra che copre il 90% di tutti quelli resi tali dal virus. È da ricordare, però, che in alcuni Stati africani si sono riscontrati miglioramenti o sono stati compiuti dei significativi progressi. Ad esempio, il Senegal ha portato la percentuale di infettati sotto il 2% e l’Uganda, da cui si è verosimilmente originata l’epidemia di AIDS in Africa ha potuto, in cinque anni, ridurre del 200% il numero di ragazze colpite dal virus, del 30% il tasso di infezione delle donne incinte e del 5% il numero di adulti contagiati fra il 1996 ed il 1997. La popolazione africana è sempre più composta da bambini ed anziani; la vita media, che dall’inizio degli anni Cinquanta all’inizio degli anni Novanta era passata da 44 a 59 anni, è ora nuovamente crollata a 45 anni. Purtroppo la situazione si mantiene costantemente complessa e non è possibile sbloccarla: mancano i lavoratori, e ciò va a stravolgere l’economia di Paesi già di per sé poveri, in cui la povertà è un ostacolo alla prevenzione, alla diagnosi ed al trattamento sanitario dell’ AIDS che prevede costosi farmaci. Nei Paesi africani non è scontata la possibilità di una terapia preventiva adeguata durante la gravidanza ed il parto. La questione dell’allattamento poi presenta differenti implicazioni. Nei Paesi industrializzati l’alimentazione artificiale evita la possibilità di trasmissione del virus attraverso l’allattamento materno. In territori come l’Africa è fondamentale una valutazione locale mirata delle condizioni esistenti, del tipo di allattamento consigliabile nei diversi casi (in base anche alle terapie preventive disponibili), della durata e dell’epoca migliore per lo svezzamento. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità in Africa il virus ha contagiato approssimativamente trentaquattro milioni di persone. In ben undici milioni e mezzo sono già morte. Chi rimane o è già ammalato o ignora la propria condizione. Diversamente dagli altri Paesi, la diffusione della malattia avviene soprattutto per via eterosessuale e tra madre e neonato, ma in Africa – secondo quanto affermato da Peter Piot, Direttore esecutivo dello specifico settore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – solo l’1% circa delle persone sieropositive è consapevole di esserlo. Cinque grandi compagnie farmaceutiche hanno dichiarato, a metà maggio, la loro disponibilità a ridurre drasticamente (si parla del 70-80%) il costo dei farmaci contro l’AIDS per il continente africano, flagellato e messo in ginocchio dalla malattia. Gli Stati Uniti non hanno interferito nella decisione eventuale di Paesi africani di produrre in proprio e fuori brevetto i farmaci anti-AIDS. Gli aiuti economici e la maggiore disponibilità da parte delle multinazionali farmaceutiche, però, non possono risolvere a pieno la rilevante problematica. La soluzione, infatti, deve venire dall’Africa stessa, da una presa di coscienza delle Autorità politiche e religiose, da una politica sanitaria che agisca su tutti i fronti, non miri alla discriminazione del malato e tenda a non fargli nascondere la sua condizione. Con uno dei computer più potenti del mondo alcuni ricercatori del Los Alamos National Laboratory, nel New Mexico, hanno studiato una base dati completa delle sequenze genetiche delle varianti dell’HIV-1. A partire da centosessanta di esse, l’applicazione di modelli matematici per lo studio dell’evoluzione a livello molecolare ha permesso di risalire al periodo storico in cui queste hanno avuto origine: sembra infatti che la diversificazione da un virus comune avvenga in particolari condizioni, quali la trasmissione dell’infezione a un nuovo ospite. Secondo i calcoli dei ricercatori la comparsa del virus sarebbe da situare tra il 1910 ed il 1950, con tutta probabilità intorno al 1930. La nuova data proposta mette in dubbio la controversa ipotesi secondo la quale l’inizio della diffusione dell’AIDS sarebbe da connettere con l’utilizzo, in Africa, di lotti contaminati di vaccino orale contro la poliomielite fra il 1957 ed il 1959. Angela Anconetani Lioveri, V D L.C. 9 2007 TI U na delle nuove esperienze della scuola superiore è stato l’incontro con il dottor Luca Butini per il Progetto di Educazione alla Salute Prevenzione A.I.D.S. A noi alunni delle classi prime è stato precedentemente proposto un questionario che aveva lo scopo di saggiare le nostre conoscenze sull’ argomento. Sulla base dei risultati delle risposte, il dottor Butini quindi, ha impostato la propria lezione in modo che potesse colmare le nostre lacune o comunque far luce sui nostri dubbi. Si sono quindi riunite le classi interessate al progetto. Il dottor Butini ci ha chiarito lo scopo del suo intervento, cioè aiutare i ragazzi della nostra fascia d’ età, a prendere conoscenza di questo problema e, quindi, ad avere comportamenti adeguati nella vita di tutti i giorni. Ha proseguito la sua lezione, aiutandosi con le immagini e illustrandoci, in modo scientifico, quello che è la malattia dell’A.I.D.S. Nonostante la complessità di alcuni termini usati in medicina, il dottore è riuscito a spiegarli con parole più comuni e a renderceli più comprensibili. La parte, forse, più produttiva e utile è stata il momento in cui , rivolgendosi a noi, portava degli esempi di situazioni che potevano essersi verificate o comunque che potevano capitarci nella vita quotidiana. Così facendo, ci ha reso molto interessati e attenti alle sue parole e alle sue spiegazioni. Arrivati dunque alla fine della lezione programmata, il dottor Butini si è detto disponibile a rispondere ad eventuali domande per chiarire i dubbi rimasti. 10 2007 AMO DA… VIVERE Inizialmente c’era una certa esitazione da parte nostra: era difficile parlare di certi argomenti! Poi però il dottore ci ha incoraggiati ad interagire e a cogliere quell’occasione e sfruttarla: infatti non ci sono molte possibilità di avere a disposizione una persona con tale preparazione sull’argomento, disposta a capire le nostre richieste e in grado di darci risposte utili e corrette. Abbiamo quindi cominciato a parlare, riuscendo ad esprimere dubbi ed incertezze anche su questioni che potevano, in un qualche modo, imbarazzarci. Il dottore ci ha fornito risposte molto chiare e, allo stesso tempo, precise e dirette, direi molto adatte alla nostra età, come quando ha spiegato lo slogan dell’ANLAIDS “Ti Amo da… vivere” che molti di noi non avevano compreso! Ha reso, così, facile e comprensibile un argomento importante e delicato, di cui ci ha permesso di avere una conoscenza molto puntuale. Secondo la maggioranza degli studenti partecipanti al Progetto, quest’intervento è stato a dir poco utilissimo, efficace e una valida proposta anche per gli anni a venire. Quest’esperienza ci ha interessato e coinvolto, in quanto trattava di un tema attualissimo e molto sentito, specialmente tra i più giovani, di cui è importante sapere il più possibile. Dunque un grazie al disponibile e preparatissimo dottor Butini, che è sicuramente riuscito nell’obiettivo di conoscenza-prevenzione dell’A.I.D.S e alla scuola che ci ha offerto questa importante opportunità. Jenny Galli, II E L.S.P.P. Che cos’è la poesia C os’è davvero la poesia? Lo so, lo so, potrebbe apparentemente sembrare una domanda un po’ marzulliana, ma in realtà provate un momento a soffermarvi sul vero significato di questa parola. Noi, la classe VA, abbiamo cercato di farlo durante l’incontro con la poetessa Maria Rita Sampaolesi, la quale ci ha guidato in un percorso, volto ad approfondire questa tematica, coadiuvati dalla prof.ssa Valeria Fava. A scuola siamo soliti affrontare lo studio della poesia, ma, in questa occasione, ci siamo riproposti di farlo in una maniera del tutto nuova, nell’arco di tre incontri. Dapprima ci siamo immersi nell’approfondimento della ricerca lessicale, da eseguire per un componimento. Lasciati alle spalle i soliti cliché e luoghi comuni, ci siamo soffermati a riflettere in merito alla lingua italiana ed all’uso che ne facciamo nel quotidiano. È emerso che troppo spesso compaiono nei nostri discorsi vari intercalari (diciamo, comunque, praticamente, cioè…). “Cioè, in pratica ripetiamo sempre le stesse parole, diciamo, e la conseguenza è quella di, appunto, perdere una viva proprietà di linguaggio e spogliare l’italiano della sua ricchezza”. Come è accaduto in questa frase. Il messaggio stesso risulta meno diretto ed efficace, non sortendo magari l’effetto desiderato. Questo si verifica nel linguaggio comune, ma, in maniera particolare, in poesia, dove la scelta delle parole deve essere molto accurata: l’obiettivo è creare con un linguaggio carico di senso un’atm o sfera, un pensiero, un’emozione. Abbiamo pertanto sintetizzato i punti chiave nell’ambito poetico: “la parola innamorata” perché esistono termini particolarmente vicini alla nostra sfera emotiva, “l’imperialismo del significante” in quanto un ruolo fondamentale viene oggi assunto, purtroppo, solo dal piano del significante, per cui “non parliamo parole, siamo parlati dalle parole”. Dobbiamo ricercare, invece, un linguaggio in cui chi ci legga possa leggersi, possa, cioè, individuare nelle parole dell’altro il proprio personale percorso, il proprio sentire. Nel secondo incontro, invece, ci siamo occupati dell’analisi testuale, comparando due poesie: la prima di Ungaretti e l’altra di Neruda. La poesia all’interno dell’esistenza dei due autori costituiva il tema portante delle opere, sviluppato però in maniere diametralmente opposte. Infine, nel terzo incontro abbiamo concluso questa attività, scindendo tra le parole “pesanti” e “leggere”. Le prime descrivono in modo preciso il soggetto del componimento; mentre le altre sono più evanescenti, sfruttando il potere evocativo. Neruda si avvale prettamente di queste ultime; mentre Ungaretti predilige uno stile più scarno sul piano delle figure, ma ricco di vocaboli “pesanti”. Si è in tal modo conclusa questa esperienza al fianco di una personalità indubbiamente molto preparata; ma non si può però dire finito il nostro contatto con il mondo della poesia. Il più grande insegnamento della signora Sampaolesi resta quindi la volontà di farci amare questa forma d’arte, che altrimenti resterebbe soltanto una delle tante discipline scolastiche, che ci viene imposto di studiare. Invece la poesia è parola di vita, ed appare essenziale, ogni giorno di più, riscoprirne la magia ed il potere riflessivo, per riuscire a vivere con maggiore consapevolezza. In un mondo sempre più frenetico, si può nutrire il bisogno di momenti in cui dedicarsi alla riflessione, di ascoltare soltanto la propria voce. È stata appunto questa la motivazione che ha spinto la poetessa ad intraprendere la sua professione. Infatti, superato l’impatto iniziale, (siamo rimasti stupiti di fronte ad una donna così elegante e di classe… dove è finito il mito dei poeti maledetti?!) è stata in grado di entrare in contatto con noi. Era impossibile non scorgere in lei una luce particolare. Una presenza davvero illuminante. Mi è parsa una donna con un trascorso importante alle spalle, sempre capace, però, di guardare al mondo con occhi nuovi. Credo che il suo profondo amore per la poesia la inducesse a condividere questo suo interesse con noi. Ci ha invitati a riflettere senza imposizioni, semplicemente ci ha permesso di spaziare, proprio perché la poesia ci concede la libertà di esprimere la nostra anima. Ciò che più mi ha colpito in lei è stata la presa di coscienza del fatto che non si è sempre pronti ad esternare le proprie emozioni e si nutre spesso la necessità di darci del tempo per maturare. In fondo, ognuno scrive per sé, ma ad un certo punto si può manifestare anche una volontà, l’esigenza di prendere i propri scritti dal cassetto e condividerli con gli altri, senza alcuna costrizione, in assoluta libertà, soltanto perché si è maturi e pronti per farlo. D’altro canto, coloro che esercitano questa arte sono strumenti dei propri sentimenti e non possono fare altro che seguire questo loro istinto. Per concludere vorrei anche precisare che dare una definizione di poesia è molto complesso, proprio perché, come molte altre discipline artistiche, non si esplica su un piano che può essere considerato soggettivo. Potremmo, però, guardare alla poesia con un respiro più ampio: a mio giudizio si tratta di una forma d’espressione trasversale, con la quale si può intendere un qualunque mezzo in grado di scaturire emozioni profonde. Quando leggendo nutriamo questa sensazione di vuoto colmato nel profondo, questa certezza di non essere i soli a sentire il peso di un messaggio: allora abbiamo le netta sensazione di trovarci di fronte allo scritto di un poeta. Pertanto vorrei porgere a tutti l’invito delle poetessa ad esprimere le proprie emozioni, attraverso vari metodi espressivi. La poesia ne è un esempio! Laura D’Ascanio, VA 11 2007 Le penne dell’Ippogrifo Giunto ormai alla terza edizione, anche quest’anno il concorso letterario “Le penne dell’Ippogrifo” ha visto cimentarsi i nostri studenti con la difficile arte della scrittura. Il tema intorno a cui i giovani talenti dovevano esercitare la loro creatività era “In viaggio: itinerari d’altrove”. E, a meritare la palma della vittoria per il 2007, è stato il racconto “Il domani non è che il viaggio di ieri” di Mark Bakkum, della I C del Liceo Classico, che verrà premiato con un buono di 100 euro per l’acquisto di materiale scolastico offerto dalla MATT - OFFICE 1 SUPERSTORE di Jesi. Seconda si è classificata Alessia Balducci, della V B del Liceo Classico, con il racconto “Viaggio altrove”, aggiudicandosi un buono dello stesso tipo per l’importo di 60 euro, e terza Cora Ceccarelli, della II E del Liceo Socio-psico-pedagogico con il racconto “Fragile”, che ha vinto un buono di 40 euro. Pubblichiamo qui il racconto la cui vittoria è stata decretata dal verdetto di una giuria composta da docenti e studenti dei due licei. Il domani non è che il viaggio di ieri Era felice quel giorno, felice come non mai, il cielo limpido con qualche piccola nuvola bianca che correva veloce, quel vento fresco che gli accarezzava i capelli, il sole radioso che quasi irreale si stagliava nel cielo, grande e luminoso, le cime bianche che sfidavano il cielo che come Icaro non avrebbero mai raggiunto. Si sedette per terra emozionato, meravigliato e chiese: “Perché una cosa così bella è così difficile da raggiungere?” Ridendo gli si avvicinò, si sedette vicino a lui e gli rispose quasi sussurrando: “Vedi, il bello di una cosa non è solo in se stessa , ma nel desiderio che una persona prova per questa. Se per esempio quello che tu vedi ora fosse comune nessuno si fermerebbe a osservarlo meravigliato, anche lo smeraldo non è nient’altro che una pietra, ma è rara e difficile da 12 2007 trovare”. Non gli piacevano queste risposte serie e noiose, non le sopportava e, lasciandolo parlare invano, si mise a osservare un piccolo fiore che faticosamente emergeva tra i sassi. Era proprio bello. Faticosamente ricordava questo evento, sinceramente non capiva nemmeno perché ci stesse pensando. Ormai tutto era diverso, non era più giovane come allora, non si inerpicava sulle montagne, non si divertiva più d’estate ad andare a fare il bagno al mare, non correva più dietro al suo cane. Era un uomo quasi anziano, seduto su una poltrona rossa imbottita in un salotto di una casa di città davanti a una stufa a legna scoppiettante che emanava un dolce calore e, come un personaggio di un film, ricordava con nostalgia il passato. Tuttavia non riusciva a non pensare a quello che era diventato, a quello che avrebbe voluto essere, si chiedeva se i suoi sogni che lo avevano accompagnato per quasi tutta una vita si erano almeno in parte realizzati; se almeno uno di quei tesori, che ognuno ha dentro come una stella nel cielo notturno e che guida sempre la rotta anche nella tempesta, fosse stato trovato. Si chiedeva se dopo un così lungo viaggio la sua strada fosse stata quella giusta. Aveva molte volte sbagliato percorso, questa era la sua unica certezza, ma alla fine era riuscito a imboccare la giusta via? Si era domandato già molte volte se alla fine ci fosse stato un senso in quello che aveva fatto e in quello che era diventato, ma questa era la prima volta che ci pensava così a lungo. Ricordava la sua giovinezza, quando tutto era ancora da decidere e i suoi sogni sembravano tutti realizzabili e vicini, pensava affascinato alla prima volta che gli avevano regalato un fumetto illustrato in cui erano raffigurati posti esotici e lontani e aveva deciso che da grande li avrebbe visitati tutti. Questi pensieri gli calarono un velo di tristezza addosso, si sentiva vecchio e stanco, aveva perso quella voglia di novità che lo spingeva costantemente in tutto, sia nelle avversità che nei momenti favorevoli. Andò in soffitta più tardi per cercare tra quegli oggetti ormai inutili, ma che però lo avevano accompagnato per tutta una vita, una piccola scatola verde con i bordi dorati che sua nonna gli aveva cucito molto tempo fa come regalo di compleanno. Faticosamente la ritrovò tra gli scatoloni stracolmi di cianfrusaglie, era tutta coperta di polvere. Si sedette su una cassapanca antica che cigolò sotto il suo peso, e, dopo aver levato la patina di polvere con un soffio deciso, la aprì con cautela. Dentro quella scatola aveva messo molti ricordi della sua vita, cose di nessun valore, ma che per lui soltanto significavano un’esistenza intera. Tra molte foto e qualche piccolo giocattolo di legno scorse un libricino dall’aria malconcia sul fondo, lo riconobbe subito. Lo aprì e vampate di ricordi si alzarono: quel desiderio di avventura, quei disegni di paesaggi esotici e affascinanti, quel personaggio senza patria e scopo ma realizzato, un Ulisse senza la sua Itaca , un supereroe interiore, tutte cose che lui aveva sognato ardentemente di diventare per una buona parte della sua vita ma che ora, se ne rendeva conto, desiderava ancora. “All’orizzonte di quell’oceano ci sarebbe sempre stata un’altra isola per riposarsi durante un tifone, o per riposare e amare. Quell’ orizzonte sarebbe stato sempre lì, un invito ad andare.” Hugo Pratt Si stava facendo tardi, senza che se ne fosse accorto il tempo era scivolato via come sabbia al vento. La sera con tutte le sue stelle era arrivata, la luna gli parve più luminosa che mai, la luce che emanava illuminava la finestrella della stanza. Si affacciò e ridendo pensò tra sé che dopotutto anche nel pieno della notte e con lo smog cittadino si vedevano sempre le stelle. La mattina successiva lo svegliò il camion della nettezza urbana che come ogni settimana veniva a svuotare i cassonetti, tuttavia non si arrabbiò come dopotutto faceva settimanalmente: quella era stata infatti una delle poche notti in cui era riuscito a dormire bene, e inoltre oggi era il suo giorno libero e poteva starsene a casa a correggere tranquillamente tutte quelle verifiche che il giorno successivo, per la felicità dei suoi ragazzi, avrebbe riportato a scuola. Però, mentre era impegnato nel suo lavoro, si ricordò di quando lui andava a scuola. Non era mai stato molto bravo, sì, era uno studente che se ne stava sulle sue con dei voti discreti tuttavia non vedeva nella scuola il suo futuro. Si immaginava come un grande generale, un grande giocatore di pallone o un avventuriero o un grande scienziato. Già, pensò, che strani scherzi che fa la vita, chi avrebbe mai detto che avrei finito per essere un comune insegnante dopo aver per tutta la vita inseguito sogni di un grande futuro. Questo pensiero tuttavia non gli mise tristezza ma anzi lo fece sorridere: quante follie aveva commesso in gioventù per inseguire quei sogni. Si ricordava quasi sbellicandosi dalle risate dei suoi tentativi di studiare libri di fisica per diventare un grande scienziato senza però capir nulla, di quando, durante una vacanza con i genitori in Marocco, si era allontanato dal gruppo d’escursione per andare a caccia di un leone che dopo aver domato avrebbe dovuto addomesticare e tenere con sé in casa, ed aveva avuto come risultato quello di addormentarsi sotto un dattero. Quanti ricordi aveva e quante cose aveva visto nella sua vita così relativamente breve, quante risate si era fatto e quanto era stato felice: si ricordava dei suoi viaggi in cerca di quei posti affascinanti del Pacifico, quando pregava i pescatori di quelle piccole isole in un ridicolo inglese di raccontargli le leggende e le storie di qui luoghi misteriosi, di quel viaggio in Oceania in cui aveva ammirato i canguri e i koala e di quando emozionato in televisione aveva visto il primo uomo andare sulla luna. Come il giorno precedente, perse la cognizione del tempo e l’unica cosa che lo riportò alla realtà e lo costrinse ad abbandonare i suoi ricordi fu il fatto che l’ora di pranzo si avvicinava. Si alzò dalla poltrona e si diresse in cucina, aprendo il frigo capì che nel pomeriggio avrebbe dovuto andare a far la spesa se non avesse voluto morire di fame. Tirò fuori dal suo frigo color panna quel poco che c’era e mangiò di gusto, tutto quel ricordare lo aveva affamato molto. Dopo che da bravo uomo di casa aveva sparecchiato e aveva lavato i pochi piatti che aveva usato, si accasciò sulla poltrona. Avrebbe avuto voglia di giocare a dama come faceva con suo padre dopo pranzo. Non era mai riuscito a batterlo: era negato, lo ammetteva, e perdeva in continuazione, ma si divertiva comunque moltissimo. Gli piaceva stare con suo padre, si sentiva al sicuro con lui e gli piaceva moltissimo quando con la pipa riusciva a fare i cerchietti di fumo; se lo ricordava benissimo con quei pantaloni marrone chiaro, e quella camicia bianca con la cravatta nera. Nonostante fosse passato molto tempo dalla sua morte gli occhi si inumidirono e gli sfuggì una lacrima che non sarebbe stata l’unica, ma si ricordava bene le ultime parole che gli aveva detto: “Non piangere figliolo perché sappi che me ne vado felice, non ho rimorsi e se potessi rinascere rifarei tutto quello che ho fatto. Non voglio vederti triste, sii felice in vita come lo sono stato io”. Subito pensò alle tante belle cose che aveva fatto con lui e la tristezza si allontanò; la felicità che aveva provato vivendo con lui e con sua madre sarebbe stata sempre con lui. migliori, la camicia bianca, il cappotto nero e le sue scarpe di cuoio regalo del nipote, prese il portafoglio e le chiavi di casa e, dopo essersi assicurato di aver spento tutte le luci, uscì. L’aria della città era come sempre densa di smog, che in quel periodo invernale aveva addirittura ingrigito la neve che era caduta pochi giorni prima. Ai suoi tempi, ricordava, questo non accadeva. Decise che sarebbe andato a far la spesa a piedi non solo per un’ispirazione ambientalista, ma anche per il fatto che c’era un tale traffico che alla fine il tempo che avrebbe impiegato sarebbe stato lo stesso. Incamminandosi fu colto però dalla voglia improvvisa di passare per il suo quartiere natale: dopotutto a cena sarebbero venuti suo figlio e suo nipote, i quali come sempre lo riempivano di provviste come se stesse per scoppiare una carestia. Perciò, anche se non si fosse trattenuto molto al supermercato, avrebbe potuto comunque preparare un lauto pasto. Una volta imboccato il viale natio cercò con gli occhi la madonnina al crocicchio della strada. Quella era infatti l’unica cosa che non era cambiata in tutto questo tempo, se la ricordava con un vestito verde e rosso anche se adesso, probabilmente per restauro, indossava un candido vestito azzurro chiaro. La sua casa si trovava esattamente di fronte alla madonnina dall’altra parte della strada, dove ora non c’erano nient’altro che delle banalissime villette a schiera. Guardando il suo orologio da taschino, anch’esso ricordo di famiglia, si diresse al supermercato, dove si trovavano centinaia di persone intente come lui a fare la spesa. Velocemente entrò passando sotto quelle luci al neon intermittenti che av vo l g e va n o l’edificio, il periodo natalizio era appena finito e le luci non erano state ancora rimosse. Dopo aver selezionato con rigore il minimo indispensabile - la borsa della spesa non doveva pesar troppo altrimenti non avrebbe potuto nemmeno sollevarla - ed aver pagato, si avviò verso casa. In una mezz’oretta giunse alla sua porta e l’aprì con fatica: aveva sempre problemi con l’aprire la serratura da quando aveva cominciato a essere astigmatico, ma per fortuna l’appuntamento con l’oculista per i nuovi occhiali si avvicinava. Entrato si diresse subito in cucina per sistemare la spesa , apparecchiò la tavola per quattro e iniziò a cucinare qualcosa . Poco dopo suonarono alla porta, suo figlio e sua moglie con il suo nipotino erano arrivati. Subito si misero ad aiutarlo e in poco tempo avevano preparato tutto il necessario per la cena. Felice come tutte le volte che lo venivano a trovare, si sedette a tavola con loro: suo nipote era tutto suo padre, scuro di pelle con quei grossi occhi marroni e i capelli neri. I lineamenti del volto invece assomigliavano di più a quelli della madre, così come quel naso insolitamente piccolo per un africano: di lui, un tipico europeo nord occidentale, non aveva preso nulla tranne che la lingua e gli usi, eppure quello era suo nipote e ne andava molto orgoglioso. Si ricordava di quando aveva adottato suo figlio contro il parere di tutti. Lui, uno scapolo, che voleva adottare un bambino per di più africano. Aveva dovuto lottare molto perché ciò avvenisse, aveva vissuto quasi due anni tra le scartoffie prima di poterlo vedere. Ma in quel momento più che mai non si pentiva dello sforzo che aveva fatto: aveva combattuto ma nello sforzo di ieri aveva ottenuto la felicità di oggi, e, come suo padre, anche lui avrebbe rifatto tutto quello che aveva fatto per adottarlo. Dopo aver cenato, si mise a parlare sul divano con il figlio mentre il nipote con la madre vedeva la TV. Gli parlò dei suoi ultimi pensieri, dei suoi ricordi. Il figlio, dopo averlo ascoltato attentamente, gli chiese: “Vuoi giocare a dama, papà?” In quel momento capì che tutti gli eventi che aveva vissuto avevano un senso, tutto quello che aveva dato gli era stato ridato, così come quel fiore tra i sassi in montagna anche lui era riuscito a fiorire; oltre al bellissimo presente che aveva con sé portava tutti i bei ricordi, e il suo viaggio nella memoria lo avrebbe accompagnato per sempre insieme a quello che sarebbe stato. “La vita è un viaggio, viaggiare è vivere due volte” Omar Khayyam Mark Bakkum, I C L.C. “Non piangere perché qualcosa è finito, sorridi perché è accaduta” Gabriel Garcia Marquez Dopo questi pensieri si preparò per fare la spesa, si tolse le ciabatte, si mise i suoi pantaloni 13 2007 Tutti contro uno S econdo gli attuali orientamenti della filosofia della scienza, una teoria è “potente” quando riesce a dar ragione di fenomeni, anche i più disparati, sulla base di un ristretto numero di elementi. In astronomia per esempio, l’eliocentrismo risultò “più potente” del geocentrismo perché spiegava in maniera più semplice ciò che si poteva osservare nel cielo. La “teoria mimetica” di René Girard (n. 1923) nelle scienze umane aspira a questo titolo basandosi su poche assunzioni: l’evento fondante d’ogni civiltà è l’assassinio (ritualizzato) del cosiddetto “capro espiatorio”, sul quale si proietta mimeticamente la violenza dei gruppi umani che, riconciliati, possono ritornare alla vita, liberi e “innocenti”. Dal “tutti contro tutti”, che segna la crisi della convivenza, al “tutti contro uno”che la risolve e salva il gruppo altrimenti destinato all’autodistruzione. In questa vicenda, secondo Girard, si può individuare l’origine e l’evoluzione storico-culturale di ogni comunità. La violenza, dato “universale” degli uomini di ogni epoca e civiltà, si accende a causa del “desiderio mimetico” per il quale nella vita sociale tutti desiderano ciò che hanno o che desiderano gli altri. All’origine della società umana vi è un assassinio; ma alla vittima sacrificata vengono poi riconosciuti attributi divini e sacrali, proprio perchè la sua uccisione è stata il mezzo che ha posto fine alla violenza. Scaricando su un capro espiatorio la violenza che oppone ciascuno a tutti gli altri, si placano i conflitti interpersonali e viene fondato o confermato il vincolo sociale. Siamo oggi ben lontani dalla possibilità di mostrare all’opera questo principio in tutte le vicende 14 2007 umane, ma si può in ogni caso affermare, sempre in linea con l’epistemologia contemporanea, che questa teoria rappresenti un fecondo programma di ricerca per future indagini. In trent’anni di attività Girard, applicando questo modello, ha ritenuto di trovarne conferme nei campi più diversi, dall’antropologia alla psicologia sociale, dalle storia delle religioni alla letteratura, rivelando nessi insospettati là dove prima si poteva osservare solo una varietà inspiegabile di fenomeni. Sullo stesso piano possiamo citare come esempio l’opera di Darwin il quale, avendo individuato nella teoria dell’evoluzione per selezione naturale un “potente” principio esplicativo unitario con cui dar conto della estrema varietà altrimenti inspiegabile delle forme viventi, si impegnò a trovarne conferme con innumerevoli indagini e osservazioni. Con queste poche parole dovrei dar a mia volta conto di centinaia di pagine di Girard, ma poiché l’impresa è impossibile mi limito a fornire qualche eterogenea “suggestione”. Innanzitutto anche Freud nell’opera “Totem e tabù” (1912) accenna, descrivendo la situazione dell’orda primitiva teorizzata da Darwin, ad un parricidio originario come inizio dell’organizzazione sociale, delle restrizioni morali e della religione. Egli, tra l’altro, riteneva con ciò di aver presentato un sostituto credibile del racconto biblico del peccato originale. Lo stesso Darwin con la sua teoria dell’evoluzione riteneva di aver fornito una spiegazione sostitutiva del “creazionismo” biblico circa varietà delle forme viventi. Poiché citiamo la Bibbia notiamo che nella Genesi è presentato un omicidio “fondatore”; non nel racconto del peccato “originale” il quale non comporta uccisioni, ma nella vicenda di Caino e Abele; Caino infatti dopo l’assassinio, “divenne fondatore di una città” (Gen. 4, 17), cioè di una comunità, di un gruppo umano. Per i classicisti: l’omicidio di Remo, come è noto, è collegato alla fondazione di Roma (e anche di Romolo in alcune tradizioni si dice che fu ucciso dalla folla). Un altro omicidio, quello di Giulio Cesare, è all’origine dell’impero. Per i grecisti: Edipo nella tragedia di Sofocle non viene ucciso, ma come capro espiatorio, viene “caricato” delle più gravi colpe e scacciato dalla comunità, che si salva con ciò dal pericolo che ne minacciava l’esistenza. La morte di Socrate, in certo senso, assume lo stesso ruolo fondativo per la filosofia. E ancora prima, nella polis ateniese è presente il rituale del pharmakos, cioè di una persona, uomo o donna, scelta per il suo aspetto ripugnante che in occasione della festa del Targhelie era fatto bersaglio di violenze collettive, cacciato fuori dalle mura delle città e spesso ucciso. Per i “cinefili”: nel film “2001 Odissea nello spazio” di Kubrik l’omicidio primordiale perpetrato nell’orda delle scimmie, “innesca” la civiltà umana, nella celeberrima scena della trasformazione dell’arma omicida in una astronave. E visto che siamo in tema: il recente film “Apocalypto” di Mel Gibson, che tanto ha fatto discutere per le scene di violenza, descrive in maniera eloquente i sacrif ici umani fondamento delle civiltà “amerindie”. Alla teoria del capro espiatorio, come abbiamo visto, è legata quella del “desiderio mimetico” per il quale nella vita sociale secondo un “triangolo del desiderio” tutti desiderano ciò che hanno o che desiderano gli altri. Secondo Girard il desiderio nell’uomo non si origina in maniera autonoma secondo la via linea- re: soggetto - oggetto, ma si istituisce per imitazione del desiderio di un altro soggetto, secondo lo schema triangolare: soggetto - modello - oggetto. Nel desiderare, noi imitiamo il desiderio di altri che prendiamo a modello, anche inconsapevolmente. Questo meccanismo lo possiamo vedere all’opera nella pubblicità: il “testimonial” si propone come modello: lui possiede l’oggetto e ci invita ad imitarlo “invidiando” la sua soddisfazione. Siamo indotti a desiderare anche noi quello che lui ha desiderato e quindi soddisfare il desiderio attraverso l’acquisto dell’oggetto. Anche questo aspetto delle teoria costituisce un programma di ricerca in campo psicologico. Lo stesso Girard lo ha applicato alla critica letteraria nell’opera “Menzogna romantica, verità romanzesca” (1962) in cui la menzogna romantica presenta il desiderio come qualcosa di autonomo, mentre le vicende umane narrate dai grandi scrittori, Cervantes, Proust, Stendhal, Shakespeare, Dostoevskij, presentano la realtà umana, “troppo umana” , di un desiderio per imitazione e “invidia”. Federico Lecchi Bibliografia. René Girard: “La violenza e il sacro” (1972), trad. it. Adelphi 1992 “Menzogna romantica e verità romanzesca” (1962), trad. it Bompiani 2002 “Vedo Satana cadere come la folgore” (1999) trad. it. Adelphi, 2001 “Il caso Nietzsche. La ribellione fallita dell’anticristo” (con Giuseppe Fornari) Marietti, 2002 Dante e l’ISLAM I l Duecento fu un secolo particolarissimo nella cultura europea, un secolo in cui mondo arabo e mondo cristiano vennero a contatto in molte aree mediterranee; questo contatto, che in alcuni casi (probabilmente il più delle volte) era uno scontro violento tra due civiltà, che si ritenevano diversissime e che quindi si guardavano con odio e sospetto, in altri casi si trasformava invece in una proficua collaborazione, che portava a quel fenomeno, che purtroppo non si è più verificato in seguito, definito “trasmissione di cultura”, grazie al quale gli europei poterono fare quel salto di qualità che riportò la filosofia in Europa, con la nascita della Scolastica. Gli Arabi infatti riportarono in Occidente la cultura e il pensiero greco, che essi, dopo la caduta dell’Impero Romano, avevano provveduto a conservare e, in alcuni casi, a sviluppare (vedi i commenti aris t o t e l i c i d i Av e r r o è ) . S i crearono quindi molti centri di studio, soprattutto nella Spagna di re Alfonso X il Savio e nella Sicilia di Federico II, nei quali i testi islamici venivano tradotti e studiati. Dante si trovò ad operare in questo periodo ed in questo contesto ed è perciò probabile che anche lui, nella composizione dei suoi lavori (non solo del suo capolavoro, la Divina Commedia, ma anche delle cosiddette “opere minori”) abbia risentito di quella “moda musulmana” (come l’ha definita lo studioso Giordano Berti) che aveva contagiato l’Europa. La questione della maggiore o minore influenza musulmana nelle opere dantesche, sollevata dallo studioso spagnolo Miguel Asin Palacios con il saggio La escatologia musul- mana en la Divina Comedia (1919), è ancora molto dibattuta. A favore dell’ipotesi di un influsso arabo in Dante si possono citare varie rassomiglianze tra la Divina Commedia e un testo religioso islamico, il Liber Scalae Machometti, il Libro della Scala di Maometto. Questo testo, rinvenuto per la prima volta in traduzione francese all’inizio del secolo scorso, narra d’un viaggio del Profeta arabo attraverso le profondità infernali e i cieli del Paradiso, com- piuto sotto la guida dell’Angelo Jibrail: comuni a entrambi i viaggi sono, ad esempio, la forma della voragine infernale (a imbuto rovesciato), la legge del contrappasso che regola le pene dei peccatori, la visione delle schiere angeliche che ruotano intorno al trono celeste e le sensazioni causate dalla visione di Dio sul pellegrino (sia Dante che Maometto si dicono infatti incapaci di descrivere ciò che hanno visto o provato). A sfavore dell’ipotesi soprac- citata, si può portare invece il celebre passo del canto XXVIII dell’Inferno, in cui Dante incontra Maometto, punito con i “seminator di scandalo e di scisma” nella IX bolgia: va detto tuttavia che questo episodio si ricollega ad un’errata tradizione medievale, che vedeva Maometto come un Cardinale il quale, viste cadere le sue aspirazioni al Papato, si era staccato dalla Chiesa Cattolica, causando appunto uno scisma all’interno della Cristianità. Lorenzo Focanti, III B LC 15 2007 PROGETTO FO INIZIATIVE DI STUDIO E UN CONVEGNO PER VALORIZZARE L’OPERA DEL GEOLOGO NATO A JESI NEL 1884 ENRICO FOSSA MANCINI UN PROGETTO RIVOLTO AGLI STUDENTI, CON RICERCHE TRA CLASSICI E STORIA NATURALE P er ricordare la figura di Enrico Fossa Mancini, geologo nato a Jesi alla fine dell’800 e morto in Argentina nel 1950, autore di poderose opere di geologia e paleontologia, il nostro Liceo ha organizzato un progetto di durata biennale che coinvolge alcune classi articolandosi in ricerche, iniziative di approfondimento e un convegno dal titolo “Enrico Fossa Mancini e la storia naturale dell’Appennino”, che si svolgerà il 5 maggio prossimo presso il Palazzo della Signoria della nostra città. Si tratta di un’iniziativa di studio che interessa diverse discipline, dalle scienze alla filosofia alle lingue e letterature classiche e che si propone, attraverso lavori svolti dagli alunni sotto la guida dei docenti, di approfondire aspetti legati sia alla conoscenza più diretta delle tematiche scientifiche connesse con l’opera dello studioso, sia - più estensivamente - al modo che la cultura antica e moderna ebbe di porsi in relazione con le questioni di storia naturale e con gli argomenti che furono oggetto della sua indagine. In particolare, un interessante e stimolante percorso di studio, tutto fondato sulla lettura e sulla traduzione di testi latini e greci, è stato condotto a partire dal passato anno scolastico nell’attuale classe III B. Interrogandosi su come gli antichi “leggessero” le testimonianze naturali del loro passato e su come interpretassero i fossili che in misura abbondantissima venivano reperiti nelle loro terre, si sono potute delineare le tracce di un quadro complessivo di notevole complessità e suggestione, che si raccorda in maniera affascinante e per certi versi inattesa con le notizie in nostro possesso sul loro modo di pensarsi nella storia. Ne è scaturito che le immagini mitiche che essi creavano erano in buona parte frutto della loro rielaborazione di dati materiali concretamente in loro possesso e testimoniati dai moltissimi resoconti che ne lasciarono; che lo stesso pensiero mitico, anche attraverso l’esame di questi dati, risulta raccordarsi in maniera significativa al successivo svilupparsi di un pensiero storico e scientifico; che già duemilacinquecento anni fa, ben prima di quanto le moderne teorie ritennero, essi erano in grado di comprendere - o quanto meno intuire - la natura dei fossili e di interpretare correttamente, con buona approssimazione, fenomeni studiati scientificamente secoli e secoli dopo, come le trasgressioni e regressioni marine. Queste e altre questioni sono oggetto delle ricerche degli alunni che, in gruppo, hanno lavorato e stanno lavorando ancora esaminando testi e mettendo a confronto testimonianze. Questi gli ambiti intorno a cui si è proposta la ricerca, coordinata dai proff. Stefano Sassaroli, Enrico Baldoni e Patricia Zampini: La Storia naturale nel mondo antico (Plinio il Vecchio, Seneca, e altri). La mineralogia nella Naturalis Historia di Plinio. I fossili tra mito, credenza popolare e scienza. La geologia di Aristotele e Teofrasto. Fossili e diluvio universale nella letteratura cristiana dei primi secoli (Tertulliano, Eusebio di Cesarea, Agostino, Paolo Orosio…). Acqua, terra e i monti dell’Appennino nella letteratura italiana tra Medioevo e Rinascimento (Ristoro d’Arezzo, Boccaccio, Dante, Leonardo da Vinci). Rivoluzione scientifica e origini della geologia dei moderni. La rivoluzione scientifica e l’età della Terra: la scoperta del tempo geologico. La controversia sulla natura dei fossili nell’età della rivoluzione scientifica. Al termine dell’attività, che comunque potrà costituire la premessa per una futura pubblicazione dei risultati anche in forma multimediale, è prevista una giornata di studio dal titolo “ENRICO FOSSA MANCINI E LA STORIA NATURALE DELL’APPENNINO” con la presentazione del progetto e le conferenze di docenti universitari, inframmezzate dalle relazioni degli studenti. Tale giornata si svolgerà il 5 maggio prossimo, mattina e pomeriggio, e vedrà la partecipazione dei seguenti relatori con la trattazione dei sottoindicati argomenti (programma di massima, suscettibile di eventuali modifiche): • Prof. Leonsevero Passeri (Università di Perugia): Progressi nella conoscenza della geologia dell’Appennino. • Prof. Federico Venturi (Università di Perugia): Il genere Hammatoceras, gli studi di Fossa Mancini e le attuali conoscenze degli Hammatoceratinae. • Prof. Simone Galeotti (Università di Urbino) Dalla Geologia descrittiva alla Geologia quantitativa: l’esempio della successione Umbro-Marchigiana. • Prof. Mauro Coltorti (Università di Siena): L’Appennino nel Quaternario e le grotte di Frasassi e del Vernino. Nota biografica l conte Enrico Fossa Mancini nacque a Jesi (AN) il 7 dicembre 1884 da Eugenio e Margherita Censi, discendente da nobile famiglia originaria di Arcevia (AN). Compiuti gli studi liceali si laureò in Giurisprudenza presso l’Università di I 16 2007 Perugia (1907). Studiò poi Fisica all’Università di Roma, (1909-1910), per trasfersi infine all’Università di Pisa (1910-1913), dove conseguì la laurea in Scienze Naturali. Nell’Ateneo toscano fu allievo del geologo e paleontologo Mario Canavari con cui si laureò con una tesi di paleontologia avente per oggetto la distribuzione del genere Hammatoceras (Ammonitina) nelle rocce dell’Appennino UmbroMarchigiano. Il giovane naturalista fu definitivamente attratto dallo studio della geologia e della paleontologia, come testimoniano le sue prime pubblicazioni scientifiche che, infatti, hanno per oggetto la stratigrafia e i fossili dell’Appennino Marchigiano, principalmente dell’area della Gola della Rossa e della Gola di Frasassi (AN). Le indagini scientifiche di Fossa Mancini furono, tuttavia, interrotte dal- l’intervento dell’Italia nella I Guerra mondiale, cui partecipò come ufficiale di artiglieria, pilota aeronautico e ufficiale del servizio meteorologico. Alla fine del conflitto riprese il lavoro nel campo della geologia e della paleontologia, pubblicando nuovi studi che gli valsero la nomina di Assistente nell’Istituto di Geologia dell’Università di Pisa e, poco dopo, di Libero Docente. Nel frattempo s’impegna, sotto la direzione del Lotti, ai rilevamenti sul campo relativi alla descrizione della Carta Geologica d’Italia. Nel 1922, su incarico del governo italiano, fu inviato in Venezuela per dare avvio in quel paese alle ricerche petrolifere. Nel 1923-1924 fu nominato Professore di Geologia nell’Università di Cagliari, nonché Direttore dell’annesso Museo di Scienze Naturali. Durante questo periodo l’attività scien- tifica di Fossa Mancini fu molto intensa e pubblicò lavori aventi per oggetto le ricerche di idrocarburi nel Modenese; la stratigraf ia e la tettonica dell’Appennino, della Sicilia, della Sardegna e del Varesotto; la paleontologia degli invertebrati; la geologia militare; la geoarcheologia; la geologia pratica e la didattica della geologia. Ritornato in America latina nel 1226, dove a tutt’oggi è considerato un pioniere della ricerca petrolifera, si stabilì definitivamente in Argentina occupandosi, oltreché di ricerche di idrocarburi, anche di geologia generale, di insegnamento all’Università di Buenos Aires e di Direttore del Museo di La Plata. Morì a La Plata (Argentina) il 12 marzo del 1950, in seguito alle gravi lesioni riportate in un incidente stradale. S. S. OSSA MANCINI CACCIATORI DI FOSSILI E NARRATORI DI STORIE “C’è una località dell’Arabia situata press’a poco di fronte alla città di Buto, e a questa località io andai per informarmi sui serpenti alati. Lì giunto vidi ossa di serpenti e spine dorsali in quantità impossibile a descriversi; erano cumuli di spine dorsali grandi e meno grandi e ancora più piccole, ed erano molte. (…) Si narra che all’inizio della primavera serpenti alati volino dall’Arabia in Egitto, e che gli uccelli ibis facendosi loro incontro al punto di ingresso di questa regione non lascino entrare i serpenti ma li uccidano”. (Erodoto, “Storie”, II, 75, 1-3 passim) “Dirò ora quel che poi è anche degno d’essere ammirato oltre i fiumi e la vastità della pianura: mostrano su una pietra un’orma di Eracle, che somiglia sì all’impronta di un uomo, ma è grande due cubiti, presso il fiume Tire”. (Erodoto, “Storie”, IV, 82) Q uesti due passi, scelti tra i moltissimi che la letteratura antica ci offre, costituiscono un esempio significativo di come, nei classici, possiamo trovare testimonianze del modo in cui i Greci e i Romani interpretavano i resti paleontologici arrivati fino a loro. Serpenti alati, grifoni, orme gigantesche di eroi, titani di eccezionali dimensioni: trovandosi a contatto con gigantesche ossa o minuti frammenti di animali pietrificati, di cui non avevano ancora gli strumenti scientifici per capire l’esatta origine, gli antichi ricorsero spesso, per interpretarli, alla spiegazione mitica. Fu così che quello che Erodoto ebbe modo di vedere nel suo viaggio in Egitto - probabilmente un ricco giacimento di resti fossili di animali preistorici - venne da lui interpretato come un cimitero di mitologiche creature, serpenti alati, appunto, di cui gli parve di intravedere le sembianze nelle ossa affioranti dal terreno. O ancora, quella che ci descrive come orma di Eracle a causa della lunghezza di due cubiti (corrispondenti a circa 90 cm.), era probabilmente un’impronta fossile la cui forma si era conservata nella roccia. Di testimonianze come queste sono piene le opere degli antichi scrittori. Ne troviamo ad esempio moltissime in Pausania; e molto spesso, al ritrovamento del reperto fossile, è associata la presenza di un santuario o di un culto tributato a questo o a quell’eroe o divinità che si riteneva avessero lasciato tracce del loro passaggio in tempi remoti. Esistevano perfino falsificazioni di “reliquie” che venivano venerate nei templi e attiravano folle di pellegrini (ad esempio, di un enorme sandalo che si diceva fosse appartenuto a Perseo, e che veniva custodito nella località di Chemni, Erodoto ci dà notizia in un altro passo, il II, 91, della sua opera). Le storie sugli eroi del passato, tradizionalmente raffigurati come molto più alti e forti degli uomini contemporanei (in accordo con l’antichissimo mito della progressiva decadenza delle razze dall’Età dell’oro), ben si prestavano a dare una spiegazione a ritrovamenti che altrimenti sarebbe stato assai difficile interpretare. E tuttavia questo non deve affatto farci pensare che gli antichi Greci si fossero limitati a prestare fede a fantasiose leggende, o si fossero accontentati, nella loro credulità, di invenzioni improbabilissime e superstiziose. Al contrario, la lettura dei testi ci offre un panorama di sorprendente varietà e complessità, in cui - accanto a spiegazioni in chiave mitico-religiosa - troviamo intelligenti e rigorosi tentativi di interpretazione dei “documenti” materiali, ricostruzioni scientifiche che, se non valutabili come esatte alla luce delle conoscenze da noi acquisite migliaia di anni dopo, ci appaiono certamente acute, rigorose, e spesso contenenti intuizioni notevoli. Elaborazioni di interi sistemi che, ben lungi dall’essere il frutto di bizzarre speculazioni, rivelano capacità e conoscenze che forse non abbiamo apprezzato appieno, che non abbiamo saputo cogliere (vittime noi stessi di un pregiudizio) e che meriterebbero la nostra attenzione. Il mito stesso, d’altronde, cui un approccio superficiale potrebbe negare vero valore documentario, nasconde in sé fondamentali informazioni sulla cultura e sulle conoscenze profonde degli antichi, anche in questo campo. Basterebbe ad esempio la nozione di líthinos thánatos, “morte di pietra”, reperibile già in Pindaro (Pitiche, X, 75) e riecheggiante nelle pagine di Aristotele in contesti assai significativi (ad es. in De partibus animalium 641a 20) a farci comprendere che i Greci associavano strettamente il concetto di pietrificazione a quello di morte (pensiamo anche allo sguardo mortifero e pietrificante della Gorgone) e che probabilmente, con buona pace di certe semplicistiche stroncature della vulgata scientifica, avevano già per lo meno sospettato, se non pienamente compreso, che i reperti fossili che trovavano ovunque nelle loro terre appartenessero ad animali e creature realmente esistite in tempi passati. E non fossero frutto invece, come poi un - tuttora radicato - mito paleontologico su Aristotele affermò, di una vis insita nella natura che si sarebbe divertita a creare, da sostanze inorganiche, oggetti di aspetto, sì, simile a conchiglie e piccoli animali pietrificati, ma che non erano, e non erano mai stati in realtà, esseri viventi. Attento e aperto dev’essere dunque, da parte nostra, lo sguardo con cui guardare a questi documenti. Una lettura sgombra da pregiudizi e capace di cogliere con obiettività ciò che le fonti dicono, ci offre non solo interessanti conoscenze sulla cultura di Greci e Romani in questo ambito, ma anche informazioni preziose per una ricerca più propriamente scientifica, ad esempio sulla diffusione di certe specie preistoriche nel Mediterraneo, sulla localizzazione e reperibilità dei resti, sulle modalità con cui affioravano. I racconti e le questioni di “storia naturale” che troviamo negli antichi sono moltissimi. Diversi tra loro, certamente, sia per tipo di approccio che per profondità d’indagine. Altro sono i resoconti di Pausania e Senofonte, le metafore poetiche di Eschilo e Pindaro, altro le rigorose deduzioni e casistiche di Aristotele e del suo scolaro Teofrasto, di cui Diogene Laerzio riporta il titolo di un perduto trattato Sulle pietrificazioni. I Meteorologica e le altre opere del filosofo stagirita che a questa si collegano sono documenti di eccezionale profondità e complessità. Va dunque, naturalmente, tributato il giusto riconoscimento al ruolo svolto dalla filosofia, che fin dai primi sapienti di scuola ionica, ad esempio Senofane, coltivò un approccio nuovo a certe questioni, sostituendo alle simbologie del mito le razionali e “laicissime” ricostruzioni del logos. Il pensiero razionale ha uno stato civile, ed è greco: nelle città greche d’Asia Minore del VI secolo, allontanandosi e liberandosi dal mito, esso sorge per la prima volta come forma di riflessione nuova, interamente positiva, sulla natura. Se l’uomo greco ha inventato la filosofia ha potuto farlo, come affermò J. Burnet, “per le sue qualità eccezionali d’intelligenza: lo spirito d’osservazione unito alla potenza del ragionamento”. E tuttavia, negli ultimi decenni, lo ricorda JeanPierre Vernant, altri studi hanno messo in evidenza che la frattura tra mythos e logos è forse molto meno netta di quanto si credesse in passato, che il mythos conteneva già in sé alcuni presupposti di quelle che furono poi le conquiste e le elaborazioni del logos; che certi approcci dei primi filosofi alle questioni poi sviluppate autonomamente rispetto alla prospettiva religiosa non sono pensabili né spiegabili se non a partire da un’impostazione le cui strutture si trovano già in nuce nella forma del racconto mitico, se letto e interpretato con profondità. L’archeologo inglese John Boardman, nell’attribuire la giusta importanza all’analisi del mito come fonte per le sue ricerche, sottolinea appunto que17 2007 PROGETTO FO sta peculiarità del mondo greco: per eventi anche legati al loro passato antichissimo - il fatto che col Medioevo ellenico, che spezzò i ponti col passato miceneo, essi persero la diretta razionale consapevolezza del legame con la propria storia più antica - i Greci diedero ai racconti su quelle epoche perdute la forma del discorso mitico. Pur coscienti del profondo della discendenza da antenati che portavano il nome di Achille, Ettore, Agamennone, essi non ne possedettero mai delle prove documentali e oggettivamente verificabili (basti ricordare che queste prove furono fornite con certezza solo millenni dopo dagli scavi archeologici e dalla decifrazione del Lineare B). A differenza di un sovrano della Mesopotamia che, scavando in un vecchio palazzo, avrebbe potuto leggere la scrittura cuneiforme dei documenti d’archivio in esso contenuti e avere la percezione storica della propria discendenza da antenati vissuti secoli prima, i Greci non ebbero mai questa possibilità di rapportarsi al loro passato più remoto per questa via. E vi si accostarono forse per questo, anche più degli altri, attraverso il mito, che nella loro civiltà assunse un’importanza e delle proporzioni non paragonabili con alcun’altra cultura. La stessa storiografia iniziò come racconto mitico per poi liberarsi, progressivamente e orgogliosamente, dei “molti e ridicoli” racconti che venivano tramandati oralmente, per andare alla ricerca della verità. Dobbiamo dunque dare il giusto peso a quanto di vero c’è nelle cose che essi ci raccontano, con la scrittura e con l’arte, anche miticamente. E distinguere, certo, tra le letture più ingenue e favolistiche e il fondamentale passo compiuto da storici e filosofi. Nello stesso autore sono presenti, spessissimo, narrazioni riconducibili a una lettura mitica ed esposizioni obiettive sostenute da ragionamenti logici più che fondati. Sempre in Erodoto, per esempio, si può leggere una descrizione geofisica dell’Egitto molto dettagliata ed attenta (II, 10-12), e delle riflessioni che, a partire dalla constatazione del rinvenimento sui monti di conchiglie, portano l’autore a formulare l’ipotesi che il territorio di cui tratta fosse stato occupato un tempo dal mare, arrivando a considerazioni che oggi possiamo definire corrette e anticipatrici della teoria delle trasgressioni e regressioni marine. Analoghi ragionamenti si ritrovano in Strabone e Plutarco. Seguendo il dipanarsi di questa trama, potremo ricavare informazioni inattese e affascinanti. Potremo constatare ad esempio che il “mostro di 18 2007 Troia” dipinto su un vaso corinzio del VI sec. a.C., che rappresenta la creatura marina in procinto di divorare la vergine Esione offerta in sacrificio e poi salvata da Eracle, è con ogni evidenza il teschio di un animale preistorico: una giraffa del Miocene secondo la studiosa americana Adrienne Mayor, che ai primi “cacciatori di fossili” dell’antichità ha dedicato un libro avvincente e ricco di documentazione. O forse anche un altro mammifero, che probabilmente era stato rinvenuto in una grotta e aveva colpito l’immaginazione dell’artista. Le rappresentazioni di mostri su pittura vascolare sono infatti di solito profondamente diverse da questa. Potremo ancora stupirci nell’apprendere che la leggenda sui Ciclopi, testimoniata dal notissimo episodio dell’Odissea omerica, deriva forse dai cospicui ritrovamenti di teschi di elefanti nani diffusi anticamente in Sicilia, la cui cavità centrale per la proboscide veniva interpretata come un’unica grande orbita oculare in mezzo alla fronte. Potremo comprendere come nacquero le leggende sui Titani, immaginando gli scheletri di giganteschi mammuth ricostruiti dai Greci in posizione eretta, fino ad assumere sembianze semiumane e risultare dunque paragonabili a mitiche creature sepolte dalla terra (non a caso il racconto mitico sui Titani dice che essi furono sconfitti e rinchiusi da Zeus nel Tartaro, sede sotterranea dell’oltretomba). Nel Prometeo incatenato di Eschilo sembra di poter intravedere, descritto in forma poetica, un processo di tipo tafonomico: “Per prima cosa - è la minaccia di Ermes a Prometeo - il Padre (Zeus) farà a pezzi questo baratro dirupato con tuoni e fulmini ardenti, e ricoprirà il tuo corpo: ti stringerà l’amplesso delle rocce. Poi, quando un lungo tratto di tempo si sarà compiuto, tornerai alla luce” (vv. 1016-1021). Raccogliendo ed esaminando le fitte e spesso minute testimonianze antiche potremo individuare in una creatura mitica, il grifone frequentemente effigiato su mosaici e dipinti e descritto da Erodoto in un passo delle sue Storie, la ricostruzione sorretta dalla fantasia di un effettivo animale preistorico, il Protoceratops, i cui resti affioravano, e tuttora affiorano - proprio nelle zone indicate dagli antichi come sua sede. Tanti altri e appassionanti sono i racconti che possiamo leggere, e le notizie che possiamo ricavare. Il poeta Ovidio, nelle Metamorfosi, in un lungo discorso pronunciato da Pitagora, indica nel mutamento (omnia mutantur, nihil interit) la legge dell’universo, cui l’uomo deve docilmente adeguarsi, e scrive: “Io ho visto farsi mare ciò che un tempo era terraferma, ho visto terre nascere dal mare, ho visto che lontano dai flutti vengono alla luce conchiglie marine, e che si trovano antiche ancore in cima ai monti” (XV, 262-265). Nell’antica Roma è testimoniato più volte, tra i prodigi che annunciavano guerre e sventure, l’affiorare di pesci dalla terra rivoltata dagli aratri (ce lo racconta Livio), o il verificarsi di fenomeni celesti cui possiamo dare oggi una lettura in chiave astronomica. Svetonio ci informa invece che già nell’antichità esistevano dei collezionisti di fossili: Augusto, nella sua villa di Capri, conservava “enormi reliquie di immani belve, che son dette ‘ossa dei giganti’ e ‘armi degli eroi’” (Aug. 72). Plinio il Vecchio dedicava un’intera sezione della sua Naturalis historia alla mineralogia, e - benché sia di norma poco elogiato per la scarsa scientificità del suo metodo - si rivela spesso, a leggerlo direttamente, molto meno ingenuo di come si racconta. Delle glossopetre, denti fossili di squalo miocenico così chiamate perché di forma simile a una lingua, non diceva, come gli viene ingiustamente attribuito, che piovessero dal cielo e che avessero poteri magici, ma, riportando questa diceria, affermava di non crederci affatto. Ed è sempre Plinio a parlarci dell’ammonite, o Corno d’Ammone - perché questo era il nome antico del fossile, che rassomigliava a un corno d’ariete, animale sacro al dio Ammone, come spiega anche Erodoto -, e a descriverci anche il tipo di fossilizzazione dell’ammocriso, in cui la conchiglia è ricoperta da pirite a grana finissima, tanto che la fa sembrare “corazzata d’oro”. Esso infatti, per Plinio, “è come d’oro misto a sabbia”. E sebbene gli esempi possano andare ben oltre questi, come le questioni oggetto di ricerca, forse quanto descritto basta a far comprendere come uno studio di queste cose supportato dalla lettura diretta dei classici possa aggiungere interessanti e nuovi elementi alle conoscenze che crediamo di avere. Uno studio interdisciplinare, preferibilmente, che concili le competenze dei filologi, ferrati in campo linguistico ma poco esperti di storia naturale, e quelle dei naturalisti, che spesso hanno accesso a queste informazioni attraverso resoconti di seconda mano, non sempre documentati e attendibili. Patricia Zampini Bibliografia minima: Jean-Pierre Vernant, “Mito e pensiero presso i Greci” (Parigi 1965), Einaudi 1970, 1978 e 2001 Adrienne Mayor, “The first fossil hunters Paleontology in Greek and Roman times”, Princeton Paperbacks 2000 John Boardman, “Archeologia della nostalgia Come i Greci reinventarono il loro passato ”, Bruno Mondadori 2004 Immagini: • Pleuroceras proveniente dal Giurassico inferiore di Holzmaden (Baviera). • Ricostruzione dello scheletro di un Protoceratops e sua interpretazione fantastica come grifone (da Mayor). • Scheletro di mammuth confrontato con lo scheletro umano (da Mayor). • Scheletro di mammuth ricostruito in posizione eretta e somigliante a uno scheletro semiumano di grandi dimensioni (da Mayor). • Vaso corinzio ritraente il “mostro di Esione”, nella forma di teschio di animale preistorico (da Mayor). OSSA MANCINI ARISTOTELE, LE SCIENZE DELLA TERRA E I FOSSILI Introduzione Esiste una consolidata tradizione storiografica, oggi tramandata da storici della scienza come Adams (1938), Rudwick (1985) e Paolo Rossi (1979), secondo cui il contributo della scienza antica al progresso delle conoscenze geopaleontologiche sarebbe irrilevante, e nel caso di Aristotele addirittura negativo. Lo Stagirita, secondo tale interpretazione, sarebbe stato all’origine di numerosi pregiudizi, rimossi solo successivamente alla rivoluzione scientifica, che hanno ostacolato per secoli il progresso delle scienze della Terra. L’autorevole P. Rossi (1997) ha scritto che «Come scienze delle vicissitudini attraversate dalla Terra e dall’universo, geologia e cosmologia sono scienze recenti […] Fatta eccezione per Leonardo da Vinci, che tratta dell’origine dei fossili marini, […] dominano fino al Seicento le interpretazioni aristoteliche e platoniche […]; i fossilia sono formati per l’azione di un succus lapidescens o di un’aurea bituminosa che circola entro la superficie terrestre. Per azione del calore solare […] i metalli e gli altri fossili sono formati da un’esalazione che sale dall’interno della Terra». Su questa linea si pongono anche i manuali universitari di paleontologia. Il noto testo di Raffi & Serpagli (2003) individua due teorie fondamentali sull’origine dei fossili: la teoria della genesi inorganica, prevalente fino alla rivoluzione scientifica e che avrebbe in Aristotele e nello scolarca del Liceo Teofrasto alcuni tra i principali sostenitori; la teoria della genesi organica, che diventa prevalente dopo la rivoluzione scientifica, ma anticipata da alcuni precursori “illuminati” del tutto scevri da pregiudizi, ad esempio da Leonardo da Vinci. Da qui alla formazione di una vera e propria “mitologia” negativa su Aristotele il passo è breve, e infatti è stato scritto che il filosofo riguardo ai fossili si sarebbe pronunciato «in un modo che ora ci sembra inspiegabile. Osservando pesci fossili provenienti da Eraclea attribuì la loro origine “a uova disperse, durante il diluvio di Deucalione e Pirra” e in seguito sviluppatesi per intervento di una vis formativa» (C. LorigaBroglio). Si rende necessario, a questo punto, ristabilire la verità dei fatti e spezzare una lancia per Aristotele. Dimostreremo in questa breve sintesi come Aristotele abbia contribuito in modo significativo allo sviluppo della geologia dei moderni; mostreremo altresì come egli non abbia avuto quelle concezioni così poco scientifiche sui “fossili” che solitamente gli vengono attribuite. La geologia di Aristotele e del Peripato I quattro libri Meteorologica costituiscono la fonte più importante della geologia di Aristotele, opera esoterica che è la continuazione del De generatione et corruptione; qui, infatti, si possono trovare quei concetti e principi generali poi applicati in concreto allo studio dei mutamenti che si verificano sulla superficie e nell’atmosfera terrestre, che appunto ne costituiscono l’oggetto specifico. Aristotele sarebbe stato autore dell’opera essoterica nota nel medioevo col titolo De mundo e dai latini, così come dagli arabi, attribuita allo Stagirita. Altre interessanti nozioni che riguardano il nostro tema si trovano in varie altre opere di Aristotele, come i Problemata, il De sensu, il De partibus animalium, e i Parva naturalia. Diogene Laerzio include nel catalogo delle operedel filosofo un libro, ora perduto, dal titolo Perí tes líthou, che testimonia ancora l’interesse di Aristotele per la geologia. Questi studi vennero poi sviluppati all’interno del Liceo, in particolare da Teofrasto, autore secondo Diogene Laerzio di un’opera in due libri dal titolo Perí ton <apo>lithouménon, di un’opera in due libri Perí metállon, tutte perdute, e infine di un libro Perí líthon che ci è pervenuto, e che fu noto nel Medioevo col titolo De lapidibus. È possibile che in queste opere fosse trattata esplicitamente, oltre alla mineralogia, anche la paleontologia. Ricordiamo che tra il 345 e il 344 a.c. Aristotele diresse nell’isola di Lesbo la scuola di Mitilene, dove conobbe Teofrasto, e che in questo luogo sono ancor oggi visibili i resti fossili di una foresta pietrificata. Inoltre, sempre nell’isola di Lesbo, si rinvengono oggi zanne fossili di proboscidati, di cui Teofrasto tratta in effetti nel De lapidibus (VI, 37). La meteorologia studia nell’ottica di Aristotele i fenomeni connessi al ciclo della generazione e corruzione dei quattro elementi terrestri. Nell’ottica della scienza odierna alcuni fenomeni indagati da Aristotele cadrebbero nell’ambito della geologia: i terremoti e i maremoti, le eruzioni vulcaniche, le trasgressioni e regressioni marine, la formazione dei “fossili” e dei minerali. Altri fenomeni sono ancora oggi trattati propriamente dalla meteorologia, fra questi il ciclo delle acque, correttamente descritto dallo Stagirita nelle linee essenziali. Contrariamente a quanto comunemente si pensa, Aristotele nel trattare questi argomenti utilizzava la logica e l’esperienza, criticando coloro che si affidavano ad altre presunte fonti del sapere, come i miti ancora cari a Platone. Riguardo ai mutevoli rapporti fra mare e terraferma, Aristotele li inseriva in un ciclo di mutamenti incessanti propri della natura. Infatti, a suo a parere, le parti interne della Terra, ovvero dell’intero globo terracqueo, sono soggette nel tempo ad un continuo processo di generazione e corruzione, non meno degli esseri viventi; sebbene, a differenza di questi che singolarmente nascono, si sviluppano e muoiono, solo porzioni della Terra, di volta in volta, si sviluppano e decadono, essendo la Terra nella sua totalità eterna. Tuttavia, questi mutamenti sulla superficie della Terra, posti dallo Stagirita in relazione alla traslazione del Sole e alla sua attività, si verificano gradualmente e su scale temporali enormi rispetto alla brevità della vita umana, tanto che se ne perde infine il ricordo In tal modo Aristotele descrive regioni paludose che inaridiscono, così come regioni secche che diventano infine umide; la genesi delle valli fluviali e il loro colmamento detritico con la formazione di depositi alluvionali e lo sviluppo sopra essi di vaste regioni abitabili (come la valle del Nilo); la trasgressione e la regressione dei mari sui continenti secondo un ciclo senza principio e senza fine (Meteor.351b-352b). La causa efficiente dei fenomeni meteorologici risiede principalmente nel Sole, il cui moto di traslazione produce il calore necessario a tutti i processi di generazione e corruzione che avvengono sulla Terra. Tuttavia, Aristotele ammette come causa anche il calore interno alla Terra, posto direttamente in connessione con l’attività vulcanica. Da questo calore è generata una duplice esalazione (anathymíasis): l’esalazione umida e fredda, simile al vapore, che si genera dall’umido che è all’interno della Terra e sulla sua superficie; l’esalazione secca e calda, simile al fumo e al soffio, che si genera dalla Terra stessa che per natura è secca. La genesi dei fossili e dei minerali secondo Aristotele. Dopo aver mostrato gli effetti della separazione degli elementi nell’atmosfera, cioè i fenomeni prodotti dalla doppia esalazione, umida e secca, nella sfere dell’acqua, dell’aria e del fuoco e anche sulla superficie della terra, Aristotele evidenzia i fenomeni prodotti da tale separazione all’interno stesso della terra, quando la doppia esalazione è intrappolata nelle sue parti. Il processo di separazione degli elementi produce all’interno della Terra due tipologie di corpi omeomeri, poiché le esalazioni sono, come sappiamo, di due specie: i metalli (metalleutá) e i “fossili” (oryktá) (Meteor. 378a). L’esalazione umida e fredda produce tutti i metalli nativi, fusibili e malleabili (oro, argento, ferro, rame, stagno, piombo, mercurio). L’esalazione secca e fumosa produce, invece, tutti i “fossili” quali le rocce e i minerali non fusibili. Notiamo le ottime qualità di Aristotele come osservatore e classificatore dei fenomeni naturali. Pur non disponendo degli strumenti tecnici e teorici degli scienziati odierni, il suo metodo era di indubbia efficacia, poiché la distinzione tra i “fossili” e i metalli, corrisponde, sebbene non perfettamente, alla attuale distinzione tra i minerali non metallici e i minerali metallici. Il significato originario di “fossile”, termine che nell’uso odierno sta a significare specificatamente 19 2007 PROGETTO FOSSA MANCINI ciò che si è conservato, normalmente allo stato minerale, dei resti di un antico organismo vivente, è dunque piuttosto vasto e sta a significare nei Meteorologica di Aristotele tutte quelle rocce e minerali generalmente non metallici che sono raccolti “scavando” nella Terra. Il sostantivo usato da Aristotele, tá oryktá, ’ ’ richiama infatti il verbo orysso (att. orytto) che significa “scavare” (es. una fossa) o “estrarre scavando” (ovvero, cavare dal terreno). In effetti anche il “fossile” nel significato attuale si rinviene normalmente scavando nel terreno, ma il significato originario dato da Aristotele è molto più ampio. Da qui riteniamo sia nata la “leggenda” dei pesci fossili di Eraclea. Lo Stagirita narra, infatti, (De respiratione, 475b11-12) di certi pesci “fossili” che al sopraggiungere della siccità si rifugiano nel limo ancora umido e che vengono poi ricercati, evidentemente a scopo alimentare, scavando nella terra (eurískontai oryttómenoi); un modo invero piuttosto inusuale di pescare, ma che è ancora oggi praticato da certe tribù africane. In questo caso non si trattava, tuttavia, di pesci pietrificati, cioè di fossili nel significato attuale, bensì di pesci viventi e commestibili. Che il pensiero di Aristotele fosse ancora influente nei secoli successivi a questo riguardo è provato dall’opera del padre della mineralogia e della metallurgia moderna, Georgius Agricola (Georg Bauer, 1494-1555), che nel De natura fossilium (1546) e nel De re metallica (1555) chiamava ancora “fossilia” (dal latino fodio, scavo) tutti gli oggetti trovati nel sottosuolo scavando, come i minerali e le forme animali e vegetali pietrificate, ciò che oggi si denomina propriamente come fossili. Chiarita la questione che Aristotele attribuiva al termine fossile un significato che non coincide esattamente con quello vigente, si pone la questione se dal punto di vista di Aristotele fosse possibile o meno che i resti di un organismo vivente potessero conservarsi, o pietrificandosi o in altro modo, dopo la morte. In altri parole, per Aristotele possono esistere fossili, nel senso odierno del termine? Per quanto poco noto, e contrariamente alle leggende dei moderni e dei contemporanei, sembra che Aristotele abbia dato alla questione una risposta positiva. Anzitutto i principi della sua “tafonomia” (De generatione et corruptione) sembrano ammettere che le parti omeomere degli animali e delle piante possano sotto peculiari circostanze “congelarsi” e quindi sfuggire alla putrefazione. Ad esempio, Aristotele afferma a proposito dell’ambra che può inglobare degli insetti, quindi dei fossili nel senso attuale. Nei Problemata il filosofo tratta la questione della causa dell’arrotondamento delle pietre e delle conchiglie che si vedono in riva al mare, fornendo peraltro la giusta soluzione in senso meccanico. Non è diff icile trovare nel Mediterraneo quelle che potremmo chiamare spiagge fossili, ora anche molto lontane dal mare o in collina o addirittura in montagna, cioè ammassi di ciottoli e conchiglie litificate di antichi organismi marini, arrotondati dal moto 20 2007 delle onde e cementati dalla sabbia. Ora è evidente che Aristotele si riferisse a ciò che osservava camminando sulla spiaggia. Ma se avesse incontrato la stessa scena camminando in montagna quali conclusioni avrebbe tratto, applicando semplicemente il suo stesso, corretto, ragionamento? Certo è che altri Greci, prima (come Senofane di Colofone ed Erodoto) e dopo (come Eratostene e Xanto di Lidia) lo Stagirita, avevano osservato la stessa scena e tratto, giustamente, la conclusione che evidentemente in quei luoghi un tempo esisteva una spiaggia. Anche Aristotele avrebbe sicuramente tratto questa conclusione, e forse l’ha effettivamente tratta per quanto non ne abbiamo una testimonianza diretta, poiché ha rettamente teorizzato che il mare e la terraferma vanno incontro a cicli di regressione e trasgressione. Il geografo Strabone (65 a.c.- 25 d.c) scrive, ad esempio, che, tra gli altri, anche Stratone di Lampsaco, discepolo di Teofrasto e secondo scolarca del Liceo, credeva che la presenza di conchiglie fossili sulla terraferma provasse la trasgressione, seguita dalla regressione, del mare sulla terraferma. Questa è una chiara testimonianza della continuazione della geologia aristotelica nel Liceo; tradizione che passa poi ai filosofi arabi. I seguaci della geologia di Aristotele nel medioevo e oltre. È noto il debito della filosofia di Avicenna (980-1037 d.c.) verso il pensiero di Aristotele. Nel suo Kitab al-Shifa (Libro della guarigione), che include una Metafisica, una Fisica e un trattato di medicina, il filosofo arabo affronta tematiche tipiche della meteorologia aristotelica, come le trasgressioni marine e le cause dei terremoti, ma tratta anche dell’origine dei fossili seguendo uno schema che, come abbiamo visto, i pensatori greci avevano già elaborato nelle linee essenziali e che, al più, Avicenna aggiorna e perfeziona. Anche Alberto Magno, considerato tra i più acuti dei seguaci latini di Aristotele, raccolse l’eredità della geologia del Liceo. Le principali fonti degli studi di Alberto in questo campo furono il De generatione et corruptione, i Meteorologica e il De mundo di Aristotele; il De lapidibus di Teofrasto, un estratto delle sezioni geologiche e mineralogiche del Kitab al-Shifa di Avicenna, noto col titolo De mineralibus. Nella sua opera geologica e mineralogica più importante, De Mineralibus et rebus metallicis, Alberto si espresse riguardo ai fossili in modo ineccepibile, tale da sfatare tante leggende costruite a posteriori dai moderni e dagli storici della scienza sopracitati: “Non c’è alcuno che non sia stupito di trovare delle pietre che, esternamente e internamente, recano l’impronta di animali. Avicenna ci insegna che la causa di questo fenomeno è che gli animali possono essere completamente trasformati in pietre… Come la terra e l’acqua sono la materia ordinaria delle pietre, egli dice, così gli animali possono diventare materia di certe pietre. Se i corpi di questi animali si trovano in posti in cui esala un potere mineralizzante (vis lapidificativa), sono ridotti ai loro elementi e sottoposti all’influenza di quel particolare potere… poi il potere mineralizzante trasforma l’elemento terrestre in pietra. Le diverse parti esterne e interne dell’animale conservano la forma che avevano in precedenza». L’errore più grave della storiografia apologetica dei moderni è che pone una rivoluzione concettuale nella geologia degli antichi e dei moderni di cui non v’è traccia alcuna. Consideriamo il caso di Leonardo da Vinci che, nella prospettiva storiografica pro-moderni, incarna il mito dell’innovazione rivoluzionaria contro le obsolete spiegazioni degli aristotelici. Ora si dà il caso che questa lettura popolare degli eventi sia poco attendibile. Leonardo, infatti, fu indotto allo studio dei fossili e della geologia dal desiderio di comprovare l’idea dell’uomo microcosmo. A questo scopo egli studiò le opere di interesse geologico e cosmologico di Aristotele, Teofrasto, Avicenna, e Alberto Magno. Le sue conclusioni sui fossili risultano corrette, e anzi egli confutò l’idea degli intellettuali cristiani (Tertulliano, Eusebio di Cesarea, Paolo Orosio) che le conchiglie fossili che si trovavano in cima ai monti testimoniassero l’occorrenza biblica del diluvio universale. Secondo Leonardo (Codice di Leicester), per contro, queste conchiglie sono prova del sollevamento dei fondali marini, come già sostenuto dagli antichi; egli, inoltre, spiegava il processo di fossilizzazione nei termini che dovevano essere altrettanto familiari ai seguaci moderni di Aristotele, Avicenna e Alberto Magno: “Quando la natura viene alla generazione delle pietre, essa genera una qualità d’omore vischioso, il quale, col suo seccarsi, congela in sé ciò che dentro di lui si rinchiude”. Può esser vero che nel Rinascimento abbia momentaneamente prevalso la teoria della genesi inorganica dei fossili, sostenuta tra gli altri da Cardano, Aldovrandi, Michele Mercati, Kircher e Campanella, ma questa derivava i suoi principi dal neoplatonismo magico-ermetico, piuttosto che dalla tradizione aristotelica. Prova ne è che in quel tempo gli avvocati della teoria della genesi organica si ritenevano seguaci dell’aristotelismo, come Fracastoro e Cesalpino. Stefano Sassaroli Bibliografia • F.D. Adams, The Birth and Development of the Geological Sciences, Dover Inc., New York 1938 S. Raffi & E. Serpagli, Introduzione alla paleontologia, UTET, Torino 2003 • P. Rossi, I segni del tempo. Storia della terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico, Feltrinelli, Milano 1979. • P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza, Roma-Bari 1997 • M.J.S. Rudwick, The Meaning of Fossils. Episodes in the History of Palaeontology, University of Chicago Press, Chicago 1985, 2ndEd. Sulle ali di un ippogrifo gni anno, grazie a molti racconti ed esperienze scritte dagli studenti, il giornalino “L’Ippogrifo” diventa sempre più speciale ed interessante. Ma che cos’è un ippogrifo? Qual’è la sua storia? L’ippogrifo è una creatura della mitologia greco-romana. Analizzando il suo nome, si può facilmente dedurre che è frutto di una fusione tra due parole di origine greca: hìppos, che significa “cavallo”, e grypòs, che significa “adunco”, riferito al becco di questa fantastica creatura. L’ippogrifo è dunque una creatura alata, descritta come un incrocio tra un cavallo e un grifone. Ha quindi la testa, le ali e le zampe anteriori come quelle di un’aquila e le zampe posteriori e il resto del corpo di un cavallo. In alcune iconografie e descrizioni lo si può trovare anche con il corpo di un leone. L’idea del connubio tra grifone e cavallo si trova inizialmente nelle Bucoliche di Virgilio, in un passo in cui si considerava questo incrocio come qualcosa di impossibile e di assurdo, poiché si credeva in un leggendario odio tra i due animali: “Iugentur iam grypes equis” (“da oggi i grifoni si uniranno ai cavalli”). L’antagonismo tra le due razze, pari a quello tra cani e gatti, fa dell’ippogrifo un animale estremamente raro e difficile sia da possedere che da domare. In età medioevale, l’ippogrifo inizia ad assumere molte caratteristiche. Nelle leggende è di solito l’animale domestico di un cavaliere o di un mago. Bestia di incredibile forza e sovrumana velocità, funge spesso da destriero eccezionale: lo si descrive mentre vola in altro nel cielo alla velocità di un fulmine. L’ippogrifo assume un importante ruolo nel capolavoro letterario di Ludovico Ariosto, L’”Orlando Furioso”. Molti, infatti, attribuiscono la vera invenzione di questa creatura fantastica proprio all’Ariosto, che ne fa un animale straordinario ed inconfon- O dibile nella sua celeberrima opera. Nel poema si narrano le vicende di Orlando, che, essendo innamorato di Angelica, ma non corrisposto, diventa folle. Sarà poi Astolfo, che partirà alla ricerca del senno perduto dell’eroe, compiendo un viaggio che lo porterà dal Paradiso alla Luna. È chiaro che per raggiungere queste località è necessario un veicolo eccezionale, una cavalcatura fantastica: l’ippogrifo. Anche nella narrativa fantastica dei nostri giorni viene fatto ricorso alla figura dell’ippogrifo. Nel terzo capitolo della famosissima saga di J.K. Rowling, “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”, gran parte del racconto verte attorno alla sorte di questa creatura, che viene descritta nobile, fiera di sé, ma tuttavia difficile da avvicinare. L’ippogrifo infatti si lascia accarezzare soltanto da persone fiere e nobili d’animo, e mostra la propria riconoscenza con un inchino e lasciandosi cavalcare. Animale di intelligenza pari, se non superiore a quella umana, nella saga di Harry Potter è capace persino di percepire il male e le cattive intenzioni di chi si trova davanti. Così, nato da un verso latino di Virgilio, l’ippogrifo ha vissuto le sue storie più fantastiche ed indelebili nel Medioevo, ed anche oggi, in racconti sempre più fantastici ed inverosimili, in circostanze sempre più magiche, con il suo coraggio, la sua fierezza, la sua forza e la sua velocità, continua, ad ali spiegate, a volare. Niccolò Arena, I C L.C. 21 2007 Snuff, crimine piu’ reale della realta’ i è un sottogenere cinematografico piuttosto sconosciuto ai più (e verrebbe da dire fortunatamente), che è un misto fra hard core e splatter, ma qualcosa di più riprovevole, disgustoso ed esecrabile di questi ultimi, che vide la luce nel 1976, grazie alla macabra fantasia di due scarsi registi, Michael e Roberta Findlay. Essi girarono un film il cui originario titolo era “Slaughter” (strage), che poi diventò in un secondo momento “Snuff”. Questo termine, in seguito passò ad indicare nello slang familiare americano “uccidere”, un fatto a dir poco emblematico. Il film realizzato trattava della strage di Bel Air ad opera della setta satanica capeggiata da Charles Manson, in cui morì anche Sharon Tate, la moglie del regista polacco Roman Polanski. Risultò essere di fattura talmente misera che un responsabile della produzione, tale Allan Shackelton lo volle “condire” con una scena di ben più di quattro minuti in cui si vedeva una donna orribilmente martoriata e straziata. Pare che la sequenza sia stata girata a spese di un’ignara attrice di nazionalità argentina (il film era stato ripreso proprio nel paese sudamericano), convinta di essere stata ingaggiata per un provino. Eloquenti in proposito erano le locandine, che recitavano succintamente: “Gli eventi più sanguinosi che siano mai accaduti DI FRONTE ad una macchina da presa!”. Vi è da chiarire che i punti fondamentali che caratterizzano lo snuff sono sostanzialmente tre: i membri della crew sono degli assassini, gente cosciente di uccidere un essere umano: essi sanno cosa stanno realizzando e per chi lo stanno facendo. V 22 2007 Ovviamente è il denaro il fine ultimo delle loro azioni, ma non bisogna trascurare il fattore di perversione e di crudeltà che li induce a eseguire tali nefandezze ottenendone grande appagamento. Il secondo punto consiste nella totale inconsapevolezza dell’attore. Egli non sa di girare la sua ultima scena, di essere sul punto di rendere l’anima al Creatore dopo atroci sofferenze. Il terrore sul volto degli sventurati quando all’improvviso realizzano di essere in trappola e destinati al massacro è la cosa che il depravato amante di snuff cerca con più morbosa ossessione. In ultimo, ma non ultimo, lo spettatore, il destinatario “dell’opera”, la persona per cui viene ucciso l’attore, che può essere consapevole o inconsapevole della realtà di quanto sta vedendo. Ricordiamo inoltre che la vittima è uccisa ai soli fini del film. L’esibizionismo, il voyeurismo, la necrofilia sono alcune componenti psicopatologiche basilari del video. Una persona sensata rabbrividisce di fronte a tali turpitudini, anche solo nel sentirne parlare. C’è da tenere conto però che non tutti son dotati di equilibrio e di assennatezza. Sono proprio questi individui a toccare i limiti più nefandi dell’operato umano. In fondo quale crimine è peggiore dell’omicidio? Nessuno. E se l’omicidio è compiuto per una macabra soddisfazione, l’atrocità compiuta non ha davvero eguali. È un fenomeno davvero allarmante, è il prodotto di un mondo a più volti, di cui uno dei tanti genera abiezioni e brutalità di tal genere. La violenza genera la violenza, in qualunque forma essa sia, questo è indubbio. Figuriamoci se viene addirittura esibita davanti allaaaae telecamere. Maria Costanza Boldrini, II B L.C. ………………………………… ………………………………… Nel cuore dello sterminio: Auschwitz tra storia e testimonianza ………………………………… Il caso Welby riaccende il dibattito Eutanasia… buona morte? P er eutanasia, che etimologicamente signif ica “buona morte”, s’intende “un’azione o un’omissione che di natura sua, o almeno nelle intenzioni di chi la attua, procura la morte allo scopo di eliminare ogni dolore. Questa definizione della Santa Congregazione per la Dottrina della Fede si deve completare con il concetto di “morte dignitosa”, che quindi permetterebbe al malato di terminare la vita non in ospedale, ma tra l’affetto dei propri cari. Il “problema” dell’eutanasia non è solo recente: fin da epoche remote, infatti, i medici hanno ricevuto dai propri pazienti la richiesta di anticipare la morte. Ben noto è il giuramento di Ippocrate, secondo il quale ogni medico giura che non somministrerà mai a nessuno un farmaco che provochi la morte del paziente. La particolarità del nostro tempo, che spiega tra l’altro l’acutizzarsi del fenomeno, è data dal profondo cambiamento che le circostanze in cui si muore hanno subìto per via del progresso della medicina e del miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie. Fino a pochi decenni fa la morte giungeva presto, poiché non si riusciva a combattere efficacemente la malattia o perché insorgevano infezioni o complicazioni dovute alle dure condizioni di vita. I decessi avvenivano prevalentemente a casa; anche se non era dolce o quieta, la morte era sicuramente più rapida ed indolore. Oggi si muore più tardi, per malattie croniche o degenerative legate alla vecchiaia. Come si evince dalla definizione “azione o omissione che procura la morte…”, esistono diversi tipi di eutanasia, precisamente tre: il primo, la forma attiva, prevede la somministrazione di un farmaco letale, il secondo, quella passiva, consiste nel sospendere la terapia abituale, il cosiddetto “accanimento terapeutico”; infine il terzo, il “suicidio assistito”, che si verifica quando un medico o un familiare procura al malato del veleno, senza però collaborare all’assunzione dello stesso da parte del richiedente. Da quanto esposto si capisce bene che il problema etico non coinvolge solo il malato, ma anche operatori sanitari e legislatori, nonché le Commissioni nazionali e sopranazionali per i diritti dell’uomo e dell’ammalato. Fino ad ora tutti gli Organi competenti si sono espressi contro l’eutanasia, consentendo soltanto la sospensione o la diminuzione delle terapie farmacologiche. Ad opporsi a qualsiasi forma di eutanasia è invece la Chiesa, la cui dottrina muove da tre punti fermi: il riconoscimento del carattere sacro della vita dell’uomo in quanto creatura di Dio; il primato della persona sulla società; il dovere delle Autorità di rispettare la vita. Al riguardo papa Pio XII dichiarò: “Per quanto concerne il paziente, egli non è padrone assoluto di se stesso, del proprio corpo, del proprio spirito. Non può dunque disporne liberamente. Per quanto riguarda i medici, nessuno al Mondo, nessuna persona privata, nessuna umana pietà, può autorizzare il medico alla diretta distruzione della vita; il suo ufficio non è di distruggere la vita, ma di salvarla”. Altri Papi si sono più volte espressi contro l’eutanasia, ma si sono rivelati favorevoli alla riduzione dell’accanimento terapeutico. Anche esponenti di altre confessioni religiose (quali l’Anglicanesimo e il Calvinismo, che recentemente si è dichiarato favorevole ad ogni tipo di euta- nasia) si sono pronunciati contro l’uso massiccio di farmaci. Contro la “buona morte” si sono espresse anche Organizzazioni Sanitarie Internazionali, perf ino l’Assemblea del Consiglio d’Europa. Precisamente l’articolo 7 della Dichiarazione dei Diritti del Malato esclude l’eutanasia con tali parole: “Il medico deve sforzarsi di placare la sofferenza, ma non ha il diritto […] di affrettare intenzionalmente il processo naturale della morte”. Dal punto di vista legislativo, in Italia l’eutanasia è considerata alla pari di un omicidio volontario, anche se sono previste delle attenuanti. Il codice penale stabilisce dai sei ai quindici anni di reclusione per chiunque causi la morte di un uomo con il consenso dello stesso. Esistono anche altre sanzioni minori decise dall’articolo 580. Negli USA la Corte Costituzionale Federale ha fissato il diritto di ogni Stato di legiferare in proposito, ma solo l’Oregon si è espresso favorevolmente sulla dolce morte. Sempre negli “States” ha fatto scalpore il caso del dottor Kervokian, processato e condannato a vent’anni di reclusione per aver praticato l’eutanasia attiva su cento pazienti terminali. Per quanto riguarda l’Europa gli unici Stati che hanno legiferato in materia sono l’Olanda, l’Austria e la Svizzera. Nel primo Paese essa è tollerata da circa vent’anni, ma solo a particolari condizioni; nel secondo esiste una legge apposita dal 1997, mentre più recente l’adesione all’eutanasia da parte della Federazione Elvetica, dove però si accetta solo il “suicidio assistito”. “Caro Presidente, scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo anche a quei cittadini che avranno la possibilità di ascoltare le mie parole, questo mio grido, che non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese”. Queste sono le parole con le quali Piergiorgio Welby, alla fine di settembre, ha scosso l’Italia. Egli, malato terminale di distrofia muscolare da circa nove anni, negli ultimi mesi si era aggravato e, ormai disperato, aveva inviato una lettera aperta al Presidente d e l l a R e p u b bl i c a G i o rg i o Napolitano, domandando per sé l’eutanasia. Chiedeva che le sue sofferenze venissero messe a tacere e che, quindi, potesse morire. Il diff icile “caso Welby” dal Quirinale è sceso f ino a Montecitorio, e il suo recente epilogo ha scosso le coscienze. Questa tematica mi coinvolge molto in quanto ho conosciuto situazioni simili a quelle di Welby. Quella ad esempio di un ragazzo malato di distrof ia muscolare da vent’anni, non si alza dal letto da circa nove anni, vive tramite un respiratore autom a t i c o . A d i ff e r e n z a d i Piergiorgio, mangia senza l’ausilio di presidi esterni e parla ma, se non lo si conosce, non si può notare la più evidente caratteristica che li differenzia: la voglia di vivere, la speranza nel futuro. È l’unico “farmaco” efficace. Il suo mondo si può vedere attraverso il monitor di un computer; ha saputo adattarsi a questa situazione riuscendo a sfidare la malattia. Se i malati terminali, giovani o anziani che siano, invece di disperarsi e chiedere la morte, provassero a farsi coraggio e a resistere ad essa, non ci sarebbe bisogno di legiferare sulla “buona morte”, che, pur essendo “dolce”, rimane comunque un evento irrimediabile. Federico Rango V° D L. C. 23 2007 Orientarsi in economia S i è conclusa con grande successo la seconda edizione delle giornate di studio del progetto "Orientarsi in Economia - Questioni di macroeconomia nell’era della globalizzazione". Nelle aule della Biblioteca Petrucciana di Jesi si sono svolte, dal 16 al 18 novembre 2006, le giornate di formazione previste dal progetto, che ha coinvolto gli alunni delle classi terze del Liceo Classico e delle classi quinte del Liceo Sociopsicopedagogico e delle Scienze Sociali, i docenti universitari Giuliano Conti (professore ordinario di Economia Internazionale presso l’università Politecnica delle Marche) e Alberto Niccoli (professore ordinario di Politica Economica e Finanziaria presso l’università Politecnica delle Marche). Due grandi temi, strettamente legati fra loro, sono stati al centro dell’attività formativa proposta: il rapporto fra etica ed economia e il fenomeno della globalizzazione visto in relazione al problema dello sviluppo. Questi i seminari all’interno dei quali si è articolata l’attività, coordinata dalla Prof.ssa Maura Brambilla: Sviluppo e sottosviluppo (Prof.ssa A. Marcuccini), La povertà nei paesi ricchi (Prof.ssa S. Valentini), Costi privati e costi sociali: il problema dell’inquinamento (Prof. S. Sassaroli), Globalizzazione (Dott.ssa F. Scaturro), Consumi e capabilities: solo consumo o anche qualcos’altro? (Dott.ssa L. Romagnoli), Finanza etica (Prof. E. Savini), Istituzioni e sviluppo economico (Prof.ssa M. Pozzi), La demografia e il problema del sovrappopolamento (Prof. F. Lecchi). La terza fase del percorso è consistita in una prova scritta, svolta in classe su tracce legate ai temi del progetto, formulate secondo le tipologie A, B e D della prova scritta di italiano dell’Esame di Stato. L’elaborato giudicato vincitore da un’apposita commissione è stato quello di Lucia Arcaleni, della classe III A LC. Secondo si è classificato il lavoro di Giada Gardini (III C LC), e terzo quello di Giuseppina Coscia (III C LC). Ad essi verranno consegnati i premi (buoni libro offerti dalla Banca Popolare di Ancona, di 150, 100 e 50 euro, da spendersi presso la Libreria Cattolica di Jesi). Ecco il tema vincitore: Dalla fine della seconda guerra mondiale l’andamento delle singole economie nazionali ha cominciato a dipendere da regole e relazioni 24 2007 economiche internazionali. L’economia mondiale si è così via via strutturata come sistema unico, coinvolgendo anche le economie dei paesi meno sviluppati. A questo processo d’integrazione internazionale della produzione industriale e degli scambi commerciali è stato dato il nome di globalizzazione o anche di mondializzazione.Rifletti sulla questione avvalendoti delle tue competenze storiche e di quelle acquisite durante il corso “Orientarsi nell’ Economia”. Solidarietà, interdipendenza, coscienza più ampia di bene comune: questi gli obiettivi individuati dalla cooperazione internazionale allo sviluppo al termine del secondo conflitto mondiale. Sebbene inizialmente tale cooperazione fosse nata per sostenere economicamente la ricostruzione di alcuni paesi colpiti dal conflitto, già dagli anni Cinquanta ci si pone l’obiettivo di incoraggiare lo sviluppo economico e la crescita del prodotto nazionale lordo dei paesi sottosviluppati, attraverso il finanziamento di progetti di sviluppo, applicabili per risultati a lungo termine o in risposta ad un’emergenza. È con tale spirito che prendono vita, a partire dal 1946, organismi internazionali, bilaterali e multilaterali, per la cooperazione allo sviluppo, tra i quali emergono gli istituti finanziari specializzati in materia di sviluppo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, aff iancati negli anni ‘90 dalla Organizzazione Mondiale del Commercio. Sebbene le iniziali intenzioni della cooperazione internazionale lasciassero credere in una possibile e concreta soluzione alla dilagante povertà del pianeta, l’opinione internazionale fu costretta, già negli anni ‘60, a rivedere l’idea di povertà che stava alla base dei progetti fino ad allora proposti. I finanziamenti di imprese private o quelli per la realizzazione di grandi infrastrutture tendevano a far ricadere i guadagni sulle potenti nazioni occidentali, facendo sì che non venisse raggiunto il reale obiettivo, ma che ci si allontanasse da esso, aumentando, peraltro, il divario economico tra Nord e Sud del mondo. Se inizialmente la crescita economica si limitava a considerare l’incremento del prodotto interno lordo procapite, ad esso si sono aggiunti, in seguito, indicatori sociali, quali l’ac- cesso all’istruzione, l’alfabetizzazione degli adulti, l’aspettativa di vita alla nascita, l’accesso alla sanità e all’acqua potabile. Spostando ed ampliando, dunque, il campo di azione dei progetti, si è tentato si creare uno sviluppo che fosse partecipativo (che vedesse dunque la partecipazione diretta delle popolazioni locali allo sviluppo) e sostenibile (lo sfruttamento delle risorse da parte delle attuali generazioni non ne avrebbe dovuto limitare la sfruttamento da parte delle successive), ritenendo fondamentale aumentare, ben prima del P.I.L., la capacità amministrativa e di gestione delle imprese locali, e favorire processi democratici degli organi di governo e di sviluppo dello stato di diritto dei cittadini. Nonostante la fondante base etica, il meccanismo internazionale ha stentato e stenta a procedere efficacemente verso gli obiettivi preposti: da un lato la stessa base etica è risultata totalmente incompatibile, o quasi, con il sistema economico neoliberista adottato dagli occidentali ed imposto da essi a tutti i paesi che desiderano finanziamenti da parte degli stessi. Dall’altro la realtà governativa di molti paesi in via di sviluppo limita il potere dei finanziamenti, dato il loro orientamento tutt’altro che liberale e democratico. Il tentativo di una globalizzazione efficace fallisce, in parte, come già accennato, a causa di meccanismi innestati dal neoliberismo stesso. Esso, riprendendo il concetto di “mano invisibile” di Smith, secondo cui un sistema economico in concorrenza perfetta è capace di regolare le allocazioni soddisfacendo tutti gli agenti, seppur essi agiscano egoisticamente, in modo tale che ogni equilibrio di mercato sia un ottimo paretiano, ne amplifica l’individualismo, annullando la giustizia morale, posta da Smith alla base dei rapporti sociali. In tal modo, se ognuno può agire in base al proprio interesse, ritenendo così di rispettare anche quello altrui, secondo il concetto della mano invisibile, senza rispettare alcun principio morale, in realtà l’assunto stesso cade: l’iniziale idea di ricchezza quale guadagno si trasforma in una serie di innumerevoli attività finanziarie e di operazioni in conto capitale per il finanziamento di processi di innovazione, cardine del neoliberismo, che scadono in giochi a somma zero, in cui il guadagno di un agente corrisponde esattamente alla perdita dell’altro. Non ci si pone, così, alcun problema etico nell’imporre, in cambio di finanziamenti, la privatizzazione dei servizi, l’aumento delle imposte, la diminuzione della spesa pubblica e l’apertura ai commerci internazionali, ad economie nazionali che non ne possono controllare il peso, da un lato a causa dell’incapacità di gestione, dall’altro a causa della debolezza dei loro mercati rispetto a quelli occidentali. La globalizzazione, dunque, se astratta da un contesto storico determinato, si dimostra, a mio avviso, efficace per dar risposta alla povertà, ma, come già accennato, è la realtà governativa degli stati sottosviluppati che ne annulla la possibilità di successo. Governi dispotici, antiliberali non hanno alcun interesse a lasciar sviluppare la capacità produttiva dei loro cittadini, né, tanto meno, a proporre loro alcuna forma di istruzione: una minima coscienza storica ed etica creerebbe sommosse popolari che ribalterebbero il governo, ed un arricchimento della popolazione media corrisponderebbe ad un aumento della sua influenza nelle decisioni politico-economiche, diminuendo così l’autorità statale. Da un lato è, dunque, in difetto l’interesse occidentale a risolvere la questione, dall’altra è l’impossibilità di rendere efficace tale interesse, anche nel caso in cui esso sia totale. Non credo, dunque, sia possibile fornire una soluzione unicamente economica: in una società occidentale, nella quale è la sua stessa cultura a decadere vertiginosamente verso il baratro di un disinteresse ignorante, sarà difficile dar vita a progetti di sviluppo o a sistemi economici internazionali che siano volti unicamente e realmente alla crescita socio-economica altrui. Così, il problema non è tanto nell’erroneo sfruttamento delle risorse produttivo-economiche, quanto nel preoccupante depauperamento di quelle intellettuali, proprio là dove il benessere sarebbe capace di concederne un utilizzo illimitato. Tralasciando i meccanismi sociopolitici attuali, i quali ritengo abbiano un ruolo fondamentale nel fallimento socio-economico della globalizzazione, non sarebbe peregrino incentivare l’annullamento dell’ipocrisia intellettuale occidentale, nella sua inconscia approvazione delle ideologie integraliste, per rendere, almeno parzialmente, efficace la cooperazione internazionale allo sviluppo. Lucia Arcaleni, III A L.C. Sei romanzi sui classici I l genere del romanzo storico basa la sua validità principalmente su tre aspetti, dei quali ogni scrittore che si rispetti deve tener conto: l’esattezza storica di fondo, l’attendibilità della vicenda che si innesta sugli eventi “ufficiali” e la verosimiglianza dei personaggi. I libri di cui sto parlando, cioè quelli che la scrittrice australiana Collen Mc Cullough (nota ai più per il suo romanzo d’esordio “Uccelli di rovo”) ha dedicato alla Roma del I secolo a.C., rispettano tutti e tre questi punti. Rapida elencazione dei titoli: 1) I giorni del potere. 2) I giorni della gloria. 3) I favoriti della fortuna. 4) Le donne di Cesare. 5) Cesare, il genio e la passione. 6) Le idi di Marzo. I sei volumi coprono gli anni che vanno dal 110 al 42 a.C. e hanno come protagonisti quei personaggi che siamo stati abituati a studiare sui libri di storia, in particolare Mario, Silla, Pompeo e Giulio Cesare. Ma, (e questo è il bello della serie), quegli stessi uomini che nei manuali di studio sono visti soltanto dal “di fuori”, come semplici figure di passaggio nel corso degli eventi storici, o che, in altri luoghi, sono stati tristemente stereotipati o ridicolizzati (vedi alcune riprese moderne della f igura di Cicerone, spesso degradata al rango d’una macchietta da commedia), grazie alla penna della Mc Cullough riacquistano spessore e credibilità: come riporta la postfazione con cui l’autrice conclude le Idi di Marzo: “Lungo il percorso di questi sei libri, sono partita dagli eventi esteriori di alcune vite molto famose e ho tentato di creare esseri umani credibili, a tutto tondo, con tutte le complessità che il buon senso ci impone di credere abbiano posseduto”. A mio parere, questo tentativo ha avuto pieno successo: la figura di Silla, visto spesso come un pazzo sanguinario (una sorta di Caligola ante litteram) nei tre libri che lo vedono come protagonista, viene descritto con una profondità mirabile, con le sue luci e le sue ombre, con le sue torbide passioni e i suoi slanci di teatralità. L’abilità della Mc Cullough è evidente anche in un altro personaggio, Giulio Cesare, gigantesco (non mi vengono in mente altri aggettivi abbastanza pregnanti) protagonista della seconda parte della serie, geniale politico, colto letterato e formidabile generale. Discorso simile, del resto, può essere fatto per tutti gli altri personaggi, Mario, Pompeo, Catone Uticense, Crasso, Bruto, Antonio (figura ben lontana da quella idealizzata di Shakespeare), C i c e r o n e o O t t av i a n o , costruiti con una vivezza sconcertante. La cura che la nostra autrice ha messo nel creare le fisionomie dei suoi protagonisti, è visibile anche nella descrizione della Roma tardorepubblicana e degli eventi storici che l’hanno coinvolta, basata su un’attenta analisi delle fonti greche o latine che ne hanno parlato, come le Vite Parallele di Plutarco o le monografie di Sallustio. A questo proposito, è sufficiente leggere il capitolo dedicato alla congiura di Catilina, intriso fino all’orlo di fosche tinte sallustiane. Senza dilungarmi troppo, tutto ciò che mi resta da dire è questo: leggete questi libri, leggeteli senza lasciarvi scoraggiare dalle loro dimensioni (la scrittura della Mc Cullough scorre che è un piacere). Questa lettura non solo costituirà un piacevole modo per passare il tempo, ma vi porterà anche un grande arricchimento personale, arricchimento derivato dalle riflessioni che l’autrice dedica a temi ancora oggi attualissimi, quali l’amore, la guerra e l’ambizione. Lorenzo Focanti III B L. C. 25 2007 Viaggio nella pubblicità A vete mai provato ad osservare un vecchio manifesto pubblicitario di fine ‘800 o inizio ‘900? Le tecniche figurative ed il littering sono molto cambiati rispetto ad ora, eppure lo studio più attento di una pubblicità d’epoca può risultare molto interessante per capire meglio la società e la cultura degli anni in cui è stata creata. Alla base della comunicazione pubblicitaria possiamo considerare lo schema di Jacobson: EMITTENTE-MESSAGGIODESTINATARIO. In esso il destinatario assume un ruolo centrale sia in relazione al livello dell’informazione che il messaggio comunica, sia in relazione al livello emotivo che punta a coinvolgere chi riceve l’informazione. L’emittente del messaggio va considerata l’azienda produttrice che delega la rappresentazione di sé stessa al personaggio o ai personaggi cui il messaggio viene affidato; infine il messaggio, oltre ad avere la funzione di presentare al pubblico una grande quantità di prodotti per invitarlo all’acquisto, opera una funzione più complessa, come quella di suggerire modi di vivere, abitudini e bisogni fino a modificare i nostri comportamenti. La pubblicità si serve di codici legati alla grafica, all’immagine, ai colori, alla cultura integrandoli con quelli verbali: l’efficacia dipende infatti dalla forza espressiva dei linguaggi visivi e verbali per la pubblicità a stampa, per gli spot dipende anche dalla suggestione del sonoro. Il messaggio pubblicitario ha il fine di persuadere ed informare tramite diversi stili comunicativi: quello oggettivo, che usa lessico comune per fornire il maggior numero di informazioni relative all’uso, al funzionamento e alle qualità del prodotto; lo stile scientifico, che fa uso di termini tecnici e immagini dettagliate dell’oggetto descritto (impiegato per 26 2007 pubblicità di creme, medicinali ecc); lo stile conativo, che interpella l’acquirente con l’uso dell’imperativo per persuaderlo; lo stile emotivo, utilizzato per produrre nell’osservatore spirito di emulazione e identificazione (come, ad esempio, negli spot che mostrano un ambiente familiare) ed è legato al lessico del parlato informale; infine lo stile enfatico, caratterizzato da espressioni enfatiche e solenni, per dare particolare rilievo a qualcosa o spingere l’acquirente all’identificazione con il testimonial. È evidente, quindi, come dietro a tutto questo ci sia un vero e proprio studio della psicologia umana, per definire il consumatore sulla base di “stili di vita” e di indirizzarne gli acquisti, anche se negli ultimi anni sta prevalendo la tendenza a non considerare il consumatoredestinatario passivo rispetto al messaggio, ma di cogliere forme di feedback, come il reclamo, per verificare il successo del prodotto sul mercato. Nel corso de “Progetto sul Linguaggio Pubblicitario” sono stati analizzati anche diversi manifesti d’epoca. Le tecniche e i soggetti dei manifesti pubblicitari (e della pubblicità in genere) si sono evoluti notevolmente nel corso del XX secolo; alla f ine dell’800 un manifesto veniva dipinto quasi come un quadro, in modo molto pittorico, con l’aggiunta di una didascalia informativa; col passare del tempo le figure sono diventate sempre più schematiche, simboliche, rappresentative, gli slogan più incisivi e significativi, i caratteri più chiari e leggibili, fino ad arrivare alla pubblicità come la conosciamo noi. In questa evoluzione sono stati fondamentali i grafici pubblicitari, artisti del secolo scorso che tuttora fanno sentire la loro influenza. Come nel caso del marchigiano Federico Seneca, creatore di numerosi manifesti, che agli inizi del ‘900 ha ideato un famosissimo “logo” uti- lizzato fino a poco tempo fa da una nota marca di cioccolatini, la “Per ugina”; o p p u r e Armando Pomi, grafico pubblicitario del ‘900 che ha lavorato a lungo per la ditta “Bayer. Noto è Marcello D u d ov i c h , a u t o r e di importanti manifesti per ditte quali “Campari”, “Martini”, “Bugatti”. In ogni manifesto d’epoca sono emerse le figure tipiche di un periodo storico e le diverse abitudini, cambiate nel corso degli anni. Negli anni ‘40, ad esempio, una donna doveva badare alla casa e alla famiglia, curare i figli e preoccuparsi del marito: ecco allora che nei manifesti compare la figura della massaia perfetta che recla- mizza prodotti per la casa; una personalità molto diversa da quella precedente degli anni ‘30, quando nelle pubblicità la donna, che iniziava ad emanciparsi, appariva “borghese”, elegante e giocava a tennis, pubblicizzava prodotti di bellezza, gioielli e articoli sportivi o località turistiche. Insieme ai manifesti sono cambiati i modi di pensare, di comprare, di rappresentare: un vero e proprio “viaggio nella pubblicità”. Roberta Vinaccia III C L. C. Bisogno di qualcuno Q ualche tempo fa ero in treno. È bello viaggiare in treno: è come stare al centro del tempo, semplice spettatore delle cose che passano, della vita che scorre e che non è mai uguale. Ma nella vita purtroppo (o per fortuna), non si è mai spettatori perché il tutto come il particolare mi chiama in causa e ogni avvenimento, anche il più distante da me, mi coinvolge, interpella continuamente il mio pensiero, il mio giudizio, la mia coscienza, il mio fragile cuore. Certo, il rischio di essere spettatori ben pensanti c’è, eccome se c’è, ma in questo caso si è delle patate e nulla di più (con tutto il rispetto per le patate!) Avvicinandomi ad una stazione il mio sguardo è attirato da uno stupendo murales (chi riesce a disegnare cosi è davvero un artista, forse incompreso, ma comunque artista). E c’era scritto: “Non ti accorgi che ho bisogno di te?! Beh, che dire… è bello sapere che ci sono cuori così stupendi, che scrivono cose stupende perché hanno un animo stupendo. E credo che chi ha scritto quelle parole, abbia un cuore grande proprio come il mio. Ho iniziato a piangere in silenzio. Sentivo dentro tante emozioni che si mischiavano tra loro come fossero una cascata interminabile di stelle e poi… decisi di scendere. Scendo quindi dal treno e mi avvicino al murales per fotografarlo. Accanto al murales, in piccolo, con un pennarello indelebile di colore rosso, c’era scritta una preghiera. La grafia mi sembrava la stessa quindi suppongo che l’abbia scritta la stessa persona di prima. La preghiera era intitolata: e dammi la sensibilità necessaria per ispirare fiducia. Signore liberami da me stesso Perché ti possa servire, ascoltare e amare in ogni fratello che mi fai incontrare. Che non passi accanto ad alcuno con volto indifferente, con cuore chiuso, con passo affrettato. Accorgersi Signore, aiutami ad accorgermi di quelli che mi stanno accanto. Fammi vedere quelli preoccupati e disorientati; quelli che soffrono e non lo mostrano; quelli che si sentono isolati senza volerlo, Il destinatario è chi legge. Questa volta non mi chiesi a chi poteva essere indirizzato il murales ma, come forse non mi era mai successo prima, in un lampo capii che in quel preciso istante, il destinatario di quel profondo appello… ero io. Gagliardi Debora 5 L L.S.S. Cinque giorni sulla neve al 7 all’11 gennaio si è svolta l’attività sportiva sulla neve organizzata dal nostro liceo. La “settimana sulla neve” ha avuto luogo in Trentino Alto Adige, presso la località di Folgarida, dove erano situati sia l’albergo che l’impianto sciistico. Per quanto riguarda l’aspetto sportivo, quindi, i corsi di sci e snowboard, abbiamo potuto riscontrare una buona organizzazione. Già durante il viaggio d’andata ci era stato comunicato il gruppo a cui eravamo stati assegnati: principianti, intermedi, esperti, per il corso di sci o snowboard. Pur essendo pochi i giorni di soggiorno, avevamo 4 ore al giorno di lezione con i maestri di sci; quindi siamo riusciti ad imparare le tecniche basilari di questo sport, che si è rivelato molto divertente ma D alquanto stancante ed impegnativo. La giornata praticamente, funzionava così: la sveglia era alle 7.30, poi si scendeva e si faceva una colazione buona (a parte il caffè che non era dei migliori!) e sostanziosa perché dopo si doveva andare a sciare! Alle 8.30 si andava con la funivia sui campi da sci e alle 9 ci incontravamo con i maestri e si iniziava la nostra “attività sciistica”! È stato molto divertente: noi abbiamo imparato a sciare un po’ meglio e poi c’era il nostro maestro di sci, Pietro, che era davvero professionale e simpaticissimo! All’inizio eravamo titubanti poi, constatato che nessuno era un campione paragonabile ad Alberto Tomba nello sci, ci siamo tranquillizzate e spesso ci capitava di cadere in modo buffo e così scop- piavamo a ridere! Dopo tutte le risate, lo sci e, purtroppo, le cadute, verso le 11 11.30 ritornavamo in albergo e lì avevamo un’oretta tutta per noi per riposarci prima del pranzo. Verso le 14 ritornavamo a sciare facendo lezione con il maestro fino alle 16.30, poi, tornati in albergo, avevamo un’oretta e mezza dedicata allo studio nella grande sala a nostra disposizione nell’albergo. Finita l’attività didattica avevamo un’intera ora per prepararci per la cena… Fra le camere di noi ragazze giravano piastre e tutti i prodotti per lisciare e sistemare i capelli! Dopo cena si scendeva in “discoteca” dove c’era l’animazione! Tutte le sere lo spettacolo variava… abbiamo potuto apprezzare spettacoli di cabaret e giochi dove dei nostri compagni venivano coinvolti e facevano di tutto: dal recitare delle frasi a cercare le proprie scarpe nel buio totale! Poi l’ultima sera è arrivato lo spettacolo migliore e cioè… il ballo! Ci siamo scatenati davvero fino a mezzanotte (anche se il “coprifuoco” di solito prevedeva che alle 23 tutti fossero a “nanna”)! È stata davvero una bella esperienza, non solo perché con questa attività scolastica si ha l’opportunità di mettersi in gioco autonomamente in uno sport impegnativo e formativo, ma anche perché è un’ottima occasione per integrarsi con gli alunni delle altri classi e degli altri due licei (scienze sociali e classico). Quindi la consigliamo a tutti perché ragazzi, ve lo assicuriamo, è divertentissimo! Elisa Gianuario, Sara Bordoni 2 F L.S.P.P. 27 2007 Sui passi dell’amore iao a tutti… quello che voglio fare è scrivervi una lettera… “una lettera per la vita”.Chi sono io per farlo? Nessuno… e so bene che la pretesa può sembrare un po’ esagerata, però credetemi, ciò che mi spinge è proprio la passione per questa avventura incredibile che è la vita stessa,e inoltre, è l’amore che porto dentro, nel mio mondo e… vorrei farvelo un pochino conoscere, ecco tutto. Anche voi, come me, state crescendo e voi con il vostro mondo. Come vedete questo mondo? Cosa ne pensate? E cosa pensate di voi stessi,come vi vedete, come vi ascoltate, come sta cambiando la vostra vita a quest’età? Forse non sapete rispondere,perché non sempre ci si capisce qualcosa,perché spesso, solo nell’andare si trovano le risposte, perché solo nel cammino si arriva a capire e scegliere. Quante domande, quanti pensieri, quante paure, quanti sogni, quante gioie, quanti dolori attraversano l’esistenza, questa lunga autostrada verticale verso il Cielo,dove tante “cose” scorrono, passano e ripassano; qualcuna si ferma e qualcuna se ne va, qualcuna fa piangere e qualcuna sorridere,qualcuna dà gioia,speranza,pace, amore e qualcuna rattrista,lascia il dubbio, l’incertezza, il fiato sospeso. Tutte queste “cose” sono la vita che accade, che scorre e a viverle siamo tutti noi e sei anche tu. Si, proprio tu che ora stai leggendo e ti ritrovi in quello che scrivo. Forse, a volte, anche tu come me, ti ritrovi solo, con te stesso, a guardare il soffitto della tua cameretta con le mani dietro la testa, con la tua musica preferita (oggi “a palla”,domani a basso volume) e con le tue “cose”, con la tua vita che scorre, che va, verso un senso, verso una direzione, verso una meta. Eh,si… perché la vita,questa benedetta vita,questa straordinaria vita.Non sempre facile e non sempre felice ha una meta e il suo nome è… Beh, se non ti dispiace vorrei svelartelo più tardi, perché voglio vedere se riesci a scoprirlo da solo, con le tue uniche forze e non pensare che io sia presuntuosa in questo modo. No, aspetta un attimo! Voglio solo procedere con calma,per dare spazio ai miei sentimenti più puri e autentici. È vero che sono solo una ragazza di 18 anni e nient’altro, ma sono sicura che dopo aver letto tutto questo,dentro di te nascerà un tipo di amore, che nemmeno tu saprai di possedere, quindi… ascoltami, ti prego! Innanzitutto sono stata figlia (e lo sono tuttora per fortuna), sono stata bambina, sono ragazza, giovanotta, adolescente, ecc, pertanto, pur con tutta l’esperienza che ho da fare ancora,so un po’ come va la vita, so cos’è la gioia,quella vera e quella che fugge via, so cos’è il pianto, quello libe- C 28 2007 ratorio, che trascina tutto il dolore che hai dentro; so cos’è il dolore,quello passeggero, quello per cui non vale la pena di soffrire, e quello che ti fa dire: “Ce la farò?; so cos’è l’amore e il bruciore che uno prova quando qualcuno te lo ferisce; so cos’è l’amicizia e cosa vuol dire quando il tuo amico più caro (o almeno che sembrava tale) ti taglia fuori e ti tradisce; so cosa vuol dire perdonare ed essere perdonati, conosco bene la pesantezza dell’andare avanti ma anche la gioia che ti ridona energia e vigore nuovi; so cosa vuol dire incontrare all’improvviso, “per caso”, una persona che diventa la luce del tuo andare, la spalla su cui appoggiarti,il cuore a cui puoi confidare tutto di te perché sei certo che mai ti tradirà. E poi, so cosa vuol dire passare per il dubbio su Dio e quanto possa far male, ma so anche che la vita è un cammino e che camminando la vita si apre, ti spalanca orizzonti mai immaginati dalla tua fantasia, incontri stupendi e del tutto imprevedibili,esperienze fantastiche certamente non segnate sulla tua agenda. So anche che, se non molli, se ti rivolgi anche a Dio e non solo a chi vuoi bene e gli dici: “Guarda Dio, non sono certo della tua esistenza ma se ci sei voglio incontrarti”, Dio stesso si rivela al tuo cuore e ti ritrovi a non avere più bisogno di nessuna prova o dimostrazione della sua esistenza perché sai che ormai è dentro di te e il mondo lo inizi a guardare con occhi nuovi, pieni di speranza e privi di sconforto. Ma ognuno ha la sua strada da fare, il suo personalissimo percorso, diverso dagli altri, diverso dal mio, i suoi passi da fare. E ho scoperto che ciascuno di noi ha un “compito” da svolgere nella vita, un compito che gli viene affidato e nel quale, se lo si accetta, ci si scopre realizzati e contenti nonostante le inevitabili difficoltà. Questo compito che è il tuo lo scopri mentre vivi, giorno dopo giorno,nell’alternarsi degli eventi e delle vicende. Io ti parlerò e tu mi giudicherai, lo so. Ma non mi importa perché comunque io ti parlerò con il cuore e se non sarà cosi te ne accorgerai, vedrai. Voglio solo fare una precisazione. Le parole racchiudono molto di più di quello che dicono,pertanto,ti invito ad andare al di là per trovare quel di più di significato che esse contengono. Allora và ragazzo, va’. La vita è sempre, ad ogni età. Ragazzo che stai venendo su, va’ e non temere. Sii forte, come lo sono io, anche se sperimenterai la tua debolezza e la tua fragilità; conosci te stesso, ciò che sei e ciò che vali veramente, i tuoi doni, i tuoi pregi e i tuoi difetti, sii leale con te stesso e con gli altri, perché a nulla vale mostrarsi per ciò che non si è; coltiva nel tuo animo il coraggio, la fiducia e la speranza, perché a niente giova pensare sempre al peggio, appesantisce il cuore e ogni tua azione. Sentiti un viandante,un ragazzo in cammino, sempre in cammino, mai arrivato, pronto a ripartire verso la meta, ama la verità e và alla ricerca di lei:non andare lontano a cercarla perché essa è dentro di te! Io, nel mio piccolo, ti sono vicino anche se non te ne accorgi. Intanto seguo il tuo cammino con il pensiero, con la mia immaginazione… con la discrezione di un padre e le premure di una madre, intanto ti guardo quando tu non mi vedi, intanto prego il buon Dio che ti conduca per le sue splendide vie. Quando incrocerò i tuoi occhi per caso, mi sembrerà di vedere il mio mondo nel tuo, quello che porto nascosto nel cuore, quello che non voglio che altri conoscano compresi quelli a cui tengo di più. Sai, spesso bastano gli occhi per dire senza parlare e quante cose si dicono con la semplicità di uno sguardo! Carissimo, non stancarti mai di andare! Ciò significa che non devi stancarti mai di sperare che il domani sarà migliore. Se puoi scaccia via quella malinconia che a volte mette un velo ai tuoi occhi e un peso alle tue ali. Ti dico “se puoi”, perché ci sono giorni in cui non riesci a non essere triste e ti capisco! Ma… accettali, perché non sono per sempre. Lasciatelo dire da una ragazza che,dietro gli occhialetti un po’ storti, dietro quel suo corpicino “poco cresciuto” per la sua età, dietro quel suo volto in apparenza, sempre sorridente e ridente, nasconde tante paure, tante angosce, tanti dolori che ancora non riesce a superare, ma…si nasconde anche una bella verità. Quella di una ragazza dal cuore grande e in perenne movimento, una ragazza che nonostante la sofferenza e l’indifferenza, non si lascia più vivere dalla vita ma,al contrario,la interroga per capirla, la studia per non sprecarla! Una ragazza che racchiude dentro di sé sentimenti sinceri, che pochi possono comprendere.Una ragazza che ha un grande mondo dentro di sé, dove pochi riescono a entrare e a capire un po’ come funziona… E questa ragazza, nonostante tutto possiede anche dei sogni, perché senza un sogno la vita è destinata ad andare avanti nell’illusione, nella pesantezza, senza più stupore e meraviglia, senza più bellezza. Si, perché il sogno ti dà energia, ti dà grinta, ti dà gioia. Non ti parlo del sogno di vincere al lotto o di fare 13 al totocalcio, di avere una storia con quell’attore o con quel cantante, di avere un altro volto, altri capelli, un altro fisico, un altro carattere,insomma,non ti parlo di sogni che sono delle autentiche balle ,vere e proprie fughe dalla realtà di ogni giorno. Ti parlo, invece, di quei sogni la cui distanza dal loro avverarsi non è poi cosi lontana. Non so qual è il tuo sogno ma, proprio perché lo possiedi solo nell’avverarsi che accada, proprio perché lo vivi non come realtà, ma nel pensiero, proprio perché è un sogno, allora… allora lo devi affidare, lo devi consegnare. Non senti che alle volte ti batte dentro come una gran cassa? Non percepisci che è qualcosa più grande di te e che lo ritrovi cosi e non sai perché? Non preoccuparti… sogna, sogna e sogna!!! Ma con i piedi per terra,eh! Non bastano le tue qualità e tu lo sai, i tuoi talenti, le tue capacità. Ecco, qua… Ho quasi finito, eh! Vi ho annoiato? Beh, probabilmente in questo preciso istante vi starete chiedendo il perché mi sono messa a parlare di queste cose, giusto? Il mio non vuole essere un tentativo di sfiducia nei vostri confronti, poiché credo e spero che ci siano ragazzi che come me,combattono la vita e non la sciupano,semplicemente il mio è un esempio, le parole di una ragazza che crede in qualcosa e nonostante le difficoltà, ha deciso di buttarsi, di rischiare nella vita e benchè molti tentativi non siano andati come lei sperava,sta lottando contro tutti e contro se stessa per rimettersi in gioco, vuole vivere finalmente! Certo,i colpi sono stati duri e lo sconforto, la paura e la delusione sono stati grandi, ma non sono mai tanto grandi da spegnere l’amore smisurato che questa ragazza ha per la vita. Sì, perché per lei la vita non è solo piacere, lei la sente dentro la vita… Ora la vive! E per questo si sta buttando a capofitto nei suoi sogni, ci vuole credere fino in fondo e adesso cerca di vivere senza rimpianti, perché la paura di una delusione non le ha impedito di rimettersi in gioco, comunque siano andate le cose. Ed è questo che voglio farvi capire. Se ami qualcosa, se la vivi, se la senti dentro, allora non puoi fare a meno di dargli tutto te stesso. Come quando senti una canzone e non puoi fare a meno di ballarla,come quando credi in un ideale e non puoi fare a meno di gridarlo.Come quando sei innamorato e non puoi fare a meno di confessarlo e se non vieni ricambiato in fin dei conti non è poi cosi drammatico,dai! Certo,fa male,però vivi senza rimpianti, per ciò che sarebbe potuto succedere ma che non è successo solo perché la paura di andare a sbattere è stata più forte della voglia di gridare. Se avete voglia di gridare… gridate!!! Se avete voglia di ballare… ballate!!! Se avete voglia di cantare… cantate!!! Se avete voglia di amare… amate!!! Se avete voglia di correre… correte!!! E se sentite qualcosa scorrere nelle vene, non potete fare finta di niente… dovete viverlooooooooo!!!!!!!! Gagliardi Debora, V L L. L. S. S. Essere cittadini: uno stile di vita, una ricchezza interiore I seminari del corso di formazione “Il bene comune. Ragioni e passioni di cittadinanza” tenuti dal professor Viroli, docente di Teoria Politica all’Università di Princeton, sono iniziati ad Ancona nel dicembre 2006. L’iniziativa è nata a seguito della prima edizione dell’evento “Europa e non solo. Dialoghi intorno ai confini” che ha permesso l’incontro di docenti e ragazzi di diversi paesi del mondo per riflettere sul “ricercare le tracce di una comune umanità”. Il 16 gennaio si è tenuto il seminario conclusivo durante il quale ho avuto occasione di leggere il mio “racconto”, che qui ora trascrivo, della mia partecipazione a quest’esperienza: I nostri seminari sono iniziati ad Ancona con due prime giornate il 22 e il 23 marzo 2006 dal titolo “Il comune sentire dei maestri di cittadinanza”. Abbiamo poi proseguito con altre giornate in diversi luoghi delle Marche. Per parlare di questo progetto comincerei prima di tutto a raccontarvi dell’atmosfera vissuta in queste giornate di lavoro. È proprio l’atmosfera, fatta di emozioni e sensazioni, che mi è rimasta nel cuore. Ascoltare pensieri, concetti e valori in cui ho sempre creduto, poterli in qualche modo vivere con la guida del nostro professor Viroli è stata una vera e propria ricarica di energia. Bello è stato guardarsi intorno e aver trovato tanti ragazzi, tante persone con cui condividere questi valori. È stato bello vedere come sia forte questo bisogno di parlare di cittadinanza e vedere come siamo in tanti a credere in quest’avventura che ci è stata proposta. Un’avventura. Si è trattato proprio di un’avventura del pensiero che è iniziata scoprendo, come veri e propri archeologi delle parole, come ci ha insegnato il professore a fare, quel qualcosa di magico che c’è nell’idea di come si può essere cittadini. È così che abbiamo scoperto il cit- tadino come colui che sa assolvere dei doveri oltre che possedere diritti, doveri verso i concittadini, doveri che vogliono dire possedere quel particolare tipo di saggezza che ci permette di vedere quello che è il bene comune e la corda di questa saggezza l’abbiamo ritrovata anche nell’arte del Lorenzetti nel suo affresco “Il buon governo”. Abbiamo ritrovato l’importanza del lavoro della mente e dell’anima; l’importanza delle passioni come la carità, quella capacità di condividere una sofferenza, di sentire vicino chi soffre e accanto alla carità lo sdegno, la passione che si prova quando un principio è offeso. E poi la mitezza. Abbiamo incontrato l’idea di libertà che non vuol dire solo assenza di interferenze ma vuol dire non essere dominati, non dipendere dalla volontà arbitraria di un altro; abbiamo immaginato lo “sguardo abbassato” che è segno della persona non libera, della persona che ha paura; abbiamo ascoltato l’idea di uguaglianza non assoluta ma di una disuguaglianza dei meriti e allora abbiamo anche appreso quale è la vera nobiltà: “vera nobilitas virtus sola est” e la “dolcezza del vivere libero” di Machiavelli; la “virtù leggera” come capacità del cittadino di non prendersi sempre troppo sul serio, di fare ironia su sé stesso. Abbiamo incontrato le figure del suddito, del minore e dell’immigrato. Abbiamo appreso la pericolosità dell’adulto bambino e del sovrano padre. Abbiamo scoperto chi è il minore, cosa è l’immaturità e il rischio enorme della banalità. È stato bello. È stato bello aver imparato di poter essere cittadini di una patria e cittadini del mondo. Abbiamo parlato di religione della libertà. E soprattutto è stato bello provare a scoprire se… vale la pena essere cittadini? Riprendendo le parole del professore: “È naturale crescere, se hai buona salute, diventare adulti e invecchiare, amare, odiare, avere invidie, avere fame e sete, ma cittadino non è naturale, è artificiale, nel senso che è sempre il risultato di uno sforzo…” Vi v o r r e i anche dire che è stato bello capire come la strada per scoprire se vale la pena essere cittadini sia quella di chiederlo a chi, vivendo da cittadino, vede e sente una particolare eccellenza. Altrettanto bello è stato apprezzare come si può essere cittadini nella vita quotidiana, “nel modo in cui educhi i figli, ricerchi la verità, nel modo in cui fai gli affari”. È stata proprio questa la specialità: poter tornare a casa dopo le giornate trascorse a discutere sulla cittadinanza con un arricchimento dentro, quella ricchezza interiore di cui parlava il professore, tornare con l’entusiasmo di provare a raccontare, rendere partecipi, le persone con cui trascorri il tuo tempo di questa piccola grande crescita vissuta, di questa gioia acquisita. E spero proprio possa trasparire da queste poche parole un po’ di quel qualcosa di magico che ho avuto occasione di ascoltare e di vivere. Ora, quale occasione per condividere all’interno dell’esperienza scolastica quanto detto durante i seminari tenuti dal prof. Viroli? Spesso, tra i partecipanti ai seminari, ci si è posti questa domanda, e l’occasione è stata trovata nell’ambito di un’assemblea d’Istituto a seguito della visione di un film, come spunto per iniziare un dibattito. Il film, “La Rosa Bianca” di Marc Rothemund, ambientato durante il totalitarismo nazista, racconta la storia di un gruppo di giovani che si opposero al regi- me trovando la morte. Quale lo spunto per iniziare un dibattito dopo la visione di questo film? L’intento era quello di attualizzare una realtà che, sempre viva nella nostra memoria, appartiene al passato: i ragazzi della Rosa Bianca vissero da forti e coraggiosi cittadini. Che vuol dire essere cittadini oggi? Come essere cittadini? Vale la pena esserlo? Da questi spunti e riprendendo alcune delle parole del professor Viroli, si è avviato il nostro dibattito, che ci ha permesso di confrontarci e di porci domande sul nostro modo di vivere, sul nostro essere cittadini. È nata una lunga e ricca discussione ed è stato bello condividere almeno parte di ciò che è stato appreso, vissuto e scoperto durante i seminari. La bellezza di questo corso, al quale ho avuto occasione di partecipare è stata proprio quella di discutere, approfondire, scoprire temi che non sono difficili da comprendere ma di cui quasi mai si sente parlare in modo esplicito, pensieri che difficilmente si concretizzano in parole ben definite proprio perché quello del cittadino è uno stile di vita, è un qualcosa che si sente nel profondo del cuore. E credo proprio valga la pena trovare un modo per poter condividere queste emozioni. Laura Pontoni, III C L. C. 29 2007 IL LINGUAGGIO DEGLI SMS NL MZZO DL KAMMIN D NSTR VITA... OVVERO COME FU CHE L’ITALIANO SI RITROVÒ IN UNA SELVA OSCURA (DI K E DI X) … utto ebbe inizio in un giorno non troppo lontano ma neppure troppo vicino, il giorno felice in cui vennero inventati i telefoni cellulari. Questi attrezzi, comodissimi e utilissimi senza dubbio alcuno, si diffusero alla velocità del lampo, e a quella medesima velocità diventarono il sogno proibito di tutta la mia generazione di ingenui adolescenti. Sudato, implorato, spesso e volentieri barattato, alla fine in un modo o nell’altro l’Oggetto giungeva nelle nostre manine adoranti (magari dopo che finalmente i nostri intransigenti genitori avevano ceduto dietro promessa ricompensa di un bel voto a scuola). Così fu più o meno per me e presumo - per molti altri come me. Più o meno in quel periodo, nelle nostre fetide ed insaziabili zampette adolescenti giungeva anche qualcos’altro: Internet (e chi aveva mai visto un computer prima?) E sì, quando i due elementi cellulari e pc - si incontrarono, si innescò la bomba a orologeria che avrebbe portato nel giro di qualche anno all’inabissamento sempre più totale e palese della nostra adorata ed adorabile lingua madre. Addio qualche! Addio perché! Addio quando! Ma occorre procedere con ordine, poiché a questa mia parola distratta sono sfuggite alcune piccole e fondamentali cosette. Occorre precisare innanzitutto che i cellulari sono simili alle peripatetiche: vanno pagati per T 30 2007 i loro servizi. Ecco quindi fioccare le ricariche, i soldi, il business dietro questi innocui aggeggini. Ed ecco fioccare pure un’altra cosa: le k, le x, letterine d’importazione alquanto infrequenti nel nostro alfabeto che, stranamente, iniziarono a fiorire come rossi papaveri nel grano. Avevano in ogni caso un loro perché: giustamente, i messaggini costano e per risparmiare è necessario accorciare le parole in modo da guadagnare spazio. Nulla in contrario in questo. Ecco quindi che alcune lettere iniziano a sparire, altre vengono contratte in modi spesso squisitamente arbitrari. Ora accadde che qualche tempo fa io stessi vagabondando in giro per il mio regno virtuale (perché sì, io vivo di pane e Internet); me ne andavo bel bella e ignara per la mia strada quando mi imbattei in una bestia veramente strana: tale paxato. Ammetto quindi di averci messo due ignominiosi minuti per comprendere che non si trattava di un qualche strano ibrido idioma alieno, ma della strana deformazione della parola “passato”. Oh b,, direte voi, e che c’è di tanto strano? Oh, io non lo so, so soltanto che la mia unica reazione è stata un brivido di puro orrore. Brivido di orrore che ha avuto il grande merito di farmi mettere alla tastiera a tediare un po’ il prossimo con la mia “pignoleria”. Perché me la sono presa tanto, vi chiederete? Urge precisare a questo punto che la sottoscritta si diletta a frequentare gli ambienti “letterari” di Internet, nello specifico quei siti che ospitano gratuitamente storie di autori dilettanti, oppure storie ispirate a libri o film. La sottoscritta inoltre non ha niente in contrario se la cosiddetta “scrittura sms” viene utilizzata nell’ambito in cui è nata, vale a dire lo spazio ristretto del telefonino cellulare. Premesso questo, iniziai a notare una cosa: che guarda un po’, le storie migliori dal punto di vista stilistico erano quelle di autori sopra i vent’anni. Me ne chiesi la ragione, e per puro motivo di raffronto spulciai alcune storie di autori più giovani. Notai quindi che questi ultimi, unitamente ad un’ignoranza spesso notevole di tipo strettamente sintattico e grammaticale - congiuntivi, questi sconosciuti!, presentavano anche un uso massiccio e perlopiù ingiustificato di abbreviazioni. Quelle stesse abbreviazioni da messaggino grazie alle quali perché diventa xkè, però diventa xrò, che diventa ke e le vocali subiscono un processo di sparizione peggio del senno di Orlando! Ma qui, badate bene, non si parla affatto di sms. Si parla di tutto il resto della lingua scritta. Si parla di frasi scritte su fogli bianchi dalla durata potenzialmente infinita, senza limiti di spazio. E infine, quel che ne risulta è un “italianese” incomprensibile che premia la velocità più della forma. Eppure tutto questo dovrebbe essere così ovvio! Il nostro è il mondo dell’immediatezza, ci si può quindi aspettare qualcosa di meno? Difatti, chi prova a rimbrottare qualcuno al riguardo si trova spesso coperto di insulti e finisce per passare dalla parte del torto (quante volte è successo a me!). Come se le abbreviazioni non bastassero, è stato osservato anche uno strano e veramente incomprensibile fenomeno di assimilazione della k, per cui quando non diventa soltanto qnd (ah sì, devo ricordarmi di dire qnd la prossima volta che parlo, ma aiutatemi a pronunciarlo che da sola non ci riesco!) ma anche - orrore degli orrori, bestemmia, sacrilegio kuando (e così anche kualke, kualkuno e via discorrendo). Qui non c’è neanche la scusa della velocità, e io inizio seriamente a domandarmi se non ci sia in ballo un qualche significato trascendentale a me ignoto. Cosa ci sta a fare una k lì, io mi domando? Che sia un fattore estetico? Il tondino e l’asticella della q sono così brutti? O si tratta di moda? Io provo sincero terrore ogni volta che vedo implumi bimbetti di otto anni armati di cellulare ultimo modello con tele-fotovideocamera-computer incorporati. Mi chiedo se davvero sia questo il destino dell’Italiano: quello di sprofondare sempre più, novello Titanic, dopo essersi sventrato contro un iceberg a forma di K. Maria Letizia Cardinali V I A.S. 2005/2006 Le nanotecnologie ella punta di uno spillo, abbiamo abbastanza spazio per trascrivere tutti e 24 i volumi dell’Enciclopedia Britannica…” affermò Richard Feynman. E, anche se potrà sembrare una frase assurda, le parole di questo fisico in un certo qual modo corrispondono a verità, se viste attraverso il mondo delle nanotecnologie. Ovviamente, non tutti sapranno quale sia il significato preciso di questo termine. Per farci un’idea cominciamo a immaginare qualcosa 200.000 volte più piccolo dello spessore di un capello, così da percepire le dimensioni di un nanometro, che sono poi le dimensione delle molecole e degli atomi della cui manipolazione si occupa proprio la nanotecnologia. Assemblando atomo dopo atomo, molecola dopo molecola, si arriverebbe alla realizzazione di macchine nanoscopiche in grado di compiere un lavoro preciso. Le tecnologie tradizionali hanno un approccio top-down, costruiscono in grande per riprodurre, mentre la nanotecnologia ha un approccio bottom-up, raggruppa atomi, neutroni e protoni per formare molecole da far funzionare a proprio piacimento. Di questo vasto argomento ci ha ampiamente parlato il professor Rustichelli, venuto in visita nella nostra scuola il 28 novembre scorso proprio perché noi avessimo un primo approccio con questa nuova e strana dimensione. Molti, con ogni probabilità, non avranno dato eccessivo peso a questa innovazione, ma credo che, visto l’attaccamento smisurato che si ha al giorno d’oggi per cellulari e apparecchi elettronici in generale, potrebbe suscitare grande interesse sapere dei futuri sviluppi delle nanotecnologie nel campo delle telecomunicazioni. Per Internet, per esempio, si pensa ad una Rete su scala mondiale che arrivi alla velocità dell’ordine di grandezza di migliaia di miliardi di bit al secondo, ovvero in grado di trasmettere migliaia di miliardi di informazioni al secondo. Non solo, si arriverebbe a telefoni cellulari di terza o quarta generazione che funzioneranno a 100 Megabit (100 milioni) al secondo! L’enorme attenzione, che si sta concentrando attorno a questo argomento, è giustificata dal fatto che le conoscenze in questione posso- “N no riversarsi in un’ampia gamma di applicazioni tecnologiche. Ad esempio la possibilità di modificare la struttura molecolare della materia potrà consentire di ristrutturare molti processi industriali per la lavorazione dei materiali più comuni. Anche se non ce ne rendiamo conto, ci sono molti prodotti da cui siamo circondati che si basano sulle nanotecnologie: a nessuno verrebbe mai in mente, per esempio, mentre gioca una tranquilla partita di tennis, che la pallina che sta usando sia uno di questi prodotti. Invece è proprio così, poiché grazie a queste tecniche è stato possibile sviluppare una membrana con migliori caratteristiche di permeabilità, che garantisce che la pressione rimanga sempre costante. Ma, palline da tennis a parte, è il caso di fare il nome di una cosa ben più importante e sensazionale: sapevate dell’esistenza di un nanocomputer, dotato dell’incredibile capacità di diagnosticare tumori microscopici e di realizzare subito la medicina che può distruggerli? Infatti, le molecole che lo compongono sono in grado di leggere l’RNA delle cellule, individuare eventuali difetti, diagnosticare così il tipo di tumore e riuscire totalmente a distruggerlo, senza intaccare le cellule sane. Le nanotecnologie si stanno rivelando sempre più essenziali e potrebbero compiere grandi cose... stanno invadendo ogni settore e in ogni settore il loro approccio si sta rivelando sempre di maggiore importanza. Perciò la prossima volta che ci imbatteremo casualmente o non, in questo argomento, proviamo a ripensare a come cose tanto piccole e non visibili ai nostri occhi, possono realizzare cose tanto grandi e così manifeste. Elena Cardinali II B LC …e le Biotecnologie e Biotecnologie sono tecniche che sfruttano le proprietà delle cellule vegetali e animali per produrre nuove varietà di piante o animali con scopi che vanno dal consumo alimentare alla produzion e d i f a r m a c i o va c c i n i , a l trapianto di geni per contrastare determinate malattie. Tra le piante che subiscono processi transgenici vi sono il mais e la soia (coltivati soprattutto in Nord America) che vengono modificate con geni estranei in modo da divenire resistenti a certi parassiti e insetti. Uno degli aspetti negativi delle piante geneticamente modificate è il problema dei geni resistenti agli antibiotici; infatti, poiché le piante vengono poi consumate, potrebbero rendere ineff icaci le cure antibiotiche praticate sull’uomo per debellare malattie infettive; oppure potrebbero dare origine allo sviluppo di allergie. Lo scopo della ricerca è quindi quello di produrre nuove soluzioni alternative sempre più sicure. Le biotecnologie sul mondo animale procedono più cautamente e si stanno solo sperimentando alcune strade senza che vi sia l’intenzione di mettere in commercio in breve tempo i risultati della ricerca: dal salmone che pesa trenta volte il suo peso normale, agli animali che producono farmaci con il latte, alla umanizzazione di un animale (per esempio il maiale) con un gene umano per consentire che gli organi del suino siano disponibili per trapianti sull’uomo (xenotrapianti). Proprio questi argomenti sono stati oggetto delle due conferenze tenute il 15 Dicembre 2006 e L il 16 Gennaio2007 dalla dott. Andreoni e dal prof. Mezzetti, rispettivamente delle Università di Urbino e di Ancona. Sentir parlare della possibilità di intervenire sulla materia manipolandola e operando su atomi e molecole ci ha veramente affascinato, anche se siamo rimasti perplessi e un po’ diffidenti sui risultati che promettono le nuove tecniche. Ci rendiamo conto che esistono molti problemi di carattere etico e religioso ed è proprio per questi motivi che bisogna intervenire cercando di sensibilizzare ed istruire le masse mostrando come e perché le biotecnologie portino vantaggi e possano migliorare la vita non solo in Occidente ma anche nei Paesi in via di sviluppo. Francesco Mattioni II B L. C. 31 2007 Le pagine d Come una candela Caterina Pentericci IB L.C., 06-06-06 Giulia Orsi, III B LC Cora Ceccarelli, II E L.S.P.P. I raggi del primo sole invadono il mio animo assopito, la leggera brezza mattutina prude sul mio corpo accartocciato, il pudoroso ego si svela rassicurato dal tempo immortale non più intimorito dalla Sera tumultuosa e scura che quasi fatale gettava le sue ombre sulle deboli viscere del mio cuore. Mi sciolgo nell’ombra, candida, mi consumo, colo lacrime di cera, dense, opache, fredde, dure, come se dimenticassi tutto, in una fiamma nasco, nel pianto vivo e muoio, come se quello fosse il mio destino , accettato con immobile sottomissione; al mondo un grido silenzioso, composto, distaccato. Lentamente finisco, goccia dopo goccia, in un sordo lamento mi spengo, affogando il profumo, in uno stagno di tenebra. Dolore Immenso abisso che si propaga dentro me Uomo perché non odi il mio urlo disperato? Insistente Penetrato Unico suono percettibile ma tu insensibile Come vento impetuoso che disperde le foglie tu fai lo stesso con le mie parole Mai ascoltate Percepite Sono solamente fuggite mai esistite Rompi il mio silenzio! Non guardare me solo dentro me Distruggi il mio silenzio! ora ascoltami dolore Sconforto Caterina Pentericci, 11-03-06 Sprofondo Nel buio del mio sconforto, Annego Negli abissi del mio ego. La madre Caterina Pentericci, 07-05-06 Fra le onde spumose del mare infuriato, fra le nuvole burrascose del ciel inchiostrato, scorgi la luce sicura del faro e sorgi di nuovo nel caro abbraccio di tua madre che ti desta dal sogno e poi ti apre all’austera vita. Tempo corrode il passato Caterina Pentericci, 19-11-06 Tempo corrode il passato Tempo vela i ricordi Tempo cancella ciò che è stato, ma Tempo non potrai entrare nei sordi fondali profondi delle viscere del mio cuore e rubare il calore dei secolari miei sentimenti. L’adulterio della vita Caterina Pentericci, 02-12-06 Vorrei afferrare un Narciso per fuggire all’illusione di questo mondo intriso di spontaneo dolore. Non fuggire al desiderio che, se pur rattrista il mio cuore gioisce per l’adulterio della vita. Tremule insicurezze Caterina Pentericci, 19-11-06 Lento il giorno s’alza, inesorabile il tempo passa e io rimango immobile inondata da pensieri incerti, fluttuanti sulle correnti della mia anima flebile. 32 2007 Dolore di Donna Risveglio dalla tempesta ΜΕΛΙΧΟΣ Giulia Orsi, III B LC Al kleos offristi il fiore dei tuoi anni, mio adorato eroe, dal meriggio al tramonto danzasti tra i dardi, splendido in alie vesti celato indomito cavalier dell’Ellade una due tre volte t’uccisero alle spalle colpito da Febo, vertigine ingiusta d’un dio stolto, nel mezzo la schiena si sciolse per mano troiana cadesti a terra, e d’Ettore l’asta ti strappò via la vita. Solo allora non fuggisti la Chera, t’avvolse, e scendesti nell’Ade lasciando il vigore, lasciando l’Amore. Ma in me, immortale, tu vivi. Girasoli Giulia Orsi, III B LC Sono ormai un girasole stanco, stanco di volgere lo sguardo al sorgere del sole e d’inchinarmi al tramonto e al crepuscolo torcere di nuovo il dolorante collo, verso la vita, verso la luce. Febo Apollo, accechi i tuoi figli con l’ardore del tuo carro, adusti ormai, sono i miei occhi non dal fuoco delle tue lacrime, ma dalla glacialità del tuo animo... Voglio addormentarmi per sempre avvolta nel manto del fosco orizzonte, celata da nubi a mezz’aria, vana preghiera d’ un ateo; non voglio sparire, ma essere invisibile, d’etere le membra, di marmo il cuore, per poi pattinare in un oceano di diamante e scivolare tra le cosce della vita, per carpire il frutto di una vuota eternità, per assaporare l’essenza d’un Dio, che forse sà solo di paura. Eterno letargo Cora Ceccarelli, II E L.S.P.P. Fermo e inevitabilmente immobile come un tempo che fu nella mia mente tu Sei troppo forte perché io possa respingerti Con una potenza erculea mi sovrasti mi comandi mi possiedi Io per te son solo l’ormai spento fuoco dell’amore che tanto amabilmente in te ardeva si muoveva irrefrenabile Tu per me sei ghiaccio e freddo perenne costante immutabile Ricordo costretto a ibernarsi per colpa di un litigio tra amanti che ora sognanti giocano a dimenticarsi Il grido dell’Uomo Cora Ceccarelli, II E L.S.P.P. Ascolta Non odi anche tu il fuggevole e persistente grido dell’Uomo intento farsi a sentire? Perché mai siamo così sordi ai sentimenti? Non ci sforziamo in alcun modo di capire Come si può ignorare il potere del Cuore? Quella nota forza oscura che ci possiede e infervora le nostre gote; L’immanità delle azioni a volte è dettata da essa ma solo la metà le commettiamo a causa del nostro sordo orecchio più peccatore della colpa stessa Ascolta e sii benedetto Ignora che tu sia maledetto della poesia La tua vita Cassandra a Micene In aeternum, partigiano Lorenzo Focanti, III B L.C. Al “Partigiano Johnny” Perché il Partigiano Johnny è uno qualunque di loro Vescovo Francesca, V F A volte ci guardiamo attorno E tutto ciò che abbiamo desiderato sembra essere proprio lì… davanti a noi… Ma quanto è orribile poi aprire gli occhi Vedere che il paradiso è in realtà l’inferno, una dimensione da cui non si può più fuggire uno spazio chiuso in assenza di aria. Quando vedi che tutto intorno a te è buio Quando l’unica luce della speranza è solo pura immaginazione… Quando ti rendi conto Che la tua esistenza non è come le altre Che non è UNA vita… Vorresti urlare Sbattere la testa contro il muro almeno cento e più volte… Ma a cosa servirebbe? Non vuoi Non ci puoi credere Perché proprio a Te? Allora… Forse solo allora… Ti renderai davvero conto che ciò che stai vivendo è LA vita… Non una qualsiasi… Ma la TUA vita… Quella che non puoi cambiare Quella che ti sta alle costole Quella fatta di salite e siscese Quel viaggio lungo e faticoso Che solo i veri eroi riescono ad affrontare. Magica Assurda Irripetibile Cattiva Fantastica Malvagia … ma alla fine di tutto LA vita È UNA sola e bisogna portarla avanti. “capita che tutto il mondo ti crolli addosso, schiacci ogni tuo sogno e renda vano ogni tuo sforzo… che tutti quanti gli eventi seguano un corso ma l’alba dei più belli vede presto il suo tramonto. E delle volte ti capita che… Che non trovi risposta ai tuoi melle perché, e delle volte ti capita che… che più che credere in te tu credi in quello che c’è…” Ecco davanti a te l’alta dimora In cui nero sangue sarà versato: cadrà il toro sotto la scure doppia, in un bagno di morte macellato. Cosa sarà di te, lo sai già da ora: la giovenca al toro sempre s’accoppia. Maria Letizia Cardinali, V I A.S. 2005/2006 Lasciasti la tua terra in silenzio, partigiano. In aeternum, partigiano. Non pensasti ai tuoi genitori, partigiano. In aeternum, partigiano. Partisti, partigiano, diretto chissà dove. In aeternum, partigiano. Diretto nei tuoi sogni, verso chi combatteva, partigiano. In aeternum, partigiano. E litanie di preghiera, e compagnie, partigiano. In aeternum, partigiano. Poi ti unisci a loro, partigiano. In aeternum, partigiano. A quelli come te, partigiano. In aeternum, partigiano. E trovi la morte, partigiano. In aeternum, partigiano. E vedi la guerra, partigiano. In aeternum, partigiano. La vedi in faccia, partigiano. In aeternum, partigiano. Quale mai l’avevi veduta prima, partigiano. In aeternum, partigiano. Ti svelle le membra, partigiano. In aeternum, partigiano. Ti battezza nel sangue, partigiano. In aeternum, partigiano. Nello scoppio e nell’armi, partigiano. In aeternum, partigiano. Sotto il cielo e nella terra, partigiano. In aeternum, partigiano. Nell’inverno e nell’estate, partigiano. In aeternum, partigiano. Tu li guardi in viso, partigiano. In aeternum, partigiano. I fucili su di te, partigiano. In aeternum, partigiano. E pensi al giuramento. Oh, dei! Già vedo i miei futuri mali! Io stessa mi predico la condanna! Scorgo la terra che il sangue tracanna, il denso sangue di due stirpi reali! Spaccarsi vedi la vasca dorata E l’acqua al suo interno spargersi fuori: ride la regina e l’ascia bipenne goccia rugiada di morte e dolori. Orgogliosa l’aquila incoronata Verrà denudata delle sue penne. Ah, incostante, imprevedibile Sorte, cui deve obbedir anche Zeus Signore! Accomuni il vinto e il vincitore In un medesimo fato di morte! È il tuo destino, non puoi fuggire. E non fuggirò! Cassandra, coraggio! È il tuo destino, devi morire. Vita felice... perduto miraggio... Filemone e Bauci Lorenzo Focanti, III B L.C. Sparse le stelle nel cielo oltremare, sognante la notte, calma e profonda; lucente di perla e placido il mare, bianca la luna si specchia nell’onda. Bagnati di latte, in tiepida brezza Una quercia e un tiglio sono abbracciati: l’una con le fronde l’altro accarezza questo la bacia con rami estasiati. In aeternum, partigiano. S’ergono lì, a monumento perenne D’un tenero amore, giammai toccati Da crudele accetta o da ascia bipenne, viva effigie di sposi innamorati. Ispirata dal libro di Beppe Fenoglio, “Il partigiano Johnny” Perché si possa non dimenticarli Vita compiuta! Vecchi fortunati! I Polidici Fabio Ragni, IV C L. C. I polidici è na cadegoria strana muntobè Ce fa discorsi ma miga ce vole bè Chi de sinistra, de destra o de centro Tutto un magna magna stanne certo Va tutti vestidi con giacche e cravattoni E ai comizi ce rempe le recchie de paroloni Pe piasse i vodi ce fanno grandi promosse Per esempio de non facce pagà le tasse Ce dice che giusteranno nigò N’vece finisce tutto n’ten calderò Se spartiscono pure la pensione E non vogliono mai lascià le poltrone Tutti capisciò e tutti miliardari Che co luscì tanti soldi ce potrebbe sfamò ‘ncora l’Africani Mi nonno dice sempre che chi fa la torta se licca le mà È proprio questo che essi sta a fa. N’ somma se non sa decide de mettese d’accordo pe facce sta in pace e in tranquillità Credo che li dovremmo fa ammazzà! Pe questo el politico voglio fa signorsì Nede capido non fadiga per niè e fa n’ sacco de quadrì! 33 2007 Autori jesini ono molti gli autori della nostra città che pubblicano libri, alcuni già affermati altri agli esordi, e forse non li conosciamo tutti abbastanza. Invece vale la pena leggerli, perché a volte parlano di noi. E altre volte, invece, ci aprono attraverso il racconto e la poesia spazi insospettati di riflessione, immaginazione, in uno scenario variegato e anche stimolante.Vi proponiamo una rapida carrellata di titoli, messi gentilmente a disposizione dalla Libreria Cattolica di Jesi (le descrizioni sono tratte dalle quarte di copertina o dalle pagine interne). S Lorenzo Verdolini “La trama segreta” Nel novembre 1931 un giovane e insospettabile impiegato di banca, Faustino Sandri, viene arrestato a Oneglia, cittadina del Ponente ligure. Nella sua abitazione gli agenti dell’Ovra scoprono un ordigno in via di fabbricazione con una notevole quantità di esplosivo. Chi era Sandri? Con chi era in contatto? Quali erano le sue intenzioni? Seguendo passo passo questa storia dimenticata - fatta rivivere grazie a una minuziosa ricerca d’archivio - l’autore s’immerge nel mondo finora poco esplorato del terrorismo politico, che proprio nel 1931 si manifestò con un’improvvisa quanto effimera fiammata. Ed. Einaudi, 2003, € 18,00 Massimo Fabrizi, “Guarda come corrono i fiamminghi pedalatori”. Narrato in terza persona, in un ritmo incalzante ed avvincente, il romanzo è incentrato sulla personale vicenda umana e sentimentale di Fabio Clementi, studente italiano in Belgio. Il linguaggio, fortemente intriso d’ironia, pare riprodurre, attraverso gli slang e le mescolanze linguistiche tipiche del parlato giovanile, e non solo, la babele linguistica della nuova Europa unita. Sotto il nucleo principale della trama, costituita dalla storia d’amore, si celano in realtà prospettive d’indagine e di riflessione ben più ampie, che spaziano da problematiche esistenziali a questioni etico-sociali ed economico-culturali. Fratelli Frilli Editori, 2002, € 7,50 Francesca Spaccia,“Come i cavoli a merenda”. In questo libro d’esordio, con stile semplice e felice, con sguardo fresco e a volte ironico, Francesca 34 2007 Spaccia affronta temi importanti come la prostituzione, l’amore e il rapporto con se stessi, con l’altro che è racchiuso in tutti noi. Racconta piccole storie di vita quotidiana cogliendone vizi e virtù, a cominciare dal primo racconto: perché la diversità, che dovrebbe essere oggetto di arricchimento culturale, diventa strumento di discriminazione sociale alimentata dalla paura di chi non conosciamo? Eppure è questa la realtà di un piccolo paese di provincia dove un giorno arriva Margherita, donna affascinante e ambigua, che sconvolgerà la quotidianità e l’immobilismo che reggono il falso equilibrio dei paesani. Ed. peQuod, 2002 € 7,55 Andrea Piersantelli, “Selva infernale”. La storia convulsa di questo libro è ispirata ad un certo senso di rivolta nei confronti della violenza e del sopruso. Al meccanismo di inseguimento della preda da parte del cacciatore va sostituendosi bruscamente l’azione di un terzo soggetto, almeno in apparenza privo di intenzioni e di emozioni: la selva. L’insidia della selva non assume un significato sostanziale nella prima parte, né particolare nella seconda. Soltanto in conclusione si sa trasformare nel supremo predatore contro cui ogni tentativo convenzionale di fuga risulta frivolo ed inefficace sino all’ultimo. Prospettivaeditrice, 2003, € 8,50 Alessio Pasquinelli, “Il Cappello di un Clochard”. Una sera particolare, una sconosciuta, su un biglietto, mi lasciò in eredità queste parole: “Ho raccolto con profonda emozione il sudore dell’artista che ha messo in gioco il canto della sua anima. La sua voce continua a contornare paesaggi irresistibili. Non fermarti spirito ribelle... torna presto ed un fortissimo IN BOCCA AL LUPO! Ciao dolcissimo Alino, e sogni d’oro”. Firmandosi per sempre nella mia anima come... Lady Sweet. Stampa Nova - Jesi, 2001, € 7,75 Martina Risté, “Una voce per amica”. “Al mio cuore grande, immenso, a tutto l’amore che ho per me, per lui, per i miei cari e per il mondo intero. Per ogni creatura su questa terra perché è l’immagine dell’amore di Dio che ci ha donato il bene più prezioso... la vita. Spero che per il suo dono di scrivere nelle mie mani possa lasciare l’impronta preziosa della sua generosità”. Gabrieli Editore, 2006, € 10,33 Vittorio Graziosi,“La vita è un arco teso”. Il vento è cessato di colpo dopo aver cancellato, nella notte, un po’ di storia degli uomini. Mario guarda le sue mani e non le riconosce, le sente nemiche, strumento di morte. Le rigira sotto la luce strofinandole tra loro. Ha gli occhi fissi sulla macchia di luce, come vedesse un film dove violenza e felicità non gli appartengono. Quella luce, nella stanza, svanisce. Non racconta più la storia di nessuno né rievoca fantasmi. E questo va bene per sopravvivere una notte di più. Prospettivaeditrice, 2004, € 8,00 Maria Chiara Teodori, “A manoscritto”. Questo racconto, fantastico, storico, ambientato nei primi anni del millecinquecento, è costruito come se si lavorassero maglie montate su tre ferri per fare la calza. Il lettore, quarto ferro, dovrà lavorare le maglie dei tre ferri e ricostruire la storia. Prospettivaeditrice, 2004, € 7,00 Serenella Barbaresi, “Pensieri, Riflessioni, Sentenze”. Raccolta di massime tratte da autori diversi, con lo scopo di offrire spunti per la riflessione, indirizzi per dirigere lo sguardo, vie per iniziare un passo in direzione migliore. Prospettivaeditrice, 2006, € 10,00 ne ingegnere amante della natura e camminatore instancabile che, attraverso i suoi itinerari in Vallesina, ha raccolto foto, testimonianze ed aspetti storico-culturali del grande patrimonio della tradizione locale. Stampa Nova - Jesi, 2006, € 12,00 Emanuele Ramini, “Quegli anni Cinquanta - Jesi tra speranze e nostalgie”. Il cordaio e il canapino, lo stagnino, il fabbro e il facocchio, il carbonaio e le tante altre figure di artigiani che lavoravano nelle loro piccole botteghe ed esprimevano un’inventiva e una capacità straordinarie; le lavandaie che lavavano i panni al Vallato o nei lavatoi cittadini; le maestre delle piccole scuole elementari di campagna; gli operai della Sima e le ultime sedarole; i giocatori della Jesina e le loro mitiche sfide contro l’Anconitana, gli emuli locali di Coppi e Bartali, il maestro Triccoli e gli esordi della scuola di scherma... Le lunghe file di persone davanti alle Sale Cinematografiche per vedere i Kolossal del tempo; l’entusiastica partecipazione popolare alla Festa dei Fiori e al Carnevalone del Prato. Un nostalgico ritorno alla Jesi degli anni ‘50 e la ricostruzione delle sue vicende politiche, economiche, culturali, sociali e sportive. Gruppo Editoriale Informazione, 2005, € 14,00 Emanuele Colò, “Versi di un giovane analfabeta”. Sentimenti, sensazioni ed emozioni, versi scritti con l’intento di comunicare immagini e parole che hanno affollato il cuore e la mente. Libroitaliano, 2005, € 10,00 Cristiana Simoncini, “La pieve tra Cupramontana e Apiro”. Un libro, tratto dalla tesi di laurea dell’autrice, che approfondisce aspetti poco conosciuti del nostro territorio, aggiungendo un capitolo di particolare interesse alla conoscenza della nostra storia e dell’origine di tante denominazioni e tradizioni che sono arrivate fino ad oggi. Ed. Cupramontana, 2005, € 7,00 Francesco Formiconi, “Vallesina misteriosa”. Memorie storiche e tradizioni leggendarie di carattere sacro e profano, fatti straordinari ed enigmi storici, clamorose truffe, tesori nascosti e sette esoteriche, vicende umane e aspetti particolari, curiosi o suggestivi del paesaggio della Vallesina: questi gli argomenti che il lettore interessato alla cultura locale potrà trovare in questo libro. Il vario materiale è organizzato in una specie di “guida vagabonda”; l’autore, infatti, è un giova- Marco Torcoletti, “Gli Amatori Una famiglia nobile nel secolo della borghesia”. Una ricerca storica scrupolosa, paziente e difficile che vuole, attraverso la storia di una famiglia - gli Amatori di Jesi, Monteroberto e Maiolati, guidarci anche attraverso le fortunose vicende di un ceto sociale: la nobiltà. E approfondire la sua storia nel momento della grandezza e della crisi, in cui seppe conservare tuttavia dignità e virtù. Effeci Edizioni, 2002 Vision to Visions In Xanadu did Kubla Khan A stately pleasure dome decree: Where Alph, the sacred river, ran Through caverns measureless to man Down to a sunless sea. So twice five miles of fertile ground With walls and towers were girdled round: And here were gardens bright with sinuous rills, Where blossomed many an incense-bearing tree, And here were forests ancient as the hills, Enfolding sunny spots of greenery... From “KUBLA KHAN” (lines 1-9) S.T. Coleridge Disegni realizzati da: Sofia Cartuccia e Riccardo Giustini, II B L.C. Kubla Khan Kubla Khan fece in Xanadù un duomo di delizia fabbricare: dove Alfeo, sacro fiume, verso un mare senza sole fluiva giù per caverne che l’uomo non può misurare. Per cinque e cinque miglia di fertile suolo lo circondò con torri e mura; c’erano bei giardini, ruscelli sinuosi, alberi da incenso in fioritura; c’erano boschi antichi come le colline e assolate macchie di verzura. Traduzione di Mario Luzi 35 2007 O Ai nostri giovani poeti e narratori proponiamo qui una selezione di concorsi cui è possibile partecipare. CONCORSI di POESIA e NARRATIVA 2) Premio Nazionale di Poesia “Dire” (aperto anche a studenti), organizzato dall’Associazione Culturale “Pegaso” di Biella Presentazione testi a: Libert Libero Biondi, Presidente dell’Associazione Culturale “Pegaso”, Via Quittengo, 3 - 13900 BIELLA (tel. 015-404120) A 1) Concorso Letterario Internazionale “Città di Ancona” (anche con una sezione “Studenti”), organizzato dall’Associazione Culturale Marchigiana “Voci Nostre” (sede legale: Via Sabotino, 9 - 60124 ANCONA). Presentazione testi a: la Circoscrizione,Via Cesare Battisti, 11/C - 60124 ANCONA (tel. 071-52748) R I (con sezioni anche “Studenti”) S 6) Euro Premio Letterario dì Poesia e Narrativa “Umberto Fraccacreta”, organizzato dal Centro Culturale “L. Einaudi” di San Severo (FG). Presentazione testi a: Segreteria Centro Culturale “L. Einaudi” (Prof. Domenico Vasciarelli), Via M. Pagano, 56 - 71016 SAN SEVERO (FG) (il concorso si svolge con cadenza biennale, negli anni dispari) M 5) Premio Nazionale di Poesia e Narrativa “Pinayrano”, organizzato dall’Associazione “Pinayrano”. Presentazione testi a Via Biscaretti, 15/5 - 10025 PINO TORINESE (TO). Tel. 011-842247 O 4) Premio Penisola Sorrentina “A. Esposito”, organizzato dall’Associazione Culturale “Il Simposio delle Muse”. Presentazione testi a: Via C. Amalfi 8 - 80063 PIANO di SORRENTO NA - tel. 0818787670, Dott. Mario Esposito. M 3) Concorso Internazionale di Narrativa e Poesia “Atena”. Presentazione testi a: Edizioni “Atena” (Redazione) Via F. Crispi, 9 73037 POGGIARDO (LE) - tel. 0836-909787 Tre indirizzi, un’unica sede . . . . . . . . . . . . 2 L’imaugurazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Un ricordo del professor Ambrosi . . . . . . . . 3 Alberto Alberti in mostra al Liceo . . . . . . . . 3 L’Orestea nel III millennio . . . . . . . . . . . . . 4 L’etica sportiva: intervista doppia . . . . . . . . 5 Di che sport stiamo parlando? . . . . . . . . . . 6 Dai Greci ad oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 La fame nel mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Africa Meridionale: un continente sconvolto dall’Aids 9 Ti amo… da vivere . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 Che cos’è la poesia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Le penne dell’Ippogrifo . . . . . . . . . . . . . . 12 Tutti contro uno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 Dante e l’ISLAM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 Progetto Fossa Mancini Enrico Fossa Mancini - Nota biografica . . . 16 Cacciatori di fossili e narratori di storie . . . 17 Aristotele, le scienze della terra e i fossili . . 19 Sulle ali di un ippogrifo . . . . . . . . . . . . . . 21 Snuff, crimine più reale della realtà . . . . . 22 Eutanasia… buona morte? . . . . . . . . . . . . 23 Orientarsi in economia . . . . . . . . . . . . . . . 24 Sei romanzi sui classici . . . . . . . . . . . . . . . 25 Viaggio nella pubblicità . . . . . . . . . . . . . . 26 Bisogno di qualcuno . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Cinque giorni sulla neve . . . . . . . . . . . . . . 27 Sui passi dell’amore . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 Essere cittadini: uno stile di vita, una ricchezza interiore . . . . . . . . . . . . . . . 29 Il linguaggio degli SMS . . . . . . . . . . . . . . . 30 Le nanotecnologie . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 Le pagine della poesia . . . . . . . . . . . . . . . 32 Autori jesini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 Vision to Vision . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 Kubla Khan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 Concorsi di Poesia e Narrativa . . . . . . . . . 36 Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 Disegno di copertina di: Sofia Cartuccia, IIB L.C., su versi di Fabrizio De Andrè “Un blasfemo”. 1971 MARZO 2007 LICEO CLASSICO STATALE V. EMANUELE II JESI Anno 23 N. 1 • Indirizzi: Classico • Socio Psico Pedagogico • Scienze Sociali Editore LICEO CLASSICO STATALE “V. EMANUELE II” C.so Matteotti, 48 - 60035 JESI (An) Tel. 0731.57444 - 0731.208151 Fax 0731.53020 E-mail: [email protected] C.F. 82001640422 LICEO CLASSICO LICEO SOCIO PSICO PEDAGOGICO LICEO DELLE SCIENZE SOCIALI Dirigente Scolastico: Prof.ssa Giuliana Petta Direttore Responsabile: Enrico Filonzi Comitato di Redazione Coordinatori: Prof.ssa Patricia Zampini Prof.ssa Paola Giombini Prof. Francesco Rossi Studenti: Anna Chiara Boschi - L.C. II B Alessandro Mancia - L.C. III B Giulia Orsi - L.C. III B Sara Trillini - L.S.P.P. IV E Ilaria Serpentini - L.S.P.P. IV E Disegno di copertina: Sofia Cartuccia - L.C. IIB Stampa: Stampa Nova, Jesi Reg. del Trib. di AN n.2 del 26.01.94 36 2007