Relazione elegante

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Relazione elegante
LIBRO
IN ASSAGGIO
LA SCOMPARSA DEI
FATTI
DI MARCO TRAVAGLIO
1. L’arte del parlar d’altro
Il camaleonte ha il colore del camaleonte solo quando si posa su un altro
camaleonte.
GROUCHO MARX
La politica è l’arte di evitare che la gente si interessi di ciò che la riguarda.
PAUL VALERY
Il sistema più semplice per cancellare i fatti è — molto banalmente — quello di non
parlarne. Ignorarli. E sostituirli con altri della stessa specie e della stessa importanza,
usati come diversivi, come coprenti. Non sempre, però, i fatti sostitutivi sono
disponibili quando occorrono: in questo caso, non resta che inventarne qualcuno di
sana pianta, oppure gonfiarne uno già esistente, ma di poco conto.
Il maestro ineguagliato nell’arte del parlar d’altro è Bruno Vespa col suo teatrino
quasi quotidiano di Porta a Porta su Rail, la rete ammiraglia del cosiddetto servizio
pubblico. Dopo la condanna in primo grado di Cesare Previti al processo Sme per
corruzione del giudice Renato Squillante, Vespa si occupa del Viagra. Quando il
tribunale di Milano condanna Marcello Dell’Utri per estorsione insieme a un boss
mafioso, a Porta a Porta si parla di calcioscommesSe con Aldo Biscardi e Maurizio
Mosca. Quando il Parlamento europeo boccia Rocco Buttiglione, aspirante
commissario Ue, per le sue tirate contro le donne e i gay, Vespa convoca Alba
Parietti e alcuni malati in stato comatoso per raccontare il loro improbabile risveglio
dal coma. Quando il centrosinistra vince in sette collegi su sette le elezioni suppletive
del 2004, a Porta a Porta si discute dell’isola dei famosi, con Simona Ventura & Co.
Quando il tribunale di Palermo condanna Dell’Utri a nove anni per mafia e quello di
Milano dichiara Silvio Berlusconi responsabile del reato di corruzione di Squillante,
ma lo salva per
prescrizione grazie alle attenuanti generiche, ecco un bel dibattito Fassino-Tremonti
sul presunto «taglio delle tasse» del governo di centrodestra e, l’indomani, una
fondamentale puntata sui reality show con Del Noce, don Mazzi, Crepet, Zecchi,
Paola Perego, Carmen Di Pietro e le gemelle Lecciso. La sera in cui il presidente
Ciampi boccia la riforma dell’ordinamento giudiziario del ministro della Giustizia
Roberto Castelli in quanto «palesemente incostituzionale», Porta a Porta
approfondisce l’ultimo film della coppia Boldi-De Sica, Christrnas jn Love. Quando
Previti viene condannato definitivamente in Cassazione a sei anni, l’amico Bruno
opta per un tema ben più attuale: la dieta mediterranea. Quando la Corte d’Appello di
Palermo condanna per mafia a cinque anni e quattro mesi il presunto «padre nobile»
dell’Udc Calogero Mannino, puntatona sui delitto di Cogne: una saga evergreen
giunta ormai alla trentesima puntata.
La saga di Cogne
Non c’è miglior emblema dell’arte del diversivo che la sventagliata di trasmissioni,
approfondimenti, dibattiti, reportage e «speciali» su questo infanticidio perpetrato —
secondo il giudice di primo grado — dalla madre del piccolo Samuele Lorenzi nel
gennaio 2002. Una tragedia piuttosto ordinaria, come se ne verificano a migliaia ogni
anno nel mondo, viene eletta da Vespa a evento dell’anno, anzi del decennio,
gonfiata ed enfatizzata a dismisura, trasformata in «giallo» a viva forza, anche se di
elementi misteriosi e appassionanti ne contiene molto pochi. Il tutto per oscurare ben
altri processi dell’anno, o del decennio: quelli agli uomini più potenti della storia
d’italia passata e presente. E allora ecco materializzarsi nello studio di Porta a Porta
il plastico della villetta di Cogne, col tettuccio rialzabile e, riprodotte in miniatura, le
varie stanze dello chalet con tanto di arredi, pigiami, ciabatte, copri- letto
insanguinati. Ecco le intercettazioni lette e rilette fino alla noia dalle voci calde di
appositi attori. Ecco la compagnia di giro dei presunti «esperti», dalla giornalista
tuttologa Barbara Palombellj al baffuto psichiatra-prezzemolo Paolo Crepet al bar
buto criminologo prèt-à-porter Francesco Bruno, che chiacchierano e sbrodolano per
decine di puntate ripetendo sempre le stesse ovvietà, destreggiandosi fra una
macchia ematica e un frammento osseo, in barba ai più elementari diritti alla privacy
e ai più basilari sentimenti di umana pietà per un dramma familiare che ha per vittima
un bambino di tre anni. Tant’è che bisognerebbe pregare il criminologo, o lo
psicologo, o tutti e due di analizzare il Vespa medesimo, per tentar di capire quali
atroci perversioni lo conducano a tuffarsi con tanta voluttà nel sangue di un
minorenne assassinato.
Intanto si susseguono le udienze e le sentenze dei processi al sette volte presidente
del Consiglio Giulio Andreotti, imputato di mafia e alla fine dichiarato colpevole ma
prescritto; e al premier in carica Berlusconi, al suo braccio destro Previti e al suo
braccio sinistro Dell’Utri. Ma Vespa non ha tempo per quisquilie tipo mafia e politica,
falsi in bilancio, corruzione giudiziaria e così via: ha altro da fare. Così del processo
di Cogne tutti gli italiani sanno tutto. Dei processi ai politici di ieri e di oggi nessuno
sa nulla, a meno che, oltre a guardare la televisione, non si abbia il brutto vizio di
leggere qualche giornale o qualche libro.
La notizia senza nome
Il 27 novembre 2005 l’Usigrai, il primo sindacato dei giornalisti Rai, dirama un
comunicato del suo segretario Roberto Natale:
Le informazioni sui processo romano a Cesare Previti, che oggi i lettori del Corriere
della Sera hanno trovato a pagina 18, erano in possesso, nelle stesse modalità, del
titolare milanese della cronaca giudiziaria della Rai, Carlo Casoli. La notizia è rimasta
però nella sua penna: nessuna delle quattro testate nazionali (i tre tg e il Giornale
radio) ha voluto ieri mandare in onda il servizio o dare la semplice informazione. E
poiché le vicende serie hanno talvolta un aspetto comico, Casoli si è anche sentito
fare, da una delle quattro testate, una proposta singolare: «Mandaci pure il servizio,
ma per cortesia non fare nomi». Evidentemente la preoccupazione di offrire un nuovo
fianco a critiche già roventi è più forte dei doveri di correttezza dell’informazione.
Questa la situazione della Rai di oggi, che il presidente del Consiglio ama invece immaginare impegnata
nella miitanza antiberlusconiana.
Chi pensasse a uno scherzo o a una leggenda metropolitana trattenga pure le risate.
E tutto vero, come ho potuto verificare parlando con il collega Carlo Casoli.
Ricapitolando, è accaduto questo.
Il 20 novembre 2003 Casoli scopre che la procura di Roma (non, dunque, le solite
«toghe rosse» milanesi) ha chiesto il rinvio a giudizio di Cesare Previti per corruzione
giudiziaria: diversamente dall’oggetto dei processi di Milano Sme-Ariosto e Imi
SirMondadori, questa volta l’avvocato-deputato-imputato berlusconiano non è
accusato di aver corrotto magistrati, ma un perito del Tribunale capitolino, Angelo
Musco, colui che quantificò in circa 1.000 miliardi di lire il risarcimento (che poi
risulterà non dovuto e frutto di sentenze comprate) a cui doveva essere condannata
la banca pubblica Imi nei confronti del gruppo Sir del petroliere andreottian-previtiano
Nino Rovelli. Anche quella perizia, come pure la sentenza, fu — secondo l’accusa —
comprata a suon di bonifici bancari in Svizzera dai tre avvocati-corruttori Previti,
Pacifico e Acampora, gli stessi che lavoravano anche per la Fininvest.
Tutto contento per lo scoop, Casoli avverte le direzioni delle quattro testate
giornalistiche Rai — Tgl, Tg2, Tg3 e Giornale radio — per prenotare lo spazio
necessario al servizio. Ma la risposta, unanime, è che il servizio se lo può scordare e
il suo scoop lo può raccontare ai parenti stretti. Ai tg e ai gr Rai non interessa. Non
sia mai che il «servizio pubblico» dia una notizia scomoda per Berlusconi e i suoi
cari. Meglio lasciare che la scoprano i giornali e poi, eventualmente, copiarla di lì. Ma
Casoli, giornallsta coscienzioso che non ha perso l’amore per il suo lavoro, insiste. E
alla fine, dopo lunghe trattative, ottiene il via libera da uno dei quattro notiziari (né lui
né l’Usigrai preciseranno quale). Ma a una condizione: che non faccia i nomi dei
protagonisti della vicenda. Sulle prime, pensa anche lui a uno scherzo. Come si fa a
raccontare che Previti è imputato a Roma di corruzione dal perito Musco per la causa
Imi-Rovelli insieme a Pacifico e Acampora, senza nominare Previti, Roma, Musco,
Pacifico, Acampora, Imi e Rovelli? Il giornalista chiede al suo superiore se ha capito
bene. Quello conferma: «Hai capito bene, niente nomi». A quel punto Casoli si mette al lavoro, nel
tentativo disperato di confezionare la prima notizia senza nomi della storia del
giornalismo mondiale. Ma alla fine si arrende e comunica a chi di dovere che, senza
nomi, non si capirebbe niente e dunque, a malincuore, si vede costretto a rinunciare.
Così nessun telespettatore verrà mai a sapere quella notiziola da niente, salvo i
fortunati lettori del Corriere della Sera, che la scopre e la pubblica alcuni giorni più
tardi.
E un vero peccato, comunque, che Casoli abbia gettato la spugna, perché il servizio
senza nomi avrebbe fatto il giro del mondo e sarebbe stato studiato in tutte le scuole
di giornalismo dell’orbe terracqueo. Proviamo a immaginarne il testo (quanto alle
immagini, non potendo mostrare il volto indimenticabile di Previti, si sarebbe dovuto
ricorrere a filmati di repertorio, magari dagli archivi di Piero Angela: branchi di
stambecchi saltellanti sul Gran Paradiso o un leggiadro tramonto sul Bosforo).
Buonasera. Oggi la Procura di una nota capitale europea, che non citiamo per
mantenere la suspense, ha chiesto il rinvio a giudizio di un noto parlamentare di una
repubblica che si affaccia sul Mediterraneo (e che non nominiamo per la legge sulla
privacy). L’uomo, di professione avvocato, già ministro della Difesa, membro di un
importante partito (che non nominiamo per rispetto del pubblico più impressionabile)
e braccio destro del capo del governo uscito a sua volta da vari processi per
amnistia, attenuanti generiche, prescrizioni o depenalizzazioni dei suoi reati varate
da lui medesimo, è accusato di aver corrotto un perito di Tribunale (il cui nome non
citiamo per non offendere il comune senso del pudore) affinché liquidasse un
megarisarcimento pubbllco non dovuto alla società di un petroliere (il cui nome
taciamo per rispetto dei minori all’ascolto). Grazie per la cortese attenzione e a voi
tutti buonasera.
Niente scalate e tanta pastasciutta
Il 2 maggio 2005, con un blitz della guardia di Finanza nella sede della Banca
Popolare di Lodi, la procura di Milano apre ufficialmente un’inchiesta sulle
controverse scalate bancarie in corso sot
to la regìa del governatore di Bankitalia Antonio Fazio: a cominciare da quella della
Bpl di Gianpiero Fiorani all’Antonveneta, collegata con quella dell’Unipol di Giovanni
Consorte alla Banca Nazionale del Lavoro e con quella del misterioso finanziere
Stefano Ricucci alla Rizzoli-Corriere della Sera. I reati ipotizzati vanno
dall’aggiotaggio all’ostacolo alle autorità di Borsa. Il primo lancio dell’agenzia Ansa è
delle ore 18.29:
I militari del nucleo provinciale della guardia di Finanza di Milano stanno acquisendo
documenti presso la sede centrale della Banca Popolare di Lodi, nell’ambito
dell’inchiesta per aggiotaggio a carico di ignoti e ostacolo all’attività della Consob
aperta dalla procura di Milano sulla scalata ad Antonveneta. L’inchiesta è nata da
una denuncia presentata la scorsa settimana da soggetti che gli inquirenti hanno
definito «interessati» e cioè nell’interesse, è stato spiegato, della banca olandese
Abn Amro.
Da mesi, la politica e la finanza sono scosse dai movimenti tellurici ai piani alti del
sistema bancario e editoriale italiano e dalle polemiche sul ruolo per nulla neutrale
del governatore Fazio. Basta aver letto qualche giornale per cogliere l’importanza
dirompente di un’indagine giudiziaria nel bel mezzo delle scalate e per prevederne le
conseguenze anche politiche. Tant’è che tutti i quotidiani ci si fondano a piedi giunti e
l’indomani collocano immancabilmente la notizia in prima pagina. La Repubblica:
«Antonveneta, inchiesta per aggiotaggio. E la Consob indaga su Lodi e alleati».
Corriere della Sera: «Antonveneta, inchiesta sulla scalata. La procura di Milano
indaga per aggiotaggio, la Finanza nella sede della Popolare di Lodi». La Stampa:
«Antonveneta, ipotesi di aggiotaggio. La procura di Milano indaga sulla scalata alla
banca». Notevole risalto danno alla notizia anche diversi giornali stranieri, visto che
in ballo ci sono gli interessi dell’olandese Abn Amro (per l’Antonveneta) e del Banco
di Bilbao (per la Bnl).
E il Tgl? L’edizione delle 2 0.00, che va in onda esattamente 91 minuti dopo il primo
lancio Ansa e si protrae fino alle 20.3 0, cioè fino a 121 minuti dopo, non dedica alla
notizia nemmeno una parola, nemmeno un sospiro, nada de nada. Le banche, il
governatore e, dietro di loro, quasi tutti i partiti di destra e di sinistra sono una rogna
indescrivibile per chi lavora nella Rai dei partiti. Mimufl o chi per esso, dunque, fan
finta di niente e glissano elegantemente sulla notizia del giorno, anzi del mese, anzi
dell’anno: cioè sull’origine di una slavina giudiziaria di proporzioni bibliche, che
terremoterà il mondo finanziario italiano fino a provocare una mezza crisi di governo,
una devastazione morale nelle file dei Ds e soprattutto le dimjssioni del governatore,
senza contare gli arresti di Fiorani, Ricucci e l’incriminazione di Consorte, di altri
banchieri, finanzieri e politici.
Quello del Tgl del 2 maggio 2005 non è un semplice «buco» (come in gergo
giornalistico si chiama una notizia mancata). E una voragine. Anzi, un’autovoragine,
visto che la notizia era disponibile sull’Ansa e chi ha deciso di non darla non può
nemmeno raccontare di non averla appresa per tempo. In effetti, dopo la lunga
pagina politica, quella sera Tele Mimun aveva in serbo dieci pezzi, uno più decisivo
dell’altro. Un crescendo rossiniano. 1) Le punizioni a scuola. 2) La piaga dell’obesità:
«Obesità, si cerca di mettere a punto le strategie utili a evitare i danni provocati dagli
eccessi di peso» (notare la novità sconvolgente della scoperta scientifica, che per la
prima volta nella storia della medicina mette in relazione l’obesità con gli eccessi di
peso). 3) La pastasciutta: «C’è un modo semplice e piacevole per mantenersi in
forma: mangiare pasta. Nutre, è leggera e dà buonumore. Aumentano i consumi in
Italia e all’estero. A Sorrento l’ha celebrata l’Accademia della cucina». 4) Caldo e
spiagge (è il 5 maggio, fa ancora freddo, ma il Tgl già preme per l’esodo e il
controesodo dell’Italia vacanziera).5) «Un’anatra, negli Stati Uniti, ha deposto le uova
sotto un albero del dipartimento del Tesoro. Il servizio del nostro corrispondente»
(notizia sconvolgente, destinata a rivoluzionare il mondo dell’ornitologia, da prima
pagina di Nature). 6) Calcio. 7) La nuova campagna del governo contro la pirateria
musicale. 8)11 nuovo film di Batman. 9) Scoperto un nuovo pianeta. 10) Lancio della
nuova, imprescindibile fiction della Rai L’uomo sbagliato.
Altro che Antonveneta e Bankitalia.
Telekom servi
A volte, però, capita che un fatto scomodo sia talmente dirompente da obbligare
perfino la televisione a occuparsene in qualche modo. Almeno per un giorno. In
questo caso, gli anestesisti di regime hanno due strade. O si concentrano su un
aspetto marginale e fuorviante della notizia, oppure ne trovano un’altra per
rimpiazzarla al più presto. La prima tecnica è quella adottata per de- potenziare gli
scandali scoperti dalle intercettazioni (si parla del contenitore, cioè del fatto che i
giudici intercettano, per non parlare del contenuto, cioè di quanto viene smascherato
da quei controlli). Ma anche dopo l’arresto di Bernardo Provenzano: per raccontare la
più lunga latitanza della storia bisognerebbe elencare i tanti uomini della politica e
delle istituzioni che per quarantatré anni han protetto l’anziano boss; invece Bruno
Vespa, Anna La Rosa e i tg al seguito allestiscono un set da fiction per minimizza- re
la sua figura e ridurla alla macchietta di un nonnino che tira avanti fra dentiere,
pannoloni, cicoria e ricotte. L’icona ideale per dipingere una mafia in estinzione,
quella delle coppole e delle lupare, oscurando il vero volto borghese e politico della
Piovra vincente del terzo millennio. La seconda tecnica, invece, è quella usata per
occultare in tutta fretta la prima condanna di Previti.
Se, infatti, il processo romano al braccio destro del Cavaliere per corruzione di
Musco è finito in prescrizione grazie alla legge cx Cirielli appositamente approvata
per abbreviare la decorrenza dei termini, quelli milanesi del filone «toghe sporche»,
aperto nel ‘95 dalle rivelazioni di Stefania Ariosto, hanno dato luogo a
importantissime sentenze. 1129 aprile 2003, dopo anni di polemiche sulle «toghe
rosse», sulle «prove false», sul «processo politico» e sui «testi manipolati», arriva il
verdetto di primo grado sui casi Imi-Sir e Mondadori: gli avvocati Previti, Pacifico e
Acampora e i giudici Renato Squillante (solo per Imi Sir) e Vittorio Metta (per Imi Sir
e per Mondadori) vengono condannati per corruzione, cioè per aver compravenduto
sentenze. Il reato più grave che si possa commettere senza sparare. Il 5 agosto
vengono depositate le motivazioni, che parlano del «più grave caso di corruzione
della storia d’Italia, e non solo». Anche d’Europa. Nemmeno la Rai ber lusconizzat
e la Mediaset berlusconiana possono ignorare l’avvenimento. Ma ecco pronto un
provvidenziale diversivo, che consente alle sei reti televisive di parlare subito d’altro.
Il materiale per distrarre l’attenzione lo fornisce in tutta fretta la commissione
parlamentare d’inchiesta sull’affare Telekom Serbia, appositamente creata dalla
maggioranza della Casa delle libertà contro ogni prassi democratica (nelle
democrazie vere, le commissioni d’inchiesta le creano le opposizioni per controllare
chi detiene il potere, non chi detiene il potere per ricattare le opposizioni). La
commissione, almeno sulla carta, ha il compito di indagare sulla regolarità
dell’acquisto nel 1997 del 29 per cento della compagnia telefonica serba da parte
della Stet-Telecom Italia, sulla congruità del prezzo partuito con il governo cli
Belgrado, all’epoca presieduto dal dittatore Slobodan Mioàevié (900 mffiardi di lire), e
sull’opportunità politica dell’operazione. Ma, col passare dei mesi, la commissione
presieduta dall’avvocato e senatore cli An Vincenzo Trantino getta la maschera e
svela i suoi veri obiettivi: dimostrare che i leader dell’Ulivo hanno intascato tangenti
direttamente da Miloevié, nel frattempo destituito e incriminato per il genocidio della
pulizia etnica. Che nell’affare siano girate strane provvigioni per una cinquantina di
miliardi di lire a strani mediatori «faciitatori», è assodato grazie a un’inchiesta di Carlo
Bonini e Giuseppe D’Avanzo, pubblicata su Repubblica nel febbraio 2001, che dà
origine a un’indagine della procura di Torino. Poi, un mese e mezzo prima delle
elezioni del 2001, entra in scena Paolo Guzzanti, vicedirettore del Giornale e
contemporaneamente senatore di Forza Italia.
115 aprile 2001, sotto il titolo a tutta prima pagina «Telekom e l’aereo dei miliardi»,
Guzzanti pubblica un’«inchiesta» a puntate per dimostrare non solo che «52 miliardi
sono finiti nel pozzo nero delle tangenti» (ovviamente agli esponenti ulivisti che
gestirono la transazione fra Italia e Serbia), ma che «quella era solo la punta
dell’iceberg» e che esistono «fortissimi e ottimi motivi per sospettare che il giro di
denaro illecito sia molto più grande». Ci sono «altri 42 miliardi spariti fra Italia e
Serbia» e, soprattutto, c’è il particolare inquietante che «i miliardi (1.500 in marchi)
pagati per l’affare furono trasportati a Belgrado da Atene non sotto forma di assegni
circolari, ma in sacchi di iuta, come quelli che viag
giano sugli aerei del narcotraffico colombiano. E che fine hanno fatto? E chi hanno
finanziato? Chi in Italia sta traendo vantaggio da questo pozzo nero?». Guzzanti
conclude facendo i nomi di «Prodi, Dini e Fassino»: «figuriamoci se ne sapevano
qualcosa!». L’S aprile 2001, poi, pubblica un’intervista esplosiva al suo
«supertestimone», tale «dottor Favaro», che si descrive come «uno dei due italiani
che erano sul volo da Atene a Belgrado per portare i famosi 1500 miliardi per la
conclusione dell’affare». Favaro sostiene pure di aver assistito direttamente alla
consegna di tangenti ai Ds e di possederne addirittura una ricevuta. L’uomo in realtà
si è presentato a Guzzanti col suo vero nome, Vincenzo Vittorio Zagami, sedicente
collaboratore del Sismi. Basterebbe un semplice controllo per scoprire che si tratta di
un volgare truffatore, pluripregiudicato con varie condanne alle spalle. Ma tutto fa
brodo, e Favaro-Zagami viene subito promosso a «supertestimone» delle «tangenti»
della Telekom Serbia. Poi nel 2002 viene arrestato e la bufala viene smascherata,
mentre Guzzanti fa la verginella violata e denuncia un complotto ai propri danni «per
ostacolare con un polverone le indagini della commissione Telekom Serbia». Per la
cronaca, si tratta del medesimo Guzzanti che negli stessi giorni accusava Rainews
24 di aver «manipolato» l’ultima intervista di Paolo Borsellino, quella —
assolutamente autentica — in cui il giudice parlava di indagini sui rapporti fra il
mafioso Mangano e il duo Berlusconi-Dell’Utri. Ed è lo stesso Guzzanti che avvierà,
con apposita commissione parlamentare d’inchiesta, una caccia alle streghe sul
«dossier Mitrokhin», alla ricerca di spie sovietiche nell’Italia del terzo millennio.
Ma, morto un «supertestimone», se ne fa subito un altro, a tavolino, stavolta con la
complicità dei membri polisti della commissione Telekom Serbia. Dal loro cilindro
sbuca un altro peracottaro: tale Igor Marini, sedicente «conte» polacco, con varie
denunce per truffa, ultima professione conosciuta: scaricatore di casse al mercato
ortofrutticolo di Brescia. Fra il maggio e l’agosto 2003, in perfetta coincidenza con la
sentenza e le motivazioni del processo Imi Sir-Mondadori, Marini comincia a distillare
le sue accuse a Prodi, Fassino e Dini (ma anche a Rutelli, Veltroni, Ma- stella, e
persino a Willer Bordon e a una serie di cardinali vatica ni)
Trantino & his friends gli tengono bordone, interrogandolo a più riprese, prima in
commissione, poi in Svizzera dov’è stato arrestato per una vecchia truffa, poi nel
carcere di Torino dov’è stato recluso per altri raggiri. Rientrano persino dalle ferie
estive, i commissari del centrodestra, per dare in pasto ai giornali «rivelazioni»
sempre nuove e oscurare la sentenza Previti. I telegiornali rilanciano e fanno da
cassa di risonanza a reti unificate. Così, per quattro mesi, anziché del «più grave
caso di corruzione della storia d’Italia, e non solo» con le sue tangenti autentiche,
fruscianti, documentate al millesimo e frettolosamente archiviate dopo un solo giorno,
tutti parlano delle tangenti immaginarie della Telekom Serbia: i verbi al condizionale
e gli aggettivi prudenziali cedono il passo agli indicativi e a espressioni tranchant
come «le tangenti ai leader dell’Ulivo», «le nuove rivelazioni del supertestimone»,
quasi che fosse già stata emessa una sentenza definitiva comprovante l’assoluta
attendibiità del «conte» Igor. Nessun giornalista televisivo si prende la briga di
andare a controllare il curriculum di Marini, quantomeno per appurare se si sia mai
occupato a qualche titolo dell’affare Telekom Serbia. Anzi.
«Igor Marini sembra Pico della Mirandola per la sua memoria prodigiosa» dice
estasiato il seù. avv. Trantino, il 19 giugno 2003, uscendo da uno dei tanti
interrogatori fiume con il «supertestimone». «Per ora» aggiunge entusiasta il 23
luglio «siamo in grado di dire che Marini non è un collezionista di bufale come è stato
presentato da alcuni.» L’on. avv. Carlo Taormina, commissario di Forza Italia, chiede
l’immediato arresto di Prodi, Fassino e Dini in base alle accuse di Marini. Il
presidente della Camera Pierferdinando Casini, bontà sua, non arriva a tanto, ma
chiede al centrosinistra di accantonare Stefania Ariosto: in cambio la maggioranza
scaricherà Marini (peccato che il racconto di Stefania Ariosto sia stato riscontrato
dalle rogatorie bancarie in Svizzera, sia reso credibile dalla stretta amicizia
intrattenuta dalla donna con Previti e Berlusconi, e sia stato già vagliato da un
Tribunale della repubblica, mentre non una parola di Igor Marini ha mai trovato
conferma in un atto giudiziario o in un documento ufficiale).
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