Montagna: neve e slavine

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Montagna: neve e slavine
Montagna: neve e slavine
Sabato 15 Agosto 2009 09:56
Terminillo, inverno 2009 - Montagna: neve e slavine
Nevicate da Valanga
Durante la stagione invernale appena terminata, i media si sono scatenati per raccontarci
sciagure e danni procurati dalle valanghe. Questo fenomeno che definirei «naturale» sulle
catene alpine è notevolmente limitato sulle montagne appenniniche vuoi per le quote inferiori
(fatta eccezione per qualche massiccio abruzzese, Gran Sasso in particolare), vuoi per la
quantità e la frequenza delle precipitazioni nevose, spesso limitate dalle temperature delle
nostre latitudini, dai due mari che scaldano l’atmosfera e dai venti africani che trasportano
talvolta particelle di sabbia dal Sahara..
Ma al di là di queste parziali causali possiamo soffermarci ad esplorare l’argomento
valanghe partendo dal lessico. Noi Italiani, storicamente invasi da imperi del passato, usiamo
molti vocaboli di origine transalpina, soprattutto nella «nivologia», la scienza che studia le
precipitazioni nevose e gli strati nevosi al suolo. Pur avendo il vocabolo latino «nivium lapsus»
usiamo la derivazione dal francese «avalanche» e «lavine» dal tedesco dove i tre termini
identificano lo stesso fenomeno.
Le masse nevose diventano potenzialmente pericolose dopo abbondanti nevicate
accompagnate da fenomeni quali il vento che genera le «cornici» o mensole sulle cime,
successive nevicate con cristallizzazioni non omogenee rispetto agli strati già presenti al suolo,
improvvisi aumenti delle temperature, le pendenze, l’orientamento delle pareti e non ultima
l’insolazione, mentre, sulla nostra montagna, risulta determinante anche la natura del terreno. E
qui vale la pena soffermarci per esaminare un processo ambientale, molto datato e causato
dall’uomo, che destabilizza la coesione delle masse nevose a contatto del il terreno. Nei tempi
passati e neanche tanto, i pascoli montani venivano gestiti dagli abitanti dei paesi di valle
mediante la ripulitura dei prati dai sassi per poi procedere alla fienagione. Questo avveniva in
luglio e agosto. La primavera successiva l’erba ricresceva migliore fornendo un alimento ricco e
molto appetito dalle greggi. Per inciso, ricordo che fino alla fine degli anni ’50 sui pascoli del
Terminillo si nutrivano almeno 10.000 pecore provenienti dalle pianure romane oltre a ovini,
vaccine e cavalli locali . Gli ovini, pascolando sui pendii e muovendosi sempre trasversalmente
alla pendenza, creavano dei piccoli sentieri con scalinature che d’inverno avevano la funzione
di fissare la neve al suolo. Oggi invece l’abbandono della montagna, incentivato anche da certe
stramberie ambientali, ha portato una profonda modificazione delle specie erboree con la
proliferazione della «falasca», erba a foglia abbastanza alta, molto fitta e a cespo che,
seccando d’estate, non solo viene rifiutata dagli erbivori ma d’inverno, appiattendosi, favorisce
lo slittamento degli strati nevosi. E non finisce qui perché anche la transumanza che c’era una
volta si è quasi estinta a causa della povertà del pascolo….con conseguenti mancati introiti per
le casse dei comuni di valle! Il risultato è il progressivo formarsi di crepacciate di fondo (che si
aprono fino a terra) sui pendii, che aumentano il rischio di valanghe. Intendiamoci, non
valanghe spaventose come quelle delle Alpi, solo piccoli fenomeni che danno luogo ad
eccessivi allarmismi come nell’inverno passato. Invidie meridio-naliste? No! solo questioni di
responsabilità. E pensare che, per fare un esempio, in Valle d’Aosta la strada che sale da
Près-Saint Didier alla Thuile (Piccolo S. Bernardo) è interessata quasi tutti gli anni da una
grossa valanga che continua a distruggere boschi di abete e larice, abbattendosi sulla strada
che subito viene riaperta con buona pace degli automobilisti. Qui da noi invece, il povero Dottor
Francesco Nasponi, Sindaco di Micigliano, è stato costretto, suo malgrado, a chiudere la strada
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di Leonessa per più di un mese con una ordinanza che ha provocato l’evacuazione di due
residences, del rifugio Sebastiani (C.A.I. di Rieti) e chiusura di una seggiovia. Ma la valanga è
poi caduta? rimasta solo la «crepacciata». Paese che vai usanze che trovi! Ma allora al
Terminillo non ci sono valanghe? Che si ricordi, l’unica che produsse danni alle persone si
staccò dalla vetta del Terminillo a quota 2.217,35 mt. nel versante nord in territorio di Leonessa,
nell’inverno 1944/1945 durante una esercitazione delle truppe alleate che in fila stavano
attraversando diagonalmente il pendio.
Vi furono undici sciatori sepolti con alcuni morti. Le squadre di soccorso militari al comando del
colonnello Scott, nipote dello sfortunato esploratore dell’Antartico, penarono parecchio nelle
operazioni di recupero a causa del pericolo di ulteriori cadute di neve. Un’altra, che fece solo
danni ad un camping di roulottes, poi smantellato, si staccò sempre dalla stessa montagna, ma
sul versante sud negli anni ’60, scavalcando la strada provinciale per Leonessa in località
«Conca del Sole» (Comune di Micigliano). Per altri eventi dello stesso fenomeno abbiamo un
paio di casi negli anni passati in zone a ridosso di versanti ripidi e in presenza di costruzioni, ma
senza danni a persone e cose. Poco più che «Pisciarelli» insomma, come vengono definite in
gergo le cadute di neve con poca massa. Nel primo caso descritto (la valanga che uccise alcuni
militari Inglesi), fu mancanza di esperienza? Era presente fra gli istruttori che guidavano la
colonna un noto campione di sci canadese di nome Cody specialista nel salto dal trampolino.
Forse questi non valutò a sufficienza la pericolosità di «tagliare diagonalmente» il manto
nevoso, forse fu la consuetudine militare di cantare durante le marce, ma non è da escludere una possibile esercitazione a fuoco. Il rumore infatti è un’altra insidia che può provocare
valanghe. I decibels creano delle onde d’urto micidiali che destabilizzano le mensole di neve e
gli strati sovrapposti non omogenei. Il «bang» degli aviogetti che superano la barriera del
suono, il rombo di elicotteri, motoslitte, gatti delle nevi, motoseghe o altri mezzi che producano
rumore, sono la miccia ideale per generare valanghe. Il valangologo Colin Fraser della F.A.O.,
anni fa effettuò vari esperimenti al Terminillo su quali artifici utilizzare per provocare la caduta di
valanghe. Le truppe Alpine, che spesso sono comandate in operazioni di «bonifica valanghe»,
usano comunemente esplosivi o piccoli cannoni senza rinculo con ottimi risultati, mentre la
costruzione di strutture «paravalanghe» viene osteggiata da alcuni ambientalisti troppo zelanti.
Per ovviare a soluzioni quali gli esplosivi e i paravalanghe, sono stati realizzati all’estero alcuni
brevetti: palloni ripieni di gas acetilene che vengono trasportati da elicotteri e fatti esplodere a
pochi metri dalla neve in un caso, e postazioni fisse che utilizzano gas propano in un altro.
Ambedue i sistemi esplodendo provocano un’onda d’urto che distacca e fa precipitare la massa
nevosa. Queste «soluzioni» non si discostano molto da quelle precedenti ma risultano ambedue
onerose. Non so se qualche nostro lettere abbia mai avuto la fortuna di assistere, in sicurezza,
allo spettacolo prodotto da una valanga alpina, visione affascinante per l’enorme turbinio
polveroso che si innalza creando piccoli arcobaleni e conte-stualmente terrorizzante per il boato
che accompagna la caduta diffondendo rimbalzi di eco dovunque.
Franco Ferriani
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