Anteprima del libro in pdf

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Era lì, proprio davanti a lui. Aveva visto montarlo pezzo dopo pezzo, dalla struttura portante, a quasi
ognuno dei settecentoquarantacinque pannelli in doppio vetro speciale di cui era composta quella specie di
vegetale ipertecnologico.
Lo aveva concimato col sarcasmo e la superstizione, lo aveva innaffiato con l'acqua della magia e
del rito e sentiva quella costruzione ormai come sua.
Aveva addirittura temuto di perderla, quando nell'Aprile del 2005, uno di quei pannelli si era
staccato, cadendo rovinosamente al suolo senza, per fortuna, ferire nessuno. Nonostante i timori, la
zona era stata transennata e le attività al suo interno erano proseguite regolarmente. Al “trenta” di
St. Mary Axe, "The Gherkin Tower", il "cetriolo" come viene chiamato tuttora più o meno
amorevolmente dai londinesi, si ergeva imponente con i suoi centottanta metri di altezza. Non
passava giorno lavorativo, senza che Ron Brooking passasse di lì.
Strana e affascinante quella torre: non era ammirazione o contemplazione della bellezza
architettonica, tra l'altro opinabile.
Anzi a dire il vero la considerava piuttosto pacchiana. Ma il solo pensiero di non fare quel rito
mattutino, prima di recarsi a lavoro, lo metteva in ansia per tutto il resto della giornata.
Era capitato, almeno una decina di volte, che per varie vicissitudini avesse dovuto tirare dritto verso
la sua scrivania e nonostante ciò, non aveva comportato alcuna catastrofe, non c'era stato verso di
farlo desistere dall’operare in quella surreale e quotidiana "cerimonia del tè".
La "grande supposta verdognola" andava visitata ogni giorno, ferie e festivi permettendo, e con
qualsiasi condizione atmosferica.
1
Londra, Bury St., 23 Agosto 2009
Ore 08,42 A.M.
Tutto ebbe inizio nel Marzo del 2001. Erano passati appena tre mesi dal suo nuovo incarico presso
la concessionaria Mercedes di Kurt Legan, in Leadenhall St., ma il lavoro e soprattutto la sua
attitudine a vendere, stentava a decollare, tanto da far dubitare lo stesso imprenditore
automobilistico della “City”sulle effettive capacità del ragazzo.
Un giorno, proprio in coincidenza dell'apertura del cantiere di quella creatura avveniristica di cui
aveva sentito parlare al Tg serale, Ron riuscì a piazzare in un colpo solo, la vendita di otto auto di
grossa cilindrata per un lussuoso hotel di Liverpool Street.
Certo che quell'exploit potesse derivare in qualche modo dalla posa della prima pietra di quella così
particolare costruzione, l’uomo continuava ogni mattina in quel singolare pellegrinaggio; e da lì in
poi, a dire il vero, fu un'autentica escalation. Ci sapeva proprio fare il ragazzo dell’”East end” e lo si
era capito fin da subito dopo il college.
Aveva lavorato fino al Dicembre del 2000 in un autosalone plurimarche di Bexley.
Il Signor Ben Darkley, un sessantottenne dai modi garbati e i vestiti un po' retrò, aveva deciso di
chiudere l'attività. Senza figli a cui lasciare l'impresa e con la moglie Margaret, di qualche anno più
giovane, malata di sclerosi multipla, agli inizi di Dicembre aveva convocato Ron, cui voleva bene
come a un figlio, nel suo ufficio.
Quel figlio che non aveva mai avuto.
All'epoca Ron percepiva uno stipendio pari a un operaio, più piccole provvigioni sulle auto che
riusciva a piazzare. C'era la fortuna di non sporcarsi le mani, di non rompersi la schiena e di
cimentarsi in quell'arte tutta continentale atta a far credere alle persone di aver acquistato per una
miseria, una fuoriserie, piuttosto che l'utilitaria di turno. -Figliuolo... -disse, pallido in volto, il capo
appena si fu accomodato sulla poltroncina davanti alla sua scrivania. Ron capì subito che non
c'erano buone nuove. Lo aveva intuito anche da Kate, la segretaria e commercialista, che gli aveva
detto che non c'erano nuovi arrivi di veicoli in programma. -Signor Darkley, tutto ok?- disse Ron. Certo!- lo rassicurò, mentendo. -Questo è per te, e ti prego, basta con questo dannato Signor
Darkely! Sono cinque anni che ti dico che puoi chiamarmi Ben- Ron sgranò gli occhi quando si
trovò in mano un assegno da diecimila sterline. -Non capisco Signor...-disse lui. -Ben, chiamami
Ben, ragazzo- -Che cosa dovrei farci con questo?- insistette Ron, anche se sapeva bene cosa farci,
con un figlio in arrivo e una moglie che si occupava a tempo pieno della casa. -Beh! E' facile, sai.
Devi recarti presso la tua banca e versarlo sul tuo conto e con i miei migliori auguri. Vedi Ron, tu
conosci la situazione di Margaret: Non mi accontento più di saperla nelle mani di quelle due dame
di carità, in verità molto premurose e professionali che la accudiscono ogni giorno. Credo sia
arrivato per me il momento di mollare tutto e dedicarle gli ultimi periodi della mia vita. Glielo
devo……. Tu hai visto in che stato si trova, vero?- Sì
Sign.... sì, Ben- rispose Ron, non senza commozione.
-Com’è
ridotta, eh?..... Sembra una larva. Eppure fino a pochi anni fa era bella da morire, sai?-
commentò Darkley con gli occhi lucidi. -Non ti nascondo che, tempo fa, mi chiamava magari per
una commissione o per dirmi cosa preferivo per cena. Voi credevate che uscissi per affari e invece
scappavo da lei. Ce l'avevo duro per quindici miglia, esattamente il tragitto da qui alla mia
abitazione-, sorrise Darkley mestamente. -Eh... cosa vuoi, senza figli per casa, lo facevamo come e
quando volevamo ed era bellissimo. Poi un giorno arrivò questa merda di malattia che ha persino
la sfacciataggine di farti rimanere lucido fino alla fine, fottendoti a ogni respiro. Ormai sono
stanco, Ron.
Prego Dio ogni giorno di addormentarmi per sempre prima di lei, con la sua mano rattrappita e
ossuta tra le mie. Proprio non Lo perdonerei, se dovesse farmi sopravvivere all’amore della mia
vita!-Ebbene, veniamo al punto-, disse Darkley fattosi improvvisamente serio e professionale e
nascondendo tutta l’amarezza di quell’estemporaneo sfogo verso il suo dipendente -Dal primo
dell'anno si chiude. Inutile fare tanti giri di parole. Sono riuscito a piazzare sia la società sia le
auto rimaste invendute- Il viso di Ron si fece tirato, presagendo una piccola catastrofe e già
assaporando il gusto amaro del rimpianto per quel posto di lavoro andato in fumo. -Stai tranquillolo rassicurò il Signor Darkley. Ho trovato una buona sistemazione a tutti voi dipendenti, te
compreso. Non avrete grosse difficoltà ad ambientarvi, perché so come lavorate. Tra l'altro sono
riuscito a collocarvi, quasi, tutti nei paraggi- Quel "quasi" aveva scosso se possibile ancora di più
Ron, non lasciando presagire nulla di buono. -Ragazzo-, disse Darkely -Purtroppo con te per
quanto riguarda la vicinanza da casa, non ho potuto fare granché. Dovrai, necessariamente,
svegliarti mezz'ora prima e rincasare mezz'ora dopo“Mio Dio"- pensò –“Sarò sbattuto in qualche merdoso autosalone di Gilligham o Maidstone o
addirittura...". Interrompendolo in queste farneticazioni mentali, Darkely, cambiando tono di voce
disse -Conosci la stazione di Aldgate?- Devo fare qualche commissione per lei...per te?- rispose Ron.
-No, ci devi andare a lavorare da quelle parti!Era davvero un brav'uomo Ben Darkley. Aveva sistemato le cose per il meglio, affinché nessuno dei
suoi dipendenti si fosse trovato in difficoltà dopo la chiusura. Ron rivedeva in lui il padre morto
qualche anno prima. Aveva dato a tutti un” regalino” di commiato, un assegno di cinquemila
sterline come extra liquidazione.
Per Ron era diverso.
C'era sempre stato un rapporto speciale con lui e non perché era il suo miglior venditore, ma per
quel loro modo di comunicare fatto di silenzi che riempivano spazi vuoti e sguardi che andavano a
colmare ogni minima incomprensione. Avrebbe voluto dare di più a tutti, specie a lui, ma si doveva
cautelare per via di Margaret, cercando di garantirle un vitalizio in caso di sua precedente dipartita e
lasciare il resto alla fondazione per la lotta alla sclerosi multipla. Aveva visto ogni genere di
malattia nella sua vita; aveva visto morire dopo grandi sofferenze amici e parenti.
Questa la odiava con tutte le sue forze.
Credeva fosse stata creata dal Diavolo in persona, per il suo lento, inesorabile e tremendo
evolversi. Una specie di tortura cinese che sembrava uccidere poche cellule della moglie giorno,
dopo giorno:
Un autentico supplizio.
E così da ormai nove anni, il trentottenne Ron Brooking partiva dalla sua abitazione di mattoni rossi
in Skelton Road e nei pressi di Upton Park prendeva la metro:
- Plaistow - West Ham - Bromley-by-Bow - Bow Road - Mile End - Stepney Green - Whitechapel Aldgate East - Tower Hill - change train - Tower Hill - Aldgate-, ripeteva l'annuncio digitale ogni
mattina nell'underground, scandendo le fermate prima della sua e andando a interrompere il suo
sonnecchiare, appendice di notti passate nel suo letto accogliente, abbracciato alla sua Grace.
Certo vendere auto nella city, non era come farlo a un operaio o a un brufoloso diciottenne di
Bexely, attento più alla comodità dei sedili reclinabili che alle reali qualità tecniche del mezzo.
Aveva preso l'abitudine che fino a pochi anni fa lo avrebbe fatto rabbrividire, di bere un “espresso”
prima del lavoro. Nel bel mezzo del vociare e di quell'andirivieni mattutino a volte senza scopo, che
ci rende così idioti al cospetto degli altri animali del “Creato”, ogni mattina qualche ragazza, per lo
più italiana, gli serviva il caffè ristretto, senza zucchero. Quel sapore così corposo e amaro, lo
svegliava alla stregua di un secchio d'acqua ghiacciata tirato addosso a qualche assiduo e
irriducibile frequentatore di pub. Lo rendeva vitale e reattivo dopo pochi secondi e per tutto il resto
della giornata. Dopo aver acquistato il giornale, proseguiva verso il suo "totem" a forma di cetriolo,
deviando verso Bury St. e quella visione artistico - pornografica - architettonica, lo metteva subito
di buon umore.
Si soffermava non tanto a fissare i particolari, quanto lo stacco innaturale dalle costruzioni
circostanti. In pratica, partendo dalla sommità di quella torre affusolata, cercava con lo sguardo il
primo tetto che trovava dalla sua visuale, abbassava l'angolo visivo di una decina di gradi e
rimetteva a fuoco l'intera immagine.
Sembrava proprio che un'astronave stesse per decollare in mezzo alla city.
-Chissà... tra mille anni sorgeranno qui intorno tanti piccoli "cetriolini " e nel bel mezzo una mega
costruzione vittoriana con qualche stronzo come me che verrà qua ogni mattina ad ammirarla,
prima di recarsi al lavoro di venditore di macchine volanti!- rifletteva sorridendo. Quella strana
“liturgia”, come ogni mattina, volgeva al termine, sancita verso le otto e quarantacinque, dall'ultimo
tiro di una “Chesterfield”, l'unica "bionda" della giornata: se ne serviva come uno sciamano per
vedere avvolta la St. Marie nel fumo, nel tentativo di scacciare in quel modo, il "malocchio" di
qualche suo concittadino conservatore e poco incline ai progressi dell'ingegneria civile. Mise le
cuffie, accese il suo mp3 e dopo la fine di una canzone degli Oasis, partirono le note di "Bitter
sweet simphony" dei Verve. Era pronto per andarsene, quando una coppia di ragazzi giapponesi gli
chiese di scattargli una foto avendo come sfondo la “sua”adorata costruzione.
"Vi piacerebbe averla tra le gambe?" pensò, mentre sorridendo, impugnava la fotocamera. Fece la
foto, e salutò con i palmi delle mani uniti a mo di preghiera e con un inchino, in pieno stile
orientale.
-"The Gherkin" è mio e solo mio, fottute fighette gialle del cazzo!- disse con tono di voce
impercettibile mentre s'incamminava verso Leadenhall St.
Epilogo
Inghilterra 15 settembre 2012
La settimana successiva April invitò Matt ad assistere ad un incontro di rugby. Al Twickenham
Stoop Stadium ci sarebbe stata la sfida tra la squadra locale degli Harlequins e i Sale Shark, di cui il
padre era tifosissimo. Per questo rinunciò a vedere il suo West Ham impegnato sul campo del
Norwich per la quarta giornata di andata della Premier League.Il fascino di quegli occhi e la
curiosità di vedere quello sport antenato del calcio avevano avuto per quella volta il sopravvento.
Matt aveva assistito ad incontri scolastici di “palla ovale”, ma non aveva mai visto un match di quel
livello.
In campo c'erano anche molti giocatori della nazionale inglese. La prima meraviglia Matt l'ebbe
all'ingresso dello stadio. Chiese subito ad April quale fosse il settore dei tifosi ospiti. Non c'era
nessun settore.
-Ma non hai paura di essere aggredita da un tifoso avversario?- chiese Matt titubante.
-E perché dovrei?- rispose la ragazza meravigliata.
La partita fu cruenta. Nonostante gli spettatori e il tifo assordante, si sentirono i rumori sordi dei
contatti tra i giocatori, le urla nelle mischie e l’esultanza rabbiose per le mete realizzate. Alla fine i
locali vinsero per trentasette a quattordici.
-Mi dispiace- disse Matt a Roger, il padre di April.
-Ti dispiace di cosa, ragazzo?-Della sconfitta- rispose Matt.
-Ahhh..... non ti preoccupare: I giocatori in campo ce l'hanno messa tutta, ma la forza
dell'avversario e la sfortuna hanno avuto la meglio. Sarà per la prossima voltaIl ragazzo rimase sbalordito dalla calma di Roger e ancor di più dall'abbraccio dei tifosi delle due
squadre all'esterno dello stadio nel "terzo tempo".
Si mangiava, si beveva birra e si discuteva della partita con animosità, ma pacificamente. Roger
comprò dei gelati per i ragazzi e tutti e tre si sedettero su una panchina del parco adiacente.
-Allora, Matt, che ne pensi del rugby?- chiese Roger, intento a finire di mangiare il suo gelato.
-Gran bello sport, signore. Ma mi piace di più il calcio-Ok. Punti di vista. Vorresti fare il giocatore professionista allora?-Si. Il mio sogno sarebbe quello di indossare la maglia del West Ham. Lo farei anche gratis!-Anche uno zio di mio nonno, da quanto dice mio padre, ha giocato a calcio per una squadra
professionistica qui di Londra disse Roger.
-Ah, sì? E quale signore?- continuando a leccare il suo gelato.
-Mmmm..... sinceramente non lo so. Beh sai: è passato tanto di quel tempo!-Beh! Potremmo dare un’occhiata su internet. Come si chiamava?- disse Matt intento ora a tirare
fuori il suo cellulare di ultima generazione tentando senza successo di effettuare la connessione in
rete.
-Vediamo se non sbaglio si chiamava...... Ian...... si questo era il suo nome; Ian McMullan,
figliuolo- disse Roger.
Senza dare troppo peso al nome di quello sconosciuto calciatore, Matt si voltò verso April
voluttuosamente impegnata a morsicare l'ultima parte della cialda del suo cono gelato.
Rimase a contemplare la sua bellezza e quegli occhi stupendi. Poi, ad un tratto, qualcosa lo distrasse
dalla sua ricerca: da una panchina lì vicino, vide salire nel cielo delle bolle di sapone. Un bambino
accanto a suo padre soffiava sorridente nel cerchietto di plastica.
"I'M FOREVER BLOWING BUBBLES,
PRETTY BUBBLES IN THE AIR"
Era felice Matt in quel pomeriggio di Settembre.
C'erano lui, April e una moltitudine di tante belle bolle che salivano in alto verso il cielo di Londra.
Sotto quello stesso cielo d'Inghilterra, ma a più' di duecento miglia di distanza altre bolle facevano il
percorso inverso scendendo insieme a polvere, sudore e sangue in un lavabo della stazione
ferroviaria nella contea dell'East Riding of Yorkshire. Dopo il sonoro quattro a uno rimediato dal
Millwall nella trasferta contro l'Hull City, Cat e i suoi avevano pensato bene di prendersi la solita
rivincita nei soliti “tempi supplementari”: avevano puntato un gruppo isolato di “tigers” e avevano
cominciato a menare le mani, dare testate e brandire i “Millwall bricks” quei simpatici giornali che
proprio non vedevano l'ora di rendersi utili in quel loro impiego non proprio culturale.
Non era bastata la polizia a cavallo a frenare quella sete di vendetta. E come al solito le cose erano
tornate al loro posto.
Cat intento a detergere il polsino, completamente intriso del tessuto liquido rossastro di qualche
malcapitato avventore di quella giostra medioevale, si ritrovò per un attimo a fissare la sua voglia a
forma di ancora. Ad un tratto in un gesto di stizza cercò quasi di lavare via anche lei, senza
successo. Si ritrovò solo in quei bagni della stazione di Kingston a piangere. Rimase quasi basito a
vedere quella sua immagine riflessa dallo specchio un po' attenuata dal vapore dell'acqua calda che
saliva verso il soffitto. Uno dei suoi fratelli si affacciò alla porta.
-Cat: E’ ora di andareQuasi a voler cancellare quella sua debolezza, si precipitò ad inondare il suo viso con l'acqua.
I due liquidi andarono a miscelarsi e smorzarono quel momento di dolore, rabbia e rimpianti.
C'era un solo modo per tornare in se: dopo aver chiuso il miscelatore, asciugatosi e aver gettato a
terra l'asciugamano di carta ormai del tutto logoro, Cat uscì dai bagni sbattendo la porta con forza e
come un ossesso cominciò ad intonare il suo inno, seguito immediatamente dai suoi “fratelli”:
-Noi non piacciamo a nessuno ma non ci importa, noi siamo il Millwall,
il Millwall e non ce ne frega un cazzo-
Così, con gli occhi iniettati di sangue percorse il corridoio che portava al treno.
-Non
ti
basta
mai
eh?
Grosso
omone
scozzese!-
gli
disse
sorridendo
Trevor.
-Mai!- rispose prima con calma Cat.
-Mai!- la seconda volta più forte e guardando il suo compagno dritto negli occhi.
Inavvertitamente sollevando lo sguardo verso il cielo si ritrovò a ripetere dentro di sé:
-Finché' avrò' fiato, finché avrò' vita......anche per te Paul!-