Carisma e spiritualità dono e responsabilità parte prima

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Carisma e spiritualità dono e responsabilità parte prima
Carisma e spiritualità: dono e responsabilità
La consegna data a p. Tullio Locatelli csj per lo scorso Incontro Laici Collaboratori (Verona, 10 Maggio 2014)
era di aiutarci, suore e laici insieme, a trovare un linguaggio comune per dire carisma e spiritualità.
Riportiamo la trascrizione della relazione, convinti che possa essere veramente arricchente per tutti.
Cerco innanzitutto di dare un orizzonte all’intervento che porta il titolo di questa relazione “Carisma e
spiritualità: dono e responsabilità”, ma terrò presente, in modo breve, anche il titolo dell’incontro in modo
generale, cioè quello del carisma legato a un cammino di maturità umana. Pongo all’inizio quattro elementi
che mi sembrano fondamentali.
1. Credo che dobbiamo prima di tutto fare un atto di fede che il primo protagonista del nostro discorso,
del nostro essere qui stamattina, è lo Spirito Santo. Non siamo qui come un’organizzazione; non siamo
qui nemmeno come un’equipe che fa tanto bene (ed è vero); siamo qui perché consapevoli di essere
destinatari di un dono e consapevoli che questo dono interroga la nostra libertà. Siamo qui come dei
“chiamati”. E in un certo senso se il discorso è dentro un discorso di Congregazione, di Carisma, di
Fondatori, di santità, questo discorso non può essere trattato soltanto su un piano sociale (ed è
importante), su un piano soltanto di intese, di programmazioni (che sono importanti). Deve essere
fondato su un atto di fede, e cioè: è lo Spirito Santo, fonte dei doni, origine delle vocazioni, ed è lo
Spirito Santo che pur partendo e lasciandoci partire da esperienze e storie diverse, ci fa incontrare. Lo
Spirito Santo fonte dei doni, fa a tutti un dono comune, che è l’incontro, che è la relazione o, in termini
più propriamente religiosi, che è la comunione. Ognuno di noi qui presente potrebbe raccontare il
modo in cui è arrivato qui questa mattina, come ha conosciuto una Congregazione, come si è avvicinato
ad essa, ecc., ma alla fine, potremmo dire che all’inizio c’è un dono dello Spirito che è stato accolto e,
nel tempo, è stato incarnato.
2. Una parola che vorrei mettere come orizzonte nel nostro discorso è la parola “vocazione”. Quando il
Concilio Vaticano II ha voluto parlare della Chiesa, ne ha parlato certo come struttura, come
organizzazione canonica, come istituzione, ma ne ha parlato soprattutto come “famiglia di santi”. È
interessante, leggendo gli Atti degli Apostoli come stiamo facendo in questi giorni, trovare che i primi
cristiani tra di loro si chiamavano “i santi”. Forse non erano proprio santi come noi… un po’ di più, o un
po’ di meno. Ma l’elemento fondamentale è che il Concilio Vaticano II, parlando della Chiesa nella
Lumen Gentium, ha voluto mettere in risalto che c’è una vocazione comune a tutti in forza del
battesimo ed è la vocazione alla santità. La santità non è soltanto l’essere canonizzati, questo capita a
pochi. La santità il cammino personale, ma anche il cammino di gruppo, che persone in comunione tra
di loro fanno alla luce del Vangelo. La santità è la capacità di ascolto dei doni dello Spirito e il lasciarsi
guidare da questo Spirito (ecco cosa vuol dire “spiritualità”) per un cammino là dove il Signore ci porta.
Quindi, il Vaticano II ha voluto un po’ toglierci l’idea che c’è qualcuno che ha la vocazione ad essere
santo; no, siamo tutti, in forza del battesimo, chiamati a compiere un cammino di santità, secondo una
specifica vocazione (chi sacerdote, chi religioso, chi religiosa, chi laico, chi laica, chi sposato, chi
giovane…). Se guardiamo almeno agli ultimi vent’anni delle canonizzazioni, sono cresciuti di numero i
santi laici e laiche, ma non solo, è stato bello avere la beatificazione di coppie di sposi, marito e moglie
che vengono riconosciuti come coppia che hanno fatto un cammino insieme. Il Concilio Vaticano II ha
detto allora che c’è una vocazione comune e metterei l’altra faccia della medaglia, collegandomi
all’Evangelii Gaudium di p. Francesco, questa esortazione apostolica che ci ha regalato questo papa e
che dice a un certo punto questa frase: “Sarebbe errato pensare che l’evangelizzazione è compito di
alcuni specializzati e non compito di tutti”. Il referente dell’Evangelii Gaudium non è una categoria di
persone, anche se nomina (ma poco) il vescovo, la parrocchia, il catechista, ma è il popolo di Dio e sta
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dicendo, questo Papa, che tutto il popolo di Dio è “evangelizzatore”, che tutto il popolo di Dio, in forza
del battesimo, è chiamato con la sua testimonianza, prima di tutto, ad essere portatore del Vangelo. Mi
pare allora che l’accentuazione del Concilio Vaticano II sull’essere tutti chiamati ad un cammino di
santità secondo uno specifico cammino e l’invito di p. Francesco ad essere tutti chiamati ad essere
evangelizzatori, siano due facce della stessa medaglia. E d’altra parte, anche il nostro incontro di questa
mattina sta ad indicare questo: non contano gli stati di vita (religioso, religiosa, laico, laica) conta ciò
che è comune, ciò che noi vogliamo condividere insieme e che ci appartiene propriamente in quanto
battezzati, in quanto cristiani. Poi certo, ci sono le singole scelte di vita, ma queste scelte di vita hanno
in comune dei fondamenti, o una vocazione alla santità e all’evangelizzazione, che è di tutti come dono
dello Spirito al battezzato, al cristiano, al fedele, al credente.
3. Noi, alla luce dei doni dello Spirito Santo, alla luce del dono e della responsabilità di aver accolto questa
vocazione comune all’evangelizzazione, trovandoci insieme facciamo una fotografia che io chiamerei
“comunione di vocazioni”. Non vorrei che dai due punti precedenti nascesse l’idea di una
omologazione, di una uniformità. No! I laici devono rimanere laici, non sentirsi “quasi religiosi”. La
comunione di vocazioni è vera se ciascuno realizza e incarna, cioè mette nella sua carne, la vocazione
specifica che il Signore gli ha dato, fondandola su ciò che è comune, la comune chiamata alla santità e il
comune servizio all’evangelizzazione, perché questo specifica la modalità propria di santità e di
evangelizzazione. Quindi ancora una volta la parola “comunione” rende ragione di un fondamento che
è comune e rende ragione dell’apporto di ciascuno alla comunione stessa. Quindi se dovessimo fare
una fotografia del gruppo, dovremmo dire che questa è una fotografia che esprime una “comunione di
vocazioni”.
4. Siamo qui e non siamo altrove perché questa “comunione di vocazioni” noi la vogliamo cogliere in uno
specifico che ci dà identità: il Carisma. Il Carisma non si aggiunge (anche se lo dico per quarto) a
qualcosa, un po’ come la pittura al muro. Il Carisma è quell’elemento che ci dice che la nostra
comunione di vocazioni non è generica, non ha qualsiasi colore, ma ha un colore fondamentale, che il
Fondatore, la Fondatrice (Nascimbeni, Mantovani) per primi hanno colto, hanno incarnato, che
l’Istituto ha fatto suo e che adesso si apre come dono e come fonte di ulteriore espressione di
vocazione ai laici e alle laiche. Quindi il Carisma è un po’ il colore fondamentale di questa fotografia. Ci
troviamo in una operazione (se così si può dire) che lo Spirito Santo sta facendo nella Chiesa perché
tutti scopriamo le vocazioni fondamentali, in quanto fedeli e cristiani (quindi la vocazione alla santità e
la vocazione alla testimonianza evangelizzatrice) in un concerto di comunione di vocazioni che però,
grazie al Carisma, assume un colore particolare, una caratteristica particolare. Il fatto allora di essere
qui, anche dal punto di vista “geografico” in una casa delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, non è un
elemento esterno, non è un elemento che si aggiunge, ma è un elemento che specifica il nostro tipo di
comunione di vocazioni.
Ecco allora il quadro nel quale aggiungo altri elementi.
Vorrei mettere in risalto soprattutto tre aspetti.
1) Perché siamo qui? Credo che le cose che ci appassionano diventano le cose che ci attirano. Capisco che
nella morale cristiana la parola “passione” ha sempre avuto qualcosa di negativo, qualcosa di nebuloso,
ma non dobbiamo avere paura: è ciò che ci appassiona che ci attrae ed è ciò che ci appassiona che
comunichiamo. Quindi il primo elemento del nostro essere qui è mettere insieme una passione che,
mentre ci appassiona, ci spinge anche a comunicare. Laddove rendete il servizio (nella sanità,
nell’educazione, nell’accoglienza ecc.) c’è questa circolarità di un carisma che mi ha appassionato, di
me che mi sono lasciato appassionare, e quindi diventa l’anima, la linfa, diventa l’humus di ciò che
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faccio. Di infermieri chissà quanti ce ne sono nel mondo, no? Di maestri, insegnanti e vicepresidi chissà
quanti ce ne sono nel mondo… Ma la questione non è soltanto questa, è il “come”. Non è soltanto il
dare, ma il “come” dare. Non è soltanto il servire, ma il “come” servire. In questo quadro, noi ci
troviamo di fronte a un Carisma che ci ha appassionato che dà un “come” al nostro servizio. E credo che
in fondo, solo ciò che ha preso profondamente il cuore, poi ci prende e lo comunichiamo, anche se non
facciamo le prediche o le relazioni come in questo momento. Allora questo incontro, secondo me, ha
un valore di grande reciprocità. Vedete: trovarci insieme, su un fondamento comune, specificato da un
Carisma, e capire che questa passione è comune, che ha appassionato me come ha appassionato la
persona che mi sta accanto, è questa la vera comunione di vocazioni, è questa la vera comunione che ci
accomuna e che dà al nostro servizio e al nostro vivere un colore particolare, una direzione particolare,
un senso particolare. Vorrei dire ancora di più… Se veramente il Carisma delle Piccole Suore della Sacra
Famiglia mi ha appassionato, è chiaro che non investe soltanto il momento in cui lavoro accanto alla
Piccola Suora, non investe soltanto il momento in cui uno fa ciò che è proprio del servizio apostolico di
questo carisma (il servizio al malato, al bambino, ecc.), ma investe la vita. Ed è qui la ricchezza di
incontrarci tra religiosi e laici. Questo Carisma non investe soltanto il mio servizio di religioso/a e il tuo
servizio di laico/a, educatore, insegnante, ma investe la nostra vita, o meglio, ci aiuta ad assumere uno
stile di vita. Il servizio può durare sei ore, otto ore al giorno, ma lo stile di vita, no! Allora voi capite che
lasciarci prendere da un Carisma, lasciarci prendere dallo Spirito e appassionare ad un Carisma, non
vuol dire soltanto lavorare in un certo modo. Magari avete cominciato così, magari è stata questa la
porta di entrata per conoscere il Carisma: eravate insegnanti, eravate infermieri, eravate educatori…
qualcuno ha cominciato a fare certi discorsi e avete visto che questo discorso vi diceva qualche cosa.
Però a me sembra che sia altrettanto vero e reale il cammino che questo Carisma, che comincia ad
investire il servizio, diventa poi ciò che investe uno stile di vita in senso globale. Allora questo incontro
serve per riscoprire in ciascuno la passione per il Carisma e, appassionati di ciò che appassiona, essere
anche trasmettitori di questo Carisma.
Se è così, a me sembra che una riflessione fondamentale che dovremmo fare è il rapporto tra Carisma e
relazioni, intese in senso verticale e in senso orizzontale. Se il Carisma è entrato prima nel servire, nel
fare, e poi poco per volta nello stile di vita, a me sembra che un poco per volta cambia il mio modo di
riferirmi a Dio, il mio modo di riferirmi in famiglia, il mio modo di riferirmi con gli altri. Cambiano le mie
relazioni. Questo è un punto fondamentale. A parte il fatto che la vita non può essere divisa (lavoro,
famiglia e altro) e che il Carisma per se stesso investe tutta la persona, se c’è qualche cosa che indica
che il Carisma sta entrando veramente nella mia esistenza, sono le relazioni umane. Allora qui mi
aggancio un poco al titolo “Un cammino di maturità umana”. L’aver incontrato un Carisma, l’esperienza
che faccio, ha veramente una ricaduta, un frutto nella mia crescita umana? La crescita umana può
essere vista dallo psicologo, dal sociologo, da tutti, ma la domanda su cui vorrei fermarmi un
momentino, proprio alla luce del tema “Carisma e relazioni umane”, è: questo Carisma, che parla di
famiglia, che parla di perdono, di misericordia, di attenzione ai poveri, è soltanto un Carisma
“spirituale”, o un Carisma che un poco per volta cambia il mio modo di essere uomo, di essere donna,
di essere un papà, una mamma, un genitore…? Allora voi capite che il Carisma che mi appassiona sta
veramente dando un qualcosa al mio cammino di maturità umana, ed è un cammino che non è mai
finito, nel quale tutti siamo sempre discepoli e pochissimi sono i maestri. Uno degli elementi
caratteristici, sul come questo Carisma entra nella mia vita, riguarda proprio le relazioni umane. Nella
Evangelii Gaudium, p. Francesco a un certo punto parla della “contemplazione”: dice che contemplare è
contemplare Dio, e va bene; ma dice anche un’altra cosa. Dice che se noi cominciassimo a contemplare
veramente il povero, comprenderemmo qualcosa di più di Dio. Mi riferisco alla vostra esperienza,
incarnata nella condizione ordinaria dell’educare, dell’accoglienza, della sanità, ecc. Pensate cosa vi sta
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dicendo p. Francesco: certo, avete imparato a conoscere Dio dal Catechismo, dalla catechesi, dalla sua
Parola, ma tu che ti sei messo a servizio di questo ragazzo, di questo giovane, di questo ammalato, di
questo anziano ecc. nel nome di un Carisma, non ti sei accorto che, proprio perché ti sei messo a
servizio di questo povero, di questo che ha bisogno del tuo aiuto, stai cominciando a capire qualcosa di
più di Dio? Posso ragionare sulla misericordia di Dio e dire che Dio mi perdona, che mi vuole bene, ma
posso anche capire la misericordia di Dio nel momento in cui servo l’altro e costruisco con l’altro una
relazione nuova, più umana, e scopro di poter dire: “Forse sto dicendo qualche cosa della misericordia
di Dio”. È il Carisma, in questo processo della nostra maturità umana, che ci aiuta a costruire relazioni
umane nuove, proprio lui, che ci parla di accoglienza, di perdono, di misericordia… Allora voi capite che
riflettere sul mistero della Famiglia di Nazareth ha senso perché cerco di capire le relazioni che hanno
guidato questa famiglia. Ha senso ragionare su un Carisma, perché esprime anche aspetti umani di
relazione, che oggi per me diventano incarnazione di un Carisma che un poco per volta ho scoperto e
approfondito.
2) Un altro elemento su cui mi fermerei un momento è la reciprocità. In questo momento, come in altri
momenti, siamo qui insieme in ascolto: ci sono delle religiose, ci sono dei laici, delle laiche, dei papà,
delle mamme, ecc. Forse ci pensiamo poco, ma ha un valore grande essere insieme ed ascoltare, ha un
valore grande il fatto che non ci dividiamo perché io devo dire una parola alle religiose, agli sposati, ecc.
Certo, ci possono essere anche queste occasioni, ma in questo momento, sapendo che la comunione di
vocazioni che vogliamo vivere è fondata su un unico elemento che è il Carisma, ci parliamo insieme,
discutiamo insieme, ascoltiamo insieme: è il dono della reciprocità. In un documento, Mutuae
Relationes, al n. 11, si dice che “il carisma va conosciuto, approfondito, sviluppato, ecc.”. Che cosa sta
dicendo? Che il carisma è qualcosa di vivo, che il carisma non è un bel pacchetto di idee o di parole che
le suore o qualche suora più preparata delle altre ha scritto nella Regola. Il carisma è un dono dello
Spirito che nel tempo trova sempre una migliore incarnazione, sempre una migliore espressione,
sempre un modo diverso di essere presentato, di essere sviluppato, di essere approfondito. Allora voi
capite il passo che stiamo facendo: mentre prima chi faceva questo lavoro erano le suore, adesso lo
facciamo insieme, suore e non suore. Questa è la novità! Il dono è quello, che viene da Nascimbeni e
Mantovani, ma questo dono, perché è dono dello Spirito, non è un vademecum per sempre, non è
qualcosa di scritto che rimane lì: è un dono che, proprio perché incontra la vita, si incarna nella vita e
nella misura in cui incontra incarnazioni diverse, che sono le vocazioni che ciascuno ha, è un Carisma
che viene sviluppato, approfondito. La domanda è: ma io laico/a, che cosa posso portare a questo
Carisma? Tu religiosa oggi, che cosa puoi portare a questo Carisma? Nell’incontro di religiosi e laici, che
cosa mettiamo insieme di questo Carisma, in modo tale che la comunione di vocazioni sia alimentata da
questo dono nella reciprocità? Per questo è fondamentale trovarci insieme, fare cammini insieme. Poi
possono esserci i momenti particolari di spiritualità familiare, di spiritualità religiosa, va benissimo
questo, ma è fondamentale questo momento! E allora, provate a vedere come all’avere questa
passione dentro il Carisma ricevuto, proprio perché sono religiosa dico questo, proprio perché sono
sposato/a dico quest’altro. Non sono fuori dal Carisma. Il problema non è chi dice di più o chi dice di
meno, il problema è di cogliere questo dono come qualcosa di vivo che non è dato come un
pacchettino da conservare. Non stiamo facendo un discorso da museo, è un discorso di vita! E allora se
la tua vita è appunto, per esempio, quella di sposato, che cosa dice, che cosa riceve da questo Carisma,
come lo approfondisce, come lo incarna? Pensate, il prossimo anno è l’anno dedicato alla Vita
Consacrata: comincerà il 2 febbraio del 2015. Ma è anche l’anno del Sinodo sulla Famiglia, e anche le
suore hanno ancora famiglia, a parte la famiglia religiosa. Come mettere insieme queste due cose, se
non partiamo dall’idea di fondo di una ecclesiologia di comunione che prima di tutto, parla a tutti,
perché ciascuno costruisca questa comunione di vocazioni? Il discorso sulla Vita Consacrata avrà i suoi
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momenti, il discorso sul Sinodo della Famiglia avrà i suoi momenti, ma alla fine è la Chiesa come
comunione che si interroga sulla vita religiosa come sulla vita di famiglia. E qui insieme, è la vita di
servizio, la vita di famiglia, la vita religiosa, che, appassionata di un Carisma, si chiede che cosa riceve,
che cosa dà, e in reciprocità che cosa ci si scambia proprio come religiose/i e laici e laiche.
E infine, mi permetto qualche consiglio.
a) Un consiglio è questo. Nella vita di ciascuno ci sono dei passaggi. L’aver incontrato un Carisma, che
passaggio è? Prima c’era il Carisma legato all’Istituto, oggi c’è il Carisma allargato, oltre l’Istituto:
dobbiamo stare attenti a non innalzare altri muri, anche se più grandi, a restare aperti. Ragionando
insieme, pur ragionando in maniera personale (che cosa dice a me, che cosa mette in contatto con me,
cosa costruisco ecc.) credo che oggi, insieme (ed è bello questo “insieme”), dobbiamo domandarci: che
cosa oggi il mondo ci chiede? P. Francesco dice: “una chiesa en salida (in spagnolo)”, che vuol dire “in
uscita”. Uscire non per lasciare vuoto il posto in cui siamo, ma uscire per incontrare. I carismi dei nostri
Fondatori sono nati così: se Nascimbeni avesse deciso di fare il parroco come gli altri, non avrebbe
fondato una Congregazione; se il mio Fondatore non fosse sceso per strada, non avrebbe mai fondato
una Congregazione per i giovani di strada. Quindi il dire en salida, “in uscita”, non è un fatto fisico, ma
culturale. Passare da una Chiesa che si sente un po’ aggredita (magari è anche vero), che si chiude
come castello, ad una Chiesa, come dice p. Francesco, “dalle porte aperte”. E la porta aperta è ciascuno
di noi. Se noi viviamo, grazie al Carisma, le relazioni umane in famiglia, nel servizio e nella società, nella
Chiesa stessa, alla luce di questo Carisma che parla di perdono, di accoglienza, di misericordia, siamo
porte aperte perché la gente incontri il Dio della Misericordia, del Perdono, della Bontà; anche senza
fare prediche, anzi, è meglio non fare prediche. “Un carisma aperto” vuol dire che il mio Carisma, che è
specifico (Giuseppino del Murialdo, Piccola Suora della Sacra Famiglia …) diventa quella porta aperta sul
mondo perché il mondo creda. Allora il primo elemento che vorrei suggerirvi è vivere questa esperienza
di appassionati di un Carisma come una strada, come un cammino attraverso il quale lo Spirito ti dice
“apriti al mondo!”, perché in questo modo potrai rispondere a quello che il mondo in fondo desidera: il
perdono, la misericordia, la pace, ecc.
b) Il secondo elemento è un po’ più personale. Se ci appassiona, dobbiamo averne cura! Vedete, è un
fatto di cuore: non è un semplice sentimento, ma è qualcosa che ti prende dentro, che prende la tua
interiorità. E allora avere cura del Carisma vuol dire conoscerlo, pregarci su, confrontarsi un poco,
mettere insieme ciò che questo Carisma suggerisce, ma anche le domande che questo Carisma mi fa
nascere. Questo secondo elemento di “formazione” è il bisogno di sostenere questa passione perché
nella misura in cui la sostengo, vedo che la mia vita assume uno stile umano e cristiano migliore, fa
veramente un cammino. E se la mia vita cammina, cammina anche il mio fare comunione, il mio fare un
servizio, le altre dimensioni della vita stessa.
c) Un altro elemento, un po’ più personale ancora, è questo: se è vero che la parola fondamentale è il
“dono dello Spirito” è chiaro che noi dovremmo vivere in atteggiamento di ringraziamento. Il “grazie”
che io rivolgo ad una persona per un favore, un dono, esprime l’apprezzamento per questo gesto, per
questo dono. Entrare in un discorso di Carisma non è soltanto avere qualche impegno in più, ma
entrare in un clima di ringraziamento al Signore per aver scoperto un dono che mi fa dono agli altri.
Allora voi capite che gli elementi “eucaristici” della nostra vita, delle nostre scelte, sono fondamentali.
Non si tratta solo di andare a Messa, ma di vivere in questo atteggiamento di ringraziamento perché ho
ricevuto un dono che mi fa crescere, perché ho ricevuto un dono che mi aiuta a vivere in un certo
modo, un certo stile di vita, che dà un certo colore, calore, al mio servizio, che veramente mi rende più
umano e più cristiano. L’atteggiamento del ringraziamento diventa l’atteggiamento con il quale io mi
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preoccupo di questo dono che mi appassiona, lo coltivo, lo approfondisco, lo conosco sempre meglio, e
poi lo esprimo in una spiritualità. Non mi fermo su questo, però è vero che un poco per volta c’è un
modo di dire il carisma, un modo di pregare il carisma, uno stile di rapportarci tra di noi: questa è la
spiritualità, cioè sono quei modi attraverso i quali il carisma, che è un dono interiore, poco per volta si
manifesta anche in quegli atteggiamenti tipici della spiritualità che vanno dalla preghiera, alle relazioni,
allo stile di vita. Così abbiamo almeno la percezione di un dono completo, di un dono totale, che
veramente coinvolge le nostre persone, le nostre vite, in tutte le loro dimensioni.
Quindi l’augurio che vi faccio è proprio questo: che vivendo il Carisma possiamo crescere insieme nel dono
ricevuto e dire grazie al Signore di avercelo dato e domandare a Lui la grazia di tenerlo bene in mano,
perché ciò che ci appassiona lo curiamo e lo curiamo molto bene.
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