Informazioni - Fisac Cgil Vicenza

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Informazioni - Fisac Cgil Vicenza
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Anno XXI - Giugno 2008
PERIODICO DELLA FISAC CGIL
Contratti a
Termine
con diritto di
precedenza
Risparmio tradito?
L
a circolare del Ministero del
Lavoro 13/2008 emanata il
2.5.2008 ha fornito alcune
precisazioni relativamente all’applicazione delle norme contenute
nel Protocollo sul Welfare del 23
luglio riguardanti i contratti di
lavoro a termine.
Ricordiamo che la nuova
normativa, oltre a reintrodurre
il principio che “normalmente”
il contratto di lavoro subordinato
debba essere a tempo indeterminato, prevede alcune misure maggiormente favorevoli per i contratti a
tempo determinato.
Si riconosce la possibilità di
trasformazione degli stessi in tempi
indeterminati dopo una serie di
contratti, anche non consecutivi
ma per mansioni equivalenti, la cui
somma superi i 36 mesi di attività
presso lo stesso datore di lavoro.
Sono esclusi dalla normativa
le attività stagionali, i contratti di
apprendistato, quelli di somministrazione (ex interinali).
Poiché vanno considerati
anche periodi transitori, deroghe
e norme particolari per identificare
la durata dei contratti a tempo determinato, invitiamo gli interessati
a contattare, in caso di necessità, le
nostre Rappresentanze Sindacali.
Di particolare significato
anche le previsioni riguardanti
il diritto di precedenza in caso di
nuove assunzioni, per la fruibilità
del quale è necessaria una espressa
manifestazione di volontà da parte
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Prodotti incomprensibili, spese elevate, rendimenti modesti.
Le banche alla sbarra del mercato e i bancari tra incudine e martello!
C
hi ha qualche anno di banca
ricorderà che un tempo i
risparmiatori chiedevano
con insistenza il rendimento di
questo o quel titolo andando alla
ricerca, com’è giusto che sia, di
massimizzare il rendimento dei
propri risparmi.
I vari scandali che si sono succeduti, la crisi delle borse, i nuovi
“prodotti” offerti (o inferti…)
ai risparmiatori hanno mutato,
almeno in parte, il tenore delle
domande che i consulenti si vedono
rivolgere. Pare ora che la domanda
più frequente sia quella del capitale
garantito. Un po’ insolito che un
risparmiatore si rivolga alla banca
non già per far fruttare i suoi denari
ma per evitare che…si dissolvano.
Anche i depliant pubblicitari, che
le banche generosamente distribuiscono alla clientela, enfatizzano la
garanzia del capitale a scadenza.
Quello che dovrebbe essere un dovere istituzionale, il minimo da cui
partire, viene reclamizzato quasi
fosse una rara virtù. Insomma il
cittadino medio, passato dalla fase
in cui i titoli di Stato registravano
rendimenti a due cifre, è precipitato
in un periodo, complice la crisi
delle borse, in cui le perdite sul
capitale sono state massicce.
E adesso la nuova frontiera della
finanza di casa nostra parrebbe
non già quella di far fruttare egregiamente i denari ma di garantire
il capitale alla scadenza.
Una metamorfosi che ha investito
l’intero settore bancario nazionale
arricchendo in modo straordinario, e straordinariamente rapido,
banche e assicurazioni, con soldi
provenienti direttamente dalle ta-
sche dei risparmiatori che in buona
parte dei casi si sono accontentati
di investire i loro denari pensando
soprattutto a non perdere, quasi
identificando il sistema finanziario più con un casinò che con un
mercato rispettabile...
Cosa è accaduto dunque, e
come è possibile, che anche in anni
di recessione economica banche
e assicurazioni abbiano comunque
registrato utili record?
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Tra Budget, Mifid, Isvap e... coscienza!
C
ome vendere e cosa vendere? Il problema non è
recente e non sembra in
via di risoluzione.
Gli operatori delle società di
intermediazione finanziaria, siano
banche od assicurazioni, addetti al
settore commerciale, sono sempre
più in difficoltà, stretti tra le pressioni (od oppressioni come argutamente sottolineato dai Sindacati
di Unicredit in un loro volantino)
delle aziende, le nuove normative
e, non da ultima, la loro coscienza
e correttezza professionale.
Vendere è l’imperativo assoluto, collocare nuovi prodotti,
piazzarne di propri o di altrui ed una
volta finita una campagna richiamare i clienti perché cambino tutto,
perché ci sono “altre opportunità”
molto migliori delle precedenti in
un vortice senza fine e con ogni
probabilità senza senso.
“Fare i numeri”, come si
dice in gergo, spesso equivale a
dare i numeri, come da linguaggio
popolare. Purtroppo la questione
è davvero troppo seria per poterci
solamente scherzare su, poiché
coinvolge decine di migliaia di
lavoratrici e lavoratori e milioni di
clienti.
Limitando l’analisi al settore bancario appare evidente come le banche
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2
Banche più ricche e famiglie più povere!
Ci si accontenta del capitale garantito...
E
ppure le banche, ricche da
sempre perché monopoliste, si sono misurate in
questi anni con una forte concorrenza, che, abbinata alla riduzione
della forbice dei tassi, ha iniziato
ad erodere i margini di profitto.
Non basta più aspettare il cliente,
bisogna cercarlo e non è più sufficiente guadagnare pochi centesimi
sul collocamento di un titolo di
Stato, occorre guadagnare di più
e subito. Si taglia il personale,
si vende qualche gioiello di famiglia e nascono nuovi prodotti dai
connotati sempre più misteriosi
e indecifrabili, collegati ai più
strani panieri azionari. Dai titoli
della moda, ai titoli energetici,
dalle blue chips ai mercati asiatici: centinaia di prodotti spesso
incomprensibili non solo per
il risparmiatore ma anche per il
bancario che diligentemente li
propone allo sportello. Questi
prodotti confezionati da società
specializzate sono valutabili nei
loro effetti solo ed esclusivamente da chi li ha confezionati o da
specialisti assoluti della materia.
E, nella quasi totalità dei casi, le
simulazioni fatte ( generalmente
oltre 50 mila per prodotto) confermano che il “banco” è destinato
a vincere e il “giocatore” irrepa-
rabilmente a perdere. Chi poi in
questi anni ha avuto la sventura di
aver bisogno del suo denaro prima
della scadenza ha lasciato sul
terreno cifre davvero consistenti.
Forse è meglio un BTP…. termine
bandito dal vocabolario dei bancari
assieme a CCT e alla sacrilega
parola BOT, un tempo delizia dei
risparmiatori. Che fare allora per
rendere maggiormente trasparente
la vendita dei prodotti?…. Magari
una classifica a punti del rischio?
O forse un bollino colorato che
ne indichi il livello di “pericolo”? Oppure prevedere penalità
a carico delle aziende qualora
non raggiungano ( ed è un caso
molto molto frequente) i risultati
di rendimento prefissati, i famosi
benchmark? O addirittura un nuovo
intervento legislativo più severo a
favore del risparmio? Certo è che
non ci si può sottrarre a cercare di
aumentare la tutela del risparmio,
così come sancisce la stessa Costituzione repubblicana. Il lavoro da fare
è molto e forse, per quel che ci
riguarda, non si dovrà badare solo
ai prodotti ma anche alla formazione del personale e alle modalità di
retribuzione e di incentivazione
del personale addetto alla vendita
di prodotti assicurativi e finanziari.
A meno che non ci si convinca che
è corretto anche pagare i chirurghi
in base ai punti di sutura applicati o
i medici di famiglia per la quantità
di medicine prescritte.
Banche: il difficile compito dei venditori!
L'instabile equilibro tra coscienza, premi e pressioni aziendali
stiano diventando niente più che degli
enormi negozi in cui quella che è l’attività tradizionale di intermediazione
tende a divenire residuale, tanto è vero
che in alcune aziende si differenzia
ormai anche ufficialmente l’attività
“da banca” rispetto a quella di vendita
vera e propria.
La struttura dei ricavi delle
banche ormai da tempo vede la netta
prevalenza delle commissioni e delle
revenues da vendita prodotti rispetto
ai margini sugli impieghi e la tendenza
continua a rafforzarsi nonostante la
forte espansione del credito al consumo
che, di per sé, rappresenta comunque
un altro problema dal momento che la
propensione all’indebitamento delle
famiglie ha risvolti sociali e necessita
di analisi ed attenzioni almeno pari a
quelle che si hanno per la tutela del
risparmio.
La composizione degli organici
privilegia sempre più la rete commerciale, che vive comunque situazioni di
profondo disagio visto che, in ragione
del risparmio dei costi, risulta comunque sempre sottodimensionata rispetto
ai compiti richiesti.
Solo un accenno poi alle penose
questioni riguardanti scandali e speculazioni finite male (ma chi sono questi
“fenomeni” della finanza e da dove
saltano fuori e soprattutto, pagheranno
mai per la loro incapacità o malafede?)
che hanno coinvolto negli ultimi tempi
le più grandi banche internazionali e
che si concluderanno come sempre
con danni per i clienti e riduzione dei
posti di lavoro.
Tornando alla questione nostrana,
risulta interessante anche fare qualche
riflessione sulle recenti normative introdotte nell’ambito della intermediazione
finanziaria quali i nuovi regolamenti
ISVAP e la Direttiva Mifid.
Si tratta di provvedimenti che
hanno fondamentalmente lo scopo di
migliorare la tutela dei clienti e di porre
in capo alle aziende obblighi che vadano
in questa direzione.
Le intenzioni sono delle migliori,
quindi, tuttavia qualche “rischio” per gli
addetti ai lavori probabilmente esiste.
L’estrema complessità delle
nuove procedure comporta da un lato
un ulteriore fardello amministrativo
per i lavoratori e dall’altro difficoltà
di comprensione e di consapevolezza
per i clienti poiché non sempre molte
regole si traducono in effettive maggiori
garanzie.
Ciò nonostante esiste il rischio
che le aziende approfittino della situazione per traslare surrettiziamente
parte delle loro responsabilità in capo ai
dipendenti dal momento che il rispetto
delle procedure è comunque demandato
al personale.
Oltre alla necessità di sottolineare
il doveroso e indispensabile ruolo del
Sindacato nel gestire tutte queste tematiche e pur riconoscendo le obiettive
difficoltà a tradurre in pratica anche le
intese raggiunte al riguardo (un accordo
di grande valore sulla Responsabilità
sociale delle banche risale al 2004 ma
a poco è valso sino ad ora), un ragionamento va anche fatto sul ruolo dei
lavoratori e sulla necessità che anche
i loro comportamenti contribuiscano a
mutare uno scenario altrimenti difficile
da sostenere a lungo.
Le pressioni commerciali sono
spesso accompagnate da sistemi di
incentivazione economica e tutto
questo crea un circolo vizioso difficile
da superare.
Ogni dipendente deve però cercare di agire con grande professionalità e
senso etico sapendo che il denaro non
può costituire compensazione di ogni
situazione.
Lavorare correttamente non significa rischiare la vita, ed anzi Leggi
e contratti tutelano ancora, per fortuna,
i comportamenti virtuosi.
Le pressioni commerciali ingenerano conseguenze negative non solo nei
confronti della clientela, talvolta vista
come limone da spremere piuttosto che
patrimonio dell’azienda, ma anche nei
rapporti tra i colleghi con vessazioni degli uni sugli altri, svilimento dei rapporti
personali e del clima lavorativo.
I budget individuali, oltrettutto
di dubbia liceità, comportano l’isolamento del dipendente, frustrazioni
ed abbassamento del livello etico e
consegnano al singolo la gestione
dei portafogli clienti e la loro mercificazione.
Ce n’è ad abbondanza per capire
che ognuno, nel proprio piccolo, debba
compiere uno sforzo per cambiare le
cose sapendo che non sarà mai lasciato
solo dalle Organizzazioni Sindacali
perché, come recita il titolo di un altro
volantino della Fisac Cgil, “Eroi no,
onesti sì!”
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Mifid:
come dire difesa
del risparmio
Una direttiva europea
per tutelare il risparmio.
Sarà davvero efficace?
Obiettivi della normativa europea in oggetto sono:
1) fornire a tutte le imprese di
investimento una sorta di passaporto europeo rilasciato dal solo
Paese di origine, con il quale sarà
possibile prestare i loro servizi in
tutto il mercato dell’UE;
2) rafforzare il sistema di garanzie per gli investitori, in special
modo privati, a prescindere dalla
localizzazione dell’investimento;
3) assicurare un sistema di esecuzione dei servizi di investimento
all’interno del mercato UE in un
contesto di elevata trasparenza,
anche in termini di costi, qualità
e conflitti di interesse.
Al fine di perseguire tali obiettivi, la direttiva MiFID impone alle
imprese di investimento una serie
di obblighi e procedure che impattano sulla loro struttura organizzativa e sul comportamento da tenere
nei confronti della clientela.
Le Aziende di credito, Assicurative e Finanziarie devono
mettere in atto tutte le procedure
necessarie a rispondere ai principi
dettati dalle norme di attuazione
della normativa Europea
Per svolgere l’attività di consulenza gli intermediari devono
ottenere informazioni riguardo il
profilo del cliente in materia di
investimenti; l’investitore viene
quindi collocato in una delle tre
macro categorie previste, ognuna
delle quali con diverse necessità
di tutela:
a) cliente al dettaglio
b) cliente professionale;
c) controparte qualificata.
La prima, che ricomprende
la stragrande maggioranza dei
soggetti, è quella che necessita di
maggiori garanzie e viene a sua
volta suddivisa in base al profilo
di rischio (prudente, moderato e
dinamico).
Per giungere alla corretta classificazione del cliente bisogna
completare un questionario che
riguarda :
1) nel caso di gestione portafogli e consulenza la conoscenza
ed esperienza in materia di investimenti, rilevante per il tipo di
strumento o di servizio proposto,
nonché situazione ed obiettivi
finanziari (valutazione di adeguatezza);
2) nel caso si provveda solamente alla ricezione, trasmissione
o esecuzione degli ordini per il
collocamento di strumenti finanziari, sarà sufficiente valutare le
conoscenze e l’esperienza (valutazione di appropriatezza);
Se gli intermediari non acquisiscono tali informazioni non
possono svolgere il servizio di consulenza in materia di investimenti
o di gestione dei portafogli.
Da tutto ciò che precede si può
desumere con molta chiarezza che
gli operatori hanno il dovere di
svolgere correttamente l’intervista
al cliente e di fornire adeguata
informativa all’investitore qualora
egli non voglia rispondere alle
domande (impossibilità di valutare
adeguatezza e\o appropriatezza del
servizio proposto).
Le funzioni di controllo interne
alle aziende sono demandate a
procedure di “compliance”, ossia
a valutazione da parte di organi di
vigilanza interni agli intermediari
stessi che hanno il compito di verificare il rispetto della normativa in
concorso con i soggetti istituzionali (Banca d’Italia e Consob).
Precedenza per i contratti a termine
dell’interessato. Di seguito riportiamo il testo della circolare riguardante questo aspetto sottolineandone i passaggi più significativi: “Il
lavoratore che, nell’esecuzione di
uno o più contratti a termine presso
la stessa azienda abbia prestato
attività lavorativa per un periodo
superiore a sei mesi ha diritto di
precedenza nelle assunzioni a
tempo indeterminato effettuate dal
datore di lavoro entro i successivi
dodici mesi con riferimento alle
mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.
Il lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attività
stagionali ha diritto di precedenza,
rispetto a nuove assunzioni a termine da parte dello stesso datore
di lavoro per le medesime attività
stagionali.
I diritti di precedenza così
individuati possono essere eserci-
tati a condizione che il lavoratore
manifesti in tal senso la propria
volontà al datore di lavoro entro,
rispettivamente, sei mesi o tre mesi
dalla data di cessazione del rapporto di lavoro e si estinguono entro
un anno dalla stessa data” .
Anche in questo caso invitiamo gli interessati a mettersi in
contatto con i nostri Rappresentanti Sindacali per ogni esigenza di
consulenza o rappresentanza.
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UNICREDIT
Tra pressioni e
oppressioni il
disagio dei
lavoratori
Le lavoratrici ed i lavoratori di Unicredito
sono scesi in sciopero
nel Triveneto. Alte le
adesioni perché altrettanto alte erano tensione
e disagio tra i lavoratori.
Si comincia dal problema sicurezza visto l’elevato numero di
rapine che ogni giorno subiscono le banche, per passare
al disagio di molte lavoratrici
e lavoratori che invano da
anni attendono il part-time.
Ed ancora il problema degli
organici generalmente carenti
in tutta la rete; l’azienda non
opera sostituzioni e quando lo
fa si tratta di misure parziali e
insoddisfacenti.
Ma tra i tanti disagi manifestati dai lavoratori Unicredit
spicca il problema delle pressioni commerciali, pesante
fardello e spina nel fianco
che accomuna quantomeno
tutti i lavoratori addetti alla
vendita nei principali istituti
nazionali. Budget sempre più
spinti per prodotti che non
sempre mirano a soddisfare
le reali esigenze dei clienti e
che non sempre il sindacato
ritiene “genuini”. Motivazioni
oltremodo valide che hanno
visto scioperare un paio di
anni fa per due giorni, con una
clamorosa adesione, anche i
colleghi di Banca Intesa altro
colosso del credito nazionale.
Un segnale che i problemi
sono assolutamente comuni e
le voci che li denunciano sono
sempre più forti. Che vengano
dunque presto ascoltate per il
bene dei lavoratori ma anche
e soprattutto per quello dei
risparmiatori.
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4
Condannati per truffa!
S
Un precedente che fa riflettere
i può essere condannati in
sede penale per aver venduto
prodotti offerti dalla banca
alla clientela? Sembra proprio di si!
Un Giudice di Oristano, con sentenza di primo grado emessa a fine
febbraio, ha infatti condannato ad
una pena di nove mesi il Direttore
di una filiale del MPS ed una impiegata dello stesso sportello per truffa
ai danni di alcune decine di clienti
indotti all’acquisto del famigerato
“4You”, presentato come piano
di investimento sicuro e rivelatosi
tutt’altra cosa con ingenti danni
patrimoniali per i sottoscrittori.
Lo stesso Pubblico Ministero
aveva chiesto l’assoluzione dei due
impiegati ma il Giudice ha recepito
le istanze della Parte Civile procedendo a comminare la pena. A
prescindere dagli esiti di eventuali
ricorsi che verranno opposti dai
condannati, non è ovviamente detto
che questo precedente possa costituire elemento giurisprudenziale
in giudizi analoghi. Trattandosi
tuttavia del primo caso di questo
genere, vale la pena fare alcune
riflessioni al riguardo . Fino ad
oggi condanne per procedimenti
come quello di Oristano avevano
interessato, e stanno interessando,
la Dirigenza delle aziende bancarie
coinvolte lasciando fuori le figure
professionali di livello inferiore
le quali si è sempre ritenuto non
dovessero rispondere circa l’esecuzione di disposizioni impartite
dai loro superiori.
Oggi invece viene messa in
discussione la “neutralità” dei
comportamenti professionali dei
bancari con la giustificazione che gli
stessi impiegati hanno beneficiato
di vantaggi derivanti dalla vendita
di quei prodotti specifici.
Nella fattispecie si fa riferimento addirittura a progressioni
di carriera ma è possibile che un
assunto come quello fornito dal
Giudice potrebbe essere avvalorato
in futuro anche, per esempio, dalla
corresponsione di premi, incentivi
o bonus individuali. E’ noto quante
siano le campagne commerciali e
quante offerte vengano continuamente proposte per la vendita, ed
è altrettanto noto che spesso l’effettivo contenuto di molti prodotti
risulti oscuro anche a chi li commercializza. E’ altrettanto evidente
che le pressioni commerciali sono
enormi e che spesso si induce il
venditore a non andare troppo per
il sottile perché quello che conta
è il risultato per l’azienda e poi
magari ci scappa qualcosa anche
per chi vende…
Comunque finisca la vicenda
giudiziaria che ha coinvolto i due
colleghi sardi, chi opera a contatto
con la clientela ha un motivo in
più per fare stare attento a quello
che fa ed a non lasciarsi intimidire
da capi e capetti interessati o farsi
ingolosire da qualche Euro in più a
fine anno. Rimane del tutto insoluta
nel settore bancario la questione
della Responsabilità delle imprese
e dell’etica della vendita, problemi
rispetto ai quali abbiamo raggiunto
accordi illuminati con le aziende
che devono però ancora produrre risultati tangibili sul piano pratico.
Oggi più di ieri si vende di
tutto e di più e le difficoltà per le
aziende a mantenere gli eccezionali livelli di redditività degli anni
scorsi potrebbero far peggiorare
ulteriormente la situazione. Sono
state inoltre introdotte novità legislative e regolamentari (Isvap,
Mifid) che, concepite per migliorare la tutela dei risparmiatori e la
trasparenza dei prodotti, potrebbero
anche finire, talvolta, per dirottare
responsabilità aziendali in capo ai
singoli dipendenti. Servono quindi
grande attenzione professionale e
massimo sostegno delle lavoratrici
e dei lavoratori alle iniziative sindacali nei confronti delle banche, che
vedono la Fisac Cgil particolarmente impegnata, affinchè le pressioni
commerciali non prevalgano sul
buon senso e sull’onestà arrivando
addirittura a mettere in discussione
la salute dei dipendenti e la situazione economica dei clienti.
Abbonamento
per trasporti
in detrazione
Abbonarsi al trasporto pubblico da
oggi è ancora più conveniente all’acquisto
del biglietto. Grazie
alle detrazioni fiscali
previste dalla legge
finanziaria, sarà possibile
detrarre dall’Irpef il 19%
delle spese sostenute per
l’acquisto di abbonamenti
a bus, tram, metropolitane
e qualsiasi altro mezzo
di trasporto pubblico. La
detrazione vale esclusivamente per le spese sostenute
nel 2008, e per un importo
non superiore a 250 euro.
Potranno esser fatti valere
gli abbonamenti anche dei
familiari a carico sempre per
un importo massimo cumulativo di 250 euro. Il beneficio
fiscale sarà dunque di 47,50
euro. Per fruire della detrazione Irpef i contribuenti
evono conservare gli abbonamenti che vanno esibiti in
copia alla dichiarazione dei
redditi, oppure consegnati al
proprio datore di lavoro in
occasione del conguaglio di
fine anno.
Polizze più
leggere col
decreto Bersani
Nel nuovo regolamento viene stabilito che nel caso di
una polizza Rc auto
per il secondo veicolo,
l’assicurato (o un
familiare convivente)
ha diritto di mantenere la
medesima classe di merito
maturata sul primo veicolo.
Questo vale anche se ci
si assicura con un’altra
compagnia.
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Diritti sindacali a rischio in Europa
Stesso lavoro ma diritti e stipendi diversi oltre
il confine, un pericolo per l'Europa
D
ue recenti sentenze della
Corte di Giustizia europea
(Viking – Laval) hanno
destato seria preoccupazione negli
ambienti sindacali di tutto il continente. Si sta parlando di due società
operanti nel settore marittimo che
hanno insediato loro unità produttive in paesi baltici confinanti,
procedendo quindi all’assunzione
del relativo personale secondo le
previsioni del contratto di lavoro
locale, salvo poi distaccare questi
dipendenti oltre confine, presso
le loro sedi scandinave, accanto a
colleghi con tutt’altra condizione
lavorativa. Poiché, come è facilmente intuibile, i contenuti economici
e normativi dei contratti di lavoro
baltici sono assai meno tutelanti
di quelli svedesi o norvegesi, tale
comportamento ha di fatto consentito una sorta di “dumping sociale”
fortemente contestato dalle Organizzazioni Sindacali scandinave ed
europee tanto che si è giunti anche
a scioperi locali contro queste iniziative. Se si va un po’ indietro con
la memoria, questa vicenda ricorda
quanto avvenuto con la cosiddetta
“Direttiva Bolkenstein” con la quale
si intendeva introdurre sostanzialmente questo principio (del “Paese
di Origine”) poi fortunatamente
venuto meno grazie proprio all’azione delle forze progressiste di tutta
Europa. Le due sentenze sembrano
purtroppo far rientrare dalla finestra
quello uscito dalla porta con in più
ulteriori aggravanti che potrebbero
mettere a rischio alcuni importanti
diritti sindacali tra cui anche quello
di sciopero.
I giudici hanno infatti stabilito una
precisa gerarchia delle fonti di disciplina assegnando il primato all’ordinamento comunitario che quindi
sarebbe certamente preminente non
solo sui contratti collettivi ma addirittura sulle Costituzioni nazionali.
Lo stesso diritto di sciopero, che
deve comunque essere riconosciuto
da tutte le fonti preordinate, dovrebbe poi comunque tenere conto
degli effetti su quanto stabilito a
livello comunitario in termini di
concorrenza tra le imprese e diritto
di stabilimento in area UE. Le azioni
di sciopero non devono quindi essere “eccessive”, e comunque legate
alla”realistica” tutela dei lavoratori
(?) ed anzi in caso di abusi le Organizzazioni Sindacali sarebbero
tenute al risarcimento dei danni
prodotti alle aziende (!). Passerebbe
in secondo piano la necessità di
difendere i lavoratori dal dumping
e dal garantire parità di trattamento
a fronte di uguale attività presso
lo stesso insediamento produttivo.
Vale la pena sottolineare come le
conseguenze che deriverebbero qualora queste sentenze costituissero
giurisprudenza andrebbero a ledere
anche il principio di concorrenza
leale tra le imprese.
Le Organizzazioni sindacali si
stanno ovviamente già muovendo
per agire nelle opportune sedi comunitarie per contrastare l’ennesimo,
ma forse in questo caso inaspettato,
attentato alle libertà sindacali ed ai
diritti collettivi.
Se l’Europa non sempre viene
vista in modo positivo dai cittadini
forse è anche per sentenze come
questa…..
Mail: attenti alle ingiurie
Cassazione: la carta è una prova!
A
ttenzione a sparlare via mail
di colleghi o di superiori,
ammonisce la Cassazione. Si
rischia la querela. Lo spirito della
sentenza poggia sulla certezza che,
prima o poi, qualcuno girerà la mail
calunniosa al diretto interessato. Il
reato dunque è paragonabile all’ingiuria, e chi si sentisse offeso può
querelare il collega che ha iniziato
la catena delle missive. Forte di
questa convinzione la Cassazio-
ne ha accolto il ricorso di una
impiegata di Bassano del Grappa
accusata da alcuni colleghi di una
presunta disinvoltura nell’uso dei
congedi parentali. Qualcuno si
è premurato di far scivolare nel
cassetto della malcapitata copia
delle mail che circolavano ed ecco
la denuncia e… il corpo del reato.
Le parole “volano” ma la carta è
una prova! Per i giudici dunque ”
trattandosi di ingiuria epistolare,
anche se lo scritto è stato inviato
a persone diverse dall’offeso, il delitto si perfeziona a condizione che
l’agente, all’atto dell’invio, abbia
avuto indubbia consapevolezza che
lo stesso sarebbe stato comunicato
all’offeso”. Adesso anche una mail,
scritta a volte sopra pensiero, a
volte quasi per gioco, potrebbe
diventare una prova di cui potremmo essere chiamati a rispondere
penalmente.
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Sanzioni disciplinari
Sempre i soliti
a pagare!
Ritmi di lavoro forsennati,
pressioni commerciali e
carenze di organico costringono, sempre più spesso,
i lavoratori bancari ad
operare in condizioni che
rendono, di fatto, difficoltoso
il rispetto integrale delle
normative aziendali. Le aziende
ne sono a conoscenza, come sanno
che l’osservanza integrale delle
normative, che essi stessi emanano,
bloccherebbe l’operatività. Sta di
fatto che chi opera rischia di suo
e le cose filano lisce fino al primo
incidente di percorso, anche banale.
E’ in questo caso che partono le
verifiche aziendali e la “visita”
dei servizi ispettivi. Quando ci
troviamo in una situazione di
questo tipo è consigliabile avvisare
subito il proprio sindacalista e
farsi consigliare sulla condotta da
tenere: sempre più spesso scambi di
opinioni o dichiarazioni rilasciate
in buona fede diventano, nelle
lettere di contestazione comminate
dalle aziende, frasi di questo tipo:
“come da dichiarazione da lei stessa
rilasciata o come da sua stessa
ammissione”. Nel caso dovessimo
ricevere una contestazione di addebito, prevista dalla Legge 300/1970
all’art.7, l’eventuale sanzione non
potrà essere applicata prima che
siano trascorsi cinque giorni dal
ricevimento della stessa. Prima
della scadenza di suddetti cinque
giorni siamo tenuti a giustificare
quanto ci viene contestato. Molte
azienda applicano la tolleranza zero
comminando sanzioni disciplinari
che arrivano fino alla sospensione
dal lavoro anche quando le inosservanze alle disposizioni impartite
sono di lieve entità. Ci permettiamo
di darvi alcuni consigli:
s Operiamo sempre nel rispetto
della normativa;
sSe riceviamo una contestazione
di addebito informiamo subito il
nostro rappresentante sindacale;
sNon rilasciamo dichiarazioni che
possono essere usate come prova
contro di noi;
sNon diamo alcuna risposta scritta
all’azienda prima di avere consultato il nostro sindacalista;
sRispondiamo alla contestazione,
rigorosamente entro i cinque giorni
previsti, chiedendo un incontro
all’azienda, assieme al nostro rappresentante sindacale, per chiarire
quanto ci viene contestato.
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6
Gli stipendi d'oro dei manager
Aumenti del 70% per gli amministratori dei primi 10 gruppi nazionali
P
er sottolineare la necessità
di garantire l’obiettività
dell’informazione, un vecchio slogan giornalistico recitava
“I fatti separati dalle opinioni”.
Una recente inchiesta del
quotidiano “la Repubblica” sembra evidenziare come nel mondo
dei Manager italiani valga invece
il detto “i fatti separati dalle retribuzioni”.
L’indagine citata prende in
considerazione gli stipendi pagati
l’anno scorso ai 50 principali dirigenti di società italiane quotate in
borsa ed il quadro complessivo che
ne deriva è quantomeno singolare.
A fronte di risultati economici
e di borsa tutt’altro che brillanti
ottenuti dalle aziende che dirigono,
i Manager hanno visto incrementati i loro compensi di ben il 29%
rispetto al 2006.
Se questo dato viene poi rapportato agli aumenti medi ottenuti
nello stesso periodo dai lavoratori
dipendenti (2,3%), la cosa risulta
ancora più indigesta.
Oltretutto i compensi dei
manager italiani sono mediamente
molto più elevati degli omologhi
europei che pure gestiscono società
ben più importanti e che conseguono risultati più significativi.
Attenzione però: anche a
livello continentale non è che si
facciano mancare nulla….stipendi e bonus sono stratosferici
anche altrove. I settori bancario
ed assicurativo non si sottraggono
certamente a questo andazzo registrando “ingaggi” da capogiro per i
loro dirigenti : Profumo (Unicredit)
9,4milioni di Euro (comunque un
indigente rispetto ai 13,9 erogati
allo svizzero Josef Ackermann
di Deutsche Bank, azienda che
a causa dei sub prime ha appena
svalutato il proprio patrimonio
per svariati miliardi di Euro…),
Bizzocchi (Credito Emiliano)
4,7 milioni di Euro, Bernheim
(Generali) 5,2 milioni di Euro,
Ligresti (Fondiaria) 5 milioni di
Euro, Marchionni (Fondiaria) 7,1
milioni di Euro,Geronzi (ex Capitalia), 23,65 milioni di euro, Bazoli
(Intesasanpaolo) 11,36 milioni di
euro, Faissola (presidente Abi e Ad
di Banca Lombarda) 3,03 milioni
di euro e così via….
Correlare le retribuzioni ai
risultati aziendali è un bel concetto ma pare che, come tanti altri,
debba valere solo per i lavoratori
e tra l’altro nemmeno in tutte
le circostanze. Forse il principio
della “moderazione salariale”
invocato dalla BCE per affrontare
le difficoltà economiche dovrebbe
essere esteso anche ai manager e
non solo limitato a chi col proprio
stipendio ci campa magari con
difficoltà.
I concetti di sacrificio e
dedizione al lavoro hanno evidentemente declinazioni diverse
a seconda dei casi….
Davvero si può pensare che le
cose possano andare avanti così?
Veramente crediamo che la divaricazione tra lavoratori (e soprattutto
lavoratrici) e loro dirigenti possa
ampliarsi ancora?
Questa non è solo una questione economica, bensì soprattutto
morale e sociale. Sarà bene non
sottovalutarla.
Anche Bankitalia frena sulle stock options
Con una circolare si pongono limiti e divieti
L
a circolare della Banca
d’Italia sulla governance
del 4 marzo 2008 impone
una serie di limitazioni e divieti.
Di particolare rilievo sono le
limitazioni sulle remunerazioni
degli esponenti aziendali e del
management che prevedono il
coinvolgimento dell’Assemblea
nonché articolate prescrizioni. I
meccanismi di retribuzione non
devono essere in contrasto con le
politiche di lungo periodo e con
la prudente gestione dei rischi. E’
evidente il riferimento alle stock
options, che tante critiche hanno
destato negli ultimi anni. Si stabilisce che sia l’Assemblea ordinaria
dei soci a definire le politiche retributive e ad approvare i piani di
compenso basati su stock options
per i dirigenti e amministratori
di banca, secondo un’esplicita
raccomandazione dell’U.E. per
le società quotate. All’Assemblea,
quando vige il sistema duale, è demandata anche la determinazione
della remunerazione per particolari cariche dei componenti del
consiglio di sorveglianza. Queste
linee applicative costituiscono
nei fatti un invito alle aziende di
credito affinché individuino forme
di incentivazione adeguate. Sta
alle banche, dunque, scegliere in
autonomia le modalità tecniche di
compenso più opportune.
Redditi On Line
Privacy o
trasparenza?
La CGIL la
pensa così...
I contribuenti che noi
rappresentiamo sono
interessati alla trasparenza di dati che mostrano non solo l’urgenza e
la cogenza della lotta
all’evasione fiscale, sulla quale
non bisogna assolutamente abbassare la guardia, ma anche
l’abnorme divaricarsi della
forbice della disuguaglianza,
che da anni denunciamo e che
costituisce l’asse strategico
della nostra rivendicazione
politica e contrattuale.
Ci pare pretestuosa e strumentale la polemica innescata su
privacy e trasparenza. Quello
dell’Agenzia delle Entrate è
stato dunque un atto dovuto,
normale e civile per un Paese
che intende emergere da una
giungla di furbizie, pelosità,
mezze verità. Assolutamente
incomprensibile e non condivisibile appare, infine, la richiesta di risarcimento avanzata da
alcune associazioni di consumatori, i cui aderenti avrebbero
semmai tutto da guadagnare
da scelte assunte in nome del
rigore e della trasparenza.
Fisac Veneto
nuova nomina
Con l’elezione di Chiara
Canton alla Segreteria
Generale delle FISAC
di Padova ( buon lavoro
Chiara!) prosegue il rinnovamento della Fisac
Veneto. Ecco dunque il
riepilogo dei responsabili delle
nostre sette province:
Venezia : Silvana Fanelli,
Treviso : G.Franco Boscaro,
Belluno: G.Antonio Gallina,
Vicenza : Roberto Dal Lago,
Verona: Lidia Marchiori,
Padova : Chiara Canton,
Rovigo: Cristian Tomasello
informazioni FISAC CGIL informazioni
Part-time una mamma scrive...
Viviamo così poco coi figli che non
ci accorgiamo neppure che crescono!
P
art time…questo sconosciuto….tema tabù,
tanto temuto dall’azienda
quanto indispensabile per noi
mamme. Si sente parlare tanto
dell’importanza delle nascite in
Italia tanto che con una legge
vengono invitate le Aziende ad intraprendere azioni atte ad agevolare le mamme nell’accudimento
quotidiano dei loro figli. Da una
parte le necessità dell’azienda
che non riesce ad assicurare tale
diritto e dall’altra le mamme che,
lavorando a tempo pieno, si chiedono ogni giorno come riuscire a
gestire la famiglia.
Mettiamo al mondo un figlio e poi dobbiamo rinunciare
al secondo perché non abbiamo
altra scelta. Mandiamo i nostri
bimbi piccolissimi per 8-9 ore
al giorno all’asilo nido (pagando
anche fior fior di rette) o, per
chi ha la fortuna, ci sono i tanto
indispensabili nonni …ma noi
trascorriamo con i nostri figli 2
ore al giorno. Vediamo così poco
i nostri figli che non ci rendiamo
nemmeno conto che crescono.
Non viviamo le loro prime scoperte, le loro prime parole, i loro
primi passi … ce lo raccontano i
nonni o le insegnanti dell’asilo. E’
vita questa? E’ giusto rinunciare
ad essere o, peggio ancora, diventare mamme, perché abbiamo
paura di non poter assicurare una
buona crescita ai nostri bambini?
E’ giusto delegare totalmente la
formazione dei figli? Come creare
con loro un rapporto edificante
e soprattutto unico? E queste
sono considerazioni e domande
che ogni giorno ci poniamo, ma
a cui non troviamo risposta, purtroppo, creando una situazione
non facile né da affrontare né da
gestire. E il lavoro? Viviamo le
nostre 7 ore e 30 di lavoro dando
il massimo, cercando di lavorare
con impegno e professionalità,
facendo tutto il possibile per riuscire ad uscire dalla banca alle
16.45 e pensiamo continuamente
ai nostri figli. Certo, se avessimo
il part time, lavoreremmo molto
più volentieri e sicuramente
anche con risultati migliori. Un
dipendente contento lavora meglio in quanto si sente tenuto in
considerazione dall’azienda …
ora invece ci sentiamo veramente abbandonate e non cogliamo
assolutamente interessamento da
parte dei preposti alla gestione del
personale. Ci sono colleghe che
hanno chiesto un colloquio con
l’ufficio personale da più di 8 mesi
ma nessuno, e dico nessuno, si è
mai interessato…stiamo ancora
aspettando…. Ci viene da chiederci perché lavorare così tanto
per un’azienda a cui non importa
assolutamente niente delle esigenze del proprio personale. Ma
quello che fa più male è vedere
mamme disperate a tempo pieno
con bimbi di un anno e mamme
a part time con figli di 20 anni. E
che non ci vengano a dire, come
è successo più volte, che il part
time a tempo indeterminato è
una “conquista” del sindacato.
Il sindacato ha solo preso atto di
una situazione che era stata creata
dalla banca a seguito della fusione. E sono queste ingiustizie che
ci fanno male, non siamo mamme
di serie B … ma questo, come al
solito, all’azienda non importa.
Ci sono mamme, tra di noi, che
stanno seriamente cercando un
altro lavoro, chi pensa di licenziarsi e chi rimarrà a casa perché
l’istinto materno vince su tutto.
Penso sia meglio per l’azienda
avere una dipendente a part time
che perderla del tutto…o sbaglio?
Ma forse tali considerazioni sono
al di fuori della nostra portata. Ci
aspettiamo pertanto un’azione
decisa da parte dell’Azienda,
è ora che la Banca si prenda le
sue responsabilità e risponda
a noi mamme non tra un anno,
nemmeno tra un mese ma adesso.
Sta all’Azienda trovare ora una
soluzione a quanto lei stessa ha
deciso non più di 5 anni fa.
7
Un equlibrio tra
vita e lavoro?
Si puo!
Trovare un positivo
equilibrio vita-lavoro
per donne e uomini è
possibile.
Gli strumenti di analisi
e di intervento sono a
portata di mano.
L’U.E., nel porsi l’obiettivo di raggiungere nel 2010 un
tasso di occupazione femminile
del 60%, sottolinea come le politiche di genere e di pari opportunità siano strumenti essenziali
per la crescita, la prosperità e
la competitività.
Si comincia a parlare di misurazione del valore economico
del lavoro e di cura.
In molti Paesi europei, efficaci
investimenti in politiche di
conciliazione e in servizi hanno
fatto sì che l’occupazione femminile non fosse di ostacolo alla
natalità (e viceversa).
In Italia abbiamo un tasso di
occupazione femminile inferiore di oltre 10 punti rispetto alla
media europea e, insieme, un
tasso di natalità tra i più bassi
del mondo.
Questo a causa della carenza
di misure conciliative, sia sul
versante dell’offerta pubblica
(servizi per bambini e anziani,
orari e tempi delle città, mobilità), sia sul versante dell’organizzazione del lavoro, che penalizza
il part-time e la flessibilità oraria
a richiesta delle lavoratrici e dei
lavoratori mentre fa un utilizzo eccessivo della flessibilità
contrattuale mantenendo per
anni, soprattutto le donne, in
condizioni di precarietà.
Anche nel nostro Paese ci sono,
però, ottimi strumenti normativi,
come l’art. 9 della Legge 53 che
prevede forme di vero e proprio
“risarcimento” economico delle
maggiori spese sostenute dalle
aziende per concedere maggiore
flessibilità ai dipendenti che si
trovano di fronte a problemi di
conciliazione lavoro-famiglia,
dal telelavoro, alla flessibilità
Continua a pag. 8
informazioni FISAC CGIL informazioni
8
Vita-lavoro, un equilibrio possibile
in entrata/uscita, al part-time reversibile.
Nelle Banche, poi, va ancora meglio. Il contratto riconosce il part-time
anche per le figure a più alto contenuto professionale.
Il “Protocollo sullo sviluppo sostenibile e compatibile del sistema bancario” sostiene in più punti la “centralità delle risorse umane” parla di
motivazione, partecipazione, realizzazione, della necessità di individuare
“sintesi efficaci tra obiettivi delle aziende e attese dei lavoratori”, di miglioramento continuo della qualità dei rapporti tra le imprese creditizie
ed il proprio personale, di work-life balance.
Infine, c’è anche la ciliegina sulla torta: Unicredit è tra le 36 aziende
che nel 2007, in via sperimentale, hanno aderito al progetto del ministero del lavoro “bollino rosa S.O.N.O. Stesse Opportunità Nuove
Opportunità”.
Si tratta, in pratica, di un sistema di certificazione della parità di genere
nei luoghi di lavoro con 3 dimensioni chiave di rilevazione:
differenze retributive e di carriera, tempo di stabilizzazione professionale per maschi e femmine, orari di lavoro e misure di conciliazione
… per l’appunto. Viene spontaneo chiedersi cosa manca per risolvere
il problema, manca poco e insieme tantissimo: LA VOLONTÀ DI PASSARE
DALLE PAROLE AI FATTI.
Il coraggio di andare oltre dichiarazioni di principio e buone intenzioni
e di avventurarsi nel terreno del fare dimostrando così che non si tratta
solo di una questione di immagine ma davvero, di un investimento sulla
qualità dei rapporti tra aziende e lavoratori.
Dai Dialoghi di Platone
i
r
b
i
L La Fabbrica di Veleni
di F.Casson
157 morti di tumore,
20 discariche abusive e 5 milioni
di metri cubi di rifiuti tossici, un colosso dell’economia
italiana sotto accusa: il processo al Petrolchimico
di Porto Marghera, iniziato nel 1998, si è presto rivelato
un caso clamoroso, concluso nel 2004 con la condanna
di numerosi dirigenti di Enichem e Montedison.
Felice Casson, pubblico ministero, ricostruisce la lunga
inchiesta e lo scellerato “patto del silenzio” sottoscritto
dalle maggiori industrie chimiche mondiali per tenere
segreti i dati sulla pericolosità del cloruro di vinile.
Il libro svela il complesso disegno del caso: le scoperte
di un caparbio medico di fabbrica, le reazioni dei vertici
aziendali, i sospetti degli operai, i ricatti politici,
gli scontri della fase processuale.
Edizioni Sperling & Kupfer
Voi potete comperare
il lavoro dell’uomo,
la sua esperienza,
i suoi consigli,
ma non potrete mai comprare
l’entusiasmo,
la devozione del cuore,
della mente e dell’anima.
Queste cose
le dovete meritare
con la vostra lealtà
verso di lui.
Anno XXI - n. 3 - Giugno -2008- Reg. Tribunale di Vicenza al N. 543 del 19.2.87 - "Poste Italiane Spa Sped. in Abb.Postale - D.L. 353/2003
(conv. in L. 27-02-2004 n. 46 art. 1 comma 2 DCB Vicenza" - Direttore Responsabile: Mario Falisi - Redazione: Maurizio Bordini, Fabrizio Brattini,
Annalisa Ometto, Gianfranco Boscaro, Massimo Mascolini, Mario Nalin, Elena Di Gregorio, Cesare Pace
Stampa: Laboratorio Grafico BST - Amm.ne e redazione: Vicenza - Corso Fogazzaro, 21 - Chiuso in tipografia il 10/06/2008
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