Il progetto Leader II “Biodiversità coltivata”

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Il progetto Leader II “Biodiversità coltivata”
Apollonio Caligaro
Gruppo di lavoro dell’IPSAA di Feltre
Il progetto Leader II “Biodiversità coltivata”:
le schede botaniche e i rilievi di campo
Senza Varietà
Stiamo assistendo ad una delle più drammatiche estinzioni di massa. In questo secolo sono scomparse
decine di migliaia di specie, principalmente dovuto a:
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pressione economica sugli ecositemi più ricchi di biodiversità;
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industrializzazione agricola.
La produzione alimentare è in mano a pochissime varietà con la conseguente:
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perdita di diversità genetica
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rischio sia ambientale sia economico rilevante.
Un'agricoltura sempre più industriale basata su monocolture ad alto valore aggiunto ed ad alto
investimento tecnologico (biotecnologie, ibridazione spinta, ..) avrà come conseguenza un ulteriore
impoverimento della base biologica e genetica della nostra alimentazione.
Nel 1840 due milioni d'irlandesi sono morti perchè l'intero raccolto di patate era stato distrutto da un
fungo; questo avvenne poiché le patate coltivate appartenevano ad un'unica varietà. Ridurre la base
genetica delle varietà produttive è quindi un rischio sia alimentare sia economico.
Anche per questo è importante che si cerchi di raccogliere, catalogare, preservare ed anche brevettare
tutte quelle varietà locali, frutto di una plurisecolare selezione, assicurando così un futuro sia alimentare
sia etico alle generazioni che verranno.
In questo contesto deve essere inserito il progetto “ Antropizzazione di un territorio: la biodiversità
coltivata”, che ha visto la partecipazione di diversi soggetti territoriali (Parco Nazionale Dolomiti
Bellunesi, Museo Etnografico di Serravella e Istituto professionale di Stato per l’agricoltura e l’ambiente)
che in un’ottica di collaborazione attiva e solidale hanno concordato il seguente programma di lavoro
comune:
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elaborazione di una scheda botanica di base e di un questionario per la raccolta dati;
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compilazione delle schede in almeno cinque punti del territorio del Parco e relativamente a
quattro specie vegetali, per un totale di 16 schede;
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catalogazione informatizzata dei dati raccolti.
Tutte le fasi di lavoro sono state frutto di strategie ed accordi presi in specifiche riunioni dove si è
vista la partecipazione attiva di tutto il gruppo di lavoro dell’I.P.S.A.A. insieme ai vari soggetti coinvolti,
ed in particolare si ringrazia:
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Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi: Dott. Vettorazzo Enrico;
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Museo Etnografico di Serravella: Dott.ssa Perco Daniela;
·
Gruppo di ricerca etnobotanica: Dott.ssa De Luca Barbara e della Dott.ssa Breda Nadia ;
·
Disegno Naturalistico: Dott.ssa Pizzolotto Patrizia.
Da parte dell’Istituto professionale di Stato per l’agricoltura e l’ambiente il programma di lavoro, diretto
dal Preside Dott. Zamboni Antonio e coordinato dal Prof. Calligaro Apollonio, è stato suddiviso nelle
seguenti fasi:
Fase preliminare
Predisposizione delle schede botaniche di base articolate in sotto settori di ricerca in rapporto alle
diverse tipologie di specie vegetali
Scelta delle Specie botaniche: melo ferro Cesio, corniolo, fagiolo locale e luppolo selvatico.
Fase di campagna distinta in :
Individuazione delle cinque stazioni di rilevamento ricadenti nell’ambito dei seguenti comuni del GAL
II e facenti parte del P.N.D.B.: Cesiomaggiore, Sovramonte, Feltre, Sospirolo e Gosaldo
Compilazione di 16 schede di campo, con rilievo in loco nelle varie fasi fenologiche, secondo la
seguente scansione:
Sette schede per la specie arborea (melo ferro Cesio) codice BMLFC, campionamento eseguito
dai seguenti Docenti: Camillo Funario, Mario Calvi e Alessandro Gallon
Quattro schede per il corniolo codice BCRCR, campionamento eseguito dai seguenti Docenti:
Anna Fiamoi e Serena Turrin
Due schede per il luppolo selvatico codice BLPLP, campionamento eseguito dai seguenti
Docenti: Agostino Sacchet
Tre schede per il fagiolo locale codice BFGGL , campionamento eseguito dai seguenti Docenti:
Stefano Sanson
COMUNI
CESIOMAGGIORE
SOSPIROLO
FELTRE
SOVRAMONTE
GOSALDO
Specie monitorata
FAGIOLO
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MELO
**
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CORNIOLO
*
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LUPPOLO
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Fase didattico - educativa
Il progetto ha visto la partecipazione di diverse classi dell’I.P.S.A.A., impegnate a vario titolo in stage
di Monitoraggio ambientale ed inserite in speciali “progetti didattici”. Le classi coinvolte sono state:
§
VEe
IV A per l’Anno Scolastico 1999/2000;
§
VAe
IV B per l’Anno Scolastico 2000/2001.
Dal punto di vista sia didattico che educativo il progetto proposto ha mostrato le caratteristiche di
una profonda esperienza, con finalità formative, in un contesto applicativo di azioni integrate con il
territorio circostante ( Produzioni tipiche , Ente Parco, Museo Etnografico, ecc.).
L’inserimento curriculare dei progetti didattici ha seguitola seguente strutturazione :
§
integrazione con l’area professionalizzante nei seguenti moduli: Monitoraggio ambientale
delle “biodiversità coltivate”, in diverse aree campione, realizzato tramite degli stage;
§
integrazione con l’area di indirizzo nei seguenti moduli: Tecnologia delle produzioni (la coltura
del melo) ed Economia dei mercati (le biodiversità coltivate come valorizzazione territoriale).
Fase finale distinta in:
1.
Catalogazione informatizzata dei dati raccolti e produzioni di 16 schede botaniche in formato
Excel, che vengono allegate in un dischetto magnetico
2. Relazione tecnica conclusiva
Stefano Sanson
Gruppo di lavoro dell’IPSAA di Feltre
Il progetto Leader II “Biodiversità coltivata”:
le schede botaniche e i rilievi di campo - il Fagiolo “Gialet”
Inquadramento botanico generale
Famiglia: Leguminose
Genere: Phaseolus
Specie: Phaseolus vulgaris
Nome dialettale: “Gialet”
La varietà di fagiolo monitorata, è denominata dalla popolazione locale con vari sinonimi.
Molto usato è il nome “GIALET” oppure “SOLFERINO”, talvolta anche “FASOL BISO” perché, da
secco, somigliante ai piselli.
Pianta annuale, rampicante; apparato radicale fittonante (si è notata nella stazione di Cesiomaggiore
con abbondante sviluppo di tubercoli radicali, indici di consistenti forme di simbiosi con batteri
azotofissatori. Presenta germinazione epigea (i cotiledoni emergono dalla terra) e fusto di altezza
media di circa 230 cm, accrescimento indeterminato, mediamente con 4 branche per pianta.
L’abito di crescita indeterminato con abilità rampicante e baccelli distribuiti uniformemente sulla pianta,
accrescimento sinistrorso, abbisogna di sostegni.
Le foglie composte pennato-trifogliate, margine intero, colore verde intenso; i fiori costituiscono
un'infiorescenza racemosa, ascellare, di colore bianco.
Il baccello allo stato verde omogeneamente distribuito sulla pianta, colore verde, a forma di pera e
diritto di lunghezza di circa 10 cm; allo stato secco con tendenza allo sbacellamento spontaneo, color
nocciola chiaro.
I semi mesospermi, con peso di circa 0,45 g, sono presenti mediamente dai 4 ai 6 semi per baccello,
di forma sferico-sub-ovoidale, colore giallo verde intenso e uniforme, ilo convesso bianco; (si è rilevata
una moderata variabilità genetica in cui i semi assumono identiche caratteristiche, però con una
forma del seme più oblunga).
Distribuzione
Varietà conosciuta in tutta la Val Belluna, in maniera particolare le zone, in cui si è riscontrata una
sua maggiore coltivazione, sono comprese nei territori dei Comuni di Trichiana, Santa Giustina,
Cesiomaggiore, Sospirolo, Belluno e Feltre.
Da ricerche personali, attualmente è limitatamente conosciuto e coltivato (coltivazione di superfici
modestissime ed esclusivamente per auto-consumo) anche nelle zone della Val Sugana e molto
modestamente delle Prealpi Trevigiane.
Profilo tecnico-agronomico
Forme d'allevamento: sono utilizzate le classiche tecniche di coltivazione del fagiolo rampicante.
Si utilizzano per lo più sistemi di coltivazione in cui i tutori sono rappresentati da sostegni di legno
di nocciolo o bambù, disposti a due o tre o quattro uniti all’apice tra loro (sistema a filare semplice,
piramide e capannina), talvolta si utilizzano reti di plastica in tensione tra pali.
Per tale fagiolo sono meno utilizzate le classiche forme di consociazione con il mais.
Semina: la semina è praticata mediamente dal 5 al 30 maggio, utilizzando circa cinque semi a desta
e sinistra (totale 10 semi) d'ogni tutore utilizzato.
Cure colturali e difesa: la coltura di questo fagiolo si può definire naturale poiché sono praticamente
sconosciuti (nelle zone e per gli agricoltori menzionati) i prodotti chimici diserbanti selettivi per il
fagiolo. Oltretutto tale varietà appare, molto resistente ai parassiti vegetali e animali, per questo non
si rendono necessari trattamenti fitosanitari. La prova della resistenza di questo fagiolo ai parassiti
è nel fatto che al momento della cernita dei semi secchi, sono pochissimi i semi da scartare poiché
infetti, lesionati o alterati.
E’ frequente l'utilizzo di letame, considerate le modiche superfici coltivate, e l’uso di concime ternari
quali 15-15- o 8-24-24 in quantità modeste. Da ricerche effettuate sarebbero facilmente sostituibili
tali concimi di sintesi con concimi ammessi dall’agricoltura biologica (esempio minerali da rocce).
Non si rilevano assolutamente forme di concia del seme per semina.
Durante la conservazione nei magazzini, tale fagiolo, considerato il suo colore chiaro, sembra essere
più d'altre varietà preferite dal tonchio (coleottero) per lo sviluppo dl suo ciclo vitale.
Negli ultimi tempi, per ovviare a tale problema, è frequente la conservazione dei semi, sia per il
consumo alimentare sia per la semina a temperature sotto lo zero, per almeno 4 –5 giorni.
Talvolta sono state rilevate forme d'infezioni da virus del mosaico giallo.
Miglioramento genetico: sebbene trattasi di una pianta autogama, sono frequenti se coltivati nelle
prossimità, forme d'incroci con altre varietà. Si riscontrano soprattutto incroci con le varietà di fagiolini.
La linea pura caratteristica della varietà è ritenuta ancora forte e integra, sarà’ necessario in futuro
una forte attività di selezione massale organizzata.
Raccolta: avviene mediamente dal 10 al 20 settembre ed è esclusivamente manuale. Deve essere
tempestiva, poiché i baccelli si essiccano in breve tempo e tendono a schiudersi talvolta anche sulla
pianta, procurando la caduta dei semi.
La maturazione dei baccelli, è non omogenea, ma in ogni caso meno scalare che non negli altri
fagioli rampicanti a sviluppo indeterminato classici delle zone locali, per questo talvolta la raccolta
è fatto con due, al massimo tre, passaggi tra le piante.
Si riscontano produzioni di circa 12 - 13 baccelli per pianta, mediamente ogni baccello contiene 3–
3,5 g di fagiolo secco, pari a circa g 30 di seme secco per pianta, che equivale in una coltivazione
con sistema a filare semplice (due tutori legati tra loro all’apice) pari a circa 600 g di seme secco per
“tutore doppio”.
Il livello produttivo ettaro, sarebbe meglio dire ad ara, è di difficile quantificazione, considerando le
svariate forme di allevamento e le distanze utilizzate, si presuppone in ogni modo una quantità di
circa 2,2 t/Ha di seme secco.
Per paragone il fagiolo di Lamon produce in impianti specializzati massimi di 4 t/Ha di seme secco.
Sistemi di coltivazione e commercializzazione:
Si può stimare in tutta la Val Belluna, (comprendendo tutti i piccoli agricoltori per lo più part-time
pensionati) escludendo quelli per autoconsumo, una produzione di fagioli “gialet” o “solferino” pari
a circa 2 t/anno di prodotto secco. Non è raccolto allo stato fresco, anche perché i baccelli tendono a
passare dalla stato verde a quello secco molto velocemente.
La sua coltivazione è relegata alle aziende part-time, con appezzamenti di poche centinaia di metri
quadrati. Tale livello di coltivazione è condizionato dalla limitata potenzialità di produzione, dal
subentrare di nuove varietà commerciali moderne più produttive e dall’abbandono dell’agricoltura
in generale. Non è possibile affermare che esista attualmente un mercato di questo fagiolo, anche
se si stà leggermente diffondendo come prodotto di nicchia che fa ben sperare nel recupero della
sua coltivazione. Il fagiolo “gialet”, allo stato di seme secco, spunta prezzi molto elevati. Il produttore
percepisce da commerciante mediamente dalle 9.000 alle 13.000 £/kg, si trova in commercio presso
i negozianti o presso gli stand nelle fiere agricole dalle £. 15.000 alle £. 18.000 al kg.
Per paragone, attualmente i fagioli borlotti nani secchi classici nazionali, sono commercializzati al
consumo diretto a circa £. 4.000 – £. 6.500 /kg, mentre il fagiolo di Lamon a £ 15.000/kg.
La forma di commercializzazione è rappresentata per lo più da vendita diretta dall’agricoltore a piccoli
commercianti locali, oppure direttamente dal produttore al consumatore, oppure si stà diffondendo
la vendita in Mostre mercato locali specializzate del settore primario attraverso forme associate di
agricoltori che presentano i propri prodotti agricoli tipici locali.
Aree e metodologia di campionamento
Il fagiolo “gialet” è stato rilevato nel corso della stagione vegetativa 2000 (da febbraio a ottobre),
all’interno del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, nelle seguenti stazioni:
Località Dorgnan – Cesiomaggiore (stazione n.1)
Località Zorzooi – Sovramonte (stazione n.2)
Località Susin – Sospirolo (stazione n.3)
Il lavoro in prima battuta si è basato sulla ricerca delle Aziende Agricole in cui si praticava la coltura
del fagiolo “gialet”, e fra queste quelle che potevano fornire maggiori notizie tecniche, sociali, culturali
e colturali. Le tre stazioni di rilevamento sono state selezionate all’interno di altrettante aziende dei
Comuni di Cesiomaggiore, Sovramonte e Sospirolo.
Si è quindi passati al monitoraggio preciso e puntuale di ognuna delle tre stazioni citate; il lavoro
ha comportato ripetute visite per rilevare i caratteri della pianta nei diversi stadi fenologici e per il
reperimento di campioni vegetali da esaminare. Nello stesso tempo sono state rilevate varie notizie
di carattere etno-botanico, tecnico, agronomico e commerciale.
Il tutto e sfociato nella compilazione di tre schede botaniche, una per stazione di rilevamento in cui
compaiono tutti i caratteri della specie.
Usi e costumi
Varietà ritenuta molto pregiata, viste le sue particolari caratteristiche di ottimo sapore, gusto delicato,
facile da digerire (molto di più del classico borlotto ad esempio Lamon); conosciuta da almeno quasi
tutto il 1900, ha sempre rappresentato un prodotto ritenuto particolare, destinato generalmente a
ristrette categorie di persone benestanti. Da colloqui con ex commercianti di granaglie(tombolani),
tale fagiolo era ricercatissimo anche un tempo. In particolare la maggior parte del prodotto era
acquistato dai vari agricoltori della zona (l’area di coltivazione era esclusivamente la Val Belluna),
rivenduto a sua volta ad un commerciante di Bologna che destinava tutto il prodotto al Vaticano che
rappresentava un forte consumatore.
Anna Fiamoi
Serena Turrin
Gruppo di lavoro dell’IPSAA di Feltre
Il progetto Leader II “Biodiversità coltivata”:
le schede botaniche e i rilievi di campo - il Corniolo
Inquadramento botanico generale
Famiglia: Cornaceae
Genere: Cornus
Specie: Cornus mas
Nome dialettale: “Cornoler”
In bibliografia l’inquadramento botanico generale è il seguente.
Cornus mas (dal latino “cornu” = corno, per la durezza del suo legno). Pianta ermafrodita.
Arbusto o alberello con altezze che variano da uno a 5m; anche 8 m (!) (Flora d’Italia S.Pignatti).
Corteccia grigia con crepe rossastre; gemme avvolte da due squame acute (2 x 6 mm), carenate,
pubescenti; rami giovani 4angolari: carattere distintivo delle specie Cornus mas e C. sanguinea (fusto
giovane angolare).
Foglie opposte, ellittico-acuminate (3-5 x 6-8 cm), con 3-5 nervature evidenti.
Fiori in ombrelle ascellari (20-25 fiori brevemente peduncolati), sviluppantesi prima delle foglie,
avvolte da brattee cuoriformi-acuminate (5,5 x 5mm), gialle o in parte arrossate; petali gialli 3mm
ripiegati verso il basso.
La fioritura in Italia la va da febbraio ad aprile, posticipata di circa un mese nelle regioni del nord.
Il frutto è una drupa carnosa, ovoide (12 x 15mm), pendula, liscia e lucida, colore rosso vivo a
maturità.
Da quanto emerso dalle quattro aree di campionamento gli aspetti e le caratteristiche botaniche non
si discostano molto da quanto già visto in bibliografia. In sintesi l’inquadramento botanico emerso
nei rilievi è così riassunto.
La forma della pianta è arborea-arbustiva, il portamento è vigoroso con un’altezza media dai 4 agli
8 metri. La corteccia del fusto appare bruno grigiastra mentre nei rami di uno e due anni sempre
grigiastra ma con aree rossastre; nelle parti vecchie la corteccia, a grana fine, si sfalda in piccole
placche e vi è la presenza anche di fessure longitudinali, muschi e licheni.
Le gemme, pubescenti misurano mediamente 4 x 6 mm, sono di colore grigio rossastro e la loro
disposizione sul ramo è isolata o a gruppi di 2-3 gemme opposte.
Le foglie opposte e di colore verde scuro, hanno dimensioni 6-10 x 4-6 mm, sono ovali-acuminate
con apice fogliare acuto, base arrotondata e margine ondulato; la lunghezza dell'internodo è 2-4 cm.
Si e rilevato che le foglie in ombra sono mediamente più grandi.
La fioritura avviene prima dell’emissione delle foglie, è scalare e i primi ad aprirsi sono i fiori laterali;
l’infiorescenza è semplice con 20-25 fiori riuniti in ombrella; la densità dei bottoni fiorali è di 2-5 per
nodo e la distribuzione delle infiorescenze lungo l’asse dei rami giovani è opposta e in gruppi da 1
a 3. Le 4 brattee presenti sono di colore verde con striature marron-rossicce; i sepali verdi e il colore
dei petali è giallo intenso; il fiore aprendosi si ripiega a doccia lasciando in evidenza gli stami.
Il frutto è una drupa di colore rosso vivo di forma allungata e arrotondata all’apice; superando la fase
di maturazione il colore tende al bruno.
Durante il rilievo di questa fase fenologica (ottobre 2000) si è notato già l’ingrossamento delle gemme
pronte a schiudere
Distribuzione
Ampiamente distribuito allo stato spontaneo nell’Europa centrale e sud-orientale, soprattutto nella
regione Carpatico-Danubiana; si trova in tutta Italia ad eccezione delle isole maggiori, a quote tra
0 e 1400 m s.l.m. e non più a nord della latitudine di Merano. Si trova sulle rive, nelle boscaglie e
ai margini dei boschi, generalmente su terreni calcarei.
profilo tecnico-agronomico
Trattandosi di pianta spontanea, non esiste nessuna tecnica colturale per la specie e quindi non è
considerata pianta su cui intervenire tecnicamente.
Aree e metodologia di campionamento
Il Corniolo è stato rilevato nel corso della stagione vegetativa 2000 (da febbraio a ottobre) nelle
seguenti stazioni:
Località Vellai – Feltre (stazione n.1)
Località Montagne – Cesiomaggiore (stazione n.2)
Località Salet – Sospirolo (stazione n.3)
Località La Stua – Gosaldo (stazione n.4)
In fase di rilievo ci sono avute alcune difficoltà durante la fase fenologica “maturazione del frutto” in
quanto l’estate 2000, un po’ anomala come temperatura e le numerose piogge nel periodo suddetto,
non hanno permesso di produrre buon materiale fotografico del frutto.
Per il corniolo sono stati effettuati quattro rilievi per ciascun'area di campionamento, precisamente
durante le seguenti fasi fenologiche: 1.schiusura gemme, 2.fioritura, 3.foglia, 4.frutto maturo.
Dopo l’individuazione dei Comuni all’interno del Parco in cui censire il corniolo, sono stati scelti degli
esemplari indicativi, soprattutto come età, vigoria e portamento, cercando di avere degli individui
diversi, soprattutto come vissuto colturale e portamento.
E’ stato così rilevato un corniolo, “imponente” per il comune di Cesiomaggiore, vista anche l’ubicazione
favorevole, all’interno di un prato falciato e in posizione solatia; un corniolo a Vellai-Feltre a confine
tra una strada e una proprietà privata il cui portamento dimostra di aver subito numerosi tagli poco
razionali ma solo di “contenimento”; il corniolo di Salet-Sospirolo, ubicato all’interno di una zona a
pascolo e che presenta un portamento ad alto fusto con nessun pollone alla base dovuto al brucare
dei cavalli e dei muli negli anni; e per concludere il corniolo di Gosaldo che si trova in un’area impervia,
vicino ad un torrente, con un portamento sicuramente arbustivo e contorto, ma esemplare molto
suggestivo. A tal riguardo si ricorda che questa è la stazione più bassa come quota s.l.m. nel comune
di Gosaldo.
Usi e costumi
Il corniolo è una pianta selvatica, veniva piantata per ornamento, per fare siepi o in zone particolari
della proprietà terriera per fare ombra ad esempio ad un pollaio.
Il legno molto duro è adatto per lavori al tornio; viene ma soprattutto veniva utilizzato per la produzione
di attrezzi e parti di strumenti che necessitano durezza e resistenza come le pale dei mulini, i denti
dei rastrelli (solo con il midollo: parte più interna e dura del tronco), i manici di coltelli, i cunei per
innesti, le slitte.
Il frutto per uso alimentare: mangiato fresco, essiccato o conservato in barattoli con vino o grappa;
molto usato dalle donne in inverno durante la filatura perché favoriva la produzione di saliva; per uso
medicinale per preparare conserve con proprietà astringenti oppure con il frutto secco si facevano
decotti curativi per la tosse e per le malattie da raffreddamento. Per la conservazione il frutto veniva
essiccato, scottandolo prima in acqua bollente per averlo più grosso e mantenerlo morbido.
Camillo Funario
Alessandro Gallon
Mario Calvi
Gruppo di lavoro dell’IPSAA di Feltre
Il progetto Leader II “Biodiversità coltivata”:
le schede botaniche e i rilievi di campo - il Melo “Ferrocesio”
Inquadramento botanico generale
Famiglia: Rosacee
Genere: Malus
Specie: Malus communis
Nome dialettale: Melo Ferro Cesio
Albero con altezze che variano da 6 a i 2m collocato singolarmente o a filare consociato con vite.
Corteccia grigia con crepe nerastre;
Gemme tomentose di colore rosso scuro;
Rami di più ordini posti su diversi palchi (3/4).
Foglie disposte a rosetta basale e poi alterne sul germoglio, di colore verde opaco, di forma ovale
acuminata a margine seghettato, apice acuminato, penninervie; base asimmetrica con stipole basali
e picciolo.
Fiori in corimbi da cinque a sette fiori a simmetria radiale; petali ovali di colore bianco con venature
rosate. Il fiore chiuso si presenta di colore rosa carico se aperto di colore rosa pallido; ovario infero
con oltre dodici stami. Il nettare fornisce al fiore un profumo delicato
La fioritura avviene in Val Belluna nella seconda decade ad aprile, posticipata nella terza a quote
più elevate, come a Sovramonte.
Il frutto é un pomo con colorazione di fondo verde con faccia ampiamente rossastra, lenticelle bianche
e ben evidenti; forma rotondeggiante, allungata e di dimensioni non elevate.
Distribuzione
Tale varietà di melo risulta tra le più antiche e diffuse nella zona interessata dai rilievi; come confermato
dall’età avanzata delle piante esaminate. Inserite nelle colture prative, era spesso in consociazione
con la vite a cui faceva da tutore al filare; non sempre ora é così, poiché la vite talora ha subito un
abbandono e conseguente estirpazione. Si notano degli esemplari pur distanziati ma che sembrano
seguire un tracciato regolare, come un filare appunto.
Profilo tecnico-agronomico
La coltura del melo seguiva una forma in volume, tipicamente a vaso libero, con primo ordine di
branche primarie sollevate ad un’altezza superiore ai due metri, per non ostacolare la sottostante
coltura.
Normalmente la pianta non era seguita da particolari interventi colturali: qualche taglio di ramo grosso
deperito, o chioma eccessivamente sviluppata.
A più riprese, nel corso del 1900, si era tentato da parte dell’Ispettorato Agrario, con le “cattedre
ambulanti” di migliorare le rese attraverso potature razionali e trattamenti antiparassitari, in analogia
alle zone frutticole del vicino Alto Adige. Durante questi corsi, si proponevano le migliori tecniche
agronomiche, però il coltivatore locale le seguiva solo parzialmente essendo impegnato soprattutto
per la produzione di foraggio per i bovini, attività che gli garantiva la maggior parte delle entrate ed
inoltre temeva che l’uso dei pesticidi avrebbe avuto effetti negativi sulla qualità del foraggio. Questo
ha portato ad una scadente qualità del prodotto, conseguentemente ha ridotto lo sbocco sul mercato.
Un “andamento circolare” che ha avuto come conseguenza l’abbandono di tutte le cure necessarie
per una produzione regolare e di qualità.
La pianta e’ molto produttiva (oltre al quintale) e di modesto vigore; resiste alla ticchiolatura ed alle
principali avversità del melo, impedendo il diffondersi della malattia. I frutti sono mediamente di
modesta pezzatura, (diametro 60 mm., peso 90-. 100 grammi) spesso per l’eccessiva carica.
Col diradamento e adeguata potatura anche il “ferro cesio” raggiunge diametri di 70 mm. e peso di
150-200 grammi.
La buccia è di spessore consistente, di colorazione attraente, verde con ampia faccia rossa, su cui
si evidenziano numerose lenticelle, la polpa è bianco crema, compatta, poco succosa ma dolce e
aromatica, di profumo e sapore gradevole.
La maturazione è tardiva, metà ottobre e completa la serbevolezza in magazzino, durante tutto
l’inverno; si conserva in ambiente di cantina fino alla fine dell’inverno. A piena maturazione di consumo,
la colorazione diviene gialla-arancione con ampia faccia rossa. La polpa tende alla fine a divenire
farinosa.
Aree e metodologia di campionamento
Il melo, varietà Ferrocesio, è stato rilevato nel corso della stagione vegetativa 2000 (da febbraio a
ottobre), in sette località della Valbelluna e del Feltrino, nelle seguenti stazioni:
Località Loc. Tuses — Sospirolo (stazione n.1)
Località Loc. Maras — Sospirolo (stazione n.2)
Località Col di Cimia — Cesiomaggiore (stazione n.3)
Località Montagne — Cesiomaggiore (stazione n.4)
Località Case rosse — Feltre (stazione n.5)
Località Vignui — Feltre (stazione n.6)
Località Col dei Mich — Sovramonte (stazione n.7)
I rilievi sono stati eseguiti seguendo la seguente scansione temporale:
• l’attività del gruppo del melo è iniziata in febbraio e marzo per cogliere le gemme chiuse e la
struttura delle piante;
•
la fase di apertura gemme, orecchiette di topo, fioritura e le fasi successive in particolare:
Gemme chiuse:
-il 20.02.2000, si è coinvolta la classe 5 sez. A nel progetto biodiversità con un’uscita di 5 ore di
cui una parte dedicate al museo etnografico di Serravella, al fine di far capire agli allievi il
significato culturale, oltre che ecologico e agronomico, della ricerca.
Orecchiette di topo:
-il 30.03.2000, si è coinvolta la classe 4 sez. A nel progetto biodiversità con un’uscita di 5 ore di
cui una parte dedicate al museo etnografico di Serravella, al fine di far capire agli allievi il lavoro
da svolgere nel contesto generale locale, ed una parte al rilievo vero e proprio delle caratteristiche
delle piante in loc. Col di Cimia a Cesiomaggione. In quest’occasione si sono rilevate le
caratteristiche generali e in particolare la fase di orecchiette di topo.
La pianta in Cesiomaggiore- Col di Cimia è l’unica ad essere stata in parte potata e trattata con
poltiglia bordolese. Le altre stazioni hanno invece piante molto grandi ed i proprietari si limitano
allo sfalcio dell’erba, eseguito saltuariamente.
•
Fioritura
La fioritura si è presentata buona e facilitata dalle buone condizioni meteorologiche.
-il 25.04.2000 fioritura nelle 2 staz. Di Sospirolo;
-il 26.04.2000 fioritura nelle 2 staz. Di Cesiomaggiore, Col di Cimia e Montagne e nelle 2 staz.
Di Feltre Case Rosse e Vignui;
-il 29.04.2000 fioritura nella staz. di Sovramonte; in particolare si segnala la scarsa fioritura della
pianta rilevata, dipendente dal suo stato di particolare trascuratezza e di sofferenza della pianta.
• Allegagione (frutto noce)
Molto buona l’allegagione,conseguenza di una elevata fioritura ed ad un buon andamento
climatico che ha favorito il volo dei pronubi.
Il controllo delle piante ha evidenziato la presenza d’infezioni primarie di ticchiolatura sulle foglie.
La resistenza della varietà alla ticchiolatura dipende non dalla sua recettività ma dalla capacità
della pianta a reagire limitando le diffusioni secondarie del parassita, infatti le foglie si presentano
piuttosto membranose rispetto alle varietà standard (es. Golden Del.). A Cesiomaggiore, Col di
Cimia, il trattamento a base di rame è risultato efficace nel contenere le malattie fungine.
-il 08.06.2000 frutto noce nella staz. Di montagne;
-il 30.05.2000 frutto noce nelle 2 staz. Di Sospirolo;
-il 12.06.2000 frutto noce nella staz. Di Cesiomaggiore, Col di Cimia;
-il 20.06.2000 frutto noce nelle 2 staz.di Feltre: Case Rosse e Vignui, e in quella di Sovramonte;
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Maturazione
la fase di maturazione è fine settembre-ottobre. Per osservare la consistenza della polpa e le
caratteristiche gustative dei frutti:
il 29.09.2000 maturazione nelle 2 staz. Di Cesiomaggiore, Col di Cimia e Montagne;
- il 06.10.2000 maturazione nelle 2 staz. Di Sospirolo;
- il 10.10.2000 maturazione nelle 2 staz. Di Feltre Case Rosse e Vignui;
il 11.10.2000 maturazione nella staz. Di Sovramonte.
In particolare si segnala la scarsa fioritura, e quindi produzione, della pianta rilevata a Sovramonte
dipendente dal suo stato di particolare trascuratezza. Per contro va rilevato che le pezzature degli
otto frutti presenti sulla pianta sono particolarmente elevate =67 mm., più degli altri alberi rilevati=59,
(sempre ridotte rispetto alle varietà standard di commercio = 75 mm).
Per la pianta della stazione 2 di Sospirolo, az. Vigne Silvana, i frutti presentano caratteristiche diverse
dallo standard della varietà: colore del frutto rosso più carico, assenza di rugginosità nella cavità
peduncolare, lenticelle più piccole e meno evidenti ma più fitte, polpa meno compatta e più croccante;
questi elementi fanno pensare all’apparenza ad altra varietà (pon Del Fer anzichè pon Ferro Cesio).
Usi e costumi
Varietà ritenuta molto pregiata, grazie alle sue particolari caratteristiche, d’ottimo sapore e gusto;
conosciuta da almeno tutto il 1900, ha sempre rappresentato un prodotto ritenuto di buona conservabilità
invernale. Fornisce un’integrazione produttiva rispetto alla coltura erbacea sottostante e in qualche
caso sostegno ai filari delle viti; quando le lavorazioni avvenivano manualmente non era trascurabile
l’effetto di ristoro che dava la chioma di queste piante.
Vista la sua serbevolezza e conservabilità, veniva consumata in primavera dopo le altre varietà di
mele; in annate di forti produzioni, in alcune aziende venivano usate per il sidro (“vin de pon”) o
distillate (“sgnapa de pon”).
Agostino Sacchet
Gruppo di lavoro dell’IPSAA di Feltre
Il progetto Leader II “Biodiversità coltivata”:
le schede botaniche e i rilievi di campo - il Luppolo
Per la presentazione del luppolo ho cercato di usare una procedura che evidenziasse alcuni
aspetti non molto conosciuti, ma caratteristici di questa pianta, tralasciando le informazioni relative
alle stazioni di rilievo, già presenti nella relazione finale del progetto.
Mi ha fatto una certa impressione la prima volta che, nella zona a nord di Monaco di Baviera,
ho osservato le vaste superfici coperte da filari regolari, alti 4 metri, della coltivazione del luppolo.
Ero abituato, fin da piccolo, a cercare la pianta spontanea che viveva avviticchiata ad ogni sostegno,
con il caratteristico verso sinistrorso, in mezzo a grovigli di altre piante, di cui coglievo i getti primaverili
per la preparazione di favolosi risotti. Non mi immaginavo di trovare una pianta di questo tipo. Eppure
tra questi due estremi, a mio parere, è racchiuso il Luppolo (Humulus lupulus L.); Bruscandol (in
dialetto), Houblon (francese); Lùpulo (spagnolo); Hop (inglese); Hopfen (tedesco).
Una pianta coltivata industrialmente, che rappresenta un punto di riferimento economico di
tutto rispetto per l'agricoltura di certe aree: Baviera, Slovenia, Austria, Francia, tanto per citare quelle
a diretto contatto con l'Italia e una pianta che si perde tra molte altre, oggetto di ricerca paziente di
una piccola cerchia di intenditori, di amanti di bontà che la natura ancora offre a chi la conosce.
Questo è il luppolo.
Anche nel ricordo storico esiste questa specie di doppio carattere della pianta.
Ritenuto indigeno delle Isole Britanniche, era già coltivato in Germania già dal 768 e la sua
utilità nella fabbricazione della birra fu scoperta dai monaci Benedettini di San Gallo in Svizzera nel
sec. VIII. A loro viene attribuito un detto quanto mai valido per la Quaresima: "I liquidi, sottintesa la
birra, non rompono il digiuno", per cui se ne poteva bere quanta si voleva, senza infrangere la regola
del digiuno penitenziale. Nel 850, in Baviera esistevano lupoleti. Nel 1603 il parlamento inglese
approvava una legge per la salvaguardia della genuinità del prodotto. Nel 1875 è oggetto di lavori
di miglioramento genetico. Tutto ciò dà un'idea dell'importanza della coltura per la produzione della
birra.
La classificazione varietale prende in considerazione il colore del fusto: bianco, verde e rosso,
all’interno dei quali esistono gruppi a maturazione precoce, intermedia e tardiva. La terza varietà è
quella che produce meno quantità, ma di più alto valore industriale.
Per la birra sono ricercati i coni o strobili, con le loro ghiandole gialle di luppolina. Dal punto
di vista chimico è formata da resine e olii essenziali. Le prime danno le caratteristiche amaricanti e
antisettiche e favoriscono la formazione della schiuma, mentre l'aroma deriva dagli olii essenziali.
Ogni cordone produce circa 0.250 kg di coni essiccati e la produttività per ettaro può giungere
fino a 20 quintali, con medie attorno ai 5-10 quintali, con una densità di impianto di 4500 piante per
ettaro. In Europa la produzione di coni essiccati di luppolo si aggira sull’ordine dei 580.000 quintali
annui, con punte di 200.000 e 112.000 quintali rispettivamente in Germania e Inghilterra.
La produzione di luppolo per l’industria birraria ha interessato, tra le due guerre, anche la
Provincia di Belluno, dove sono stati fatti, assieme all Umbria, alcuni tentativi di produzione, che però
sono stati abbandonati per le difficoltà incontrate nel collocamento del prodotto.
L'uso dei teneri germogli della pianta per l'alimentazione diretta è citato da Plinio il Vecchio,
scrittore, storico e naturalista romano del I° secolo d.C.
Le persone che con cura meticolosa hanno spuntato tutte le piante di luppolo nella zona
dell'IPSAA attorno alla metà di aprile 2000, possono vantare un illustre predecessore.
D'altra parte ci sono buoni motivi per raccogliere i getti, in quanto, oltre a un sapore caratteristico
che li fa apprezzare in cucina, hanno dal punto di vista farmaceutico, azione tonica, digestiva, sedativa,
tonica, anafrodisiaca e narcotica.
Il luppolo è consigliato contro le irritazioni dell'apparato uro-genitale.
Come tutti i tessuti vegetali meristematici, i getti sono ricchi di auxine, ormoni della crescita,
evidenziati da punte di crescita giornaliere di 15-20 centimetri al giorno.
Altri aspetti della coltivazione sono l’uso del fusto per la produzione di cellulosa o come
materiale da ardere, il fusto viene anche utilizzato per stuoie, cordami e sacchi, come avviene in
paesi come Russia e Svezia.
Un’ultima funzione di questa pianta è legata ad una piacevole azione di abbellimento del
paesaggio, come è messo in evidenza anche da alcune delle diapositive scattate durante i rilievi
operati nel corso dell’attività di analisi della biodiversità.