Architettura indiana

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Architettura indiana
UNI TER - Arese
Architettura indiana
di
Maria Garbini Fustinoni
Pag. 2 I palazzi degli Dei
Pag. 4 Il Tempio
Pag. 6 Il progetto del Tempio
Pag. 8 Primo stile dravida
Pag. 12 India centrale
Pag. 15 Grotte di Ellora
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ARCHITETTURA INDIANA
I Palazzi degli Dei
Scarsa e di modesto livello è l’architettura dei primi santuari rupestri (II secolo a.C.) a
Barabar, nel Bihar, a causa, forse, della deperibilità dei materiali usati o della estrema
semplicità degli edifici.
Rifacendosi agli antichi culti (gli Yaksha adoravano divinità silvane), il Buddismo consacrò
come luoghi di adorazione alcuni alberi, ed in particolare la Ficus religiosa, perché proprio
sotto questo albero Buddha aveva raggiunto l’”illuminazione”.
Contemporaneamente a questi primi e semplici luoghi di culto, talvolta circondati da semplici
palizzate per favorirne le circumambulazione, si cominciarono a venerare gli Stupa, antichi
tumuli funerari, recuperati dapprima per custodire le ceneri del Buddha, considerati poi
simboli cosmici.
Secondo quanto era stato imposto dal Buddha, i primi monaci, onde evitare qualsiasi forma
di attaccamento, non vivevano in un luogo fisso. Durante le stagioni fredde, essi venivano
però accolti nelle case dei fedeli; le loro donazioni permisero in breve tempo di costruire
monasteri e di alzare, in seguito, una struttura absidata che inglobava lo Stupa, al quale, dal
II secolo, si aggiunse la statua del Buddha.
Queste costruzioni, inizialmente di legno o di altro materiale deperibile, come si usava per gli
ashrama indù (luoghi dove si raccoglievano gli asceti, formati da capanne di legno, intorno
ad uno spazio dedicato alla preghiera), vennero poi realizzate in parte ancora in legno, in
parte in pietra.
I rilievi delle facciate di alcuni monasteri ci presentano, in miniatura, le antiche facciate.
Rilievo riproducente la struttura dello Stupa (ora scomparso). II sec.a.C/Vsec.d.C.
Amaravati. Bangladesh.
E’ difficile per un occidentale l’approccio con l’Architettura indiana, così ricca di forme,
sculture, ornamenti. Ci si chiede da dove nasca e quali siano le leggi che regolano tutto ciò.
La risposta, apparentemente facile, è stupefacente: tutto parte dall’incontro delle forme più
semplici: il quadrato ed il triangolo equilatero correlati al cerchio. La combinazione di
quadrati uguali genera una griglia che sta all’origine di quasi tutti i templi indù. (Fig. 1)
Fig. 1
E’ possibile che da una premessa così semplice abbia potuto trarre origine tanta
complessità?
In Architettura l’uso del quadrato come unità di base e del triangolo come principio che
governa il tracciato (nel nostro caso il progetto) aveva un significato religioso: si
pensava che ogni quadrato fosse l’abitazione di una divinità; il posizionamento del quadrato
all’interno dello schema di base era determinato dall’importanza della divinità.
Per l’architetto indiano, che pensava solo al significato religioso della griglia che usava, il
quadrato al centro di ogni edificio era il seggio di Brahman.
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Il tempio indiano deve essere interpretato come un modello del cosmo.
La struttura del tempio aveva origine divina e non poteva quindi essere modificata con il
passare del tempo: le antiche forme venivano ripetute, cambiava solo il materiale con il
quale gli edifici erano costruiti: Il quadrato era una forma di base, mistica ed assoluta, che
non poteva subire modifiche nel corso della costruzione; poteva però venire abbellita con
una ricca decorazione (la scultura).
Nei tempi vedici l’Architettura era considerata una ramificazione della scienza occulta e
veniva, come tale, tramandata da padre a figlio. Durante il Medio Evo leggi e regole della
proporzione erano diventate così numerose, il rituale era diventato così complesso che fu
impossibile ricordare tutto a memoria e divenne quindi necessario affidare il pensiero a testi
scritti. Ancora ai giorni nostri sono venerati in alcuni templi durante le cerimonie religiose
testi dell’epoca, manoscritti su foglie di palma seccata.
Il primo tentativo di analizzare il tempio hindù con l’aiuto di manoscritti fu fatto da Stella
Kramrisch, nel 1920.
Si legge in un antico testo indiano: “Molto tempo fa esisteva qualcosa non definito per nome
né conosciuto nella sua forma. Racchiudeva in sé cielo e terra. Quando gli dei lo videro, lo
afferrarono e lo schiacciarono al suolo. Nell’atto di schiacciarlo gli dei vi si immersero.
Brahma (il dio supremo) vi collocò gli dei e lo chiamò vastu-parusha (mandala).
Con l’aiuto degli dei “collocati” nel mandala Brahma dà forma e vita a questo oggetto” (è la
creazione… l’universo).
“L’universo era informe. Brahma, con l’aiuto degli altri dei impone la forma che viene
sintetizzata nel mandala”.
Per comprendere le forme geometriche del mandala si può fare riferimento ai riti sacrificali
vedici:
L’altare rotondo simboleggia il mondo terrestre; quello quadrato il mondo celeste:
La forma circolare è simbolo del movimento, del ciclico volgere del tempo. Quella quadrata
non può muoversi da sola: è una forma definita ed inequivocabile (certa). Come forma
perfetta è usata dagli Indù per indicare l’Assoluto.
Se si considera la Terra secondo la sua forma esterna, essa viene “dipinta” come un
cerchio; se la si guarda come manifestazione del supremo principio, Brahman, è presentata
come un quadrato, definito dai punti cardinali.
Vastu-purusha mandala è la forma assunta dall’universo dopo che è stato ridotto all’ordine.
L’universo è quindi presentato sotto forma di quadrato. E’ un’immagine delle leggi che
governano il cosmo, leggi alle quali l’uomo è soggetto come lo è la terra sulla quale l’uomo
costruisce.
Come costruttore l’uomo organizza l’ambiente così come Brahma costruisce l’indefinito
purusha in forme geometriche.
Secondo lo shapati (il prete architetto) costruire è l’atto che porta l’esistenza disordinata
all’ordine naturale. Ciò può avvenire se ogni opera, dalla più importante alla più modesta,
viene costruita seguendo il magico diagramma del mandala, il mistico tracciato che
guida la costruzione sacra, il tracciato simbolico ed iniziatico che riflette
l’ordinamento della psiche e quello del cosmo.
Dal punto centrale del mandala scaturisce la croce. Il punto centrale allude:
- al Principio Primo, quale origine del Tempo e dello Spazio,
- all’Assoluto, fonte del Tutto (e in ambito buddista simboleggia il Tutto)
Il punto è il simbolo dell’Essere da cui Tutto irradia ed a cui Tutto torna, il luogo sacro per
eccellenza.
Il mandala è un’immagine della Terra, un quadrato derivato dal cerchio, ed è anche il corpo
sacrificato del primo Essere, Purusha. Purusha è la personificazione del cosmo, l’uomo
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primordiale, originario, che, secondo la leggenda, si manifesta nei sacrifici come il mondo
fenomenico: gli dei, il sole, la luna, il fuoco, l’aria, la terra. (fig.2)
Fig. 2
(Si diceva anticamente che il mandala veniva tenuto segreto perché solo gli esperti erano in
grado di utilizzare la magica forza dei simboli.)
Durante il secondo millennio a.C. si sviluppa in India il culto dei morti e nascono le prime
sepolture, dapprima sotto forma di dolmen, poi di ciste (tombe preistoriche, esterne o
interrate, riservate ai capi ed agli eroi).
Erano formate da quattro lastre di pietra (base, pareti, copertura) sulle quali venivano
ammucchiate pietre.
Simili a queste sepolture erano gli stupa che Budda aveva comandato ai suoi discepoli di
costruire per i loro morti.
Il TEMPIO
Il tempio indù trae origine:
- dal dolmen: è il tempio nella sua più semplice struttura. Presenta tetto piatto che
poggia su tre lati in muratura, il quarto è aperto
- dalla capanna per l’iniziazione vedica (II millennio a.C.), che conosciamo attraverso
riproduzioni nei primi santuari rupestri
- dal tabernacolo, formato da foglie, canne e vegetazione varia, incurvata e fermata alla
sommità da un legaccio.
Il tempio nasce come residenza stabile della divinità ed è allo stesso tempo “passaggio”,
“varco” verso l’altra dimensione, la dimensione sacra; nasce vicino a qualcosa che può
essere inteso come passaggio: un corso d’acqua, uno stagno, una sorgente: un luogo
“naturale”, dove si trovino acqua ed alberi.
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Quando acqua ed alberi mancano, li si includono nella struttura con espedienti architettonici
o iconografici: il vaso d’acqua è il più comune e lo vediamo spesso concludere la copertura
del tempio.
L’elemento primo, caratteristico, del tempio indù è la “tensione ascensionale”: le varie parti
architettoniche salgono dalla base e si unificano nel punto ideale, situato sopra il “fastigio”, o
vaso ed alludono alla ricomposizione del molteplice nell’Unità Divina.
Il tempio celebra inoltre la manifestazione dell’universo come perfetta armonia e rimanda
con la sua mole al Monte Meru, asse cosmico e mitica sede degli dei; esso è quindi dimora
celeste, luogo di ineffabile gioia e bellezza.
I primi tre modelli dei venti templi descritti nei tempi più antichi sono chiamati MeruMandala, Kailasa, nomi della montagna cosmica, al centro dell’universo.
Al centro dell'oceano cosmico, al tempo della creazione, emerse il Monte Meru, simile a una
piramide con quattro facce, ciascuna formata da pietre preziose, ove risiede il pantheon
buddhista, luogo in cui ai suoi abitanti sono sconosciuti sia la miseria che il dolore. La parte
a est è costituita da cristalli di rocca, la parte a sud di lapislazzuli, quella ovest da rubini, e
infine quella nord è costituita da oro puro. Il Meru è circondata da sette anelli concentrici di
montagne d'oro, intervallati da mari di acqua piovana, racchiusi in un circolo di montagne di
ferro, e all'esterno, nelle quattro direzioni, i quattro continenti
Tale conformazione venne utilizzata per la costruzione delle antiche città sacre dell'Asia
Il tempio, che è una riproduzione della montagna, deve essere una costruzione quasi piena,
una massa solida, in cui si apre la piccola cella-grotta, la “camera dell’embrione”, o “grembo”
, dove il mondo è racchiuso in potenza, nelle tenebre della natura primigenia in procinto di
evolversi nelle forme del manifesto.
L’”inseminazione”, ossia il rito che precede l’inizio della costruzione del tempio, consiste nel
“mettere a dimora” un contenitore riempito con oggetti simbolici, e nel murarlo nel pavimento
a destra della porta.
La Natura era il teatro del Divino, il fiume un fondamentale passaggio verso il sacro.
Nella costruzione del tempio il simbolismo acquatico è fortemente presente.
Lo spazio sacro era delimitato da una recinzione prima di legno, più tardi di pietra.
Gli alberi, che si pensavano abitati da Presenze Sovrannaturali e che erano oggetto di
venerazione, erano cinti da una palizzata alla quale nel tempo furono aggiunti padiglioni e
colonne. Si pensa che proprio questo tipo di costruzione abbia fornito il primo spunto per la
costruzione del tempio.
Nella “camera dell’embrione” l’immagine sacra rappresenta la prima manifestazione
formale del Brahman: l’Assoluto che si fa Presenza.
Il Divino, emergendo dalle oscurità misteriose della camera dell’embrione, si incarna nella
pietra dei muri e appare nelle nicchie cieche (le porte massicce) posizionate sui tre lati della
cella. Le “porte massicce” (ghanadvara) sono in definitiva una irradiazione architettonica che
procede dal centro dell’edificio e che offre al devoto che gira intorno al tempio la visione
degli dei.
Nella collocazione delle immagini degli dei si segue un ordine gerarchico: il centro è
occupato dal dio supremo; la cerchia seguente dalle divinità sussidiarie, quella successiva
dagli uomini, l’ultima, l’esterna, dai demoni.
Il tempio, tangibile irradiazione del Divino in tutte le direzioni dell’universo, non dovrebbe
avere una facciata, ma c’è, ed è in genere rivolta verso Est, verso il Sole che sorge.
Leggi ben codificate determinano il luogo della costruzione, l’orientamento, le dimensioni;
calcoli complessi tendono a riprodurre nella costruzione del tempio l’armonia che regola
l’Universo.
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Complesse e complicate sono tutte le leggi che regolano la progettazione e la costruzione
del tempio, vari i termini con i quali viene indicata la “casa del dio”.
Il complesso sacro costruito con materiale durevole, mattoni o pietra, prende forma tra il IV
ed il VII secolo d.C.
In un primo momento la costruzione è “a secco”, ben presto però si fa uso della malta; poi,
con l’ampliarsi degli edifici, vengono adottate caviglie bronzee, morse in rame, intelaiature in
ferro battuto.
La pietra (arenaria in genere) è considerata il materiale più nobile.
Ogni complesso sacro si articola in tre strutture: la cinta (non sempre presente), il tempio,
gli edifici annessi.
La cinta (che talvolta comprende il bacino per le abluzioni) può essere costituita da un
portico a colonne o da una fila di celle.
Nella cinta si aprono gli ingressi.
Tra il VII e l’VIII secolo si comincia costruire il gopura, una struttura sopraelevata,
progressivo sviluppo dell’architettura sacra indù. E’ un basamento sul quale sorge la cella a
tetto piatto, preceduta da portico colonnato.
Il tempio si ispira alla struttura della casa, colloca però sul tetto una riproduzione della cella
racchiusa all’interno.
Tempio absidato,luogo di culto buddhista, più colonnato che funge da deambulatorio (Fig.3)
Fig. 3
Tempio a croce: simboleggia l’espansione del Divino. Aggiunta di quattro portici alla cella.
Il progetto del Tempio
La costruzione del tempio è, come abbiamo visto, preceduta dalla purificazione.
Le dimensioni del vastu- purusha mandala non dipendono dall’architetto, ma da precise
regole proporzionali che non sono solo dettate da problemi estetici, ma che devono essere
in armonia con il tempo e l’ambiente in cui l’edificio deve sorgere, e con la casta di
appartenenza del committente.
Le proporzioni tra lunghezza, larghezza, altezza sono indicate da regole piuttosto difficili, che
si trovano nei manoscritti.
Le caratteristiche del tempio devono corrispondere a requisiti magici:
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caratteristica del Brahman è la perfezione; l’essenza del mondo dei fenomeni
(fenomeno è tutto ciò che può essere osservato e studiato attraverso una
conoscenza diretta) è l’imperfezione.
- Brahman, l’Inconoscibile centro dell’Essere, non può essere rappresentato nel
mandala, perché non ha attributi.
- il regno degli dei non può essere immaginato dall’uomo, che, quindi, non può
riprodurlo.
- l’uomo può rappresentare solo ciò che ha conosciuto tramite la sua personale
esperienza, quindi solo entro i limiti del mondo terreno.
- l’uomo può però esprimere il potere di Brahma, in tutto il suo splendore, riproducendo
lo splendore della realtà oggettiva.
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La conversione all’Induismo da parte della classe dirigente dell’India del Sud avvenne a
metà del primo millennio dopo Cristo. I primi documenti dell’Architettura del Periodo Pallava
e Chola sono le “Carriole” del VII secolo d.C. Una di queste, la Dharma- raja ratha, con la
sua base quadrata divenne il modello dello Stile Dravida nel Sud dell’India.
Le carrozze celesti, anticipatrici dei templi di pietra dell’India del Sud, venivano scavate
nella roccia di granito. Non venivano svuotate all’interno perché non si pensava che qui si
tenessero cerimonie e, principalmente, perché l’architetto cercava, prima di tutto, di
realizzare la miglior forma esterna possibile.
Bhima –ratha aveva un tetto a botte. (Fig 4).
Fig. 4
Il tempio in miniatura sul tetto di un ratha riproduce un altare di legno portatile.
Darma raja –ratha. Tempio quadrato con soffitto a forma di piramide. Fu scelto come
modello di rutti i templi prodotti in seguito, nello stile dravida.
Una cupola che poggia su un ottagono incorona il Dharmarajo –ratha
Non esisteva presso l’antica società Hindu un qualsiasi tipo di servizio religioso che
presupponesse l’intervento della collettività dei fedeli. Ogni singolo individuo poteva
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personalmente pervenire alla conoscenza dell’Essere Supremo ed identificarsi in Lui
osservando le regole che riguardavano se stesso ed il suo gruppo. Il rito religioso veniva
quindi celebrato davanti al piccolo altare presente il ogni casa.
La stessa cosa avveniva nei monasteri, dove si riunivano persone legate dallo stesso credo
religioso: il momento della meditazione era personale; si meditava in solitudine.
Solo a partire dal VII secolo a.C. nella costruzione del tempio si svilupparono due tendenze,
due scuole (che sono arrivate fino ai giorni nostri):
- nel Nord dell’India i templi furono costruiti secondo uno stile Indo-Ariano, lo stile Nagara
- nel Sud si costruì secondo lo stile Dravida.
Primo stile dravida
Il paesaggio in varie zone nel Sud dell’India si presenta sotto forma di enormi macigni
arrotondati, ammassati a formare colline coperte da ciottoli e ghiaia.
Alcuni di questi massi, che sembrano quasi essere stati impilati uno sull’altro da qualche
essere misterioso, si alzano su una base rocciosa e diventano progressivamente più piccoli
a mano a mano che crescono in altezza.
I primi abitanti della zona credevano che la vetta di queste architetture geologiche fosse
abitata dagli dei e, se lo spazio lo consentiva, vi si costruirono piccoli templi.
La culla dell’Architettura in pietra si trova nella produzione dei primi templi dell’Arte dei
Chalukya (525-888). E’ un’Architettura di grande splendore già nelle sue prime apparizioni,
come ben si può vedere nel gruppo dei Templi di Badami, costruiti a livello di un bacino,
gruppo che comprende santuari, Nandi –mandapa, oratori. (Fig. 5)
Fig. 5
Dalle città di Aiole e Pattadakal nell’India Meridionale, l’Arte Chalukya diffonde l’originalità
delle sue creazioni anche nelle lontane regioni settentrionali.
Ad Aiole abbiamo già visto alcuni santuari rozzi e bassi, ricoperti da lastre pesanti, risalenti
all’inizio o alla prima metà del secolo VIII, la città è però particolarmente importante per
due templi, quello di Ladh Khan e quello di Durga.
Il primo (fine del VII secolo) (Fig 6) che deve il suo nome a un eremita musulmano, fu
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Fig. 6
costruito alla fine del VII secolo ed ha:
- pianta quadrata, doppio corridoio perimetrale concentrico in cui è contenuta la statua
del Toro Nandi (simbolo di Siva)
- minuscola cella a struttura quadrilatera sostenuta da sedici pilastri, illuminata da
aperture a clausura
- cella preceduta da vestibolo e quattro pilastri centrali.
La pesante copertura in lastre di pietra, con leggera inclinazione per favorire il defluire
dell’acqua, sembra la prima soluzione di copertura di pietra di un tempio, dopo quella
primitiva in paglia su carpenteria. Il peso della copertura in pietra è sostenuto da pilastri
quadrati e tozzi, dotati di capitelli formati da quattro mensole a croce (beccatelli)
Questa pesante copertura scompare dall’architettura indù, quando il tempio presenta
terrazze sovrapposte.
Il Tempio di Durga ad Aiole (675/725. Dedicato a Visnu). (Fig. 7)
Fig. 7
Richiama un po’ il tempio buddista. Presenta all’esterno un portico con copertura sostenuta
da robusti pilastri quadrati, con complesso absidale e galleria, la cui parte arrotondata
permette la deambulazione.
Elegante è la decorazione scultorea.
La pianta a abside arrotondata e portico esterno ci mostra la struttura: vestibolo e entrata,
sala ipostila a otto pilastri che precede la cella sormontata da uno shikara.
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Nella decorazione statuaria di questi edifici già compaiono sculture che presentano un
carattere comune a tutta la statuaria futura: la ancheggiatura forzata.
Questo atteggiamento compare nell’Arte greca del V e IV secolo a.C., come è testimoniato
da un bronzo di Lisippo.
- Nell’Arte greca nasce dal desiderio di esprimere il movimento ed è accompagnato dallo
spostamento di una gamba in avanti.
- Nell’Arte ellenistica il movimento si accentua.
- In India questo atteggiamento compare in seguito alle conquiste di Alessandro Magno in
Oriente.
Santuari di Pattadakal.
La città di Pattadakal (città dei Rubini dell’Incoronazione) conserva un complesso di templi
che risalgono all’VIII secolo, edificati quando Chalukya e Pallava interruppero le loro guerre
di predominio nel territorio dell’India Meridionale.
L’Arte del periodo è il risultato di una certa mescolanza di Arte tra Nord e Sud, tra stile
dravidico e nagara. Sono documenti dell’epoca due santuari, fatti costruire verso il 745 da
due sorelle, spose del re Vikramaditya I, per commemorare la vittoria del re in guerra.
Sono i templi di Virupaksha e Mallikarajuna.
La prima immagine presenta una panoramica del sito di Pattadakal (in primo piano, a
destra, il tempio di Mallikarajuna e dietro la Torre di Virupaksha), (Fig.8)
Fig. 8
Tutte le superfici delle facciate del Mallikarajuna sono adorne di divinità in rilievo. Le
coperture sono ornate con il tema degli edifici in miniatura.
I rilievi che ornano i pilastri del tempio riproducono scene del Ramayana e del Mahabharata.
Il Tempio di Virupaksha, arrivato a noi pressoché intatto, presenta il suo sacrario circondato
da uno stretto passaggio perimetrale che si affaccia su una sala ipostila a cinque campate di
quattro pilastri. Davanti alla cella due fusti formano il vestibolo.
Davanti al portale assiale, al centro di un cortile si trova un mandapa destinato al Toro
Nandi.
L’edificio è circondato da una muraglia.
Badami, un tempo chiamata Vatapi, è incastonata in una cornice splendida, sulla
riva di un lago circoscritto da una gradinata medievale e circondato da pittoresche rocce
color rosso-ocra; la città offre un'intera gamma di edifici di grande interesse, che vanno dal
VII all'XI secolo. Il sito è celebre anche per una serie di grotte scavate a partire dalla
seconda metà del VII secolo, precedute da gallerie. (Oratorio di Visnu)
I diversi templi disposti sulle rive del lago artificiale creato da una antica diga, formano un
complesso pregevole, che si inserisce felicemente nel paesaggio naturale.
Fino al IX secolo e durante tutta la dinastia Chalukya (973/1190) la struttura del tempio si
ispirò alle sale comunali. Cella e vestibolo erano all’inizio una cosa sola, ma presto in tutta
l’India si preferì che la cella fosse divisa da tutto il resto dell’edificio.
Durante la dinastia Pallava (566/894) si cominciò (nel VII secolo) all’estremo Sud del
continente, ad arricchire i templi con colonne di pietra.
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Quando Narasimhavarman scelse come capitale Mahaballipuram e vide i grandi scogli di
granito pensò che fosse una perdita di tempo oltre che un eccessivo impegno trasportare
blocchi di pietra tagliati per costruire i templi. Scelse allora i migliori scogli di granito ed invitò
i suoi Architetti a studiare il miglior modo possibile per ricavarne la cella. Essi portarono i loro
modelli e li adattarono alla conformazione delle rocce sulle quali avrebbero lavorato.
Questi templi modello non furono mai portati a termine; non si sa nemmeno se furono
consacrati, ma Mahaballipuram dettò la forma che avrebbero assunto nei secoli successivi i
templi del Sud dell’India.
Mahaballipuram Tempio sulla spiaggia. VII/VIII secolo d.C. (Fig. 9)
Fig. 9
Tempio di pietra di stile dravida classico, costruito metà sulla spiaggia, metà sul mare, del
tipo usato per le cerimonie durante le quali l’acqua aveva particolare importanza.
Rajasimba (690/715) fu il primo sovrano che, in periodo di pace, riuscì a realizzare i vari
esperimenti che erano stati fatti nella costruzione dei templi monolitici. Per costruire i suoi
templi a Kanchipuram e nel porto di Mahaballipuram prese a modello il Dharmaraja.
La facciata di quest’ultimo sul lato est (secondo quindi il dettato che vuole che il tempio
guardi verso il sole che sorge) è orientata verso il mare e segna ai naviganti il luogo
dell’approdo.
Nella cella si trova il linga di Shiva.
Secondo la consuetudine ogni tempio dovrebbe avere la facciata volta verso la città. Il
problema della direzione è in questo caso risolto perché sullo shikara un piccolo tempio con
l’immagine di Shiva nella sua cella guarda verso ovest (quindi verso la città).
Caratteristica del tempio sono i condotti che portano acqua fresca verso il tempio, acqua
che, quando in eccesso, poteva essere deviata verso il mare.
In questo, come in tutti i templi sulla spiaggia, lo shikara è molto alto, sia, probabilmente, per
motivi rituali, sia perché lo si voleva rendere visibile ai naviganti (un faro, insomma).
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Tempio di Kailasanatha (architettura dravidica) a Kanchipuram, una delle città sante
dell’Induismo, capitale della dinastia dei Pallava. (Fig. 10)
Fig. 10
Il tempio è simbolo del Monte Kailasa, che, assieme al Meru, è considerato dimora degli dei.
E’ ben conservato. Presenta:
- una possente torre piramidale (affiancata sui quattro lati da cappelle) degradante
verso l’alto in tre piani arretrati, ornati da edifici in miniatura.
Sotto lo shikara si trova la cella che contiene il linga del dio. La cella è preceduta da due
mandapa ipostili (sala dell’udienza e delle danze).
La sala delle danze è ornata da sculture che rappresentano leoni e divinità. Intorno al tempio
corre un cortile per la deambulazione, fiancheggiato da cappelle.
Le colonne delle cappelle hanno come basi leoni seduti (stile pallava).
L’importanza del tempio consiste nel fatto che esso rappresenta al meglio il tempio sivaita
all’inizio della sua storia.
India Centrale
Elephanta e Ellora: la grotta e la montagna, dimore di Shiva.
Il mondo indiano ha sempre venerato la grotta e la montagna perché la prima ci riporta al
grembo della Terra Madre, la montagna perché con la sua cima raggiunge il cielo.
La montagna è importante non solo nella mitologia shivaita, ma anche nella coscienza
religiosa indiana: è simbolo del percorso che conduce alla conoscenza di sé; è simbolo del
pellegrinaggio che si compie per giungere al sacro, del pellegrinaggio che ognuno compie
idealmente scendendo nel profondo del proprio essere per incontrare il Divino nella
profondità del cuore.
Shiva, una delle più importanti manifestazioni del Divino nella tradizione indù, è il Signore
della Montagna e a lui sono dedicati due splendidi templi, quello di Elephanta (tra il VI e l’VIII
secolo) e quello di Ellora (VIII secolo), che si trovano nello Stato di Maharashtra e che
riproducono appunto la grotta e la montagna sacra.
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Il Santuario Rupestre di Elephanta. (Fig. 11)
Fig. 11
Situato su un’isoletta di fronte a Bombay, deve il suo nome ai Portoghesi, che vi trovarono
un enorme elefante in pietra. La zona è ricca di grotte; la più importante, dedicata a Shiva, è
uno dei più suggestivi luoghi in India.
La grotta fu scavata nel VI secolo. E’ un mandapa (sala ipostila) a pianta cruciforme,
sostenuto da possenti colonne dai fusti scanalati, che poggia su un alto basamento
quadrato.
Entrando da Est, si incontra
A- una corte che presenta al centro un basamento circolare che doveva forse ospitare il
toro Nandi.
B- Sulla sinistra c’è un piccolo tempio con due celle laterali ed una centrale, circondata
da un deambulatorio.
C- Superato il portico d’accesso, si arriva alla sala ipostila, che conduce alla cella,
struttura cubica aperta ai quattro lati.
Portico orientale ed ingresso alla Grotta-Tempio
In asse con l’ingresso orientale della grotta di Ellora, si trova la cella, cubica, aperta ai
quattro lati, sorvegliata da otto colossi: i guardiani della Porta.
Il linga, collocato al centro della cella, visibile da quattro lati, rappresenta il centro
dell’universo, l’asse intorno al quale ruota il mondo.
Nella parete opposta all’ingresso del tempio si trova una delle più notevoli sculture indiane:
Shiva tricefalo.
Shiva è un’antichissima divinità autoctona dell’India, già citata dai veggenti autori degli inni
del Ragveda, composto nel 1500 a.C., primo testo sacro della civiltà indù.
Era il Signore del tuono e della saetta, abitava nella foresta e nelle grotte delle montagne.
Dal suo regno scagliava malattie su armenti e su esseri umani, dei quali era peraltro il
protettore e guaritore. Era dispensatore della pioggia, che può portare fertilità o morte.
I saggi vedici lo chiamarono “Shiva” (Fausto) per placarlo.
Durante il periodo vedico Shiva divenne il terzo componente della Trimurti, la Triplice Forma.
Shiva, dio della castità, quando è rappresentato con la sposa, Parvati, è simbolo dell’eros.
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La statua di Shiva Tricefalo è un monolite alto m.5,70, che rappresenta nell’impassibile volto
centrale l’Assoluto, che ingloba e trascende gli opposti, simboleggiati dalle due facce laterali:
quella posta dietro la spalla sinistra , viso pieno e femmineo, rappresenta l’energia dinamica
e centrifuga della manifestazione dell’universo; quello dietro la spalla destra è un volto
terribile, che rappresenta la dissoluzione del cosmo.
I volti laterali sembrano leggermente “sfumare” nel fondo, quasi fossero una
rappresentazione illusoria del divenire, quello centrale, invece, imperturbabile ed ineffabile, è
simbolo dell’eterno.
Ellora (Fig.12) si trova nello Stato del Maharashtra, a circa 100 chilometri da Bombay.
Fig. 12
Nel 752 divenne capitale del regno, quando era re Dantgurga, che diede probabilmente
inizio agli scavi del Kailasanatha, grande capolavoro dell’Architettura rupestre, completato
da Krishna I (757/783); il suo nome indica la volontà di rappresentare il paradiso del dio
Shiva, ubicato sul picco del mitico monte Meru.
Il Kailasanatha, (Fig. 13) in stile Dravida, è il più grande santuario in stile monolitico in
India.
A differenza degli altri santuari, questo è orientato verso ovest. Nell’immagine vediamo il lato
est.
Sul tetto del vestibolo vediamo la forma geometrica del cerchio, simbolo della Terra nel suo
aspetto materiale, invece del solito quadrato, immagine della sfera celeste.
Sulle pareti sono presentate in rilievo scene dei poemi epici Ramayana e Mahabharata.
Per realizzare questa costruzione, la più grande del suo genere, sono state asportate
centinaia di migliaia di metri cubi di roccia, partendo dalla sommità della collina e scendendo
verso il basso.
Il Kailasanatha è dunque opera di architettura scolpita sottraendo materiale: l’architettosacerdote libera dalla materia amorfa in Divino in essa contenuto.
Si sviluppa su due piani ed è composto da edifici collegati da ponti.
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Fig. 13
Struttura:
- Portico d’ingresso (su due piani)
- Corte sorvegliata da due elefanti monolitici, a grandezza quasi naturale
- Padiglione ai cui lati si trovano i pilastri che reggevano lo stendardo del tempio.
A sinistra dell’ingresso si trova una cella a due pilastri che conserva le immagini dei due
fiumi più importanti. Le innumerevoli statue che ornano il tempio servivano all’educazione
religiosa dei fedeli che durante i riti giravano loro intorno, prima di entrare nel santuario.
Sedici pilastri, raggruppati in blocchi di quattro, conducono al linga nella cella.
Il linga, emblema fallico, ha significato ben più complesso: la sua forma deriva dai menhir: è
la forma visibile dell’Axis mundi, intorno al quale ruota l’universo; il suo significato assiale lo
accomuna al Monte Meru, mitico centro del cosmo. E’ quindi fonte del Tutto, dell’Assoluto da
cui emanano tutte le cose ed a cui tutto torna.
Nei templi indù sopra il linga si trova un recipiente che stilla acqua: la vita ha avuto origine
dalle acque cosmiche.
La base circolare in cui si innesta il linga è lo yoni, simbolo genitale femminile. Il lingayoni
corrisponde alla coppia Shiva-Parvati e simboleggia l’origine dell’essere, che nasce
dall’unione del principio acquatico, umido, femminile, la Dea, ed il principio caldo, ligneo,
maschile, il Dio.
Grotte di Ellora
A destra del Kailasanatha si trovano dodici grotte buddiste.
La n.10 è l’unico luogo di culto nel complesso.
Grotta n.2. Monastero. (Per i laici offrire aiuti ai gruppi monastici per costruire i loro siti nella
roccia rappresentava un mezzo per accumulare meriti spirituali). (Fig. 14)
Buddha seduto all’occidentale (influenza probabile di gruppi stranieri in India)
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Fig.14
All’interno: sala absidata a due piani e a tre navate; la centrale, doppia delle laterali,
presenta soffitto a botte e a costoloni impostati su capitelli antropomorfi. (Fig. 15)
Fig. 15
Allo stupa dell’abside si appoggia il trono di Buddha discente, seduto all’europea.
Grotta 32, detta Indra Sabha, a due piani. Ai lati del portico superiore vegliano due divinità
arboree.
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