Oliviero Rossi IR

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Oliviero Rossi IR
Capitolo 4 SPETTROSCOPIA IR La spettroscopia vibrazionale o anche spettroscopia infrarossa (IR) dà informazioni dirette sui gruppi funzionali presenti in una molecola tramite il loro caratteristico spettro di assorbimento. Quindi rappresenta un’utile tecnica complementare ad altre metodiche di analisi. Le diverse tecniche spettroscopiche contribuiscono ognuna alla conoscenza del “sistema” analizzato, fornendo informazioni complementari tra loro. La spettroscopia NMR (risonanza magnetica nucleare) indica come sono legate le varie porzioni della molecola; infatti l’analisi di uno spettro NMR di un alcano ramificato ne definisce la struttura. Gli spettri rotazionali che non sono correlabili alla struttura del composto danno però indicazioni sui parametri molecolari. La spettroscopia UV (ultravioletto) evidenzia la presenza nella molecola di doppi legami coniugati, gruppi carbonilici α, β insaturi, strutture cioè con orbitali molecolari che coinvolgono più atomi e con bassa differenza di energia tra l’HOMO e il LUMO. La spettrometria di massa permette di stabilire con errori minori dei millesimi di uma, il peso molecolare e la formula molecolare del composto inoltre dall’analisi dei frammenti molecolari riesce ad identificare la molecola. 4.1 Spettroscopia IR Questa tecnica spettroscopica dà informazioni sui gruppi funzionali presenti nella molecola. Come faccia non è affatto semplice, tanto è vero che ci sono 28 sostanzialmente due modi di vedere la spettroscopia IR: uno teorico, complesso, che presuppone la conoscenza della teoria dei gruppi, ed uno pratico, quotidiano, piuttosto banale, che consiste nella lettura “cieca” dello spettro IR. Analizzare infatti gli spettri IR dal punto di vista chimico‐fisico risulta complesso, però, se si prescinde dall’origine dei segnali stessi e ci si limita a considerare il fatto che i vari gruppi funzionali assorbono a frequenze ben precise, possiamo dedurre che se nello spettro del composto in esame è presente un segnale ad una determinata frequenza allora nella molecola è presente quel gruppo funzionale. Questa considerazione è solo un’approssimazione, non vale in assoluto, vi sono delle eccezioni; essendo però queste piuttosto rare, possiamo assumere la regola che ad ogni gruppo funzionale corrisponde una frequenza di assorbimento. Dai dati tabulati e dallo spettro si stabilisce quindi in genere quali gruppi funzionali sono presenti nella molecola in studio. In realtà nello spettro IR sono presenti due “tipi” di segnali comunemente chiamati “picchi”: quelli legati alla presenza di particolari gruppi funzionali e quelli considerati di finger‐print. Questi ultimi sono segnali propri, tipici e caratteristici della molecola in questione, ma non utilizzabili analiticamente. Questi segnali di finger‐print fanno sì che non sia possibile che molecole diverse abbiamo lo stesso spettro IR. I picchi caratteristici di gruppi funzionali cadono invece (sempre) alle stesse frequenze, a prescindere dalla struttura della molecola in cui il gruppo stesso è presente. Spesso è difficile dire quali siano le frequenze di gruppi funzionali e quali quelle di finger‐print; si deve tener presente che, se un certo gruppo funzionale dà luogo a più bande caratteristiche, queste, affinché il gruppo sia nella molecola, devono essere tutte presenti nello spettro. Ci sono zone dello spettro nelle quali cadono sia i segnali di 29 finger‐print che quelli di gruppi funzionali: allora avere la certezza di una cosa o l’altra risulta difficile. Ci sono inoltre gruppi che cadono sempre alla stessa frequenza, qualunque sia l’intorno molecolare, altri che invece possono cadere all’interno di un certo intervallo: in questo caso la frequenza varia (di poco) a seconda della molecola. Nel primo caso l’identificazione è più facile, nel secondo può risultare più complessa. L’analisi dello spettro IR si fa in modo seriale, ovvero prima si osserva se sono presenti nello spettro le bande tipiche dei gruppi funzionali e con informazioni provenienti dalle altre tecniche spettroscopiche si cerca di individuare la molecola, poi si confrontano i segnali di finger‐print della molecola ipotizzata con quelli registrati nello spettro; tale corrispondenza stabilisce la correttezza dell’analisi fatta. Questa procedura può essere automatizzata, usando un programma di calcolo che confronti lo spettro IR ottenuto con quelli memorizzati in un data‐base, ma il riconoscimento dei pattern per via informatica è molto costoso. In modo del tutto generale si può dire che la radiazione IR è la radiazione che cade tra il visibile e la regione delle microonde. Di grande interesse pratico è la zona tra 4.000 e 400 cm‐1. La radiazione IR tra 10.000 e 100 cm‐1 è assorbita e convertita dalla molecola organica in energia di moto vibrazionale. Questo assorbimento è quantizzato, ma gli spettri vibrazionali appaiono come bande piuttosto che come linee e ciò è dovuto al fatto che il cambiamento nell’energia vibrazionale è accompagnato da variazioni nello stato rotazionale. Le bande sono quindi in realtà bande rotovibrazionali. 30 4.1.1 Interpretazione degli spettri Ci sono due importanti aree per l’esame preliminare di uno spettro IR: la regione tra 4.000 e 1.300 cm‐1 e quella tra 900 e 400 cm‐1. La porzione ad alta frequenza è chiamata regione dei gruppi funzionali. L’assenza di assorbimento nei range assegnati ai vari gruppi funzionali può essere usata come evidenza per l’assenza di tali gruppi nella molecola. La porzione intermedia dello spettro (1.300‐
900 cm‐1 ) è generalmente indicata come la regione di finger‐print. Il pattern di assorbimento in questa regione è frequentemente complesso; le bande qui presenti si originano dall’interazione tra i modi di vibrazione. Questa porzione dello spettro è molto importante quando esaminata in riferimento alla regione dei gruppi funzionali. Per esempio, se è presente un OH la posizione della banda C—C—
O nella regione 1.260‐1.000 cm‐1 rende frequentemente possibile assegnare l’assorbimento ad alcoli o fenoli con alta specificità strutturale. L’assorbimento nella regione 1.300‐900 cm‐1 è probabilmente unico per ogni molecola. Ogni conclusione raggiunta dopo l’esame di una particolare banda deve essere confermata, se possibile, dall’esame di altre porzioni dello spettro. Ad esempio, se si ritiene che il C=O sia quello di un’aldeide si deve controllare la presenza delle bande –C—H aldeidiche tra 2.695 e 2.900 cm‐1 . 4.1.2 Molecole biatomiche In una molecola biatomica i due atomi sono tenuti ad certa una distanza da una serie di forze attrattive e repulsive. La distanza di equilibrio è tale da bilanciare perfettamente le forze in gioco. Se si tenta di comprimere il legame crescono le forze repulsive e aumenta l’energia potenziale della molecola; allo stesso modo le 31 forze attrattive impediscono di allontanare i due atomi. In entrambi i casi l’energia della molecola aumenterebbe seguendo la legge illustrata in figura 4.1. Il minimo di energia, cioè la situazione di maggiore stabilità, si trova in corrispondenza della distanza di equilibrio re[4]. E
De
re
r
Figura 4.1: curva dell’energia potenziale (rosso) di una molecola biatomica in funzione della distanza internucleare. La curva in nero rappresenta una parabola. In prossimità di re l’energia segue un andamento parabolico; quindi per piccoli spostamenti degli atomi si può approssimare l’energia potenziale della molecola a una parabola: E = ½ k(r - re)2
Questa equazione descrive anche l’energia potenziale di un sistema macroscopico costituito da due masse tenute insieme da una molla. Il comportamento della molecola biatomica si può quindi approssimare a quello dell’oscillatore armonico. 32 La legge di Hooke stabilisce che la forza di richiamo f, che determina la compressione e l’estensione dell’oscillatore, è proporzionale alla costante di forza k della molla e all’allontanamento dalla posizione di equilibrio: f = - k(r-re)
Nella figura 4.2 La massa m1 è ferma sull’asse delle ordinate (r = 0) mentre la seconda massa oscilla tra le due posizioni m2 e m‫׳‬2. Lo zero della curva si ha in corrispondenza di r=re e l’energia in eccesso deriva dall’allungamento o dall’accorciamento della molla. Per oscillazioni di ampiezza modesta l’energia dell’oscillatore è poco diversa da zero; quando l’oscillazione è più ampia l’energia potenziale aumenta. La frequenza dell’oscillazione tuttavia rimane costante per qualsiasi ampiezza del moto vibrazionale dato che essa dipende solo dalla costante di forza k e dalla massa ridotta (µ=m1m2/m1+m2) del sistema. La frequenza vibrazionale è tanto maggiore quanto più leggeri sono gli atomi e quanto più forte è il legame che li unisce. m1
E1
E2
m1
m’2
m2
m2
m’2
Figura 4.2: energia potenziale dell’oscillatore armonico. 33 L’analogia tra una molecola biatomica vibrante e un oscillatore armonico ha un limite. L’oscillatore, infatti, può descrivere vibrazioni di ampiezza qualsiasi, in una molecola invece sono permesse solo vibrazioni di ampiezza ben definita in quanto l’energia vibrazionale molecolare non può variare in modo continuo ma solo per quantità discrete. I valori di energia permessi si possono ottenere dall’equazione di Schrödinger appropriata che per un oscillatore armonico è Eν =(ν+½)hωosc
dove ν è il numero quantico principale che può assumere qualsiasi valore intero positivo a partire da zero, h è la costante di Planck e ωosc è la frequenza di oscillazione. La molecola possiede livelli di energia equispaziati e separati l’uno dall’altro di una quantità di energia pari alla frequenza vibrazionale (figura 4.3). Qualsiasi molecola non può mai possedere energia vibrazionale nulla: gli atomi non sono mai fermi uno rispetto all’altro, ma descrivono continuamente piccole oscillazioni attorno alle posizioni di equilibrio. L’energia che la molecola possiede nel livello vibrazionale più basso è detta energia di punto zero. Questa dipende solo dalla frequenza di vibrazione classica e dunque dalla forza del legame chimico e dalle masse atomiche. Il livello più basso non coincide con lo zero di energia potenziale. 34 E
13/2 ϖosc
ν=6
ν=5
ν=4
ν=3
ν=2
ν=1
ν=0
7/2 ϖosc
1/2 ϖosc
r
Figura 4.3: livelli di energia vibrazionale per una molecola biatomica che si comporti come un oscillatore armonico. L’interazione con una radiazione elettromagnetica la cui frequenza corrisponda alla separazione tra due livelli, può dare luogo ad assorbimento di energia con la promozione della molecola al livello superiore purché la transizione obbedisca alle due regole di selezione per la spettroscopia vibrazionale. Per la prima regola di selezione le vibrazioni sono attive spettroscopicamente solo se danno luogo a una variazione del momento di dipolo elettrico della molecola. La seconda regola stabilisce che sono permesse solo vibrazioni tra due livelli adiacenti: ∆ν = ± 1 Il modello dell’oscillatore armonico descrive bene il comportamento di una molecola biatomica solo per piccolissime oscillazioni dei due atomi attorno alla distanza di equilibrio. Per vibrazioni di maggiore ampiezza la curva di energia potenziale si scosta da una parabola (figura 4.4). 35 E
r
Figura 4.4: curva di energia potenziale, livelli energetici e transizioni dell’oscillatore anarmonico. Quindi è necessario inserire almeno un termine correttivo alla curva di potenziale. Il modello dell’oscillatore anarmonico considera tale termine correttivo. Si comporta come un oscillatore armonico in cui la frequenza di oscillazione diminuisce all’aumentare dell’ampiezza dell’oscillazione. Un’altra conseguenza dell’introduzione dell’anarmonicità è il fatto che non è rispettata la seconda regola di selezione. Infatti può essere che sia ∆ν = ± 1, ± 2, ± 3… anche se la probabilità della transizione diminuisce all’aumentare del salto energetico. Finora sono state prese in esame molecole biatomiche come entità in cui gli atomi oscillano attorno alle posizioni di equilibrio senza subire altri moti. In realtà una molecola oltre a vibrare ruota contemporaneamente attorno a se stessa. Il moto vibrazionale e quello rotazionale possono influenzarsi se avvengono con velocità paragonabili. Si consideri una molecola il cui legame si allunga e si accorcia alcune volte nell’arco di tempo necessario per effettuare una rotazione; l’allungamento del legame provoca un aumento del momento di inerzia e quindi un rallentamento del moto rotazionale. Ad un aumento di I corrisponde una diminuzione di ω per 36 rispettare la legge di conservazione di momento angolare P=Iω. L’accorciamento del legame, al contrario, provocherà un aumento della velocità angolare. Di conseguenza i moti non sarebbero indipendenti e la descrizione fin qui adottata non sarebbe giusta. In realtà l’indipendenza reciproca dei due tipi di moto è dovuta alla grande differenza di velocità tra rotazioni e vibrazioni. Quindi l’energia di una molecola che vibra e ruota contemporaneamente è data dalla somma delle energie dei due moti prese separatamente: Etot=Evibr+Erot
Una molecola poliatomica può dare luogo a un numero di vibrazioni molto maggiore in confronto a una molecola biatomica. Le vibrazioni di una molecola costituita da n atomi possono essere previste considerando la molecola come un insieme di atomi non connessi rigidamente tra loro, ognuno dei quali può muoversi lungo tre direzioni perpendicolari. Essa avrà in totale 3n gradi di libertà. Di questi 3n gradi di libertà non tutti si riferiscono a vibrazioni. La molecola infatti, oltre a vibrare, è libera di muoversi nello spazio come un insieme. Per definire questo moto bisogna specificare in ogni istante le 3 coordinate del baricentro. La molecola può ruotare intorno a se stessa, la rotazione può essere risolta intorno ai tre assi di inerzia principali. Dunque traslazione e rotazione impegnano 6 gradi di libertà. I rimanenti 3n-6 gradi di libertà devono riferirsi a vibrazioni interne che sono l’unico tipo di moto residuo. Un’eccezione è data dalle molecole lineari le quali non possono ruotare attorno all’asse di legame essendo prive di momento di inerzia lungo questa direzione. Le molecole lineari sono perciò caratterizzate da 2 gradi di libertà rotazionale e quindi da 3n-5 gradi di libertà vibrazionale. 37 Ulteriore differenza tra molecole biatomiche e poliatomiche riguarda il tipo di vibrazione. Nelle prime è solo di allungamento o accorciamento, nelle seconde può coinvolgere anche la deformazione degli angoli di legame. 4.1.3 Moti vibrazionali Consideriamo quali moti di vibrazione possono aversi all’interno di una molecola: essa nel suo complesso può essere considerata come un insieme di masse e molle; le molle non devono solo essere associate ai legami, perché questi non rappresentano le uniche interazioni all’interno di una molecola. Tra i moti vibrazionali possibili ci sono: 1) stretching: sono indicati con ν, sono individuati da due nuclei e consistono nella variazione (ritmica) della distanza internucleare; 2) in‐plane bending: sono indicati con β. Si tratta di moti di deformazione di angoli di legame α, interessano tre nuclei uniti in successione: Lo stretching è un moto su una retta, il bending è un moto su un piano. 3) torsioni: sono indicate da δ. Sono moti che portano alla variazione di un angolo diedro, interessano quattro nuclei legati in successione, si tratta di moti nello spazio. Una torsione è una variazione di φ‫׳‬ 38 4) γ out of plane: sono sempre coinvolti quattro atomi, questi individuano diversamente rispetto al caso precedente uno solo dei quattro nuclei che entra ed esce dal piano, ad esempio Considerando il caso di -CH2- entrambi i legami C-H vibrano: bisogna decidere se i due fenomeni possono o meno essere considerati separatamente. Si introduce il concetto di battimento: avendo due oggetti che vibrano con frequenza propria, questi possono interagire vibrando entrambi con la stessa frequenza che è una combinazione lineare di quelle di partenza, oppure no; in quest’ultimo caso il moto totale può essere descritto come la somma dei due moti indipendenti. Nel primo caso si è in presenza di un battimento. Perché il battimento si verifichi devono essere però soddisfatti due requisiti: I.
le frequenze devono essere simili II.
devono esistere vincoli geometrici che colleghino i due sistemi. Esempi H
C
H
H
C
X Si ha battimento Le frequenze sono simili, c’è un atomo in comune, sono quindi entrambi soddisfatti i requisiti I e II; due stretching non sono quindi indipendenti. Non si ha battimento È soddisfatto il requisito geometrico ma le ν di vibrazione sono molto diverse, quindi gli stretching CH e CX sono indipendenti. 39 H
C
H
C
Non si ha battimento I due stretching CH battono poco perché non è soddisfatto il vincolo geometrico. Non si ha battimento N I due stretching CH e CN sono completamente separati: al muoversi di H, N è praticamente fermo, ciò si verifica perché νCH è molto diversa da νCN. H
C
Possono anche aversi battimenti tra stretching e bending. Affinché ciò si verifichi è necessario che i due nuclei tra i quali si instaura lo stretching siano due dei tre nuclei tra i quali si ha bending; è inoltre necessario che la ν di stretching e quella di bending siano simili. H
C
H H
C
C Si ha battimento tra CH stretching e HCH bending, il requisito geometrico è soddisfatto ma non è soddisfatta la condizione di frequenza. Si ha battimento Lo stretching CC e il bending CCH cadono a ν numericamente vicine, quindi c’è battimento tra lo stretching e il bending. Ci possono essere battimenti tra le γ out of plane; questa situazione si verifica molto spesso negli anelli aromatici. Ad esempio in: γ1 e γ2 battono tra loro, γ3 non batte con gli altri due perché non è B
A
H1
soddisfatto il vincolo geometrico. H3
H2
Nel benzene sei γ out of plane battono tra loro; combinando C
opportunamente le sei ν si possono avere i sei moti “concertati” degli idrogeni sull’anello. 40 X
In i γH non battono con γX perché le ν sono molto diverse. In questo caso sono possibili battimenti tra le cinque γH X
H
In H
H
battono tra loro solo i γH di H in orto. H
Y
4.1.4 Strumentazione IR L’IR è una spettroscopia di assorbimento: viene misurata e registrata la luce assorbita dal campione. Il campione assorbe quindi alcune frequenze della sorgente, la radiazione in uscita dal campione (I) avrà la stessa potenza della radiazione in entrata sul campione (I0) per le frequenze non assorbite, mentre per le altre la potenza in uscita risulterà minore. I dispositivi strumentali IR sono sostanzialmente di due tipi: 1) SPETTROFOTOMETRI A DISPERSIONE (CW‐IR, dove CW sta per onda continua) 2) SPETTROFOTOMETRI A INTERFERENZA (FT‐IR, dove FT sta per Trasformata di Fourier). 4.1.4.1 Spettrofotometri a dispersione (CW‐IR) In modo del tutto generale uno spettrometro CW‐IR è costituito da una sorgente, una locazione per il campione, un monocromatore e un detector. 41 Lavorando su strumenti analogici misurare differenze di segnali non è banale; per superare le difficoltà connesse a questa operazione gli spettrometri IR sono in genere a double‐beam, cioè sul detector incide sia I0 sia I, in questo modo il rivelatore riesce a stabilire se I e I0 sono uguali o diverse. A partire da I e I0 si definisce la grandezza T (trasmittanza) pari a T= I/I0 mentre altro parametro utilizzato è A (assorbanza) A= -log T. Chiaramente T può assumere i valori compresi tra 0 e 100%[5]; è massima allorché non c’è assorbimento; se invece la potenza incidente è stata completamente assorbita allora I=0 quindi risulta T=0. L’assorbanza A varia tra +∞ e 0. Normalmente gli spettri IR presentano sulle ascisse la frequenza e sulle ordinate A o T come osservabile nella figura. Figura 4.5: spettro IR. Questi strumenti quindi lavorano per lo più nella configurazione a doppio raggio dove un dispositivo (chopper) ripartisce la radiazione continua emessa dalla sorgente in due fasci di uguale intensità. Uno dei fasci viene fatto passare attraverso il campione, l'altro serve come riferimento ed attraversa di solito l'aria e, nel caso di 42 soluzioni, una cella contenente il solvente puro. Dopo l'azzeramento ottico, i due fasci sono nuovamente riuniti. Sorgente. Nello spettrometro IR la sorgente è sostanzialmente una stufa: questa fornisce radiazioni elettromagnetiche di frequenza inferiore al rosso; queste radiazioni vengono percepite dai nostri sensi come calore. Le sorgenti nello spettrometro IR sono generalmente costituite da un Globar: filamento di carburo di silicio (richiede eccessiva potenza), un filamento di Nernst costituito da una miscela di ossidi fusi, un filamento di Nichel–Cromo, un filamento di Wolframio o una bacchetta di grafite, materiale la cui resistenza diminuisce all’aumentare della temperatura. Una buona sorgente deve soddisfare alcuni requisiti: 1. deve fornire potenza costante nel tempo, deve quindi essere stabile; 2. deve fornire, in genere, un campo continuo di frequenze che copra tutto il range di frequenze che interessa il tipo di spettroscopia in questione; 3. tutte le frequenze devono essere fornite a potenza sufficientemente alta e con la stessa potenza. Sorgente ideale è quella per cui la curva che esprime la potenza fornita dalla sorgente in funzione della ν abbia questo tipo di andamento: P
ν
Le curve reali hanno in genere il seguente andamento: 43 P
ν
L’uso di opportuni filtri in una zona sufficientemente intensa (potente) permette di “modellare” il profilo di potenza in modo che questa sia, sul range delle ν considerato, costante. Esistono anche spettrometri le cui sorgenti forniscono un’unica frequenza: questi strumenti si usano per testare la presenza di alcune particolari sostanze (variando la sorgente si può evidenziare la presenza di sostanze diverse). Double beam. Si è detto che si ricorre per l’IR all’uso di uno spettrometro a doppio raggio, si potrebbe quindi pensare di usare due sorgenti, convogliare il fascio di una sul campione, quello dell’altra sul riferimento e poi confrontarli; questo metodo però non è molto affidabile in quanto è praticamente impossibile che i raggi in uscita dalle due sorgenti siano identici (se è così allora è chiaro che le differenze tra I e I0 non sono determinate solo dal campione e quindi la misura è falsata). Si deve ricorrere all’uso di un’unica sorgente e dividere in due il raggio da essa proveniente, si deve inoltre fare in modo che la differenza di cammino ottico tra i due raggi sia quanto più piccola possibile in modo che nel risultato della misura non influiscano fattori esterni; uno di questi è l’atmosfera: questa contiene CO2 e H2O e sia l’una che l’altra assorbono nell’IR; è chiaro allora che se i due raggi percorrono spazi diversi, già questo è sufficiente per differenziarli. Allorché la radiazione 44 elettromagnetica interagisce con la materia possono esserci fenomeni di assorbimento, dispersione, diffusione. Schema strumento IR. Il raggio proveniente dalla sorgente si divide con il chopper (si tratta di un disco che per metà è opaco, per ¼ riflettente e per il resto vuoto): 1) nerofumo che assorbe la radiazione incidente; 2) specchio che la riflette; 3) vuoto; il chopper ruota, quando la rem incide su di esso può essere riflessa o attraversare il chopper stesso, quindi sistemando opportunamente degli specchi la rem che passa e quella riflessa possono essere trasformati in raggi paralleli. Con un altro chopper si fa poi in modo che sul monocromatore venga inviato sempre un solo raggio che è per un certo ∆T I0 poi per il successivo ∆T I, poi per l’altro ∆T niente e così via. Monocromatore. I monocromatori si basano sul fatto che, allorché una rem passa da un mezzo ad un altro con indice di rifrazione diverso, la sua direzione di propagazione cambia. Il rapporto degli angoli tra le direzioni dei raggi deviati dipende anche dalla λ, il che significa che se la radiazione incidente contiene più frequenze al passaggio attraverso il secondo mezzo queste si separano cioè viaggiano lungo direzioni distinte. I primi strumenti usavano prismi come monocromatori, nella spettroscopia IR è necessario ricorrere a sistemi trasparenti all’IR. Questi sono ad esempio i solidi 45 ionici, che hanno però lo svantaggio di essere costosi e deliquescenti (cioè assorbono acqua) ed il grado di trasparenza degli stessi varia con il loro grado di ionicità, trasparenza che può essere estesa anche fino a 200 cm‐1. Un solido ionico molto usato è KBr anidro, che risulta trasparente all’IR fino a 400 cm‐1. Per ottiche migliori si devono usare sali di Cesio o di Rubidio. La superficie del KBr deve essere liscia, la presenza di asperità dovute ad esempio all’azione dell’H2O può essere dannosa. Per quanto detto finora bisognerebbe usare come monocromatore all’IR un prisma di KBr, però questo è costoso e si solubilizza con l’acqua: è necessario quindi ricorrere ad altri sistemi. Molto usati come monocromatori sono i reticoli. Il reticolo è costituito da una superficie piana su cui è incisa una trama di linee parallele, fenditure parallele, uguali e equidistanti, distanze che sono dell’ordine della λ della radiazione incidente. Se la radiazione incidente ha λ piuttosto diversa dalla distanza tra le fenditure allora per questa il reticolo è semplicemente uno specchio e l’onda viene riflessa, se la radiazione incidente ha λ paragonabile si verificano fenomeni di diffrazione e interferenza. La proprietà fondamentale dei reticoli è che l'angolo di deviazione di tutti i fasci rifratti dipende dalla lunghezza d'onda della luce incidente. Quindi, un reticolo separa un fascio di luce policromatica nelle varie lunghezze d'onda che lo compongono. Normalmente un solo reticolo non consente di separare sufficientemente le varie ν
osservate all’IR; per tale motivo gli spettrometri sono dotati di più reticoli, in genere cinque, disposti su un tamburo rotante (ognuno di questi reticoli è specifico per un certo range di ν). A seconda della ν che si sta spazzando la macchina usa un reticolo o l’altro. 46 Detector. Le radiazioni passanti attraverso la fenditura sono convogliate sul detector. Si tratta del dispositivo in grado di convertire la radiazione termica (IR) in un segnale elettrico, che viene poi inviato al sistema di elaborazione e di registrazione. Questo è generalmente una termocoppia sensibile all’effetto di riscaldamento della radiazione. È costituto essenzialmente da due conduttori, di metalli diversi, saldati alle due estremità, insieme a uno dei quali viene inserito un galvanometro. Portando le due saldature a temperature diverse si stabilisce una forza elettromagnetica che determina la circolazione di una corrente elettrica misurata dallo strumento. Esiste una relazione nota tra la variazione di temperatura e il valore della forza elettromagnetica, per cui è possibile, dalla lettura dello strumento, dedurre la differenza di temperatura tra le saldature. Nel caso degli spettrometri IR una saldatura si mantiene a temperatura costante, mentre sull’altra si manda il raggio uscente. Preparazione del campione. Gli spettri IR possono essere ottenuti per campioni gassosi, liquidi o solidi. Gli spettri dei gas si possono registrare espandendo il campione in una cella nella quale si sia precedentemente fatto il vuoto. La locazione del campione negli spettrometri standard può contenere celle lunghe fino a 10 cm, però le fasi gassose sono poco dense; per ottenere allora lunghi cammini ottici si ricorre a riflessioni multiple. I liquidi possono essere esaminati puri o in soluzione. I liquidi puri sono esaminati tra lastre di KBr, generalmente senza uno spaziatore. Il liquido (una goccia) si pone tra due lastre di KBr; queste si chiudono tra due rettangoli metallici; su questi rettangoli sono presenti dei fori; inserendo in questi fori delle viti calibrate si chiude il tutto. È molto importante lo spessore del liquido 47 tra le piastre: se c’è troppo liquido l’assorbimento è troppo forte e non si ha uno spettro soddisfacente. Liquidi volatili vengono esaminati in celle sigillate, usando spaziatori molto sottili; se le celle non fossero sigillate il liquido evaporerebbe per effetto della radiazione elettromagnetica, falsando la misura. Per liquidi in soluzione il campione si prepara mettendo sulla lastra di KBr un film della soluzione: una goccia di soluzione si mette sulla lastra di KBr. Si sovrappone una seconda lastra di KBr. La scelta del solvente è un grosso problema: il solvente, infatti, deve avere pochi legami covalenti, perché questi assorbono all’IR, deve essere anidro e trasparente nella regione dello spettro che ci interessa. Una cella di compensazione contenente il solvente puro è posta nel fascio di riferimento. Lo spettro ottenuto è quindi quello del soluto, eccetto nelle regioni in cui il solvente assorbe fortemente. Infatti laddove il solvente assorbe fortemente la compensazione è inefficace, poiché il forte assorbimento impedisce l’arrivo della radiazione sul detector. Solventi comunemente usati sono CS2 e CCl4. CCl4 assorbe a 800 cm‐1, CS2 a 1.500 e 2.150 cm‐1. Altri solventi usati sono paraffine lunghe, tipo Nujol; con queste si ottengono miscele liquido‐liquido molto viscose. Questa miscela si pone tra le due lastre di KBr dalle quali data la sua viscosità non fuoriesce. 4.1.4.2 Spettrofotometri a interferenza (FT‐IR) Questa tecnica si è sviluppata grazie alla computerizzazione del laboratorio strumentale. Il suo principio di base è rappresentato dalla possibilità di cogliere contemporaneamente tutte le frequenze dello spettro IR nel rilevatore, il che rende superflua la scansione della lunghezza d'onda. Questo è possibile trasformando, per mezzo di un interferometro, la radiazione IR policromatica emessa dalla sorgente 48 (istante per istante con la medesima intensità) in un interferogramma, dove l’assorbimento non è più funzione della frequenza, ma del tempo (cioè si passa da dominio delle frequenze a dominio dei tempi). Contrariamente agli spettrofotometri tradizionali, quindi, in questa apparecchiatura non si ha un monocromatore a dispersione, ma viene utilizzato l’interferometro di Michelson, il quale produce nel corso di una speciale scansione l’interferogramma della sostanza in esame. Dopo il passaggio della radiazione così "trattata" attraverso il campione, l'interferogramma viene trasformato dal calcolatore collegato allo strumento in un tradizionale spettro infrarosso mediante un'operazione matematica, la cosiddetta Trasformata di Fourier. In questa maniera si passa perciò dall’interferogramma, un grafico dello spazio o del tempo, a uno spettro comune, che rappresenta però la variazione dell’intensità del segnale in funzione del numero d’onda (o della lunghezza d’onda) della radiazione. Una sorgente luminosa ad incandescenza emette un raggio luminoso nel campo dell’IR; tale raggio giunge ad uno specchio semiriflettente (beamsplitter, un cristallo di KBr rivestito di Geranio) che lo divide in 50% ad uno specchio fisso e 50% allo specchio mobile. I raggi riflessi da questi specchi sono inviati un’altra volta allo specchio semiriflettente il quale ricongiunge i due raggi e li invia al rivelatore. Anche se i due raggi hanno raggiunto il rivelatore congiunti, essi hanno compiuto un diverso cammino ottico: a seconda della differenza del cammino ottico dei due raggi si creano delle interferenze costruttive o distruttive che creano un segnale al rilevatore proporzionale alla differenza di cammino ottico dei due raggi e quindi alla posizione dello specchio mobile in quell’istante. In base al movimento del suddetto specchio tutte le radiazioni monocromatiche contenute nella luce emessa dalla lampada danno luogo 49 ad un segnale complessivo di interferenza (interferogramma) che contiene in sé le informazioni riguardanti la frequenza e l’intensità della radiazione emessa. La Trasformata di Fourier, effettuata dal calcolatore dello strumento una volta che il raggio è arrivato al detector, mostra sullo schermo un tradizionale spettro infrarosso, trasformando il segnale di intensità luminosa in funzione del tempo (spostamento dello specchio) in segnale di intensità in funzione del numero d’onda. Un requisito fondamentale del FT‐IR è quello di ottenere un buon interferogramma, dal quale dipende la precisione dello spettro ottenuto: in altre parole lo specchio mobile deve avere una velocità costante e la sua posizione deve essere nota in maniera esatta in ogni istante. Lo specchio deve inoltre mantenere una planarità costante durante tutto il suo spostamento. È chiaro quindi che rispetto alla tecnica convenzionale la spettroscopia FT‐IR offre dei vantaggi: 1) un notevole risparmio di tempo: siccome la radiazione di tutte le lunghezze d'onda viene registrata contemporaneamente dal rilevatore, il tempo di misura si riduce a pochi secondi rispetto ai 10 minuti circa degli strumenti tradizionali; 2) un miglior rapporto segnale‐rumore: rispetto alla tecnica a scansione, dove è registrata sempre una sola lunghezza d'onda (mentre tutto il resto va perso in intensità), la potenza complessiva della sorgente di radiazione rimane costantemente disponibile. Al rivelatore arriva dunque una maggiore potenza rispetto agli strumenti a dispersione; 3) elevata precisione dei numeri d'onda: è possibile sovrapporre al segnale come standard interno la radiazione monocromatica di una sorgente laser, in cui la frequenza è nota con estrema precisione; 50 4) nessun effetto di riscaldamento del campione: la sorgente è infatti sufficientemente lontana dal campione; 5) possibilità di interfacciare un gascromatografo; 6) assenza di luce diffusa. La tecnica FT rende inutile pure la suddivisione delle radiazioni in un raggio di misura ed in uno di riferimento, operazione che è soggetta a disturbi; gli spettrometri FT‐IR sono monoraggio. Campione e riferimento sono supportati su una slitta, che li porta entrambi nel cammino ottico uno dopo l'altro (se si fa riferimento all'aria, si lascia semplicemente vuoto il relativo contenitore). Gli spettri sono raccolti e memorizzati separatamente ed infine lo spettro di riferimento (background) viene sottratto numericamente dallo spettro del composto. Grazie alla rapidità della misura FT‐IR si è resa possibile un'applicazione molto utile al chimico organico: l'accoppiamento fra gascromatografia e spettroscopia IR. Figura 4.6: rappresentazione schematica di un interferometro. 51 4.2 ATR IR spettroscopia Quando un fascio di luce si propaga da un mezzo otticamente più denso ad uno otticamente meno denso esiste un angolo di incidenza, detto angolo critico, superato il quale si verifica il fenomeno della riflessione totale interna. In questo caso, nel mezzo con indice di rifrazione minore si crea una regione in cui è presente un’onda elettromagnetica, detta onda evanescente, che penetra nel mezzo per una frazione della sua lunghezza d’onda. La riflessione totale interna è impiegata in microscopia e in spettroscopia, generalmente utilizzando radiazione infrarossa, per studiare sistemi fluorescenti e materiali fortemente assorbenti. Per aumentare la sensibilità di tale tecnica si utilizzano dispositivi che permettono riflessioni interne multiple. Il fenomeno della riflessione totale interna è estremamente sensibile alle variazioni dell’indice di rifrazione complesso dei materiali, e questa caratteristica è sfruttata per misurare l’assorbimento mediante l’attenuazione della riflessione totale interna (ATR), dovuta all’interazione del campo elettromagnetico con il materiale ad indice di rifrazione minore. Il fatto che la lunghezza di penetrazione dell’onda evanescente sia una frazione della lunghezza d’onda conferisce a questa tecnica una specifica sensibilità per l’analisi della superficie del campione. La spettroscopia ATR‐IR è una tecnica ampiamente utilizzata e per molti anni è stata un importante mezzo per investigare i processi chimici e la struttura. La combinazione della spettroscopia IR con le teorie della riflessione ha permesso quindi l’analisi spettroscopica di superfici. Specifiche tecniche in riflettanza IR possono essere divise nelle aree di riflettanza speculare, riflettanza diffusa e riflettanza interna. Quest’ultima è spesso indicata come riflettanza totale attenuata e sarà al centro di questa trattazione. In 52 questo capitolo sono discussi i principi dietro la Fourier Transform Infrared – Attenuated Total Reflectance (ATR) Spectroscopy. I principi fondamentali della spettroscopia ATR sono datati al lavoro iniziale di J. Fahrenfort e N.J. Harrick[6], che indipendentemente l’uno dall’altro hanno suggerito le teorie dell’ATR e un ampio range di applicazione. Quindi è necessario iniziare la nostra trattazione con il concetto di onda evanescente e come questa si collega al concetto di riflessione interna. Si considerino due mezzi con indice di rifrazione n1 e n2 rispettivamente e un’onda piana che incide sull’interfaccia tra i due mezzi con un angolo di incidenza θ1. Se il valore dell’indice di rifrazione del secondo mezzo è maggiore di quello dell’indice di rifrazione del primo mezzo, il raggio viene rifratto. In altre parole, il raggio viene parzialmente riflesso e parzialmente trasmesso sotto forma di onda piana. Le direzioni di propagazione di tali onde sono date dalla legge di Snell. Il valore θ1 = sin−1 (n2/n1) dell’angolo di incidenza è detto angolo critico e viene di solito indicato con θc. Se l’angolo di incidenza supera l’angolo critico, la luce non può più propagarsi all’interno del secondo mezzo, e quindi viene riflessa totalmente. In tal caso, è presente però nel secondo mezzo un campo elettromagnetico: tale campo è detto “onda evanescente”. Questa onda è chiamata evanescente, termine che deriva dal verbo latino evanescere (che tende a svanire o che passa via come un vapore). Il fenomeno descritto sopra avviene solo quando l’angolo di incidenza eccede l’angolo critico θc funzione degli indici di rifrazione. 53 Figura 4.7: schematizzazione dell’onda evanescente e dell’onda stazionaria riflessa all’interfaccia. La figura 4.7 mostra l’onda stazionaria totalmente riflessa all’interfaccia (cristallo/campione) e l’onda evanescente. L’onda stazionaria è meglio descritta come onda di interferenza delle onde incidenti e riflesse. L’onda evanescente decade nel campione in modo esponenziale con la distanza dalla superficie del cristallo su una distanza dell’ordine dei micron. La capacità di penetrazione dell’onda evanescente d è definita come la distanza dall’interfaccia campione‐cristallo dove l’intensità dell’onda evanescente decade al 37% dal suo originale valore. Questa viene espressa come: d= λ/{2πn1[sen2θ-(n2/n1)2] ½}
Alcune proprietà caratteristiche dell’onda evanescente sono[6]: 1) l’intensità del campo elettrico nel mezzo con indice di rifrazione più basso non è zero; è presente una componente normale istantanea del flusso di energia nel mezzo che è mediamente zero nel tempo. La caratterizzazione di un’onda elettromagnetica richiede che sia determinata l’energia che essa trasporta. Nelle condizioni di riflessione 54 totale interna, l’onda evanescente, in media, non trasporta energia nel secondo mezzo. Infatti la media temporale del vettore di Poynting nella direzione normale alla superficie è nulla. In questa direzione non si ha trasporto netto di energia, quindi l’onda evanescente, in media, non trasporta energia nel secondo mezzo. Pertanto non c’è perdita di energia e la propagazione della radiazione nel materiale più denso è totalmente riflessa. 2) Il campo evanescente non è un’onda trasversale, ma ha le componenti di un vettore in tutte le direzione dello spazio, questo è un tratto unico ed ha molte implicazioni. 3) L’intensità del campo decresce con l’aumentare della distanza del mezzo normale alla superficie. Quindi il campo esiste solo in prossimità della superficie. 4) È diverso da zero un flusso di energia parallelo all’interfaccia che risulta in uno spostamento dell’onda incidente e riflessa. Questo è conosciuto come spostamento di Goos‐Hanchen. La componente del vettore di Poynting parallela alla superficie ha media temporale diversa da zero, quindi si ha trasporto netto di energia in questa direzione che si manifesta nello “shift” longitudinale di Goos‐Hanchen. Molti sforzi sono stati fatti per capire la correlazione tra lo spostamento e la capacità di penetrazione, ma non ci sono risultati conclusivi. Il decadimento esponenziale dell’ampiezza del campo elettrico dentro il mezzo può essere descritto come: 55 dove E0 = ampiezza iniziale del campo elettrico λ1 = lunghezza d’onda della radiazione nel mezzo più denso = λ/n1 λ = lunghezza d’onda nello spazio libero θ = angolo di incidenza n21=n2/n1 z = distanza dalla superficie. Come detto in precedenza l’onda evanescente non è trasversale ma ha componenti in tutte le direzioni. Questo permette che il suo vettore possa interagire con i dipoli in tutte le direzioni facendo sì che possa essere utilizzato come mezzo di indagine del materiale. Questa discussione sembra lontana dall’idea della descrizione della riflessione interna in termini di non assorbimento del mezzo meno denso: questo rappresenta un caso ideale dal momento che l’assorbimento di energia avviene in molti materiali particolarmente nella regione dello spettro IR. La spettroscopia ATR‐IR quindi è usata per analisi della superficie dei materiali ed è anche utile per la caratterizzazione di materiali con alto spessore o fortemente assorbenti da poter essere analizzati in spettroscopia IR in trasmissione. Per materiali solidi o film spessi non si richiede nessuna preparazione del campione per l’analisi ATR. Nella spettroscopia ATR‐IR la radiazione infrarossa passa attraverso un cristallo trasparente all’IR con alto indice di rifrazione che permette alla radiazione di essere riflessa all’interno molte volte. La superficie di campionamento è pressata sulla 56 superficie superiore del cristallo (ZnSe o Ge), quindi la radiazione IR dallo spettrometro entra nel cristallo, si riflette attraverso il cristallo e penetra all’interno del campione di una quantità finita per ciascuna riflessione attraverso la cosiddetta onda evanescente. Dopo svariate riflessioni, l’intensità dell’onda viene raccolta all’uscita dal cristallo in direzione opposta al fascio incidente ed analizzata. Figura 4.8: rappresentazione schematica di uno strumento ATR. 57