Aldo Bonacossa - Le Montagne Divertenti
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Aldo Bonacossa - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina e v r i D tenti N°33 - ESTATE 2015 - EURO 5 Alta Valtellina La traversata del monte Zebrù (m 3740) Antonio Boscacci Racconti inediti: "La Topa della Bea" Valchiavenna Pizzo Galleggione (m 3107) Alta Valtellina Monte delle Scale (m 2497 - m 2521) Alpi Orobie Val Cervia Valmalenco Alta Via: 4a tappa Alpi Orobie Pizzo di Rodes (m 2829) Storie Rifugio Ottorino Donati Valtellinesi nel Mondo Lena, il fiume dei mammut Fotografia Lo zaino del fotografo Natura Martin pescatore Scienza La spettroscopia Raman testata in Valchiavenna Inoltre Ricette della nonna, foto dei lettori, giochi, libri ... Aldo Bonacossa l'enciclopedia ambulante della montagna VALCHIAVENNA - BASSA VALTELLINA - VAL MÀSINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA 1 LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale Beno La meteopatia domenicale, è la più diffusa malattia tra gli escursionisti italiani e ogni anno colpisce milioni di persone. Generalmente si accompagna al nerdismo e può essere contratta anche da individui giovani e in buono stato di salute. Studi scientifici hanno evidenziato che la meteopatia domenicale si mantiene latente e asintomatica durante i giorni lavorativi, se non per un ossessivo-compulsivo pellegrinare sui siti meteorologici, specialmente quelli dove si trovano azzardate previsioni a 15 giorni con frequente incidenza di catastrofi e record climatici. A poche ore dalle ferie la patologia si manifesta in seguito al contatto visivo, anche occasionale, con un bollettino meteo nefasto. Il soggetto colpito va in ansia, diviene improvvisamente idrofobico e rifiuta ogni rapporto con la natura e l'aria aperta. Nei casi più gravi il decorso sfocia in uno stato di completa immobilità sul divano o nella ricerca di rifugio in un centro commerciale con luce artificiale. Al momento non esistono cure veramente efficaci e gli effetti dei comportamenti originati dalla malattia si riflettono, oltre che su amici e famigliari, anche sugli operatori turistici che si vedono annullare "ad minchiam" le prenotazioni. Io posso solo dirvi che se mi fossi lasciato colpire dalla meteopatia domenicale non avrei realizzato alcune delle mie fotografie più belle, o vissuto situazioni favolose, come quella di poter prendere il sole tra le mani al sopraggiungere di un temporale. 2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 Editoriale: val Bondone - l'uomo che prende il sole (23 agosto 2014, foto Beno - www.clickalps.com). In copertina: lungo la strada della val Viola. Sullo sfondo il Corno di Dosdé (1 luglio 2013, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com). Editoriale LE MONTAGNE DIVERTENTI del torrente Mallero ad Arquino (24 giugno 2014, foto Beno). Ultima di copertina: le marmitte 3 O LE MONTAGNE DIVERTENTI S I peciali tinerari d’alpinismo I tinerari d’escursionismo R ubriche Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Editore Direttore Responsabile Enrico Benedetti I Beno Redazione Alessandra Morgillo Beno Gioia Zenoni Roberto Moiola Carlo Nani 64 Alta Via della Valmalenco 120 Realizzazione grafica 4a tappa Revisore di bozze Mario Pagni Responsabile della cartografia Matteo Gianatti R Beno Valtellinesi nel mondo Lena, il fiume dei mammut Alvaro Caligari, Antonio Boscacci e Luisa Angelici, Claudio Bormolini, Danilo Bersani, Dicle, Eliana e Nemo Canetta, Eraldo Meraldi, Fabio Pusterla, Fabrizio Barri, Giacomo Meneghello, Giovanna Iacolino, Jacopo Rigotti, Kim Sommerschield, Luciano Bruseghini, Marino Amonini, Mario Sertori, Matteo Tarabini, Maurizio Cittarini, Nicola Giana, Peter Vandenabeele, Raffaele Occhi, Riccardo Scotti, Rino Masa, Roberto Ganassa, Sergio Scuffi, Valentina Messa. Si ringraziano inoltre A Hanno inoltre collaborato a questo numero: Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380138 Stampa Bonazzi Grafica - via Francia, 1 - 23100 Sondrio Aldo Bonacossa L'enciclopedia ambulante della montagna 38 Alta Valtellina Monte Zebrù (m 3740) 84 Alta Valtellina Monte delle Scale (m 2521) 128 Natura Martin pescatore M Avis Comunale Sondrio, Arialdo Donati, famiglia Donati, Franco Monteforte, Giorgio Urbani, Mario Giacomini, Elia Negrini, la Tipografia Bonazzi, gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor che credono in noi e in questo progetto... e tutti quelli che abbiamo dimenticato di citare. 10 Per ricevere la nostra newsletter: registra il tuo indirizzo email su www.lemontagnedivertenti.com 22 Contatti, informazioni e merchandising [email protected] www.lemontagnedivertenti.com 98 Scienza Raman in Valchiavenna Alpi Orobie Val Cervia 134 Fotografia Lo zaino del fotografo annuale (4 numeri della rivista): costo € 22 da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico via Panoramica 549/A 23020 Montagna (SO) nella causale specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” M Abbonamenti per l’Italia 26 - www.lemontagnedivertenti.com - oppure telefonare al 0342 380138 (basta lasciare i dati in segreteria). Arretrati [email protected] - € 6 cad. Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista Racconti inediti La Topa della Bea 50 Valchiavenna Pizzo Galleggione (m 3107) 106 Alpi Orobie Pizzo di Rodes (m 2829) O fatto il bonifico è necessario registrare il proprio abbonamento su Prossimo numero 138 Il miglior fotografo 139 Le foto dei lettori 150 Vincitori e vinti 153 Giochi S 21 settembre 2015 32 Lanzada Appuntamenti con la tradizione Estate 2015 62 Approfondimenti Valle dell'Acquafraggia LE MONTAGNE DIVERTENTI 115 Approfondimenti Rifugio Ottorino Donati 154 Le ricette della nonna Antipasto di verdure di stagione Sommario 5 Localizzazione luoghi Zillis Zillis Wergenstein Bergün Parsonz Sufers 3062 2115 Mulegns 3279 3378 Cresta Livigno St. Moritz Maloja Pizzo Stella Pizzo Quadro 3013 3183 50 Mera Somaggia 3378 ra T. Code Novate Mezzola 3032 Cima del Desenigo Colorina Caiolo Tartano 98 Premana Geròla Bellàno Taceno Pescegallo Pizzo dei Tre Signori 2554 Introbio Lierna Ornica LE MONTAGNE DIVERTENTI Barzio Monte Cadelle 2483 Passo San Marco 1985 Foppolo Carona Mezzoldo Cùsio Piazzatorre Valtorta Pasturo Cassiglio Olmo al Brembo Ponte in Valt. Albosaggia Adda Pizzo Campaggio 2503 Tresenda Carona Aprica Còrteno Cortenedolo Vilminore Colere Villa Pizzo Camino 2492 Vione Passo del Tonale 1883 Monte Carè Alto 3462 Berzo Saviore Lanzada: appuntamenti con la tradizione (Valentina Messa) Monte Zebrù (m 3740) (Beno) 50Valchiavenna Pizzo Galleggione (m 3107) (Beno) 64Valmalenco Alta Via, 4a tappa: da Chiareggio al lago Palù per il rifugio Longoni (Eliana e Nemo Canetta) Monte delle Scale (m 2521) (Nicola Giana) 98 Alpi Orobie Val Cervia (Luciano Bruseghini) 106Alpi Orobie Capo di Ponte LE MONTAGNE DIVERTENTI (Antonio Boscacci) 38 Alta Valtellina Monte Fumo 3418 Valle Làveno Adamello 3554 Garda Paisco La Topa della Bea 84 Alta Valtellina Edolo Sonico Concarena 2549 Ponte di Legno Incudine Monno Palone del Torsolazzo 2670 Schilpario Estate 2015 Vezza d'Oglio Malonno Pizzo di Coca Monte Torena 2911 3050 Monte Sellero 2743 Pizzo di Redorta Loveno 3039 Monte Gleno Pizzo del Diavolo 2883 Valbondione di Tenda Passo del Vivione 2914 1828 Pezzo Pezzo Monte Serottini 2967 Mazzo 100 Corno corno dei Tre Signori 3359 Punta di Pietra Rossa Monte Tonale 3212 2694 Passo dell'Aprica Pizzo di Rodes Gromo Sondalo Tovo Lovero Sernio TIRANO Bianzone Teglio Arigna Gandellino Fumero Punta San Matteo 3678 Passo di Gavia 2618 26 Val Masino Forni Santa Caterina Le Prese Adda 106 2829 Branzi Roncorbello Monte Masuccio 2816 Monte Cevedale 3769 frana di val Pola Grosotto Brusio Chiuro Tremenico Bellagio 6 Albaredo SONDRIO Tresivio Talamona Bema 3136 Boirolo T. V enin a Lago di Como Postalesio Berbenno Castione 3323 Vetta di Ron Torre di S. Maria T. Livrio Monte Legnone 2610 Lanzada Caspoggio Le Prese Gran Zebrù 3851 Monte Confinale 3370 Cepina Grosio Fonta na Cevo Bùglio Caspano Ardenno Dubino Mantello Mello Traona Dazio Sirta MORBEGNO Pizzo Scalino 33 Chiesa in Valmalenco 3114 2845 Verceia Delébio Rògolo Còsio Regolédo Dervio Primolo Malghera Poschiavo T. Va l Còlico Monte Disgrazia Bagni 26 3678 di Màsino Pizzo Ligoncio San Martino Corni Bruciati T. Mallero Lago di Mezzola Sasso Nero 2917 T. Caldenno Montemezzo Livo Gera Lario Dongo Cima di Castello o T. Màsin Dosso d. Liro 3308 San Carlo 38 Spettroscopia Raman (Danilo Bersani) 33Valmalenco Ortles 3905 San Antonio BORMIO Valdisotto Eita 64 Chiareggio Oga Cima di Saoseo 3264 i od Lag chiavo Pos 2459 Prata Camportaccio Villa di Chiavenna Pizzo Badile San Cassiano San Pietro Samòlaco Era Pizzo Martello Vicosoprano La Rösa Bagni di Bormio Premadio Cima Piazzi 3439 4049 Passo del Muretto 2562 Bondo Passo del Bernina 2323 Isolaccia T. Roasco Gordona 22 Soglio Castasegna CHIAVENNA Piz Palù Pizzo Bernina 3906 Casaccia Pizzo Galleggione 3107 Prosto Mese Passo del Maloja 1815 84 Arnoga Forcola di Livigno 2315 Sils T. La nte rna Fraciscio Passo dello Stelvio 2757 Valdidentro Passo del Foscagno 2291 Solda Solda Giogo di Santa Maria 2503 Trepalle Pianazzo Campodolcino 1816 Piz Languard 3268 Silvaplana Juf Lag 3180 hi d i Ca nca no Pontresina Julierpass Bivio Lago d i Lei Madesimo Cima la Casina 3057 Mera 3209 Stelvio Stelvio San Maria Samedan Piz Nair 3392 Pizzo d'Emet Isola Sur 22Valchiavenna Lago del Gallo Piz Piatta Montespluga 3159 Inn Montechiaro Montechiaro Müstair Piz d'Err Piz Grisch Innerferrera Passo dello Spluga Zuoz Albulapass 2312 Julia Curtegns 1864 Ausserferrera Piz Quattervals 3418 Reno Splügen Medels Pizzo Tambò Piz Kesch Cunter Andeer e itinerari Monte Re di Castello 2889 Pizzo di Rodes (m 2829) (Claudio Bormolini) Niardo Niardo © Beno © Beno 2010/2015 2011 - riproduzione - riproduzione vietata vietata Localizzazione di luoghi e itinerari 7 L e g e n d a Schede sintetiche e tempistiche Ottimo anche per anziani non più autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Sotto la voce "dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione. Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico . 2 Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono. Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. 1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante. 2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento cronogeografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto. BELLEZZA PERICOLOSITÀ Quasi meglio il centro commerciale Carino Assolutamente sicuro Bello Anche per uomini larva Nulla di preoccupante Impegnativo Basta stare un po’ attenti Assolutamente fantastico FATICA Un massacro Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (si consiglia una guida) ORE DI PERCORRENZA DISLIVELLO IN SALITA meno di 5 ore meno di 800 metri dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri oltre le 15 ore oltre i 2500 metri Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (sono d’obbligo abito da sera e mocassini). È meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non temerari e dopati. È richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. È consigliabile una guida. Valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisicoatletica ed esperienza alpinistica. Servono sprezzo del pericolo e, soprattutto, barbe lunghe e incolte. Più di 30 anni di esperienza al servizio dei clienti Speciali Protezione Rischi Persone e Famiglie Aldo Bonacossa Raffaele Occhi Imprese ed Attività Professionali Mezzi di Trasporto Lavoro - Attività Trasporti Cauzioni Sicurezza Previdenza Tutela Giudiziaria Mezzi di Trasporto Abitazione Salute Tempo Libero Previdenza Investimento Tutela Giudiziaria CASSONI ASSICURAZIONI 10 Via C. Alessi, 11/13 - Sondrio Tel. 0342 514646 - Fax 0342 219731 [email protected] LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Aldo Bonacossa (1885-1975) 11 Personaggi Speciali Aldo Bonacossa: l’enciclopedia ambulante della montagna vero che Aldo Bonacossa (1885-1975) spaziò alpinisticamente e con gli sci un po’ Sabbiaeperè aperto, tutte le Alpi – dove non si trova cima che non abbia raggiunto, via nuova che non itinerario sciistico che non abbia tracciato? –, se è vero che allargò poi i suoi orizzonti alle Apuane, al Gran Sasso, ai Pirenei, alle Ande (e pure, forse precursore con Gigi Vitali dell’arrampicata sulle falesie marine, ai faraglioni di Capri), se è vero che ormai anziano si spinse al Pico del Teide a Tenerife, nella Sierra Nevada e sul monte Sinai, è altrettanto vero che ebbe un legame speciale con le montagne, gli alpinisti e le guide delle Alpi Retiche, e della Valtellina in particolare. L'Ago e il pizzo Torrone Orientale dall'alta val Torrone. Nel terzo inferiore della fotografia è il ghiacciaio pizzo Torrone Est, 13,3 ha nel 1990, 5,1 ha nel 2007 e ora in rapido disfacimento. La via normale italiana al pizzo Torrone Orientale sale l'evidente canale nel centro dell'immagine. Alla data dello scatto, invece, Bonacossa con Steger e Pietrasanta aveva già tracciato una difficile linea che dal passo del Cameraccio (ben visibile sulla dx) tocca la vetta incontrando addirittura un passo di VI grado (26 agosto 1933, foto Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese - www.archiviocorti.it). La piccola capanna Badile (ora Gianetti) fotografata nel luglio 1908. Sullo sfondo il pizzo Cengalo e i pizzi Gemelli. La capanna, inaugurata nel 1887, venne distrutta da una valanga nel 1901 e ricostruita nel 1904 (luglio 1908, foto Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese - www.archiviocorti.it). Alla pagina precedente: Aldo Bonacossa ritratto in acquerello da Kim Sommerschield (www.sommerschield.it). P roprio alla Valtellina, seppur indirettamente, lo riporta uno dei suoi primi ricordi di montagna, agli inizi del ‘900. Suo padre, e ne vedremo il perché, lo voleva tener lontano dall’alpinismo, ma lui, dalla sua abitazione prossima al castello Sforzesco – quel signorile palazzo Bonacossa dai massicci bugnati a forma di diamante che oggi ospita il Museo d’arte e scienze – si recò quasi di nascosto alla non lontana sede della Sezione di Milano del CAI (allora in via Dante); e mettendovi piede, un po’ timoroso, ricorda che «in fondo alla sala, su una specie di mensola di falsissimo mogano, un cimelio attirò la mia attenzione specialmente per il cartellino informativo: “corda ricuperata dall’ing. Secondo Bonacossa sulle 12 LE MONTAGNE DIVERTENTI vittime della catastrofe della König” [...] Un mazzo di cordame sfilacciato, in forte deperimento, al quale mancavano solo le fotografie delle vittime1; un cimelio evidentemente per allora importante ma che a me rammentava per analogia piuttosto la corda inglese dell’impiccato». Secondo Bonacossa era un suo cugino, più anziano, che sul finire dell’800, aveva frequentato il gruppo dell’Ortler dove, accompagnato dalle guide di Valfurva Battista Confortola, Pietro Pietrogiovanna 1 - Si tratta di tre studenti di Graz, Oskar Heydt, Ludwig Muhry e Anton von Spinler, precipitati nell’agosto 1885 dal versante meridionale del Gran Zebrù. La corda dei tre sventurati venne recuperata il 2 agosto 1886, di ritorno dall’ascensione al Gran Zebrù compiuta da Secondo Bonacossa ed Ernesto Albertario con le guide Battista Confortola e Pietro Pietrogiovanna. e Filippo Cola, aveva salito diverse cime tra cui l’Ortler e la König – il nostro Gran Zebrù – e aperto pure un nuovo itinerario al Piccolo Zebrù per il versante meridionale, vantando peraltro un curriculum che spazia dalle Dolomiti al Bianco, passando anche per la val Grosina, le Orobie, la val Malenco e la val Masino. Ma questo cugino, pace all’anima sua, era morto prematuramente, e in famiglia se ne dava la colpa agli strapazzi dell’alpinismo; quindi, aveva sentenziato il conte Cesare Bonacossa, era bene che i suoi figli, tanto Aldo quanto il fratello Alberto, si tenessero lontani dalla montagna. Ma non c’è niente di meglio che vietarti una cosa per rendertela più attraente; e fra i molti sport che la Estate 2015 privilegiata condizione aristocratica permetteva ai due fratelli di praticare (si parla di ben tredici discipline), quello verso cui Aldo Bonacossa s’indirizzò con più passione e determinazione, e che l’avrebbe accompagnato per tutta la vita, fu proprio l’alpinismo. DALLE PRIME SALITE ALL’ACCADEMICO Le prime salite le aveva fatte in quel di Macugnaga, dove la famiglia si recava in vacanza, ma non erano che «inoffensive ma lunghissime escursioni», con dislivelli tra i 1500 e i 2000 metri di fronte ai quali c’è comunque da togliersi tanto di cappello. Ben presto però, e a dispetto del genitore, Aldo fece un salto di qualità, e già durante il liceo cominciò a praticare l’alpinismo a livelli sempre più impegnativi, sia d’estate che d’inverno, tanto che bruciando le tappe, nel 1906, ad appena 21 anni entrò a far parte dell’Accademico, il fior fiore degli alpinisti di allora. LE MONTAGNE DIVERTENTI MASINO-BREGAGLIA-DISGRAZIA Che avesse un carattere forte e determinato, ma anche pieno d’iniziativa, lo dimostra il fatto che – ce lo racconta lui stesso – aveva dovuto conseguire la «Licenza liceale a Sondrio perché a Milano, per aver capeggiato il primo sciopero di studenti al “Parini”, ero stato avvisato di non farmi più vedere». Rientrato in famiglia era riuscito «a “scamotare2” un giorno e mezzo all’inflessibile padre che non approvava l’alpinismo, per fare una capatina in Val Masino». A legger di quell’avventurosa “fuga” – «su per la allora infame carreggiabile della valle», abbandonato a Filorera nella notte fonda da vetturino e «cavallo sempre più inefficiente», di corsa poi fino a San Martino sotto l’acqua fra tuoni e fulmini, l’arrivo all’osteria e la ricerca di una guida – sembra quasi di riandare alle avventurose spedizioni dei pionieri inglesi di Peaks, passes and glaciers. E il giorno 2 - Francesismo, significa “eludere, sfuggire”. dopo, 18 luglio 1905, rinunciando al desiderato Torrone Orientale (solo sentendolo nominare, la sera prima, «un vecchio ancor rimbambolato dal primo sonno, barba ispida, malamente scamiciato» era scappato via spaventato), Enrico Fiorelli, cugino del più famoso Giacomo che quel giorno andava alla Rasica, accompagnò il giovane Bonacossa alla più mansueta cima di Castello. «Val Masino: che passione!», titolerà un suo articolo del 1954 sul Bollettino mensile della Sezione di Milano del CAI, dove rievoca i tanti giorni passati in quel regno del granito, di quando ad esempio, giunti al vecchio rifugio che anticipò la Gianetti, «bisognava cacciar fuori il mulo del Giacomo che della Badile si era fatto la stalla», oppure di quando si doveva bivaccare «sotto a pietroni in lotta con le pecore disturbate nei loro fetenti recessi che mai Augia ripulì». Il giorno dell’inaugurazione della Gianetti, nel 1913, Aldo Bonacossa, nonostante la neve e il vetrato, Aldo Bonacossa (1885-1975) 13 Personaggi Speciali Torre Re Alberto (2832) Punta Meridionale del Cameraccio (2743) La costiera del Cameraccio da SO. Indicata la via Gervasutti-Bonacossa alla Torre Re Alberto, una delle maggiori realizzazioni degli anni '30 (6 ottobre 1933) e la punta Meridionale del Cameraccio, salita per la prima volta da Giusto Gervasutti e Aldo Bonacossa il 5 ottobre 1933 (3 novembre 2009, foto Mario Sertori). riuscì a metter piede per primo con Carlo Prochownick sulla cuspide più elevata della punta Sertori, quel caratteristico dente all’estremità della cresta est del Badile che era stato vinto in solitaria da Bortolo Sertori all’inizio del secolo. E forse a riparazione del piccolo sgarbo fatto alla modesta eponima guida di val Masino, che si era dovuta fermare al dente più basso, Bonacossa non ci pensò nemmeno a cambiar nome alla punta, anzi; quando «il mio buon Bortolo che mi aveva dato delle indimenticabili lezioni di arrampicata sulle placche di granito», reduce dalla guerra l’influenza se lo portò via, gli dedicò un appassionato e sentito ricordo dalle pagine della Rivista Mensile del CAI, rendendogli un po’ di quella notorietà che non ebbe e che si sarebbe meritato. Tante giornate, e numerose pagine, dedicò Bonacossa a quelle montagne di granito tra Italia e Svizzera. «Ma il mio cuore – scrisse – batte più forte al ricordo di Val di Zocca e di Val Torrone. Là stanno le mie più belle giornate alpine di Val Masino da quando vi entrai la prima volta, appena appena 14 LE MONTAGNE DIVERTENTI studente liceale fino a tre anni fa [1948] quando finalmente, con Giovanni Ratti, inaugurammo la giusta via italiana al Torrone Orientale. Là rivedo i miei compagni: dal piccolo Bortolo Sertori grandissimo arrampicatore a piedi nudi, a Carletto Negri, e Eugenio Fasana e Vitale Bramani, a Ninì Pietrasanta e Hans Steger e Giusto Gervasutti». Il nome di Aldo Bonacossa, insieme a quello dei sopracitati suoi compagni di cordata a cui è doveroso aggiungere per lo meno anche quelli di Luigi Binaghi, Ettore Castiglioni e Walter Amstutz, resta immortalato su creste e pareti dove aprirono nuove vie, dal Cengalo al Torrone, dalla Rasica alla cima del Largo, dalla Sciora alla cima di Rosso, dal monte di Zocca alla cima di Castello fino a quell’ostica ed imponente torre della costiera del Cameraccio che già il Conte Lurani, nella sua monografia del 1883, aveva quotato m 2742 (oggi m 2832). L’aveva già tentata invano, quest’ultima, Bonacossa con Hans Steger e Ninì Pietrasanta, rinunciandovi prima ancora di averla toccata con mano; solo a vederla, le difficoltà sembravano insormontabili, e così ripiegarono. Bonacossa ci torna nell’ottobre del ‘33 «con Giusto Gervasutti, non ancora famoso come poi ma già, per gli amici, il “fortissimo”». La placca finale è liscia e senza alcuna possibilità di assicurazione3, il minimo errore sarebbe fatale. Giusto esita un momento, poi parte. «Non ho mai dimenticato, pur dopo tanti anni, la sua espressione in quel momento – ricorda Bonacossa. Un accenno di pallido sorriso forse più per far coraggio a me che non a se stesso: ma fugace, melanconico, quasi triste». E i due, quella torre senza nome, la battezzarono concordemente Torre Re Alberto. Che un conte, e Aldo Bonacossa lo era, volesse dedicare una cima a un re, non desta più di tanta meraviglia; in fondo, potrebbe sembrare una sorta d’omaggio di un nobile verso un’altezza reale. Ma in questo caso c’è ben di più: l’affermazione di un’amicizia sincera, rafforzatasi nella comune passione per la montagna, tra Bonacossa, Gervasutti e il re alpinista per antonomasia, 3 - I moderni ripetitori l'hanno valutata 6a expo. Estate 2015 Pizzo Scalino, parete NO. Questa imponente bastionata di rocce scistose fu superata per la prima volta nell'agosto 1911 dalla cordata composta da Aldo Bonacossa e dal chiavennasco Rino Rossi. Si tratta di un itinerario estremamente pericoloso funestato da continue cadute di pietre. Le ripetizioni moderne sono concentrate in inverno per limitare tale rischio (18 novembre 2014, fotoBeno). Alberto I del Belgio. Bonacossa l’aveva conosciuto nella seconda metà degli anni ‘20 quando il re, dopo «una profonda crisi che quasi lo fece rinunciare per sempre all’alpinismo», cercò conforto in un gruppo di senza guida. Fu così che, rievoca Bonacossa, «nel 1930, riuscii a condurlo nella mia diletta Val Bregaglia. Furono tre incantevoli giornate nell’Albigna. Sul gran dosso di granito del rifugio, egli si beava al sole d’Italia che veniva a fiotti da sopra il Ferro Orientale, inondando tutta la lunga valle glaciale. Il primo giorno, salimmo l’Ago di Sciora. Non s’era mai immaginato che anche da quelle parti esistesse una stele così gigantesca, che con uno spigolo di 750 m di tanto deprimeva il suo Campanile Basso: e fu una rivelazione. Gli piaceva quel granito franco, senza insidie»; ma gli piaceva pure, lui che non poteva soffrire «quelle guide del buon tempo antico che partivano per quindici giorni di salite con una sola camicia», bagnarsi nei torrenti di montagna, come quella volta che, scrive Bonacossa, «avevamo fatto il bagno quasi alla bocca del ghiacciaio LE MONTAGNE DIVERTENTI dell’Albigna»! Arrampicarono poi ancora insieme, nelle Dolomiti (con Angelo Dimai e Paula Wiesinger, la campionessa di sci, e addirittura con quel personaggio singolare di Tita Piaz che di fronte al sovrano, «maligno, si lasciò andare ad un elogio della repubblica»), in Grignetta («con Vitale Bramani e la Paola») e infine nelle Marittime con Gervasutti, in un sodalizio interrotto soltanto dalla fatale caduta del re, il 17 febbraio 1934, dalle rocce di Marche-lesDames durante una scalata in solitaria. Delle montagne di val Masino, così come della limitrofa val Bregaglia e del gruppo del Disgrazia, da frequentatore che ne era se ne fece poi illustratore, con la compilazione di quella guida Masino-BregagliaDisgrazia, apparsa nel 1936, che fu un vero compendio di conoscenza su tutto quanto di alpinistico vi era stato svolto fin’allora. Sebbene la guida fosse costellata di nomi altisonanti di alpinisti venuti anche da fuori, egli nella prefazione volle ricordare due nativi, pur essi grandi, di quelle montagne; concludeva infatti così: «Nel licenziare il volume, il mio pensiero corre reverente alla memoria di Christian Klucker, mio primo maestro sul ghiaccio, e di Bortolo Sertori, mio primo maestro sul granito di V. Masino». BERNINA Bonacossa, peraltro, non era nuovo a quel genere di lavoro redazionale. Quando Luigi Brasca, nel 1906, aveva messo in cantiere per il CAI la guida Alpi Retiche Occidentali affidandone la redazione per il gruppo del Bernina al prof. Alfredo Corti, era stato coinvolto fin da subito in quell’iniziativa, e ci aveva diligentemente messo del suo; Corti ricorda infatti che «un forte impulso al progettato lavoro venne quando il mio amico, l’Ing. Aldo Bonacossa, che unisce in pari la valentìa alpinistica alle conoscenze di studioso, vi apportò largo e prezioso contributo di notizie». I due, però, non si limitarono ad una collaborazione “a tavolino”, ma ebbero pure qualche occasione per approfondire insieme sul terreno la conoscenza del gruppo. Datano alla fine del primo decennio del ‘900 alcune loro ascenAldo Bonacossa (1885-1975) 15 Personaggi Speciali sioni, al pizzo Sella e al Roseg piuttosto che ai Gemelli allo Zupò e alle cime di Musella. Bonacossa, fra quelle montagne, si legò pure in cordata col chiavennasco Rino Rossi; insieme salirono per primi, nell’agosto del 1911, la parete nord-ovest del pizzo Scalino, scendendone poi la cresta nord e chiudendo la giornata con un finale acrobatico, l’attraversamento al buio del torrente Lanterna straordinariamente gonfio; fecero poi, sempre per vie nuove, il piz d’Argient e la vetta di Ron, nonché il pizzo Malenco dove c’era con loro anche Rosamund Broxford (con quest’ultima aprì pure due itinerari sul piz Varuna). Quando nel 1911 venne pubblicata la guida, il colonnello Strutt (che nel 1909 aveva salito lo Zupò con Bonacossa e che ritroveremo più avanti) scriveva al prof. Corti: «Voi siete certamente riuscito a meraviglia, insieme al vostro abile collaboratore signor Bonacossa, e non esito a dire che questa è l’opera più importante che ora esista non solo su tutto il gruppo, ma anche sulle vallate, e vi auguro molto sinceramente tutto il successo che avete così ben meritato». Non è forse inutile ricordare che Bonacossa, di quella guida, «ha, da solo, redatto il capitolo delle gite con gli ski», e che, da appassionato sciatore qual era, due anni dopo Marcel Kurz e Rudolf Staub (entrambi amici suoi), ne ricalcò in parte le orme in quella meravigliosa traversata con gli sci passata in letteratura come il “Circuito del Bernina”, partendo dall’Ospizio del Bernina e scendendo poi dalla Marinelli a Lanzada attraverso la bocchetta delle Forbici, in compagnia di Luigi Prochownick e dell’accademico Edgardo Rebora (fratello del poeta Clemente). REGIONE DELL’ORTLER Scrupolosissimo nella ricerca e nella valutazione delle fonti, mai approssimativo, Bonacossa diede il meglio di sé nella compilazione della guida Regione dell’Ortler che, «in gran parte con lavoro notturno, avevo preparata per la mia entrata in guerra come volontario nel 1915». Ancor oggi, a un secolo di distanza, oltre ad essere un volume di pregio per bibliofili, è 16 LE MONTAGNE DIVERTENTI Bianca Ceva che pubblicò la versione del Bonacossa ben cinquant’anni dopo su Il Ponte di Calamandrei – «sembra venirci incontro come l’ultimo superstite di un mondo spento, dove la testimonianza di lontani ideali che paion rievocare i cavalieri medioevali, e la aspirazione alle cose belle della natura e dell’arte, si mescolano alle note di una passione per una donna italiana, la cui immagine non cessa di soggiogare l’anima e i sensi e non lascia la sua preda neppure in un turbine di sangue e di morte». Da sx: la capanna dell'Hochjoch, il monte Zebrù, il Gran Zebrù e il monte Cevedale fotografati dal Grosser Eiskogel (1 agosto 1907, foto Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese - www.archiviocorti.it). una miniera di informazioni dettagliate, che la dice lunga sulle capacità del Bonacossa tanto di cogliere l’essenza delle relazioni alpinistiche a cui attinse, quanto di renderle nelle descrizioni, mai banali, per lo più accattivanti, delle montagne e degli itinerari. Come scrisse Luigi Brasca nella prefazione alla guida, «non era facile per lo scrivente trovare per l’Ortler uno specialista veramente competente; ma credo che tutti i colleghi chiameranno felice la scelta dell’egregio consocio conte Aldo Bonacossa, che riunisce due rare qualità: la tempra di fortissimo alpinista e quella di studioso, di critico e di scrittore. Suo è esclusivamente il merito del lavoro». Considerato che quella regione apparteneva allora in buona parte all’impero austro-ungarico di lingua tedesca, così come di lingua tedesca erano la maggior parte degli alpinisti che la frequentavano e ne scrivevano, ecco venirgli buona la padronanza di quell’idioma, perfettamente appreso durante gli anni universitari a Monaco di Baviera, così come l’aver conosciuto tanti alpinisti d’oltralpe che costituirono per lui, allora e di seguito, sicuri punti di riferimento. Tale è la minuziosità nella descrizione degli itinerari, da far pensare ad una sua frequentazione assidua e meticolosa di quelle montagne; ma in realtà, rispetto alla val Masino dove non c’è quasi vetta senza una sua via, il gruppo dell’Ortler lo toccò solo con alcune puntate alle cime principali, poco più di una dozzina, nel decennio prima della grande guerra, arricchite con alcune prime al Confinale, alla cima della Manzina, al Piccolo Zebrù e al Cevedale, che portò a compimento nel 1913 con l’amico fidato Carlo Prochownick. A maggior ragione, dunque, tanto di cappello per la sua guida! Nel darla alle stampe, siamo nel 1915, Bonacossa scriveva: «Il momento non parrebbe ben scelto: non mutano i monti, ma possono cambiare i confini politici; la Guida corre il rischio, sotto questo rapporto, di essere tra breve antiquata..».; ma prima ancora di correr questo rischio, appena fresca di stampa, le autorità militari l’avevano fatta «bloccare (eufemismo per sequestrare) forse quale materiale pericoloso ai fini della vittoria, sì che soltanto a guerra da tempo finita era venuta l’autorizzazione di renderla accessibile ai soci». Il suo vecchio amico Walter Amstutz, nel dar conto dei suoi eccellenti lavori, così scrisse di Bonacossa: «Uno dei migliori conoscitori delle Alpi, è una vera “enciclopedia ambulante”, e le sue guide insuperabili sono esempi autorevoli della sua profonda conoscenza, della sua precisione. Dove si trovano migliori descrizioni che nel suo “Bernina”, nell’ “Ortler” o nel “MasinoBregaglia-Disgrazia”?». Nessuna meraviglia, quindi, che anche Marcel Kurz, per la guida Alpes Valaisannes del Club Estate 2015 Aldo Bonacossa nel 1926 (foto tratta dal volume dal volume Aldo Bonacossa, una vita per la montagna). Alpino Svizzero abbia ritenuto di avvalersi di quell’“enciclopedia ambulante” di Bonacossa! VOLONTARIO DI GUERRA Con l’entrata in guerra, nel maggio 1915, Aldo Bonacossa parte volontario, come sottotenente del 1° Genio Zappatori. Al di là delle vicende sue personali – che lo vedono combattere e restar ferito nella zona di Tolmino, organizzare corsi di sci per gli alpini in Valle d’Aosta e seguire Luca Comerio nelle riprese di un documentario di guerra nel gruppo dell’Adamello4 – ci piace ricordare un altro 4 - Il documentario è visionabile al seguente indirizzo: http://bit.ly/1H4m5nf LE MONTAGNE DIVERTENTI piccolo episodio. Nel giugno 1916, fra le carte di un soldato fatto prigioniero sul S. Michele vi è un quaderno dove, sull’ultima pagina è scritto in ungherese: «Ho trovato questo taccuino sull’altopiano di Doberdò in mano ad un ufficiale morto. Che Dio lo benedica - 29 luglio 1915». Il resto del taccuino è però scritto in tedesco, e viene subito inviato a Udine, al Servizio Informazioni del Comando Supremo, per verificarne il contenuto. Fortuna vuole che in quegli uffici ci fosse proprio Aldo Bonacossa che, da perfetto conoscitore di quella lingua, ne fece subito la traduzione; è la testimonianza toccante di un ufficiale austro-ungarico che – come scrisse ALLA SCOPERTA DELLE ALPI E OLTRE Dopo esserci soffermati, in particolare, sull’attività alpinistica di Bonacossa nelle Alpi Retiche, e sul breve intermezzo della guerra, è ora doveroso fare almeno un cenno su altri momenti più o meno significativi della sua – per usare la definizione dell’amico Marcel Kurz – “activité debordante”. Già prima della guerra, quand’era studente d’ingegneria al Politecnico di Monaco, aveva conosciuto Paul Preuss, le cui imprese facevano scalpore nel mondo alpinistico tedesco; con lui condivideva non solo la passione per la montagna, ma anche per una miriade di altri sport, addirittura per l’automobilismo. Una volta, ricorda Bonacossa, all’approssimarsi delle vacanze pasquali che, lunghe com’erano gli avrebbero permesso «qualche bella impresa prima di rientrare in famiglia», erano entrambi del tutto squattrinati; avendo appena appena di che tornare a casa in terza classe, non c’era da far programmi, e pertanto «eravamo piuttosto depressi, specialmente io che, una volta tornato sotto il severo controllo paterno dovevo andare in fabbrica altro che montagna! Un giorno, passando per lo Stachus, mi sentii chiamare ad alta voce. Era Preuss che tutto sorridente mi annunciava di aver ricevuto da casa una certa sommetta che egli generosamente, senza che io facessi parola, volle subito dividere con me». Con Preuss, e l’amico Prochownick, nell’agosto del 1913 Bonacossa compirà poi la prima salita dell’Aiguille Blanche de Peutérey per la cresta sud-est, dalla Brèche des Dames Anglaises, lasciandone una Aldo Bonacossa (1885-1975) 17 Personaggi Speciali Luigi Binaghi, Aldo Bonacossa e Giusto Gervasutti (disegno di Luigi Binaghi). dettagliata relazione tecnica sull’Alpine Journal. L’anno prima, peraltro, era stato accolto nella ristretta schiera dell’Alpine Club di Londra. All’Alpine Club apparteneva, e ne diverrà poi presidente, anche quel colonnello Edward Lisle Strutt, che Bonacossa conobbe intorno al 1910 a S. Moritz (stava lavorando anch’egli a una guida del Bernina), e che nel 1922 fu comandante in seconda della spedizione all’Everest. Due anni dopo, nel 1924, Strutt si reca nel gruppo dell’Ortler. «Venuto a conoscenza dei miei progetti – scrisse –, il mio cortese e delizioso amico Conte Aldo Bonacossa mi incontrò alla stazione di Milano con la sua automobile e mi condusse la sera stessa a Santa Caterina-in-Val-Furva, e così feci il viaggio da Parigi in circa diciannove ore, il che deve costituire quasi un record. Io ero più che grato a Bonacossa (dove trovi un amico che ti presti la sua macchina per un tragitto di 270 km?), e ancor più alla Provvidenza per il mio arrivo sano e salvo. Il guidatore era eccellente, la velocità e la strada ugualmente terribili. Il tachimetro indicava di solito intorno ai 120 km all’ora». Lo ritroveremo poi, Strutt, in val Viola Poschiavina («una delle più incantevoli delle Alpi»), quando nel 1930 percorre per primo con Aldo Bonacossa la cresta sud-est del Corno di Campo. Soffriva ancora per le ferite riportate nella grande guerra, 18 LE MONTAGNE DIVERTENTI allora, tant’è che quando cominciarono le difficoltà e si rese conto di non poter controllare pienamente il suo braccio, evitarono il tratto più impegnativo della cresta nel vallone di Scispadus, riprendendola solo in prossimità della vetta. Dando per scontato che Bonacossa abbia salito un po’ tutte le principali vette delle Alpi, un suo tratto distintivo fu però quello di non limitarsi alle montagne più note ed attraenti, bensì di ricercare anche quelle più riposte e trascurate, talvolta più affascinanti, scoprendo spesso percorsi di classe che erano sfuggiti a tutti, «per un sapore quasi di esplorazione che riporta un poco verso i tempi eroici dell’alpinismo». NUOVEVIEMANIA Bonacossa, dopo «molti anni di uso, talora anche eccessivo, delle biblioteche alpinistiche» alla ricerca di angoli reconditi, conia un nuovo termine: “nuoveviemania”. E una nuova via, nei primi anni ‘20, s’era ficcato in testa di aprirla sul Monviso dalla parete di Vallanta. Ne fece l’oggetto di numerosi tentativi: la prima volta, nel 1922, «la comitiva in cui figura già – e bene – il milanesissimo Carlo Prochownick, si completa col pretore di Caraglio e non infrequente mio compagno di gite, avvocato Rino Rossi», il chiavennasco con cui già s’era legato nel gruppo del Bernina; ma il loro «impeto si spuntò contro una muraglia verniciata da un vetrato come si incontra raramente», e «una furibonda lite» fece sì che «quella cordata si sciolse per sempre, e ci guardammo bene dal tentarne la ricostruzione». Altro tentativo tre anni dopo. «Rossi accettò di tornare, più che per convinzione, per galanteria verso una simpatica figliola: così con Ester della Valle di Casanova affrontammo il Ferragosto 1925». Sotto le rocce del Visolotto, Bonacossa ci racconta simpaticamente che «il pomeriggio fu speso nella costruzione di un bivacco modello (leggera inclinazione per la digestione, sabbia, muricciolo riempito di terra – sono o non sono ingegnere?)». Ma quella volta, sulla parete, se la videro proprio brutta: «un rimbombo di tutte le pareti soprastanti ci fece buttar contro le rocce. Il masso che intravedemmo mi pare ora, a mente fredda, non superasse la testa di Carnera: allora, la paura ce lo fece perlomeno triplicare, come avviene ai cacciatori con la selvaggina nei giorni di nebbia». E la parete di Vallanta, vedendoli tornare ancora una volta con le pive nel sacco, se la rideva. «Questa volta, a Costigliole la cordata si sciolse definitivamente perché nemmeno motivi di galanteria poterono più indurre Rossi a perdere qualche giorno su quel Monviso donde presto lo separò il mare: presiede ora a Rodi quel Tribunale, e tante belle e più comode radunate automobilistiche». Nel 1930, con Bonacossa ci sono Vitale Bramani, Ugo di Vallepiana e Guglielmo Jervis, tutti accademici; quest’ultimo (esemplare figura di primo piano della Resistenza nelle formazioni di Giustizia e Libertà piemontesi, che nel 1944 sarà fucilato a Villar Pellice dai tedeschi) «aveva la patente automobilistica solo da un mese» e così «ebbe campo di sfoggiare la sua abilità tra i mucchi di pietre che ostruivano la strada e che di tanto in tanto obbligavano noi tre, appiedati, a scaricarne giù dalla scarpata». Bivacco scomodissimo in parete, tutta vetrata, a m 3700; ennesima ritirata. Finalmente, nel 1931, con Bramani e Luigi Binaghi «il pittore di montagna per il quale vige l’assioma “vedi Como e poi vivi”», la parete di Vallanta è superata! Estate 2015 Il rifugio Aldo e Alberto Bonacossa, eretto nel 1988 nei pressi della vecchia capanna Allievi (è l'edificio fatiscente sulla dx) in alta val di Zocca grazie a un lascito del conte che tante avventure aveva vissuto le torri di granito della val Masino (16 ottobre 2005, foto Roberto Moiola). SEGRETE BELLEZZE Nuove vie, in ogni caso, Bonacossa le apre un po’ dovunque. Come scrisse Massimo Mila, infatti, la sua «conoscenza sbalorditiva delle Alpi, insieme a un’attività la cui intensità ha del fantastico, produce una quantità tale di prime ascensioni e vie nuove, da scoraggiare ogni velleità di elencazione». Accennando solo di sfuggita, per non far loro torto, a due vie di tutto rilievo che portano la firma di Bonacossa, sulla parete nord della Grande Casse (la vetta più alta delle Alpi della Vanoise) e sulla parete ovest sud ovest dell’Aletschhorn (Oberland bernese), qui ci piace ricordarne alcune altre, che aprì in luoghi appartati a noi vicini, ricchi di segrete bellezze come la val Grosina e la val Viola, dove ebbe quasi sempre con sé in cordata una fanciulla così da render «l’ascensione ancor più piacevole combinando la grazia femminile con la bellezza alpina». Eccolo dunque nel 1921 con Maria Sbrojavacca (del nobile casato friulano), salire per primi la cresta SO della cima Viola o percorrere, dalla vetta della Piazzi, la cresta che porta al Corno Sinigaglia e da lì scavalcare i due Corni di Verva maggiori, per spaziare poi dalla Sperella al Teo, dal Saoseo al Corno Dosdé. Tre anni dopo, a condividere con Bonacossa e Antonio Polvara la traversata dal Sasso di Conca al colle di lago Spalmo, seguita il giorno dopo LE MONTAGNE DIVERTENTI dalla cima settentrionale di Lago Spalmo per cresta («una tra le arrampicate più interessanti della regione»), c’è Gigetta Matricardi, mentre nel 1949 ad accompagnare Bonacossa e Giovanni Ratti in nuovi cimenti con la Cima settentrionale di Lago Spalmo, il pizzo Matto e il Corno Dosdé ci sarà Clotilde Fusai. Un’altra “segreta bellezza” frequentata da Bonacossa, questa volta non nascosta tra le montagne ma nel cuore della città, è lo splendido edificio in stile Liberty di via Piranesi che oggi non c’è più e che aveva ospitato il Palazzo del Ghiaccio di Milano; l’aveva voluto suo fratello Alberto, campione nazionale di pattinaggio, e venne inaugurato il 28 dicembre 1923. Ad accompagnarlo su quello specchio ghiacciato ci fu anche Wally Toscanini (la figlia del celebre maestro), donna di mondo che tra le mille sue attività adorava anche pattinare; come raccontò a Camilla Cederna, «tutta vestita di lana scarlatta, ballavo il valzer sui pattini insieme ad Aldo Bonacossa». A L’È LA SUA MORUSA? E che dire di Ester della Valle di Casanova, che già abbiamo trovato al Monviso? Figlia del marchese Silvio e di Sofia Browne – musicista e poeta lui, pittrice lei, che hanno trasformato la vecchia casa del nonno a Pallanza in una villa in stile barocco napoletano con ampie terrazze a giardino, la splendida Villa San Remigio – Ester è una donna affascinante e intelligente; appassionata alpinista e sciatrice, non è certo l’ultima arrivata potendo addirittura vantare – noncurante di possibili chiacchiere quando, unica donna, si aggrega a compagnie maschili in giro per i monti – la prima traversata invernale del Gran Paradiso con Ugo di Vallepiana, Umberto Balestreri e altri. Nel 1925 è in cordata con Aldo Bonacossa a tentare senza successo in giugno la parete NO del Saoseo, per poi rifarsi il mese successivo con la parete SE della Cima settentrionale di Lago Spalmo. Ai primi di settembre si cimentano con l’inviolata cresta SE del Corno di Campo, «desistendone dopo la nostra apparizione nello Spettro di Brocken» (la vincerà, Bonacossa, quella cresta nell’ottobre del 1931, con Ninì Pietrasanta e Ugo di Vallepiana). E si arriva al Cervino. Non c’è solo Ester; ci sono anche il duca Amedeo d’Aosta e diverse guide. Tempo splendido quasi autunnale nella salita dal versante italiano, condizioni quasi invernali al ritorno per un improvviso cambiamento del tempo lungo la cresta svizzera. A Valtournanche un gruppetto di persone si fa loro incontro; «in testa al gruppo – scrive Bonacossa con reminiscenze deamicisiane – era l’avvocato Bobba, a capo scoperto, la bella figura di gentiluomo protesa in un reverente ossequio. Dietro, le sorelle celebrate da Edmondo de Amicis e qualcun altro. Il Duca si sbrigò presto, sempre però cortese, dagli ossequi; una delle sorelle squadrò Ester, poi me e senza tanti complimenti mi chiese: “a l’è la sua morusa?” Non precisamente così ma quasi: sul Cervino ci eravamo definitivamente fidanzati e dall’anno appresso siamo coniugi. Presi ambedue in giro da Amedeo che, essendo all’Università di Palermo al tempo di una celebre interpretazione del grande attore siciliano Musco, ripeteva: mi avete condotto lassù per farvi da paraninfo». A Ester Bonacossa, Etta per i suoi amici inglesi, farà cenno tanti anni dopo, nei primi mesi del 1945, il colonnello Edward Lisle Strutt che, in una missiva inviata ad Alfredo Corti allora riparato in Francia dopo la battaglia di Cogne contro i nazifaAldo Bonacossa (1885-1975) 19 Personaggi Speciali Cesare Folatti, Luigi Bombardieri e Peppino Mitta recuperano la salma del magistrato piemontese Umberto Balestreri, presidente del CAAI, morto cadendo in un crepaccio sul ghiacciaio del Morteratsch il 16 aprile 1933. L'amico Aldo Bonacossa gli succederà alla guida del CAAI fino al 1945 (17 aprile 1933, foto Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese). scisti gli chiedeva: «Avete notizie di Etta Bonacossa? So che le sue opinioni contro il fascismo erano altrettanto violente quanto le vostre, e perciò ho sempre temuto che si mettesse in qualche pasticcio». Ester, infatti, dopo l’8 settembre del ‘43 fu impegnata in prima persona, con una scelta coraggiosa, nell’aiutare ebrei e prigionieri alleati evasi dai campi a passare in Svizzera; la sua casa di Milano e la villa di Pallanza (dove fu installata una radio trasmittente per i messaggi relativi ai lanci) erano sempre piene di rifugiati. Conosciuta come “la vivandiera dei partigiani dell’Ossola”, Etta su incarico del Comando Volontari della Libertà riuscì a ottenere, all’approssimarsi della Liberazione, il rilascio di parecchi detenuti politici che si temeva venissero trucidati prima della ritirata dei tedeschi. L’amica Elda Sgarzella, che fu sua ospite a Villa San Remigio, la ricorda in quel periodo con indosso un soprabito militare, da carabiniere. «L’ho comprato al mercato, a buon prezzo, tiene un caldo! Ho tolto i bottoni. Sfido tutte le intemperie, così!». Ben altre intemperie aveva allora da sfidare, rispetto a quelle che l’avevano temprata in montagna! LO SCI Pochi ancora usano gli sci in montagna nel 1904 – lo “Ski-club Milano” è nato solo due ani prima – quando Aldo Bonacossa già se ne serviva per salire alcune cime in Sviz- 20 LE MONTAGNE DIVERTENTI zera nel cantone di Glarona; e da allora, anno dopo anno, vetta dopo vetta, si può dire che non li abbia più abbandonati, visitando «molte parti della catena alpina sull’uno e sull’altro versante, salendo vette, attraversando valichi e percorrendo vallate». Nel 1908 aveva salito il Cevedale dalla Schaubachhütte, scendendo poi a quella capanna Cedeh dove vent’anni prima suo cugino Secondo aveva assistito alla posa della prima pietra, per continuare negli anni successivi, prima della guerra fra i monti del Bernina e l’alta valle Spluga, dopo la guerra in val Grosina alla Piazzi, fra i monti del Livignasco al Paradisin e al Corno di Campo, nel gruppo del Bernina al Cassandra e alla Kennedy, giusto per non accennare che a qualche giro nelle nostre Retiche. Fece poi, vero pioniere, alcune puntate nel Gran Sasso, lasciando stupiti non solo gli abitanti del luogo ma anche gli allora poco numerosi alpinisti frequentatori di quelle montagne. Ma il chiodo fisso di Bonacossa – prendendo spunto dallo scritto di un avvocato genovese (la sua prima lettura di alpinismo) – era quello di percorrere con gli sci tutta la catena alpina dal Colle di Nava in Liguria al Mangart nelle Giulie. E così fece, un pezzo per volta però, dal momento che, sono sue parole, «al “giro” mi applicavo solo nei ritagli di tempo delle mie occupazioni». Aldo Bonacossa, come una volta ebbe a definirsi, era infatti un «uomo d’affari della metropoli», appartenente a quella famiglia di industriali originari di Dorno in Lomellina che ha legato il suo nome all’attività di lavorazione della seta, e le cui attività imprenditoriali si rivolsero poi anche al settore agricolo e a quello edilizio, successivamente al termalismo (Terme di Montecatini) e all’editoria sportiva (il fratello Alberto detenne a lungo la testata de La Gazzetta dello Sport, poi passata al figlio Cesare). Proprio con la Gazzetta ebbe a collaborare anche Aldo Bonacossa che, nella veste di fondatore e primo presidente della Federazione Italiana Sport Invernali (allora FIS), nonché di socio onorario della Federazione Internazionale dello Sci, seguì diverse manifestazioni sciistiche internazionali, come ad esempio le Olimpiadi invernali del 1928 a St. Moritz, dove per la prima volta venivano applicate le regole dello slalom, propugnate dal suo amico Sir Arnold Lunn (il “papa” dello sci britannico), o il IV Concorso FIS del 1929 a Zakopane in Polonia. LA CORDIGLIERA Oltre le Alpi le Ande, anzi – precisa Bonacossa – la “Cordillera” («in Argentina non dite mai Ande, ché arrischiate di non farvi capire»). Ci va la prima volta nel 1934, quasi cinquantenne, con un gruppo di accademici del CAAI, di cui era diventato presidente l’anno prima (reggendone le sorti fino al 1945), dopo la tragica scomparsa di Umberto Balestreri in un crepaccio sul ghiacciaio del Morteratsch. E come tale, gli viene affidata la guida della spedizione, meta le Ande cileno-argentine. Renato Chabod, Ghiglione e i fratelli Ceresa raggiungeranno l’Aconcagua; Bonacossa, Gervasutti e Binaghi andranno invece al Tronador, compiendo la prima salita del Picco Cileno; il terzo gruppo, Zanetti, Boccalatte e Brunner salirà il Nevado de los Leones. Ci torna poi nel 1937, Bonacossa, nelle Ande, questa volta con una piccola spedizione ridotta all’osso – con lui ci sono solo Ettore Castiglioni, Leo Dubosc e Titta Gilberti – ma un obiettivo davvero ambizioso: il Fitz Roy. Luoghi affascinanti, montagne e pareti seducenti: i tempi però non sono ancora maturi, quella superba torre Estate 2015 Aldo Bonacossa in val Poschiavina (foto tratta dal volume Aldo Bonacossa, una vita per la montagna, edizione fuori commercio del 1980) e, a dx, in compagnia del nipote a Cortina (1974, foto tratta dal volume dal volume Aldo Bonacossa, una vita per la montagna). granitica è un osso troppo duro. Anche se, come ricorda Castiglioni, «Aldo ha avuto un atto di generosità, di cui non l’avrei mai creduto capace: accompagnarci fino al Campo Alto, faticando per portare il forte carico, pur avendo già rinunciato all’ascensione», quando si prospetta la rinuncia cominciano screzi ed incomprensioni tra caratteri non facili. Castiglioni, pur godendo della stima di Bonacossa che gli «aveva affidato con cieca fiducia tutta l’organizzazione e la responsabilità!» (nel ‘35 peraltro avevano compiuto insieme la prima della parete sud della Rasica), lamentava «il solito ostruzionismo dei compagni» troppo arrendevoli e «i capricci di Aldo», con cui i rapporti si fanno ogni giorno più tesi; Bonacossa, dal canto suo, ricorda il temperamento scontroso di Castiglioni, il quale mal tollerava «che nella sua cordata ci fosse uno superiore a lui» e «che un altro, sebbene già pratico delle Ande, potesse figurare come capo». L’ultima puntata nella Cordigliera, Bonacossa la fece nel 1939 con Carletto Negri (di cui fu testimone di nozze) e Remigio Gerard, al confine tra il Cile e la Bolivia. Poteva ben esserne contento, perché l’inverno precedente – ricorda – «invece di andare nelle Ande, poco mancò che andassi all’altro mondo per un immeLE MONTAGNE DIVERTENTI ritato incidente automobilistico». Toccarono miniere abbandonate («quanto rame nel Cile!»), salirono il Cerro Negro con «la magrissima consolazione di avere aperto mezza via nuova alla montagna». E, forse, avrebbero potuto andare all’altro mondo per quel violentissimo terremoto, che solo li svegliò nelle loro tende sballottati come in una tramoggia, ma che nel resto del Cile fece quasi trentamila morti. UNA VITA PER LA MONTAGNA Nel 1964, quale riconoscimento per i suoi meriti di esplorazione e divulgazione alpinistica, oltre che per l’attività svolta in seno al Club Alpino (fu presidente della Commissione centrale rifugi, nonché membro della Commissione per la “promulgazione della scala delle difficoltà” insieme a Boccalatte, Carlesso, Tissi, Comici e Gervasutti), Aldo Bonacossa fu nominato socio onorario del CAI nella seduta in cui la medesima onorificenza veniva conferita ad Alfredo Corti, Günter Oskar Dyhrenfurth, John Hunt, Guido Bertarelli, e Ugo di Vallepiana. L’anno prima, anche l’Alpine Club di Londra (di cui era stato vicepresidente nel 1957), l’aveva accolto nella schiera dei soci onorari. Aldo Bonacossa se ne andò nel 1975. Aveva ancora fatto in tempo, con un lascito, a porre le basi per la costruzione di un rifugio, che verrà inaugurato dal CAI Milano nel 1988 proprio nella “sua” val di Zocca così ricca di ricordi, a fianco del vecchio rifugio Allievi, e lo intitolerà a lui ed al fratello Alberto. Nel frattempo, nel 1980, quale omaggio alla sua memoria era stato pubblicato a cura di Ruth Berger il volume Aldo Bonacossa - Una vita per la montagna dove, con una prefazione manoscritta di Maria Josè di Savoia che gli fu compagna di cordata al Castore, sono raccolti i suoi principali scritti alpinistici. Sfogliando il libro, ci piace ricordarlo nella semplicità di quella foto, a piena pagina, che lo ritrae già anziano in val Viola Poschiavina, camicia e pantaloni alla zuava, cappello in mano, sullo sfondo del Corno Dosdé, mentre guarda lontano, nello spazio, e nel tempo; così come nella tenerezza della foto alla pagina successiva dove, col nipotino tenuto per il braccio, guarda innanzi a sé verso le montagne, un occhio semichiuso quasi a voler studiare nuove vie, in un ideale passaggio di testimone tra generazioni. Aldo Bonacossa (1885-1975) 21 Scienza Speciali Raman in Valchiavenna Danilo Bersani Trasporto del Raman lungo il greto dello Schiesone (17 ottobre 2012, foto Danilo Bersani). C osa ci fanno un chimico, un fisico e un cercatore di minerali in giro per i boschi e i torrenti della Valchiavenna, trascinandosi un valigione rigido che sembra fatto per qualunque scopo, tranne che per andar per monti? F acciamo un passo indietro. Nel settembre del 2012 il collega ed amico Peter Vandenabeele, chimico e spettroscopista dell’Università di Gent in Belgio, da sempre assiduo frequentatore della valle della Mera, mi contatta per propormi un’insolita avventura. Conoscendo la mia passione per i minerali alpini, unitamente al fatto che presso l’Università di Parma io mi occupo delle stesse sue tecniche di analisi, mi propone di fare una serie di escursioni in montagna per testare un nuovo spettrometro Raman portatile con doppio laser, una caratteristica innovativa per uno strumento 22 LE MONTAGNE DIVERTENTI alimentato a batteria. La spettroscopia Raman è una tecnica molto versatile poiché è in grado di riconoscere una vasta gamma di sostanze tra cui, per l’appunto, i minerali (v. riquadro). Per una prova significativa cerchiamo una tipica meta da mineralogista dove valutare se lo strumento è in grado di riconoscere i minerali in condizioni operative considerate “standard” per chi si occupa di ricerca mineralogica. Condizioni, a dire il vero, per niente standard per chi invece di solito se ne sta in laboratorio seduto davanti a uno strumento o a un computer. La scelta della zona è facile: Peter ha una casa a Chiavenna e tutta la valle, come quelle limitrofe, è ricca di splendidi minerali (v. riquadro). Nostra guida e compagno di avventura è Alvaro Caligari di Prata Camportaccio, esperto conoscitore della valle, cacciatore, cercatore e collezionista di minerali a cui si deve il recente ritrovamento (2005) della chiavennite1. ome prima meta per i nostri test, puntiamo verso il torrente Schiesone. C 1 - Il minerale è descritto in: Sante Ghizzoni e Guido Mazzoleni, Itinerari mineralogici in Val Codera, Ed. Geologia Insubrica, 2005 Estate 2015 Batteria, laser, fibre, spettrometro e computer sono stipati in una grossa valigia rigida, che pesa ben 18 kg e che chiaramente non è progettata per le escursioni in montagna. L’idea di trasportare un oggetto del valore di varie decine di migliaia di euro, facendolo ondeggiare tra i tronchi o camminando in equilibrio precario su sassi scivolosi, non è delle più allettanti. Anche il robusto treppiede che abbiamo appresso, utile per posizionare più facilmente le fibre ottiche, fa sentire il suo peso e il suo ingombro. Ma lo scopo è proprio quello di vedere se l’aumento di prestazioni rispetto agli strumenti più piccoli vale la fatica e il rischio di portare questo spettrometro per lungo tempo in escursione, e di valutarne al contempo la robustezza. Dopo neppure un’oretta di passeggiata, con frequenti cambi di mano del portatore, iniziamo, aiutati dall’occhio attento di Alvaro, a scorgere i primi segni di mineralizzazioni interessanti. Ci sistemiamo a fianco del torrente, ai piedi di un grosso masso su cui si notato alcune belle titaniti mielate. Aperta la valigia, ne emergono le fibre ottiche, che porteranno la luce dai laser al punto da analizzare e poi indietro allo spettrometro, oltre ai comandi dei due laser e a un computer portatile. Accendiamo uno dei laser e iniziamo a fare delle prove su un bel cristallo di qualche millimetro di spigolo che occhieggia dalla superfice del masso. Lo spettro Raman della titanite risulta subito evidente, permettendoci di confermare l’identificazione “ad occhio” fatta da Alvaro (della quale non avevamo mai dubitato). Altri piccoli cristalli presenti sulla superficie delle rocce (quarzo, feldspati) vengono identificati in pochi minuti tramite il loro spettro Raman. Talvolta, a causa della troppa fluorescenza di alcuni cristalli, è necessario cambiare il laser per confermare qualche risultato poco chiaro. Usando il laser verde appaiono evidenti anche alcuni picchi dovuti a carotenoidi e molecole simili prodotti dalla microflora presente sui massi, anche quando ad occhio nudo sembrano privi di muschi o licheni. L’alta tecnologia deve però fare i conti con le esigenze pratiche di chi dovrà operare sul campo e che non LE MONTAGNE DIVERTENTI La spettroscopia Raman La spettroscopia Raman è una tecnica che consente di identificare in modo rapido e non distruttivo la composizione di sostanze solide, liquide o gassose, sia amorfe che cristalline, tramite il riconoscimento delle frequenze di vibrazione caratteristiche. I campioni da analizzare, nel nostro caso minerali, non necessitano di alcuna preparazione: possono essere Raman in laboratorio (foto Peter Vandenabeele). analizzati campioni in matrice, anche direttamente sul posto usando una strumentazione portatile. La spettroscopia Raman si basa sulla diffusione anelastica della luce: dallo scambio di energia tra un fascio laser che viene fatto incidere sul campione e le vibrazioni delle molecole che lo compongono (o del reticolo cristallino, nel caso di un minerale) si possono ricavare le frequenze di vibrazione caratteristiche del materiale analizzato, consentendone l’identificazione. L’analisi avviene in tempi molto rapidi (spesso inferiori al minuto) e senza contatto con il campione. È una tecnica assolutamente non invasiva. I normali strumenti da laboratorio sono sistemi molto performanti, in grado di riconoscere la maggior parte dei minerali esistenti, ma sono troppo pesanti, fragili ed ingombranti per poter essere trasportati. Negli ultimi anni, la ricerca ha fatto passi da gigante per produrre spettrometri portatili, in grado quindi di studiare i campioni nel loro ambiente, senza doverli prelevare e portare in laboratorio. Questo è di grande importanza non solo in campo mineralogico, ma per esempio nelle analisi di beni culturali o in campo forense. Sono stati realizzati strumenti molto piccoli, con un peso attorno al chilogrammo, utilizzabili come fossero una pistola, ma con limitazioni operative (tipo di laser, sensore, risoluzione) che non consentono di ottenere una percentuale particolarmente elevata di successi nel riconoscimento dei minerali. Lo strumento che intendiamo mettere alla prova, EZRAMAN-I-DUAL (Enwave Optronics), è un ibrido, nel senso che ha caratteristiche molto vicine a quelle di uno strumento da laboratorio, pur conservando una buona mobilità. In particolare è, al momento, l’unico spettrometro Raman alimentato a batterie dotato di due diversi laser (emissioni alle lunghezze d’onda di 532 e 785 nm). Il doppio laser è particolarmente utile perché permette di superare una delle limitazioni tipiche degli strumenti portatili con un solo laser: molti minerali, infatti, quando sono illuminati con un solo laser possono emettere una forte fluorescenza che maschera il segnale Raman. L’utilizzo di un secondo laser, con diversa lunghezza d’onda, in molti casi evita la fluorescenza, garantendo una maggiore probabilità di successo. Misurazione spettroscopica della titatine in val Schiesone (17 ottobre 2012, foto Vandenabeele). Raman in Valchiavenna 23 Scienza Speciali sempre sono chiare ai progettisti. Una di queste è la presenza del sole: a quanto pare, a nessuno è venuto in mente che uno strumento da usare all’aperto si sarebbe potuto trovare al sole. Un sole un po’ deboluccio, vista la stagione piovosa, ma pur sempre in grado di disturbare le misure. Dobbiamo impedire alla luce ambientale di raggiungere le fibre ottiche. La soluzione migliore, tra quelle disponibili in loco, è il berretto di Alvaro. La sua forma e il suo colore scuro sembrano fatti apposta per fungere da filtro solare. E quindi, abbandonato lo scomodo treppiede, cercando di tenere ben ferma l’estremità della fibra ottica per circa un minuto, in posizione da contorsionista, con il cappello di Alvaro ben avvolto sulla mano, proseguiamo per un’oretta le nostre analisi. Soddisfatti, ma con qualche miglioria da apportare in mente, ci avviamo sulla strada del ritorno. Non prima, però, che Alvaro ci proponga una soluzione geniale per trasportare più agevolmente lo strumento: lo zaino da cacciatore. Essendo studiato per trasportare un animale di media taglia, la parte centrale dello zaino di Alvaro si può allargare notevolmente. Una volta fissata con le apposite cinghie, la scomoda valigia diventa veramente portatile. Adesso è uno spettrometro da montagna! l secondo giorno è dedicato ai minerali pegmatitici, tra i più belli e rappresentativi della Valchiavenna. Alvaro, che conosce ogni sasso della zona, ci conduce a un affioramento nei monti circostanti Prata Camportaccio. La passeggiata non è molto lunga, ma in alcuni punti la vegetazione ci costringe a usare il macete per farci strada. Per fortuna lo zaino di Alvaro ci permette di avere le mani libere. Per noi è veramente un modo diverso di fare ricerca! Arrivati sul posto, che meraviglia: la bianchissima pegmatite, attraversata da grandi lamine di mica, è piena di granati e tormaline. Si notato ancora le tracce di berilli, alcuni dei quali visti in precedenza in tutto il loro splendore, nella collezione di Alvaro. Forti dell’esperienza di ieri, abbiamo adottato una soluzione semplice ma efficace per ripararci dalla luce solare. A casa di Peter c’erano alcuni tubi in L' I 24 LE MONTAGNE DIVERTENTI la sola intelaiatura metallica a L, usati per portare pacchi ingombranti, che ci procuriamo da un commerciante locale. La giornata finisce piacevolmente in un crotto, tra pizzoccheri, formaggi e vini, con la mente rivolta al giorno dopo, in cui metteremo alla prova lo spettrometro portatile non più sui minerali, ma sul dipinto murale della chiesa di Pianazzola, in quanto uno degli ambiti in cui la spettroscopia Raman sta trovando grande utilizzo è quello dei beni culturali, grazie alla sua non-invasività. indomani ci rechiamo nell’incantevole paesino di Pianazzola per cercare di riconoscere i pigmenti utilizzati per l’affresco raffigurante San Cristoforo sulla parete esterna della chiesa dedicata a San Bernardino da Siena. L’opera è attribuita ad Andrea de Passeris di Torno (Como), datata 1492 e restaurata nel 1892. Per queste misure ci avvaliamo della collaborazione della collega ed amica Dr. Vinka Tanevska dell’Università di Skopje (Macedonia). Nonostante le precarissime condizioni di misura, abbarbicati su una scaletta appoggiata al muro, identifichiamo parecchi pigmenti tra cui blu oltremare, calcite, goethite, ematite, oltre che ossalati di calcio. Diversi abitanti del paese, incuriositi dalla strana operazione, vengono a investigare, convinti che si tratti dell’inizio di qualche operazione di restauro. Purtroppo dobbiamo deluderli, confessando che tratta solo di una campagna di misure. Ma molti se ne vanno comunque con la speranza che in qualche modo questo sia il preludio a qualche lavoro più importante. Gli spettri raccolti in questa breve ma piacevole spedizione alpina si sono rivelati molto utili per la valutazione di questa nuova generazione di spettrometri portatili. Tra un congresso e l’altro, stanno già facendo il giro del mondo e le foto della valle, dei suoi monti e dei suoi fiumi, rendono molto più gradevoli le presentazioni rispetto a un più asettico snocciolamento di puri dati scientifici. Grazie Valchiavenna per la tua splendida accoglienza, per la tua natura, per i tuoi paesi, per la tua cucina e, soprattutto, per i tuoi abitanti così ospitali. Misurazioni sull'affresco di San Cristoforo a Pianazzola (19 ottobre 2012, foto Vandenabeele). rame di piccolo diametro. Ne abbiamo tagliato un paio di pezzetti lunghi pochi centimetri da porre all’estremità delle fibre ottiche: questi non solo riparano dal sole, ma consentono anche di tenere le fibre alla giusta distanza dal campione, senza doversi anchilosare le mani nel tentativo di stare immobili. La qualità degli spettri Raman ne risulta immediatamente migliorata. Come spesso accade nei nostri laboratori, anche in questo caso strumenti sofisticatissimi vengono messi in condizione di operare al meglio grazie a pezzi di scotch, palline di pongo o cartoncini neri: l’arte di arrangiarsi non tramonta mai. In poco più di un’ora otteniamo, con entrambi i laser, ottimi spettri di quarzo, granato almandino, albite, muscovite. Solo la tormalina nera (schorlite) ci fa impazzire prima di concederci un debole picco Raman. Siamo pienamente soddisfatti. Non c’è che dire, lo strumento fa il suo dovere. Rientrati alla base, davanti a un buon bicchierino di genepì fatto in casa, ci rilassiamo facendo un po’ di spettri degli splendidi campioni della collezione Caligari (è bello quando il lavoro e il divertimento coincidono). Poi studiamo una soluzione per il trasporto dello strumento (non possiamo rubare lo zaino di Alvaro). Alla fine la scelta cade su un bastino, uno di quegli zaini senza sacco, con Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI La geologia della Valchiavenna La geologia della Valchiavenna è molto ricca, comprendendo una grande varietà di rocce magmatiche sia intrusive che effusive, rocce metamorfiche e coperture sedimentarie. In particolare sono presenti estesi affioramenti di falde pennidiche (valle della Mera, val San Giacomo) costituiti da paragneiss e da micascisti, contenenti granato, staurolite e cianite, intercalati da anfiboliti e ortogneiss, vulcaniti acide di età permiana (tra cui le cosiddette "quarziti dello Spluga") e, nella zona del bacino del Truzzo, un plutone granitico varisico Chiavennite (foto Alvaro Caligari). (metagranito del Truzzo). Attorno al passo dello Spluga e in val San Giacomo si trova una fascia di rocce quarzitiche e carbonatiche, originatesi da sedimenti risalenti a 270-180 milioni di anni fa. Nei pressi di Chiavenna affiorano rocce basiche ed ultrabasiche (complesso ofiolitico di Chiavenna) che rappresentano un lembo di rocce di mantello terrestre. Particolarmente interessante è il complesso del monte Gruf, composto in gran parte di gneiss magmatici, il quale si trovano filoni di pegmatiti, datate a 25-30 milioni di anni fa tramite tecniche radiometriche. Esse presentano un nucleo a grana grossolana, costituito da quarzo e feldspato, terminando in una coda con cavità generate successivamente da circolazione di fluidi idrotermali che, dissolvendo i minerali primari, originano nuovi minerali di più basse temperature quali zeoliti e minerali derivati dall’alterazione del berillio, come bavenite e chiavennite. Quest’ultima, un rarissimo silicato di berillio, calcio e manganese, è una nuova specie mineralogica rinvenuta in una di queste pegmatiti dello spessore di 40-120 cm e qualche metro di lunghezza. Tutta la Valchiavenna è ricca di minerali, non solo nelle pegmatiti, ma anche nelle fessure alpine degli gneiss e nelle litoclasi delle anfiboliti. Le specie rinvenute superano il centinaio. Belle titaniti si trovano in numerose località della valle, famosi sono i lucenti anatasi dell’alta valle di San Giacomo. L'alpe Groppera, sopra Madesimo, è ricca di rari fosfati , quali la lazulite dall' intenso colore blu e la arrojadite. La geologia si lega anche all’archeologia nella zona di Piuro, in cui tutt’ora si hanno importanti cave di un particolare talcoscisto noto come pietra ollare, usato fin dall’antichità per la realizzazione di manufatti di uso quotidiano (come stoviglie) o di rilevanza artistica, grazie alla sua lavorabilità e resistenza termica e meccanica. Queste rocce sono state studiate con lo spettrometro Raman, confrontando i risultati ottenuti sulle rocce locali con quelli ottenuti su manufatti provenienti da un sito archeologico bolognese e confermandone la provenienza valchiavennasca. Titanite in val Schiesone (17 ottobre 2012, foto Danilo Bersani). Raman in Valchiavenna 25 Racconti inediti di Antonio Boscacci Racconti Speciali 26 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 La Topa della Bea Testi Antonio Boscacci, disegni Luisa Angelici E ra da tanto tempo che avevo pensato di andare a vedere la Topa della Bea, ma non ero mai riuscito a trovare il momento adatto. Di certo perché ero pigro e rimandavo sempre con la scusa che avevo altro da fare di più interessante e di più urgente. Ma anche perché, onestamente, era un po’ fuori dal solito giro e per arrivarci occorreva camminare almeno 1 ora e 35 minuti. Buoni. Poi finalmente, una domenica di fine luglio, una domenica che non ero riuscito a trovare neppure la briciola di una scusa per non andarci, decisi che quella era l’occasione adatta. Presi uno zainetto e ci infilai un paio di pedule d’arrampicata, una salciccia, un panino secco, il sacchetto della magnesite e due fettucce. Perché presi anche due fettucce non lo so. Mentre stavo chiudendo la porta della baita, l’occhio mi cadde su una mela che se ne stava sull’angolo della cassapanca e così misi anche quella nello zaino. Allora abitavo ancora a Ca di Carna, nella terza baita dopo il ponte. La baita era un po’ ventilata, mi aveva detto il Gilio Scamoni che me l’aveva affittata, intendendo dire che passava un po’ di acqua dal tetto e qualche spiffero dai muri a secco. In compenso però, la spesa era minima e io mi accontentavo. Il primo temporale che aveva investito la baita di notte era stata una bella esperienza. Avevo passato tutta la notte, rannicchiato sotto un grosso ombrello. Per risolvere il problema dell’acqua avevo dovuto mettere un pezzo di cellophane sul tetto. Adesso non pioveva più dentro la baita e soprattutto non pioveva nell’angolo dove c’era il letto. Quella domenica di fine luglio, lasciai Ca di Carna sul presto, non erano ancora le dieci, e mi incamminai verso la Piana. Feci un pezzo di strada con l’Alcide Tarca, che era stato a messa giù a San Martino. L’Alcide era uno che se ne fregava dei preti e LE MONTAGNE DIVERTENTI delle suore. Gli stavano sui coglioni. Punto e basta. Però la messa della domenica non la perdeva mai. - È un’abitudine che ho fin da quando ero bambino ed è più forte di me - diceva, aggiungendo poi che male non gli aveva mai fatto. Discutemmo del tempo e del più e del meno. Lui aveva un paio di agnelli da vendere e mi chiese se conoscevo qualcuno al quale potevano interessare. - Uno potrei prenderlo io, risposi, però dovresti darmelo già pulito. - Non c’è problema, disse, per quando lo vuoi? Domani sera va bene? - Sì. Restammo d’accordo che il giorno dopo, prima di cena, mi avrebbe portato l’agnello. - Vuoi anche la frittura? - Ma sì, la faccio arrostire. - Ti devo tenere anche il sangue? - No, no, quello mi fa un po’ senso. - Sei un cretino, mi rispose l’Alcide Tarca. Quella è la parte più buona, ancora meglio dei fegatini, del cuore e dei rognoni. Sarà, però non mi ci sono mai abituato. Forse per come avevo visto uccidere da piccolo le galline. Mio zio Luciano aveva un suo metodo molto spiccio. Metteva la testa della gallina su un ceppo di legno e con un colpo di scure gli staccava la testa. Invece mia nonna prendeva la gallina tra le mani e, tenendola stretta, gli conficcava le forbici in un occhio. È il modo migliore per raccoglier il sangue, esclamò l’Alcide Tarca, anch’io faccio così con le galline. Ci salutammo davanti alla sua baita alla Piana e io proseguii lungo il sentiero che costeggiava il torrente. Dopo aver superato le acque della valle Zocca e le baite della Rasica, presi a sinistra una flebile traccia di sentiero. Era così insignificante che, fatti 50 metri, sparì. Risalii un prato e un pezzo di pascolo, poi entrai tra i pochi alberi di un bosco rado e, seguendo in qualche modo il ruggito che si attenuava della cascata di Zocca, cominciai a traversare verso destra con una lunga diagonale. Quando giudicai di non essere troppo lontano dalla mia meta, misi fuori la testa dagli alberi e mi trovai in un ampio prato-pascolo con tanti ciuffi di arbusti. Davanti a me c’era la Topa della Bea. Senza ombra di dubbio. Al centro di una vasta placca levigata si trovava una gigantesca topa di granito i cui peli non erano che degli arbusti di rosa canina. La Topa della Bea 27 Racconti Speciali Non avevo mai avuto occasione, fino a quel momento, di ammirarla da così vicino. Mi sedetti sul prato appoggiando la schiena alla placca e, mentre guardavo la valle, mi misi a ridere. Restai a sonnecchiare, con la faccia rivolta al sole, per almeno mezz’ora e poi mi allacciai le scarpette. Iniziai a salire sulla sinistra della placca seguendo facili onde solcate da lunghe striature grigie leggermente in rilievo. Poi presi una di queste strisce, più pronunciata delle altre e mi spostai verso il centro della placca, proprio là dove si trovava la topa di granito che aveva suggerito il nome di questa struttura rocciosa. Gli arbusti di rosa canina, che, come dritti e pronunciati peli, circondavano la topa, erano tutti fioriti. Le piccole rose dai cinque petali delicati ondeggiavano, seguendo lo spirare di un venticello leggero che proveniva dall’alto. A parte il lontano rimbombo della cascata di Zocca, che riempiva il paesaggio come un sottofondo leggero, l’unico altro rumore era quello del mio respiro. Ero salito un po’ troppo in fretta e mi fermai su un piccolo gradino di fianco alla Topa a riprendere fiato. Mi sedetti sulla roccia rivolgendo la faccia al fondovalle. Il sole di quel luglio caldo aveva già da tempo dissolto le poche, minute nebbie che serpeggiavano insieme al torrente. La piccola brezza che mi colpiva alle spalle mitigava un po’ il caldo. La roccia iniziava a restituire lenta- 28 LE MONTAGNE DIVERTENTI mente il calore che aveva immagazzinato ormai da qualche ora, però non era ancora caldo e lì, seduto dov’ero, si stava bene. Forse tra due o tre ore non sarebbe stato più così. Ma per adesso la situazione era perfetta. Mi trovavo immerso da qualche minuto in questa piacevole armonia, quando sentii una specie di squittio. Girai la testa e vidi un ghiro che mi osservava. Non era particolarmente spaventato dalla mia presenza e mi guardava incuriosito. Si trovava sul bordo della Topa, accanto a un ciuffo d’erba, sotto una robusta pianta di rosa canina. Anch’io lo guardai incuriosito e lui se ne accorse. Rimasi a osservarlo per alcuni minuti e lui fece la stessa cosa. Visto che la situazione non si sbloccava, decisi di riprendere ad arrampicare. Lui controllò per un certo tempo i miei movimenti e poi se ne andò, infilandosi nella topa dalla quale era venuto. Salii diritto ancora per qualche metro poi, visto che le cose cominciavano a diventare troppo complicate per i miei mezzi, mi spostai a destra verso una lunga venatura bianca. Seguendo quella, con le mani prima e poi con i piedi, raggiunsi il bordo della placca. Stavo per iniziare la discesa, quando sentii dei colpi provenire dal prato ai piedi della placca. C’era un tipo che zappava. Solo allora mi resi conto delle piante. Ce n’erano ovunque. Lui stava rincalzando la terra attorno a ciascuna pianta e probabilmente non si era accorto di me. Così credevo. Invece un suo gesto di saluto mi fece ricredere. Mi aveva visto eccome. Qualche minuto dopo lo raggiunsi. - Ti piace il mio giardino? Fu la sua prima frase. - Bello. - Si, questo è un luogo magico. Le piante crescono a meraviglia, perché c’è un giusto combinato di calore e umidità. Prima di arrivare qui, ho provato in altri posti. Non c’è paragone. E mentre parlava, piegò verso di me una pianta alta almeno due metri. - Vedi, mi disse lisciando una foglia, vedi come si è sviluppata. Vuol dire che questo è il luogo giusto. Non era la prima volta che vedevo delle piante di cannabis, ma quelle erano davvero straordinarie. Siddharta, questo era il suo nome, mi disse che se volevo, mi avrebbe fatto conoscere alcune delle vie che aveva aperto sulla Topa della Bea. Avrei dovuto solo aspettare che finisse di sistemare le ultime due piante. Era un arrampicatore sopraffino e lo capii fin dai suoi primi movimenti. Saliva con le mai allargate e le gambe sempre leggermente piegate. Gli dissi tutta la mia meraviglia per quel suo modo di arrampicare. Appoggia, guarda, appoggia. Non Estate 2015 fermarti a cercare i cristalli. E soprattutto non considerare solo il movimento che ti sta davanti. Precedi con la mente i movimenti successivi e soprattutto liberati dalla rigidità della paura. Aveva ragione. Era la paralisi della paura, una paralisi inconscia, e per questo più pericolosa, quella che di tanto in tanto mi colpiva. Allora entravo in una specie di cortocircuito e tutto diventava più difficile e disperatamente più complesso. Lui no, lui saliva leggero come se stesse meditando e, nello stesso tempo, come se avesse sciolto ogni vincolo con la roccia. Sì, quello che mi colpì subito, fu la sua leggerezza. I suoi piedi e le sue mani non spingevano sulla roccia. Lui la sfiorava. Arrampicava con la mente. Quando ritornammo al prato e ci sedemmo, gli dissi questa cosa della mente e lui mi rispose. - Fai come i pipistrelli appesi alla volta della grotta. Immaginati di guardare a testa in giù tutto quello che hai fatto fino a quel momento. Come pensi che lo vedresti? Ecco, qualcosa di simile dovresti fare con l’arrampicata. Girati a testa in giù e guarda la roccia. Tu non stai facendo una guerra. Tu non devi prendere possesso. Devi accarezzare e passare. Passare e accarezzare. Fai come la lucertola. Lei passa e nessuno si accorge del suo passaggio. Però anche lei lascia dei segni. Cercali. Ma non con gli occhi. Poi aggiunse una frase strana. - Quello che dovevo fare, l’ho fatto. Adesso tocca a te. È da tanto che ti aspetto, ma finalmente sei arrivato. Non lasciarti spaventare. Si allontanò di qualche metro, appoggiò per terra la testa e si mise sulla verticale. Restò appoggiato sulla testa, diritto senza usare né braccia, né gambe. E non disse più nulla. Siddharta se ne andò così, e io presi il suo posto. Ormai passavo lì quasi tutti i miei giorni. Avevo imparato a fare come il pipistrello e arrampicavo molto meglio di prima. Lasciata la paura, LE MONTAGNE DIVERTENTI la rigidità e la pesantezza, stavo diventando sempre più leggero. Me ne accorgevo ogni volta che ripetevo un passaggio o una via intera. Non arrivavo più in cima con l’adrenalina alle stelle. Stavo cominciando a leggere la roccia. Ogni tanto, quando sentivo che qualcosa non andava, che la difficoltà era alta oppure che la paura stava per prendere il sopravvento, mi fermavo e mi dicevo: - ma lui, Siddharta, qui, che cosa avrebbe fatto? Bastava questo pensiero per farmi distendere i muscoli della faccia e tutto diventava più facile. Le piante di cannabis crescevano bellissime. Mescolate alle macchie della rosa canina rendevano quel luogo un giardino incantato. Di solito, appena arrivato, prendevo la zappa e mi mettevo a zappare il terreno intorno alle piante, togliendo le erbacce. Era un lavoro monotono ma mi piaceva. Non lavoravo molto. Sistemavo qualche pianta poi infilavo le scarpette e arrampicavo. Come una lucertola assorbivo il calore che proveniva dalla roccia. Ero diventato molto più cosciente di quello che stavo facendo. Ma ciò che mi rendeva più felice era l’armonia che avevo trovato su quel balcone solitario e fuori mano. Anche i cercatori di funghi, che pure abbondavano nella valle, non erano mai saliti, perché non c’erano alberi, né abeti, né faggi e gli unici arbusti che contendevano lo spazio ai cespugli di rosa canina, erano alcuni maggiociondoli e dei piccoli pioppi tremuli. La mia giornata terminava quando il sole se ne andava dal fondovalle e spariva a ovest dietro le montagne. Lasciavo che le ombre salissero fino alla cascata di Zocca e si unissero alle altre che scendevano veloci dalle bastionate dell’Averta. Il luogo nel quale mi trovavo era uno degli ultimi a essere abbandonato dal sole. Allora prendevo il mio zaino e mi incamminavo verso valle. Cercavo di non fare mai la stessa strada. Una sera, mentre stavo attraversando le case della Rasica, incontrai due guardie forestali. Strano, era la prima volta che mi capitava di incontrarle a quell’ora. Per di più in cammino verso la testata della valle. Ci salutammo con un cordiale arrivederci e null’altro. Però, camminando, scoprii di essere diventato leggermente inquieto. Ma già prima di svoltare sul ponte di Ca di Carna, avevo dimenticato le guardie forestali e l’inquietudine. Per due giorni non potei salire alla Topa della Bea a causa di un lavoro che dovevo fare a Morbegno. La La Topa della Bea 29 Racconti Speciali mattina del terzo giorno, che era mercoledì, pioveva talmente forte che non misi nemmeno la testa fuori dalla baita e me ne stetti rintanato nel letto con la Jenny Rapella, che ogni tanto veniva a consolarmi e che aveva due piccole tette sode che mi facevano morire al solo pensiero che esistessero. Era da un po’ che amoreggiavamo. Dalla fine di agosto dell’anno prima, quando l’avevo incontrata per caso dal Ciccio Fiorelli, mentre comprava due panini con la mortadella. - Anche a te piace la mortadella … non c’è niente di meglio quando hai fame … Insomma l’avevo intorcigliata con uno di quei discorsi per i quali avevo una certa maestria e già quella sera a Ca di Carna, mi sollazzavo con lei. All’inizio non è che mi intrigasse tanto, a parte le tette per le quali avevo una specialissima adorazione. Poi però, con il passare dei mesi, aveva cominciato a piacermi e quando stavo troppo tempo senza vederla, ne sentivo la mancanza. Non che l’amassi alla follia, però non era nemmeno acqua fresca. Dopo aver gioppinato per tutta la mattina nel vecchio e grande letto che occupava quasi metà della mia dimora, uscii per andare a pisciare dietro la casa e vidi il sole che, in splendida forma, scendeva lungo il Precipizio degli Asteroidi. Presto sarebbe arrivato anche a Ca di Carna. - Ullallalla, urlai, entrando in casa. Arriva il sole. All’una sarà qui, forse anche qualche minuto prima. Allora devo andare, disse Jenny alzandosi a sedere sul bordo del letto e stiracchiandosi. Devo andare fino a Morbegno a prendere due polli e un coniglio per mia nonna. Ci salutammo sulla porta della baita e, seduto su un sasso, mi fermai a osservarla mentre attraversava il ponte e prendeva la strada per il Gatto Rosso. Per la prima volta da quando stavamo insieme, mi venne la tentazione di fermarla e di farla tornare indietro. Però non lo feci e mi limitai a osservarla mentre scompariva dietro 30 LE MONTAGNE DIVERTENTI una curva della strada. - Stupido, mi dissi, sei uno stupido. Quel pomeriggio lo passai dandomi dello stupido e facendo un po’ di mestieri arretrati. Preso dalla smania del fare, pensai perfino di lavare le lenzuola. Ma mi trattenni da tanto ardimento e mi limitai a lavare una camicia quadrettata, tre fazzoletti e i calzoni arancioni che usavo per arrampicare,. Ripresi a salire alla Topa della Bea. Era iniziato il mese di settembre e le piante di cannabis erano piene di semi. I primi, i più precoci, cominciavano già a cadere. Presto li avrei raccolti. Siccome non avevo altro da fare, passavo il mio tempo arrampicando o leggendo. Avevo appena Estate 2015 letto un libriccino sul comportamento sessuale del bovini e stavo finendone un altro sull’allevamento delle rane. Avevo scoperto che la carne delle rane contiene più fosforo di quelle degli animali che consumiamo abitualmente, anche più del tacchino. Trascinato dall’entusiasmo per le rane, avevo perfino trascritto la ricetta del risotto alle rane. Servivano 700 grammi di rane, che per ora non avevo, ma che mi ripromettevo di trovare nelle piccole pozze del Palü, sotto la piodessa della Romilla. Il 12 o il 13 di settembre, era un lunedì, perché il giorno prima avevo incontrato l’Alcide Tarca che tornava dalla messa, stavo attraversando le baite della Piana e camminavo seguendo con lo sguardo un filo di sole che macchiava il sentiero. D’un tratto sentii il rumore di un elicottero. Non era il solito piccolo Lama. Quello aveva un ronzio caratteristico che non poteva essere confuso con nessun altro rumore. Il Lama lo conoscevo bene, perché era usato spesso in val di Mello per l’approvvigionamento dei rifugi, per il carico e lo scarico degli alpeggi e per mille altre operazioni. Quando avevano deciso di sistemare le baite basse del Cameraccio, avevano usato un Lama per il trasporto dei materiali. Comprese le lamiere del tetto che erano lunghe sei metri. Il Lama era stato utilizzato anche per portare a valle la Palma, una mucca dell’Olindo Bianchini, che si era rotta un piede sui pascoli della Zocca, sotto la ganda del Ferro. L’avevano legata come un salame e attaccata al gancio baricentrico dell’elicottero. Era stato uno spettacolo, perché la povera Palma aveva fatto versi per tutto il viaggio e i suoi muggiti si erano sentiti fino a San Martino. Mentre cercavo di capire da dove venisse quel rumore cupo e forte, una specie di rattaptoptataptop, fui sorpassato da un’ombra nera. Era, inconfondibilmente, un grande elicottero militare. Prese terra poco dopo le baite della Piana e scesero quattro finanzieri, due forestali e quattro carabinieri. I finanzieri e i forestali avevano gli scarponi, ma gli altri le scarpe basse e lucide. Non si erano mai visti tanti militari LE MONTAGNE DIVERTENTI in val di Mello. In tutti quegli anni che ero stato lì, di carabinieri non ne avevo visto nemmeno uno e i finanzieri li avevo incontrati una sola volta al Gatto Rosso. Però non erano andati oltre il parcheggio. Più assidui erano i forestali che comparivano in valle, sempre in coppia, almeno una volta al mese e, in luglio e agosto, anche due. Seguendo un giovane maresciallo dei carabinieri, i militari si diressero verso il bar dei Fiorelli. Fu proprio in quel momento che li incrociai e riconobbi uno dei due forestali. Era l’Enrico Canu e ci si incontrava spesso al bar della Monica a San Martino. Non me lo sarei mai potuto dimenticare, perché ero stato lui che mi aveva fatto conoscere il Cannonau. - Tu non puoi capire la Sardegna, mi aveva detto, se non mangi il Carasau, il pecorino stagionato e, soprattutto, se non bevi il Cannonau. - È il vino più antico di tutto il bacino del Mediterraneo, aveva esclamato in quell’occasione. Pensavo fosse un’esagerazione dovuta al momento, invece era vero. Me lo aveva confermato anche lo Jacopo Merizzi, con il quale avevo arrampicato qualche giorno dopo sull’Albero delle Pere. Lui era un profondo estimatore della Sardegna, del Cannonau, del pecorino e in particolare … delle ragazze sarde. Mi ero fermato a chiacchierare con due ragazzi che volevano sapere del sentiero della val Torrone e mi avevano chiesto informazioni sulla Nusdeo-Taldo al picco Luigi Amedeo. Erano un po’ preoccupati, perché non avevano capito dove fosse l’attacco della via e soprattutto pensavano di non avere materiale a sufficienza. Spiegai quali erano secondo me i tiri più duri e mi soffermai soprattutto sulla fessura del tetto. Quando se ne andarono, mi sembrarono un po’ meno depressi. L’elicottero mi sorpassò di nuovo prima che giungessi alla Rasica. Mi fermai a osservarlo. Ero curioso di capire quale tipo di guerra avessero intenzione di combattere tutti quei militari. L’elicottero fece due grandi giri al centro della valle, quasi cercasse di capire che cosa fare, poi puntò decisamente verso la Topa della Bea e atterrò nel piano alla base delle placche. Solo in quel momento mi resi conto di quello che stava avvenendo. Era stata dichiarata la guerra alle mie piante di cannabis. Dichiarazione unilaterale di belligeranza, perché io non avevo dichiarato guerra a nessuno. Sta di fatto che l’esercito era lì, schierato in forze nel mio giardino ai piedi della Topa della Bea. Pensai che non fosse il caso di farmi vedere da quelle parti, quindi mi fermai alla Rasica. Mi sedetti su una panca di sasso appoggiata al muro di una baita e assistetti agli avvenimenti. Dopo un conciliabolo iniziale, i militari si distribuirono per tutto il piano e cominciarono a estirpare le mie beneamate piante. Forse non dovrei dire mie, perché in realtà le aveva piantate Siddharta, però erano tanti mesi che le curavo e ormai nutrivo per loro un grande affetto. In tutti quei mesi non mi ero mai preoccupato di contarle, ma dovevano essere almeno trecento. Il lavoro di sradicamento andò avanti per quasi un’ora. Adesso le stavano ammucchiando per farne dei fasci. Non è che vedessi bene tutte le operazioni però, quello che non vedevo, cercavo di intuirlo. Mancavano venti minuti a mezzogiorno quando sentii che stavano per ripartire e vidi i militari salire a bordo. L’elicottero si alzò. Legati ai due pattini aveva due enormi fasci di piante di cannabis. Fece un mezzo giro portandosi verso il centro della valle e prese la direzione di San Martino. Quando passò sopra le baite della Rasica, sentii un acuto ticchettio e vidi rimbalzare sui tetti decine e decine di semi di cannabis che le piante, ormai mature, avevano lasciato cadere. Sorrisi e mi grattai la testa come faccio di solito quando ero contento. L’elicottero era diventato un’arma di dispersione di massa. Pensai a come sarebbe stata lussureggiante l’anno dopo la val di Mello. Anche Siddharta ne sarebbe stato contento. La Topa della Bea 31 Speciali vieni a scoprire la montagna da dentro Lanzada appuntamenti con la tradizione Valentina Messa Miniera della Bagnada Museo Minerario e Mineralogico 11 € 8 RIDOTTO € 8 € 6 INTERO € VALMALENCO Lanzada (So) Strada per Franscia www.minieradellabagnada.it Tel. +39 0342 453243 32 LE MONTAGNE DIVERTENTI Ufficio Turistico Sondrio e Valmalenco Tel. +39 0342 451150 Comune di Lanzada Ecomuseo Estate 2015 Ad: Gian Enrico Ghilotti - Ph: Andrea Basci Porta con te questa copia di LE MONTAGNE DIVERTENTI e avrai lo sconto sul tuo biglietto d’ingresso: LE MONTAGNE DIVERTENTI “Lanzada di sera”, mercatini di prodotti locali (agosto 2014, foto Lanzada - appuntamenti con la tradizione 33 Rino Masa) Valmalenco Speciali Alpe Campagneda, mucche al pascolo dell’Azienda Agricola Pizzo Scalino (agosto 2014, foto az. Pizzo Scalino) I l territorio alpino, negli ultimi 60 anni, ha subito profondi cambiamenti dovuti al processo di industrializzazione e al turismo di massa. Se da un lato questi fenomeni hanno permesso di raggiungere rapidamente un certo benessere economico, dall’altro hanno causato una progressiva perdita di identità. Le generazioni passate, in particolare, nel giro di pochi decenni hanno visto tradizioni secolari capitolare incondizionatamente dinnanzi a una cieca corsa alla modernità. La Valmalenco, naturalmente, non è stata estranea a queste dinamiche che portano a contrapporsi gli animi più rivoluzionari e proiettati al consumismo più sfrenato a quelli che, invece, sono più legati a un viver lento e alle tradizioni di un passato che, comunque, non può e non deve essere dimenticato. In Valmalenco sono pertanto nate numerose realtà che si adoperano, in forma di volontariato, per recu- perare tutte quelle tradizioni che stanno pian piano scomparendo e, allo stesso tempo, per valorizzare l’identità storica e alpina della valle. Associazioni, comitati, pro-loco, commercianti si alternano in un can can di eventi e manifestazioni lungo tutto l’anno, con un duplice obiettivo: da un lato riportare alla memoria delle comunità locali una realtà passata che ha definito l’identità della Valmalenco e della sua gente, rafforzando il senso di appartenenza al territorio e contrastando il processo di globalizzazione in atto oggi; dall’altro, far conoscere ai turisti le peculiarità di una memoria storica che ritroviamo ancora oggi in molti aspetti della vita economica e sociale della valle. IL FUTURO PUÒ NASCERE ANCHE DALLA VETRINA DI UN PICCOLO NEGOZIO DI MONTAGNA Tutti i venerdì del mese di luglio e i mercoledì del mese di agosto 2015, Sagra di Vetto, dimostrazione degli antichi mestieri: filatura della lana (3 agosto 2013, foto Rino Masa). 34 LE MONTAGNE DIVERTENTI Dimostrazione di antichi mestieri: cerchiatura dei lavec' (31 luglio 2014, foto Rino Masa) ore 19 - Alimentari Masa, Vetto (fraz. Lanzada - info: 0342 453389 / 348.5637642, www.alimasa.it) Dopo il successo dei laboratori organizzati nelle ultime estati, l’Alimentari Masa di Vetto propone anche quest’anno alcuni appuntamenti con l’arte gastronomica del territorio. Primo fra tutti l’incontro dedicato alla bresaola, tra i simboli della tavola valtellinese. “I partecipanti potranno assistere alla preparazione della bresaola e scoprire le antiche tecniche che ancora oggi rendono unico questo prodotto: l’uso del sale per insaporire, ma anche per conservare, l’asciugatura al sole, la stagionatura in cantina. Rispettare i tempi naturali è garanzia della qualità di un prodotto genuino e dal sapore unico”, ci spiegano Francesco e Mario Masa. Non solo, ai laboratori vengono affiancate serate di cultura generale legata al territorio: storia della cucina di montagna, turismo alternativo in Valmalenco, la tradi- Concerto nella miniera della Bagnada (28 settembre 2013, archivio fotografico Comune di Lanzada). Estate 2015 Lavec' di varie forme e misure esposti a “Lanzada di sera” (25 luglio 2012, foto Rino Masa). zione del vino in Valtellina, sono solo alcuni degli appuntamenti che coloreranno le serate estive di Vetto. Non si tratta di una rievocazione nostalgica di tempi passati, ma della valorizzazione di un patrimonio culturale senza eguali, che deve essere tramandato e comunicato. E per far questo, la famiglia Masa si avvale di un salotto d’eccezione: l’antico negozio del nonno, con attrezzature e scaffali originali del primo dopo guerra (anni ’20) che, dopo un restauro conservativo, farà bella mostra di sé durante le degustazioni e sarà vetrina della tradizione alpina. CONCERTO IN MINIERA 18 luglio 2015, miniera della Bagnada (Lanzada), ore 15 (prenotazione obbligatoria presso il Comune di Lanzada, tel. 0342.453243 o il Consorzio Turistico, tel. 0342.451150) La Bagnada è la prima miniera aperta alle visite in sotterraneo della provincia di Sondrio. Il recupero e la valorizzazione della miniera di talco si è concluso alcuni anni fa e, da allora, sono già stati registrati migliaia di ingressi. La visita al museo, possibile con prenotazione obbligatoria (info: www.minieradellabagnada.it), si articola in tre diversi momenti: percorso con guida nelle gallerie della miniera, museo minerario dove sono esposti gli oggetti del lavoro quotidiano, e museo mineralogico, dove sono esposte alcune collezioni dei principali minerali della Valmalenco. La visita guidata in galleria è sicuramente la parte più affascinante: le storie e gli aneddoti raccontati dalla guida disegnano nel dettaglio una squadra di minatori, impegnati nelle fatiche di ogni giorno, di cui, man mano che si procede all’interno della galleria, passo dopo passo, sembra di condividere la fatica, le soddisfazioni e la memoria. Da alcuni anni, il Comune di Vetto - AliMasa, laboratorio dedicato alla bresaola (8 agosto 2012, foto Rino Masa). LE MONTAGNE DIVERTENTI Dimostrazione di antichi mestieri alla sagra di Vetto: pittura su sasso e legno (3 agosto 2013, foto Rino Masa). Lanzada, in collaborazione con Ambria Jazz, organizza un appuntamento musicale nel camerone della miniera della Bagnada. Il concerto, che in questa edizione vedrà esibirsi Willian Lenian (USA) al basso acustico e Nicole Johanntgen (Germania) al sax, registra ogni anno il tutto esaurito. I posti disponibili sono 120. PICCOLE MANI IN PASTA 23 luglio, 6 e 20 agosto 2015, premiata pasticceria Gianoli Lanzada, ore 16.30 (prenotazione obbligatoria, info: 0342.453184) Punto di riferimento in tutta la Valmalenco, la Premiata Pasticceria Gianoli di Lanzada testimonia una tradizione legata all’arte dolciaria da diverse generazioni. Gli strumenti di lavoro si sono modernizzati, ma le tecniche di lavorazione ripercorrono gli stessi insegnamenti di chi per primo realizzò le ricette, poi tramandate Vetto – stagionatura di salumi e formaggi secondo tradizione nella cantina di AliMasa (8 agosto 2012, foto Rino Masa) Lanzada - appuntamenti con la tradizione 35 Valmalenco Speciali Il poliedrico giocoliere ed equilibrista Marco Neri si esibira’ a Lanzada il 13 agosto (estate 2014, foto archivio Melarido). Manifestazione “Lanzada di sera”, mercatini di prodotti locali (25 luglio 2012, foto Rino Masa). oralmente da padre in figlio. "Piccole mani in pasta" sono 3 appuntamenti dedicati ai bambini perchè imparino a realizzare i dolci della tradizione malenca e portino avanti il patrimonio e le memorie dei loro nonni. la dimostrazione delle tradizionali fasi di lavorazione del latte (dall'accudire la mandria di mucche e vitelli, alla mungitura, per poi passare alla trasformazione del latte in prodotti caseari). le danze, mentre poliedrici artisti di strada sapranno entusiasmare gli animi di grandi e piccini con spettacoli di fuoco, strabilianti numeri acrobatici e prove di giocoleria su trampoli e attrezzi particolarmente originali. L’ARTE DELLA CUCINA VALTELLINESE LANZADA DI SERA...ASPETTANDO LA MEZZANOTTE! 4 e 12 agosto 2015, ore 17 - piazzale Minimarket Nani, Lanzada (info: 0342.453270) Sciàt, pizzoccheri e taròz. Simboli della cucina valtellinese, rappresentano tutta la genuinità del territorio attraverso i loro primari ingredienti: il formaggio e il burro d’alpe, le patate, il grano saraceno. Il minimarket Nani di Lanzada propone due incontri: il primo dedicato alla preparazione di sciat e pizzocheri, il secondo a quella dei taroz: un vero e proprio laboratorio dove i più curiosi potranno combinare teoria e pratica e imparare l’arte del mestiere. 9 agosto 2015, Lanzada centro, dalle ore 18.30 (info: 342.9534945) Terza edizione di un appuntamento eno-gastronomico, una vera e propria cena itinerante a km 0 promossa dall’associazione E20 Lanzada in collaborazione con i commercianti del comune di Lanzada. «L’idea spiega Luciano Gaggi, presidente dell’associazione - è quella di far conoscere ai nostri turisti le bontà culinarie di questa valle. La maggior parte dei nostri commercianti sono anche produttori dei prodotti che vendono: dalle carni di allevamenti locali, ai formaggi vaccini e di capra, ai salumi di selvaggina. Chi prenderà parte all’evento, avrà la possibilità di assaggiare alcuni tra i prodotti più genuini e tipici del nostro territorio, scegliendo tra un’ampia offerta, e acquistare in loco le prelibatezze preferite per portare a casa un po’ di tradizione alpina”. Nel corso della serata sarà inoltre possibile assistere alla lavorazione del latte, alla preparazione dei salumi o alla realizzazione di prodotti di artigianato locale quali i pedü, tradizionali calzature malenche fatte di pezza, e i lavec'. Ad animare la serata, infine, le note di una fisarmonica apriranno COSÌ FACEVANO I MAGNÀN 13 agosto 2015, piazza del Magnan - Lanzada, dalle ore 19 (info: 342.9534945) Per antonomasia si indicano gli abitanti di Lanzada con l'epiteto magnàn (stagnino o calderaio), in quanto era la professione caratteristica degli uomini di questa comunità. Il magnàn era l’artigiano ambulante che aggiustava pentole, paioli, utensili di rame e altri attrezzi da cucina, tra cui i lavéc', contenitore in pietra ollare che i magnàn acquistavano direttamente dai tornitori, munivano di cerchiatura e vendevano agli utilizzatori finali. La vita del magnàn, ritmata dal suo peregrinare di paese in paese, rappresentava era assai singolare, con un proprio codice d’onore e un senso di spiccata solidarietà verso il gruppo di appartenenza e il territorio. Il calmùn, il gergo che permetteva ai magnàn di comunicare tra loro senza farsi comprendere dagli estranei, ne fu un chiaro esempio. Oggi questo mestiere resta solo nei racconti degli anziani, ma ha lasciato traccia indelebile nella cultura di un paese e nel legame tra i suoi abitanti. La manifestazione "Così facevano i magnàn...", organizzata dall’associazione E20 Lanzada, vuole quindi essere un pretesto per rivivere il passato e festeggiare la comunità dei magnàn. Carni e selvaggina cotte secondo tradi- ...DAL BIANCO LATTE! 6-13-20-25 agosto 2015, Campagneda (Lanzada), ore 7.30 (prenotazione obbligatoria, info: 340.8677626) Torna anche quest'anno l'appuntamento "... dal bianco latte!", l'occasione per trascorrere una giornata in alpeggio insieme agli allevatori di Lanzada. Con ritrovo alle ore 7.30 presso l'alpe Campagneda di Lanzada l'Azienda Agricola Pizzo Scalino organizza una visita all'alpeggio con 36 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 Sagra di Vetto: degustazione di salumi nelle trune del paese (3 agosto 2013, foto Rino Masa). zione su piode di serpentino e nei lavec', a garanzia di una cena genuina e dall’antico sapore alpigiano contornata dal mercatino che colorerà la via principale del paese di Lanzada. MOSTRA SCAMBIO DI MINERALI 22 e 23 agosto 2015, scuola elementare di Lanzada, dalle 13 alle 23 (sabato) e dalle 9 alle 17 (domenica) Organizzato dall'Istitito Valtellinese di Mineralogia Grazioli, con la collaborazione del comune di Lanzada, questo evento offre a tutti gli appassionati di minerali, ma anche ai curiosi neofiti di questo mondo, la possibilità di osservare e acquistare rari pezzi da collezione. Uno tra tutti il demantoide, oggi emblema della Valmalenco, un’eccellenza nel panorama mineralogico europeo. Ad animare la serata di sabato ci penserà l’associazione E20 Lanzada con una cena aperta a tutti a base di pizzocheri, presso l’oratorio di Lanzada, e mercatini sotto le stelle lungo le vie del paese. SAGRA DI VETTO Agosto 2015, Vetto (frazione di Lanzada), ore 19 (testo di Rino Masa - info: www.sagradivetto.it) Nel giugno del 2006 alcuni frazionisti di Vetto si incontrarono per pensare a qualche attività da proporre nel periodo estivo. Dopo discussioni e qualche perplessità nacque l'idea di una sagra a base di prodotti tipici e originali. Originale, seppur LE MONTAGNE DIVERTENTI Sagra di Vetto: visitatori lungo il percorso che si snoda nelle trune della frazione (3 agosto 2012, foto Rino Masa). inizialmente poco condivisa, anche la proposta di un evento itinerante (senza posti a sedere) per le vie della vecchia contrada di Vetto e la degustazione di tanti piccoli assaggi al costo di 1euro ciascuno. La prima edizione è stata preparata in due serate, così, senza aspettative e grandi preoccupazioni. Il pensiero di fondo era “tanto non viene nessuno”. Avevo incaricato mia mamma di fare i taròz e di farne tanti. Pensavo a quel bel pentolone in cantina, lei invece, meno ottimista, credeva quello più piccolo fosse già troppo grande. Al momento di portare il prodotto in piazza, i vari visitatori già arrivati con largo anticipo e richiamati da chissà quale aspettativa, si sono letteralmete buttati nella pentola, rubando cucchiaiate di taròz fumanti e lasciando la Natalina quasi sconcertata. Praticamente quelli che erano in fila per l'assaggio, sono rimasti a bocca asciutta. Le altre postazioni, un pochino più fornite di prodotti hanno fronteggiato gli affamati per un po' più di tempo, ma anche per loro il banco si è svuotato quasi subito. Questo anche perchè le razioni che dovevano essere assaggi da 1 euro ciascuno, causa l'inesperienza, erano razioni normali. Solo le frittelle di menta della Ines, quelle di mela della Elsa, Lucia e Angela, e i tortelli con la marmellata della Gemma hanno tenuto banco perchè la preparazione era continua e in diretta. Da quella bella esperienza di dieci anni fa di strada ne abbiamo fatta tanta. Non è facile capire come la piccola frazione di Lanzada riesca a organizzare e gestire un evento così caratteristico e originale della Valmalenco, ma un segreto sta sicuramente nella capacità di aggregazione e nell'impegno di una intera comunità. Ora i preparativi durano una settimana, senza contare il tempo dedicato all'organizzazione, e il giorno dell'evento (il primo sabato del mese di agosto) sono circa 150 le persone impegnate sul campo: ragazzini, donne, uomini e anziani. Tutti gli anni si aggiunge qualche novità o pietanza che caratterizza e incuriosisce: il cic' di polenta, il pan puciàt con l'uovo, le frittelle di menta, gli gnocchi con il cucchiaio, la minestra d'orzo, la trota in carpione, la pancetta arrostita, la birra distribuita in suggestivi e antichi locali, le tisane, il sapone artigianale, la pesca a sorpresa, l'intrattenimento per i bimbi, le gigantografie, le luci, i nuovi percorsi... L'architetto sondriese Giuseppe Galimberti così riassume l'essenza di questa manifestazione: “Le foto appese ai muri portano a valutare la necessità di vedere il territorio come continuità, continuità anche di intenti. Mantenere intatta la ricchezza del paesaggio da sentire come base del turismo fatto da visitatori è compito di chi abita un territorio. Seduto con mia moglie sulla panchina nella piazzetta mangiamo frittelle alla menta: la montagna sa ancora accomunare chi da troppo tempo ha scelto di vivere da separato, una signora mi dice che nel condominio di Milano lei non conosce nemmeno chi sta nell'appartamento accanto, mi confessa che qui lei sente di essere viva”. Lanzada - appuntamenti con la tradizione 37 Speciali Alta Valtellina Monte Zebrù Il monte Zebrù è la possente montagna bifida che s'erge tra l'Ortles e il Gran Zebrù, da cui è separato rispettivamente dal Giogo Alto e dal passo di Solda. Per paragone con il più alto vicino, molti lo chiamano Piccolo Zebrù. Vi proponiamo la traversata del Piccolo per cresta, da SE a NO, dal passo di Solda al Giogo Alto, toccando entrambe le cime della montagna (m 3721 e m 3740): un'itinerario piuttosto lungo con tratti di roccia particolarmente friabile. Beno 38 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 In traversata dalla cima SE alla cima NO del monte Zebrù dopo una recente nevicata (10 settembre 2014, foto Beno). LE MONTAGNE DIVERTENTI Traversata del monte Zebrù (m 3724 - m 3740) 39 Alpinismo Gran Zebrù (3851) Ortles (3905) Hoc hjoc h-G rat Monte Zebrù cima NO (3740) cima SE (3724) S Giogo Alto (3527) ul n de gra t 3752 3645 st fr Gh. di Ze br ù O ve Passo di Solda (3427) an a d el la p u n Gh. de lla M in i er ta G h. di rù Est Zeb a T hu Rifugio V Alpini (2878) rw ie se r 20 VA L M A R 04 È 40 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 Ortles, monte Zebrù e Gran Zebrù dal monte Confinale. Indicato in rosso il tracciato dell'escursione descritta in questo articolo, in giallo il sentiero che dal passo di Zebrù porta al rifugio V Alpini, un'interessante variante Traversata d'accesso (15 del settembre 2014, foto (m Beno). LE MONTAGNE DIVERTENTI monte Zebrù 3724 - m 3740) 41 Alpinismo Alta Valtellina BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: Niblogo (m 1600). Itinerario automobilistico: da Bormio, percorrere la ex SS 300 (ora SP 29) del passo di Gavia in direzione di Santa Caterina Valfurva. Giunti a San Nicolò Valfurva, seguire i cartelli gialli indicanti “Parco Nazionale dello Stelvio” e “Rifugio 5° Alpini”, svoltando (2,5 km dall'uscita di Bormio) a sx per Madonna dei Monti. Dopo 2,5 km si giunge alla frazione di Niblogo, dove si trova un ampio parcheggio per Hammer euro 5. Itinerario sintetico: Niblogo (m 1600) ristoro Zebrù (m 1680) - rifugio Campo (m 2000) - baita dei Pastori (m 2168) - rifugio V Alpini (m 2878) - passo di Solda (m 3427) - monte Zebrù cima SE (m 3724) - cima NO (m 3740) - Giogo Alto/bivacco Città di Cantù (m 3535) - rifugio V Alpini (m 2878) - baita dei Pastori (m 2168) rifugio Campo (m 2000) -Niblogo (m 1600). Tempo previsto: 17-18 ore per l'intero giro. Attrezzatura richiesta: corda (almeno 30 m), 3-4 fettucce, un paio di moschettoni, utili 2-3 friend medi, 2 chiodi da ghiaccio, piccozza, ramponi, imbraco e casco. Difficoltà/dislivello: 5- su 6 / 2200 m in salita, sviluppo molto lungo. Dettagli: Alpinistica D-. Itinerario molto lungo e isolato. Richiesta ottima conoscenza della progressione alpinistica in conserva su cresta. Pendii di neve/ghiaccio fino a 45°-50°, passi su roccia (talvolta molto friabile) di II, III e IV. Assolutamente da non sottovalutare la discesa per la via normale (crepacci), specialmente in caso di scarsa visibilità. Mappe: - Tabacco n. 08 - Ortles/Cevedale, 1:25.000; - Kompass n. 72 - Ortles/Cevedale, 1:50.000. Val Zebrù: Niblogo e baite di Campo (29 ottobre 2014 e 5 giugno 2012, foto Giacomo Meneghello). S tretto sul confine provinciale tra i colossi dell'Ortles e del Gran Zebrù, il monte Zebrù, sebbene abbia quota e portamento importanti, è inevitabilmente diventato la cenerentola del gruppo. È frequentato più come meta di consolazione, che per essere alpinisticamente ambito, tant'è che molti lo chiamano Piccolo Zebrù per distinguerlo e forse ulteriormente screditarlo rispetto all'ingombrante fratello maggiore. Il monte Zebrù ha meno difficile via normale delle triade, adatta anche alle comitive numerose che però, alla fine, si soffermeranno in vetta ad ammirare i famosi vicini o l'affilata cresta della punta Thurwieser. Quella che vi suggeriamo è una traversata del monte Zebrù, da SE a NO, per creste aeree e friabili, alpi- 42 LE MONTAGNE DIVERTENTI nisticamente interessante quanto la Suldengrat (con cui ha in comune il punto d'attacco, ovvero il passo di Solda), ma decisamente meno conosciuta e frequentata. Un'occasione per rivalutare la montagna e percorrere il tratto mediano della incredibile traversata integrale Gran Zebrù - monte Zebrù - Ortles, che Louis Friedmann1 compì per primo con A. von Kraft il giorno di ferragosto del 1893 impiegando sole 20 ore! Mentre nello scorso numero autunnale della rivista2 per giungere al passo di Solda (m 3427) eravamo partiti dall'Albergo dei Forni (m 2178), passati per il rifugio Pizzini (m 2700) e attraverso i colli delle Pale Rosse (m 3379) e della 1 - Raffaele Occhi, Louis Friedmann, LMD n.30 Autunno 2014 - pagg. 10-17. 2 - Beno, Gran Zebrù (m 3851) per la Suldengrat, LMD n.30 - Autunno 2014 - pagg. 36-49 Miniera (m 3353)3, questa volta ci incammineremo a piedi da Niblogo (m 1600) e, dopo aver percorso tutta la val Zebrù e toccato il rifugio V Alpini (m 2878), saliremo al valico per il ghiacciaio di Zebrù Est. Questo itinerario d'avvicinamento, più semplice anche se più lungo di quello per la val Cedeh, richiede circa 7 ore di marcia e rende perciò oppurtuno per i meno allenati valutare un pernottamento intermedio al rifugio V Alpini4. Per dirla come il poeta: la val Zebrù, bella, incontaminata, ma non finisce più. E in effetti, quando si lascia l'auto a Niblogo e si inizia a camminare lungo la strada sterrata (bandiere 3 - Questo tragitto richiede 5 ore e mezza e presenta passaggi ripidi su neve e ghiaccio. 4 - Tel. 0342929170 - www.rifugioquintoalpini.it. Il rifugio V Alpini è raggiungibile anche dall'Albergo dei Forni passando dal rifugio Pizzini e per i passi dello Zebrù (ore 4). Estate 2015 bianco-rosse, sentiero n. 29), si viene colti da sconforto, sebbene quello che si andrà a visitare è il settore naturalisticamente più importante del parco nazionale dello Stelvio. Nove lunghi chilometri con pochissimo dislivello separano Niblogo dalla baita del Pastore, lungo i quali, di tanto in tanto, una jeep navetta o qualche bicicletta ricordano che ci sono possibilità di lenire le fatiche dell'avvicinamento5. a Niblogo (m 1600) traversiamo (N) in quota sopra l'incassato alveo del torrente Zebrù, che scavalchiamo al ponte di Peceneccio6. La val Zebrù inizialmente è stretta, angusta e sconvolta da frane e smottamenti ogniqualvolta le piogge ne dilavano i fianchi, ma dopo le baite di Zebrù si apre. Il paesaggio diventa più D 5 -Autonoleggio per la val Zebrù: Michele Bertolina (347-8012827). 6 - Qui si trova la “Porta del Parco”. LE MONTAGNE DIVERTENTI dolce e alterna prati, pascoli e boschi di aghifoglie; tuttavia la dirupata dx orografica, con le vertiginose pareti calcaree di monte Cristallo, punta Payer e cime di Campo, incute un certo timore. Oltre il ponte di Pecè, siamo presto a Pramighen, dove il torrente ha creato un ampio pianoro alluvionale. Sopra le baite vi sono notevoli esemplari di pino cembro che si dice abbiano più di 200 anni. Insistiamo nel fondovalle lungo la carrareccia e siamo così alle baite di Campo, dove si trova il rifugio Campo (m 2000, ore 2). Due tornanti e, con un mezzacosta in dx orografica, la strada ci porta alla baita del Pastore (m 2168, ore 0:30), posta su una costola erbosa allo sbocco della valle del Rio Maré. Seguendo il sentiero (NE) che taglia i tornantini dell'aerea carrozzabile della val Maré guadagniamo quota dapprima tra i pascoli poi, oltre la colata della frana della Thurwieser, tra i ghiaioni. Chissà a quale orrido spettacolo avremmo assistito se ci fossimo trovati qui alle ore 13:41 del 18 settembre 2004 quando, dopo anni a brontolare e dare avvisaglie, dalla cresta SE della punta Thurwieser si sono staccati e sono crollati a valle 2 milioni e mezzo di metri cubi di rocce! Il materiale franato da quota m 3600 ha subito innescato una rock avalanche che ha fatto percorrere ai detriti 2,9 km lungo la val Marè fino a m 2235. Nell'evento quasi apocalittico è inoltre stata coperta per circa 650 metri la fronte del ghiacciaio di Zebrù, che negli anni a seguire ha mostrato elavatissimi valori di ablazione differenziale tra le zone coperte e quelle sgombre da detrito. Anche dopo la frana del 2004 la Thurwieser ha seguitato a sputar rocce e rumoreg- Traversata del monte Zebrù (m 3724 - m 3740) 43 Alpinismo giare, lasciando presagire nuovi possibili crolli di notevole dimensione.7 A m 2525 vi è uno slargo: da qui un tempo partiva la teleferica per il rifugio V Alpini, ora dismessa e sostituita da una staffetta gip-motocarriola. Rischiara e il percorso, che corre lungo il cordolo dell'antica morena, si fa sempre più ripido. Alla nostra dx si illuminano le guglie calcaree del Picco V Alpini, mentre alle nostre spalle il sole ha già fatto visita alla cima della Manzina e al monte Confinale. Dopo averlo contornato da dx, rimontiamo lo sperone roccioso su cui sorge il rifugio V Alpini (m 2878, ore 2). Questa struttura fu la prima ad essere costruita nel gruppo OrtlesCevedale. Eretta nel 1884 col nome di capanna Milano, subì molti danni durante la Grande Guerra. Al termine del conflitto Guido Bertarelli8 si impegnò a recuperarla realizzando un edificio più capiente. Questo fu terminato nel 1939 e intitolato al battaglion V Alpini, con cui Bertarelli aveva combattuto, in memoria di tutti i compagni caduti nel conflitto. Ci sediamo all'esterno a contemplare le nebbie che si inseguono sulle cime. Giorgio mi racconta che di tanto in tanto attorno al rifugio si aggira una volpe così domestica da prendere il cibo direttamente dalle mani delle persone. A parte i custodi, in val Maré oggi non c'è nessuno; nemmeno la volpe si lascia vedere. Se il cielo è minaccioso ben in pochi si azzardano a salire quassù, e anche quando il tempo è buono ci pensano i siti porno-meteorologici a rilasciare quei bollettini catastrofici che fanno tante visualizzazioni e seminano il panico tra gli escursionisti. Si dovrebbe tuttavia imparare ad essere meno meteopatici e considerare che una giornata di pioggia sui monti è sempre meglio che una di sole chiusi in casa o in qualche centro commerciale. Dal rifugio puntiamo a NO verso la selletta di quota m 2943, evidenziata 7 - La frana della Thurwieser in AA.VV., I ghiacciai della Lombardia. Evoluzione e attualità, HOEPLI, Milano 2012 - pag. 220. 8 - L’edificio sussidiario, che si trova poco sotto il V Alpini, dopo la ristrutturazione sostenuta dalla famiglia Bertarelli, fu nel 1969 dedicato alla memoria di Guido Bertarelli, alpinista e presidende del CAI Milano dal 1938 al 1945. 44 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Valtellina Cima della Manzina (3318) Il primo tratto della ripida rotabile che dalla baita del Pastore sale in val Maré verso il rifugio V Alpini. Sullo sfondo la val Zebrù (25 luglio 2014, foto Giacomo Meneghello). Punta Thurwieser (3652) Il rifugio V Alpini, ex capanna Milano, è il primo rifugio costruito nel gruppo Ortles-Cevedale. Fu infatti edificato nel lontano 1884 (25 luglio 2014, foto Giacomo Meneghello). Giogo Alto (3527) Ai piedi dell'immane frana scesa nel 2004 dalla punta Thurwieser. 2,5 milioni di metri cubi di roccia da m 3600 sono arrivati fino a circa m 2235 (25 luglio 2014, foto Giacomo Meneghello). Monte Confinale (3370) Monte Zebrù Dalla bocchetta sopra il rifugio V Alpini uno sguardo sul monte Zebrù e sui ghiacciai di Zebrù. All'estrema sx fa capolino la punta Thurwieser (25 luglio 2014, foto Giacomo Meneghello). Verso il passo di Solda (27 agosto 2014, foto Beno). In val Marè verso il rifugio V Alpini (25 luglio 2014, foto Giacomo Meneghello). Estate 2015 Passo di Solda (3427) LE MONTAGNE DIVERTENTI da un palo con bandierine tibetane. Dopo poco siamo sulla vedretta di Zebrù Est9. Di solito questo ghiacciaio è molto crepacciato, ma oggi le fauci gelate son tutte chiuse. Il passo di Solda è ben visibile a ENE. Ci portiamo ai piedi della rampa-canale che vince i 200 metri di dislivello per il valico (pendenze fino a 40°, attenzione alle frequenti scariche di pietre). La neve è dura, procediamo veloci. Giorgio è in formissima e mi tira il collo. Sono un po' preoccupato sia per l'andatura, sia per le previsioni meteo che danno una perturbazione in arrivo mentre noi ci stiamo andando ad infilare su una via di cui non conosciamo né lunghezza, né difficoltà, o meglio, su cui abbiamo ricevuto informazioni discordanti tra loro. Raggiunto lo spartiacque con l'Alto Adige (passo di Solda, m 3427, ore 2), spendiamo qualche secondo ad ammirare la Suldengrat e a soffiare sul té caldo della thermos per non scottarci la lingua. A N della Suldengrat emerge il testone nevoso del Mitscherkopf, che viene percorso da quelli che fanno la "Suldengrat lunga", mentre quella dal passo di Solda è detta "Suldengrat corta". È sorprendente pensare che gli Alpini durante la Grande Guerra stessero scavando un tunnel nel ghiaccio che dal passo di Solda avrebbe dovuto raggiungere proprio il Mitscherkopf da cui avrebero potuto tenere d'occhio e a tiro gli austriaci! L'opera non fu mai ultimata perchè distrutta preventivamente dagli imperiali. Torniamo però alla nostra di guerra. La cresta SE della cima SE del monte Zebrù inizia ripidissima con varie torri. Oggi è sporca di neve e ci obbligherà ad arrampicare sempre coi ramponi ai piedi. La Guida dei monti d'Italia10, che la 9 - Un tempo cosiderato apparato unitario con il ghiacciaio di Zebrù Ovest, dal 1990 ha iniziato ad emergere una morena mediana che ha separato le due lingue e conseguentemente i due ghiacciai. Nel 2007 il ghiacciaio di Zebrù Est misurava 97,4 ha, mentre quello di Zebrù Ovest 102,5 ha. La perdita complessiva di superficie dal 1990 è stimata attorno al 16% (fonte Ghiacciai della Lombardia, op. cit.) 10 - Gino Buscaini, Guida dei monti d'Italia. Ortles Cevedale. Parco Nazionale dello Stelvio, CAI-TCI, Milano 1984. La descrizione della salita di questa cresta è imprecisa e incompleta, perciò del tutto inaffidabile. Traversata del monte Zebrù (m 3724 - m 3740) 45 Alpinismo Alta Valtellina La seconda torre della friabile cresta SE del monte Zebrù presenta un passaggio di III+, non banale coi ramponi ai piedi (10 settembre 2014, foto Beno). Questo è il passo più difficile su roccia che abbiamo incontrato. Una placca di IV di scivoloso calcare cosparsa di detriti di varia pezzatura (10 settembre 2014, foto Beno). Discesa dalla cima SE del monte Zebrù (10 settembre 2014, foto Beno). La cresta SE del monte Zebrù dal passo di Solda (10 settembre 2014, foto Beno).DIVERTENTI LE MONTAGNE 46 Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI descrive ben più facile della Suldengrat, dice di aggirare la prima torre da sx. Ci proviamo, ma rischiamo la pelle su cenge piene di blocchi che rotolano nel vuoto al minimo contatto. Dietrofront: il testo è sbagliato! Tentiamo dall'altro lato, dal fianco dx che guarda Solda. A Giorgio han detto che si va di lì; presto constatiamo che i suoi informatori sono molto più affidabili dei sacri testi dell'alpinismo. Cenge coperte di detrito e una breve rampa di rocce e rottami mobili ci fanno aggirare la prima torre e rimontare in cresta subito dopo. Quanto è marcia questa montagna! Ci si para innanzi una seconda torre addobbata con una cuspide. A dx di questa scende un diedro: ne raggiungiamo la base e lo sfruttiamo (fino al III+, per l'uscita abbandonare il diedro prima dell'ultimo strapiombo e spostarsi a sx) per raggiungere la cima di questo secondo risalto dello spartiacque. Con una dieta che alterna un po' di cresta, un po' di appoggi lato Solda e qualche breve paretina o canaletto da arrampicare, arriviamo su un testone roccioso da cui si vede la cima SE. Le nebbie ci impediscono di valutare chiaramente quanto disti, tuttavia si capisce che d'ora in avanti il gioco si fa meno impegnativo anche se perlopiù su neve, proprio quella che è scesa i giorni scorsi a coprire le rocce. Mentre percorriamo il filo, battendo ogni passo i ramponi con la piccozza per levare lo zoccolo, osserviamo con preoccupazione degli scorci sul versante valtellinese della montagna. È tutto friabile e a tratti eroso a tal punto da rendere strapiombante la parete. Presto arriva la cima SE del monte Zebrù (m 3724, ore 2:30). Scendiamo con molta prudenza all'intaglio successivo da cui riprende la salita verso NO. Quando le nubi si aprono possiamo vedere il Giogo Alto e il rosso bivacco Città di Cantù in basso a dx. Difficoltà sempre più contenute ci portano alla cima NO del monte Zebrù (m 3740, ore 0:45). Inizia il rientro per il ghiacciaio di Zebrù Ovest, ma senza una traccia di salita e con la nebbia non è facile capire dove smontare dalla cresta per prendere il ripido ghiacciaio verso il Traversata del monte Zebrù (m 3724 - m 3740) 47 Alpinismo La discesa dalla cima NO del monte Zebrù per la via solita (versante N) non va sottovalutata poiché se non si trova la traccia battuta non è facile da individuare (10 settembre 2014, foto Beno). Verso il Giogo Alto e il bivacco Città di Cantù. Sullo sfondo la Hochjoch-grat e l'Ortles (10 settembre 2014, foto Beno). 48 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Valtellina Giogo Alto. Così la rituale stretta di mano per la conquista del monte viene evitata per scaramanzia e sostituita dalla promessa di una futura stretta di mano per aver portato la pellaccia a casa. Troviamo senza troppo vagare il passaggio una trentina di metri a O della vetta e divalliamo (dx). Poco sotto, nella luce più piatta e priva di ogni contrasto, dobbiamo cercare il punto in cui valicare il grande crepaccio terminale. Superato l'ostacolo, pieghiamo a dx (NE) e scendiamo il ripido pendio (40°) per il Giogo Alto (m 3527, ore 0:45). A pochi metri dalla sella, su un'affioramento petroso, sorge il bivacco Città di Cantù, che valutiamo essere il posto giusto dove stringerci la mano e pranzare in tranquillità: siamo fuori pericolo. Non distante da noi, all'inizio della cresta S dell'Ortles, vi sono resti di baraccamenti militari della Grande Guerra. Che vitaccia che han fatto i soldati quassù! Riprendiamo la marcia scivolando sulla vedretta dello Zebrù in direzione O, mirando inizialmente la punta Thurwieser, per poi compiere un arco in senso antiorario attorno al monte Zebrù. La discesa è quantomai veloce. Torna anche il sole, a tratti cocente. A circa m 2950 traversiamo sulla morena che divide i due ghiacciai dello Zebrù. La rimontiamo e per quei ghiaioni ci abbassiamo con strette risvolte, poi attraversiamo (sx) la lingua del ghiacciaio di Zebrù Est. Sulla sponda opposta, oltre strane formazioni rocciose grigio-bianche levigate dall'azione dei ghiacci, vediamo le bandierine tibetane che sventolano e ci indicano il passaggio per rientrare al V Alpini (m 2878, ore 1:30). Ci fermiano al rifugio per bere una birretta e, soprattutto, per fare quattro chiacchiere col gestore volte ad arricchire questo articolo. Forse scambiati per anacronistici venditori di enciclopedie o di aspirapolvere per l'alta quota, non riceviamo udienza. Così, non volendo essere insistenti, una volta dissetati torniamo, nella più totale solitudine di un autunno incombente, alla baita dei Pastori (m 2168, ore 1:30) e da lì a Niblogo (m 1600, ore 4). Attraversando il ghiacciaio di Zebrù Est. Sullo sfondo la Suldengrat (10 settembre 2014, foto Beno). Sulla morena mediana che dal 1990 divide le due vedrette di Zebrù (10 settembre 2014, foto Beno). Estate 2015 Il monte Zebrù e la sua via normale visti dal bivacco Città di Cantù, posto su una prominenza rocciosa nei pressi del Giogo Alto (10 settembre 2014, foto Beno). LE MONTAGNE DIVERTENTI Traversata del monte Zebrù (m 3724 - m 3740) 49 Alpinismo Valchiavenna Pizzo Galleggione Il pizzo Galleggione (m 3107) è la poderosa montagna che domina la sponda settentrionale della val Bregaglia italiana. È ben visibile non solo da Chiavenna, ma addirittura da alcuni lidi del lago di Como. La salita non è difficile, ma molto lunga e faticosa (2850 metri di dislivello positivo), seppur cadenzata dalla visita a suggestivi nuclei alpestri ancora splendidamente conservati e ai laghi dell'Acquafraggia e di Piangesca che, incastonati in un terrazzo a oltre duemila metri di quota, regalano uno scenario mozzafiato. Beno Ponciagna il pizzo Galleggione (31 luglio LEe MONTAGNE DIVERTENTI 2010, foto Roberto Ganassa). 50 Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Galleggione (m 3107) 51 Alpinismo Valchiavenna Questa lunghissima gita ha inizio a Borgonuovo, non lontano dalle spumeggiati cascate dell'Acquafraggia, meta di pellegrinaggio turistico di chi, senza alcuna fatica, vuol godersi uno dei più impressionanti spettacoli che la natura offra in Valchiavenna: un doppio salto d'acqua che supera una barra di rocce di ben 170 metri! Ben diversa, invece, è la parte alta di questa escursione, più intima e solitaria perchè il pizzo Galleggione, sebbene sia ben visibile persino da Chiavenna, è poco frequentato a causa del faticoso avvicinamento e della sua posizione remota. BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: Borgonuovo (m 450). Itinerario automobilistico: da Chiavenna prendere la SS37 per il passo del Maloja e in circa 4 km si è a Borgonuovo. Svoltare a sx in via Sant'Abbondio, superare i parcheggi a pagamento riservati ai visitatori delle cascate dell'Acquafraggia e continuare fino alla chiesetta dove si trovano i parcheggi gratuiti. Itinerario sintetico: Borgonuovo (chiesa di Sant'Abbondio (m 431) - Savogno (m 932) - Dasile (m 1032) - Corbia (m 1323) - quota 1890 - Serigna - Ponciagna (m 1790) - laghetto di Piangesca (m 2068) - lago dell'Acquafraggia (m 2043) - pizzo Galleggione (m 3107) - lago dell'Acquafraggia (m 2043) - Ponciagna (m 1790) - Sant'Antonio (m 1200) - Savogno (m 932) - Sarlone (m 450) Borgonuovo (chiesa di Sant'Abbondio (m 431). Tempo previsto: 14 ore. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Ramponi e piccozza in caso di neve residua in quota. Difficoltà/dislivello: 3.5 su 6 / 2800 m in salita. Dettagli: Alpinistica f+. EE fino al lago dell'Acquafraggia (sentieri segnalati anche se a tratti poco evidenti). Si raggiunge la vetta per uno dei canali di neve o sfasciumi che solca la parete SO del pizzo Galleggione e si scende per l'altro. Pendenze fino a 45°. Mappe: - Kompass n.92 - Valchiavenna e Val Bregaglia, 1:50000 - CNS n. 1276 Val Bregaglia 1:25000 e n. 1275 Campodolcino 1:25000 Le cascate dell'Acquafraggia, una delle maggiori attrazioni della val Bregaglia italiana (24 maggio 2015, foto Beno). 52 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Galleggione (m 3107) 53 Alpinismo Valchiavenna L asciamo l'auto a Borgonuovo di Piuro nel parcheggio libero accanto alla settecentesca chiesetta di Sant'Abbondio (m 431) che dal 1977 ospita il Museo degli scavi di Piuro. Piuro è la Pompei della provincia di Sondrio, dove non vi sono vulcani, ma montagne che crollano. Il 4 settembre 1618, infatti, un'immane quanto improvvisa frana seppellì l'antico paese, ai tempi il borgo più florido della vallata. Oltre alle famiglie1 e alle abitazioni, finì congelato sotto terra uno spaccato di quell'epoca. Anni di ricerche archeologiche hanno fatto riemergere molti reperti che in parte si trovano nel museo, dal 1994 riallestito nelle sacrestie della chiesa. I piuraschi sopravvissuti2 fondarono quindi Borgonuovo e qui vi edificarono una chiesa in onore di Sant'Abbondio, in quanto, quasi fosse un segno divino, la frana di Piuro risparmiò del vecchio paese solo la chiesa dedicato al santo. Dalla chiesetta seguiamo le indicazioni per Savogno, Dasile e Corbia3 (NO). Il sentiero, che inizialmente è difficilmente distinguibile dalle altre viette del borgo, taglia in seguito i tornanti di una stradetta asfaltata. Nei pressi del ponte sul torrente della valle Drana c'è un bivio. Noi prendiamo a dx4 (indicazioni) e iniziamo una ripida salita che ci porta sopra l'alta barra rocciosa che genera le cascate dell'Acquafraggia. Qui traversiamo senza grosse pendenze in direzione E5 fino a incontrare le baite di Pigione. Poco oltre c'è un bivio: i due sentieri sono equivalenti e si ricongiungono poco dopo aver attraversato il torrente Acquafraggia. Se prendiamo a sx costeggiamo e poi superiamo il torrente dell'Acquafraggia grazie a un ponte nei pressi di una bella forra. Andando a dx, dopo una breve discesa giungiamo al ponte di corda, che supera il torrente in un punto in cui questo mostra la sua forza dirompente. Qualsiasi via abbiamo scelto, una volta in sx idrografica riprendiamo a salire e intercettiamo la via maestra per Savogno, una mulattiera selciata 1 - Non vi furono superstiti; lo storico Benedetto Parravicini ha stimato circa 1200 vittime. 2 - Si salvarono le sole persone che quel giorno erano via dal paese. 3 - Si pronuncia Corbìa. 4 - A sx, oltre il torrente, si va a Cranna. 5 - Ignorare la via diretta per Dasile, ma seguire sempre e solo per Savogno. 54 LE MONTAGNE DIVERTENTI Borgonuovo. La chiesa di Sant'Abbondio vista dall'alto. L'edificio ospita il Museo degli scavi di Piuro (24 maggio 2015, foto Beno). Savogno dal sentiero per Dasile. Sulla sx si vede il rifugio Savogno, ricavato nell'ex edificio scolastico (30 giugno 2014, foto Beno). La pozza smeraldina nei pressi del ponte metallico sul torrente Acquafraggia. Una seconda possibilità di attraversamento del torrente appena al di sopra della barra rocciosa che genera le cascate è data dal celebre ponte di corda (24 maggio 2015, foto Carlo Nani). Dasile e la chiesa dedicata a San Giovanni Battista. Sullo sfondo le vertiginose pareti di monte Saragiolo e pizzo dello Scudo (30 giugno 2014, foto Beno). con ben 2886 scalini che si snoda tutta sulla sx idrografica del torrente Acquafraggia. Di questi 28866 ce ne restano Il sagrato della chiesa dei Santi Antonio e Bernardino a Savogno (31 luglio 2010, foto R. Ganassa). Estate 2015 6 - Ogni anno la domenica a ridosso del 20 maggio, in concomitanza con la festa del copatrono San Bernardino (l'altro patrono è Sant'Antonio), si svolge la cronoscalata Borgonuovo-Savogno che vede impegnati i migliori atleti della corsa in montagna. Impressionante è stata la performance dello specialista lecchese Nicola Golinelli che nel 2010 ha vinto i 514 metri di dislivello che separano Borgonuovo da LE MONTAGNE DIVERTENTI da percorrere solo una piccola parte per arrivare a Savogno (m 932, ore 1:15), dove un alto muro in pietra regge il sagrato della chiesa. Il paese dal 1867 al 1875 ebbe come parroco San Luigi Savogno in soli 16'30''. Questo record è tutt'ora imbattuto, nonostante gli assalti dell'azzurro di corsa in montagna Alex Baldaccini che, per ora (2015) ha dovuto “accontentarsi” di un 16'32''! Guanella e un monumento nei pressi della quattrocentesca chiesa dedicata a i Santi Antonio e Bernardino lo ricorda. Visita di rito a case e a viuzze, perle di architettura rurale ben conservate fino ai giorni nostri. Savogno, sebbene ci appaia ubicato in posizione scomoda e remota, fu in passato un nucleo molto importante poiché era passaggio obbligato per chi si recava in val di Lei. Tra le vie del borgo incontriamo Serafino, un signore che qui è nato e che, come ci racconta, quando aveva solo un mese di vita era già stato portato dai genitori all'Acquafraggia! Egli ricorda che a metà degli anni '50 in paese c'erano 380 persone, ma da allora iniziò un progressivo spopolamento, dovuto al mutare degli equilibri economici e all'abbandono delle attività tradizionali. Neppure la costruzione della nuova scuola, inaugurata nel 1961, servì a fermare l'esodo, tant'è che questa fu chiusa pochissimi anni dopo e già nel 1969 nessuno risiedeva più a Savogno. Dal lato occidentale del paese, dove si trovano anche l'omonimo rifugio, ricavato nell'ex edificio scolastico, e la vecchia segheria ad acqua, ha inizio il sentiero che, dopo un ponte con girello, Pizzo Galleggione (m 3107) 55 Alpinismo ci porta all'idilliaco nucleo di Dasile (m 1032, ore 0:30), aggrappato su un incredibile poggio panoramico. Tra le case si trova la chiesa di San Giovanni Battista, eretta nel 1689. Rispetto a Savogno, Dasile - che a metà del '900 contava un centinaio di abitanti - ha baite più spartane a testimonianza di una condizione economica meno agiata. Uno splendido panorama sulla Valchiavenna e gli asini al pascolo nei prati attorno alle case ripagano la vista. In cima al paese imbocchiamo la mulattiera che, correndo sulla dorsale spartiacque tra valle di Carmezzano e valle dell’Acquafraggia, raggiunge le baite basse di Corbia (m 1373, ore 0:45), poste alla base di un incredibile terrazzo panoramico votato a pascolo. Fantastica è la vista sulla orografica sx della val Bregaglia e su Chiavenna. Insistiamo verso l'alto (N) lungo i prati fino a raggiungere le baite poste al loro limite superiore (m 1520). Sopra di noi vi è una barra di rocce, che aggiriamo a sx aiutati da numerosi tornanti, per poi piegare in direzione E. All'incirca a m 1900 scavalchiamo prima la spalla SSO, poi la SE della quota m 2093 ed entriamo nella valle dell'Acquafraggia alti sul fianco occidentale. Ha inizio un tratto di saliscendi in direzione NNE; la via bollata7, ma poco evidente, supera anche placche e coste scivolose. Oltre il solco della valle Sivigno (CTR), eccoci all’isolata e diroccata alpe Serigna. Superata una dorsale, affrontiamo uno stretto percorso in discesa a cui segue la bretella che a m 1800 intercetta il sentiero B25 che da Savogno sale diretto all'Acquafraggia. Siamo sul pendio pascolivo nel quale si trovano sparse le baite di Ponciagna (m 1790, ore 2). Un deciso strappo ci eleva infine oltre la soglia della conca di origine glaciale che ospita il lago dell'Acquafraggia (m 2043, ore 0:40). Se ci spostiamo un centinaio di metri a ovest tra grossi massi possiamo ammirare anche il laghetto di Piangesca (m 2068, ore 0:05). Verso O la valle inizia a salire e un sentiero raggiunge in un paio d'ore il bivacco Chiara e Walter al passo di Lei. 7 - Sentiero B28. 56 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valchiavenna Le baite basse di Corbia coi loro caratteristici fienili (30 giugno 2014, foto Beno). Il pizzo Galleggione dal lago dell'Acquafraggia. Alla sua sx il pass da Lagh (m 2651) e alla sua dx il passo del Turbine (m 2420). Indicati i due canali che solcano il versante SO del Galleggione e descritti in questo itinerario (30 giugno 2014, foto Beno). La fontana di legno datata 1998 a Ponciagna (31 luglio 2010, foto Roberto Ganassa). Il lago di Piangesca. A dx la selvaggia bocchetta di Sommavalle (30 giugno 2014, foto Beno). Estate 2015 Tornati sui nostri passi e valicato il ponte che supera l'emissario del lago dell'Acquafraggia, costeggiamo lo specchio d'acqua da S e puntiamo ai pendii occidentali del pizzo Galleggione, ben visibile in alto a chiudere a NO la conca. Ai suoi piedi vi è il nucleo di minuscole baite dell’alpe Lago Dentro. Il versante SO del Galleggione è solcato da due canali nevosi, che più in là nella stagione rimarrano di faticosi sfasciumi. Per andata scegliamo il canale di sx, quello che scende direttamente dai pressi della vetta e che imbocchiamo a circa m 2600 dopo un faticoso avvicinamento su pietraie. Mentre saliamo con picca e ramponi (pendenze fino a 45°), alle nostre spalle i laghi dell'Acquafraggia e di Piangesca si fanno sempre più piccini. Un breve tratto di cresta (N) senza particolari difficoltà ci porta all'ometto di vetta, affiancato dal segnale trigonometrico (pizzo Galleggione, m 3107, ore 3). Il panorama è formidabile, dal pizzo Stella a Chiavenna, dalla valle AuroLE MONTAGNE DIVERTENTI sina alle cime della Bregaglia italiana, a quelle della val Bondasca, fino a girare a N sulle valli della Svizzera. Dalla vetta scende verso E una specie di altopiano poco inclinato e dall'aspetto lunare. È di qui, per pietraie e dossi levigati, che passa la via normale alla montagna, quella per il passo della Prassignola (m 2724). Il vento freddo che ci ha perseguitato tutto il giorno rende l'aria particolarmente limpida. Per la discesa percorriamo un po' di metri in più lungo la cresta SO e prendiamo il canale più basso, dato che la sua lingua nevosa si spinge fino ai m 2400. Scivolando giù per il pendio di neve marcia il rientro è velocissimo. Rieccoci al lago dell'Acquafraggia (m 2043, ore 2), poi giù a tutto gas per il sentiero fino a Ponciagna, da cui non torniamo a Corbia per la via dell'andata, ma insistiamo nella valle dell'Acquafraggia per il sentiero B25 che senza dubbio è più sbrigativo. Alpigia, Prati, Sant'Antonio. Poco sotto hanno inizio le scalinate e il selciato. Arriviamo a Savogno e ci gettiamo sui 2886 scalini che ci portano alla frazione Sarlone8. Il percorso, ora immerso in un fitto bosco, un tempo si svolgeva tra terrazzamenti coltivati, castagneti e vigneti. A testimoniarlo restano, oltre a qualche anziano, i muretti a secco e il grande torchio a trave pressante visitabile con una piccola deviazione in località Stalle dei Ronchi (tornante con fontana in pietra). Giunti nel fondovalle attraversiamo il torrente Acquafraggia ai piedi delle cascate9. Sebbene vi siano comodi ponti, guadiamo scalzi non lontani dal getto di acqua nebulizzata sprigionato dal turbinio delle acque, così ci diamo una bella rinfrescata prima di prendere il sentierino che dal parco delle cascate giunge veloce a Sant'Abbondio (m 431, ore 3:30). 8 - Per approfondimenti su questo tratto si veda: Enrico Minotti, Savogno e Dasile, LMD n.12 - Primavera 2010, pagg.70-73 9 - Lo spettacolo delle cascate è dato da un doppio salto alto 170 metri. Questo è stato originato dall'azione del grande ghiacciaio würmiano che, dopo aver scavato il solco a U della val Bregaglia, si è ritirato definitivamente lasciando pensili gli affluenti. Pizzo Galleggione (m 3107) 57 Alpinismo Valchiavenna Pizzo Cengalo (3369) Pizzi Gemelli (3225-3262) Pioda di Sciora (3238) Sciora di Fuori (3169) Ago di Sciora (3205) Cima della Bondasca (3289) Sciora di Dentro (3275) Pizzo Badile (3305) Punta Sant'Anna (3171) Punta Torelli (3137) nd asc a Pizzo Trubinasca (2918) Ve d ta ret de a ll Bo Capanna di Sciora (2120) Capanna Sasc Furä (1904) 58 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Galleggione (m 2014, 3107)foto Beno). 59 La val Bondasca e i suoi colossi di granito visti dalla vetta del Galleggione (30 giugno Alpinismo Valchiavenna Pizzo Ledù (2503) Sasso Canale (2411) Pizzo Rabbi (2452) Pizzo Paglia (2593) Pizzo Cavregasco (2535) Pizzo Settaggiolo di Dentro (2568) Pizzo della Forcola (2675) Pizzaccio (2591) Pizzo Alto (2479) Passo d'Avero (2332) Samolaco Gordona Lagunc Mese Chiavenna Corbia Piangesca Lago di Piangesca Ponciagna Lago dell'Acquafraggia LE MONTAGNE DIVERTENTI 60 sulla Sguardo Valchiavenna e la conca dell'Acquafraggia dalla vetta del Galleggione (27 luglio 2010, foto Roberto Ganassa). Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Galleggione (m 3107) 61 Alpinismo Valchiavenna A lpeggiatori con le mucche su per la valle dell 'A cquafraggia Sergio Scuffi Mario Giacomini, secondo da dx, al Pian del Nido in val di Lei. La valle fu acquistata per 101 fiorini nel 1462 dal comune di Piuro, che così garantiva vasti pascoli alle proprie mandrie. La transumanza avveniva a piedi attraverso la valle dell'Acquafraggia (settembre 1941, foto archivio Giacomini). D a Borgonuovo di Piuro, risalendo la valle dell’Acquafraggia, dopo aver superato il caratteristico nucleo di Savogno (m 932), si incontra una serie di maggenghi e alpeggi, collocati sia lungo il corso d’acqua principale, sia sulle pendici e dorsali che lo sovrastano sui due lati. Erano, tutte queste, località frequentate e sfruttate dalle famiglie di Savogno e Dasile: due interessanti nuclei di montagna collocati il primo sulla sinistra, il secondo sulla destra idrografica, a quota leggermente superiore (m 1032) ed entrambi in bella posizione panoramica. econdo quanto racconta Mario Giacomini di Villa di Chiavenna, classe 1928, erano S 62 LE MONTAGNE DIVERTENTI utilizzati come maggenghi Corbìa, su un bel terrazzo sovrastante Dasile, quindi i nuclei che si incontrano, in sequenza, risalendo la valle oltre Savogno: Sant'Antonio, Prati e Alpigia. Da questi, frequentati a volte già da fine aprile, verso metà giugno i pastori raggiungevano gli alpeggi alle quote più alte; da Corbia si giungeva a Sirigna e Piangesca, da Alpigia si saliva a Ponciagna, Lago e ancora Piangesca. Racconta Mario che, nei primi anni ’60, a Savogno fu costruita una nuova scuola: nemmeno il tempo di utilizzarla e, verso gli anni 1965-66, in breve tempo si spopolarono sia Dasile che Savogno. Il fatto curioso, aggiunge Francesco, il figlio di Mario, è che gli abitanti non si limitarono, come normalmente succede, a stabilirsi nei paesi di fondovalle, ma si trasferirono prevalentemente nel comasco e in Brianza. A questo punto gli alpeggi vennero dati in affitto a pastori provenienti da fuori; tra questi viene menzionato un Barri di Dubino. Mario, che da ragazzo aveva frequentato l’alpeggio di Pian del Nido in val di Lei, in quegli anni si trovava a gestire una propria macelleria e aveva un grosso allevamento di vitelli, utilizzando una stalla costruita a Borgonuovo nel 1969. Decise così di portare in alpe i propri animali e, nel 1970, iniziò Estate 2015 a utilizzare i pascoli partendo da Dasile (aprile-maggio), portandosi poi all’Alpigia, per sostare, per pochi giorni, più in quota a Ponciagna e raggiungere, infine, l’alpeggio di Piangesca (m 2098), situato a O rispetto al lago dell’Acqua Fraggia. In quell’anno ancora il Barri conduceva le proprie bestie all’Alpigia e a Lago Dentro; dall’anno successivo Mario rimase l’unico a caricare gli alpeggi della zona. Il figlio Francesco, a soli nove anni, era il pastorello incaricato di seguire una mandria di quasi 200 vitelli! Negli anni successivi ai vitelli si aggiunsero le manze e poi le mucche da latte, sia di proprietà sia, in parte, affidate da altre famiglie della zona; occorreva quindi organizzarsi per la mungitura e la lavorazione del prodotto. Racconta Francesco che si mungevano circa 150 litri di latte al giorno e la cagliata si faceva mattina e sera, con la produzione, quindi, di oltre una dozzina di forme di formaggio d’alpe la settimana; e mentre il burro si portava a valle con una frequenza regolare, per il formaggio si attendeva la fine della stagione estiva: immaginabile il gran numero di viaggi con grossi carichi utilizzando il cavallo, su e giù da Savogno (fin qui, fortunatamente, arrivava una teleferica, ancora in uso). Lo sfruttamento dell’alpeggio da parte di Mario è durato fino a metà degli anni '90, facilitato nelle ultime stagioni dall’ausilio dell’elicottero. Circa la frequentazione di tutte queste località e l'impiego dei sentieri lungo la valle dell’Acquafraggia, Mario ricorda che di lì passavano quelli che, attraverso il valico omonimo, si recavano in val di Lei (in particolare a Pian del Nido, all’estremità meridionale dell’attuale invaso) e, al ritorno, scendevano fino a Savogno per poi deviare, in quota, verso Villa di Chiavenna. Per raggiungere quel lontano alpeggio, sul versante settentrionale dello spartiacque alpino, poteva essere necessaria anche un’intera giornata di cammino: ogni anno in paese si effettuava una gara, una specie di asta, per aggiudicare al miglior offeLE MONTAGNE DIVERTENTI Fine anni '70. Foto di gruppo all'alpe Lago Dentro (foto archivio Giacomini). La conca dell'Acquafraggia dal passo del Turbine (27 luglio 2010, foto Roberto Ganassa). rente il servizio di trasporto dei viveri in quota e dei prodotti caseari giù al paese. Tornando alla famiglia Giacomini, negli ultimi anni l’allevamento è passato nelle mani di Marco, l’altro figlio, il quale, nel frattempo, ha costruito una nuova moderna stalla a Borgonuovo. L’alpeggio viene sempre utilizzato, ma Marco vi conduce solamente le manze; è venuto a mancare, pertanto, tutto l’impegno legato alla mungitura e alla lavorazione del latte. Mario Giacomini (2015, foto Sergio Scuffi). Valle dell'Acquafraggia 63 Escursionismo 4 Alta Via della Valmalenco 4 tappa a Da Chiareggio al lago Palù passando per i Ciàz de Fura, il rifugio Longoni e l'alpe Sasso Nero. Eliana e Nemo Canetta 64 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il laghetto dei Ciàz de Fura (m 2305) è alimentato da acqua risorgiva e offre uno degli scorci più suggestivi della IV tappa dell'Alta Via della Valmalenco (1 novembre 2014, foto Valmalenco Luciano Bruseghini). Alta Via della (IV tappa) 65 Escursionismo Valmalenco La quarta delle 8 tappe dell'Alta Via della Valmalenco è tra le meno impegnative. Attraversa le pendici meridionali del gruppo delle Tremogge e del Sasso Nero, per approdare sulle rive del lago Palù dove si trova l'omonimo rifugio. Priva di pericoli, con anche la possibilità di un ristoro intermedio al rifugio Longoni, permette di visitare il bel laghetto dei Ciaz de Fura e la remota alpe Sasso Nero, un tuffo nell'antica tradizione pastorale della Valmalenco. Pizzo delle Tremògge (3441) Pizzo Malenco (3438) Sassa d'Entova (3329) Pizzo d'Argento (3945) Forcella d'Éntova (2832) Ciàz de Fura VA LN EV AS CO Sellette Sasso Nero (2916) Éntova Senevedo Superiore La Corte Chiareggio Il tracciato della IV tappa dell'Alta Via della Valmalenco (rosso) e la variante rifugio Longoni - rifugio Marinelli per la forcella d'Entova (giallo) visto dai pressi del rifugio Del Grande - Camerini (28 settembre 2014). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - Partenza: Chiareggio (m 1612). Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende la SP15 della Valmalenco. Arrivati a Chiesa in Valmalenco (12 km) si prosegue per il ramo occidentale (sx) della valle, si passa San Giuseppe e dopo 10 km si è a Chiareggio. Oltre il paese si scende al cian de la Loppa, nell’ampio greto del torrente Mallero, dove si lascia l’auto nel parcheggio libero. Itinerario sintetico: Chiareggio (m 1612) - La Corte - alpe Fora (m 2053) - Ciàz de Fura (m 2305) rifugio Longoni (m 2430) - alpe Sasso Nero (m 2304) alpe Roggione (m 2009) - rifugio Lago Palù (m 1965). Tempo previsto: 6:30 ore. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. D al centro di Chiareggio (m 1612) ci incamminiamo lungo la carrozzabile in direzione di Chiesa in Valmalenco (E) finchè sulla sx incrociamo una carrareccia con alti muretti laterali. La imbocchiamo (indicazioni e segnaletiche) e saliamo 66 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 1000 m in salita e 400 in discesa (sviluppo 13 km). Dettagli: E/EE. Escursione su sentieri segnalati (n. 301-305) da bandierine bianco-rosse e dai triangoli gialli dell'Alta Via della Valmalenco. È tra le tappe meno impegnative dell'Alta Via della Valmalenco. Mappe: - Comunità Montana Valtellina di Sondrio, Cartografia Escursionistica, Fogli 1-2: Valmalenco Versante retico, 1:30000; - Valmalenco. Speciale Alta Via della Valmalenco, 1: 30000, allegato omaggio al n. 29 de Le Montagne Divertenti. sino alla località La Corte dove si trova il Parco Geologico di Chiareggio. Più avanti superiamo la valletta del torrente Nevasco e continuiamo sull’opposto versante lungo il sentiero che si immerge in un bel bosco di conifere. Risaliamo a tornanti sino a una radura e, dopo aver guadagnato ancora un poco di quota, iniziamo una lunga traversata che aggira il costolone meridionale della Sassa di Fora. La vegetazione va gradatamente diminuendo e di fronte a noi si para, verso NE, l’imponente costiera formata Alta Via della Valmalenco (IV tappa) 67 Escursionismo da pizzo delle Tremogge (m 3441), pizzo Malenco (m 3438) e Sassa d’Entova (m 3329), la cui cresta SO termina con una sorta di torrione sotto cui è riconoscibile il rifugio Longoni, caratteristico edificio bianco con tetto e infissi rossi. Più a valle, sotto la capanna, si osservano le cave di serpentino delle Sellette e, più inbasso, quelle di Fura. In salita, ora meno accentuata, giungiamo così ai primi pascoli dell’alpe Fura (m 2059), ove a sx incrociamo il sentiero che proviene dall’alpe dell’Oro1. Sotto l’alpe sono visibili gli impianti delle cave di serpentinoscisto, raggiunti da una stradella che proviene da San Giuseppe e dall’alpe d’Entova. Superate le baite2, addossate sotto 1 - Vedi: Eliana e Nemo Canetta, Variante dall'alpe Vazzeda Superiore al rifugio Longoni, LMD n.32 Primavera 2015. pagg. 88-89 2 - Sul retro del baitone dell’alpe Fora si può notare un grosso blocco di roccia con coppelle, croci, iniziali. Non era noto sinché la guida alpina Popi Miotti e l’ingegner Pelosi ne segnalarono l’esistenza. Le coppelle dell’alpe Fora risultano le più alte della Valmalenco e, se si confermerà la loro origine arcaica, proverebbero (come quelle dell’alpe Grum in val di Togno) come i nostri antenati abitassero a Valmalenco Verso i Ciaz de Fura (18 luglio 2014, foto Roberto Ganassa). Chiareggio visto da La Corte (3 luglio 2014, foto Roberto Ganassa). delle rocce con due edifici di recente ristrutturazione che per dimensioni sovrastano gli altri, vinciamo con ripida marcia una costa erbosa verso N sino a guadare il torrente Forasco. Guadagniamo così l'ampia conca dei quote estremamente elevate. Ciaz de Fura che attraversiamo in piano su terreno talora anche paludoso ma aiutati da un coreografico camminamento su piattoni. In tal modo ci dirigiamo a E verso le belle cascate che intagliano le sovrastanti scure balze rocciose e incorniciano la piana. Le costeggiamo alla base per Scorci dei Ciaz de Fura. Sullo sfondo il monte Disgrazia (15 luglio 2013, foto Robertto Moiola). piegare a ESE3 (dx) e risalire un ampio cengione di lastroni e rocce rotte. Arrivati al quadrivio San Giuseppe Longoni - passo delle Tremogge - Ciàz de Fura, seguendo le indicazioni in pochi minuti siamo sul poggio panoramico della cresta SO della Sassa d'Entova che ospita il rifugio Longoni4 (m 2430, ore 3). Tornati al quadrivio, scendiamo in direzione San Giuseppe per un centinaio di metri di dislivello sino alla partenza della teleferica e a intercettare la carrozzabile che collegava San Giuseppe con il rifugio Entova Scerscen, ove fino agli anni '90 si praticava lo sci estivo5. Seguiamo la strada, in evidente stato di abbandono, verso monte (NE), superando una serie di tornanti6 a cui segue un lungo traversone sotto la parete sud orientale della Sassa d’Entova. Nella prima valle che attraversiamo fino al 1987 si trovava un nevaio perenne costituito dalle valanghe che qui precipitano copiose dai pendii meridionali della Sassa d'Entova. Per consentire il transito dei veicoli veniva allora scavata una 3 - All'estremità meridionale dei ciaz de Fura vi è un bel laghetto di acqua resorgiva in cui si specchia il monte Disgrazia e che vale sicuramente una visita. 4 - Gestito dalla guida alpina Elia Negrini e di proprietà del CAI di Seregno, il rifugio Longoni è aperto dai primi di giugno a metà settembre. Tel. 0342 451120 - 348 3110010 - [email protected]. 5 - Per approfondimenti: Rifugio Entova Scerscen. Un progetto naufragato, LMD n.25 - Estate 2013, pp. 80-81 6 - La via più breve per giungere alla strada già sopra i tornanti è il sentiero che scende direttamente dal rifugio Longoni in direzione E. Notte in Longoni (21 settembre 2013, foto Roberto Ganassa). 68 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (IV tappa) 69 Escursionismo galleria nella neve. In seguito alle temperature e agli avvenimenti legati all’alluvione dell’87 il nevaio è pressoché definitivamente scomparso. Giungiamo a un vecchio tornante lambito dal corso principale del torrente Entovasco. Raggiungiamo il tornante sinistrorso di quota m 2400 ca.. Qui l'Alta Via si diparte verso SE (dx), guada il torrente (talora qualche difficoltà) e prosegue a mezza costa sino all' insellatura a monte della quota 2384. Inizia ora un tratto assai peculiare dell’Alta Via, realizzato segnalando antiche tracce abbandonate e tratti privi di sentiero, che si sviluppano a mezza costa sulle pendici della selvaggia costiera del Sasso Nero. L'orizzote a levante è dominato da una serie di massicci torrioni separati da burroni e valloni. La direzione è sempre indicata, oltre che dall’abbondante segnaletica, dall’isolata piramide del Castello (m 2633)7. Il percorso supera una serie di pietrosi valloncelli, per continuare8 tra poco incise vallette intervallate da minuscole conche di magri pascoli che convivono con rocce montonate dai ghiacciai e cespugli di rododendro. Giunti alla base del Castello, sempre a mezza costa superiamo una china erbosa sopra rocce nerastre che dominano la valle, e approdiamo alla verdeggiante conca sommitale del vallone che proviene dalla sottostante alpe Entova. Risaliamo brevemente un pendio erboso e ci portiamo in vista della successiva conca: quella che ospita le minuscole baite in pietra dell'alpe Sasso Nero (m 2304 m, ore 2). Il misero alpeggio, oltre a costituire un buon punto di sosta, rende assai bene l’idea della durezza della vita nell’antica Valmalenco, quando i montanari vi soggiornavano durante l’estate per sfruttare le poche conche erbose di questa zona. Seppure sia tra i più scomodi alpeggi della Valmalenco, quassù è stato monticato bestiame fino al 19929. 7 - Si tratta di un carateristico torrione a SO del Sasso Nero. Costituito da serpentino, può essere salito nei pressi del suo spigolo SO (via normale). Arrampicata su buona roccia fino al III+ con un insolito passaggio iniziale attraverso una specie di cunicolo. Richiede poco più di un'ora dall'alpe Sasso Nero. 8 - In questo tratto si badi a non perdere quota! 9 - Per approfondimenti: Luciano Bruseghini, Sass Negru. Paradis di cäveri, pürgatòri di vachi, inférn di 70 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco Sassa di Fora (3363) Rifugio Longoni Alpe Fura Chiareggio Il sentiero che scende dalla Longoni verso E si innesta sulla carrozzabile per l'ex rifugio EntovaScerscen (1 novembre 2014, foto Luciano Bruseghini). Entova Lungo la carrozzabile per l'ex rifugio Scerscen-Entova (giallo). Indicato il tornante presso il quale l'AV (rosso) si diparte dalla rotabile (1 novembre 2014, foto Luciano Bruseghini). Il Castello visto dal laghetto del Castello. Circondato da rocce montonate, il lago giace su un terrazzo panoramico a poca distanza (ma fuori traccia), da dove il sentiero dell'Alta Via si separa dalla carrozzabile per l'ex rifugio Entova Scerscen (21 ottobre 2014, foto Beno). Estate 2015 Dalla vetta del Castello. In rosso il tracciato della IV tappa dell'AV della Valmalenco, punteggiata in giallo la variante Longoni - forcella d'Entova - rifugio Marinelli. Si noti sulla dx, nei pressi del tornante della carrozzabile (gialla) i resti del nevaio in cui fino al 1987 veniva scavata una galleria per consentire il transito delle vetture (21 ottobre 2014, foto Beno). L'alpe Sasso Nero si trova a m 2304 sul versante sud-occidentale del Sasso Nero. Presenta tipiche costruzioni in sasso dagli ingressi molto piccoli, tant'è che pare impossibile che in quelle stalle vi potessero entrare le mucche (1 novembre 2014, foto Luciano Bruseghini). LE MONTAGNE DIVERTENTI Dalle baite saliamo per tracce un valloncello in direzione SE, lasciando a dx la quota m 2307. Ci abbassiamo ora per traversare a mezza costa un vallone petroso e portarci sull’opposto versante, a m 2350 circa. In questa zona (indicazioni a vernice) si lascia a sx il percorso, indicato da ometti, che costituisce il collegamento tra l’Alta Via e la cresta sommitale del Sasso Nero (vedi varianti). Inizia ora la discesa verso la conca del lago Palù in cui l’Alta Via segue l’antico sentiero d’accesso dell’alpe Sasso Nero. Aggirato uno spallone, troviamo su un cengione erboso che domina a picco il lago Palù e l’ampia distesa di ciùm, LMD n.24 - Primavera 2013, pp. 48-49 Alta Via della Valmalenco (IV tappa) 71 Escursionismo Valmalenco Il lago Palù e l'omonimo comprensorio sciistico visti dal sentiero alpe Sasso Nero - alpe Roggione (21 ottobre 2014, foto Beno). Il lago del Tricheco, ancora gelato a stagione inoltrata. In alto si vede la sella della forcella d'Entova (20 luglio 2013, foto Luciano Bruseghini). boschi circostanti. Poco oltre iniziano i pini mughi e il sentiero continua perdendo quota a mezza costa, lascia sulla dx la presa d’acqua canalizzata del lago Palù e porta, ormai nel bosco, all’ampio spiazzo dell’alpe Roggione (m 2007). Qui incrociamo anche il tracciato della V tappa dell’Alta Via che sale al sovrastante Bocchel del Torno. Noi invece pieghiamo a dx (O, indicazioni) e in pochi minuti siamo al rifugio Palù (1965 m, ore 2). Di proprietà di Giuseppe Dell'Andrino, il rifugio è situato in splendida posizione panoramica in una pecceta alle falde del Sasso Nero10. Questa variante, segnalata con bandiere bianco-rosse (305 var.), è consigliabile a chi volesse accorciare di un giorno l'Alta Via e nel farlo godere di paesaggi d'alta montagna e della vicinanza dei ghiacciai. Dal rifugio Longoni comporta 700 metri di dislivello positivo e 300 negativo, percorribili in 6 ore e mezza. Dal rifugio Longoni saliamo la spalla SO della Sassa d'Entova fino a circa m 2750, quindi iniziamo un traverso in discesa che supera la valle dell'Entovasco (tratti attrezzati con catene) e ci porta al Cian di Bö (m 2672), conca detritica dove si trovano i resti dei baraccamenti di servizio all'ex rifugio Entova - Scerscen, ben visibile in alto sulla cresta orientale della Sassa d'Entova. Seguendo la pista giungiamo nei pressi del laghetto di quota 2690, conosciuto come lago della Balena. Pieghiamo decisamente a dx (E) e puntiamo alla forcella d'Entova. Dopo poco cammino possiamo ammirare il bel lago del Tricheco (m 2735), ghiacciato per la maggior parte dell'anno. Sfasciumi e minuto detrito, ci VARIANTE 1. RIFUGIO LONGONI BOCCHETTA D’ENTOVA - RIFUGIO MARINELLI 10 - Il rifugio, aperto tutto l'anno tranne maggio e novembre, è anche raggiungibile in circa mezz’ora dall'arrivo della funivia del Palù ed è pure collegato da una stretta carrareccia col sottostante maggengo de I Barchi (1698 m), dal quale poi si discende su carrozzabile a San Giuseppe. Dispone di una ventina di posti letto, anche se più che di un rifugio si tratta di un ristorante rinomato per la cucina tipica valtellinese e per gli amari preparati dal gestore, in particolare la grappa alla vipera! Tel. 0342 452201 - 0342 453030 - 333 1639561 72 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il rifugio Palù (21 settembre 2014, foto Roberto Ganassa). Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (IV tappa) 73 Escursionismo accompagnano infine alla forcella d'Entova11 (m 2831, ore 2:30), aperta tra una diramazione della cresta orientale della Sassa d’Entova e le propaggini settentrionali del Sasso Nero. Dalla sella scendiamo sull’opposto versante, facendo attenzione di tenere la sx per non incappare negli alti salti rocciosi che sovrastano il lago Scarolda. Stiamo attraversando la più importante zona carsica della Valmalenco e sull'orografica sx della valle possiamo infatti notare gli ingressi di alcune grotte. Qui vi sono due possibilità per raggiungere il rifugio Marinelli. A quota m 2510 ca., infatti, vi è un bivio. Si può prendere la traccia segnalata sulla dx che traversa a mezzacosta (NE) tra detriti e calcari puntinati di stelle alpine, scavalca direttamente le propaggini orientali della Sassa d'Entova e attraversa i ghiaioni e le rocce montonate dell'opposto versante fino a raggiungere il ponte sul principale emissario del ghiacciaio dello Scerscen Inferiore, oppure si può seguitare a scendere lungo la valle della forcella d'Entova fino al pianoro di quota m 2340, non lontano dal Cimitero degli Alpini12. Noi ci affidiamo a quest'ultima possibilità, un poco più lunga. Dal pianoro perdiamo ulteriore quota fino a intercettare il sentiero che sale il vallone dello Scerscen. In un ambiente grandioso dominato dalle cime principali del massiccio del Bernina, superiamo il torrente che esce dalla lingua del ghiaccio di Scescen Inferiore13. Pieghiamo poi a dx (ENE) per portarci sotto le lingue della vedretta di Scerscen Superiore. Da qui per roccette e sfasciumi, oltre una conca siamo al rifugio Marinelli-Bombardieri14 (m 2813, ore 3:30) punto d’ar- Valmalenco rivo della V tappa dell’Alta Via. Dalla forcella d'Entova verso il rifugio Marinelli (2 luglio 2011, foto Luciano Bruseghini). 11 - Detta anche forca d'Entova. 12 - Il Cimitero degli Alpini nel vallone dello Scerscen fu posto in ricordo di ben 24 giovani che in pochi giorni persero la vita nell'aprile 1917 13 - In questo punto le due opzioni escursionistiche si saldano nuovamente. 14 - Il Marinelli-Bombardieri è stato il primo rifugio costruito dal CAI sulle Alpi Lombarde. Inaugurato nel 1880 con il nome di rifugio Scerscen, due anni più tardi venne intitolato alla memoria del suo ideatore Damiano Marinelli, travolto da una valanga lungo il canalone che porta il suo nome sulla parete E del monte Rosa. Il nome di Luigi Bombardieri, alpinista, scrittore e presidente del CAI di Sondrio, si legò a quello del rifugio nel 1957 quando l'elicottero che lo trasportava precipitò a poca distanza dalla capanna stessa. Aperto da giugno a settembre (e ad aprile-maggio nella stagione dello scialpinismo) è gestito dalla 74 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il rifugio Marinelli-Bombardieri (2 luglio 2011, foto Luciano Bruseghini). Il gruppo del Bernina visto dalle calcaree propaggini orientali della Sassa d'Entova (25 luglio 2010, foto Roberto Ganassa). Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI VARIANTE 2. ALPE SASSO NEROSASSO NERO-BUCHEL DEL TORNO-RIFUGIO PALÙ Questa variante, allungando di 3 ore e 600 metri di dislivello la IV tappa dell'Alta Via della Valmalenco, permette di salire in vetta al Sasso Nero, una specie di altipiano di serpentino isolato al centro della Valmalenco: il più completo osservatorio sulle cime che contornano la valle del Mallero15. Nei pressi dell’alpe Sasso Nero (m 2304) ci stacchiamo dal tracciato dellAlta Via e prendiamo il sentiero segnalato in direzione NE che per rocce montonate tocca il laghetto del Sass Negru, incastonato ai piedi di rupi nerastre. Superiamo da sx la successiva bastionata e saliamo un ripido pendio di detriti. Usciti sulla dx grazie a una cengia, continuiamo per rocce montonate che portano al circo terminale del vallone (m 2750 ca.). Qui imbocchiamo il facile canaletto di sx che adduce alla selletta tra le quote m 2814 e m 2840 della cresta sommitale. Pieghiamo a sx (NNO) e, per un piatto valloncello, tocchiamo la vetta del Sasso Nero (m 2917, ore 2) caratterizzata da un grande ometto. Per la discesa, a m 2760 ca., anzichè ripercorrere la via dell'andata, prendiamo a sx (SE) e per pietraie e rocce montonate divalliamo seguendo i bolli fino al capolinea degli impianti sciistici (m 2350). Seguendo la pista, poi il sentiero sulla dx, senza via obbligata guadagniamo il bocchel del Torno (m 2203), ampia sella tra il Sasso Nero e la dentellata cresta del monte Roggione. Qui incontriamo il tracciato della V tappa dell’Alta Via. Lo prendiamo contromano verso O (dx) per divallare su buon sentiero, dapprima ripido poi decisamente più dolce, all’alpe Roggione e di lì al rifugio Palù (m 1965, ore 2). guida alpina Giuseppe Della Rodolfa. Il rifugio Marinelli-Bombardieri offre 210 posti letto e, nei periodi di chiusura, un confortevole locale invernale in grado di ospitare 14 persone. Contatti: [email protected] tel: 0342 511577 - 3475200146 15 - Per approfondimenti: Luciano Bruseghini, Sasso Nero. Balcone sul Bernina, LMD n.24 - Primavera 2013, pp. 38-47 Alta Via della Valmalenco (IV tappa) 75 Escursionismo Valmalenco L ago P alù Eliana e Nemo Canetta Il lago Palù. Sullo sfondo da sx: Corno di LE MONTAGNE DIVERTENTI Braccia, cima del Duca e punta Rosalba (21 settembre 2014, foto Roberto Ganassa). 76 Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (IV tappa) 77 Approfondimenti Valmalenco A lpe GF ora L intervista a Ragazzi si scaldano attorno ad un fuoco improvvisato dopo un bagno nel lago Palù (agosto 1934, foto archivio Corti - CAI sez. Valtellinese). P rimo lago naturale della Valtellina per dimensioni, chiuso in un catino fra Sasso Nero, monte Motta e monte Roggione, il lago Palù è uno dei luoghi più pittoreschi e visitati della Valmalenco. Già negli anni tra il XIX e il XX secolo l’escursione al lago (che ai tempi partiva da Chiesa) era assai popolare. Naturalmente la costruzione, nella seconda metà del XX secolo, della Funivia al Bernina ha reso la zona ancor più visitata, sia d’estate che d’inverno. Le acque, tiepide in estate, si prestano a spegnere la calura che affligge i gitanti. Il toponimo deriva da “palude”: benché di acquitrinoso abbia ben poco, il Palù è effettivamente un lago dalle acque stagnati, sicché non vi sono né immissari, né emissari. Di conseguenza, il livello del lago è molto influenzato dalle precipitazioni e dai prelievi d’acqua da parte dell’uomo. L'origine del lago non è da sbarramento morenico, come taluni studiosi 78 LE MONTAGNE DIVERTENTI sostennero, ma la causa va cercata nell’escavazione glaciale di un’antica vedretta che si annidava sotto il monte Roggione. Il lago a inizio '800 doveva essere assai più vasto di quanto risulti oggi, con uno sviluppo della riva circa triplo, e occorreva più di un’ora per effettuarne il periplo a piedi. Inoltre sappiamo che, attorno al 1850, 4 o 5 famiglie soggiornavano sulle sue rive per praticarvi la pesca con reti o imbarcazioni; abbondavano trote e tinche1. L'utilizzo indiscriminato delle acque fece nascere aspre polemiche che videro il loro culmine agli inizi degli anni ‘70 quando il lago Palù era sfruttato come bacino di regolazione stagionale2; 1 -Fabio Besta in Guide della Valtellina del 1883 riferisce: «Né i pesci mancano, anzi v’abbondano le trote e vi si trovò pur anco una grossa anguilla che ora si conserva nel Museo dell’Università pavese.» 2 - L'acqua del lago Palù veniva riversata nel Mallero per aumentarne la portata nel periodo invernale e far funzionare la centrale idroelettrica del Curlo. su iniziativa popolare, il 28 ottobre del 1971 fu adagiata sul fondo del lago una statua del Cristo in tutto simile al Cristo degli Abissi della cala di San Fruttuoso, a protezione delle acque e come monito all’uomo affinché ne faccesse buon uso. L’immersione sotto i ghiacci, che per i tempi costituiva un primato assoluto, generò un tale riscontro mediatico che quell’inverno non vi furono prelevamenti e il prosciugamento fu così scongiurato. Da allora ogni anno, la seconda domenica di agosto la scena si ripete nel contesto della festa dell'alpe Palù, durante la quale viene effettuata anche un'accurata pulizia del fondo del lago e dell'alpe. La statua viene immersa dai sommozzatori di Valtellina Sub, che poi la preleveranno l’inverno successivo. Nonostante tale monito, il lago viene ora sfruttato per imbiancare le piste da sci del vicino comprensorio. Estate 2015 iacomo enatti Luciano Bruseghini L'alp de Fura de dint sulle pendici SE della Sassa di Fora (agosto 1931, foto archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese - www.archiviocorti.it). N ell’Inventario dei toponimi valtellinesi e valchiavennaschi 1 si riferisce che in una mappa del 1816 l’alpe Fora (Fura) viene suddivisa in due maggenghi differenti. Il principale è l’alp de Fura de dint, sulla dx orografica della valle del Forasco, verso lo sperone che la divide da quella del Nevasco. Si tratta di un gruppo di baite circondato da ampie sponde di pascoli racchiusi dai circhi rocciosi. L’altro è l’alp de Fura de fö, un piccolo gruppo di baite nell’ampio catino di pascoli che si estende a E della precedente, sempre sulla dx orografica della valle del Forasco, circa 70 m sotto il Sas Credää (salto di roccia al termine della cresta SE della Sassa di Fora). Da tale mappa risulta che l’insediamento contava comples1 - A. Masa e G. De Simoni (a cura di), Inventario dei toponimi valtellinesi e valchiavennaschi. Chiesa Valmalenco, Società storica valtellinese, 1976 LE MONTAGNE DIVERTENTI sivamente 27 costruzioni di cui 20 all' alp de Fura de dint e 7 all’alp de Fura de fö. L’amico Giacomo Lenatti, classe 1950, dall'età di sei anni ha trascorso tutte le estati con la sua famiglia a Fura e ricorda benissimo che alcune case occupavano la parte destra e altre quella sinistra dell’alpeggio, che invece ad un occhio estraneo potevano sembrare un unico agglomerato. Con i genitori Aldo e Anna e i fratelli Mauro e Roberto caricava l’alpe in compagnia di altre quattro famiglie. La sua e altre due stavano all’alp dë Fura dë dint, quella verso Chiareggio, e sfruttavano i pascoli che dalle baite si estendono verso la valle del torrente Nevasco. Le restanti utilizzavano invece l’alp dë Fura dë fö e spingevano le loro bestie fin sul pianoro sovrastante (Ciaz dë Fura). Anche quest’ultima zona in realtà era divisa in due parti, una superiore detta Ciaz dë sura (nel libro dei toponimi descritta come “ampio spazio pascolativo, fondo dell’avvallamento compreso fra il pizzo Tremogge e la Sassa d’Entova, attraversato dal sentiero Rif. Longoni – Passo Tremogge”) e una inferiore detta Ciaz dë sót (“più grandi quelli inferiori, che vanno dal mutùm di tacùm verso il Rif. Longoni, dove passa il sentiero dell’alta via della Valmalenco” ). Già nell’Ottocento, i primi pastori che iniziarono a caricare quest’alpeggio costruirono un canale artificiale a circa m 2500 per captare l’acqua del Forasco e convogliarla verso le casupole, così da avere acqua fresca a portata di mano e forza motrice per azionare la penia (zangola). Il torrente Forasco scorre impetuoso in una forra ed è alimentato dal sovrastante ghiacciaio della Sassa di Fora. Nella Piccola Età Glaciale - cioè nell’Ottocento - era particolarmente sviluppato, con una lingua che scendeva fino a m 2780. Ai Alpe Fora 79 Approfondimenti Giacomo Lenatti con la madre Anna Pedrotti a Fura nel 1970 (foto archivio Lenatti). Sergio e Dino Fanoni con Giacomo Lenatti a Fura (estate 1968, foto archivio Lenatti). Giacomo e Tommaso Lenatti davanti alla casa nuova a Fura (estate 2000, archivio Lenatti). 80 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco giorni nostri purtroppo questo ghiacciaio si è molto ridotto e si trova solamente sopra i m 3100, ma continua a vivere grazie alle correnti di föhn che dal versante svizzero riportano fin qui le nevi del ghiacciaio di Fex.2 Ancora oggi, quindi, questo “naviglio d’alta quota” è operativo e ogni estate i pastori provvedono a sistemarlo perché le numerose valanghe che slittano dai ripidi pendii sovrastanti spesso lo ostruiscono con detriti. Dalla fine degli anni Cinquanta all’inizio degli anni Ottanta erano quasi 150 i capi che brucavano l’erba della zona: un centinaio stavano dë dint mentre gli altri dë fö. Oltre alle mucche vi erano anche i maiali e alcune pecore a completare il quadro bucolico. Le pecore però non pascolavano nelle vicinanze delle baite, ma preferivano i ripidi declivi della Sassa di Fora. I ricordi più belli di Giacomo sono quelli di quando era ragazzino e a Fura trascorreva l’estate in compagnia di una decina di altri bimbetti: il loro compito era quello di controllare che agli animali al pascolo non capitasse niente, ma molto spesso tralasciavano questa noiosa attività per giocare insieme. A nove anni Giacomo mungeva da solo tre mucche e poi preparava la minestra di latte sul focolare, anche se era più quella che cadeva tra le fiamme di quella che restava nella pentola. Era molto legato a quest’alpeggio, tant’è che durante il periodo dello sfalcio faceva scendere a valle i genitori e i fratelli, mentre lui rimaneva da solo a occuparsi di tutto il bestiame. Anche quando si è sposato con Fulvia, da cui ha avuto i figli Martina e Aldo, ha continuato a vivere nell’alpeggio nei mesi estivi, portandosi al seguito i famigliari che lo aiutavano nelle faccende quotidiane. Dopo il servizio militare, però, ha diviso la sua attività lavorativa in due parti: d’inverno stava alle dipendenze della FAB, società che gestisce gli impianti di risalita del Palù, mentre da maggio a settembre prendeva in 2 - Per approfondimenti vd. L. Bonardi, E. Rovelli, R. Scotti, A. Toffaletti, M. Urso, F. Villa (a cura di), I ghiacciai della Lombardia, evoluzione e attualità, Milano, Hoepli 2012, p. 122. Estate 2015 Fura: tra le vecchie costruzioni emergono per dimensioni le due di recente ristrutturazione (28 settembre 2014, foto Beno). affitto una quarantina di capi da allevatori di Castione e Albosaggia e li portava a pascolare sui maggenghi dell’alta Valmalenco. A inizio maggio sostava all’alpe Senevedo inferiore, ora attraversata anche dalla bella pista di fondo che collega San Giuseppe a Chiareggio, ma quasi subito si alzava leggermente fino al Pagliunch dove teneva gli animali in stalla a consumare il fieno accumulato l’estate precedente, poi ridiscendeva a Senevedo. A inizio luglio si recava direttamente all’alpe Fora utilizzando il sentiero che passa per Senevedo superiore. Due giorni dopo portava in quota anche alcuni maiali che nutriva con gli scarti della lavorazione del latte. Questi, essendo liberi di girovagare, a volte si infilavano anche all’interno delle piccole baite in cerca di cibo, ma venivano allontanati con “gentilezza” dagli alpeggiatori. A settembre si abbassava con le mucche a Senevedo inferiore e le lasciava pascolare libere per due settimane in modo che brucassero tutta l’erba della zona, per poi riconsegnarle ai legittimi proprietari. Dal 1982, quando in questa zona sono rimasti solamente due nuclei famigliari, quello di Giacomo e del LE MONTAGNE DIVERTENTI fratello Mauro, e quello dei fratelli Tommaso e Rodolfo Lenatti, l’alpe è diventata un tutt’uno: le bestie prese in affitto dai quattro amici hanno iniziato a pascolare liberamente per tutta la zona, senza confini. I quattro allevatori rimasti hanno unito le forze per meglio sfruttare le risorse di questo avamposto e hanno ristrutturato la baita più grande, rendendola agevole e confortevole (a Fura de dint). Inoltre hanno predisposto due teleferiche: una più in basso che si dirigeva alla cava di serpentino scisto, già servita da una comoda strada sterrata, e l’altra che dall’alpeggio saliva ai Ciaz de Fura de sót. La teleferica in basso è stata poi smontata e sostituita da una più comoda pista agricola, mentre quella in alto è tutt’ora utilizzata per il rifornimento di legna e alimenti e per portare a valle il latte munto. Nel 1952 ai Ciaz de Fura de sót erano state anche costruite due piccole casupole per ricoverare le bestie in caso di forte maltempo. Gli allevatori invece alloggiavano sempre a Fura e ogni mattina alle quattro si svegliavano per salire in quota a mungere e poi riscendevano a lavorare il latte; l'operazione veniva ripetuta nel tardo pomeriggio. I formaggi prodotti a Fura venivano trasportati appena possibile al Pagliunch dove c’era un’ottima cantina di stagionatura; il burro invece veniva venduto in parte a Chiareggio e in parte a Chiesa. Solamente nel 1990 è stato eretto, nei pressi dell’arrivo della teleferica ai Ciaz de Fura de sót, un piccolo baitello al fine di pernottare accanto al bestiame che qui pascolava solitamente nel mese di agosto. Dopo pochi anni, però, Mauro ha abbandonato la compagnia per un lavoro fisso presso gli impianti del Palù, mentre Giacomo è andato in pensione nel 2010. Da allora solamente i fratelli Tommaso e Rodolfo continuano a caricare Fura con 20/30 mucche, anche se Giacomo si presta spesso ad aiutarli, soprattutto durante il periodo della fienagione, quando è richiesta manodopera nel fondovalle per lo sfalcio dei prati. Comunque, ancora oggi, ogni estate Giacomo prende in affitto cinque mucche che tiene per un periodo a Senevedo, per poi mandarle in villeggiatura a Fura dagli amici. Questo perché per lui è impossibile separarsi dalla vita d’alpeggio! Alpe Fora 81 Approfondimenti Valmalenco Una guida al Rifugio Longoni E N intervista a lia Luciano Bruseghini egrini Elia con i figli Rocco e Teresa davanti al rifugio Longoni (22 luglio 2013, foto archivio Negrini). Il rifugio Longoni si trova lungo la IV tappa dell'Alta Via della Valmalenco e costituisce l'arrivo della I tappa del Tour del Bernina. Sullo sfondo le cime della val di Togno e le Alpi Orobie (21 settembre 2013, foto Roberto Ganassa). I l rifugio Longoni fu costruito nel 1938 su una balconata rocciosa a 2450 metri lungo la cresta SO della Sassa d’Entova. Di proprietà del CAI di Seregno, è intitolato ai fratelli Elia e Antonio Longoni, deceduti durante la prima guerra mondiale e insigniti della medaglia d’argento al valor militare. La struttura può dare ospitalità ad una trentina di avventori disponendo di camere da 4/6 posti letto e di un ampio camerone da 18 posti; in caso di emergenza c’e anche una soffitta dove pure io ho provato la bella esperienza di dormire in compagnia di amici sotto a degli appetitosi salumi in stagionatura. Uno dei punti forti della capanna è sicuramente lo splendido panorama che si gode dalla sua terrazza: ammirare i candidi ghiacciai del Disgrazia infuocarsi alla luce dell’alba o del tramonto è uno spettacolo imperdibile. Oltre che come punto di appoggio per i trekking, il rifugio è base per 82 LE MONTAGNE DIVERTENTI ascensioni alpinistiche sia sulle vicine vette di Sassa di Fora e del gruppo delle Tremogge, sia verso il più lontano gruppo Glüschaint-Sella. Dal 1995 la Longoni è gestita dalla guida alpina Elia Negrini, classe 1959 di Caspoggio, che mi concede un’oretta di tempo per raccontarmi le sue esperienze. Anche se ora abita a Sondrio, ci tiene a sottolineare il forte legame con il piccolo comune malenco dov’è nato: «al secondo piano della casa paterna in via don Gatti» puntualizza con orgoglio. Da giovanissimo, mi confessa, non era attratto dalle montagne che lo circondavano. Solamente durante gli anni del collegio a Tirano si è invaghito delle alte quote, sentendo i racconti escursionistici dei compagni di corso. Ricorda che a 13 anni ha percorso per la prima volta la val Poschiavina col padre Albino e, una volta giunto al passo di Canciano, è rimasto ammaliato dal ghiacciaio del pizzo Scalino. Ma sicuramente la persona che lo ha indirizzato alla conquista delle vette è stato l’amico e cugino Luciano Bricalli. In sua compagnia, nell’estate del 1977, ha compiuto numerose salite classiche nei gruppi del Bernina e del Disgrazia (Cresta Güzza, piz Palù, la nord del pizzo Cassandra, la Corda Molla al Disgrazia…). Proprio dopo una di queste uscite ha conosciuto un’altra persona molto importante per la sua carriera alpinistica: Enrico Lenatti, gestore del rifugio Porro in val Ventina, che ha incontrato di rientro dal torrione Porro. Grazie a lui, Elia e Luciano sono entrati a far parte del Soccorso Alpino e hanno appreso ulteriori nozioni sulla progressione in montagna. L’amore per le alte quote si è concretizzato prima nel 1981 quando è diventato aspirante guida alpina e definitivamente nel 1984 quando ha ottenuto il brevetto di guida alpina. In quegli Estate 2015 anni lavorava come guida nei mesi estivi, mentre in inverno era impiegato presso gli impianti di risalita di Caspoggio. La maggior parte dei clienti ambiva a scalate nel gruppo del Bernina1 e del Disgrazia, ma capitavano richieste anche per le Dolomiti, il monte Rosa e il Monviso. Negli anni ’90 ha cominciato ad esplorare gruppi montuosi al di fuori dei confini nazionali: dopo un tentativo al Pumori (Nepal) lungo la via dei primi pionieri, ha salito l'Island Peak, l’Aconcagua, il Kilimanjaro, il monte Kenia; molti anche i trekking trekking in giro per il mondo. Lo stile di vita della guida alpina lo ha sempre entusiasmato, ma con il passare degli anni ha sentito il bisogno di maggiore tranquillità, per cui nel 1995 ha deciso di partecipare al bando per l'assegnazione del rifugio Longoni: da allora l’ha gestito ininterrottamente per vent’anni, ritagliandosi comunque delle giornate per accompagnare i clienti sulle fantastiche vette della Valmalenco. Elia mi racconta che inizialmente ha trovato difficoltà nella conduzione del rifugio: per l’organizzazione, per il trasporto delle merci, ma soprattutto per la mancanza di energia elettrica (a questo si ovviava utilizzando elettrodomestici a gas). Nei primi anni era aiutato dai fratelli Onorato e Paolo, entrambi cuochi. Aveva pure assunto 1 - Ad oggi Elia ha salito il pizzo Bernina (m 4049) più di 100 volte con clienti senza l'ausilio dell'elicottero per gli avvicinamenti. LE MONTAGNE DIVERTENTI un collaboratore che lo sostituiva quando lui era assente perchè chiamato come guida alpina. Per trasportare l'occorrente per l'ospitalità, da principio utilizzava la strada sterrata che giungeva fino a circa m 2200. Da qui tramite una teleferica sospesa nel vuoto recuperava facilmente il tutto. In seguito, purtroppo, non è più stata fatta manutenzione alla carrozzabile che man mano è degradata al punto che nemmeno con un 4x4 si riesce a percorrere l’ultimo tratto. Da allora, ad inizio stagione, ricorre all’elicottero per trasferire il grosso delle derrate alimentari e la legna per il fuoco. Dopo essersi sposato e aver avuto due figli ha continuato a gestire la struttura aiutato proprio dai suoi famigliari: ricorda con gli occhi lucidi che i suoi ragazzi hanno trascorso tutte le estati in quota, inizialmente controllati da una babysitter, poi, col passare degli anni, come collaboratori nelle faccende quotidiane. Anche la moglie Susanna, in tutti i momenti liberi dal lavoro in città, saliva e sale tutt’ora ad aiutare il marito. Rammenta che nei primi anni si lavorava molto: erano tanti gli avventurosi che vi pernottavano per poi compiere traversate o ascensioni. Nell'ultima decade invece sono diminuiti coloro che si fermano a dormire, mentre sono aumentati gli escursionisti che sostano solo per il pranzo. Anche il menù ha subito variazioni: la clientela si è fatta sempre più esigente e si è quindi passati dalla classica pastasciutta e dal minestrone a piatti tipici valtellinesi come pizzoccheri e polenta con salmì di selvaggina. La sua clientela chiede principalmente di essere accompagnata alla Sassa d’Entova lungo la bellissima cresta SO oppure al pizzo delle Tremogge sfruttando il canalone roccioso verticale che porta direttamente in vetta. Essendo il rifugio Longoni vicino al confine elvetico, oltre ai turisti italiani, qui transitano e si fermano molti stranieri che intendono realizzare il tour del Bernina: la prima tappa, infatti, prevede la partenza dal passo del Maloja e l’arrivo alla Longoni passando per il passo del Muretto. Per ampliare l’offerta della zona sta realizzando un sentiero attrezzato sul pizzo Malenco, così da poter conquistare facilmente una vetta di oltre 3400 metri senza mettere piede sul ghiacciaio, evitando le trappole dei crepacci. Attualmente la Longoni è aperta nei mesi estivi, dai primi di giugno a metà settembre, ed Elia è contrario all’apertura del rifugio in primavera: i pendii di accesso sono spesso pericolosi per ed esposti al distacco di slavine. Al fine di migliorare la vivibilità del rifugio, nel corso degli anni ha apportato numerose modifiche strutturali, tra le quali la veranda e il balcone di accesso, la termocucina e il rifacimento di tutti i servizi igienici. Spera vivamente di poter quanto prima montare dei pannelli fotovoltaici sul tetto per avere energia elettrica sia per la gestione della struttura, sia per i clienti che ormai non si muovono più se non sono accompagnati da decine di apparecchiature elettroniche. Dal 1995 al 2005, ogni estate il rifugio ha ospitato docenti e studenti dell'Università Statale di Milano, facoltà di geologia, per un campo estivo di due settimane volto a studiare le peculiarità geologiche della zona. «Consiglierei vivamente anche ai giovani - si congeda Elia - di provare a gestire un rifugio alpino: è un’esperienza di vita molto istruttiva che però va fatta con convinzione perché serve molta passione e soprattutto parecchia capacità di adattamento.» Rifugio Elia ed Antonio Longoni 83 Escursionismo Riservato ai soli escursionisti esperti, proponiamo un insolito itinerario ad anello di grande interesse storico, naturalistico e paesaggistico che, partendo da Premadio e appoggiandosi al ripido sentiero di Sassalta, tocca le due cime del monte delle Scale (m 2497 - m 2521), lambisce le sponde del lago delle Scale e si chiude, alto sopra Bocche d’Adda, lungo l’antica via della Ferrarola. Dalla cima del monte delle Scale si ha una delle più esaustive prospettive sia sulla conca di Bormio, che sulla Valdidentro, ma pure sulla valle di Fraele, con i suoi giganteschi invasi, che su quella del Braulio, dove sono incise le infinite risvolte della strada dello Stelvio. Nicola Giana 84 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI \ La cima E del monte delle Scale vista dalla sua cresta Monte (m 2497 - m 2521) 85 orientale (17delle luglio Scale 2014, foto Beno). Escursionismo Alta Valtellina Monte delle Scale - cima SE (2497) 2315 Monte di Solena (2919) ro la Sassalta Castelet Via Ferr a Il monte delle Scale visto da Bormio. Indicati il sentiero di Sassalta e la via della Ferrarola (16 luglio 2014, foto Beno). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: Premadio, ponte dei Forni (m 1300). Itinerario automobilistico: da Bormio proseguire sulla SS38 dello Stelvio e, al terzo tornante, voltare a sx e immetersi sulla SP 301 del passo del Foscagno. Passata la frazione Molina, parcheggiare l’auto nei pressi del ponte dei Forni sull’Adda, sito allo sbocco della valle del Braulio (circa 2 km dall'inizio della SP 301). Itinerario sintetico: ponte dei Forni (m 1300) Castelet (m 1480) - Sassalta - cima E del monte delle Scale (m 2497) - cima NO del monte delle Scale (m 2521) - forte del monte delle Scale - torri di Fraele (m 1941) - lago delle Scale (m 1928) - Castelet (m 1480) per la via della Ferrarola - ponte dei Forni (m 1300) . Tempo previsto: 7 ore e mezza. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello: 3+ su 6, 1200 m in salita. Dettagli: EE. Percorso per escursionisti esperti e con piede sicuro; salita alla vetta su tracce di I l monte delle Scale, localmente chiamato anche piz da la Crosc1, è una massiccia barriera con andamento ONO-ESE tra la Valdidentro, di cui costituisce un tratto della sponda settentrionale, e la valle dell'Adda. Si tratta di un prolungamento della calcarea costiera delle cime di Platòr, 1 - Pizzo dalla croce, per la grande croce metallica posta sulla sua cima orientale. 86 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI sentiero, segnalato con radi ometti, molto ripido e sdrucciolevole. In discesa lungo la via Ferrarola, tratti ripidi, esposti e sdrucciolevoli. Mappe: - Kompass n. 72 - Parco Nazionale dello Stelvio, 1:50000. – Alta Valtellina, Bike & Trekking Map n. 4, Bormio Stelvio - Valdisotto - Valdidentro, 1:25000 Approfondimenti: - Mario Gianasso, Guida Turistica della Provincia di Sondrio, B.P.S. II Edizione 2000 - Fabio Besta, Guida alla Valtellina ed alle sue acque minerali, pubblicata per cura del CAI Sez. Valtellinese, Sondrio Stab. Tipo Litografico A. Moro & C. 1884 - Eliana e Nemo Canetta, Escursioni in alta Valtellina, Braulio - Cancano - Fraele - Lago di Livigno - Parco Nazionale Svizzero, CDA-Vivalda, Torino 2000 - Nemo Canetta, Sui sentieri della Grande Guerra in Valtellina, Edizioni CDA, Torino 1996 - Giovanni Peretti, Rifugi alpini, bivacchi e itinerari scelti in Alta Valtellina, Bonazzi Grafica, Sondrio 1984 da cui è separata tramite la profonda breccia dove sorgono le torri di Fraele. L'edificio sommitale del monte delle Scale è caratterizzato da due cime di cui la più vicina al cielo è a NO (m 2521), mentre quella più vicina al cuore degli escursionisti è a SE (m 2497), dotata di grande croce metallica e rinomata per la bella vista sulla conca di Bormio e la Valdidentro. Nel Medioevo il monte delle Scale era punto nodale della Via Imperiale d’Alemagna2. Qui infatti si trovavano le torri di Fraele (XIII sec.) e le scale di Fraele3, costruite per controllare l’ac2 - Di qui transitavano tutte le merci dirette in Svizzera, Austria e Germania. 3 - Il toponimo scale fa riferimento alle famose scalinate di legno utilizzate per superare il ripido passaggio roccioso che portava alle torri di Fraele, la cui caratteristica era di essere rapidamente smonta- Monte delle Scale (m 2497 - m 2521) 87 Escursionismo Alta Valtellina Il panorama sulla conca di Bormio dalla cresta SE del monte delle Scale (16 luglio 2014, foto Beno). cesso alla valle di Fraele. Durante la Grande Guerra, sul versante S appena sotto la sella tra le due cime, vi era una caserma, mentre a N erano dislobili e asportabili in caso d’invasioni nemiche. Oggi una strada di origini militari sale a stretti tornanti sul versante S delle cime di Platòr e supera la fascia di rocce tramite gallerie, facilitando l’accesso sia al lago che alla vetta. cate diverse piazzole d’artiglieria atte a contrastare la discesa degli austriaci qualora avessero sfondato le linee avanzate sullo Stelvio. archeggiata l’auto nei pressi del ponte dei Forni (m 1300) imbocchiamo la sterrata sulla dx idrografica che entra nelle gole; dopo 50 m P Sguardo sulla cima Piazzi dai pressi del forte del monte delle Scale (16 luglio 2014, foto Beno). sulla sx ha inizio la via della Ferrarola (sentiero n. 198) che porta a Cancano. Il tratto iniziale, buono come riscaldamento, si sviluppa comodo e ad ampi tornanti tra mughi e pini silvestri sopra l’abitato di Premadio, lungo il crinale di separazione fra la valle del Braulio e la Valdidentro. In località Castelét (enorme masso erratico quotato m 1480), il sentiero n.198 spiana inoltrandosi nella valle del Braulio. Qui lo abbandoniamo a favore del sentiero di Sassalta4, che si diparte sulla sx e sale 4 - Freccia rossa sul basamento del traliccio n. 5; salire diretti dietro questo evitando l’evidente traccia che scende verso sx. senza sconti di pendenza sul crinale cosparso di mughi. Riscoperto e pulito da una guida locale, è una traccia non sempre evidente e facilmente confondibile con quelle dei selvatici. Sporadici ometti di sasso confermano la giusta direzione. Il terreno è sdrucciolevole, molti i sassi precari, la progressione è quasi tutta di punta e mai banale, ma la fatica è ripagata dai gradevoli scorci sui bagni, sulla verde piana di Bormio e sui monti che le fanno corona. Superato un primo strappo che non dà respiro, a m 1600 usciamo su una costa erbosa e di radi mughi, esattamente a perpendicolo sulla frana La Valdidentro dalla cima SE del monte delle Scale (16 luglio 2014, foto Beno). 88 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte delle Scale (m 2497 - m 2521) 89 Escursionismo panoramico a m 2000. Proseguendo verso N, dopo un ripido passaggio tra le piante siamo a una cengia a m 2200. Dal successivo belvedere notiamo in lontananza, ben evidenti, la serie di tornanti di Spondalunga, mentre sulle pendici settentrionali della Reit, meno chiari perchè nel folto della mugheta, intuiamo i resti delle strade militari di arroccamento dirette al villaggio de Le Buse. Ovunque volgiamo lo sguardo scopriamo tracce di percorsi o resti di fortificazioni della Grande Guerra. Il sentiero ora corre sulla facile cresta permettendo la vista dei ghiaioni che precipitano sul versante sud; con passo sicuro e senza vertigini guadagniamo la quota 2360 e da questa, per facile traccia sul fianco N, tocchiamo finalmente la croce bianca della cima SE del monte delle Scale (m 2497, ore 3). L’impatto col generatore per l’illuminazione notturna della croce non è certo entusiasmante, ma la vista e la pace che si godono da quassù non hanno eguali. Poco distante una rosa LE MONTAGNE DIVERTENTI conduce all’ampia sella tra le due vette e per via intuitiva (qualche ometto) conquistiamo la cima NO del monte delle Scale (m 2521, ore 0:30), dalla quale dominiamo la valle di Fraele con i laghi artificiali di Cancano, San Giacomo e quello naturale delle Scale. Tornati alla sella, è doverosa una visita all’ampio pianoro di quota m 2420 con le postazioni d’artiglieria prima di accedere alla galleria che porta alla caserma incollata sotto la cresta sul versante S. Al suo interno troviamo due Monte delle Scale - cima NO (2521) postaz ioni di art ig Discesa dalla cima SE e salita alla rocciosa cima SO del monte delle Scale (16 luglio 2014, foto Beno). La mulattiera militare sul versante S del monte delle Scale. Dopo questo tratto su cengia diviene meno aerea e porta con numerose risvolte alle torri di Fraele (16 luglio 2014, foto Beno). 90 delle cime in acciaio inox facilita l’individuazione e la conoscenza delle vette circostanti. Forte è il contrasto tra le pendici del versante N, con sullo sfondo gli invasi colossali di Cancano e di San Giacomo di Fraele, e la strapiombante parete a S, famosa tra i rocciatori, con gli ampi ghiaioni che raggiungono il fondovalle. Qui in vetta un monumento ai Caduti è stato posato a ricordo e monito per le generazioni future. Imbocchiamo il sentiero che ria lie di Turripiano. Lo sguardo spazia sul Masucco, sul San Colombano e sulla cima Piazzi. Cento metri più in alto (m 1700) siamo sul ghiaione (ex discarica) del materiale di scarto proveniente dalla costruzione della galleria Cancano-Premadio dell’AEM, ora A2A. Evitando la traccia che invita ad attraversarlo, saliamo tenendoci sul fianco sx sino alla base di un piccolo salto di rocce, superato il quale (corda fissa) siamo a una piazzola (m 1800) che ospita un’antenna delle telecomunicazioni, una stazione dell’ARPA di rilevamento geotecnico e idrometeorologico e l’imbocco del condotto di cui abbiamo appena calpestato gli scarti di realizzazione. Il tracciato riprende a salire sul lato opposto, verso N, e con una serie di zig-zag (corde fisse) giunge in località Sassalta dove sono i resti dei basamenti in cemento armato delle baracche dormitorio e delle mense degli operai che lavorarono alla galleria sottostante. Gradualmente il sentiero ritorna ripido e, chiuso nella spessa mugheta disseminata di erica, si sposta verso NE guadagnando un ridotto punto Alta Valtellina Estate 2015 Il forte del monte delle Scale visto da S (16 luglio 2014, foto Beno). polveriere. Sono staccate dalla roccia con una camera d'aria per esser meglio isolate dall'umidità. Esposti a S vi sono i vecchi dormitori delle truppe, dove ora si trovano i pannelli esplicativi con foto, racconti e aneddoti sul conflitto e sulla vita militare. L'uscita del tunnel ci proietta sul luminoso fianco meridionale del monte. Imbocchiamo la vecchia mulattiera militare che prende avvio all’estremità occidentale del severo edificio blindato. Al primo tornante sinistrorso gli smottamenti, il crollo dei muri di sostegno e la mancanza di manutenzione hanno ridotto la via a semplice traccia. Tra rocce rotte, numerosi canali e profondi ghiaioni, il sentiero, attrezzato con catene nei passaggi più esposti, percorre questo primo tratto poco agevole tenendosi sul ripido versante S. Occorre prestare attenzione al materiale smosso, evitando sia di provocare frane, sia di fare da bersaglio a chi sta sopra. Capita spesso che a far cadere materiale siano le capre che custodiscono il fortino, le quali si affacciano dalle cenge incuriosite dal passaggio degli ignari visitatori. Fioriture estive al lago delle Scale, riserva privata di pesca. Il lago non ha immissari né emissari: il rifornimento e il riassorbimento dell’acqua avvengono esclusivamente sotto la superficie. All'estremità dx del lago si nota un'estesa macchia di potamogeti (16 luglio, foto Beno). LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte delle Scale (m 2497 - m 2521) 91 Escursionismo Alta Valtellina Monte delle Scale - cima SE (2497) LAa G rande G uerra VA S Monte delle Scale - cima NO (2521) in forte (2425) lta lle e attorno al monte delle cale Eliana e Nemo Canetta ssalta i Sa d ro tie sen via della Ferrarola Il monte delle Scale visto dalla valle del Braulio (agosto 2014, foto Eraldo Meraldi). Scorci panoramici mozzafiato si susseguono a ogni cambio di direzione, ma basta poca fantasia per immaginare quante fatiche e tribolazioni hanno vissuto i nostri antenati più di un secolo fa per realizzare queste opere. Dopo un traverso alla base di una parete rocciosa, guadagniamo la spalla posta al limite superiore della fitta mugheta del versante occidentale. La via diventa una carrareccia che con lunghi traversi scende alle storiche torri di Fraele (m 1930, ore 1:15), mute sentinelle dello scorrere del tempo5. Prendiamo quindi la strada principale verso E, oltrepassiamo l’albergo Villa Valania e costeggiamo la sponda occidentale del lago delle Scale6 fino alla casina del Lago (m 1928, ore 0:20). Alle nostre spalle, incorniciata dalla breccia dove sono le torri, c'è la cima Piazzi col suo ghiacciato versante N. All’interruzione della staccionata (cartello segnavia) imbocchiamo il sentiero classico per la vetta del monte 5 - La più bassa fu deliberatamente utilizzata come cava di materiale per costruire una chiesetta lì vicino dedicata a Sant' Antonio. 6 - Fatto bizzarro alle alte quote, il lago e le sue sponde appartengono ad un circolo di pesca privata. I biglietti sono in vendita presso Domus Immobiliare a Isolaccia (Valdidentro) o direttamente al lago dove un custode ben poco garbato con eventuali intrusi è a disposizione per qualsiasi necessità. 92 LE MONTAGNE DIVERTENTI Scale che, attraverso i prati da sfalcio, porta a ridosso dei mughi. Poco prima, un secondo cartello (scritta sul retro, bivio non molto chiaro) indica la deviazione a sx per Premadio lungo la via Ferrarola. Il toponimo, con molta probabilità, è legato al fatto che questa era usata per trasportare a valle il ferro delle miniere di Fraele e il carbone che si produceva su questi versanti per alimentare l’impianto fusorio di Premadio7. Costeggiando i prati e tenendoci a ridosso del bosco (tracce di sentiero), in direzione E e poi SE, entriamo nel fresco delle piante ove la mulattiera si fa più evidente e in leggera ma costante salita. Orliamo le pendici settentrionali della montagna sino ad affacciarci sul fianco orientale, proprio di fronte alla valle del Braulio (m 2050 ca.). Gradatamente il tracciato volge a S e percorrendo alcuni tratti ripidi, sdrucciolevoli ed esposti fra le rocce 7 - Nel 1850 la ditta Luigi Corneliani costruì un complesso fusorio a Premadio, poco a valle del ponte dei Forni. Il carbone per l’altoforno era prodotto col legname tagliato sulle pendici che attorniano il monte delle Scale, come stabilito da un contratto del 16 dicembre 1852. Cessata l’attività nel 1875, è l’unico forno ottocentesco, in Italia, a non aver subito riconversione. Esempio di archeologia industriale, è attualmente inserito in un parco giochi di proprietà del Comune. e i ghiaioni che precipitano verso Bocche d’Adda, tramite una serie di tornanti siamo al bivio (m 1718) che immette sul Sentiero dei Fortini8, dove si trovano testimonianze di fortificazioni del periodo della Grande Guerra. Trascurando la deviazione (tenere la dx), superata una valletta scoscesa e percorsi otto brevi tornanti, il sentiero spiana giungendo ai ruderi di un edificio ormai anonimo. Segue il Crap de la Capèla (m 1612), riparo naturale spesso utilizzato dai contrabbandieri nel secolo scorso che transitavano curvi sotto il peso delle bricolle. Poco più avanti una piccola fontanella funge da abbeveratoio per uomini e selvatici. Il sentiero prosegue in leggera discesa offrendo scorci affascinanti tra i mughi che lasciano intravedere sul versante opposto l’avvicinarsi del complesso dei Bagni Vecchi. Rieccoci finalmente all’enorme masso erratico di Castelét e, in breve, per lo stesso itinerario fatto in salita ritroviamo l’auto al ponte dei Forni (m 1300, ore 2:30)9. 8 - Vedi la rubrica di itinerari Andare per montagne in Alta Valtellina a cura di Eraldo Meraldi. 9 - Si ringrazia Eraldo Meraldi per le informazioni fornite. Estate 2015 La gittata dei cannoni del monte delle Scale e del Dossaccio era tale da poter far giungere i proiettili fin oltre il passo dello Stelvio (grafica Canetta). Q uando nel 1870, con la presa di Roma, terminò la fase principale del Risorgimento, uno dei maggiori problemi dell'Italia fu quello della difesa dei confini nazionali. Oggi può apparire perfino strano, ma dobbiamo meditare sulla realtà ben diversa di un’Europa di un secolo e mezzo fa, in cui lotte nazionali e di potere erano all’ordine del giorno. Non dimentichiamo del resto che la vicina Svizzera ha mantenuto in perfetta efficienza le sue opere di difesa almeno sino al termine della guerra fredda e si dice che debba la salvaguardia della propria neutralità, anche durante le due tremende guerre mondiali, proprio alle sue capacità militari e alla validità delle sue fortezze. Ma torniamo a noi. L’Italia appena nata aveva - guarda caso - gli stessi problemi di oggi: tante idee, ma pochi soldi! Fu così che aree considerate importanti, ma non alla stessa stregua di altre, come la Valtellina, ebbero LE MONTAGNE DIVERTENTI l’onore di molti progetti che però restarono tutti rigorosamente sulla carta. Venne poi la Triplice Alleanza con la quale Roma si legò per decenni a Vienna e Berlino. Per di più in quel periodo varie altre motivazioni scavarono un fossato tra l’Italia e la Francia. Fu così che si iniziarono a fortificare le Alpi Occidentali, in parte riutilizzando antiche opere sabaude, in parte riempiendo letteralmente quelle montagne di strade e batterie, mulattiere militari e fortificazioni. Ovviamente tale ingaggio prosciugò le già risicate risorse del bilancio di quello che ai tempi si chiamava Ministero della Guerra e che, solo dopo il Secondo Conflitto Mondiale, ha assunto il pudico nome di Ministero della Difesa. Si andò avanti così per decenni, lasciando quasi completamente sguarnita la frontiera con l’Impero asburgico, col quale non avevamo un’intesa idilliaca, causa l’irredentismo verso Trento e Trieste, ma che comunque bene o male era nostro alleato. Va notato che però in Valtellina furono piazzati due battaglioni di Alpini, a Morbegno e Tirano, che come d’uso assunsero il nome della città ove risiedevano. Tali reparti però (che a piena forza potevano contare su circa 2000 uomini) avevano anche caserme a Chiavenna, Sondrio e Bormio, per cui da quelle basi potevano costantemente pattugliare sia la frontiera con la Svizzera che quella con l’Austria. Col nuovo secolo le cose gradatamente cambiarono. Innanzitutto le finanze migliorarono, in secondo luogo la tensione con la Francia decrebbe e l’Italia, pur restando membro della Triplice Alleanza, iniziò a fortificare anche la frontiera con l’Austria, verso cui i rapporti andavano peggiorando. Fu così che si riprese in considerazione la Valtellina e finalmente, verso il 1910, tale progetto fu trasformato in realtà. Dopo lunghe discussioni (si era anche pensato di fortificare il colle dell’Aprica) si decise di costruire tre Monte delle Scale (m 2497 - m 2521) 93 Approfondimenti Alta Valtellina Il forte del monte delle Scale (13 agosto 2009, foto Roberto Ganassa). fortezze: Colico, Tirano e Bormio. Lo scopo delle opere di Colico e Tirano era di bloccare un’eventuale discesa di forze asburgiche che avessero violato la neutralità svizzera, puntando rispettivamente su Chiavenna e sulla Valtellina, dalla val Bregaglia e dalla valle di Poschiavo. Quanto all’Alta Valtellina il discorso era più complesso. Bisognava da un lato impedire all’avversario l’utilizzo dell’importante strada dello Stelvio e dall’altro battere con l’artiglieria sia la Valdidentro che la 94 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valfurva, da dove si temevano infiltrazioni nemiche. Il problema però era di soluzione relativamente facile poiché, avendo atteso tanti anni, i forti valtellinesi godevano degli ultimi ritrovati della tecnica, e in particolare di artiglierie poste in torri girevoli corazzate che potevano ruotare per colpire obiettivi a 360°. A Colico e Tirano le torri ospitavano pezzi da 149A, ovvero con il calibro della bocca da fuoco di 149 mm. Il forte in Alta Valtellina fu eretto su un Obice 149/G del peso di 5297 kg come quelli che furono portati sul monte delle Scale (museo d’artiglieria di Torino, foto Nemo Canetta). dosso nel Comune di Valdisotto, nella frazione di Oga proprio di fronte a Bormio. Le torri corazzate disponevano di 4 pezzi da 120/40 di derivazione navale, che quindi avevano una notevole gittata (11,3 km): le granate, che pesavano quasi 25 kg, potevano raggiungere abbastanza agevolmente addirittura il passo dello Stelvio! Le nostre fortificazioni erano il perno centrale di un’intera area attrezzata a difesa. Ad esempio a Tirano altre artiglierie erano sotto il forte e altre ancora Estate 2015 sui dossi sopra Trivigno. In Alta Valle le opere militari furono numerose. Alle Motte sotto il forte fu piazzata una batteria di pezzi da 70A, il cui scopo era di battere lo sbocco delle gole del Braulio, impedendo al nemico la discesa nella conca di Bormio. Furono poi costruite tutta una serie di stradelle e mulattiere militari: la prima, oggi trasformata in una carrozzabile sterrata, saliva al monte Masucco, dal quale si dominava tutta la Valdidentro e i monti verso Livigno. Una seconda raggiungeva le torri di Fraele e l’area di Cancano (ove non erano state ancora erette le dighe). Dalla sella delle torri, un’arditissima mulattiera raggiungeva la sommità del monte delle Scale, dalla quale si domina completamente il complesso delle Gole del Braulio e la strada dello Stelvio nel tratto tra la Prima e la Seconda Cantoniera. Un’altra stradetta portava infine alla Forcola, tra la punta di Rims e il monte Braulio, da dove si poteva controllare la vicina frontiera elvetica e soprattutto la testata della valle del Braulio con il passo Stelvio. Negli ultimi anni prima della guerra fu poi aperta la carrozzabile che collegava LE MONTAGNE DIVERTENTI la Valdidentro con Livigno attraverso il passo del Foscagno. Strada oggi di eccezionale importanza turistica, ma poco gradita ai livignaschi che temevano di perdere le proprie franchigie doganali! A Bormio erano depositati 4 pezzi da 75A che avrebbero dovuto essere portati, in caso di conflitto, sulla sommità del monte delle Scale, col compito di tirare sulla strada dello Stelvio. Pesavano 1040 kg e lanciavano a circa 8 km un proiettile di 6,3 kg. Particolare importante: erano ad affusto rigido, ovvero non avevano meccanismi per eliminare il rinculo e dopo ogni colpo dovevano essere riportati nella posizione originale (il che naturalmente riduceva molto il ritmo del tiro). Tuttavia i comandi della zona si resero conto che questi cannoni avevano una potenza troppo scarsa rispetto allo scopo previsto. Come sempre vi furono discussioni, progetti, lettere e richieste finché pare che Cadorna stesso, prima della guerra, nel periodo di preparazione dell’esercito, decise di inviare in Valtellina 4 obici da 149G, che facevano parte delle difese di Roma, ormai inutili. Il guaio era che questi pezzi, che giunsero puntualmente a Bormio, pesavano ben 5297 kg! In compenso lanciavano oltre 9 km una granata di più di 35 kg, con potere dirompente nettamente superiore a quello dei 75A. Bocche da fuoco un po’ vecchiotte, anch’esse ad affusto rigido, ma comunque decisamente valide se si fosse dovuta bloccare un’eventuale discesa asburgica dallo Stelvio. Nei primi giorni di guerra i pezzi furono smontati e trainati a forza di braccia dal Battaglione Alpini Valtellina (costituito con riservisti relativamente anziani del Tirano) fino alle torri di Fraele. Poi con sforzi che ci appaiono veramente sovrumani, gradatamente raggiunsero la vetta del monte delle Scale dove iniziarono a fare buona guardia alle gole del Braulio. Tuttavia gli austriaci si guardarono bene dal scendere sul versante valtellinese dello Stelvio, tanto che successivamente i pezzi furono spostati alla Forcola, da dove era possibile un tiro più utile verso l’area dello Stelvio e i ghiacciai circostanti. Monte delle Scale (m 2497 - m 2521) 95 Escursionismo Piz Tea Fondada (3144) Cime di Plator (2910) Monte Cornaccia (3049) Pizzo del Ferro (3054) va l le Al pis el Piz Schumbraida (3125) l a le va ll e a a nc no piano di Pedenolo va ll va l l e d i Frae C Monte Braulio (2980) cola or e F Grasso di Solena (2008) Cascina del Lago Villa Valania I laghi di Cancano e di San Giacomo di Fraele N ella valle di Fraele si trovano i cosiddetti laghi di Cancano, due colossali invasi artificiali: il lago di Cancano (Cancano II, 123 milioni di m3) e il lago di San Giacomo di Fraele (64 milioni di m3). Costruiti dalla AEM nel secolo scorso, sono oggi proprietà di A2A. Sono alimentati dalle acque del fiume Adda, che nasce nella vicina valle Alpisella, nonché dal canale dello Spöl1, dal canale Gavia - Forni 1 - Un sistema di gallerie della lunghezza complessiva di 23,7 km, sottopassando lo spartiacque alpino, raccoglie le acque dell'alta valle di Livigno, a oltre m 2000, che naturalmente defluirebbero verso il bacino del Danubio 96 LE MONTAGNE DIVERTENTI - Braulio2 e dal Nuovo Canale Viola3. Tutto ebbe inizio tra il 1925 e il 1933, quando nell'incontaminata valle di Fraele fu eretta la diga ad arco-gravità di Cancano I che originava un invaso di circa 20 milioni di m3. Nel 1940 si iniziò a costruire un secondo sbarramento (a speroni nella parte centrale e raccordato a due dighe 2 - Costituito da 3 tronchi in galleria per una lunghezza complessiva di 33,3 km, raccoglie le portate derivate dai torrenti Alpe, Gavia, Frodolfo, Zebrù, Braulio, Forcola e alcune immissioni minori. 3 - Inaugurato nel 2004 in sostituizione del vecchio canale a cielo aperto che era in funzione dal 1928, è lungo quasi 17 km e ha richiesto 32 mila tonnelate di calcestruzzo. Raccoglie le acque della val Viola Bormina che possono raggiungere una portata di 15 metri cubi al secondo. Dalla cima NO del monte delle Scale (16 luglio 2014, foto Beno). Beno laterali a gravità massiccia) a monte di Cancano I: la diga di San Giacomo di Fraele. I lavori, più volte interrotti durante la Seconda Guerra Mondiale, si conclusero solo nel 1950 e ai piedi della diga venne realizzata una piccola centrale idroelettrica che sfruttava il salto esistente tra la quota di San Giacomo e quella di Cancano I. La centrale fu dopo poco dismessa e l'edificio sommerso con la realizzazione tra il 1953 e il 1956 della nuova diga di Cancano II, del tipo ad arco-gravità, con altezza massima di ben 136 metri e ubicata a valle di Cancano I. La diga e la vecchia centrale, Estate 2015 tuttavia, nei periodi di secca, fanno ancora oggi capolino come fantasmi dal passato, così come le fondamenta delle baracche di Digapoli, il villaggio utilizzato dalle maestranze durante la costruzione della diga di San Giacomo di Fraele. Oggi il dislivello tra le dighe di San Giacomo e di Cancano viene di nuovo sfruttato grazie un sistema di turbine capaci di generare fino a 10 MW, mentre il salto maggiore viene trasformato in energia elettrica dalle 6 turbine Pelton collegate ai 3 gruppi generatori della centrale di Premadio, che può erogare fino a 226 MW di potenza. LE MONTAGNE DIVERTENTI Nei periodi di magra, dalla superficie del lago di Cancano emerge la veccha diga ad arco-gravità di Cancano I. Immagine ripresa dal monte delle Scale - cima SE (foto Beno). Monte delle Scale (m 2497 - m 2521) 97 Escursionismo Alpi Orobie Val Cervia L’asprezza del versante orobico sopra Cedrasco e la scarsità di acqua hanno protetto la val Cervia dallo sfruttamento idroelettrico consegnandola praticamente intatta ai giorni nostri. È una valle dai due volti: ripida e impervia all’imbocco dalla Valtellina, dolce e aggraziata nella parte più elevata. Per scoprire le bellezze di questo scarsamente conosciuto corridoio laterale che si diparte dalla valle dell'Adda a sud dell’abitato di Cedrasco, vi proponiamo una lunga escursione con partenza dall’alpeggio di Campelli (m 1265) e che culmina sulla vetta del monte Toro. Luciano Bruseghini Sulla cresta E del monte Toro (24 ottobre LE MONTAGNE DIVERTENTI 2014, foto Luciano Bruseghini). 98 Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Val Cervia 99 Escursionismo Orobie Il tempietto dedicato alla Madonna Regina dei Monti a Campelli (5 settembre 2009, foto Fabrizio Barri). Nei pressi di baita Giambone (m 1530) (24 ottobre 2014, foto Luciano Bruseghini). Baita Pessoli, altrove indicata come baita superiore di val Cervia, capolinea della strada carrozzabile (24 ottobre 2014, foto Luciano Bruseghini). Sguardo sul lungo solco della val Cervia da I Pianoni (24 ottobre 2014, foto Luciano Bruseghini). «L BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ 100 Partenza: Campelli (m 1265). Itinerario automobilistico: da Sondrio - uscita tangenziale via Vanoni -, dirigersi verso Albosaggia e, attraversato il ponte sull'Adda, svoltare a dx sulla SP16. Insistere sulla pedemontana superando Albosaggia e Caiolo; giunti a Cedrasco (8 km), prendere a sx per il centro del paese, dove si imbocca (serve il permesso vedi nota 2 a pag. 103) la stretta strada asfaltata che sale ripida in val Cervia fino all'alpeggio di Campelli (circa 9 km). Itinerario sintetico: Campelli (m 1265) - Fenili LE MONTAGNE DIVERTENTI Arale (m 1600) - casera di Val Cervia (m 1615) - passo di val Cervia (m 2318) - monte Toro (m 2524) - passo di Valbona (m 2324) - baita Publino (m 2058) - casera Caprarezza (m 1900) - Fenili Arale (m 1600) Campelli (m 1265). Tempo previsto: 9-10 ore. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello: 3- su 6, 1700 m. Dettagli: EE. Escursione di notevole sviluppo chilometrico (30 km). Estate 2015 à nella val Cervia - scriveva oltre cent'anni fa Bruno Galli-Valerio in Cols et Sommets - gli orsi avevano trovato un nemico terribile. Non li attaccava col fucile, ma tendeva loro delle trappole. Delle enormi trappole in ferro, fissate con delle catene, erano tese nei boschi. Dicono che ben undici orsi vi hanno lasciato la pelle [...] Ma gli orsi hanno, come noi uomini, qualcuno che li vendica. Parecchi anni dopo, in una di quelle trappole, il figlio del cacciatore fu intrappolato e ne ebbe una gamba sbriciolata. Gli orsi erano vendicati.» Se a questo racconto aggiungiamo che il toponimo parrebbe derivare dalle mandrie di cervi che la popolavano, siamo portati a immaginarci la val Cervia come una di quelle immense vallate dell’ovest americano. In realtà, anche se molto più in piccolo e senza grizzly, ai giorni nostri la val Cervia rimane comunque tra le più selvagge e incontaminate della provincia di Sondrio. Perciò merita di essere visitata! LE MONTAGNE DIVERTENTI P er ridurre il cammino, giunti in auto a Cedrasco1, acquistiamo il permesso di transito2 . Questo ci consente di proseguire coi mezzi per la ripida carrozzabile asfaltata che dal paese sale con numerosi tornanti lo scosceso fianco settentrionale del dosso Morandi e conduce agli alpeggi. Al bivio per Campelli (m 1265, cartello in legno) lasciamo la vettura. Ci proiettiamo a piedi (sx) verso le baite di Campelli3 seguendo la carrareccia inizialmente sterrata, poi acciottolata, fino al grazioso tempietto dedicato alla Madonna Regina dei Monti e risalente al XVIII secolo. Subito a dx dell’edificio religioso parte un sentierino, segnato con bolli 1 - Il toponimo Cedrasco deriva dal termine mirtillo, cedrùn nel dialetto locale. 2 - Come riportato sul sito del Comune di Cedrasco: “i costi dei permessi variano dai 3 euro per la durata giornaliera ai 20 euro per la durata annuale. Gli stessi sono reperibili presso gli uffici comunali, i negozi e il bar presenti in paese e il bar Libera in località San Pietro Berbenno (quest'ultimo esercizio è aperto dalle ore 6). 3 - Da quest'anno a Campelli si può anche sostare più giorni nel nuovo rifugio "Il Rododendro" in gestione dal Gruppo Alpini di Cedrasco. bianco-rossi, che prende quota in un ombroso bosco di abeti, per poi ricongiungersi con la strada asfaltata nei pressi di alcuni pannelli illustranti il parco delle Orobie Valtellinesi. Insistiamo lungo la carrareccia, che dalla primavera 2015 è stata interamente pavimentata. Lo scarso traffico veicolare rende piacevole anche camminare lungo la rotabile. Finalmente, oltre i m 1300, iniziamo a penetrare in val Cervia. La strada taglia tutto il vertiginoso e dirupato fianco destro idrografico; in alcuni tratti sono state posizionate anche delle reti paramassi come protezione. Al piccolo nucleo di Fenili Arale4 (m 1600, ore 1) il paesaggio si addolcisce, dai pascoli è possibile scorgere 4 - Questo toponimo, come altri che incontreremo lungo il percorso, non è raro sul versante orobico valtellinese. Basti pensare ai Fienili Arale nella vicina val Tartano. Questa è la località più remota per cui è valido il permesso di transito. Andare oltre coi mezzi è concesso ai soli caricatori d'alpe e ai volontari residenti che svolgono attività di manutenzione sia della strada che dei pascoli della vallata. Val Cervia 101 Escursionismo Orobie Monte Toro (2524) 2465 Traccia di salita e discesa dal monte Toro (24 ottobre 2014, foto Luciano Bruseghini). In vetta al monte Toro. In lontananza le vette delle Alpi Retiche (24 ottobre 2014, foto Luciano Bruseghini). Passo di val Cervia. Al centro il Corno Stella (m 2621), di cui si intuisce l'ombrosa parete N. In basso a dx è il lago Moro in alta val Carisole (24 ottobre 2014, foto Luciano Bruseghini). Traverso a mezza cosa verso la baita Cerech bassa (24 ottobre 2014, foto Luciano Bruseghini). Il nucleo di baite di casera Caprarezza (24 ottobre 2014, foto Luciano Bruseghini). la testata della valle, dominata dal Corno Stella sulla cui cresta occidentale si trova la sella del passo di val Cervia, nostra prima meta di giornata. Volgendo lo sguardo verso N abbiamo un interessante prospettiva del monte Disgrazia e della rettilinea valle di Postalesio. Dissetati alla fontanella, proseguiamo lungo lo sterrato che inizialmente si abbassa di una cinquantina di metri per poi incedere pianeggiando fino al bivio nei pressi dell’alpeggio di baita Salinoni: questo è il punto di chiusura dell'anello che ci condurrà su entrambi i versanti della vallata. Prendiamo a dx e ci abbassiamo di un centinaio di metri fino a toccare il fondovalle dove scorre placido il torrente Cervio. Attraversiamo un’idilliaca radura in leggera salita costeggiando i nuclei di baita Serra (m 1490) e Rasega (m 1501). Un ponticello (m 1550) ci trasferisce sul lato dx idrografico dove, passata una baita in località Grasso dei Caioli (m 1567), in breve raggiungiamo la elementare tracciato che si contorce sui pendii fino alla cima. Volendo menzionare imprese di tutt'altro spessore il nostro pensiero corre al 1923, quando Bruno GalliValerio e Rino Rossi per primi vinsero la parete N. I due partirono a piedi dalla stazione di San Pietro (vi erano giunti da Sondrio col treno delle 4:20 del mattino) e rientrarono nel capoluogo alle 20:45 con una gita che, mappa alla mano, ha uno sviluppo di oltre 50 km! È interessante anche ricordare che, come racconta lo stesso Galli-Valerio, quando informarono alcuni contadini della val Cervia delle loro intenzioni furono prontamente invitati a desistere: «Non riuscirete mai, vi ammazzerete.»6 Ma ciò non li scoraggiò e alle 12 gli alpinisti erano già alla vedretta (oggi estinta) sotto la N del Corno Stella. La scalata della parete fu alquanto rocambolesca, su rocce a tratti difficili e che 102 LE MONTAGNE DIVERTENTI casera di val Cervia (m 1624, ore 1). Alzando lo sguardo verso E scorgiamo sul versante opposto i pascoli e le baite che visiteremo al ritorno5. Procediamo sempre in direzione S. Il torrente Cervio, che scorre alla nostra sx, scompare per un breve tratto per poi riapparire più in alto: in questo scorcio di tarda estate la portata d’acqua non è sufficiente a far sfiorare il canale sotterraneo naturale che s'inghiotte il torrente. La pista sterrata ora è molto dissestata e poco curata poiché a questa quota, fortunatamente, non sono molti i veicoli che transitano. Dopo un breve e ripido tratto cementato, finalmente giungiamo alla baita Pessoli (m 1923, ore 0:30), capolinea della carrozzabile. Ci troviamo a un crocevia: a dx (O) si sale al passo di Valbona che conduce in val Madre, mentre a sx 5 - In val Cervia sono presenti ben 8 alpeggi su cui d'estate vengono caricate circa 200 mucche da latte, assieme a un discreto numero di asciutte, capre e cavalli. (E) si va al passo del Tonale che porta nella valle del Livrio, proseguendo diritto verso S, invece, si raggiunge il passo di val Cervia. Noi imbocchiamo quest’ultima direttrice e, dopo aver attraversato un piccolo rigagnolo, iniziamo a guadagnare quota fra radi pascoli e pietraie per approdare a una zona pianeggiante conosciuta come i Pianoni (m 2126). Ancora un po' di fatica, un ultimo traverso a sx e finalmente siamo al passo di val Cervia (m 2318, ore 1), dal quale possiamo dare un’occhiata alla val Carisole, laterale della val Brembana. Sotto di noi vi è lo scuro lago Moro, mentre a dx appare l’abitato di Foppolo con le sue piste da sci. Si ha un’estesa panoramica anche sulle lontane vette delle Alpi Retiche, in primis il monte Disgrazia (m 3678). A sx è invece il pendio ovest del Corno Stella (m 2610) a catturare la nostra attenzione: da qui è possibile salirvi abbassandosi sul versante bergamasco di circa duecento metri, per poi imboccare il ripido ma Estate 2015 6 - Bruno Galli-Valerio, Punte e passi, traduzione a cura di Luisa Angelici e Antonio Boscacci, Tipografia Bettini, Sondrio 1998. LE MONTAGNE DIVERTENTI richiesero loro l'utilizzo della tecnica della piramide umana: «Affondo la piccozza in una fenditura per permettere al mio compagno di appoggiarvi il piede, ricorda Bruno Galli-Valerio, poi aiutandolo colle spalle, lo spingo in alto. Dopo molti sforzi, il Rossi può con una mano toccare la cresta e avendo trovato un appoggio per l'altro piede, riesce a passare dall'altra parte. Passo anch'io aiutato dalla corda.» Oggi purtroppo non resta traccia né di camminatori tanto tenaci, né del ghiacciaio: solamente dopo inverni particolarmente nevosi un piccolo nevaio resiste tutta l'estate ai piedi della parete N del Corno Stella. Torniamo a noi. Dal passo ci voltiamo verso N ad ammirare lo spettacolo di tutta la val Cervia appena percorsa: da qui sembra ancora più lunga di quello che in effetti è! Con la pancia piena, dopo una proficua sosta ristoratrice, riprendiamo la marcia seguendo il tranquillo filo di cresta verso O: il monte Toro, nostra prossima meta, è lì che ci invita a raggiungerlo. Una debole traccia corre lungo lo spartiacque con alcuni saliscendi e, dopo un facile tratto roccioso, sbuchiamo sulla vetta del monte Toro (m 2524, ore 0:30), al confine tra val Madre, val Cervia e val Carisole. Dalla cima scendiamo per la facile cresta NE (sfasciumi, non vi è sentiero) puntando all'ardito torrione di quota m 2465. Lo aggiriamo da dx, abbassandoci per rottami e pascoli fino a incontrare il sentiero della GVO7. Lo seguiamo (sx) e arriviamo al passo di Valbona (m 2324, ore 0:45), stretto intaglio nella roccia compreso fra la Sponda Camoscera e il picco roccioso quotato m 2465. Riscendiamo in val Cervia, passando prima per baita Gavazza (m 2154) e poi traversando in piano a La Piana (m 2093), fino a divallare alla baita Pessoli (m 1923, ore 0:45), dove siamo transitati già alcune ore prima. Sempre sfruttando la GVO in dire7 - Gran Via delle Orobie - sentiero Bruno Credaro. Val Cervia 103 Escursionismo Orobie zione E, ci abbassiamo nel fondovalle per rimontare il versante opposto toccando l’alpeggio di baita Publino (m 2058, ore 0:20), dove ci intratteniamo con un gruppetto di asini intenti a pascolare la poca erba rimasta. Vorrebbero seguirci, ma riusciamo per fortuna ad allontanarli: non si è mai visto un gruppo di asini che si accoda a due somari! Ora il sentiero principale prosegue sempre a E e si inerpica verso il passo del Tonale. Noi invece imbocchiamo una traccia che diparte a sx (N) e taglia in leggera salita il costone erboso ai piedi della cima Tonale. Dopo un breve tratto dirupato sbuchiamo in un ampio pascolo recintato da muretti in sasso, qui perdiamo la via. Non ci preoccupiamo più di tanto perché il prato successivo è ben visibile. Insistiamo verso N pianeggiando fino a pervenire a una breve spalla rocciosa oltre la quale c’è baita Mattarucchi (m 2109, ore 0:35) dove ritroviamo la pista. Il fondovalle è già immerso nell’oscurità, noi in quota invece ci godiamo ancora i caldi raggi del sole che ci accompagnano per tutta la traversata. Incrociamo un ruscelletto quasi asciutto con accanto un’enorme tanica di alluminio piena d’acqua: evidentemente la portata di questo rivolo è incostante per cui gli alpeggiatori provvedono a fare scorta nei periodi piovosi. Il tracciato scende in diagonale fino a baita Cerech Bassa (m 1970, ore 0:30) che sorge ai piedi dell’omonima punta. Gli alberi, in particolare i contorti larici, interrompono la monotonia delle praterie. Attraversati altri due rigagnoli, saliamo per un breve tratto e poi ancora in leggera discesa fino al nucleo di Casera Caprarezza (m 1900, ore 0:30). È un alpeggio ben sfruttato, con pascoli curati ed edifici recentemente ristrutturati: di grande aiuto è stata sicuramente la carrozzabile che arriva fin qui e allevia di parecchio le fatiche dei pastori. Insistiamo su questa rotabile in discesa passando per Casera Stavello (m 1738, ore 0:30), che spunta improvvisamente dopo una curva nel bosco. Giunti a baita Salinoni (m 1652, ore 0:30) ritroviamo il bivio incontrato in mattinata. L’anello è chiuso, non ci resta che tornare alla macchina a Campelli. Trotterelliamo sempre lungo la strada, risaliamo una breve rampa e sbuchiamo a Fienili Arale (m 1600, ore 0:30). Provvidenziale ci appare la fontana a cui ci dissetiamo e riempiamo le borracce. Anche qui ci sono due asini al pascolo, ma a differenza dei loro simili incontrati a baita Publino, scappano appena ci vedono: forse “profumiamo” più di loro! Ricalcando il tracciato del mattino usciamo soddisfatti dalla valle. Ai pannelli del parco, imbocchiamo il sentierino che si abbassa velocemente a Campelli (m 1265, ore 0:50) e, dopo 30 km e 1700 metri di dislivello positivo, giungiamo sani e salvi all’auto. Storie di alpinisti e cacciatori L'11 agosto 1910, dopo aver rocambolescamente scalato il Corno Stella dalla parete N, Bruno Galli-Valerio incontra un contadino lungo la via del ritorno. Questo ha una doppietta sulle spalle... « - Brav'uomo, gli dico, cacciate prima del tempo? - Cosa pensate? Mi risponde. Ho preso il fucile perchè ho una grande paura delle vipere. Questa risposta mi fa ridere e: - Avreste potuto dirmi che l'avete preso per difendervi dalle formiche. Il contadino mi lancia uno sguardo sospettoso da sotto il cappello. Si chiede se non sia per caso una guardia. Al primo sentiero di traverso, ci augura la buonasera e sparisce nei boschi.»1 1 - Tratto da: Bruno Galli-Valerio, Punte e passi, op. cit.. 104 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Val Cervia 105 Alpinismo Pizzo di Rodes (m 2829) Il cuore delle selvagge Orobie è probabilmente la val d’Arigna. Vi consigliamo un impegnativo tracciato escursionistico che si svolge nella sua parte occidentale e regala laghetti alpini, nevai, creste, e, dopo la possibilità di trascorrere una notte nel caratteristico rifugio Donati, porta sulla vetta del celebre pizzo di Rodes, da cui si gode uno dei panorami più estesi dell'intera Valtellina. Claudio Bormolini Alba su punta di Santo Stefano (sx) e pizzo di Rodes (dx) ripresa da Montagna in Valtellina. Al centro si nota la bocchetta (18 dicembre 2014, foto Beno). 106 del LE Reguzzo MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo di Rodes (m 2829) 107 Escursionismo Orobie Briotti (21 settebre 2013, foto Claudio Bormolini). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - 108 Partenza: Briotti (m 1049). Itinerario automobilistico: Sondrio, SS 38 per Ponte in Valtellina - a Casacce prendere a dx per Sazzo (m 456) - proseguire in val d’Arigna sino a Fontaniva (m 814, località meglio conosciuta come Arigna) - al tornante, svoltare a dx per le contrade Berniga (m 835), Famlonga (m 925), Prestiné (m 956), sino a giungere a Briotti (m 1049) ove ha inizio l’escursione a piedi. Itinerario sintetico: Briotti (m 1049) - Prati di Torre (m 1145) - baite Bernè (m 1236) - baita Spanone (m 1559) - Santo Stefano (m 1848) baita di Quai (m 1890) - rifugio Donati (m 2504) bocchetta del Reguzzo (m 2621) - pizzo di Rodes (m 2829) - bocchetta di Santo Stefano (m 2378) lago di Sopra (m 2124) - Santo Stefano (m 1848) Briotti (m 1049). LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 10 ore per l'intero giro. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Scarponi consigliati. Difficoltà/dislivello: 3- su 6 / circa 1800 metri. Dettagli: EE. Brevi tratti scoscesi e su fondo scivoloso oltre i m 2600. Passi elementari di arrampicata per la vetta del Rodes. Possibilità di neve anche in estate avanzata. Per utilizzare il rifugio Donati occorre accordarsi con Arialdo Donati che ne custodisce le chiavi (tel 0342-482000). Mappe: - Kompass n.104 - Foppolo-Valle Seriana, 1:50000; - Carta escursionistica Comunità Montana Valtellina di Sondrio, foglio 3 - Le valli orobiche, 1:30.000. Estate 2015 L' avventura parte da Briotti (m 1049), amena località del comune di Ponte in Valtellina posta su un poggio panoramico a 30 minuti di guida da Sondrio. Lasciamo l’auto nei pressi dell’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi alla periferia occidentale del nucleo, attraversiamo la strada (ex decauville) per salire alle case del centro (m 1060) dove si trova una piazzetta con lavatoio coperto e una teca con altorilievo che indica i monti circostanti, i maggenghi e i sentieri per raggiungerli. Un sentiero risale i prati e interLE MONTAGNE DIVERTENTI cetta la carrozzabile per i prati Torre. Guadagnate le baite alte (m 1145), in direzione SSE raggiungiamo le baite Bernè (m 1236). Eccoci al guado sul Tripolo, torrentello apparentemente innocuo, ma che altrove ha scavato solchi profondi. Celato da uno spesso strato di muschio riconosciamo un crot1 per la conservazione del latte. Poco prima delle baite (cartello di legno), prendiamo a dx il ripido sentiero per i laghi di Santo 1 - Costruzione a pianta circolare, in pietra a secco e coperta a cupola. Dimensioni ridotte e grossi spessori murari, grazie anche all’acqua corrente del ruscello, garantivano un ambiente fresco adatto alla conservazione del latte. Stefano e il rifugio Donati. La traccia prosegue e avvicina la baita Spanone (Spanùn, m 1559, ore 1:15), un rudere nel mezzo di una radura prossima ad essere inghiottita dalla vegetazione. La zona è densa di formicai e la vista si apre su media e alta Valtellina, oltre che sulle scure pareti di Druet e Cagamei. Il bosco presto si dirada e la via diventa tortuosa fino a farci scorgere il muro della diga2 e, più in basso, 2 - Serbatoio a regolazione stagionale, facente parte del complesso denominato “Venina Superiore-Inferiore”, le cui acque alimentano la centrale di Armisa. Pizzo di Rodes (m 2829) 109 Escursionismo la facciata della nuova chiesetta di Santo Stefano (m 1848, ore 0:45), edificata in sostituzione di quella più antica sommersa lago artificiale3. Al successivo bivio, proseguiamo a sx passando sotto la casa del guardiano e percorriamo il lungo tratto pianeggiante che taglia il versante orientale del pizzo Culdera e raggiunge il baitone di Quai (m 1890, ore 0:30). Sopra di noi si apre l’omonimo vallone: la via bollata supera senza sconti di pendenza i quasi 600 metri che ci separano dalla conca del Reguzzo. Inizialmente il sentiero segue un torrentello, risalendo i magri pascoli punteggiati di crap e maròs. Una pioggerella costante e le nuvole che corrono basse rendono ancora più affascinante e solitario questo luogo. Verso m 2200 il vallone diventa improvvisamente più impervio e sassoso, e aprendosi lascia intravedere l'arrotondata vetta del Rodes. Questo è sicuramente il tratto più duro e faticoso. Uno strappo ci regala un pianoro dall'aspetto lunare: rocce montonate e blocchi sparsi nascondono un ambiente ricchissimo di rivoli d'acqua. Siamo intorno a m 2400; manca poco, ma la stanchezza inizia, o meglio continua a farsi sentire. Il sentiero si trasforma in una traccia ben segnalata (segnavia rosso e arancio) che, dopo aver aggirato da dx delle placconate, ci deposita sul promontorio dove sono collocati il rifugio Donati (m 2504, ore 1:45) e l'adiacente bivacco invernale. Siamo a pochi passi dal lago di Reguzzo, nelle cui acque limpidissime e calme si specchiano tutte le cime e le creste circostanti. Un tavolone e delle panche con intagliati i profili delle vette ci accolgono per una bella merenda ristoratrice. Qui vicino si trova anche la stazione nivometeorologica automatica gestita da ARPA Lombardia le cui misurazioni dimostrano che la conca del Reguzzo è la L’opera, realizzata negli anni 1928-29, è stata ottenuta innalzando la quota del laghetto naturale omonimo con due dighe a gravità, di cui la principale è a pianta molto arcuata, con uno sviluppo di 207 m e un’altezza di 25 m, mentre l’altra ha uno sviluppo di 70 m e un’altezza di 21 m (fonte Edison Gestione Idroelettrica). 3 - Per approfondimenti sulla prima parte dell'itinerario si veda: Nicola Giana, Sulle tracce di Santo Stefano, LMD, n.25 Estate 2013 - pagg. 104-113 110 LE MONTAGNE DIVERTENTI Orobie La mulattiera pianeggiante che collega Santo Stefano al baitone di Quai (27 giugno 2012, foto Fabio Pusterla). Lungo la pista pianeggiante che da Santo stefano porta al baitone dei Quai (20 settembre 2014, foto Claudio Bormolini). Il lago di Reguzzo e il rifugio Donati (26 settembre 2004, foto Riccardo Scotti). All'interno del rifugio Donati si trovano molti comfort (21 settembre 2014, foto Claudio Bormolini). Pizzo di Rodes (2829) Pizzo di Scotes (2978) Passo Biorco (2620) Bocch. del Reguzzo (2621) Pizzo di Rodes (2829) Bocch. del Reguzzo (2621) Punta di Santo Stefano (2693) Lago di Reguzzo Rif. Donati Panoramica dalla punta di Santo Stefano. Indicate la traccia di salita dalla Donati al Rodes per la bocchetta del Reguzzo e quella di discesa dal Rodes verso la bocchetta di Santo Stefano. Quando il fondo non è nevoso si affrontano chine d'erba, di sfasciumi e placche (2 giugno 2009, foto Beno). Rif. Donati (2504) VA LL ON E DE L QU AI Rodes e punta di Santo Stefano visti da E (2 ottobre 2011, foto Marino Amonini). Estate 2015 zona più nevosa dell'intera provincia. La notte trascorre serena nell'accogliente tepore del rifugio che, di proprietà dei CAI Valtellinese, offre 14 letti, acqua, stoviglie, fornelletto e stufa a legna. All'alba ha inizio l'ultima parte dell'ascensione a quello che, con una grossa iperbole, è stato definito il Cervino di Piateda. Ci dirigiamo decisamente a NE puntando all'eLE MONTAGNE DIVERTENTI vidente intaglio tra il pizzo di Rodes a sx e la punta di Santo Stefano a dx. La traccia corre dapprima tra detriti, quindi una ripidissima rampa erbosa ci conduce alla bocchetta del Reguzzo (m 2621, ore 0:30) che ci catapulta in un ambiente incredibilmente spettrale: la valle cinta da punta di Santo Stefano, pizzo di Rodes e dai contrafforti rocciosi della sua cresta NNO è una distesa di rocce montonate e detriti, dove talvolta la neve rimane anche per tutta l'estate. Qui fino agli anni '30 vi era un ghiacciaio, ora ridotto a nevaio non sempre permanente. Il cupolone del Rodes è dritto a S e per raggiungerlo non ci resta che individuare il tracciato meno problematico tra placconate, neve e detriti. Non vi è via obbligata, i tratti di “arrampicata” sono semplici e brevi; talvolta, per di più, il consistente Pizzo di Rodes (m 2829) 111 Escursionismo Pizzo di Coca (3050) Pizzo di Scotes (2978) Pizzo di Porola (2981) Punta di Scais (3039) Pizzo di Redorta (3039) Dente di Coca (2925) Pizzo Cavrel (2825) Tramonto in vetta al Rodes (3 novembre 2007, foto Beno). Punta di Santo Stefano (2693) Bocch. di Santo Stefano (2380) La valle e la punta di Santo Stefano dal primo lago (21 settembre 2013, foto Claudio Bormolini). La valle tra il pizzo di Rodes e la punta di Santo Stefano, innevata talvolta anche d'estate (2 giugno 2011, foto Beno). passaggio di escursionisti disegna una traccia che agevola l'orientamento. Giunti in vetta (pizzo di Rodes, m 2829, ore 0:40) siamo colpiti dal vastissimo paesaggio. Particolarmente istruttiva è la vista sul gruppo centrale delle Orobie, di cui si distin- 112 LE MONTAGNE DIVERTENTI guono le vette principali. Leggenda vuole che da qui si veda addirittura la Madonnina del Duomo di Milano, ma chiunque abbia raggiunto la cima potrà sicuramente smentire tale diceria! Sul versante meridionale della montagna occhieggia il laghetto del Rodes e, molto più in basso, al confluire di val Vedello e val Caronno, una porzione del lago di Scais. A SE si scorgono, ai piedi del pizzo Biorco, il lago degli Uomini e il lago delle Donne. Se ci voltiamo, in lontananza, abbiamo una carrellata completa delle Estate 2015 Alpi Retiche, dalla val Masino al gruppo Ortles-Cevedale. Per il rientro ci abbassiamo nel vallone appena salito fino a superare l'edificio sommitale della punta di Santo Stefano e raggiungerne la base della sua cresta NO, dove si trova LE MONTAGNE DIVERTENTI (cartello) l'intaglio della bocchetta di Santo Stefano (m 2380, ore 1). Questa mette in comunicazione il vallone dell'Alpe di Piateda con il vallone dei laghi di Santo Stefano, nostra prossima tappa. Smontiamo così dallo spartiacque in direzione NE e seguiamo la traccia che si fa via via più marcata e che, dopo aver attraversato i tre ripiani glaciali che ospitano i laghi, ci porta a Santo Stefano (m 1848, ore 1:15), da cui, per la via dell'andata, torniamo a Briotti (m 1047, ore 1:45). Pizzo di Rodes (m 2829) 113 Escursionismo Orobie Rifugio O ttorino donati R ai piedi del pizzo di odes I l 17 agosto 1985, domenica, la giornata non era delle più limpide. Una fresca brezza accompagnò molte persone nella salita ai m 2504 del lago di Reguzzo, dove l'atmosfera fu subito riscaldata dall'entusiasmo degli amici di Ottorino Donati che in sua memoria avevano costruito e si accingevano a inaugurare un nuovo rifugio nel cuore del gruppo centrale delle Alpi Orobie, proprio ai piedi del pizzo di Rodes. Il rifugio Ottorino Donati e il bivacco invernale situati nei pressi del lago di Reguzzo (9 luglio 2011, foto Roberto Ganassa). A ppuntamento rispettato, domenica 31 agosto 2014 ai piedi del pizzo di Rodes, per coloro che son saliti lassù a condividere un significativo compleanno: i trent’anni del rifugio Ottorino Donati. Una quarantina di amici non si sono lasciati intimidire delle bizze del meteo e hanno aderito alla semplice iniziativa promossa da Arialdo Donati, anima del gruppo di volontari che trent’anni fa eresse la struttura. Si è potuto anche ammirare il nuovo tavolo di legno posto all'esterno del rifugio con ricamati i nomi delle vette circostanti e l’ordinata staccionata realizzata per contenere gli imbrattamenti di capre e selvatici che frequentano la zona. Sono stati accolti con letizia don Angelo Mazzocchi, parroco di Piateda, che ha celebrato la Santa Messa, i carabinieri di Ponte con il comandante Battista Ellena e il decano di Briotti Pierino Donati, forte dei suoi 87 anni. setemap orientarsi nello spazio.it Cartografia Escursionistica Applicazioni Web Isimap Rilievo Sentieri Tematici Comunicazione Turistica Escursionistica Progettazione Segnaletica Verticale su Piste Ciclabili Pannelli Cartografici Tematici 114 SeTe srl Sviluppo e Territorio - Sondrio Via Don Bosco 6b LE MONTAGNE DIVERTENTI 0342.200296 [email protected] www.setesrl.it Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI La breve cerimonia è stata introdotta dal saluto del sindaco di Ponte Valtellina Franco Biscotti che ha espresso un vivo apprezzamento per quanto si è fatto allora e quanto si conserva oggi; il rifugio è insostituibile punto di riferimento del versante per appassionati escursionisti che vogliono godere degli straordinari scenari di quella quota. Un piacevole spuntino ha poi accomunato tutti in allegria, anche i ritardatari giunti dalle bocchette attorno al Rodes. E per concludere l’inossidabile Claudio “del Belgio” ha pescato dalle limpide acque del lago di Reguzzo una preziosa bottiglia di champagne Veuve Clicquot per corroborare il buonumore dei presenti che si accingevano alla lunga discesa a piedi fino a Briotti. Questo in sintesi è quanto accaduto nel 2014, ma meritano certo maggior attenzione le ragioni che 30 anni fa hanno portato a erigere un rifugio lassù, a oltre m 2500 ai piedi della piramide del pizzo di Rodes (m 2829). AMICI DI BRIOTTI A cavallo tra gli anni '70 e '80 un pugno di giovani, amici per la pelle e arditi quanto basta per inventarsi audaci prove sportive (corse in montagna, discese e sci alpinismo tanto sui prati di Briotti, che sugli aspri fianchi della val d’Arigna) diedero vita all'associazione “Amici di Briotti”, con sede e cuore pulsante nell'omonima contrada orobica del Comune di Ponte in Valtellina. Dinamici e attivi organizzarono manifestazioni atte a richiamare interesse e curiosità; dai 40 soci iniziali l’associazione arrivò a contarne un'ottantina, tesserandosi alla FISI e dotandosi di un geniale mini skilift smontabile con 250 metri di fune che fu installato talvolta sui pendii di Briotti, talvolta sui nevai del Scimur in alta val d'Arigna. Un anno i soci proposero persino lo sci estivo sui ripidissimi pendii sotto il Coca, portando in elicottero l’impianto e passando una decina di giorni al bivacci Corti tra sciate e birre, musica e cantate. Pizzo di Rodes (m 2829) 115 Approfondimenti Orobie Gli "Amici dei Briotti" dopo una gara di sci. Da dx Ottorino Donati, Loris Folini e Arialdo Donati (anni '70, foto archivio famiglia Donati). La seconda stagione di lavori per la costruzione del rifugio Donati (estate 1984, foto archivio famiglia Donati). La messa per l'inaugurazione del rifugio Donati (17 agosto 1985, foto Marino Amonini). Durante l'inaugurazione viene anche consegnata una targa al Claudio "del Belgio" (17 agosto 1985, foto Marino Amonini). Ottorino Donati col suo deltaplano (fine anni '70, foto archivio famiglia Donati). OTTORINO DONATI Della compagnia faceva parte Ottorino Donati, un ragazzone del ’58, simpatico e spericolato, allegro e scanzonato, praticante lo sci alpinismo e adepto della nuova disciplina che si stava imponendo in quegli anni: il deltaplano. Spiccava il volo dal piz Culdera o addirittura dal cocuzzolo del pizzo di Rodes; grandi vuoti si aprivano sotto di lui, ripagando con adrenalina la faticosa salita sotto il peso di un voluminoso zaino colmo di attrezzatura. Un tragico schianto automobilistico alle porte di Sondrio, sotto un violento temporale, lo rapì ai suoi cari e alle piccole frazioni di Arigna e Briotti il 1 luglio 1983. Morire a venticinque anni lascia indelebili cicatrici nei cuori degli amici. LA SCINTILLA Il cugino di Ottorino, Arialdo Donati, una settimana dopo la scomparsa di Ottorino salì al lago di Reguzzo, ai piedi del pizzo di Rodes e Biorco. 116 LE MONTAGNE DIVERTENTI Solo, con la mestizia nell’animo e il vuoto nel cuore lasciato dall’amico, assaporò l’intensa spiritualità della montagna che rendeva i ricordi ancor più struggenti. Lo shock per la morte di Ottorino avrebbe potuto sgretolare quel gruppo capace di tante iniziative. Nacque così, lassù, l’idea di costruire una struttura in memoria di Ottorino. L’AZIONE Arialdo, comunicata l'idea a suo fratello Amerino e a suo padre Pietro, radunò gli amici per pianificare i lavori. Seguirono mesi di telefonate, riunioni e incontri, confronti e verifiche. L’associazione, al di là delle quote del tesseramento, aveva la cassa prosciugata; partì una sottoscrizione tra amici, familiari, i tanti ospiti che frequentano Briotti e la val d’Arigna d’estate, gli sportivi che partecipavano alle gare, artigiani ed enti. In pochi mesi, chiedendo casa per casa, si raccolsero trentatre milioni di lire; cifra significativa per organizzare il cantiere. Piercarlo Stefanelli di Sondrio, professionista ben conosciuto in zona per essersi occupato di numerose residenze estive e amico degli intraprendenti giovani de “Amici di Briotti”, elaborò un progetto semplice ed essenziale. Ai comuni di Ponte in Valtellina e di Castello dell’Acqua il compito di verificare e rilasciare le necessarie autorizzazioni. Il senatore Libero Della Briotta (1925-1985) si prodigò per le concessioni e sensibilizzò Comunità Montana ed enti affinché sostenessero l’iniziativa; anche il CAI di Sondrio fu parte attiva. Nella primavera 1984 i giovani “Amici di Briotti” erano già pronti a salire al Reguzzo, e appena il meteo lo permise raggiunsero, ispezionarono il sito, studiarono la giusta collocazione del manufatto e soluzioni per il trasporto del materiale. IL CANTIERE Arialdo e Amerino Donati, Eligio e Claudio Famlonga, Claudio Moretti “del Belgio”, Giuseppino Moretti, Ivo Berniga furono i primi sherpa a Estate 2015 portarsi sulle spalle i pesanti carichi da Santo Stefano al Reguzzo; la Sondel, infatti, aveva collaborato trasportandoli con il carrello lungo il piano inclinato che dalla centrale di Armisa (m 1041) giunge al primo dei tre laghi di Santo Stefano (m 1848) . Arialdo con mazze, badili, picconi e punte; Amerino con carriola in groppa; Ivo attrezzi vari, Eligio la tenda, i due Claudio i viveri, Giuseppino le bevande, tante. Una volta al Reguzzo, in quell'ambiente inospitale arredato con sfasciumi, placconate e chiazze di neve, più volte si chiesero: «Ma chi ce lo ha fatto fare?» La domanda se la posero di nuovo la notte, quando alle 22 scoppiò un furioso temporale che prima scosse, poi fece a brandelli la tenda, costringendo gli sventurati a passare la notte nello scomodo e misero riparo offerto da alcuni grossi massi. Bastò però il sole del mattino a riportare il buon umore. L'estate fu spesa a individuare, LE MONTAGNE DIVERTENTI raccogliere e squadrare i sassi occorrenti per costruire fondamenta e basamento, quindi ad accantonare quelli necessari a erigere il rifugio. L’anno successivo furono acquistati i materiali mancanti che l’elicottero, il Lama dell’Elitellina pilotato dal virtuoso Rubis, portò da Briotti al Reguzzo sfidando le insidie delle correnti e delle scighére. La struttura, che prendeva rapidamente forma, incuriosì molti; così che la schiera degli arditi ricevette l'aiuto di altre preziose braccia. Non mancarono i villeggianti e lo stesso sindaco Luigi Tempra, saliti al Reguzzo per verificare, sostenere e incoraggiare lo sforzo di quella pattuglia di incoscienti ma bravi giovanotti di Briotti e dintorni. Nell'autunno 1984, la prima neve indusse ad abbandonare il cantiere, ma alla primavera successiva, dopo vari sopralluoghi con gli sci, si decise un primo trasporto con l’elicottero: un carico di sacchi di cenere da spargere sulla piazzola per favo- rire il rapido scioglimento della neve e consentire in sicurezza di effettuare altri voli per un’altra estate di cantiere. Per proteggersi di notte e riporre gli attrezzi fu utilizzata una baracca, essenziale ma ben fatta. Una notte però la violenza dell’ennesimo temporale, allentò le funi che la ancoravano. Questa volò così lontano da disperderne le tracce e i volontari passarono la notte tremanti protetti solo dai loro sacchi a pelo fradici1. Al Reguzzo il bel cameratismo dei volontari diventava letizia durante i pasti; certo non si esagerava col cibo, sebbene la specialità regina fosse la cropa di cui il Giuseppino era "maestro di paiolo". Nell’estate del 1985 vennero inseriti gli arredi, curati interamente dalla falegnameria Botacchi di Chiuro ai cui si aggiunsero i letti a castello 1 - Che al Reguzzo i temporali siano particolarmente furibondi lo dimostra il fatto che il basamento del pennone della bandiera, formato da blocchi disposti a opus incertum, a furia di incassare scariche elettriche si è fuso. Pizzo di Rodes (m 2829) 117 Escursionismo Torna in Valtellina il Festival Jazz più atteso dell’estate. Orobie AmbriaJazz è un festival itinerante di jazz e musica contemporanea che si tiene ogni estate in Valtellina. Il festival è teso alla valorizzazione di luoghi caratteristici della provincia attraverso proposte musicali sempre diverse: si suona presso centrali elettriche, miniere, ville patrizie, chiese e castelli. Con la sua offerta di musica dal vivo (sempre gratuita grazie al contributo di enti e sponsor), AmbriaJazz ha saputo richiamare dal 2009 in Valtellina nomi importanti a livello internazionale (Paolo Fresu, Francesco Bearzatti, Gianluca Petrella, Hamid Drake, Paolo Angeli), offrendo nel contempo spazi a molti altri artisti di qualità. L’ultimo sabato di luglio non può mancare l’appuntamento ad Ambria in Val Venina, nel Comune di Piateda; 1.325 metri, dove si incrociano i torrenti Venina e “Zapél”, poche abitazioni ben tenute, abitate solo d’estate. Lì si è scelto di portare il progetto più carico di messaggi umani perché lassù la gente merita un’occhio di riguardo, un evento in punta di piedi, carico di rispetto per coloro che hanno aperto le porte di casa, “tarano” la polenta per tutti i partecipanti, ripuliscono la strada e falciano il prato della Chiesa dove suoneranno i musicisti che vengono accolti a braccia aperte come vecchi amici venuti da lontano. Musiche e balli durante la cerimonia di inaugurazione del rifugio Donati (17 agosto 1985, foto Marino Amonini). donati dai familiari dei compianti Erminio e Luigi Faccinelli. Il “Rifugio Donati Ottorino, s.m. 2.504” - così recita la dedica scolpita sull’architrave in ghiandone all’ingresso - era pronto. “Sono passati sette anni ed il Festival è diventato una presenza significativa in Valtellina, sono venuti musicisti bravissimi, persone meravigliose che non scorderemo più, si lavora insieme su tante belle idee, si cresce concerto dopo concerto. Sicuramente AmbriaJazz ha avuto la fortuna di essere riconosciuto un buon progetto dagli Enti pubblici e privati che lo finanziano, ma senza il contributo di ogni singola persona che ha dedicato tempo, energie, denaro ed in cambio non chiede altro che ascoltare del buon jazz, non ci potrebbe essere il Festival che conosciamo. Ormai esso è dotato di una propria identità e sotto il suo nome convogliamo tutti come una grande famiglia, ognuno con il suo compito, tutti bravissimi... e io mi commuovo di fronte a tutto questo.” L’INAUGURAZIONE Domenica 17 agosto 1985, giornata fredda, ma non negli animi di chi si era recato lassù al Reguzzo. Una tazza di vin brulè o caffè bollente a ritemprare la fatica della scarpinata, poi via all'inaugurazione. La messa fu celebrata da Padre Antonio, un frate cappuccino, e accompagnata dal Coro Vetta di Ponte in Valtellina. Poi i brevi saluti del presidente del CAI Stefano Tirinzoni, del sindaco di Ponte Luigi Tempra, tesi a cogliere i tanti risvolti significativi dell’opera e ad esprimere apprezzamento e gratitudine a coloro che si erano prodigati nella sua realizzazione. Anche una targa consegnata a un emozionato Claudio “del Belgio” suggellò il momento cerimoniale. Giovanni Busetto Direttore artistico AmbriaJazz Il programma degli eventi di quest’anno è pubblicato sulDIVERTENTI sito www.ambriajazz.it LE MONTAGNE 118 Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI La cropa ed eccellente vino retico fecero poi esplodere la festa, resa ancora più sonora e allegra dal complessino musicale e dalle voci di coristi e solisti presenti. Anche il sole, a tratti, si mostrò al Reguzzo e il richiamo del pizzo di Rodes, a due passi, calamitò sguardi e voglia di salire. IL BIVACCO Non paghi di aver realizzato il rifugio, gli stessi amici, Arialdo ed Amerino in testa, nel 1996, godendo di contributi erogati dalla Comunità Montana di Sondrio si mobilitarono per costruire il bivacco invernale e locale bagno; una struttura sempre aperta2 per chi necessitasse di un ricovero in quei luoghi remoti. Il bivacco, la cui forma richiama quella dell'adiacente rifugio, anche grazie alla maestria di Mauro Del Po e alla disponibilità di Peppino Della Cagnoletta, fu completato in una sola stagione. 2 - Per utilizzare la Donati occorre invece chiedere le chiavi a Arialdo Donati - tel. 0342-482000. ESTATE DI GARE TRA BRIOTTI E DONATI Due appuntamenti podistici organizzati da i Dolcissimi asd 3 caratterizzeranno l'estate 2015 a Briotti. Si inizierà domenica 23 agosto 2015 alle ore 9 con il I Vertical Reguzzo 1.5 - memorial Loris Folini, una corsa in montagna di 12 km per superare i 1500 metri di dislivello positivo che separano i Briotti dal rifugio Donati. Sabato 12 settembre, invece, sarà il turno de La mezza dell'acqua. Atleti e famiglie, con partenza dal Dosso del Grillo (Briotti) alle ore 16:30, potranno scegliere su che distanza cimentarsi: 5 km, 10 km, oppure 21 km, correndo in piano lungo la ex decauville, ad una quota di m 1000. Il tempo realizzato sui 10 km sarà valido come seconda prova del Tris Orobico, circuito di tre gare sulla sponda orobica della media Valtellina promosso da Castelraider asd4. 3 - Info: www.idolcissimi.it 4 - Info: www.castelraider.it Pizzo di Rodes (m 2829) 119 Rubriche Lena il fiume dei Mammut Testi e foto Eliana e Neno Canetta L’immenso territorio della Siberia è attraversato da tre fiumi tra i più grandi del mondo: l’Ob, lo Enissey e la Lena. Quest' ultima, lunga 4400 km, nasce non lungi dal Lago Baikal, esattamente dal versante occidentale dei monti omonimi. Compresa interamente in Russia, ne costituisce il corso d’acqua più lungo. Il suo ciclopico bacino idrografico misura all’incirca 2 500 000 km2, cioè 3 volte quello del Danubio. La Lena, infine, sbocca nel mare Glaciale Artico con un immenso delta di oltre 32 000 km2 in cui si snodano le circa 45 bocche del fiume. 120 LE MONTAGNE DIVERTENTI Sole di mezzanotte nella laguna di Tiksi (12 agosto 2014). Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Lena, il fiume dei mammut 121 Rubriche Valtellinesi nel mondo 3,5 cm Come mai ci siamo interessati a questo lontano fiume russo? 0169 WIND CHIME PAN 14-4002 TuttoTPX iniziò nel gennaio 2008, quando fummo parte di un gruppetto di quattro italiani che atterrò nel gelido aeroporto di Yakutsk, la capitale della lontana Yakutia, la repubblica più vasta e fredda dell’immenso territorio della Federazione Russa. 0741 ORANGE.COM PAN 18-1561 TPX 8,3 cm 3,5 cm 1806 LIME PUNCH PAN 13-0550 TPX 2,9 cm Yakutsk, piazza Lenin (19 agosto 2014, foto Canetta). 2 cm 8 cm I l termometro segnava -42 °C, ma la popolazione della città ben intabarrata, specie le donne in lunghe pellicce, non sembrava preoccupar2043 MYKONOS BLUE PAN 18-4434 TPX sene più di tanto. Dopo una breve sosta turistica, ripartimmo assieme a uno statunitense di Denver su un pulmino 4x4 che, con una lunga traversata verso oriente, raggiunse Tomtor e Ojmjakon, ovvero le località abitate più fredde del pianeta. Fummo particolarmente fortunati poiché era da anni che non si registrava un freddo così intenso e riportammo a casa il nostro diplomino con indicata la temperatura di -66 °C, anche se sul fiume Indigirka, ove ci eravamo recati a pesca, pare che il termometro fosse sceso a -68 °C! Appena usciti da Yakutsk, il pulmino traversò l’immane distesa di ghiacci della Lena, fiume che non è superato ancor oggi da ponti, poiché durante il disgelo primaverile la corrente unita agli iceberg distruggerebbe ogni struttura1. Durante la sosta a Yakutsk, Eliana ed io scoprimmo che vi era un servizio di crociere, invero abbastanza 1 - La Russia in tempi recenti sta progettando di erigere, nei pressi del capoluogo, un enorme ponte sospeso. 122 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI avventuroso, che portava alle Torri della Lena e poi giù verso nord sino all’avanposto sperduto di Tiksi, unico porto della Yakutia sul mar Glaciale Artico, ben oltre il Circolo Polare. Da allora ci era rimasta la voglia di provare questa originale crociera, pare del tutto ignota ai viaggiatori italici. osì, sette anni dopo, nell’agosto del 2014, torniamo a Yakutsk per meglio conoscere la città, ma soprattutto per imbarcarci sul confortevole battello e trascorrervi 14 giorni. Del gruppo italiano del 2008 siamo rimasti solo noi due. In compenso è con noi Larissa, la bella, brava e simpatica russa di Syktyvkar che ormai da anni ci accompagna nelle escursioni nel suo paese. Yakutsk è una città di circa 270 mila abitanti dall’aspetto piacevolmente moderno. Eretta completamente sul permafrost, molte delle sue case sono costruite su apposite palafitte, di modo che la struttura non si muova durante la breve estate, stagione relativamente calda2, contrariamente a quello che molti pensano, a causa di un tipico clima C 2 - La temperatura media di luglio a Yakutsk è di 18,9 °C, contro i -42,9 °C di gennaio. continentale. Per le strade quindi non mancano belle ragazze in minigonna e si nota la commistione al 50% tra gli yakuti, di antica etnia turca, e i russi propriamente detti. Impossibile non citare taluni musei eccezionali, in particolare quello del mammut, i cui resti ancor oggi si trovano tanto frequentemente nel paese che ai turisti - pare incredibile vengono venduti oggetti scolpiti nelle zanne del colosso morto 10 mila anni orsono. Ancor più impressionante è il Tesoro, ove sono raccolti diamanti, di cui la Yakutia è il secondo produttore al mondo, pepite d’oro e di platino e oggetti in pietre dure lavorati con tale ricchezza e maestria da renderli veri patrimoni artistici. A metà di viale Lenina vi è la piazza Lenin dove troneggia, lo sguardo e la mano tesa verso il futuro, la statua del grande rivoluzionario, che forse non gradirebbe scoprire che, in questo lontano avamposto del potere moscovita eretto in luogo di una fortificazione cosacca, vi sono più gioiellerie che in via Monte Napoleone a Milano. Il giorno successivo ci svegliamo più a sud di Yakutsk perché abbiamo navigato verso le sorgenti, in vista di una selva di torri e canne d’orLena, il fiume dei mammut 123 Rubriche Yakutsk, al museo dei mammut (3 agosto 2014). gano3 composte da calcari, dolomiti e ardesie, alte dai 150 ai 300 metri, così slanciate da fare invidia alla Grignetta. In effetti qui un arrampicatore sportivo troverebbe pane per i 3 - Le singolari formazioni rocciose sono state originate dai forti sbalzi termici che caratterizzano il clima di questa parte di Siberia. 124 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valtellinesi nel mondo Yakutsk - museo etno: lo sciamano (3 agosto 2014). suoi denti, ma queste rocce, risalenti al più antico paleozoico4, sono state inserite all'interno del Parco naturale Pilastri della Lena e proclamate nel 2012 Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Quando sbarchiamo, 4 - Per l'esattezza risalgono al Cambriano, era geologica collocata circa 500 milioni di anni fa. ai piedi delle torri della Lena, una famiglia di yakuti ci accoglie con riti tradizionali di benvenuto, poi gambe in spalla per un buon sentiero, non privo di segnaletiche che avvisano dell’eventuale presenza di orsi bruni, raggiungiamo la sommità più elevata di questo settore di pilastri. Il panoEstate 2015 Cartello di pericolo orsi lungo il sentiero per i pilastri della Lena (7 agosto 2014). La Lena vista dall'alto dei pilastri (7 agosto 2014). I pilastri della Lena (7 agosto 2014). Zhigansk. Benvenuto sulla spiaggia con costumi eveni (10 agosto 2014). rama è immenso: il fiume costellato di isole e poi, più in là, boschi a perdita d’occhio e nessun segno di antropizzazione5. I giorni successivi il battello discende per un gran tratto verso nord; ogni tanto lungo le rive qualche minuscolo villaggio, poi per ore più nulla finché, dopo un paio di notti, ecco uno strano monumento a indicare che stiamo per tagliare il Circolo Polare. L’equipaggio cortesemente ci avverte di non salire al segnale, perché pericoloso dato il terreno franoso. Risultato: russi, italiani, svizzeri e inglesi si lanciano in una corsa sfrenata per vedere chi arriva primo. Più sotto il cuoco arrostisce sul fuoco di legna gli shashlik, spiedini di carne e pesce che consumiamo, bagnati di vodka, in una notte in cui il tramonto sembra non avere mai fine. A proposito di nazionalità: sulla nave siamo un centinaio di turisti, la maggioranza russi, ma non mancano 5 - La Yakutia ha una superficie di 3 milioni di km2, cioè 10 volte l'Italia, ed è abitata da meno di 1 milione di persone! LE MONTAGNE DIVERTENTI ucraini e abitanti della Crimea, i cui rapporti reciproci sono invero assolutamente ottimi. Qui sulla Lena la guerra dell’Ucraina appare quanto di più lontano e stupido si possa immaginare. Per il resto vi è mezza Europa: italiani e spagnoli, danesi e inglesi, svizzeri e tedeschi. Quando ognuna delle nazionalità deve prodursi in uno spettacolo noi temiamo ci chiedano di cantare O sole mio, poiché per i russi (… e non solo) è difficile comprendere che non tutti gli italiani cantino queste note, accompagnati da mandolini e mangiando pizza. Poco oltre il Circolo eccoci a Zhigansk un grosso villaggio ove sbarchiamo accolti da un comitato di benvenuto in perfetto costume eveno. Gli eveni erano la popolazione che occupava queste zone non solo prima dell’arrivo dei russi, ma anche prima degli yakuti. Bella gente dai tratti chiaramente mongolici, che abitava in tende molto simili a quelle dei pellirosse americani che, non dimentichiamolo, non sono altro che siberiani che, passando lo stretto di Bering, molte migliaia di anni avanti Cristo migrarono dall’Asia all’America. Lungo via Sovietica attraversiamo la cittaduzza, tutta di case di legno, ove non mancano negozi ben forniti e antenne satellitari. Raggiungiamo così la nuovissima chiesa, eretta in questi ultimi anni in luogo dell’antica rasa al suolo dai bolscevichi. Nei pressi un bel museo con le solite zanne di mammut e dei curiosi panciotti in pelle di pesce. Fuori i ragazzi della scuola hanno organizzato uno spettacolo di danze e cori folcloristici. Roba per turisti penserà qualcuno. Attenzione, la nostra cittadina è raggiungibile solo in elicottero o dal fiume, ma di crociere turistiche, se tutto va bene, ne arrivano tre all’anno. Guardando gli eveni abbiamo l’impressione che loro siano meravigliati quanto noi nel vederci anche perché nel raggio di centinaia di chilometri attorno, a parte qualche casa di cacciatori e boscaioli, non v’è null’altro. Ripartiamo verso nord e attracchiamo a Kyusyur, un altro villaggio non molto diverso dal precedente ma Lena, il fiume dei mammut 125 Rubriche Valtellinesi nel mondo Il sole di mezzanotte oltre il Circolo Polare Artico (11 agosto 2014). Ruttico gomme Dal 1967 ti aiuta a guidare sicuro PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA RIPARAZIONE GOMME E CERCHI BILANCIATURA E CONVERGENZA ASSISTENZA SUL POSTO OFFICINA MOBILE CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO Montagna in Valtellina (SO) fine tangenziale direzione Bormio tel 0342/215328 fax 0342/518609 e-mail [email protected] www.rutticogomme.191.it 126 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 forse più semplice. La via centrale ricorda la Rivoluzione d’Ottobre, sebbene non manchi un recente monumento che richiama alla memoria le deportazioni dell’epoca di Stalin. Ci offrono buone specialità locali a base di pesce e renna, mentre ci mostrano oggetti dell’artigianato locale tra cui curiosissimi gioielli a base di ossa di pesce che purtroppo Eliana deve rinunciare a comperare perché gli ultimi sono stati acquistati da qualche tedesco, al passaggio della nave un mese prima. Sulla nave si mangia molto bene: un'interessante cucina russa. Le specialità yakute sono il pesce congelato consumato crudo assieme a sale e erbe e la carne di cavallo, oppure di renna, oltre a prodotti della caccia. Quanto al terreno gelato, produce pochissimo se non nell’estremo sud della repubblica. Insomma in Yakutia a scavare è più facile trovare diamanti, oro o carbone - per non parlare delle ossa di mammut - che patate. La nave infila il cosiddetto Canale, le rive si rinserrano, non vi sono più isole e la Lena è larga solo (si fa per dire) 2 chilometri. Per decine di miglia ammiriamo un'imponente catena montuosa spianata dalle ere geologiche e dai ghiacci. La vegetazione è quasi sparita: siamo in piena tundra e gli alberi sono ormai solo un ricordo. In compenso, tra LE MONTAGNE DIVERTENTI Tiksi. Simboli del regime comunista (12 agosto 2014). calanchi e torri rocciose il panorama è realmente mozzafiato. Tanto più che verso mezzanotte il cielo si tinge di un rosso sanguigno che ci ricorda come a nord del Circolo il sole per settimane non tramonti. Usciti dal Canale ecco davanti a noi il delta, tanto piatto che a stento possiamo distinguerlo dalle onde circostanti. La nave piega a est e si immette in una laguna. La costa è costituita ancora da montagne coperte di tundra. Alle prime ore del mattino giungiamo allo sbarco. Un piccolo golfo ove un barcone fa da pontile. Ci accolgono alcuni militari della locale guarnigione, assai cortesi, che devono controllare il passaporto di tutti, russi compresi. Le coste del mar Glaciale sono considerate a Mosca area strategica e quindi, come del resto nelle zone vicine al confine, si è sottoposti a particolari controlli superati i quali si è peraltro liberi di girare a piacimento. E così saliamo su pulmini 4x4 che su una strada sterrata tutta buche ci portano a Tiksi, che per molti di noi rappresentava un po’ la meta del viaggio. Nulla di turistico intendiamoci: grossi casermoni in cemento ricordano i fasti di questo centro, eretto negli anni dello stalinismo e poi divenuta una base militare importante. Oggi, che i tempi sono cambiati,Tiksi è un po’ decaduta e i suoi 5 mila abitanti sono circa la metà di quelli dell’epoca della guerra fredda. Un bel centro culturale ci accoglie per l’usuale spettacolo di danze e canti, poi passeggiamo liberi per le strade fangose, pensando come deve essere la vita da queste parti nel lungo inverno, in cui per parecchi mesi il sole non sorge6. Notiamo vecchi murales di propaganda ma pure un museo che, seppur un po’ vecchiotto, è di grande interesse. Tra l’altro scopriamo che d’inverno qua capita pure di imbattersi negli orsi bianchi che, sulla superficie del mare gelato, giungono dalla banchisa polare. Una saletta è poi dedicata a un'impresa incredibile: un gruppetto di abitanti di Tiksi è partito in sci da fondo dalla cittadina e, risalendo la Lena per oltre un migliaio di chilometri, è giunto a Yakutsk in 3 mesi dormendo in tenda. Una proposta per taluni sportivi estremi di casa nostra! Anche qui non mancano piccoli negozi dove facciamo rifornimento di ciò che non è disponibile a bordo, sollevando visibile curiosità poiché probabilmente siamo tra i primissimi italiani che si siano aggirati tra le case di Tiksi. Quando ripartiamo è ormai sera e sulla laguna che riattraversiamo verso il Canale uno splendido e fiammeggiante sole di mezzanotte ci saluta. 6 - La temperatura massima media in inverno è -27°C! Lena, il fiume dei mammut 127 Fauna Rubriche Martin pescatore testi Alessandra Morgillo foto Jacopo Rigotti U n lampo turchese dalle iridescenze blu cobalto sfumato di verde smeraldo si tuffa in acque limpide e subito riemerge in una nuvola di goccioline brillanti stringendo nel grande becco un pesciolino. Dopo aver consumato il suo pasto, ritorna a posarsi sul suo ramo in prossimità dell’acqua e attende pazientemente, immobile anche per ore, la sua prossima preda. Il martin pescatore (Alcedo atthis) è un uccello di piccole dimensioni (17-19 centimetri di lunghezza) dal corpo tozzo e arrotondato, con la coda corta e una grossa testa con un becco lungo e conico. Questo è completamente nero nel maschio, mentre presenta la parte inferiore bruno-rossastra nella femmina, ma entrambi sfoggiano un inconfondibile piumaggio variopinto azzurro con vivaci riflessi cangianti sul dorso e sul capo in netto contrasto con il petto e il ventre arancione color ruggine, mentre ai lati del collo e sulla gola spicca una macchia bianca. Il colore blu non è dovuto ad un pigmento, ma generato da iridescenza e per questo motivo le penne sembrano virare dal blu al verde a seconda dell'angolo di incidenza e della rifrazione della luce. Il martin pescatore, chiamato affettuosamente “martino” da fotografi, birdwatchers e naturalisti, è abbastanza diffuso e vive sempre vicino ai corsi d’acqua, preferibilmente circondati da boschetti e cespugli. Conduce una vita prevalentemente solitaria e durante la stagione riproduttiva scava in prossimità degli argini sabbiosi una sorta di cunicolo in cui depone 6-7 uova che si schiudono a maggio. I pulli vengono nutriti da entrambi i genitori. È di abitudini stanziali Il martin pescatore (Alcedo atthis) emerge dal torrente sua preda (2013, foto Jacopo LElaMONTAGNE DIVERTENTI Rigotti). 128 con e se indisturbato può riutilizzare lo stesso nido per diversi anni. Pur essendo tra le specie più colorate dell’avifauna italiana, non è facilmente visibile quando è posato. Tradisce, invece, la sua presenza quando si sposta da un posatoio all’altro in volo rettilineo, teso e rasente l'acqua emettendo il suo tipico verso, un fischio corto e acuto. Abilissimo pescatore di nome e di fatto, sa tener conto istintivamente della rifrazione della luce che può falsare la posizione del pesce e qualche volta si ferma a mezz’aria in volo librato per scrutare meglio sotto il pelo dell’acqua. Se il pesce si trova vicino alla superficie si limita ad afferrarlo in volo, altrimenti piega le ali saldamente all’indietro e si tuffa fulmineo in picchiata dandosi velocità con qualche colpo d’ala, in un’azione precisa e sicura, degna di un vero professionista. Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Martin pescatore 129 Fauna Rubriche Il martin pescatore si nutre principalmente di piccoli pesci che cattura con il becco tuffandosi in acqua. Quando si immerge gli occhi sono chiusi da una membrana nittitante trasparente, che li protegge ma allo stesso tempo consente all’animale di vedere anche sott’acqua La vista del martin pescatore è estremamente sviluppata: la particolare conformazione anatomica dell’occhio garantisce una precisa valutazione delle distanze e gli consente persino di ridurre al minimo l’effetto dei riflessi sull’acqua Dopo aver catturato la preda, il martin pescatore fa ritorno al proprio posatoio per poterla consumare con calma. È solito sostare su canne o rami sporgenti sulla superficie dell’acqua, che elegge a punti d’osservazione per individuare le prede (2013, sequenza fotografica realizzata da Jacopo Rigotti - queste e altre spettacolari immagini della fauna delle nostre montagne sono pubblicate nel nuovo libro Alpi Selvagge, disponibile nei migliori punti vendita e su http://shop.clickalps.com). A pag. 135: Jacopo Rigotti in azione. 130 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Martin pescatore 131 Rubriche IL FOTOGRAFO Jacopo Rigotti, nato a Trento nel 1990, vivo in un piccolo paesino immerso nella natura. Dal 2012 mi sono avvicinato alla fotografia naturalistica specializzandomi in avifauna. Sono autodidatta e in questi anni ho cercato di studiare le più complesse tecniche fotografiche in modo da ottenere scatti dinamici, naturali e che evidenzino dettagli e colori dei soggetti. Questo genere fotografico mi vede confrontarmi con specie molto rare, per questo motivo seguo gli animali anche per mesi interi senza lasciar nulla al caso. Collaboro come fotografo con alcune importanti riviste italiane ed estere e dal 2014 sono entrato a far parte dell’agenzia fotografica ClickAlps. ORE DI ATTESA E MIGLIAIA DI SCATTI Nel 2013 mi sono posto l’obiettivo di fotografare il martin pescatore, impresa per niente facile. Vedendolo lungo un torrente che scorre poco distante da casa mia, ho deciso di fare un sopralluogo armato di digitale. Dopo un’accurata ricerca e diversi attraversamenti in acqua, ho visto l'uccello posato su di un rametto. Quando anche lui si è accorto della mia presenza, è volato via. Sono andato a controllare da vicino e ho notato sul ramo delle squame di pesce, segno che era il punto in cui il martin pescatore era solito cibarsi. Ho quindi installato lì vicino un capanno con rami e teli mimetici e sono tornato quasi tutti i giorni per due mesi. Le lunghe ore di appostamento sono state premiate: il soggetto si mostrava sempre più confidente e collaborativo e il tempo di attesa nel capanno diminuiva ogni volta. Infine ho cercato di realizzare scatti sempre più originali: ho collocato la macchina fotografica al di sopra del punto di pesca dell'uccello immortalando dall’alto tutta l’azione, che successivamente ho ripreso da sott’acqua. Per fare ciò mi sono avvalso di una custodia subacquea da me costruita appositamente per questo progetto e collegata con un cavo di scatto lungo 8 metri. 132 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Martin pescatore 133 L'arte della fotografia Lo zaino del fotografo Oltre alla macchina fotografica, che obbiettivo porto? Quale filtro? E il cavalletto? Queste sono domande che mi pongo tutte le volte che sto preparando lo zaino per andare in montagna. Le opzioni sono tante, ma spesso non posso avere appresso tutta l'attrezzatura fotografica che vorrei: lo zaino sarebbe troppo pesante. Cerco così di capire quali sono le mie priorità, cosa voglio ritrarre e, soprattutto, studio la mia meta e il tragitto per arrivarci. Testi e foto Roberto Ganassa LE MONTAGNE DIVERTENTI Val di Sacco - lago di Malghera (17mm, f/8, 1/25s, ISO 200) (26 settembre 2014, foto Roberto Ganassa). Lo zaino del fotografo 135 L'arte della fotografia Rubriche Q uando si parte per un escursione in montagna, una delle cose più importanti da preparare è lo zaino. Portare sulle spalle per chilometri e centinaia o migliaia di metri di dislivello una pesante zavorra può risultare molto gravoso. È quindi utile selezionare solo ciò che risulta di rilevante importanza per la gita. In particolare nel nostro caso, ovvero un’escursione fotografica estiva, è fondamentale partire con le idee ben chiare su che tipo di fotografie stiamo andando a scattare e ovviamente sui luoghi e le possibili situazioni che così andremo a incontrare. Solitamente, quando va in montagna, il “fotografo medio” tende a prediligere i paesaggi, come ad esempio un bel lago alpino circondato dalle cime che ne fanno da corona. In questo caso è opportuno avere con sé un bel grandangolo1. Sovente può capitare di avvistare un branco di camosci o di stambecchi arroccati su qualche cengia: in questo caso il grandangolo servirebbe a poco perché andremmo ad immortalare dei puntini indistinti. Consigliabile quindi avere nello zaino anche un teleobiettivo (200 mm)2 che consente di fare buoni avvicinamenti. Se invece siamo a caccia di foto prettamente faunistiche e vogliamo contare i peli del manto di un ermellino, possiamo tranquillamente dimenticarci dei 200 mm e affidarci a focali ben più performanti (dai 400 mm in su) che ci restituiranno potenti e appaganti ingrandimenti. Se vediamo una bella foto di cielo notturno e decidiamo di imbarcarci anche noi in questa sfida tecnica, allora dobbiamo raggiungere quote medioalte per evitare l’inquinamento luminoso e portare con noi l’indispensabile treppiede oltre che un buono e luminoso grandangolo3. Ahimè i cavalletti “buoni” pesano sia sulle nostre spalle che sul nostro portafogli, però dobbiamo affidarci a loro se vogliamo delle immagini perfettamente 1 - Consigliamo focali di 10-12 mm per sensore APS-C, 15-17 mm per sensore a pieno formato. 2 - Le focali consigliate si riferiscono a sensori da 35 mm, per quelli APS-C ricordiamo che tale valore va diviso per 1,5. 3 - Almeno f/2.8 di apertura massima per le notti nere di luna nuova, sufficiente un f/4.0 nelle notti rischiarate dal plenilunio. Val Gerola - lago di Trona (17mm, f/20, 1/4 s, ISO 100 - filtro ND montato) (16 giugno 2013, foto Roberto Ganassa). LE MONTAGNE DIVERTENTI 136 Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Rododendri in val Porcellizzo (17mm, f/20, 1/100s, ISO 200) (10 luglio 2014, foto Roberto Ganassa). Cibo a parte, l'attrezzatura per un'escursione fotografica estiva di 1 giorno. Lo zaino, riempito anche con le derrate alimentari, pesa circa 7kg (24 maggio 2015, foto Robeto Ganassa). ferme. Per ritrarre il firmamento, laghi dalle acque “setate” o immortalare lo scorrere dei torrenti, sono richiesti tempi di esposizione molto lunghi, anche 30 secondi. Con esposizioni così prolungate, se attrezzati con un cavalletto “peso piuma” o di bassa qualità basterebbe un insignificante refolo di vento per far vibrare la macchina che quindi ci restituirebbe foto mosse o micromosse. Poi, oltre quella per far foto, vi è sempre l’attrezzatura fondamentale per affrontare una gita in sicurezza. Supponiamo in questo numero di non prevedere pernottamento in quota nè alcuna difficoltà alpinistica o tratto innevato. In base ai luoghi che andremo a visitare dobbiamo sapere se portarci abbondanti rifornimenti idrici oppure limitarci a una bottiglietta che lungo il percorso andremo a rabboccare nei freschi torrenti di montagna. Indispensabile poi è avere nello zaino una larga mantella impermeabile, che in caso di maltempo dovrà coprire noi e lo zaino stesso in cui si trova la nostra preziosa attrezzatura che, si sa, non ama l'umidità; un coltellino, una felpa, un paio di calze e una maglietta di ricambio. Se siamo diretti a quote superiori ai m 2200 non dimentichiamoci mai giacca antivento e occhiali da sole. Infine dobbiamo inserire nello zaino, che per un fotografo deve essere almeno da 30 litri, cibi energetici, ma al contempo velocemente digeribili, e questo è un concetto soggettivo a seconda della potenza di stomaco di ciascuno. Lo zaino del fotografo 137 IL MIGLIOR FOTOGRAFO LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 1 Val di Mello (19 agosto 2014, foto Guglielmo Segota). Recensione (a cura di Beno) Il fotografo - Guglielmo Segota Non sempre è necessaria una fotografia tecnicamente impeccabile per colpire l'osservatore. Talvolta solo l'inquadratura e il contesto dello scatto sono in grado di emozionare a prescindere dalla gamma di colore o dal dettaglio. L'immagine che abbiamo premiato in questo numero estivo della rivista ha toni drammatici e quasi onirici. Nel quadro compositivo, dove viene perfettamente applicata la regola dei terzi, si incrociano piani orizzontali e pareti verticali tra cui si rincorrono nubi gonfie d'acqua e si insinuano boschi sospesi che testimoniano la perenne lotta della vegetazione coi versanti più impervi della valle. Ma ciò che più colpisce, al centro della fotografia e indicata dalla sinuosa linea di fuga costituita dalla venatura nel granito, è la sensuale sagoma di una ragazza che, in controluce e perfettamente stagliata sopra una porzione molto luminosa del cielo, sta contemplando ciò che sta al di là del dosso roccioso. L'osservatore viene così spinto ad entrare nell'immagine da una curiosità quasi irresistibile, da un bilanciarsi di dolcezza e terrore, di facile e di inaccessibile, di verde e di grigio. Insomma questa fotografia è una perfetta sintesi della nostra bella val di Mello! Mi chiamo Guglielmo Segota. Sono nato a Milano nel 1970 e vivo a Vicenza dal 1996. Valtellinese mancato, vanto però bisavoli originari di Piazzalunga; dacchè ne ho memoria, ho trascorso tutte le mie estati in villeggiatura ad Ardenno, dove tuttora ritorno regolarmente con i miei figli Clara e Giorgio a ritrovare parenti e amici di infanzia. Non riesco a concepire vacanze differenti, perchè il luogo più caro al mondo per me è questo pezzetto di Valtellina, tra Morbegno e Sondrio. Da alcuni anni mi piace fare fotografie, da poco utilizzo una semplice Fuji X-20 che posso portare sempre con me. Fotografo quasi esclusivamente natura e paesaggi, luci ed ombre o luoghi particolarmente suggestivi: più amo il soggetto e meglio mi vengono le foto. MANDA LE TUE FOTOGRAFIE Due sezioni dedicate ai nostri lettori: - una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo", i loro scatti inerenti i monti di Valtellina e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected]. - una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate esclusivamente all'indirizzo email [email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista (o un oggetto personalizzato LMD, come il retro della nuova mappa della Valmalenco) e, preferibilmente, uno scorcio del luogo. Per esigenze grafiche, e non per corruzione degli addetti, alcune immagini potranno essere pubblicate in anticipo rispetto all'ordine di invio. Non si accettano fotomontaggi. 138 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 2 3 1 ➣ Messico - Al sito Maya di Tulum, con Luca, Barbara, Tiziana, Enza, Elisabetta, Renzo, Diego, Sergio e Paola (15 marzo 2015). 2 ➣ Val Seriana - Il piccolo Achille, il più giovane tra gli abbonati a Le Montagne Divertenti (2 febbraio 2015). 3 ➣ Giordania - Piera e Daniela al cospetto del Tesoro di Petra (18 marzo 2015). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 139 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 4 5 9 6 7 8 11 10 4 ➣ 5 ➣ 6 ➣ 7 ➣ 8 ➣ 140 Colombia - Alessandro e Lucrezia al parco archeologico di San Agustin (7 marzo 2015). Valmalenco - Papà Ivan festeggia 42 anni al rifugio Palù con Samuele, Beatrice e Roberta (12 febbraio 2015). Piemonte - Rodney, Noelia e i concertisti di viole da gamba a Varallo (ottobre 2014). Emirati Arabi - Catelina e Bertasch davanti al più alto grattacielo del mondo, il Burj Khalifa di Dubai (18 febbraio 2015). Orobie - Remo, Alfiero, Giuseppe, Giacomo, Giovanni e il fotografo Luca in vetta al Meriggio (5 gennaio 2015). LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 9 ➣ Svizzera - Le Ladiesgang si esibiscono al ristorante Zarea di Sfazù (25 aprile 2015). 10 ➣Valmalenco - Filippo Negrini sceglie il pizzo Scalino per la sua prima gita di scialpinismo (2 maggio 2015). 11 ➣Nepal - Anna, Luciano e Riccardo al cospetto del Machapuchare (ovvero "coda di pesce"), a poca distanza dal campo base dell’Annapurna (9 aprile 2015). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 141 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 12 14 13 15 16 18 17 19 20 21 22 12 ➣Santina - classe 1926, apprezzata e nota sarta di Molteno dagli anni '60 (aprile 2015, foto Stefano Famlonga). 13 ➣Alpi Orobie - Giuliana e Francesco Marveggio festeggiano Pasquetta sulla cima del piz Cavrin est (6 aprile 20015). 14 ➣Emirati Arabi - Damiano e Lara in viaggio di nozze sul Burj Khalifa di Dubai, l'edificio più alto del mondo (9 dicembre 2014). 15 ➣Lanzada - I vecchi amici della "Premiata pasticceria Gianoli" leggono insieme e giocano a carte (12 febbraio 2015). 16 ➣Australia - Severino, da Cino a Perth con LMD (18 luglio 2014). 17 ➣Monti Lariani - Andrea, Chiara, Luca, Mattia e Arianna di ritorno dal pizzo Gino in val Cavargna (18 aprile 2015). 18 ➣Alta Valtellina - Il CAI di Bormio diretto al Cevedale (12 aprile 2015). 19 ➣Trentino - Paolo e Camilla con gli sci da fondo sulla pista del Sole a Casere in valle Aurina (11 aprile 2015). 20 ➣Nuova Zelanda - Clara e Umberto dal parco del Mount Cook (25 dicembre 2014). 21 ➣Lanzada - Michele Nana davanti al museo della Bagnada (5 aprile 2015). 22 ➣Ardenno - Marco al bacino della Pioda ripercorre l'itinerario descritto nel n 32 de LMD (6 apile 2015). 142 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 Le foto dei lettori 143 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 24 29 23 25 26 30 27 28 23 ➣Torre di Santa Maria - La "Pineta", ha trascorso le sue molte estati ai Piasci con le mucche (aprile 2015, foto Angela Vanotti). 24 ➣Marocco - Emilia, Pierangela, Giuseppe e Gianfranco al col du Tichka (22 marzo 2015). 25 ➣Talamona - Fedele Simonetta, il maggior esperto dei sentieri sulle montagne di Talamona (aprile 2015, foto Alessandro Gusmeroli). 26 ➣Gilberto Rigamonti - detto "Fuoco", ha girato il mondo per lavoro: parla e canta in quattro lingue (aprile 2015, foto Rodolfo Anzani). 27 ➣Molteno - Rodolfo Anzani nei pressi della chiesa parrochiale di San Giorgio situata sul belvedere del Ceppo (aprile 2015). 28 ➣Val di Campo - Lago Saoseo: Auri, nonno Paolo Morellini, Rossano Nana, Michela e Stefano Morellini (27 luglio 2014). 144 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 31 32 29 ➣Talamona - La famiglia Murada quasi al completo (22 marzo 2015). 30 ➣Orobie - Rubens, Emma, Mafalda e Franco sul monte Poieto (7 febbraio 2015). 31 ➣Silvio Gaggi - scultore e artista , proviene da una storica famiglia di "giovellai" di Chiesa (aprile 2015, foto Luca Schenatti). 32 ➣Chiesa V.co - Luca Schenatti presso la chiesa dei Santi Giacomo e Filippo (aprile 2015, foto Serena Gaggi). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 145 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 34 38 39 33 35 40 36 37 41 42 33 ➣Delebio - Chicco Gottifredi davanti alla casa del mitico Walter Bonatti (aprile 2015). 34 ➣USA - Houston: Eugenio, Matteo, Tea e Monica di Fraciscio (9 febbraio 2015). 35 ➣Roma - Spedizione valtellinese e valchiavennasca alla maratona di Roma 2015 (22 marzo 2015). 36 ➣Dalmine - Stefano Della Mina, da anni allestisce nel suo garage un singolare presepe di rame (aprile 2015, foto Chicco Gottifredi). 37 ➣Val di Fassa - Monica, Giorgio, Graziana, Eugenio al rifugio Vajolet ai piedi delle omonime torri (31 luglio 2014). 38 ➣Sardegna - "I Dolcissimi" Sergio, Remo, Serena, Massimo, Fabrizio, Rossano e Gabriele sull'isola di Tavolara (22 gennaio 2015). 39 ➣Lanzada - Onorato Nana, classe 1932, ha lavorato dal 1950 al 1980 nella miniera della Bagnada (5 aprile 2015, foto Michele Nana). 40 ➣Alpi Cozie - Rossana e Roberto alla Testa di Cervetto al cospetto del Re di pietra, ovvero il Monviso (27 marzo 2015). 41 ➣Alpi Retiche - Ugo Andreoli e gli altri membri del CAI di Aprica con le ciaspole sul monte Padrio (20 febbraio 2015). 42 ➣Antonio Forni (Toni) - Famoso alpinista e sciatore di Mossini, esemplare promotore dello sport (aprile 2015, foto Sergio Proh). 146 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 Le foto dei lettori 147 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 49 44 45 50 43 46 47 48 51 52 53 43 ➣Germania - Matteo, Simone, Alessandra, Fiorella e Matteo al castello di Linderhof in Baviera (6 agosto 2014). 44 ➣Pierina Bruni - classe 1912, è la piu' anziana di Teglio (aprile 2015, foto Ivan Andreoli). 45 ➣Mossini - Sergio Proh presso la chiesa di San Bartolomeo che domina da un piccolo poggio tutta Sondrio (aprile 2015). 46 ➣Alpi Orobie - Ilda, Reppo, Monica, Katia, Antonella, Marco (il piccolo e il grande) e Caterina sul monte Cadelle (21 agosto 2014). 47 ➣Molteno - Stefano Famlonga presso il municipio, nello storico parco di Villa Rosa (aprile 2015). 48 ➣Alpe Piazza - Gli amici ricordano Pietro Fabio Del Nero, precursore dello sci in Albaredo scomparso due anni fa (6 aprile 2015). 49 ➣Torre - Angela Vanotti al castello di Torre; resti di residenza castellana e torre di segnalazione del 1300 (aprile 2015). 50 ➣Teglio - Ivan Andreoli ai piedi dell’antica torre Beli Miri, monumento simbolo del paese (aprile 2015). 51 ➣Teglio - Simone Civati al piccolo Santuario della Madonna di Caravaggio, in frazione San Martino (7 aprile 2015). 52 ➣Talamona - Alessandro Gusmeroli presso il monumento dei caduti nella piazza centrale del paese (aprile 2015). 53 ➣Primolo - Giorgio e i matti della seconda "Primolata": sgambata di 17 km che prevede di salire a piedi da Sondrio alla frazione di Primolo (29 marzo 2015). 148 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 Le foto dei lettori 149 soluzioni del n.32 Che scimma i-è? La montagna misteriosa non è altro che il monte Legnone, qui fotografato dall'alpe Piazza (23 gennaio 2015, foto Beno). I vincitori sono: 1. Angela Vanotti di Torre 2. Francesco Bresesti di Sondrio Hanno inoltre indovinato: Annalisa, Lucia e Andrea, Michele da Lanzada, massimo, Sergio Proh, Ivano, Simone Superconcorso Civati, Simone, Gigi, Rodolfo Anzani, Fabio Bulanti, Cristian Moretti, Fabio Cornaggia, Francesco, Stefano Famlonga, Anna, Stefano, LUCA, Stefano Vecchi, Alessandro Gusmeroli, Pedrazzoli Martina, Ivan Andreoli, Gra, Giorgio Beltramini, Antonietta, Daniele, Luca Schenatti, Dik, Patrizia Oregioni, Chicco, Luca, Marmotta, Martina Pedrazzoli, Massimo, Graziana, Flaminio Benetti, Mattia e Giorgio Beltramini. Ma 'n gh'el? Si tratta della chiesa di Sant'Abbondio a Boalzo, nel comune di Teglio (18 luglio 2008, foto Beno). I vincitori sono: 1. Chicco Gottifredi di Dubino 2. Sergio Proh di Mossini Hanno inoltre indovinato: Andrea e Lucia, Francesco Bresesti, Angela Vanotti, Margherita Montani, Stefano, Luca Schenatti, Vanda Gianoli, Tonino, Stefano Famlonga, Gigi, Aldo, Martina Pedrazzoli, Francesco, Pietro Duico, Simone Nonini, Fiorini, Rodolfo Anzani, Roberta Corlatti, Ivan Andreoli, Elisabetta Giovanazzi, Simone Civati, Stefano Crapella, Antonietta, Alex Bombardieri, Bruna Fiorina, Giorgio Beltramini, Gela, Graziana, Bianca Fiorina, Arturo, Dik, Flaminio Benetti, Mariangela Lazzarini, Stefania Bassola, Bruna Fiorina, Steft, Michele Nana, Alessandro Gusmeroli, Katia, Gabriella Polinelli e Mina Bartesaghi. 150 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 Vincitori e vinti Foto di gruppo dopo la gran finale del concorso in val Viola (11 aprile 2015, foto Beno). S abato 11 aprile 2015 si è tenuta in val Viola la gran finale del superconcorso LMD - n.32 Primavera 2015. Dieci lettori hanno superato le tre prove che hanno dato loro il diritto di partecipare alla caccia al tesoro. La location era ubicata su un bel dosso nella valle Cantone di Dosdé, laterale della val Viola, dove i concorrenti sono giunti puntuali, chi solo, chi con un aiutante. Le prove da affrontare erano due: una gara di corsa e una ricerca ARTVA per trovare i premi nascosti sotto la neve. Alle 10 il Caspoc' ha dato il via alla gara di velocità, una crudele salita di 200 metri in neve crostosa senza l'ausilio né di sci né di ciaspole. Solo i primi tre classificati avrebbero avuto accesso alla ricerca dei 3 premi più gratificati nascosti sotto la neve, tra cui vi era l'attrezzatura da scialpinismo. Luca Schenatti, forte corridore, ha vinto, seguito da Gabriele, fratello e aiutante di Michele Nana. Avvincente è stata la lotta per il terzo posto tra Ivan Andreoli e Fabrizio Duca (aiutante di Alessandro Gusmeroli): i due hanno lottato accanitamente strattonandosi e facendosi placcaggi da rugbisti. Giunti LE MONTAGNE DIVERTENTI I fortunati vincitori (11 aprile 2015, foto Beno). parimerito si è resa necessaria una partita secca di pari o dispari per assegnare il terzo posto al fortunato Alessandro Gusmeroli. Prima Luca e poi Michele hanno deciso di lasciare ad Alessandro e al suo aiutante il compito di individuare la posizione dei dispositivi e di decidere quale estrarre. Fatto ciò, hanno avuto inizio gli scavi. A Luca, il più forte nelle prove di abilità, la sorte ha concesso solo il terzo premio, pantaloni tecnici e racchette telescopiche, al giovane Michele è spettato, con gioia del padre che era lì ad aiutarlo, una bottiglia di champagne e un paio di moffole Skitrab. A questo punto si è elevato l'urlo di gioia; Alessandro e Fabrizio hanno alzato al cielo la bottiglietta vincente che gli ha consegnato l'attrezzatura completa da scialpinismo della Skitrab! La splendida giornata in amicizia, dove ci son stati premi per tutti, si è conclusa davanti a un boccale di birra offerta dal fortunatissimo vincitore. Giochi 151 Ma ch'èl? Giochi Chissà chi di voi ha mai visto o usato questo aggeggio... I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 3 luglio 2015 che indovinano cos'è riceveranno la nuova maglia tecnica personalizzata LMD (taglia unica) + la fascetta estiva LMD. Tra tutti gli altri che avranno indovinato entro le ore 22 verranno estratti 3 fortunati a cui andranno la fascetta estiva LMD + il volume "Il Versante retico. Da Cima di Granda al Monte Combolo". Scrivete le vostre risposte su www.lemontagnedivertenti.com/ concorsi/ http://lemontagnedivertenti-diario.blogspot.it/ 'N gh'el? Che chiesa è ritratta in questa immagine? I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 2 luglio 2015 riceveranno la nuova maglia tecnica personalizzata LMD (taglia unica) + la fascetta estiva LMD. Tra tutti quelli che avranno indovinato entro le ore 22 verranno estratti altri 3 fortunati a cui andrà la maglietta LMD + il volume "L'alta via della Valmalenco". Scrivete le vostre risposte su www.lemontagnedivertenti.com/ concorsi/ ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi 153 Rubriche LE RICETTE DELLA NONNA Antipasto di verdure di stagione Testi e foto Carlo Nani Siamo in estate, la stagione delle lunghe camminate in cui il sole scotta le spalle dei viandanti e sembra non tramontare mai, ma siamo anche nella stagione in cui i caldi raggi accarezzano l’orto che così riesce a offrire i prodotti migliori ripagandoci delle mille fatiche spese per la sua cura. Allora quale ricetta migliore proporvi, se non un fresco antipasto composto da 7 diversi tipi di ortaggio? Ingredienti per 5 vasetti da 500 ml: • 300 g cipolline • 300 g carote • 300 g sedano • 300 g peperoni • 300 g fagiolini • 300 g cavolfiori • 2 kg pomodori per sugo • ½ bicchiere di aceto di vino bianco • 1 ½ bicchieri di olio • 2 cucchiai di zucchero • 1 cucchiaio di sale • ½ cucchiaino noce moscata Lavare e cuocere i pomodori per un’ora e mezza circa e in seguito passarli al setaccio (passaverdure). Nel frattempo lavare accuratamente, asciugare e tagliare a pezzetti le verdure. Cotti e passati i pomodori aggiungere nella pentola il sale, la noce moscata, lo zucchero, l’aceto, l’olio, le carote il sedano i fagioli e i cavolfiori; cuocere per 10/15 minuti e aggiungere i peperoni e le cipolline. Passati ulteriori 15 minuti, dopo aver verificato il punto di cottura delle verdure che devono rimanere leggermente croccanti, spegnere il fuoco e mettere l’antipasto ancora bollente nei vasi di vetro, chiuderli ermeticamente e sterilizzarli facendoli bollire in acqua per 10 minuti e lasciandoli raffreddare gradualmente nell’acqua di sterilizzazione. 154 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi 155 L'alpinismo fa per la pace e l'amicizia tra i popoli più che tutte le conferenze di cariatidi riuniti all'Aja e altrove! Bruno Galli-Valerio (1867-1943) LE MONTAGNE DIVERTENTI 157