Aldo Bonacossa - Le Montagne Divertenti

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Aldo Bonacossa - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
T rimestrale
di
A lpinismo
e
C ultura A lpina
e
v
r
i
D tenti
N°33 - ESTATE 2015 - EURO 5
Alta Valtellina
La traversata del monte
Zebrù (m 3740)
Antonio Boscacci
Racconti inediti:
"La Topa della Bea"
Valchiavenna
Pizzo Galleggione
(m 3107)
Alta Valtellina
Monte delle Scale
(m 2497 - m 2521)
Alpi Orobie
Val Cervia
Valmalenco
Alta Via: 4a tappa
Alpi Orobie
Pizzo di Rodes
(m 2829)
Storie
Rifugio Ottorino
Donati
Valtellinesi nel
Mondo
Lena, il fiume dei
mammut
Fotografia
Lo zaino del fotografo
Natura
Martin pescatore
Scienza
La spettroscopia Raman
testata in Valchiavenna
Inoltre
Ricette della nonna,
foto dei lettori, giochi,
libri ...
Aldo Bonacossa
l'enciclopedia ambulante della montagna
VALCHIAVENNA
- BASSA VALTELLINA - VAL MÀSINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA
1
LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale
Beno
La meteopatia domenicale, è la più diffusa malattia tra gli escursionisti italiani e ogni anno colpisce milioni di persone.
Generalmente si accompagna al nerdismo e può essere contratta anche da individui giovani e in buono stato di salute. Studi
scientifici hanno evidenziato che la meteopatia domenicale si mantiene latente e asintomatica durante i giorni lavorativi,
se non per un ossessivo-compulsivo pellegrinare sui siti meteorologici, specialmente quelli dove si trovano azzardate
previsioni a 15 giorni con frequente incidenza di catastrofi e record climatici.
A poche ore dalle ferie la patologia si manifesta in seguito al contatto visivo, anche occasionale, con un bollettino meteo
nefasto. Il soggetto colpito va in ansia, diviene improvvisamente idrofobico e rifiuta ogni rapporto con la natura e l'aria
aperta. Nei casi più gravi il decorso sfocia in uno stato di completa immobilità sul divano o nella ricerca di rifugio in un
centro commerciale con luce artificiale.
Al momento non esistono cure veramente efficaci e gli effetti dei comportamenti originati dalla malattia si riflettono, oltre
che su amici e famigliari, anche sugli operatori turistici che si vedono annullare "ad minchiam" le prenotazioni.
Io posso solo dirvi che se mi fossi lasciato colpire dalla meteopatia domenicale non avrei realizzato alcune delle mie fotografie
più belle, o vissuto situazioni favolose, come quella di poter prendere il sole tra le mani al sopraggiungere di un temporale.
2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
Editoriale: val Bondone - l'uomo che prende il sole (23 agosto 2014, foto Beno - www.clickalps.com).
In copertina: lungo la strada della val Viola. Sullo sfondo il Corno di Dosdé (1 luglio 2013, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com).
Editoriale
LE
MONTAGNE
DIVERTENTI
del torrente Mallero ad Arquino (24 giugno 2014, foto Beno).
Ultima
di copertina:
le marmitte
3
O
LE MONTAGNE DIVERTENTI
S
I
peciali
tinerari
d’alpinismo
I
tinerari
d’escursionismo
R
ubriche
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
Editore
Direttore Responsabile
Enrico Benedetti
I
Beno
Redazione
Alessandra Morgillo
Beno
Gioia Zenoni
Roberto Moiola
Carlo Nani
64 Alta Via della Valmalenco 120
Realizzazione grafica
4a tappa
Revisore di bozze
Mario Pagni
Responsabile della cartografia
Matteo Gianatti
R
Beno
Valtellinesi nel mondo
Lena, il fiume dei mammut
Alvaro Caligari, Antonio Boscacci e Luisa Angelici, Claudio
Bormolini, Danilo Bersani, Dicle, Eliana e Nemo Canetta,
Eraldo Meraldi, Fabio Pusterla, Fabrizio Barri, Giacomo
Meneghello, Giovanna Iacolino, Jacopo Rigotti, Kim
Sommerschield, Luciano Bruseghini, Marino Amonini,
Mario Sertori, Matteo Tarabini, Maurizio Cittarini, Nicola
Giana, Peter Vandenabeele, Raffaele Occhi, Riccardo Scotti,
Rino Masa, Roberto Ganassa, Sergio Scuffi, Valentina
Messa.
Si ringraziano inoltre
A
Hanno inoltre collaborato a questo numero:
Pubblicità e distribuzione
[email protected]
tel. 0342 380138
Stampa
Bonazzi Grafica - via Francia, 1 - 23100 Sondrio
Aldo Bonacossa
L'enciclopedia ambulante della montagna
38
Alta Valtellina
Monte Zebrù (m 3740)
84
Alta Valtellina
Monte delle Scale (m 2521)
128
Natura
Martin pescatore
M
Avis Comunale Sondrio, Arialdo Donati, famiglia Donati,
Franco Monteforte, Giorgio Urbani, Mario Giacomini, Elia
Negrini, la Tipografia Bonazzi, gli edicolanti che ci aiutano
nel promuovere la rivista e gli sponsor che credono in noi e
in questo progetto... e tutti quelli che abbiamo dimenticato
di citare.
10
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22
Contatti, informazioni e merchandising
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98
Scienza
Raman in Valchiavenna
Alpi Orobie
Val Cervia
134
Fotografia
Lo zaino del fotografo
annuale (4 numeri della rivista):
costo € 22 da versarsi sul
c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio
IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50
intestato a:
Beno di Benedetti Enrico
via Panoramica 549/A
23020 Montagna (SO)
nella causale specificare: nome, cognome,
indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti”
M
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Arretrati
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Racconti inediti
La Topa della Bea
50
Valchiavenna
Pizzo Galleggione (m 3107)
106
Alpi Orobie
Pizzo di Rodes (m 2829)
O
fatto il bonifico è necessario
registrare il proprio abbonamento su
Prossimo numero
138
Il miglior fotografo
139
Le foto dei lettori
150
Vincitori e vinti
153
Giochi
S
21 settembre 2015
32
Lanzada
Appuntamenti con la tradizione
Estate 2015
62
Approfondimenti
Valle dell'Acquafraggia
LE MONTAGNE DIVERTENTI 115
Approfondimenti
Rifugio Ottorino Donati
154
Le ricette della nonna
Antipasto di verdure di stagione
Sommario
5
Localizzazione luoghi
Zillis
Zillis
Wergenstein
Bergün
Parsonz
Sufers
3062
2115
Mulegns
3279
3378
Cresta
Livigno
St. Moritz
Maloja
Pizzo Stella
Pizzo Quadro
3013
3183
50
Mera
Somaggia
3378
ra
T. Code
Novate
Mezzola
3032
Cima del Desenigo
Colorina
Caiolo
Tartano
98
Premana
Geròla
Bellàno
Taceno
Pescegallo
Pizzo dei Tre Signori
2554
Introbio
Lierna
Ornica
LE MONTAGNE DIVERTENTI Barzio
Monte Cadelle
2483
Passo San Marco
1985
Foppolo
Carona
Mezzoldo
Cùsio
Piazzatorre
Valtorta
Pasturo
Cassiglio
Olmo
al Brembo
Ponte in Valt.
Albosaggia
Adda
Pizzo Campaggio
2503
Tresenda
Carona
Aprica
Còrteno
Cortenedolo
Vilminore
Colere
Villa
Pizzo Camino
2492
Vione
Passo del Tonale
1883
Monte Carè Alto
3462
Berzo
Saviore
Lanzada: appuntamenti con la tradizione
(Valentina Messa)
Monte Zebrù (m 3740)
(Beno)
50Valchiavenna
Pizzo Galleggione
(m 3107)
(Beno)
64Valmalenco
Alta Via, 4a tappa: da Chiareggio al lago Palù per il rifugio Longoni
(Eliana e Nemo Canetta)
Monte delle Scale
(m 2521)
(Nicola Giana)
98 Alpi Orobie
Val Cervia
(Luciano Bruseghini)
106Alpi Orobie
Capo
di Ponte
LE MONTAGNE DIVERTENTI (Antonio Boscacci)
38 Alta Valtellina
Monte Fumo
3418
Valle
Làveno
Adamello
3554
Garda
Paisco
La Topa della Bea
84 Alta Valtellina
Edolo
Sonico
Concarena
2549
Ponte
di Legno
Incudine
Monno
Palone del Torsolazzo
2670
Schilpario
Estate 2015
Vezza
d'Oglio
Malonno
Pizzo di Coca Monte Torena
2911
3050
Monte Sellero
2743
Pizzo di Redorta
Loveno
3039
Monte Gleno
Pizzo del Diavolo
2883
Valbondione
di Tenda
Passo del Vivione
2914
1828
Pezzo
Pezzo
Monte Serottini
2967
Mazzo
100
Corno
corno dei Tre Signori
3359
Punta di Pietra Rossa
Monte Tonale
3212
2694
Passo dell'Aprica
Pizzo di Rodes
Gromo
Sondalo
Tovo
Lovero
Sernio
TIRANO
Bianzone
Teglio
Arigna
Gandellino
Fumero
Punta San Matteo
3678
Passo di Gavia
2618
26 Val Masino
Forni
Santa Caterina
Le Prese
Adda
106
2829
Branzi
Roncorbello
Monte Masuccio
2816
Monte Cevedale
3769
frana
di val Pola
Grosotto
Brusio
Chiuro
Tremenico
Bellagio
6
Albaredo
SONDRIO
Tresivio
Talamona
Bema
3136
Boirolo
T. V
enin
a
Lago
di Como
Postalesio
Berbenno
Castione
3323
Vetta di Ron
Torre
di S. Maria
T. Livrio
Monte Legnone
2610
Lanzada
Caspoggio
Le Prese
Gran Zebrù
3851
Monte Confinale
3370
Cepina
Grosio
Fonta
na
Cevo
Bùglio
Caspano Ardenno
Dubino Mantello Mello
Traona
Dazio
Sirta
MORBEGNO
Pizzo Scalino
33
Chiesa
in Valmalenco
3114
2845
Verceia
Delébio Rògolo
Còsio
Regolédo
Dervio
Primolo
Malghera
Poschiavo
T. Va
l
Còlico
Monte Disgrazia
Bagni
26
3678
di Màsino
Pizzo Ligoncio
San Martino Corni Bruciati
T. Mallero
Lago
di Mezzola
Sasso Nero
2917
T. Caldenno
Montemezzo
Livo Gera
Lario
Dongo
Cima di Castello
o
T. Màsin
Dosso d. Liro
3308
San Carlo
38
Spettroscopia Raman
(Danilo Bersani)
33Valmalenco
Ortles
3905
San Antonio
BORMIO
Valdisotto
Eita
64
Chiareggio
Oga
Cima di Saoseo
3264
i
od
Lag chiavo
Pos
2459
Prata
Camportaccio
Villa
di Chiavenna Pizzo Badile
San Cassiano
San Pietro
Samòlaco
Era
Pizzo Martello
Vicosoprano
La Rösa
Bagni di Bormio
Premadio
Cima Piazzi
3439
4049
Passo del Muretto
2562
Bondo
Passo del Bernina
2323
Isolaccia
T. Roasco
Gordona
22
Soglio
Castasegna
CHIAVENNA
Piz Palù
Pizzo Bernina 3906
Casaccia
Pizzo Galleggione
3107
Prosto
Mese
Passo del Maloja
1815
84
Arnoga
Forcola
di Livigno
2315
Sils
T.
La
nte
rna
Fraciscio
Passo dello Stelvio
2757
Valdidentro
Passo del
Foscagno
2291
Solda
Solda
Giogo di Santa Maria
2503
Trepalle
Pianazzo
Campodolcino
1816
Piz Languard
3268
Silvaplana
Juf
Lag
3180
hi d
i Ca
nca
no
Pontresina
Julierpass
Bivio
Lago d
i Lei
Madesimo
Cima la Casina
3057
Mera
3209
Stelvio
Stelvio
San Maria
Samedan
Piz Nair
3392
Pizzo d'Emet
Isola
Sur
22Valchiavenna
Lago del Gallo
Piz Piatta
Montespluga
3159
Inn
Montechiaro
Montechiaro
Müstair
Piz d'Err
Piz Grisch
Innerferrera
Passo dello Spluga
Zuoz
Albulapass
2312
Julia
Curtegns 1864
Ausserferrera
Piz Quattervals
3418
Reno
Splügen
Medels
Pizzo Tambò
Piz Kesch
Cunter
Andeer
e itinerari
Monte Re di Castello
2889
Pizzo di Rodes (m 2829)
(Claudio Bormolini)
Niardo
Niardo
© Beno
© Beno
2010/2015
2011 - riproduzione
- riproduzione
vietata
vietata
Localizzazione di luoghi e itinerari
7
L
e g e n d a
Schede sintetiche e tempistiche
Ottimo anche per anziani non più autosufficienti o
addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la
camporella, anche per le coppiette meno esperte.
Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali
del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente
spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita.
Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse
capacità. Sotto la voce "dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica
convenzionale, corredata da una breve spiegazione.
Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per
raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico .
2
Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza,
pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono.
Si comincia a dover stare
attenti alle storte,
alle cavallette carnivore
e nello zaino è meglio mettere
qualche provvista
e qualche vestito.
1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante.
2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento cronogeografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare
l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto.
BELLEZZA
PERICOLOSITÀ
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Assolutamente sicuro
Bello
Anche per uomini larva
Nulla di preoccupante
Impegnativo
Basta stare un po’ attenti
Assolutamente fantastico
FATICA
Un massacro
Itinerario abbastanza
lungo, ma senza
particolari difficoltà
alpinistiche.
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (si consiglia una guida)
ORE DI PERCORRENZA
DISLIVELLO IN SALITA
meno di 5 ore
meno di 800 metri
dalle 5 alle 10 ore
dagli 800 ai 1500 metri
dalle 10 alle 15 ore
dai 1500 ai 2500 metri
oltre le 15 ore
oltre i 2500 metri
Le scarpe da ginnastica
cominciano ad essere
sconsigliate (sono d’obbligo
abito da sera e mocassini).
È meglio stare attenti
a dove si mettono i piedi.
Vertigini vietate!
Montagna divertente,
itinerario molto lungo
e ricco di insidie di varia
specie. Sconsigliato a tutti gli
appassionati di montagna non
temerari e dopati.
È richiesta una buona
conoscenza dell’ambiente
alpino, discreta capacità
di arrampicare
e muoversi su ghiacciaio
o terreni friabili come
la pasta sfoglia.
È consigliabile una guida.
Valida alternativa
al suicidio. Solo per
persone con un’ottima
preparazione fisicoatletica ed esperienza
alpinistica. Servono
sprezzo del pericolo
e, soprattutto, barbe
lunghe e incolte.
Più di 30 anni di esperienza
al servizio dei clienti
Speciali
Protezione Rischi
Persone e Famiglie
Aldo Bonacossa
Raffaele Occhi
Imprese ed Attività Professionali
Mezzi di Trasporto
Lavoro - Attività
Trasporti
Cauzioni
Sicurezza
Previdenza
Tutela Giudiziaria
Mezzi di Trasporto
Abitazione
Salute
Tempo Libero
Previdenza
Investimento
Tutela Giudiziaria
CASSONI
ASSICURAZIONI
10
Via C. Alessi, 11/13 - Sondrio
Tel. 0342 514646 - Fax 0342 219731
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Aldo Bonacossa (1885-1975)
11
Personaggi
Speciali
Aldo Bonacossa: l’enciclopedia ambulante della montagna
vero che Aldo Bonacossa (1885-1975) spaziò alpinisticamente e con gli sci un po’
Sabbiaeperè aperto,
tutte le Alpi – dove non si trova cima che non abbia raggiunto, via nuova che non
itinerario sciistico che non abbia tracciato? –, se è vero che allargò poi i
suoi orizzonti alle Apuane, al Gran Sasso, ai Pirenei, alle Ande (e pure, forse precursore
con Gigi Vitali dell’arrampicata sulle falesie marine, ai faraglioni di Capri), se è vero che
ormai anziano si spinse al Pico del Teide a Tenerife, nella Sierra Nevada e sul monte
Sinai, è altrettanto vero che ebbe un legame speciale con le montagne, gli alpinisti e le
guide delle Alpi Retiche, e della Valtellina in particolare.
L'Ago e il pizzo Torrone Orientale dall'alta val Torrone. Nel terzo inferiore della fotografia è il ghiacciaio pizzo Torrone Est, 13,3 ha nel 1990, 5,1 ha
nel 2007 e ora in rapido disfacimento. La via normale italiana al pizzo Torrone Orientale sale l'evidente canale nel centro dell'immagine. Alla data
dello scatto, invece, Bonacossa con Steger e Pietrasanta aveva già tracciato una difficile linea che dal passo del Cameraccio (ben visibile sulla dx)
tocca la vetta incontrando addirittura un passo di VI grado (26 agosto 1933, foto Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese - www.archiviocorti.it).
La piccola capanna Badile (ora Gianetti) fotografata nel luglio 1908. Sullo sfondo il pizzo Cengalo e i pizzi Gemelli. La capanna, inaugurata nel 1887,
venne distrutta da una valanga nel 1901 e ricostruita nel 1904 (luglio 1908, foto Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese - www.archiviocorti.it).
Alla pagina precedente: Aldo Bonacossa ritratto in acquerello da Kim Sommerschield (www.sommerschield.it).
P
roprio alla Valtellina, seppur
indirettamente, lo riporta uno
dei suoi primi ricordi di montagna,
agli inizi del ‘900. Suo padre, e ne
vedremo il perché, lo voleva tener
lontano dall’alpinismo, ma lui, dalla
sua abitazione prossima al castello
Sforzesco – quel signorile palazzo
Bonacossa dai massicci bugnati a
forma di diamante che oggi ospita il
Museo d’arte e scienze – si recò quasi
di nascosto alla non lontana sede della
Sezione di Milano del CAI (allora in
via Dante); e mettendovi piede, un
po’ timoroso, ricorda che «in fondo
alla sala, su una specie di mensola di
falsissimo mogano, un cimelio attirò
la mia attenzione specialmente per il
cartellino informativo: “corda ricuperata dall’ing. Secondo Bonacossa sulle
12
LE MONTAGNE DIVERTENTI vittime della catastrofe della König”
[...] Un mazzo di cordame sfilacciato,
in forte deperimento, al quale mancavano solo le fotografie delle vittime1;
un cimelio evidentemente per allora
importante ma che a me rammentava
per analogia piuttosto la corda inglese
dell’impiccato».
Secondo Bonacossa era un suo
cugino, più anziano, che sul finire
dell’800, aveva frequentato il gruppo
dell’Ortler dove, accompagnato
dalle guide di Valfurva Battista
Confortola, Pietro Pietrogiovanna
1 - Si tratta di tre studenti di Graz, Oskar Heydt,
Ludwig Muhry e Anton von Spinler, precipitati
nell’agosto 1885 dal versante meridionale del Gran
Zebrù. La corda dei tre sventurati venne recuperata
il 2 agosto 1886, di ritorno dall’ascensione al Gran
Zebrù compiuta da Secondo Bonacossa ed Ernesto
Albertario con le guide Battista Confortola e Pietro
Pietrogiovanna.
e Filippo Cola, aveva salito diverse
cime tra cui l’Ortler e la König – il
nostro Gran Zebrù – e aperto pure
un nuovo itinerario al Piccolo Zebrù
per il versante meridionale, vantando
peraltro un curriculum che spazia
dalle Dolomiti al Bianco, passando
anche per la val Grosina, le Orobie,
la val Malenco e la val Masino. Ma
questo cugino, pace all’anima sua,
era morto prematuramente, e in
famiglia se ne dava la colpa agli strapazzi dell’alpinismo; quindi, aveva
sentenziato il conte Cesare Bonacossa, era bene che i suoi figli, tanto
Aldo quanto il fratello Alberto, si
tenessero lontani dalla montagna.
Ma non c’è niente di meglio che
vietarti una cosa per rendertela più
attraente; e fra i molti sport che la
Estate 2015
privilegiata condizione aristocratica
permetteva ai due fratelli di praticare
(si parla di ben tredici discipline),
quello verso cui Aldo Bonacossa
s’indirizzò con più passione e determinazione, e che l’avrebbe accompagnato per tutta la vita, fu proprio
l’alpinismo.
DALLE PRIME SALITE
ALL’ACCADEMICO
Le prime salite le aveva fatte in quel
di Macugnaga, dove la famiglia si
recava in vacanza, ma non erano che
«inoffensive ma lunghissime escursioni»,
con dislivelli tra i 1500 e i 2000 metri
di fronte ai quali c’è comunque da
togliersi tanto di cappello. Ben presto
però, e a dispetto del genitore, Aldo
fece un salto di qualità, e già durante
il liceo cominciò a praticare l’alpinismo a livelli sempre più impegnativi, sia d’estate che d’inverno, tanto
che bruciando le tappe, nel 1906,
ad appena 21 anni entrò a far parte
dell’Accademico, il fior fiore degli
alpinisti di allora.
LE MONTAGNE DIVERTENTI MASINO-BREGAGLIA-DISGRAZIA
Che avesse un carattere forte e determinato, ma anche pieno d’iniziativa,
lo dimostra il fatto che – ce lo racconta
lui stesso – aveva dovuto conseguire
la «Licenza liceale a Sondrio perché a
Milano, per aver capeggiato il primo
sciopero di studenti al “Parini”, ero
stato avvisato di non farmi più vedere».
Rientrato in famiglia era riuscito «a
“scamotare2” un giorno e mezzo all’inflessibile padre che non approvava l’alpinismo, per fare una capatina in Val
Masino». A legger di quell’avventurosa “fuga” – «su per la allora infame
carreggiabile della valle», abbandonato
a Filorera nella notte fonda da vetturino e «cavallo sempre più inefficiente»,
di corsa poi fino a San Martino sotto
l’acqua fra tuoni e fulmini, l’arrivo
all’osteria e la ricerca di una guida –
sembra quasi di riandare alle avventurose spedizioni dei pionieri inglesi di
Peaks, passes and glaciers. E il giorno
2 - Francesismo, significa “eludere, sfuggire”.
dopo, 18 luglio 1905, rinunciando
al desiderato Torrone Orientale (solo
sentendolo nominare, la sera prima,
«un vecchio ancor rimbambolato dal
primo sonno, barba ispida, malamente
scamiciato» era scappato via spaventato), Enrico Fiorelli, cugino del più
famoso Giacomo che quel giorno
andava alla Rasica, accompagnò il
giovane Bonacossa alla più mansueta
cima di Castello.
«Val Masino: che passione!», titolerà
un suo articolo del 1954 sul Bollettino mensile della Sezione di Milano
del CAI, dove rievoca i tanti giorni
passati in quel regno del granito, di
quando ad esempio, giunti al vecchio
rifugio che anticipò la Gianetti, «bisognava cacciar fuori il mulo del Giacomo
che della Badile si era fatto la stalla»,
oppure di quando si doveva bivaccare
«sotto a pietroni in lotta con le pecore
disturbate nei loro fetenti recessi che mai
Augia ripulì».
Il giorno dell’inaugurazione della
Gianetti, nel 1913, Aldo Bonacossa, nonostante la neve e il vetrato,
Aldo Bonacossa (1885-1975)
13
Personaggi
Speciali
Torre Re Alberto
(2832)
Punta Meridionale del
Cameraccio
(2743)
La costiera del Cameraccio da SO. Indicata la via Gervasutti-Bonacossa alla Torre Re Alberto, una delle maggiori realizzazioni degli anni
'30 (6 ottobre 1933) e la punta Meridionale del Cameraccio, salita per la prima volta da Giusto Gervasutti e Aldo Bonacossa il 5 ottobre 1933
(3 novembre 2009, foto Mario Sertori).
riuscì a metter piede per primo con
Carlo Prochownick sulla cuspide
più elevata della punta Sertori, quel
caratteristico dente all’estremità della
cresta est del Badile che era stato vinto
in solitaria da Bortolo Sertori all’inizio del secolo. E forse a riparazione
del piccolo sgarbo fatto alla modesta
eponima guida di val Masino, che si
era dovuta fermare al dente più basso,
Bonacossa non ci pensò nemmeno
a cambiar nome alla punta, anzi;
quando «il mio buon Bortolo che mi
aveva dato delle indimenticabili lezioni
di arrampicata sulle placche di granito»,
reduce dalla guerra l’influenza se lo
portò via, gli dedicò un appassionato
e sentito ricordo dalle pagine della
Rivista Mensile del CAI, rendendogli
un po’ di quella notorietà che non
ebbe e che si sarebbe meritato.
Tante giornate, e numerose pagine,
dedicò Bonacossa a quelle montagne
di granito tra Italia e Svizzera. «Ma il
mio cuore – scrisse – batte più forte al
ricordo di Val di Zocca e di Val Torrone.
Là stanno le mie più belle giornate
alpine di Val Masino da quando vi
entrai la prima volta, appena appena
14
LE MONTAGNE DIVERTENTI studente liceale fino a tre anni fa [1948]
quando finalmente, con Giovanni Ratti,
inaugurammo la giusta via italiana
al Torrone Orientale. Là rivedo i miei
compagni: dal piccolo Bortolo Sertori
grandissimo arrampicatore a piedi nudi,
a Carletto Negri, e Eugenio Fasana e
Vitale Bramani, a Ninì Pietrasanta
e Hans Steger e Giusto Gervasutti».
Il nome di Aldo Bonacossa, insieme
a quello dei sopracitati suoi compagni
di cordata a cui è doveroso aggiungere per lo meno anche quelli di Luigi
Binaghi, Ettore Castiglioni e Walter
Amstutz, resta immortalato su creste
e pareti dove aprirono nuove vie, dal
Cengalo al Torrone, dalla Rasica alla
cima del Largo, dalla Sciora alla cima
di Rosso, dal monte di Zocca alla
cima di Castello fino a quell’ostica
ed imponente torre della costiera del
Cameraccio che già il Conte Lurani,
nella sua monografia del 1883, aveva
quotato m 2742 (oggi m 2832).
L’aveva già tentata invano, quest’ultima, Bonacossa con Hans Steger e
Ninì Pietrasanta, rinunciandovi prima
ancora di averla toccata con mano;
solo a vederla, le difficoltà sembravano
insormontabili, e così ripiegarono.
Bonacossa ci torna nell’ottobre del
‘33 «con Giusto Gervasutti, non ancora
famoso come poi ma già, per gli amici,
il “fortissimo”». La placca finale è liscia
e senza alcuna possibilità di assicurazione3, il minimo errore sarebbe
fatale. Giusto esita un momento, poi
parte. «Non ho mai dimenticato, pur
dopo tanti anni, la sua espressione in
quel momento – ricorda Bonacossa.
Un accenno di pallido sorriso forse più
per far coraggio a me che non a se stesso:
ma fugace, melanconico, quasi triste».
E i due, quella torre senza nome, la
battezzarono concordemente Torre
Re Alberto. Che un conte, e Aldo
Bonacossa lo era, volesse dedicare
una cima a un re, non desta più di
tanta meraviglia; in fondo, potrebbe
sembrare una sorta d’omaggio di un
nobile verso un’altezza reale. Ma in
questo caso c’è ben di più: l’affermazione di un’amicizia sincera, rafforzatasi nella comune passione per la
montagna, tra Bonacossa, Gervasutti
e il re alpinista per antonomasia,
3 - I moderni ripetitori l'hanno valutata 6a expo.
Estate 2015
Pizzo Scalino, parete NO. Questa imponente bastionata di rocce scistose fu superata per la prima volta nell'agosto 1911 dalla cordata composta
da Aldo Bonacossa e dal chiavennasco Rino Rossi. Si tratta di un itinerario estremamente pericoloso funestato da continue cadute di pietre. Le
ripetizioni moderne sono concentrate in inverno per limitare tale rischio (18 novembre 2014, fotoBeno).
Alberto I del Belgio.
Bonacossa l’aveva conosciuto nella
seconda metà degli anni ‘20 quando
il re, dopo «una profonda crisi che
quasi lo fece rinunciare per sempre
all’alpinismo», cercò conforto in un
gruppo di senza guida. Fu così che,
rievoca Bonacossa, «nel 1930, riuscii
a condurlo nella mia diletta Val Bregaglia. Furono tre incantevoli giornate
nell’Albigna. Sul gran dosso di granito
del rifugio, egli si beava al sole d’Italia
che veniva a fiotti da sopra il Ferro
Orientale, inondando tutta la lunga
valle glaciale. Il primo giorno, salimmo
l’Ago di Sciora. Non s’era mai immaginato che anche da quelle parti esistesse
una stele così gigantesca, che con uno
spigolo di 750 m di tanto deprimeva il
suo Campanile Basso: e fu una rivelazione. Gli piaceva quel granito franco,
senza insidie»; ma gli piaceva pure, lui
che non poteva soffrire «quelle guide
del buon tempo antico che partivano
per quindici giorni di salite con una
sola camicia», bagnarsi nei torrenti
di montagna, come quella volta che,
scrive Bonacossa, «avevamo fatto il
bagno quasi alla bocca del ghiacciaio
LE MONTAGNE DIVERTENTI dell’Albigna»! Arrampicarono poi
ancora insieme, nelle Dolomiti (con
Angelo Dimai e Paula Wiesinger,
la campionessa di sci, e addirittura
con quel personaggio singolare di
Tita Piaz che di fronte al sovrano,
«maligno, si lasciò andare ad un elogio
della repubblica»), in Grignetta («con
Vitale Bramani e la Paola») e infine
nelle Marittime con Gervasutti, in
un sodalizio interrotto soltanto dalla
fatale caduta del re, il 17 febbraio
1934, dalle rocce di Marche-lesDames durante una scalata in solitaria.
Delle montagne di val Masino,
così come della limitrofa val Bregaglia e del gruppo del Disgrazia, da
frequentatore che ne era se ne fece
poi illustratore, con la compilazione
di quella guida Masino-BregagliaDisgrazia, apparsa nel 1936, che fu
un vero compendio di conoscenza su
tutto quanto di alpinistico vi era stato
svolto fin’allora. Sebbene la guida fosse
costellata di nomi altisonanti di alpinisti venuti anche da fuori, egli nella
prefazione volle ricordare due nativi,
pur essi grandi, di quelle montagne;
concludeva infatti così: «Nel licenziare
il volume, il mio pensiero corre reverente
alla memoria di Christian Klucker,
mio primo maestro sul ghiaccio, e di
Bortolo Sertori, mio primo maestro
sul granito di V. Masino».
BERNINA
Bonacossa, peraltro, non era nuovo
a quel genere di lavoro redazionale.
Quando Luigi Brasca, nel 1906,
aveva messo in cantiere per il CAI
la guida Alpi Retiche Occidentali affidandone la redazione per il gruppo
del Bernina al prof. Alfredo Corti,
era stato coinvolto fin da subito in
quell’iniziativa, e ci aveva diligentemente messo del suo; Corti ricorda
infatti che «un forte impulso al progettato lavoro venne quando il mio amico,
l’Ing. Aldo Bonacossa, che unisce in pari
la valentìa alpinistica alle conoscenze
di studioso, vi apportò largo e prezioso
contributo di notizie». I due, però,
non si limitarono ad una collaborazione “a tavolino”, ma ebbero pure
qualche occasione per approfondire
insieme sul terreno la conoscenza del
gruppo. Datano alla fine del primo
decennio del ‘900 alcune loro ascenAldo Bonacossa (1885-1975)
15
Personaggi
Speciali
sioni, al pizzo Sella e al Roseg piuttosto che ai Gemelli allo Zupò e
alle cime di Musella. Bonacossa,
fra quelle montagne, si legò pure in
cordata col chiavennasco Rino Rossi;
insieme salirono per primi, nell’agosto del 1911, la parete nord-ovest
del pizzo Scalino, scendendone poi
la cresta nord e chiudendo la giornata
con un finale acrobatico, l’attraversamento al buio del torrente Lanterna
straordinariamente gonfio; fecero poi,
sempre per vie nuove, il piz d’Argient
e la vetta di Ron, nonché il pizzo
Malenco dove c’era con loro anche
Rosamund Broxford (con quest’ultima aprì pure due itinerari sul piz
Varuna).
Quando nel 1911 venne pubblicata
la guida, il colonnello Strutt (che nel
1909 aveva salito lo Zupò con Bonacossa e che ritroveremo più avanti)
scriveva al prof. Corti: «Voi siete certamente riuscito a meraviglia, insieme al
vostro abile collaboratore signor Bonacossa, e non esito a dire che questa è
l’opera più importante che ora esista
non solo su tutto il gruppo, ma anche
sulle vallate, e vi auguro molto sinceramente tutto il successo che avete così ben
meritato».
Non è forse inutile ricordare che
Bonacossa, di quella guida, «ha, da
solo, redatto il capitolo delle gite con
gli ski», e che, da appassionato sciatore qual era, due anni dopo Marcel
Kurz e Rudolf Staub (entrambi
amici suoi), ne ricalcò in parte le
orme in quella meravigliosa traversata
con gli sci passata in letteratura come
il “Circuito del Bernina”, partendo
dall’Ospizio del Bernina e scendendo
poi dalla Marinelli a Lanzada attraverso la bocchetta delle Forbici, in
compagnia di Luigi Prochownick
e dell’accademico Edgardo Rebora
(fratello del poeta Clemente).
REGIONE DELL’ORTLER
Scrupolosissimo nella ricerca e nella
valutazione delle fonti, mai approssimativo, Bonacossa diede il meglio
di sé nella compilazione della guida
Regione dell’Ortler che, «in gran parte
con lavoro notturno, avevo preparata per la mia entrata in guerra come
volontario nel 1915». Ancor oggi, a
un secolo di distanza, oltre ad essere
un volume di pregio per bibliofili, è
16
LE MONTAGNE DIVERTENTI Bianca Ceva che pubblicò la versione
del Bonacossa ben cinquant’anni
dopo su Il Ponte di Calamandrei –
«sembra venirci incontro come l’ultimo
superstite di un mondo spento, dove
la testimonianza di lontani ideali che
paion rievocare i cavalieri medioevali,
e la aspirazione alle cose belle della
natura e dell’arte, si mescolano alle note
di una passione per una donna italiana,
la cui immagine non cessa di soggiogare l’anima e i sensi e non lascia la sua
preda neppure in un turbine di sangue
e di morte».
Da sx: la capanna dell'Hochjoch, il monte Zebrù, il Gran Zebrù e il monte Cevedale fotografati dal
Grosser Eiskogel (1 agosto 1907, foto Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese - www.archiviocorti.it).
una miniera di informazioni dettagliate, che la dice lunga sulle capacità del Bonacossa tanto di cogliere
l’essenza delle relazioni alpinistiche a
cui attinse, quanto di renderle nelle
descrizioni, mai banali, per lo più
accattivanti, delle montagne e degli
itinerari. Come scrisse Luigi Brasca
nella prefazione alla guida, «non era
facile per lo scrivente trovare per l’Ortler
uno specialista veramente competente;
ma credo che tutti i colleghi chiameranno felice la scelta dell’egregio consocio
conte Aldo Bonacossa, che riunisce due
rare qualità: la tempra di fortissimo
alpinista e quella di studioso, di critico
e di scrittore. Suo è esclusivamente il
merito del lavoro». Considerato che
quella regione apparteneva allora in
buona parte all’impero austro-ungarico di lingua tedesca, così come di
lingua tedesca erano la maggior parte
degli alpinisti che la frequentavano e
ne scrivevano, ecco venirgli buona la
padronanza di quell’idioma, perfettamente appreso durante gli anni universitari a Monaco di Baviera, così come
l’aver conosciuto tanti alpinisti d’oltralpe che costituirono per lui, allora e
di seguito, sicuri punti di riferimento.
Tale è la minuziosità nella descrizione degli itinerari, da far pensare
ad una sua frequentazione assidua e
meticolosa di quelle montagne; ma
in realtà, rispetto alla val Masino dove
non c’è quasi vetta senza una sua via,
il gruppo dell’Ortler lo toccò solo con
alcune puntate alle cime principali,
poco più di una dozzina, nel decennio
prima della grande guerra, arricchite con alcune prime al Confinale,
alla cima della Manzina, al Piccolo
Zebrù e al Cevedale, che portò a
compimento nel 1913 con l’amico
fidato Carlo Prochownick. A maggior
ragione, dunque, tanto di cappello per
la sua guida!
Nel darla alle stampe, siamo nel
1915, Bonacossa scriveva: «Il momento
non parrebbe ben scelto: non mutano i
monti, ma possono cambiare i confini
politici; la Guida corre il rischio, sotto
questo rapporto, di essere tra breve
antiquata..».; ma prima ancora di
correr questo rischio, appena fresca di
stampa, le autorità militari l’avevano
fatta «bloccare (eufemismo per sequestrare) forse quale materiale pericoloso ai
fini della vittoria, sì che soltanto a guerra
da tempo finita era venuta l’autorizzazione di renderla accessibile ai soci».
Il suo vecchio amico Walter
Amstutz, nel dar conto dei suoi eccellenti lavori, così scrisse di Bonacossa:
«Uno dei migliori conoscitori delle Alpi,
è una vera “enciclopedia ambulante”,
e le sue guide insuperabili sono esempi
autorevoli della sua profonda conoscenza, della sua precisione. Dove si
trovano migliori descrizioni che nel suo
“Bernina”, nell’ “Ortler” o nel “MasinoBregaglia-Disgrazia”?». Nessuna meraviglia, quindi, che anche Marcel Kurz,
per la guida Alpes Valaisannes del Club
Estate 2015
Aldo Bonacossa nel 1926 (foto tratta dal volume dal volume Aldo Bonacossa, una vita per la
montagna).
Alpino Svizzero abbia ritenuto di
avvalersi di quell’“enciclopedia ambulante” di Bonacossa!
VOLONTARIO DI GUERRA
Con l’entrata in guerra, nel maggio
1915, Aldo Bonacossa parte volontario, come sottotenente del 1° Genio
Zappatori. Al di là delle vicende sue
personali – che lo vedono combattere
e restar ferito nella zona di Tolmino,
organizzare corsi di sci per gli alpini
in Valle d’Aosta e seguire Luca
Comerio nelle riprese di un documentario di guerra nel gruppo dell’Adamello4 – ci piace ricordare un altro
4 - Il documentario è visionabile al seguente indirizzo: http://bit.ly/1H4m5nf
LE MONTAGNE DIVERTENTI piccolo episodio. Nel giugno 1916,
fra le carte di un soldato fatto prigioniero sul S. Michele vi è un quaderno
dove, sull’ultima pagina è scritto in
ungherese: «Ho trovato questo taccuino
sull’altopiano di Doberdò in mano ad
un ufficiale morto. Che Dio lo benedica - 29 luglio 1915». Il resto del
taccuino è però scritto in tedesco,
e viene subito inviato a Udine, al
Servizio Informazioni del Comando
Supremo, per verificarne il contenuto.
Fortuna vuole che in quegli uffici ci
fosse proprio Aldo Bonacossa che, da
perfetto conoscitore di quella lingua,
ne fece subito la traduzione; è la testimonianza toccante di un ufficiale
austro-ungarico che – come scrisse
ALLA SCOPERTA DELLE ALPI E
OLTRE
Dopo esserci soffermati, in particolare, sull’attività alpinistica di Bonacossa nelle Alpi Retiche, e sul breve
intermezzo della guerra, è ora doveroso fare almeno un cenno su altri
momenti più o meno significativi
della sua – per usare la definizione
dell’amico Marcel Kurz – “activité
debordante”.
Già prima della guerra, quand’era
studente d’ingegneria al Politecnico
di Monaco, aveva conosciuto Paul
Preuss, le cui imprese facevano scalpore nel mondo alpinistico tedesco;
con lui condivideva non solo la
passione per la montagna, ma anche
per una miriade di altri sport, addirittura per l’automobilismo. Una volta,
ricorda Bonacossa, all’approssimarsi
delle vacanze pasquali che, lunghe
com’erano gli avrebbero permesso
«qualche bella impresa prima di rientrare in famiglia», erano entrambi
del tutto squattrinati; avendo appena
appena di che tornare a casa in terza
classe, non c’era da far programmi, e
pertanto «eravamo piuttosto depressi,
specialmente io che, una volta tornato
sotto il severo controllo paterno dovevo
andare in fabbrica altro che montagna!
Un giorno, passando per lo Stachus,
mi sentii chiamare ad alta voce. Era
Preuss che tutto sorridente mi annunciava di aver ricevuto da casa una certa
sommetta che egli generosamente, senza
che io facessi parola, volle subito dividere con me». Con Preuss, e l’amico
Prochownick, nell’agosto del 1913
Bonacossa compirà poi la prima salita
dell’Aiguille Blanche de Peutérey
per la cresta sud-est, dalla Brèche des
Dames Anglaises, lasciandone una
Aldo Bonacossa (1885-1975)
17
Personaggi
Speciali
Luigi Binaghi, Aldo Bonacossa e Giusto Gervasutti (disegno di Luigi Binaghi).
dettagliata relazione tecnica sull’Alpine Journal. L’anno prima, peraltro,
era stato accolto nella ristretta schiera
dell’Alpine Club di Londra.
All’Alpine Club apparteneva, e ne
diverrà poi presidente, anche quel
colonnello Edward Lisle Strutt, che
Bonacossa conobbe intorno al 1910
a S. Moritz (stava lavorando anch’egli
a una guida del Bernina), e che nel
1922 fu comandante in seconda della
spedizione all’Everest. Due anni dopo,
nel 1924, Strutt si reca nel gruppo
dell’Ortler. «Venuto a conoscenza dei
miei progetti – scrisse –, il mio cortese
e delizioso amico Conte Aldo Bonacossa
mi incontrò alla stazione di Milano con
la sua automobile e mi condusse la sera
stessa a Santa Caterina-in-Val-Furva,
e così feci il viaggio da Parigi in circa
diciannove ore, il che deve costituire
quasi un record. Io ero più che grato a
Bonacossa (dove trovi un amico che ti
presti la sua macchina per un tragitto di
270 km?), e ancor più alla Provvidenza
per il mio arrivo sano e salvo. Il guidatore era eccellente, la velocità e la strada
ugualmente terribili. Il tachimetro
indicava di solito intorno ai 120 km
all’ora».
Lo ritroveremo poi, Strutt, in val
Viola Poschiavina («una delle più
incantevoli delle Alpi»), quando nel
1930 percorre per primo con Aldo
Bonacossa la cresta sud-est del Corno
di Campo. Soffriva ancora per le
ferite riportate nella grande guerra,
18
LE MONTAGNE DIVERTENTI allora, tant’è che quando cominciarono le difficoltà e si rese conto di
non poter controllare pienamente il
suo braccio, evitarono il tratto più
impegnativo della cresta nel vallone di
Scispadus, riprendendola solo in prossimità della vetta.
Dando per scontato che Bonacossa
abbia salito un po’ tutte le principali
vette delle Alpi, un suo tratto distintivo fu però quello di non limitarsi alle
montagne più note ed attraenti, bensì
di ricercare anche quelle più riposte
e trascurate, talvolta più affascinanti,
scoprendo spesso percorsi di classe che
erano sfuggiti a tutti, «per un sapore
quasi di esplorazione che riporta un
poco verso i tempi eroici dell’alpinismo».
NUOVEVIEMANIA
Bonacossa, dopo «molti anni di uso,
talora anche eccessivo, delle biblioteche
alpinistiche» alla ricerca di angoli
reconditi, conia un nuovo termine:
“nuoveviemania”.
E una nuova via, nei primi anni
‘20, s’era ficcato in testa di aprirla sul
Monviso dalla parete di Vallanta. Ne
fece l’oggetto di numerosi tentativi:
la prima volta, nel 1922, «la comitiva
in cui figura già – e bene – il milanesissimo Carlo Prochownick, si completa
col pretore di Caraglio e non infrequente mio compagno di gite, avvocato Rino Rossi», il chiavennasco con
cui già s’era legato nel gruppo del
Bernina; ma il loro «impeto si spuntò
contro una muraglia verniciata da un
vetrato come si incontra raramente»,
e «una furibonda lite» fece sì che
«quella cordata si sciolse per sempre,
e ci guardammo bene dal tentarne la
ricostruzione». Altro tentativo tre
anni dopo. «Rossi accettò di tornare,
più che per convinzione, per galanteria
verso una simpatica figliola: così con
Ester della Valle di Casanova affrontammo il Ferragosto 1925». Sotto
le rocce del Visolotto, Bonacossa
ci racconta simpaticamente che «il
pomeriggio fu speso nella costruzione
di un bivacco modello (leggera inclinazione per la digestione, sabbia, muricciolo riempito di terra – sono o non
sono ingegnere?)». Ma quella volta,
sulla parete, se la videro proprio
brutta: «un rimbombo di tutte le
pareti soprastanti ci fece buttar contro
le rocce. Il masso che intravedemmo mi
pare ora, a mente fredda, non superasse
la testa di Carnera: allora, la paura
ce lo fece perlomeno triplicare, come
avviene ai cacciatori con la selvaggina
nei giorni di nebbia». E la parete di
Vallanta, vedendoli tornare ancora
una volta con le pive nel sacco, se
la rideva. «Questa volta, a Costigliole
la cordata si sciolse definitivamente
perché nemmeno motivi di galanteria
poterono più indurre Rossi a perdere
qualche giorno su quel Monviso donde
presto lo separò il mare: presiede ora a
Rodi quel Tribunale, e tante belle e più
comode radunate automobilistiche».
Nel 1930, con Bonacossa ci sono
Vitale Bramani, Ugo di Vallepiana
e Guglielmo Jervis, tutti accademici; quest’ultimo (esemplare figura
di primo piano della Resistenza nelle
formazioni di Giustizia e Libertà
piemontesi, che nel 1944 sarà fucilato a Villar Pellice dai tedeschi)
«aveva la patente automobilistica solo
da un mese» e così «ebbe campo di
sfoggiare la sua abilità tra i mucchi
di pietre che ostruivano la strada e
che di tanto in tanto obbligavano noi
tre, appiedati, a scaricarne giù dalla
scarpata». Bivacco scomodissimo in
parete, tutta vetrata, a m 3700; ennesima ritirata.
Finalmente, nel 1931, con
Bramani e Luigi Binaghi «il pittore
di montagna per il quale vige l’assioma
“vedi Como e poi vivi”», la parete di
Vallanta è superata!
Estate 2015
Il rifugio Aldo e Alberto Bonacossa, eretto nel 1988 nei pressi della vecchia capanna Allievi (è
l'edificio fatiscente sulla dx) in alta val di Zocca grazie a un lascito del conte che tante avventure
aveva vissuto le torri di granito della val Masino (16 ottobre 2005, foto Roberto Moiola).
SEGRETE BELLEZZE
Nuove vie, in ogni caso, Bonacossa le apre un po’ dovunque. Come
scrisse Massimo Mila, infatti, la sua
«conoscenza sbalorditiva delle Alpi,
insieme a un’attività la cui intensità
ha del fantastico, produce una quantità
tale di prime ascensioni e vie nuove, da
scoraggiare ogni velleità di elencazione».
Accennando solo di sfuggita, per
non far loro torto, a due vie di tutto
rilievo che portano la firma di Bonacossa, sulla parete nord della Grande
Casse (la vetta più alta delle Alpi della
Vanoise) e sulla parete ovest sud ovest
dell’Aletschhorn (Oberland bernese),
qui ci piace ricordarne alcune altre,
che aprì in luoghi appartati a noi
vicini, ricchi di segrete bellezze come
la val Grosina e la val Viola, dove
ebbe quasi sempre con sé in cordata
una fanciulla così da render «l’ascensione ancor più piacevole combinando
la grazia femminile con la bellezza
alpina».
Eccolo dunque nel 1921 con Maria
Sbrojavacca (del nobile casato friulano), salire per primi la cresta SO
della cima Viola o percorrere, dalla
vetta della Piazzi, la cresta che porta
al Corno Sinigaglia e da lì scavalcare
i due Corni di Verva maggiori, per
spaziare poi dalla Sperella al Teo, dal
Saoseo al Corno Dosdé.
Tre anni dopo, a condividere con
Bonacossa e Antonio Polvara la
traversata dal Sasso di Conca al colle
di lago Spalmo, seguita il giorno dopo
LE MONTAGNE DIVERTENTI dalla cima settentrionale di Lago
Spalmo per cresta («una tra le arrampicate più interessanti della regione»),
c’è Gigetta Matricardi, mentre nel
1949 ad accompagnare Bonacossa
e Giovanni Ratti in nuovi cimenti
con la Cima settentrionale di Lago
Spalmo, il pizzo Matto e il Corno
Dosdé ci sarà Clotilde Fusai.
Un’altra “segreta bellezza” frequentata da Bonacossa, questa volta non
nascosta tra le montagne ma nel cuore
della città, è lo splendido edificio in
stile Liberty di via Piranesi che oggi
non c’è più e che aveva ospitato il
Palazzo del Ghiaccio di Milano;
l’aveva voluto suo fratello Alberto,
campione nazionale di pattinaggio,
e venne inaugurato il 28 dicembre
1923. Ad accompagnarlo su quello
specchio ghiacciato ci fu anche
Wally Toscanini (la figlia del celebre
maestro), donna di mondo che tra
le mille sue attività adorava anche
pattinare; come raccontò a Camilla
Cederna, «tutta vestita di lana scarlatta, ballavo il valzer sui pattini
insieme ad Aldo Bonacossa».
A L’È LA SUA MORUSA?
E che dire di Ester della Valle di
Casanova, che già abbiamo trovato al
Monviso?
Figlia del marchese Silvio e di Sofia
Browne – musicista e poeta lui, pittrice
lei, che hanno trasformato la vecchia
casa del nonno a Pallanza in una villa
in stile barocco napoletano con ampie
terrazze a giardino, la splendida Villa
San Remigio – Ester è una donna affascinante e intelligente; appassionata
alpinista e sciatrice, non è certo l’ultima
arrivata potendo addirittura vantare
– noncurante di possibili chiacchiere
quando, unica donna, si aggrega a
compagnie maschili in giro per i monti
– la prima traversata invernale del
Gran Paradiso con Ugo di Vallepiana,
Umberto Balestreri e altri.
Nel 1925 è in cordata con Aldo
Bonacossa a tentare senza successo in
giugno la parete NO del Saoseo, per
poi rifarsi il mese successivo con la
parete SE della Cima settentrionale di
Lago Spalmo. Ai primi di settembre
si cimentano con l’inviolata cresta
SE del Corno di Campo, «desistendone dopo la nostra apparizione nello
Spettro di Brocken» (la vincerà, Bonacossa, quella cresta nell’ottobre del
1931, con Ninì Pietrasanta e Ugo di
Vallepiana). E si arriva al Cervino.
Non c’è solo Ester; ci sono anche
il duca Amedeo d’Aosta e diverse
guide. Tempo splendido quasi autunnale nella salita dal versante italiano,
condizioni quasi invernali al ritorno
per un improvviso cambiamento
del tempo lungo la cresta svizzera.
A Valtournanche un gruppetto di
persone si fa loro incontro; «in testa al
gruppo – scrive Bonacossa con reminiscenze deamicisiane – era l’avvocato
Bobba, a capo scoperto, la bella figura
di gentiluomo protesa in un reverente
ossequio. Dietro, le sorelle celebrate da
Edmondo de Amicis e qualcun altro.
Il Duca si sbrigò presto, sempre però
cortese, dagli ossequi; una delle sorelle
squadrò Ester, poi me e senza tanti
complimenti mi chiese: “a l’è la sua
morusa?” Non precisamente così ma
quasi: sul Cervino ci eravamo definitivamente fidanzati e dall’anno appresso
siamo coniugi. Presi ambedue in giro da
Amedeo che, essendo all’Università di
Palermo al tempo di una celebre interpretazione del grande attore siciliano
Musco, ripeteva: mi avete condotto lassù
per farvi da paraninfo».
A Ester Bonacossa, Etta per i suoi
amici inglesi, farà cenno tanti anni
dopo, nei primi mesi del 1945, il
colonnello Edward Lisle Strutt che,
in una missiva inviata ad Alfredo
Corti allora riparato in Francia dopo
la battaglia di Cogne contro i nazifaAldo Bonacossa (1885-1975)
19
Personaggi
Speciali
Cesare Folatti, Luigi Bombardieri e Peppino Mitta recuperano la salma del magistrato piemontese
Umberto Balestreri, presidente del CAAI, morto cadendo in un crepaccio sul ghiacciaio del
Morteratsch il 16 aprile 1933. L'amico Aldo Bonacossa gli succederà alla guida del CAAI fino al
1945 (17 aprile 1933, foto Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese).
scisti gli chiedeva: «Avete notizie di Etta
Bonacossa? So che le sue opinioni contro il
fascismo erano altrettanto violente quanto
le vostre, e perciò ho sempre temuto che si
mettesse in qualche pasticcio».
Ester, infatti, dopo l’8 settembre del
‘43 fu impegnata in prima persona,
con una scelta coraggiosa, nell’aiutare ebrei e prigionieri alleati evasi dai
campi a passare in Svizzera; la sua casa
di Milano e la villa di Pallanza (dove fu
installata una radio trasmittente per i
messaggi relativi ai lanci) erano sempre
piene di rifugiati. Conosciuta come “la
vivandiera dei partigiani dell’Ossola”,
Etta su incarico del Comando Volontari della Libertà riuscì a ottenere,
all’approssimarsi della Liberazione, il
rilascio di parecchi detenuti politici
che si temeva venissero trucidati prima
della ritirata dei tedeschi. L’amica Elda
Sgarzella, che fu sua ospite a Villa San
Remigio, la ricorda in quel periodo
con indosso un soprabito militare, da
carabiniere. «L’ho com­prato al mercato,
a buon prezzo, tiene un caldo! Ho tolto i
bottoni. Sfido tutte le intemperie, così!».
Ben altre intemperie aveva allora da
sfidare, rispetto a quelle che l’avevano
temprata in montagna!
LO SCI
Pochi ancora usano gli sci in
montagna nel 1904 – lo “Ski-club
Milano” è nato solo due ani prima
– quando Aldo Bonacossa già se ne
serviva per salire alcune cime in Sviz-
20
LE MONTAGNE DIVERTENTI zera nel cantone di Glarona; e da
allora, anno dopo anno, vetta dopo
vetta, si può dire che non li abbia più
abbandonati, visitando «molte parti
della catena alpina sull’uno e sull’altro
versante, salendo vette, attraversando
valichi e percorrendo vallate».
Nel 1908 aveva salito il Cevedale
dalla Schaubachhütte, scendendo poi a
quella capanna Cedeh dove vent’anni
prima suo cugino Secondo aveva assistito alla posa della prima pietra, per
continuare negli anni successivi, prima
della guerra fra i monti del Bernina
e l’alta valle Spluga, dopo la guerra
in val Grosina alla Piazzi, fra i monti
del Livignasco al Paradisin e al Corno
di Campo, nel gruppo del Bernina
al Cassandra e alla Kennedy, giusto
per non accennare che a qualche giro
nelle nostre Retiche. Fece poi, vero
pioniere, alcune puntate nel Gran
Sasso, lasciando stupiti non solo gli
abitanti del luogo ma anche gli allora
poco numerosi alpinisti frequentatori
di quelle montagne.
Ma il chiodo fisso di Bonacossa –
prendendo spunto dallo scritto di un
avvocato genovese (la sua prima lettura
di alpinismo) – era quello di percorrere
con gli sci tutta la catena alpina dal
Colle di Nava in Liguria al Mangart
nelle Giulie. E così fece, un pezzo per
volta però, dal momento che, sono sue
parole, «al “giro” mi applicavo solo nei
ritagli di tempo delle mie occupazioni».
Aldo Bonacossa, come una volta
ebbe a definirsi, era infatti un «uomo
d’affari della metropoli», appartenente
a quella famiglia di industriali originari di Dorno in Lomellina che ha
legato il suo nome all’attività di lavorazione della seta, e le cui attività
imprenditoriali si rivolsero poi anche
al settore agricolo e a quello edilizio,
successivamente al termalismo (Terme
di Montecatini) e all’editoria sportiva
(il fratello Alberto detenne a lungo la
testata de La Gazzetta dello Sport, poi
passata al figlio Cesare).
Proprio con la Gazzetta ebbe a collaborare anche Aldo Bonacossa che,
nella veste di fondatore e primo presidente della Federazione Italiana Sport
Invernali (allora FIS), nonché di socio
onorario della Federazione Internazionale dello Sci, seguì diverse manifestazioni sciistiche internazionali, come
ad esempio le Olimpiadi invernali del
1928 a St. Moritz, dove per la prima
volta venivano applicate le regole dello
slalom, propugnate dal suo amico
Sir Arnold Lunn (il “papa” dello sci
britannico), o il IV Concorso FIS del
1929 a Zakopane in Polonia.
LA CORDIGLIERA
Oltre le Alpi le Ande, anzi –­ precisa
Bonacossa – la “Cordillera” («in Argentina non dite mai Ande, ché arrischiate di
non farvi capire»). Ci va la prima volta
nel 1934, quasi cinquantenne, con un
gruppo di accademici del CAAI, di cui
era diventato presidente l’anno prima
(reggendone le sorti fino al 1945),
dopo la tragica scomparsa di Umberto
Balestreri in un crepaccio sul ghiacciaio del Morteratsch. E come tale, gli
viene affidata la guida della spedizione,
meta le Ande cileno-argentine. Renato
Chabod, Ghiglione e i fratelli Ceresa
raggiungeranno l’Aconcagua; Bonacossa, Gervasutti e Binaghi andranno
invece al Tronador, compiendo la prima
salita del Picco Cileno; il terzo gruppo,
Zanetti, Boccalatte e Brunner salirà il
Nevado de los Leones.
Ci torna poi nel 1937, Bonacossa,
nelle Ande, questa volta con una
piccola spedizione ridotta all’osso – con
lui ci sono solo Ettore Castiglioni,
Leo Dubosc e Titta Gilberti – ma
un obiettivo davvero ambizioso: il Fitz
Roy. Luoghi affascinanti, montagne e
pareti seducenti: i tempi però non sono
ancora maturi, quella superba torre
Estate 2015
Aldo Bonacossa in val Poschiavina (foto tratta dal volume Aldo Bonacossa, una vita per la montagna, edizione fuori commercio del 1980) e, a dx, in
compagnia del nipote a Cortina (1974, foto tratta dal volume dal volume Aldo Bonacossa, una vita per la montagna).
granitica è un osso troppo duro. Anche
se, come ricorda Castiglioni, «Aldo ha
avuto un atto di generosità, di cui non
l’avrei mai creduto capace: accompagnarci
fino al Campo Alto, faticando per portare
il forte carico, pur avendo già rinunciato
all’ascensione», quando si prospetta la
rinuncia cominciano screzi ed incomprensioni tra caratteri non facili. Castiglioni, pur godendo della stima di
Bonacossa che gli «aveva affidato con
cieca fiducia tutta l’organizzazione e la
responsabilità!» (nel ‘35 peraltro avevano
compiuto insieme la prima della parete
sud della Rasica), lamentava «il solito
ostruzionismo dei compagni» troppo
arrendevoli e «i capricci di Aldo», con
cui i rapporti si fanno ogni giorno più
tesi; Bonacossa, dal canto suo, ricorda
il temperamento scontroso di Castiglioni, il quale mal tollerava «che nella
sua cordata ci fosse uno superiore a lui»
e «che un altro, sebbene già pratico delle
Ande, potesse figurare come capo».
L’ultima puntata nella Cordigliera,
Bonacossa la fece nel 1939 con Carletto
Negri (di cui fu testimone di nozze) e
Remigio Gerard, al confine tra il Cile e
la Bolivia. Poteva ben esserne contento,
perché l’inverno precedente – ricorda –
«invece di andare nelle Ande, poco mancò
che andassi all’altro mondo per un immeLE MONTAGNE DIVERTENTI ritato incidente automobilistico». Toccarono miniere abbandonate («quanto
rame nel Cile!»), salirono il Cerro
Negro con «la magrissima consolazione
di avere aperto mezza via nuova alla
montagna». E, forse, avrebbero potuto
andare all’altro mondo per quel violentissimo terremoto, che solo li svegliò
nelle loro tende sballottati come in una
tramoggia, ma che nel resto del Cile
fece quasi trentamila morti.
UNA VITA PER LA MONTAGNA
Nel 1964, quale riconoscimento per
i suoi meriti di esplorazione e divulgazione alpinistica, oltre che per l’attività svolta in seno al Club Alpino (fu
presidente della Commissione centrale
rifugi, nonché membro della Commissione per la “promulgazione della scala
delle difficoltà” insieme a Boccalatte,
Carlesso, Tissi, Comici e Gervasutti),
Aldo Bonacossa fu nominato socio
onorario del CAI nella seduta in cui la
medesima onorificenza veniva conferita ad Alfredo Corti, Günter Oskar
Dyhrenfurth, John Hunt, Guido
Bertarelli, e Ugo di Vallepiana. L’anno
prima, anche l’Alpine Club di Londra
(di cui era stato vicepresidente nel
1957), l’aveva accolto nella schiera dei
soci onorari.
Aldo Bonacossa se ne andò nel
1975. Aveva ancora fatto in tempo,
con un lascito, a porre le basi per la
costruzione di un rifugio, che verrà
inaugurato dal CAI Milano nel 1988
proprio nella “sua” val di Zocca così
ricca di ricordi, a fianco del vecchio
rifugio Allievi, e lo intitolerà a lui ed al
fratello Alberto.
Nel frattempo, nel 1980, quale
omaggio alla sua memoria era stato
pubblicato a cura di Ruth Berger il
volume Aldo Bonacossa - Una vita per
la montagna dove, con una prefazione
manoscritta di Maria Josè di Savoia
che gli fu compagna di cordata al
Castore, sono raccolti i suoi principali
scritti alpinistici. Sfogliando il libro,
ci piace ricordarlo nella semplicità
di quella foto, a piena pagina, che lo
ritrae già anziano in val Viola Poschiavina, camicia e pantaloni alla zuava,
cappello in mano, sullo sfondo del
Corno Dosdé, mentre guarda lontano,
nello spazio, e nel tempo; così come
nella tenerezza della foto alla pagina
successiva dove, col nipotino tenuto
per il braccio, guarda innanzi a sé
verso le montagne, un occhio semichiuso quasi a voler studiare nuove vie,
in un ideale passaggio di testimone tra
generazioni.
Aldo Bonacossa (1885-1975)
21
Scienza
Speciali
Raman in Valchiavenna
Danilo Bersani
Trasporto del Raman lungo il greto dello Schiesone (17 ottobre 2012, foto Danilo Bersani).
C
osa ci fanno un chimico, un fisico e un cercatore di minerali in giro per i
boschi e i torrenti della Valchiavenna, trascinandosi un valigione rigido
che sembra fatto per qualunque scopo, tranne che per andar per monti?
F
acciamo un passo indietro. Nel
settembre del 2012 il collega ed
amico Peter Vandenabeele, chimico
e spettroscopista dell’Università di
Gent in Belgio, da sempre assiduo
frequentatore della valle della Mera,
mi contatta per propormi un’insolita avventura. Conoscendo la mia
passione per i minerali alpini, unitamente al fatto che presso l’Università
di Parma io mi occupo delle stesse sue
tecniche di analisi, mi propone di fare
una serie di escursioni in montagna per
testare un nuovo spettrometro Raman
portatile con doppio laser, una caratteristica innovativa per uno strumento
22
LE MONTAGNE DIVERTENTI alimentato a batteria. La spettroscopia
Raman è una tecnica molto versatile
poiché è in grado di riconoscere una
vasta gamma di sostanze tra cui, per
l’appunto, i minerali (v. riquadro).
Per una prova significativa cerchiamo
una tipica meta da mineralogista dove
valutare se lo strumento è in grado di
riconoscere i minerali in condizioni
operative considerate “standard” per
chi si occupa di ricerca mineralogica.
Condizioni, a dire il vero, per niente
standard per chi invece di solito se ne
sta in laboratorio seduto davanti a uno
strumento o a un computer.
La scelta della zona è facile: Peter ha
una casa a Chiavenna e tutta la valle,
come quelle limitrofe, è ricca di splendidi minerali (v. riquadro).
Nostra guida e compagno di
avventura è Alvaro Caligari di Prata
Camportaccio, esperto conoscitore
della valle, cacciatore, cercatore e
collezionista di minerali a cui si deve
il recente ritrovamento (2005) della
chiavennite1.
ome prima meta per i nostri
test, puntiamo verso il torrente
Schiesone.
C
1 - Il minerale è descritto in: Sante Ghizzoni e
Guido Mazzoleni, Itinerari mineralogici in Val
Codera, Ed. Geologia Insubrica, 2005
Estate 2015
Batteria, laser, fibre, spettrometro e
computer sono stipati in una grossa
valigia rigida, che pesa ben 18 kg e
che chiaramente non è progettata
per le escursioni in montagna. L’idea
di trasportare un oggetto del valore
di varie decine di migliaia di euro,
facendolo ondeggiare tra i tronchi o
camminando in equilibrio precario
su sassi scivolosi, non è delle più allettanti. Anche il robusto treppiede che
abbiamo appresso, utile per posizionare più facilmente le fibre ottiche, fa
sentire il suo peso e il suo ingombro.
Ma lo scopo è proprio quello di vedere
se l’aumento di prestazioni rispetto agli
strumenti più piccoli vale la fatica e il
rischio di portare questo spettrometro
per lungo tempo in escursione, e di
valutarne al contempo la robustezza.
Dopo neppure un’oretta di passeggiata, con frequenti cambi di mano del
portatore, iniziamo, aiutati dall’occhio attento di Alvaro, a scorgere i
primi segni di mineralizzazioni interessanti. Ci sistemiamo a fianco del
torrente, ai piedi di un grosso masso
su cui si notato alcune belle titaniti
mielate.
Aperta la valigia, ne emergono le
fibre ottiche, che porteranno la luce
dai laser al punto da analizzare e poi
indietro allo spettrometro, oltre ai
comandi dei due laser e a un computer
portatile. Accendiamo uno dei laser
e iniziamo a fare delle prove su un
bel cristallo di qualche millimetro di
spigolo che occhieggia dalla superfice
del masso. Lo spettro Raman della
titanite risulta subito evidente, permettendoci di confermare l’identificazione
“ad occhio” fatta da Alvaro (della quale
non avevamo mai dubitato). Altri
piccoli cristalli presenti sulla superficie
delle rocce (quarzo, feldspati) vengono
identificati in pochi minuti tramite il
loro spettro Raman. Talvolta, a causa
della troppa fluorescenza di alcuni
cristalli, è necessario cambiare il laser
per confermare qualche risultato poco
chiaro. Usando il laser verde appaiono evidenti anche alcuni picchi
dovuti a carotenoidi e molecole simili
prodotti dalla microflora presente sui
massi, anche quando ad occhio nudo
sembrano privi di muschi o licheni.
L’alta tecnologia deve però fare i
conti con le esigenze pratiche di chi
dovrà operare sul campo e che non
LE MONTAGNE DIVERTENTI La spettroscopia Raman
La spettroscopia Raman è una
tecnica che consente di identificare
in modo rapido e non distruttivo
la composizione di sostanze solide,
liquide o gassose, sia amorfe che
cristalline, tramite il riconoscimento delle frequenze di vibrazione caratteristiche. I campioni da
analizzare, nel nostro caso minerali, non necessitano di alcuna
preparazione: possono essere Raman in laboratorio (foto Peter Vandenabeele).
analizzati campioni in matrice,
anche direttamente sul posto usando una strumentazione portatile.
La spettroscopia Raman si basa sulla diffusione anelastica della luce: dallo scambio
di energia tra un fascio laser che viene fatto incidere sul campione e le vibrazioni delle
molecole che lo compongono (o del reticolo cristallino, nel caso di un minerale) si
possono ricavare le frequenze di vibrazione caratteristiche del materiale analizzato,
consentendone l’identificazione. L’analisi avviene in tempi molto rapidi (spesso inferiori
al minuto) e senza contatto con il campione. È una tecnica assolutamente non invasiva.
I normali strumenti da laboratorio sono sistemi molto performanti, in grado di
riconoscere la maggior parte dei minerali esistenti, ma sono troppo pesanti, fragili ed
ingombranti per poter essere trasportati. Negli ultimi anni, la ricerca ha fatto passi
da gigante per produrre spettrometri portatili, in grado quindi di studiare i campioni
nel loro ambiente, senza doverli prelevare e portare in laboratorio. Questo è di grande
importanza non solo in campo mineralogico, ma per esempio nelle analisi di beni
culturali o in campo forense. Sono stati realizzati strumenti molto piccoli, con un
peso attorno al chilogrammo, utilizzabili come fossero una pistola, ma con limitazioni operative (tipo di laser, sensore, risoluzione) che non consentono di ottenere
una percentuale particolarmente elevata di successi nel riconoscimento dei minerali.
Lo strumento che intendiamo mettere alla prova, EZRAMAN-I-DUAL (Enwave
Optronics), è un ibrido, nel senso che ha caratteristiche molto vicine a quelle di uno
strumento da laboratorio, pur conservando una buona mobilità. In particolare è, al
momento, l’unico spettrometro Raman alimentato a batterie dotato di due diversi
laser (emissioni alle lunghezze d’onda di 532 e 785 nm). Il doppio laser è particolarmente utile perché permette di superare una delle limitazioni tipiche degli strumenti
portatili con un solo laser: molti minerali, infatti, quando sono illuminati con un solo
laser possono emettere una forte fluorescenza che maschera il segnale Raman. L’utilizzo di un secondo laser, con diversa lunghezza d’onda, in molti casi evita la fluorescenza, garantendo una maggiore probabilità di successo.
Misurazione spettroscopica della titatine in val Schiesone (17 ottobre 2012, foto Vandenabeele).
Raman in Valchiavenna
23
Scienza
Speciali
sempre sono chiare ai progettisti.
Una di queste è la presenza del sole:
a quanto pare, a nessuno è venuto in
mente che uno strumento da usare
all’aperto si sarebbe potuto trovare al
sole. Un sole un po’ deboluccio, vista
la stagione piovosa, ma pur sempre
in grado di disturbare le misure.
Dobbiamo impedire alla luce ambientale di raggiungere le fibre ottiche. La
soluzione migliore, tra quelle disponibili in loco, è il berretto di Alvaro.
La sua forma e il suo colore scuro
sembrano fatti apposta per fungere
da filtro solare. E quindi, abbandonato lo scomodo treppiede, cercando
di tenere ben ferma l’estremità della
fibra ottica per circa un minuto, in
posizione da contorsionista, con il
cappello di Alvaro ben avvolto sulla
mano, proseguiamo per un’oretta le
nostre analisi. Soddisfatti, ma con
qualche miglioria da apportare in
mente, ci avviamo sulla strada del
ritorno. Non prima, però, che Alvaro
ci proponga una soluzione geniale per
trasportare più agevolmente lo strumento: lo zaino da cacciatore. Essendo
studiato per trasportare un animale
di media taglia, la parte centrale dello
zaino di Alvaro si può allargare notevolmente. Una volta fissata con le
apposite cinghie, la scomoda valigia
diventa veramente portatile. Adesso è
uno spettrometro da montagna!
l secondo giorno è dedicato ai
minerali pegmatitici, tra i più belli
e rappresentativi della Valchiavenna.
Alvaro, che conosce ogni sasso della
zona, ci conduce a un affioramento nei
monti circostanti Prata Camportaccio.
La passeggiata non è molto lunga,
ma in alcuni punti la vegetazione ci
costringe a usare il macete per farci
strada. Per fortuna lo zaino di Alvaro
ci permette di avere le mani libere.
Per noi è veramente un modo diverso
di fare ricerca! Arrivati sul posto, che
meraviglia: la bianchissima pegmatite, attraversata da grandi lamine di
mica, è piena di granati e tormaline.
Si notato ancora le tracce di berilli,
alcuni dei quali visti in precedenza in
tutto il loro splendore, nella collezione
di Alvaro.
Forti dell’esperienza di ieri, abbiamo
adottato una soluzione semplice ma
efficace per ripararci dalla luce solare.
A casa di Peter c’erano alcuni tubi in
L'
I
24
LE MONTAGNE DIVERTENTI la sola intelaiatura metallica a L, usati
per portare pacchi ingombranti, che
ci procuriamo da un commerciante
locale.
La giornata finisce piacevolmente
in un crotto, tra pizzoccheri, formaggi
e vini, con la mente rivolta al giorno
dopo, in cui metteremo alla prova lo
spettrometro portatile non più sui
minerali, ma sul dipinto murale della
chiesa di Pianazzola, in quanto uno
degli ambiti in cui la spettroscopia
Raman sta trovando grande utilizzo è
quello dei beni culturali, grazie alla sua
non-invasività.
indomani ci rechiamo nell’incantevole paesino di Pianazzola
per cercare di riconoscere i pigmenti
utilizzati per l’affresco raffigurante San
Cristoforo sulla parete esterna della
chiesa dedicata a San Bernardino da
Siena. L’opera è attribuita ad Andrea de
Passeris di Torno (Como), datata 1492
e restaurata nel 1892.
Per queste misure ci avvaliamo della
collaborazione della collega ed amica
Dr. Vinka Tanevska dell’Università
di Skopje (Macedonia). Nonostante
le precarissime condizioni di misura,
abbarbicati su una scaletta appoggiata al muro, identifichiamo parecchi
pigmenti tra cui blu oltremare, calcite,
goethite, ematite, oltre che ossalati
di calcio. Diversi abitanti del paese,
incuriositi dalla strana operazione,
vengono a investigare, convinti che si
tratti dell’inizio di qualche operazione
di restauro. Purtroppo dobbiamo
deluderli, confessando che tratta
solo di una campagna di misure. Ma
molti se ne vanno comunque con la
speranza che in qualche modo questo
sia il preludio a qualche lavoro più
importante.
Gli spettri raccolti in questa breve
ma piacevole spedizione alpina si sono
rivelati molto utili per la valutazione
di questa nuova generazione di spettrometri portatili. Tra un congresso
e l’altro, stanno già facendo il giro del
mondo e le foto della valle, dei suoi
monti e dei suoi fiumi, rendono molto
più gradevoli le presentazioni rispetto
a un più asettico snocciolamento di
puri dati scientifici.
Grazie Valchiavenna per la tua splendida accoglienza, per la tua natura, per
i tuoi paesi, per la tua cucina e, soprattutto, per i tuoi abitanti così ospitali.
Misurazioni sull'affresco di San Cristoforo a Pianazzola (19 ottobre 2012, foto Vandenabeele).
rame di piccolo diametro. Ne abbiamo
tagliato un paio di pezzetti lunghi
pochi centimetri da porre all’estremità
delle fibre ottiche: questi non solo riparano dal sole, ma consentono anche di
tenere le fibre alla giusta distanza dal
campione, senza doversi anchilosare
le mani nel tentativo di stare immobili. La qualità degli spettri Raman ne
risulta immediatamente migliorata.
Come spesso accade nei nostri laboratori, anche in questo caso strumenti
sofisticatissimi vengono messi in
condizione di operare al meglio grazie
a pezzi di scotch, palline di pongo o
cartoncini neri: l’arte di arrangiarsi
non tramonta mai.
In poco più di un’ora otteniamo,
con entrambi i laser, ottimi spettri
di quarzo, granato almandino, albite,
muscovite. Solo la tormalina nera
(schorlite) ci fa impazzire prima di
concederci un debole picco Raman.
Siamo pienamente soddisfatti. Non c’è
che dire, lo strumento fa il suo dovere.
Rientrati alla base, davanti a un
buon bicchierino di genepì fatto in
casa, ci rilassiamo facendo un po’ di
spettri degli splendidi campioni della
collezione Caligari (è bello quando
il lavoro e il divertimento coincidono). Poi studiamo una soluzione
per il trasporto dello strumento (non
possiamo rubare lo zaino di Alvaro).
Alla fine la scelta cade su un bastino,
uno di quegli zaini senza sacco, con
Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI La geologia della Valchiavenna
La geologia della Valchiavenna è molto
ricca, comprendendo una grande varietà di
rocce magmatiche sia intrusive che effusive,
rocce metamorfiche e coperture sedimentarie. In particolare sono presenti estesi
affioramenti di falde pennidiche (valle
della Mera, val San Giacomo) costituiti
da paragneiss e da micascisti, contenenti
granato, staurolite e cianite, intercalati da
anfiboliti e ortogneiss, vulcaniti acide di
età permiana (tra cui le cosiddette "quarziti dello Spluga") e, nella zona del bacino
del Truzzo, un plutone granitico varisico Chiavennite (foto Alvaro Caligari).
(metagranito del Truzzo). Attorno al passo
dello Spluga e in val San Giacomo si trova una fascia di rocce quarzitiche e carbonatiche, originatesi da sedimenti risalenti a 270-180 milioni di anni fa. Nei pressi di Chiavenna affiorano rocce basiche ed ultrabasiche (complesso ofiolitico di Chiavenna) che
rappresentano un lembo di rocce di mantello terrestre.
Particolarmente interessante è il complesso del monte Gruf, composto in gran parte
di gneiss magmatici, il quale si trovano filoni di pegmatiti, datate a 25-30 milioni di
anni fa tramite tecniche radiometriche. Esse presentano un nucleo a grana grossolana,
costituito da quarzo e feldspato, terminando in una coda con cavità generate successivamente da circolazione di fluidi idrotermali che, dissolvendo i minerali primari,
originano nuovi minerali di più basse temperature quali zeoliti e minerali derivati
dall’alterazione del berillio, come bavenite e chiavennite. Quest’ultima, un rarissimo
silicato di berillio, calcio e manganese, è una nuova specie mineralogica rinvenuta in
una di queste pegmatiti dello spessore di 40-120 cm e qualche metro di lunghezza.
Tutta la Valchiavenna è ricca di minerali, non solo nelle pegmatiti, ma anche nelle
fessure alpine degli gneiss e nelle litoclasi delle anfiboliti. Le specie rinvenute superano il
centinaio. Belle titaniti si trovano in numerose località della valle, famosi sono i lucenti
anatasi dell’alta valle di San Giacomo. L'alpe Groppera, sopra Madesimo, è ricca di rari
fosfati , quali la lazulite dall' intenso colore blu e la arrojadite.
La geologia si lega anche all’archeologia nella zona di Piuro, in cui tutt’ora si hanno
importanti cave di un particolare talcoscisto noto come pietra ollare, usato fin dall’antichità per la realizzazione di manufatti di uso quotidiano (come stoviglie) o di rilevanza
artistica, grazie alla sua lavorabilità e resistenza termica e meccanica. Queste rocce sono
state studiate con lo spettrometro Raman, confrontando i risultati ottenuti sulle rocce
locali con quelli ottenuti su manufatti provenienti da un sito archeologico bolognese e
confermandone la provenienza valchiavennasca.
Titanite in val Schiesone (17 ottobre 2012, foto Danilo Bersani).
Raman in Valchiavenna
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Racconti inediti
di Antonio Boscacci
Racconti
Speciali
26
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
La Topa della Bea
Testi Antonio Boscacci, disegni Luisa Angelici
E
ra da tanto tempo che avevo
pensato di andare a vedere
la Topa della Bea, ma non ero mai
riuscito a trovare il momento adatto.
Di certo perché ero pigro e rimandavo
sempre con la scusa che avevo altro
da fare di più interessante e di più
urgente. Ma anche perché, onestamente, era un po’ fuori dal solito giro
e per arrivarci occorreva camminare
almeno 1 ora e 35 minuti. Buoni.
Poi finalmente, una domenica di
fine luglio, una domenica che non ero
riuscito a trovare neppure la briciola
di una scusa per non andarci, decisi
che quella era l’occasione adatta.
Presi uno zainetto e ci infilai un
paio di pedule d’arrampicata, una
salciccia, un panino secco, il sacchetto
della magnesite e due fettucce. Perché
presi anche due fettucce non lo so.
Mentre stavo chiudendo la porta della
baita, l’occhio mi cadde su una mela
che se ne stava sull’angolo della cassapanca e così misi anche quella nello
zaino.
Allora abitavo ancora a Ca di
Carna, nella terza baita dopo il ponte.
La baita era un po’ ventilata, mi
aveva detto il Gilio Scamoni che me
l’aveva affittata, intendendo dire che
passava un po’ di acqua dal tetto e
qualche spiffero dai muri a secco. In
compenso però, la spesa era minima e
io mi accontentavo.
Il primo temporale che aveva investito la baita di notte era stata una
bella esperienza. Avevo passato tutta
la notte, rannicchiato sotto un grosso
ombrello.
Per risolvere il problema dell’acqua
avevo dovuto mettere un pezzo di
cellophane sul tetto. Adesso non
pioveva più dentro la baita e soprattutto non pioveva nell’angolo dove
c’era il letto.
Quella domenica di fine luglio,
lasciai Ca di Carna sul presto, non
erano ancora le dieci, e mi incamminai verso la Piana. Feci un pezzo di
strada con l’Alcide Tarca, che era stato
a messa giù a San Martino. L’Alcide
era uno che se ne fregava dei preti e
LE MONTAGNE DIVERTENTI delle
suore.
Gli stavano
sui coglioni.
Punto e basta.
Però la messa
della domenica
non la perdeva mai.
- È un’abitudine
che ho fin da quando
ero bambino ed è più
forte di me - diceva,
aggiungendo poi che
male non gli aveva mai
fatto.
Discutemmo del tempo e del più e
del meno. Lui aveva un paio di agnelli
da vendere e mi chiese se conoscevo qualcuno al quale potevano
interessare.
- Uno potrei prenderlo io, risposi,
però dovresti darmelo già pulito.
- Non c’è problema, disse, per
quando lo vuoi? Domani sera va
bene?
- Sì.
Restammo d’accordo che il giorno
dopo, prima di cena, mi avrebbe
portato l’agnello.
- Vuoi anche la frittura?
- Ma sì, la faccio arrostire.
- Ti devo tenere anche il sangue?
- No, no, quello mi fa un po’ senso.
- Sei un cretino, mi rispose l’Alcide
Tarca. Quella è la parte più buona,
ancora meglio dei fegatini, del cuore e
dei rognoni.
Sarà, però non mi ci sono mai
abituato. Forse per come avevo visto
uccidere da piccolo le galline.
Mio zio Luciano aveva un suo
metodo
molto
spiccio. Metteva la
testa della gallina su un ceppo
di legno e con un colpo di scure gli
staccava la testa.
Invece mia nonna prendeva la
gallina tra le mani e, tenendola
stretta, gli conficcava le forbici in un
occhio.
È il modo migliore per raccoglier
il sangue, esclamò l’Alcide Tarca,
anch’io faccio così con le galline.
Ci salutammo davanti alla sua
baita alla Piana e io proseguii lungo
il sentiero che costeggiava il torrente.
Dopo aver superato le acque della
valle Zocca e le baite della Rasica,
presi a sinistra una flebile traccia di
sentiero.
Era così insignificante che, fatti
50 metri, sparì. Risalii un prato e un
pezzo di pascolo, poi entrai tra i pochi
alberi di un bosco rado e, seguendo in
qualche modo il ruggito che si attenuava della cascata di Zocca, cominciai a traversare verso destra con una
lunga diagonale.
Quando giudicai di non essere
troppo lontano dalla mia meta, misi
fuori la testa dagli alberi e mi trovai
in un ampio prato-pascolo con tanti
ciuffi di arbusti.
Davanti a me c’era la Topa della
Bea.
Senza ombra di dubbio.
Al centro di una vasta placca levigata si trovava una gigantesca topa di
granito i cui peli non erano che degli
arbusti di rosa canina.
La Topa della Bea
27
Racconti
Speciali
Non avevo mai avuto occasione,
fino a quel momento, di ammirarla da
così vicino.
Mi sedetti sul prato appoggiando la
schiena alla placca e, mentre guardavo
la valle, mi misi a ridere.
Restai a sonnecchiare, con la faccia
rivolta al sole, per almeno mezz’ora e
poi mi allacciai le scarpette.
Iniziai a salire sulla sinistra della
placca seguendo facili onde solcate da
lunghe striature grigie leggermente
in rilievo. Poi presi una di queste
strisce, più pronunciata delle altre e
mi spostai verso il centro della placca,
proprio là dove si trovava la topa di
granito che aveva suggerito il nome di
questa struttura rocciosa.
Gli arbusti di rosa canina, che,
come dritti e pronunciati peli, circondavano la topa, erano tutti fioriti. Le
piccole rose dai cinque petali delicati
ondeggiavano, seguendo lo spirare di
un venticello leggero che proveniva
dall’alto.
A parte il lontano rimbombo
della cascata di Zocca, che riempiva
il paesaggio come un sottofondo
leggero, l’unico altro rumore era
quello del mio respiro. Ero salito un
po’ troppo in fretta e mi fermai su un
piccolo gradino di fianco alla Topa a
riprendere fiato. Mi sedetti sulla roccia
rivolgendo la faccia al fondovalle.
Il sole di quel luglio caldo aveva già
da tempo dissolto le poche, minute
nebbie che serpeggiavano insieme al
torrente. La piccola brezza che mi
colpiva alle spalle mitigava un po’ il
caldo.
La roccia iniziava a restituire lenta-
28
LE MONTAGNE DIVERTENTI mente il calore che aveva immagazzinato ormai da qualche ora, però non
era ancora caldo e lì, seduto dov’ero, si
stava bene. Forse tra due o tre ore non
sarebbe stato più così. Ma per adesso
la situazione era perfetta.
Mi trovavo immerso da qualche
minuto in questa piacevole armonia,
quando sentii una specie di squittio.
Girai la testa e vidi un ghiro che mi
osservava.
Non era particolarmente spaventato dalla mia presenza e mi guardava
incuriosito.
Si trovava sul bordo della Topa,
accanto a un ciuffo d’erba, sotto una
robusta pianta di rosa canina.
Anch’io lo guardai incuriosito e lui
se ne accorse.
Rimasi a osservarlo per alcuni
minuti e lui fece la stessa cosa.
Visto che la situazione non si
sbloccava, decisi di riprendere ad
arrampicare.
Lui controllò per un certo tempo
i miei movimenti e poi se ne andò,
infilandosi nella topa dalla quale era
venuto.
Salii diritto ancora per qualche
metro poi, visto che le cose cominciavano a diventare troppo complicate
per i miei mezzi, mi spostai a destra
verso una lunga venatura bianca.
Seguendo quella, con le mani prima
e poi con i piedi, raggiunsi il bordo
della placca.
Stavo per iniziare la discesa, quando
sentii dei colpi provenire dal prato ai
piedi della placca.
C’era un tipo che zappava.
Solo allora mi resi conto delle
piante.
Ce n’erano ovunque.
Lui stava rincalzando la terra
attorno a ciascuna pianta e probabilmente non si era accorto di me. Così
credevo.
Invece un suo gesto di saluto mi
fece ricredere.
Mi aveva visto eccome.
Qualche minuto dopo lo raggiunsi.
- Ti piace il mio giardino?
Fu la sua prima frase.
- Bello.
- Si, questo è un luogo magico. Le
piante crescono a meraviglia, perché
c’è un giusto combinato di calore
e umidità. Prima di arrivare qui,
ho provato in altri posti. Non c’è
paragone.
E mentre parlava, piegò verso di me
una pianta alta almeno due metri.
- Vedi, mi disse lisciando una foglia,
vedi come si è sviluppata. Vuol dire
che questo è il luogo giusto.
Non era la prima volta che vedevo
delle piante di cannabis, ma quelle
erano davvero straordinarie.
Siddharta, questo era il suo nome,
mi disse che se volevo, mi avrebbe
fatto conoscere alcune delle vie che
aveva aperto sulla Topa della Bea.
Avrei dovuto solo aspettare che
finisse di sistemare le ultime due
piante.
Era un arrampicatore sopraffino e lo
capii fin dai suoi primi movimenti.
Saliva con le mai allargate e le
gambe sempre leggermente piegate.
Gli dissi tutta la mia meraviglia per
quel suo modo di arrampicare.
Appoggia, guarda, appoggia. Non
Estate 2015
fermarti a cercare i cristalli. E soprattutto non considerare solo il movimento che ti sta davanti. Precedi con
la mente i movimenti successivi e
soprattutto liberati dalla rigidità della
paura.
Aveva ragione.
Era la paralisi della paura, una
paralisi inconscia, e per questo più
pericolosa, quella che di tanto in tanto
mi colpiva. Allora entravo in una
specie di cortocircuito e tutto diventava più difficile e disperatamente più
complesso.
Lui no, lui saliva leggero come
se stesse meditando e, nello stesso
tempo, come se avesse sciolto ogni
vincolo con la roccia.
Sì, quello che mi colpì subito, fu la
sua leggerezza.
I suoi piedi e le sue mani non spingevano sulla roccia. Lui la sfiorava.
Arrampicava con la mente.
Quando ritornammo al prato e ci
sedemmo, gli dissi questa cosa della
mente e lui mi rispose.
- Fai come i pipistrelli appesi alla
volta della grotta.
Immaginati di guardare a testa in
giù tutto quello che hai fatto fino a
quel momento. Come pensi che lo
vedresti?
Ecco, qualcosa di simile dovresti
fare con l’arrampicata. Girati a testa
in giù e guarda la roccia. Tu non stai
facendo una guerra. Tu non devi
prendere possesso. Devi accarezzare
e passare. Passare e accarezzare. Fai
come la lucertola. Lei passa e nessuno
si accorge del suo passaggio. Però
anche lei lascia dei segni. Cercali.
Ma non con gli occhi.
Poi aggiunse una frase strana.
- Quello che dovevo fare, l’ho fatto.
Adesso tocca a te. È da tanto che ti
aspetto, ma finalmente sei arrivato.
Non lasciarti spaventare.
Si allontanò di qualche metro,
appoggiò per terra la testa e si mise
sulla verticale. Restò appoggiato sulla
testa, diritto senza usare né braccia, né
gambe.
E non disse più nulla.
Siddharta se ne andò così, e io presi
il suo posto.
Ormai passavo lì quasi tutti i miei
giorni. Avevo imparato a fare come
il pipistrello e arrampicavo molto
meglio di prima. Lasciata la paura,
LE MONTAGNE DIVERTENTI la rigidità e la pesantezza, stavo
diventando sempre più
leggero. Me ne accorgevo
ogni volta che ripetevo un passaggio
o una via intera.
Non arrivavo
più in cima con
l’adrenalina alle
stelle.
Stavo cominciando a leggere la
roccia.
Ogni tanto,
quando sentivo
che qualcosa non
andava, che la difficoltà era alta oppure
che la paura stava per
prendere il sopravvento,
mi fermavo e mi dicevo:
- ma lui, Siddharta, qui,
che cosa avrebbe fatto?
Bastava questo pensiero
per farmi distendere i
muscoli della faccia e tutto
diventava più facile.
Le piante di cannabis
crescevano bellissime.
Mescolate alle macchie
della rosa canina rendevano
quel luogo un giardino
incantato.
Di solito, appena arrivato,
prendevo la zappa e mi mettevo a
zappare il terreno intorno alle piante,
togliendo le erbacce. Era un lavoro
monotono ma mi piaceva. Non lavoravo molto. Sistemavo qualche pianta
poi infilavo le scarpette e arrampicavo.
Come una lucertola assorbivo il
calore che proveniva dalla roccia.
Ero diventato molto più cosciente di
quello che stavo facendo.
Ma ciò che mi rendeva più felice era
l’armonia che avevo trovato su quel
balcone solitario e fuori mano. Anche
i cercatori di funghi, che pure abbondavano nella valle, non erano mai
saliti, perché non c’erano alberi, né
abeti, né faggi e gli unici arbusti che
contendevano lo spazio ai cespugli di
rosa canina, erano alcuni maggiociondoli e dei piccoli pioppi tremuli.
La mia giornata terminava quando
il sole se ne andava dal fondovalle e
spariva a ovest dietro le montagne.
Lasciavo che le ombre salissero fino
alla cascata di Zocca e si unissero alle
altre
che scendevano veloci dalle
bastionate dell’Averta. Il luogo nel
quale mi trovavo era uno degli ultimi
a essere abbandonato dal sole.
Allora prendevo il mio zaino e mi
incamminavo verso valle. Cercavo di
non fare mai la stessa strada.
Una sera, mentre stavo attraversando le case della Rasica, incontrai
due guardie forestali.
Strano, era la prima volta che mi
capitava di incontrarle a quell’ora.
Per di più in cammino verso la testata
della valle.
Ci salutammo con un cordiale
arrivederci e null’altro. Però, camminando, scoprii di essere diventato
leggermente inquieto.
Ma già prima di svoltare sul ponte
di Ca di Carna, avevo dimenticato le
guardie forestali e l’inquietudine.
Per due giorni non potei salire alla
Topa della Bea a causa di un lavoro
che dovevo fare a Morbegno. La
La Topa della Bea
29
Racconti
Speciali
mattina del terzo giorno, che era
mercoledì, pioveva talmente forte
che non misi nemmeno la testa fuori
dalla baita e me ne stetti rintanato
nel letto con la Jenny Rapella, che
ogni tanto veniva a consolarmi e che
aveva due piccole tette sode che mi
facevano morire al solo pensiero che
esistessero.
Era da un po’ che amoreggiavamo. Dalla fine di agosto
dell’anno prima, quando l’avevo
incontrata per caso dal Ciccio
Fiorelli, mentre comprava due
panini con la mortadella.
- Anche a te piace la mortadella … non c’è niente di meglio
quando hai fame …
Insomma l’avevo intorcigliata
con uno di quei discorsi per i quali
avevo una certa maestria e già quella
sera a Ca di Carna, mi sollazzavo con
lei.
All’inizio non è che mi intrigasse
tanto, a parte le tette per le quali
avevo una specialissima adorazione.
Poi però, con il passare dei mesi,
aveva cominciato a piacermi e
quando stavo troppo tempo senza
vederla, ne sentivo la mancanza.
Non che l’amassi alla follia, però
non era nemmeno acqua fresca.
Dopo aver gioppinato per
tutta la mattina nel vecchio e
grande letto che occupava quasi
metà della mia dimora, uscii per
andare a pisciare dietro la casa e vidi il
sole che, in splendida forma, scendeva
lungo il Precipizio degli Asteroidi.
Presto sarebbe arrivato anche a Ca di
Carna.
- Ullallalla, urlai, entrando in casa.
Arriva il sole. All’una sarà qui, forse
anche qualche minuto prima.
Allora devo andare, disse Jenny
alzandosi a sedere sul bordo del letto
e stiracchiandosi. Devo andare fino a
Morbegno a prendere due polli e un
coniglio per mia nonna.
Ci salutammo sulla porta della baita
e, seduto su un sasso, mi fermai a
osservarla mentre attraversava il ponte
e prendeva la strada per il Gatto
Rosso. Per la prima volta da quando
stavamo insieme, mi venne la tentazione di fermarla e di farla tornare
indietro.
Però non lo feci e mi limitai a
osservarla mentre scompariva dietro
30
LE MONTAGNE DIVERTENTI una curva della
strada.
- Stupido, mi dissi, sei
uno stupido.
Quel pomeriggio lo passai dandomi
dello stupido e facendo un po’ di
mestieri arretrati. Preso dalla smania
del fare, pensai perfino di lavare le
lenzuola. Ma mi trattenni da tanto
ardimento e mi limitai a lavare una
camicia quadrettata, tre fazzoletti
e i calzoni arancioni che usavo per
arrampicare,.
Ripresi a salire alla Topa della Bea.
Era iniziato il mese di settembre e
le piante di cannabis erano piene di
semi. I primi, i più precoci, cominciavano già a cadere. Presto li avrei
raccolti.
Siccome non avevo altro da fare,
passavo il mio tempo arrampicando o leggendo. Avevo appena
Estate 2015
letto un libriccino sul comportamento sessuale del bovini e stavo
finendone un altro sull’allevamento
delle rane. Avevo scoperto che la
carne delle rane contiene più fosforo
di quelle degli animali che consumiamo abitualmente, anche più del
tacchino. Trascinato dall’entusiasmo
per le rane, avevo perfino trascritto la
ricetta del risotto alle rane. Servivano
700 grammi di rane, che per ora non
avevo, ma che mi ripromettevo di
trovare nelle piccole pozze del Palü,
sotto la piodessa della Romilla.
Il 12 o il 13 di settembre, era un
lunedì, perché il giorno prima avevo
incontrato l’Alcide Tarca che tornava
dalla messa, stavo attraversando
le baite della Piana e camminavo
seguendo con lo sguardo un filo di
sole che macchiava il sentiero.
D’un tratto sentii il rumore di un
elicottero. Non era il solito piccolo
Lama. Quello aveva un ronzio caratteristico che non poteva essere confuso
con nessun altro rumore. Il Lama
lo conoscevo bene, perché era usato
spesso in val di Mello per l’approvvigionamento dei rifugi, per il carico
e lo scarico degli alpeggi e per mille
altre operazioni.
Quando avevano deciso di sistemare
le baite basse del Cameraccio, avevano
usato un Lama per il trasporto dei
materiali. Comprese le lamiere del
tetto che erano lunghe sei metri. Il
Lama era stato utilizzato anche per
portare a valle la Palma, una mucca
dell’Olindo Bianchini, che si era rotta
un piede sui pascoli della Zocca, sotto
la ganda del Ferro. L’avevano legata
come un salame e attaccata al gancio
baricentrico dell’elicottero. Era stato
uno spettacolo, perché la povera
Palma aveva fatto versi per tutto il
viaggio e i suoi muggiti si erano sentiti
fino a San Martino.
Mentre cercavo di capire da dove
venisse quel rumore cupo e forte, una
specie di rattaptoptataptop, fui sorpassato da un’ombra nera.
Era, inconfondibilmente, un grande
elicottero militare.
Prese terra poco dopo le baite della
Piana e scesero quattro finanzieri, due
forestali e quattro carabinieri. I finanzieri e i forestali avevano gli scarponi,
ma gli altri le scarpe basse e lucide.
Non si erano mai visti tanti militari
LE MONTAGNE DIVERTENTI in val di Mello.
In tutti quegli anni che ero stato
lì, di carabinieri non ne avevo visto
nemmeno uno e i finanzieri li avevo
incontrati una sola volta al Gatto
Rosso. Però non erano andati oltre il
parcheggio.
Più assidui erano i forestali che
comparivano in valle, sempre in
coppia, almeno una volta al mese e, in
luglio e agosto, anche due.
Seguendo un giovane maresciallo
dei carabinieri, i militari si diressero
verso il bar dei Fiorelli. Fu proprio
in quel momento che li incrociai e
riconobbi uno dei due forestali. Era
l’Enrico Canu e ci si incontrava spesso
al bar della Monica a San Martino.
Non me lo sarei mai potuto dimenticare, perché ero stato lui che mi aveva
fatto conoscere il Cannonau.
- Tu non puoi capire la Sardegna,
mi aveva detto, se non mangi il
Carasau, il pecorino stagionato e,
soprattutto, se non bevi il Cannonau.
- È il vino più antico di tutto il
bacino del Mediterraneo, aveva esclamato in quell’occasione.
Pensavo fosse un’esagerazione
dovuta al momento, invece era vero.
Me lo aveva confermato anche lo
Jacopo Merizzi, con il quale avevo
arrampicato qualche giorno dopo
sull’Albero delle Pere. Lui era un
profondo estimatore della Sardegna,
del Cannonau, del pecorino e in
particolare … delle ragazze sarde.
Mi ero fermato a chiacchierare
con due ragazzi che volevano sapere
del sentiero della val Torrone e mi
avevano chiesto informazioni sulla
Nusdeo-Taldo al picco Luigi Amedeo.
Erano un po’ preoccupati, perché non
avevano capito dove fosse l’attacco
della via e soprattutto pensavano di
non avere materiale a sufficienza.
Spiegai quali erano secondo me i tiri
più duri e mi soffermai soprattutto
sulla fessura del tetto. Quando se ne
andarono, mi sembrarono un po’
meno depressi.
L’elicottero mi sorpassò di nuovo
prima che giungessi alla Rasica.
Mi fermai a osservarlo. Ero curioso
di capire quale tipo di guerra avessero
intenzione di combattere tutti quei
militari.
L’elicottero fece due grandi giri al
centro della valle, quasi cercasse di
capire che cosa fare, poi puntò decisamente verso la Topa della Bea e atterrò
nel piano alla base delle placche.
Solo in quel momento mi resi conto
di quello che stava avvenendo.
Era stata dichiarata la guerra alle
mie piante di cannabis.
Dichiarazione unilaterale di belligeranza, perché io non avevo dichiarato
guerra a nessuno.
Sta di fatto che l’esercito era lì,
schierato in forze nel mio giardino ai
piedi della Topa della Bea.
Pensai che non fosse il caso di farmi
vedere da quelle parti, quindi mi
fermai alla Rasica. Mi sedetti su una
panca di sasso appoggiata al muro di
una baita e assistetti agli avvenimenti.
Dopo un conciliabolo iniziale, i
militari si distribuirono per tutto il
piano e cominciarono a estirpare le
mie beneamate piante. Forse non
dovrei dire mie, perché in realtà le
aveva piantate Siddharta, però erano
tanti mesi che le curavo e ormai
nutrivo per loro un grande affetto.
In tutti quei mesi non mi ero mai
preoccupato di contarle, ma dovevano
essere almeno trecento.
Il lavoro di sradicamento andò
avanti per quasi un’ora.
Adesso le stavano ammucchiando
per farne dei fasci.
Non è che vedessi bene tutte le
operazioni però, quello che non
vedevo, cercavo di intuirlo.
Mancavano venti minuti a mezzogiorno quando sentii che stavano per
ripartire e vidi i militari salire a bordo.
L’elicottero si alzò.
Legati ai due pattini aveva due
enormi fasci di piante di cannabis.
Fece un mezzo giro portandosi
verso il centro della valle e prese la
direzione di San Martino.
Quando passò sopra le baite della
Rasica, sentii un acuto ticchettio
e vidi rimbalzare sui tetti decine e
decine di semi di cannabis che le
piante, ormai mature, avevano lasciato
cadere.
Sorrisi e mi grattai la testa come
faccio di solito quando ero contento.
L’elicottero era diventato un’arma di
dispersione di massa.
Pensai a come sarebbe stata lussureggiante l’anno dopo la val di Mello.
Anche Siddharta ne sarebbe stato
contento.
La Topa della Bea
31
Speciali
vieni
a scoprire
la montagna
da dentro
Lanzada
appuntamenti con la tradizione
Valentina Messa
Miniera della Bagnada
Museo Minerario e Mineralogico
11 € 8
RIDOTTO € 8 € 6
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VALMALENCO
Lanzada (So)
Strada per Franscia
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32
LE MONTAGNE DIVERTENTI Ufficio Turistico Sondrio e Valmalenco
Tel. +39 0342 451150
Comune
di Lanzada
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Estate 2015
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Porta con te
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LE MONTAGNE DIVERTENTI
e avrai lo sconto
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LE MONTAGNE DIVERTENTI “Lanzada di sera”, mercatini di
prodotti locali (agosto 2014, foto
Lanzada - appuntamenti
con la tradizione
33
Rino Masa)
Valmalenco
Speciali
Alpe Campagneda, mucche al pascolo dell’Azienda Agricola Pizzo
Scalino (agosto 2014, foto az. Pizzo Scalino)
I
l territorio alpino, negli ultimi
60 anni, ha subito profondi
cambiamenti dovuti al processo di
industrializzazione e al turismo di
massa. Se da un lato questi fenomeni
hanno permesso di raggiungere rapidamente un certo benessere economico, dall’altro hanno causato una
progressiva perdita di identità. Le
generazioni passate, in particolare,
nel giro di pochi decenni hanno visto
tradizioni secolari capitolare incondizionatamente dinnanzi a una cieca
corsa alla modernità.
La Valmalenco, naturalmente,
non è stata estranea a queste dinamiche che portano a contrapporsi gli
animi più rivoluzionari e proiettati
al consumismo più sfrenato a quelli
che, invece, sono più legati a un viver
lento e alle tradizioni di un passato
che, comunque, non può e non deve
essere dimenticato.
In Valmalenco sono pertanto nate
numerose realtà che si adoperano,
in forma di volontariato, per recu-
perare tutte quelle tradizioni che
stanno pian piano scomparendo e,
allo stesso tempo, per valorizzare
l’identità storica e alpina della valle.
Associazioni, comitati, pro-loco,
commercianti si alternano in un can
can di eventi e manifestazioni lungo
tutto l’anno, con un duplice obiettivo:
da un lato riportare alla memoria delle
comunità locali una realtà passata che
ha definito l’identità della Valmalenco
e della sua gente, rafforzando il senso
di appartenenza al territorio e contrastando il processo di globalizzazione
in atto oggi; dall’altro, far conoscere
ai turisti le peculiarità di una memoria
storica che ritroviamo ancora oggi in
molti aspetti della vita economica e
sociale della valle.
IL FUTURO PUÒ NASCERE ANCHE
DALLA VETRINA DI UN PICCOLO
NEGOZIO DI MONTAGNA
Tutti i venerdì del mese di luglio e
i mercoledì del mese di agosto 2015,
Sagra di Vetto, dimostrazione degli antichi mestieri: filatura della lana (3
agosto 2013, foto Rino Masa).
34
LE MONTAGNE DIVERTENTI Dimostrazione di antichi mestieri: cerchiatura dei lavec' (31 luglio 2014,
foto Rino Masa)
ore 19 - Alimentari Masa, Vetto
(fraz. Lanzada - info: 0342 453389 /
348.5637642, www.alimasa.it)
Dopo il successo dei laboratori
organizzati nelle ultime estati, l’Alimentari Masa di Vetto propone
anche quest’anno alcuni appuntamenti con l’arte gastronomica del
territorio. Primo fra tutti l’incontro
dedicato alla bresaola, tra i simboli
della tavola valtellinese. “I partecipanti potranno assistere alla preparazione della bresaola e scoprire le
antiche tecniche che ancora oggi
rendono unico questo prodotto: l’uso
del sale per insaporire, ma anche
per conservare, l’asciugatura al sole,
la stagionatura in cantina. Rispettare i tempi naturali è garanzia della
qualità di un prodotto genuino e dal
sapore unico”, ci spiegano Francesco
e Mario Masa. Non solo, ai laboratori
vengono affiancate serate di cultura
generale legata al territorio: storia
della cucina di montagna, turismo
alternativo in Valmalenco, la tradi-
Concerto nella miniera della Bagnada (28 settembre 2013, archivio
fotografico Comune di Lanzada).
Estate 2015
Lavec' di varie forme e misure esposti a “Lanzada di sera” (25 luglio
2012, foto Rino Masa).
zione del vino in Valtellina, sono solo
alcuni degli appuntamenti che coloreranno le serate estive di Vetto. Non
si tratta di una rievocazione nostalgica
di tempi passati, ma della valorizzazione di un patrimonio culturale senza
eguali, che deve essere tramandato e
comunicato. E per far questo, la famiglia Masa si avvale di un salotto d’eccezione: l’antico negozio del nonno,
con attrezzature e scaffali originali del
primo dopo guerra (anni ’20) che,
dopo un restauro conservativo, farà
bella mostra di sé durante le degustazioni e sarà vetrina della tradizione
alpina.
CONCERTO IN MINIERA
18 luglio 2015, miniera della
Bagnada (Lanzada), ore 15 (prenotazione
obbligatoria
presso
il Comune di Lanzada, tel.
0342.453243 o il Consorzio Turistico, tel. 0342.451150)
La Bagnada è la prima miniera
aperta alle visite in sotterraneo della
provincia di Sondrio. Il recupero e la
valorizzazione della miniera di talco si
è concluso alcuni anni fa e, da allora,
sono già stati registrati migliaia di
ingressi. La visita al museo, possibile con prenotazione obbligatoria
(info: www.minieradellabagnada.it),
si articola in tre diversi momenti:
percorso con guida nelle gallerie della
miniera, museo minerario dove sono
esposti gli oggetti del lavoro quotidiano, e museo mineralogico, dove
sono esposte alcune collezioni dei
principali minerali della Valmalenco.
La visita guidata in galleria è sicuramente la parte più affascinante: le
storie e gli aneddoti raccontati dalla
guida disegnano nel dettaglio una
squadra di minatori, impegnati nelle
fatiche di ogni giorno, di cui, man
mano che si procede all’interno della
galleria, passo dopo passo, sembra di
condividere la fatica, le soddisfazioni
e la memoria.
Da alcuni anni, il Comune di
Vetto - AliMasa, laboratorio dedicato alla bresaola (8 agosto 2012, foto
Rino Masa).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Dimostrazione di antichi mestieri alla sagra di Vetto: pittura su sasso e
legno (3 agosto 2013, foto Rino Masa).
Lanzada, in collaborazione con
Ambria Jazz, organizza un appuntamento musicale nel camerone
della miniera della Bagnada. Il
concerto, che in questa edizione
vedrà esibirsi Willian Lenian (USA)
al basso acustico e Nicole Johanntgen
(Germania) al sax, registra ogni anno
il tutto esaurito. I posti disponibili
sono 120.
PICCOLE MANI IN PASTA
23 luglio, 6 e 20 agosto 2015,
premiata pasticceria Gianoli Lanzada, ore 16.30 (prenotazione
obbligatoria, info: 0342.453184)
Punto di riferimento in tutta la
Valmalenco, la Premiata Pasticceria
Gianoli di Lanzada testimonia una
tradizione legata all’arte dolciaria da
diverse generazioni. Gli strumenti di
lavoro si sono modernizzati, ma le
tecniche di lavorazione ripercorrono
gli stessi insegnamenti di chi per primo
realizzò le ricette, poi tramandate
Vetto – stagionatura di salumi e formaggi secondo tradizione nella
cantina di AliMasa (8 agosto 2012, foto Rino Masa)
Lanzada - appuntamenti con la tradizione
35
Valmalenco
Speciali
Il poliedrico giocoliere ed equilibrista Marco Neri si esibira’ a Lanzada il
13 agosto (estate 2014, foto archivio Melarido).
Manifestazione “Lanzada di sera”, mercatini di prodotti locali (25 luglio
2012, foto Rino Masa).
oralmente da padre in figlio. "Piccole
mani in pasta" sono 3 appuntamenti
dedicati ai bambini perchè imparino
a realizzare i dolci della tradizione
malenca e portino avanti il patrimonio
e le memorie dei loro nonni.
la dimostrazione delle tradizionali
fasi di lavorazione del latte (dall'accudire la mandria di mucche e vitelli,
alla mungitura, per poi passare alla
trasformazione del latte in prodotti
caseari).
le danze, mentre poliedrici artisti
di strada sapranno entusiasmare gli
animi di grandi e piccini con spettacoli di fuoco, strabilianti numeri acrobatici e prove di giocoleria su trampoli
e attrezzi particolarmente originali.
L’ARTE DELLA CUCINA
VALTELLINESE
LANZADA DI SERA...ASPETTANDO
LA MEZZANOTTE!
4 e 12 agosto 2015, ore 17 - piazzale Minimarket Nani, Lanzada
(info: 0342.453270)
Sciàt, pizzoccheri e taròz. Simboli
della cucina valtellinese, rappresentano tutta la genuinità del territorio
attraverso i loro primari ingredienti: il
formaggio e il burro d’alpe, le patate,
il grano saraceno. Il minimarket Nani
di Lanzada propone due incontri: il
primo dedicato alla preparazione di
sciat e pizzocheri, il secondo a quella
dei taroz: un vero e proprio laboratorio dove i più curiosi potranno
combinare teoria e pratica e imparare
l’arte del mestiere.
9 agosto 2015, Lanzada centro,
dalle ore 18.30 (info: 342.9534945)
Terza edizione di un appuntamento
eno-gastronomico, una vera e propria
cena itinerante a km 0 promossa
dall’associazione E20 Lanzada in
collaborazione con i commercianti
del comune di Lanzada. «L’idea spiega Luciano Gaggi, presidente
dell’associazione - è quella di far
conoscere ai nostri turisti le bontà
culinarie di questa valle. La maggior
parte dei nostri commercianti sono
anche produttori dei prodotti che
vendono: dalle carni di allevamenti
locali, ai formaggi vaccini e di capra,
ai salumi di selvaggina. Chi prenderà parte all’evento, avrà la possibilità di assaggiare alcuni tra i prodotti
più genuini e tipici del nostro territorio, scegliendo tra un’ampia offerta,
e acquistare in loco le prelibatezze
preferite per portare a casa un po’ di
tradizione alpina”.
Nel corso della serata sarà inoltre
possibile assistere alla lavorazione del
latte, alla preparazione dei salumi o
alla realizzazione di prodotti di artigianato locale quali i pedü, tradizionali calzature malenche fatte di pezza,
e i lavec'. Ad animare la serata, infine,
le note di una fisarmonica apriranno
COSÌ FACEVANO I MAGNÀN
13 agosto 2015, piazza del
Magnan - Lanzada, dalle ore 19
(info: 342.9534945)
Per antonomasia si indicano gli
abitanti di Lanzada con l'epiteto
magnàn (stagnino o calderaio), in
quanto era la professione caratteristica
degli uomini di questa comunità. Il
magnàn era l’artigiano ambulante che
aggiustava pentole, paioli, utensili di
rame e altri attrezzi da cucina, tra cui
i lavéc', contenitore in pietra ollare che
i magnàn acquistavano direttamente
dai tornitori, munivano di cerchiatura
e vendevano agli utilizzatori finali. La
vita del magnàn, ritmata dal suo peregrinare di paese in paese, rappresentava era assai singolare, con un proprio
codice d’onore e un senso di spiccata
solidarietà verso il gruppo di appartenenza e il territorio. Il calmùn, il gergo
che permetteva ai magnàn di comunicare tra loro senza farsi comprendere
dagli estranei, ne fu un chiaro esempio.
Oggi questo mestiere resta solo nei
racconti degli anziani, ma ha lasciato
traccia indelebile nella cultura di un
paese e nel legame tra i suoi abitanti.
La manifestazione "Così facevano
i magnàn...", organizzata dall’associazione E20 Lanzada, vuole quindi
essere un pretesto per rivivere il passato
e festeggiare la comunità dei magnàn.
Carni e selvaggina cotte secondo tradi-
...DAL BIANCO LATTE!
6-13-20-25
agosto
2015,
Campagneda (Lanzada), ore 7.30
(prenotazione obbligatoria, info:
340.8677626)
Torna anche quest'anno l'appuntamento "... dal bianco latte!", l'occasione per trascorrere una giornata
in alpeggio insieme agli allevatori di
Lanzada.
Con ritrovo alle ore 7.30 presso
l'alpe Campagneda di Lanzada
l'Azienda Agricola Pizzo Scalino
organizza una visita all'alpeggio con
36
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
Sagra di Vetto: degustazione di salumi nelle trune del paese (3 agosto
2013, foto Rino Masa).
zione su piode di serpentino e nei
lavec', a garanzia di una cena genuina
e dall’antico sapore alpigiano contornata dal mercatino che colorerà la via
principale del paese di Lanzada.
MOSTRA SCAMBIO DI MINERALI
22 e 23 agosto 2015, scuola
elementare di Lanzada, dalle 13
alle 23 (sabato) e dalle 9 alle 17
(domenica)
Organizzato dall'Istitito Valtellinese
di Mineralogia Grazioli, con la collaborazione del comune di Lanzada,
questo evento offre a tutti gli appassionati di minerali, ma anche ai curiosi
neofiti di questo mondo, la possibilità
di osservare e acquistare rari pezzi da
collezione. Uno tra tutti il demantoide, oggi emblema della Valmalenco,
un’eccellenza nel panorama mineralogico europeo.
Ad animare la serata di sabato ci
penserà l’associazione E20 Lanzada
con una cena aperta a tutti a base
di pizzocheri, presso l’oratorio di
Lanzada, e mercatini sotto le stelle
lungo le vie del paese.
SAGRA DI VETTO
Agosto 2015, Vetto (frazione di
Lanzada), ore 19 (testo di Rino
Masa - info: www.sagradivetto.it)
Nel giugno del 2006 alcuni frazionisti di Vetto si incontrarono per
pensare a qualche attività da proporre
nel periodo estivo. Dopo discussioni e qualche perplessità nacque
l'idea di una sagra a base di prodotti
tipici e originali. Originale, seppur
LE MONTAGNE DIVERTENTI Sagra di Vetto: visitatori lungo il percorso che si snoda nelle trune della
frazione (3 agosto 2012, foto Rino Masa).
inizialmente poco condivisa, anche
la proposta di un evento itinerante
(senza posti a sedere) per le vie della
vecchia contrada di Vetto e la degustazione di tanti piccoli assaggi al costo di
1euro ciascuno.
La prima edizione è stata preparata
in due serate, così, senza aspettative e
grandi preoccupazioni. Il pensiero di
fondo era “tanto non viene nessuno”.
Avevo incaricato mia mamma di
fare i taròz e di farne tanti. Pensavo
a quel bel pentolone in cantina,
lei invece, meno ottimista, credeva
quello più piccolo fosse già troppo
grande. Al momento di portare
il prodotto in piazza, i vari visitatori già arrivati con largo anticipo
e richiamati da chissà quale aspettativa, si sono letteralmete buttati
nella pentola, rubando cucchiaiate di
taròz fumanti e lasciando la Natalina
quasi sconcertata. Praticamente quelli
che erano in fila per l'assaggio, sono
rimasti a bocca asciutta.
Le altre postazioni, un pochino più
fornite di prodotti hanno fronteggiato gli affamati per un po' più di
tempo, ma anche per loro il banco si
è svuotato quasi subito. Questo anche
perchè le razioni che dovevano essere
assaggi da 1 euro ciascuno, causa
l'inesperienza, erano razioni normali.
Solo le frittelle di menta della Ines,
quelle di mela della Elsa, Lucia e
Angela, e i tortelli con la marmellata
della Gemma hanno tenuto banco
perchè la preparazione era continua e
in diretta.
Da quella bella esperienza di dieci
anni fa di strada ne abbiamo fatta
tanta. Non è facile capire come la
piccola frazione di Lanzada riesca a
organizzare e gestire un evento così
caratteristico e originale della Valmalenco, ma un segreto sta sicuramente
nella capacità di aggregazione e
nell'impegno di una intera comunità.
Ora i preparativi durano una settimana, senza contare il tempo dedicato all'organizzazione, e il giorno
dell'evento (il primo sabato del mese
di agosto) sono circa 150 le persone
impegnate sul campo: ragazzini,
donne, uomini e anziani.
Tutti gli anni si aggiunge qualche
novità o pietanza che caratterizza e
incuriosisce: il cic' di polenta, il pan
puciàt con l'uovo, le frittelle di menta,
gli gnocchi con il cucchiaio, la minestra d'orzo, la trota in carpione, la
pancetta arrostita, la birra distribuita
in suggestivi e antichi locali, le tisane, il
sapone artigianale, la pesca a sorpresa,
l'intrattenimento per i bimbi, le gigantografie, le luci, i nuovi percorsi...
L'architetto sondriese Giuseppe
Galimberti così riassume l'essenza di
questa manifestazione: “Le foto appese
ai muri portano a valutare la necessità
di vedere il territorio come continuità,
continuità anche di intenti. Mantenere intatta la ricchezza del paesaggio
da sentire come base del turismo fatto
da visitatori è compito di chi abita un
territorio. Seduto con mia moglie sulla
panchina nella piazzetta mangiamo frittelle alla menta: la montagna sa ancora
accomunare chi da troppo tempo ha
scelto di vivere da separato, una signora
mi dice che nel condominio di Milano
lei non conosce nemmeno chi sta nell'appartamento accanto, mi confessa che qui
lei sente di essere viva”.
Lanzada - appuntamenti con la tradizione
37
Speciali
Alta Valtellina
Monte Zebrù
Il monte Zebrù è la possente montagna bifida che s'erge tra l'Ortles e il Gran Zebrù,
da cui è separato rispettivamente dal Giogo Alto e dal passo di Solda. Per paragone
con il più alto vicino, molti lo chiamano Piccolo Zebrù.
Vi proponiamo la traversata del Piccolo per cresta, da SE a NO, dal passo di Solda
al Giogo Alto, toccando entrambe le cime della montagna (m 3721 e m 3740):
un'itinerario piuttosto lungo con tratti di roccia particolarmente friabile.
Beno
38
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
In traversata dalla cima SE alla cima NO del monte Zebrù dopo una recente nevicata (10 settembre 2014, foto Beno).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Traversata del monte Zebrù (m 3724 - m 3740)
39
Alpinismo
Gran Zebrù
(3851)
Ortles
(3905)
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hjoc
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Monte Zebrù
cima NO
(3740)
cima SE
(3724)
S
Giogo Alto
(3527)
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3752
3645
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Passo di Solda
(3427)
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Rifugio V Alpini
(2878)
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È
40
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
Ortles, monte Zebrù e Gran Zebrù dal monte Confinale. Indicato in rosso il tracciato dell'escursione descritta in questo articolo, in giallo
il sentiero che
dal passo di Zebrù porta al rifugio V Alpini, un'interessante variante Traversata
d'accesso (15 del
settembre
2014,
foto (m
Beno).
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
monte
Zebrù
3724 - m 3740)
41
Alpinismo
Alta Valtellina
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: Niblogo (m 1600).
Itinerario automobilistico:
da Bormio,
percorrere la ex SS 300 (ora SP 29) del passo di
Gavia in direzione di Santa Caterina Valfurva.
Giunti a San Nicolò Valfurva, seguire i cartelli gialli
indicanti “Parco Nazionale dello Stelvio” e “Rifugio
5° Alpini”, svoltando (2,5 km dall'uscita di Bormio)
a sx per Madonna dei Monti. Dopo 2,5 km si
giunge alla frazione di Niblogo, dove si trova un
ampio parcheggio per Hammer euro 5.
Itinerario sintetico: Niblogo (m 1600) ristoro Zebrù (m 1680) - rifugio Campo (m 2000)
- baita dei Pastori (m 2168) - rifugio V Alpini
(m 2878) - passo di Solda (m 3427) - monte Zebrù
cima SE (m 3724) - cima NO (m 3740) - Giogo
Alto/bivacco Città di Cantù (m 3535) - rifugio
V Alpini (m 2878) - baita dei Pastori (m 2168) rifugio Campo (m 2000) -Niblogo (m 1600).
Tempo previsto: 17-18 ore per l'intero giro.
Attrezzatura richiesta: corda (almeno 30
m), 3-4 fettucce, un paio di moschettoni, utili 2-3
friend medi, 2 chiodi da ghiaccio, piccozza, ramponi,
imbraco e casco.
Difficoltà/dislivello: 5- su 6 / 2200 m in salita,
sviluppo molto lungo.
Dettagli: Alpinistica D-. Itinerario molto lungo
e isolato. Richiesta ottima conoscenza della
progressione alpinistica in conserva su cresta. Pendii di
neve/ghiaccio fino a 45°-50°, passi su roccia (talvolta
molto friabile) di II, III e IV. Assolutamente da non
sottovalutare la discesa per la via normale (crepacci),
specialmente in caso di scarsa visibilità.
Mappe:
- Tabacco n. 08 - Ortles/Cevedale, 1:25.000;
- Kompass n. 72 - Ortles/Cevedale, 1:50.000.
Val Zebrù: Niblogo e baite di Campo (29 ottobre 2014 e 5 giugno 2012, foto Giacomo Meneghello).
S
tretto sul confine provinciale tra i colossi dell'Ortles
e del Gran Zebrù, il monte Zebrù,
sebbene abbia quota e portamento
importanti, è inevitabilmente diventato la cenerentola del gruppo.
È frequentato più come meta di
consolazione, che per essere alpinisticamente ambito, tant'è che molti
lo chiamano Piccolo Zebrù per
distinguerlo e forse ulteriormente
screditarlo rispetto all'ingombrante
fratello maggiore.
Il monte Zebrù ha meno difficile via normale delle triade, adatta
anche alle comitive numerose che
però, alla fine, si soffermeranno
in vetta ad ammirare i famosi
vicini o l'affilata cresta della punta
Thurwieser.
Quella che vi suggeriamo è una
traversata del monte Zebrù, da SE a
NO, per creste aeree e friabili, alpi-
42
LE MONTAGNE DIVERTENTI nisticamente interessante quanto la
Suldengrat (con cui ha in comune
il punto d'attacco, ovvero il passo di
Solda), ma decisamente meno conosciuta e frequentata. Un'occasione
per rivalutare la montagna e percorrere il tratto mediano della incredibile traversata integrale Gran Zebrù
- monte Zebrù - Ortles, che Louis
Friedmann1 compì per primo con A.
von Kraft il giorno di ferragosto del
1893 impiegando sole 20 ore!
Mentre nello scorso numero
autunnale della rivista2 per giungere al passo di Solda (m 3427)
eravamo partiti dall'Albergo dei
Forni (m 2178), passati per il rifugio
Pizzini (m 2700) e attraverso i colli
delle Pale Rosse (m 3379) e della
1 - Raffaele Occhi, Louis Friedmann, LMD n.30 Autunno 2014 - pagg. 10-17.
2 - Beno, Gran Zebrù (m 3851) per la Suldengrat,
LMD n.30 - Autunno 2014 - pagg. 36-49
Miniera (m 3353)3, questa volta ci
incammineremo a piedi da Niblogo
(m 1600) e, dopo aver percorso tutta
la val Zebrù e toccato il rifugio V
Alpini (m 2878), saliremo al valico
per il ghiacciaio di Zebrù Est.
Questo itinerario d'avvicinamento,
più semplice anche se più lungo di
quello per la val Cedeh, richiede
circa 7 ore di marcia e rende perciò
oppurtuno per i meno allenati valutare un pernottamento intermedio
al rifugio V Alpini4.
Per dirla come il poeta: la val Zebrù,
bella, incontaminata, ma non finisce
più. E in effetti, quando si lascia
l'auto a Niblogo e si inizia a camminare lungo la strada sterrata (bandiere
3 - Questo tragitto richiede 5 ore e mezza e presenta
passaggi ripidi su neve e ghiaccio.
4 - Tel. 0342929170 - www.rifugioquintoalpini.it.
Il rifugio V Alpini è raggiungibile anche dall'Albergo dei Forni passando dal rifugio Pizzini e per i
passi dello Zebrù (ore 4).
Estate 2015
bianco-rosse, sentiero n. 29), si viene
colti da sconforto, sebbene quello che
si andrà a visitare è il settore naturalisticamente più importante del parco
nazionale dello Stelvio. Nove lunghi
chilometri con pochissimo dislivello separano Niblogo dalla baita
del Pastore, lungo i quali, di tanto in
tanto, una jeep navetta o qualche bicicletta ricordano che ci sono possibilità
di lenire le fatiche dell'avvicinamento5.
a Niblogo (m 1600) traversiamo (N) in quota sopra l'incassato alveo del torrente Zebrù, che
scavalchiamo al ponte di Peceneccio6.
La val Zebrù inizialmente è stretta,
angusta e sconvolta da frane e smottamenti ogniqualvolta le piogge ne
dilavano i fianchi, ma dopo le baite di
Zebrù si apre. Il paesaggio diventa più
D
5 -Autonoleggio per la val Zebrù: Michele Bertolina
(347-8012827).
6 - Qui si trova la “Porta del Parco”.
LE MONTAGNE DIVERTENTI dolce e alterna prati, pascoli e boschi
di aghifoglie; tuttavia la dirupata dx
orografica, con le vertiginose pareti
calcaree di monte Cristallo, punta
Payer e cime di Campo, incute un
certo timore.
Oltre il ponte di Pecè, siamo presto
a Pramighen, dove il torrente ha creato
un ampio pianoro alluvionale. Sopra
le baite vi sono notevoli esemplari di
pino cembro che si dice abbiano più
di 200 anni. Insistiamo nel fondovalle lungo la carrareccia e siamo così
alle baite di Campo, dove si trova il
rifugio Campo (m 2000, ore 2).
Due tornanti e, con un mezzacosta in dx orografica, la strada ci
porta alla baita del Pastore (m 2168,
ore 0:30), posta su una costola erbosa
allo sbocco della valle del Rio Maré.
Seguendo il sentiero (NE) che
taglia i tornantini dell'aerea carrozzabile della val Maré guadagniamo
quota dapprima tra i pascoli poi,
oltre la colata della frana della Thurwieser, tra i ghiaioni. Chissà a quale
orrido spettacolo avremmo assistito
se ci fossimo trovati qui alle ore 13:41
del 18 settembre 2004 quando, dopo
anni a brontolare e dare avvisaglie,
dalla cresta SE della punta Thurwieser
si sono staccati e sono crollati a valle
2 milioni e mezzo di metri cubi di
rocce! Il materiale franato da quota
m 3600 ha subito innescato una rock
avalanche che ha fatto percorrere ai
detriti 2,9 km lungo la val Marè fino
a m 2235. Nell'evento quasi apocalittico è inoltre stata coperta per circa
650 metri la fronte del ghiacciaio di
Zebrù, che negli anni a seguire ha
mostrato elavatissimi valori di ablazione differenziale tra le zone coperte
e quelle sgombre da detrito. Anche
dopo la frana del 2004 la Thurwieser
ha seguitato a sputar rocce e rumoreg-
Traversata del monte Zebrù (m 3724 - m 3740)
43
Alpinismo
giare, lasciando presagire nuovi possibili crolli di notevole dimensione.7
A m 2525 vi è uno slargo: da qui un
tempo partiva la teleferica per il rifugio
V Alpini, ora dismessa e sostituita da
una staffetta gip-motocarriola.
Rischiara e il percorso, che corre
lungo il cordolo dell'antica morena, si
fa sempre più ripido. Alla nostra dx si
illuminano le guglie calcaree del Picco
V Alpini, mentre alle nostre spalle il
sole ha già fatto visita alla cima della
Manzina e al monte Confinale.
Dopo averlo contornato da dx,
rimontiamo lo sperone roccioso su cui
sorge il rifugio V Alpini (m 2878,
ore 2). Questa struttura fu la prima
ad essere costruita nel gruppo OrtlesCevedale. Eretta nel 1884 col nome
di capanna Milano, subì molti danni
durante la Grande Guerra. Al termine
del conflitto Guido Bertarelli8 si
impegnò a recuperarla realizzando
un edificio più capiente. Questo fu
terminato nel 1939 e intitolato al
battaglion V Alpini, con cui Bertarelli
aveva combattuto, in memoria di tutti
i compagni caduti nel conflitto.
Ci sediamo all'esterno a contemplare le nebbie che si inseguono sulle
cime. Giorgio mi racconta che di
tanto in tanto attorno al rifugio si
aggira una volpe così domestica da
prendere il cibo direttamente dalle
mani delle persone.
A parte i custodi, in val Maré oggi
non c'è nessuno; nemmeno la volpe
si lascia vedere. Se il cielo è minaccioso ben in pochi si azzardano a salire
quassù, e anche quando il tempo è
buono ci pensano i siti porno-meteorologici a rilasciare quei bollettini
catastrofici che fanno tante visualizzazioni e seminano il panico tra gli
escursionisti. Si dovrebbe tuttavia
imparare ad essere meno meteopatici e considerare che una giornata di
pioggia sui monti è sempre meglio che
una di sole chiusi in casa o in qualche
centro commerciale.
Dal rifugio puntiamo a NO verso la
selletta di quota m 2943, evidenziata
7 - La frana della Thurwieser in AA.VV., I ghiacciai
della Lombardia. Evoluzione e attualità, HOEPLI,
Milano 2012 - pag. 220.
8 - L’edificio sussidiario, che si trova poco sotto il V
Alpini, dopo la ristrutturazione sostenuta dalla
famiglia Bertarelli, fu nel 1969 dedicato alla memoria di Guido Bertarelli, alpinista e presidende del
CAI Milano dal 1938 al 1945.
44
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Valtellina
Cima della Manzina
(3318)
Il primo tratto della ripida rotabile che dalla baita del Pastore sale in val Maré verso il rifugio V
Alpini. Sullo sfondo la val Zebrù (25 luglio 2014, foto Giacomo Meneghello).
Punta Thurwieser
(3652)
Il rifugio V Alpini, ex capanna Milano, è il primo rifugio costruito nel gruppo Ortles-Cevedale. Fu
infatti edificato nel lontano 1884 (25 luglio 2014, foto Giacomo Meneghello).
Giogo Alto
(3527)
Ai piedi dell'immane frana scesa nel 2004 dalla punta Thurwieser. 2,5 milioni di metri cubi di roccia
da m 3600 sono arrivati fino a circa m 2235 (25 luglio 2014, foto Giacomo Meneghello).
Monte Confinale
(3370)
Monte Zebrù
Dalla bocchetta sopra il rifugio V Alpini uno sguardo sul monte Zebrù e sui ghiacciai di Zebrù.
All'estrema sx fa capolino la punta Thurwieser (25 luglio 2014, foto Giacomo Meneghello).
Verso il passo di Solda (27 agosto 2014, foto Beno).
In val Marè verso il rifugio V Alpini (25 luglio 2014, foto Giacomo Meneghello).
Estate 2015
Passo di Solda
(3427)
LE MONTAGNE DIVERTENTI da un palo con bandierine tibetane.
Dopo poco siamo sulla vedretta di
Zebrù Est9.
Di solito questo ghiacciaio è molto
crepacciato, ma oggi le fauci gelate
son tutte chiuse.
Il passo di Solda è ben visibile a
ENE. Ci portiamo ai piedi della
rampa-canale che vince i 200 metri di
dislivello per il valico (pendenze fino a
40°, attenzione alle frequenti scariche
di pietre).
La neve è dura, procediamo veloci.
Giorgio è in formissima e mi tira il
collo. Sono un po' preoccupato sia per
l'andatura, sia per le previsioni meteo
che danno una perturbazione in arrivo
mentre noi ci stiamo andando ad infilare su una via di cui non conosciamo
né lunghezza, né difficoltà, o meglio,
su cui abbiamo ricevuto informazioni
discordanti tra loro.
Raggiunto lo spartiacque con l'Alto
Adige (passo di Solda, m 3427,
ore 2), spendiamo qualche secondo
ad ammirare la Suldengrat e a soffiare
sul té caldo della thermos per non
scottarci la lingua. A N della Suldengrat emerge il testone nevoso del
Mitscherkopf, che viene percorso
da quelli che fanno la "Suldengrat
lunga", mentre quella dal passo di
Solda è detta "Suldengrat corta". È
sorprendente pensare che gli Alpini
durante la Grande Guerra stessero
scavando un tunnel nel ghiaccio che
dal passo di Solda avrebbe dovuto
raggiungere proprio il Mitscherkopf
da cui avrebero potuto tenere d'occhio e a tiro gli austriaci! L'opera
non fu mai ultimata perchè distrutta
preventivamente dagli imperiali.
Torniamo però alla nostra di guerra.
La cresta SE della cima SE del monte
Zebrù inizia ripidissima con varie
torri. Oggi è sporca di neve e ci obbligherà ad arrampicare sempre coi
ramponi ai piedi.
La Guida dei monti d'Italia10, che la
9 - Un tempo cosiderato apparato unitario con il
ghiacciaio di Zebrù Ovest, dal 1990 ha iniziato ad
emergere una morena mediana che ha separato le
due lingue e conseguentemente i due ghiacciai. Nel
2007 il ghiacciaio di Zebrù Est misurava 97,4 ha,
mentre quello di Zebrù Ovest 102,5 ha. La perdita
complessiva di superficie dal 1990 è stimata attorno
al 16% (fonte Ghiacciai della Lombardia, op. cit.)
10 - Gino Buscaini, Guida dei monti d'Italia. Ortles
Cevedale. Parco Nazionale dello Stelvio, CAI-TCI,
Milano 1984. La descrizione della salita di questa
cresta è imprecisa e incompleta, perciò del tutto
inaffidabile.
Traversata del monte Zebrù (m 3724 - m 3740)
45
Alpinismo
Alta Valtellina
La seconda torre della friabile cresta SE del monte Zebrù presenta un passaggio di III+, non banale
coi ramponi ai piedi (10 settembre 2014, foto Beno).
Questo è il passo più difficile su roccia che abbiamo incontrato. Una placca di IV di scivoloso calcare
cosparsa di detriti di varia pezzatura (10 settembre 2014, foto Beno).
Discesa dalla cima SE del monte Zebrù (10 settembre 2014, foto Beno).
La cresta SE del monte Zebrù
dal passo di Solda
(10 settembre
2014,
foto Beno).DIVERTENTI LE
MONTAGNE
46
Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI descrive ben più facile della Suldengrat, dice di aggirare la prima torre da
sx. Ci proviamo, ma rischiamo la pelle
su cenge piene di blocchi che rotolano
nel vuoto al minimo contatto. Dietrofront: il testo è sbagliato!
Tentiamo dall'altro lato, dal fianco
dx che guarda Solda. A Giorgio han
detto che si va di lì; presto constatiamo che i suoi informatori sono
molto più affidabili dei sacri testi
dell'alpinismo.
Cenge coperte di detrito e una breve
rampa di rocce e rottami mobili ci
fanno aggirare la prima torre e rimontare in cresta subito dopo. Quanto è
marcia questa montagna!
Ci si para innanzi una seconda torre
addobbata con una cuspide. A dx di
questa scende un diedro: ne raggiungiamo la base e lo sfruttiamo (fino
al III+, per l'uscita abbandonare il
diedro prima dell'ultimo strapiombo
e spostarsi a sx) per raggiungere la
cima di questo secondo risalto dello
spartiacque.
Con una dieta che alterna un po' di
cresta, un po' di appoggi lato Solda e
qualche breve paretina o canaletto da
arrampicare, arriviamo su un testone
roccioso da cui si vede la cima SE.
Le nebbie ci impediscono di valutare chiaramente quanto disti, tuttavia
si capisce che d'ora in avanti il gioco
si fa meno impegnativo anche se
perlopiù su neve, proprio quella che è
scesa i giorni scorsi a coprire le rocce.
Mentre percorriamo il filo, battendo
ogni passo i ramponi con la piccozza
per levare lo zoccolo, osserviamo
con preoccupazione degli scorci sul
versante valtellinese della montagna. È
tutto friabile e a tratti eroso a tal punto
da rendere strapiombante la parete.
Presto arriva la cima SE del monte
Zebrù (m 3724, ore 2:30).
Scendiamo con molta prudenza
all'intaglio successivo da cui riprende
la salita verso NO. Quando le nubi
si aprono possiamo vedere il Giogo
Alto e il rosso bivacco Città di Cantù
in basso a dx. Difficoltà sempre più
contenute ci portano alla cima NO
del monte Zebrù (m 3740, ore 0:45).
Inizia il rientro per il ghiacciaio di
Zebrù Ovest, ma senza una traccia
di salita e con la nebbia non è facile
capire dove smontare dalla cresta per
prendere il ripido ghiacciaio verso il
Traversata del monte Zebrù (m 3724 - m 3740)
47
Alpinismo
La discesa dalla cima NO del monte Zebrù per la via solita (versante N) non va sottovalutata poiché
se non si trova la traccia battuta non è facile da individuare (10 settembre 2014, foto Beno).
Verso il Giogo Alto e il bivacco Città di
Cantù. Sullo sfondo la Hochjoch-grat e
l'Ortles (10 settembre 2014, foto Beno).
48
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Valtellina
Giogo Alto. Così la rituale stretta di
mano per la conquista del monte viene
evitata per scaramanzia e sostituita dalla
promessa di una futura stretta di mano
per aver portato la pellaccia a casa.
Troviamo senza troppo vagare il
passaggio una trentina di metri a O
della vetta e divalliamo (dx).
Poco sotto, nella luce più piatta e
priva di ogni contrasto, dobbiamo
cercare il punto in cui valicare il grande
crepaccio terminale. Superato l'ostacolo, pieghiamo a dx (NE) e scendiamo il ripido pendio (40°) per il
Giogo Alto (m 3527, ore 0:45). A
pochi metri dalla sella, su un'affioramento petroso, sorge il bivacco Città
di Cantù, che valutiamo essere il posto
giusto dove stringerci la mano e pranzare in tranquillità: siamo fuori pericolo. Non distante da noi, all'inizio
della cresta S dell'Ortles, vi sono resti
di baraccamenti militari della Grande
Guerra. Che vitaccia che han fatto i
soldati quassù!
Riprendiamo la marcia scivolando
sulla vedretta dello Zebrù in direzione
O, mirando inizialmente la punta
Thurwieser, per poi compiere un arco
in senso antiorario attorno al monte
Zebrù.
La discesa è quantomai veloce. Torna
anche il sole, a tratti cocente. A circa
m 2950 traversiamo sulla morena che
divide i due ghiacciai dello Zebrù.
La rimontiamo e per quei ghiaioni ci abbassiamo con strette risvolte,
poi attraversiamo (sx) la lingua del
ghiacciaio di Zebrù Est. Sulla sponda
opposta, oltre strane formazioni
rocciose grigio-bianche levigate dall'azione dei ghiacci, vediamo le bandierine tibetane che sventolano e ci
indicano il passaggio per rientrare al V
Alpini (m 2878, ore 1:30).
Ci fermiano al rifugio per bere una
birretta e, soprattutto, per fare quattro
chiacchiere col gestore volte ad arricchire questo articolo. Forse scambiati per anacronistici venditori di
enciclopedie o di aspirapolvere per
l'alta quota, non riceviamo udienza.
Così, non volendo essere insistenti,
una volta dissetati torniamo, nella
più totale solitudine di un autunno
incombente, alla baita dei Pastori
(m 2168, ore 1:30) e da lì a Niblogo
(m 1600, ore 4).
Attraversando il ghiacciaio di Zebrù Est.
Sullo sfondo la Suldengrat (10 settembre
2014, foto Beno).
Sulla morena mediana che dal 1990 divide
le due vedrette di Zebrù (10 settembre 2014,
foto Beno).
Estate 2015
Il monte Zebrù e la sua via normale visti dal bivacco Città di Cantù, posto su una prominenza
rocciosa nei pressi del Giogo Alto (10 settembre 2014, foto Beno).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Traversata del monte Zebrù (m 3724 - m 3740)
49
Alpinismo
Valchiavenna
Pizzo Galleggione
Il pizzo Galleggione (m 3107) è la poderosa montagna che domina la sponda settentrionale
della val Bregaglia italiana. È ben visibile non solo da Chiavenna, ma addirittura da alcuni
lidi del lago di Como. La salita non è difficile, ma molto lunga e faticosa (2850 metri
di dislivello positivo), seppur cadenzata dalla visita a suggestivi nuclei alpestri ancora
splendidamente conservati e ai laghi dell'Acquafraggia e di Piangesca che, incastonati in
un terrazzo a oltre duemila metri di quota, regalano uno scenario mozzafiato.
Beno
Ponciagna
il pizzo Galleggione
(31 luglio
LEe MONTAGNE
DIVERTENTI
2010, foto Roberto Ganassa).
50
Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Galleggione (m 3107)
51
Alpinismo
Valchiavenna
Questa lunghissima gita ha inizio a Borgonuovo, non lontano dalle spumeggiati cascate
dell'Acquafraggia, meta di pellegrinaggio turistico di chi, senza alcuna fatica, vuol godersi
uno dei più impressionanti spettacoli che la natura offra in Valchiavenna: un doppio
salto d'acqua che supera una barra di rocce di ben 170 metri!
Ben diversa, invece, è la parte alta di questa escursione, più intima e solitaria perchè il
pizzo Galleggione, sebbene sia ben visibile persino da Chiavenna, è poco frequentato a
causa del faticoso avvicinamento e della sua posizione remota.
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: Borgonuovo (m 450).
Itinerario automobilistico: da Chiavenna
prendere la SS37 per il passo del Maloja e in circa 4 km
si è a Borgonuovo. Svoltare a sx in via Sant'Abbondio,
superare i parcheggi a pagamento riservati ai visitatori
delle cascate dell'Acquafraggia e continuare fino alla
chiesetta dove si trovano i parcheggi gratuiti.
Itinerario sintetico: Borgonuovo (chiesa di
Sant'Abbondio (m 431) - Savogno (m 932) - Dasile
(m 1032) - Corbia (m 1323) - quota 1890 - Serigna
- Ponciagna (m 1790) - laghetto di Piangesca
(m 2068) - lago dell'Acquafraggia (m 2043) - pizzo
Galleggione (m 3107) - lago dell'Acquafraggia
(m 2043) - Ponciagna (m 1790) - Sant'Antonio
(m 1200) - Savogno (m 932) - Sarlone (m 450) Borgonuovo (chiesa di Sant'Abbondio (m 431).
Tempo previsto: 14 ore.
Attrezzatura richiesta:
da escursionismo.
Ramponi e piccozza in caso di neve residua in quota.
Difficoltà/dislivello: 3.5 su 6 / 2800 m in
salita.
Dettagli:
Alpinistica f+. EE fino al lago
dell'Acquafraggia (sentieri segnalati anche se a tratti
poco evidenti). Si raggiunge la vetta per uno dei
canali di neve o sfasciumi che solca la parete SO del
pizzo Galleggione e si scende per l'altro. Pendenze
fino a 45°.
Mappe:
- Kompass n.92 - Valchiavenna e Val Bregaglia,
1:50000
- CNS n. 1276 Val Bregaglia 1:25000 e n. 1275
Campodolcino 1:25000
Le cascate dell'Acquafraggia, una delle maggiori attrazioni della val Bregaglia italiana (24 maggio 2015, foto Beno).
52
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Galleggione (m 3107)
53
Alpinismo
Valchiavenna
L
asciamo l'auto a Borgonuovo
di Piuro nel parcheggio libero
accanto alla settecentesca chiesetta di
Sant'Abbondio (m 431) che dal 1977
ospita il Museo degli scavi di Piuro.
Piuro è la Pompei della provincia
di Sondrio, dove non vi sono vulcani,
ma montagne che crollano. Il 4
settembre 1618, infatti, un'immane
quanto improvvisa frana seppellì l'antico paese, ai tempi il borgo più florido
della vallata. Oltre alle famiglie1 e alle
abitazioni, finì congelato sotto terra
uno spaccato di quell'epoca. Anni di
ricerche archeologiche hanno fatto
riemergere molti reperti che in parte si
trovano nel museo, dal 1994 riallestito
nelle sacrestie della chiesa.
I piuraschi sopravvissuti2 fondarono
quindi Borgonuovo e qui vi edificarono
una chiesa in onore di Sant'Abbondio,
in quanto, quasi fosse un segno divino,
la frana di Piuro risparmiò del vecchio
paese solo la chiesa dedicato al santo.
Dalla chiesetta seguiamo le indicazioni per Savogno, Dasile e Corbia3
(NO). Il sentiero, che inizialmente è
difficilmente distinguibile dalle altre
viette del borgo, taglia in seguito i
tornanti di una stradetta asfaltata. Nei
pressi del ponte sul torrente della valle
Drana c'è un bivio. Noi prendiamo a
dx4 (indicazioni) e iniziamo una ripida
salita che ci porta sopra l'alta barra
rocciosa che genera le cascate dell'Acquafraggia. Qui traversiamo senza
grosse pendenze in direzione E5 fino a
incontrare le baite di Pigione. Poco oltre
c'è un bivio: i due sentieri sono equivalenti e si ricongiungono poco dopo aver
attraversato il torrente Acquafraggia.
Se prendiamo a sx costeggiamo e poi
superiamo il torrente dell'Acquafraggia
grazie a un ponte nei pressi di una bella
forra. Andando a dx, dopo una breve
discesa giungiamo al ponte di corda,
che supera il torrente in un punto in
cui questo mostra la sua forza dirompente. Qualsiasi via abbiamo scelto,
una volta in sx idrografica riprendiamo
a salire e intercettiamo la via maestra
per Savogno, una mulattiera selciata
1 - Non vi furono superstiti; lo storico Benedetto
Parravicini ha stimato circa 1200 vittime.
2 - Si salvarono le sole persone che quel giorno
erano via dal paese.
3 - Si pronuncia Corbìa.
4 - A sx, oltre il torrente, si va a Cranna.
5 - Ignorare la via diretta per Dasile, ma seguire
sempre e solo per Savogno.
54
LE MONTAGNE DIVERTENTI Borgonuovo. La chiesa di Sant'Abbondio vista dall'alto. L'edificio ospita il Museo degli scavi di Piuro
(24 maggio 2015, foto Beno).
Savogno dal sentiero per Dasile. Sulla sx si vede il rifugio Savogno, ricavato nell'ex edificio scolastico (30 giugno 2014, foto Beno).
La pozza smeraldina nei pressi del ponte metallico sul torrente Acquafraggia. Una seconda
possibilità di attraversamento del torrente appena al di sopra della barra rocciosa che genera le
cascate è data dal celebre ponte di corda (24 maggio 2015, foto Carlo Nani).
Dasile e la chiesa dedicata a San Giovanni Battista. Sullo sfondo le vertiginose pareti di monte
Saragiolo e pizzo dello Scudo (30 giugno 2014, foto Beno).
con ben 2886 scalini che si snoda tutta
sulla sx idrografica del torrente Acquafraggia. Di questi 28866 ce ne restano
Il sagrato della chiesa dei Santi Antonio e Bernardino a Savogno (31 luglio 2010, foto R. Ganassa).
Estate 2015
6 - Ogni anno la domenica a ridosso del 20 maggio,
in concomitanza con la festa del copatrono San Bernardino (l'altro patrono è Sant'Antonio), si svolge la
cronoscalata Borgonuovo-Savogno che vede impegnati i migliori atleti della corsa in montagna.
Impressionante è stata la performance dello specialista lecchese Nicola Golinelli che nel 2010 ha vinto i
514 metri di dislivello che separano Borgonuovo da
LE MONTAGNE DIVERTENTI da percorrere solo una piccola parte per
arrivare a Savogno (m 932, ore 1:15),
dove un alto muro in pietra regge il
sagrato della chiesa. Il paese dal 1867
al 1875 ebbe come parroco San Luigi
Savogno in soli 16'30''. Questo record è tutt'ora
imbattuto, nonostante gli assalti dell'azzurro di
corsa in montagna Alex Baldaccini che, per ora
(2015) ha dovuto “accontentarsi” di un 16'32''!
Guanella e un monumento nei pressi
della quattrocentesca chiesa dedicata a
i Santi Antonio e Bernardino lo ricorda.
Visita di rito a case e a viuzze, perle
di architettura rurale ben conservate
fino ai giorni nostri. Savogno, sebbene
ci appaia ubicato in posizione scomoda
e remota, fu in passato un nucleo molto
importante poiché era passaggio obbligato per chi si recava in val di Lei. Tra
le vie del borgo incontriamo Serafino,
un signore che qui è nato e che, come
ci racconta, quando aveva solo un mese
di vita era già stato portato dai genitori all'Acquafraggia! Egli ricorda che
a metà degli anni '50 in paese c'erano
380 persone, ma da allora iniziò un
progressivo spopolamento, dovuto
al mutare degli equilibri economici e
all'abbandono delle attività tradizionali.
Neppure la costruzione della nuova
scuola, inaugurata nel 1961, servì a
fermare l'esodo, tant'è che questa fu
chiusa pochissimi anni dopo e già nel
1969 nessuno risiedeva più a Savogno.
Dal lato occidentale del paese, dove
si trovano anche l'omonimo rifugio,
ricavato nell'ex edificio scolastico, e la
vecchia segheria ad acqua, ha inizio il
sentiero che, dopo un ponte con girello,
Pizzo Galleggione (m 3107)
55
Alpinismo
ci porta all'idilliaco nucleo di Dasile
(m 1032, ore 0:30), aggrappato su un
incredibile poggio panoramico. Tra le
case si trova la chiesa di San Giovanni
Battista, eretta nel 1689. Rispetto a
Savogno, Dasile - che a metà del '900
contava un centinaio di abitanti - ha
baite più spartane a testimonianza
di una condizione economica meno
agiata. Uno splendido panorama sulla
Valchiavenna e gli asini al pascolo nei
prati attorno alle case ripagano la vista.
In cima al paese imbocchiamo la
mulattiera che, correndo sulla dorsale
spartiacque tra valle di Carmezzano
e valle dell’Acquafraggia, raggiunge
le baite basse di Corbia (m 1373,
ore 0:45), poste alla base di un incredibile terrazzo panoramico votato
a pascolo. Fantastica è la vista sulla
orografica sx della val Bregaglia e su
Chiavenna.
Insistiamo verso l'alto (N) lungo i
prati fino a raggiungere le baite poste al
loro limite superiore (m 1520).
Sopra di noi vi è una barra di rocce,
che aggiriamo a sx aiutati da numerosi
tornanti, per poi piegare in direzione
E. All'incirca a m 1900 scavalchiamo
prima la spalla SSO, poi la SE della
quota m 2093 ed entriamo nella valle
dell'Acquafraggia alti sul fianco occidentale. Ha inizio un tratto di saliscendi
in direzione NNE; la via bollata7, ma
poco evidente, supera anche placche e
coste scivolose.
Oltre il solco della valle Sivigno
(CTR), eccoci all’isolata e diroccata
alpe Serigna. Superata una dorsale,
affrontiamo uno stretto percorso in
discesa a cui segue la bretella che a
m 1800 intercetta il sentiero B25 che
da Savogno sale diretto all'Acquafraggia. Siamo sul pendio pascolivo
nel quale si trovano sparse le baite di
Ponciagna (m 1790, ore 2).
Un deciso strappo ci eleva infine oltre
la soglia della conca di origine glaciale
che ospita il lago dell'Acquafraggia
(m 2043, ore 0:40).
Se ci spostiamo un centinaio di metri
a ovest tra grossi massi possiamo ammirare anche il laghetto di Piangesca
(m 2068, ore 0:05). Verso O la valle
inizia a salire e un sentiero raggiunge in
un paio d'ore il bivacco Chiara e Walter
al passo di Lei.
7 - Sentiero B28.
56
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valchiavenna
Le baite basse di Corbia coi loro caratteristici fienili (30 giugno 2014, foto Beno).
Il pizzo Galleggione dal lago dell'Acquafraggia. Alla sua sx il pass da Lagh (m 2651) e alla sua dx il passo del Turbine (m 2420). Indicati i due
canali che solcano il versante SO del Galleggione e descritti in questo itinerario (30 giugno 2014, foto Beno).
La fontana di legno datata 1998 a Ponciagna (31 luglio 2010, foto Roberto Ganassa).
Il lago di Piangesca. A dx la selvaggia bocchetta di Sommavalle (30 giugno 2014, foto Beno).
Estate 2015
Tornati sui nostri passi e valicato il
ponte che supera l'emissario del lago
dell'Acquafraggia, costeggiamo lo
specchio d'acqua da S e puntiamo ai
pendii occidentali del pizzo Galleggione, ben visibile in alto a chiudere
a NO la conca. Ai suoi piedi vi è il
nucleo di minuscole baite dell’alpe
Lago Dentro.
Il versante SO del Galleggione è
solcato da due canali nevosi, che più
in là nella stagione rimarrano di faticosi sfasciumi. Per andata scegliamo il
canale di sx, quello che scende direttamente dai pressi della vetta e che
imbocchiamo a circa m 2600 dopo
un faticoso avvicinamento su pietraie.
Mentre saliamo con picca e ramponi
(pendenze fino a 45°), alle nostre spalle
i laghi dell'Acquafraggia e di Piangesca
si fanno sempre più piccini.
Un breve tratto di cresta (N) senza
particolari difficoltà ci porta all'ometto di vetta, affiancato dal segnale
trigonometrico (pizzo Galleggione,
m 3107, ore 3).
Il panorama è formidabile, dal pizzo
Stella a Chiavenna, dalla valle AuroLE MONTAGNE DIVERTENTI sina alle cime della Bregaglia italiana, a
quelle della val Bondasca, fino a girare
a N sulle valli della Svizzera.
Dalla vetta scende verso E una specie
di altopiano poco inclinato e dall'aspetto lunare. È di qui, per pietraie e
dossi levigati, che passa la via normale
alla montagna, quella per il passo della
Prassignola (m 2724).
Il vento freddo che ci ha perseguitato tutto il giorno rende l'aria particolarmente limpida.
Per la discesa percorriamo un po' di
metri in più lungo la cresta SO e prendiamo il canale più basso, dato che
la sua lingua nevosa si spinge fino ai
m 2400. Scivolando giù per il pendio
di neve marcia il rientro è velocissimo.
Rieccoci al lago dell'Acquafraggia
(m 2043, ore 2), poi giù a tutto gas
per il sentiero fino a Ponciagna, da
cui non torniamo a Corbia per la via
dell'andata, ma insistiamo nella valle
dell'Acquafraggia per il sentiero B25
che senza dubbio è più sbrigativo.
Alpigia, Prati, Sant'Antonio. Poco
sotto hanno inizio le scalinate e il
selciato.
Arriviamo a Savogno e ci gettiamo sui
2886 scalini che ci portano alla frazione
Sarlone8. Il percorso, ora immerso in
un fitto bosco, un tempo si svolgeva
tra terrazzamenti coltivati, castagneti e
vigneti. A testimoniarlo restano, oltre
a qualche anziano, i muretti a secco e
il grande torchio a trave pressante visitabile con una piccola deviazione in
località Stalle dei Ronchi (tornante con
fontana in pietra).
Giunti nel fondovalle attraversiamo
il torrente Acquafraggia ai piedi delle
cascate9. Sebbene vi siano comodi
ponti, guadiamo scalzi non lontani
dal getto di acqua nebulizzata sprigionato dal turbinio delle acque, così ci
diamo una bella rinfrescata prima di
prendere il sentierino che dal parco
delle cascate giunge veloce a Sant'Abbondio (m 431, ore 3:30).
8 - Per approfondimenti su questo tratto si veda:
Enrico Minotti, Savogno e Dasile, LMD n.12 - Primavera 2010, pagg.70-73
9 - Lo spettacolo delle cascate è dato da un doppio
salto alto 170 metri. Questo è stato originato dall'azione del grande ghiacciaio würmiano che, dopo
aver scavato il solco a U della val Bregaglia, si è ritirato definitivamente lasciando pensili gli affluenti.
Pizzo Galleggione (m 3107)
57
Alpinismo
Valchiavenna
Pizzo Cengalo
(3369)
Pizzi Gemelli
(3225-3262)
Pioda di Sciora
(3238)
Sciora di Fuori
(3169)
Ago di Sciora
(3205)
Cima della Bondasca
(3289)
Sciora di Dentro
(3275)
Pizzo Badile
(3305)
Punta Sant'Anna
(3171)
Punta Torelli
(3137)
nd
asc
a
Pizzo Trubinasca
(2918)
Ve d
ta
ret
de
a
ll
Bo
Capanna di Sciora
(2120)
Capanna Sasc Furä
(1904)
58
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo
Galleggione
(m 2014,
3107)foto Beno).
59
La val Bondasca e i suoi colossi di granito visti dalla vetta del
Galleggione
(30 giugno
Alpinismo
Valchiavenna
Pizzo Ledù
(2503)
Sasso Canale
(2411)
Pizzo Rabbi
(2452)
Pizzo Paglia
(2593)
Pizzo Cavregasco
(2535)
Pizzo Settaggiolo di Dentro
(2568)
Pizzo della Forcola
(2675)
Pizzaccio
(2591)
Pizzo Alto
(2479)
Passo d'Avero
(2332)
Samolaco
Gordona
Lagunc
Mese
Chiavenna
Corbia
Piangesca
Lago di Piangesca
Ponciagna
Lago dell'Acquafraggia
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
60 sulla
Sguardo
Valchiavenna
e la conca dell'Acquafraggia
dalla vetta del Galleggione (27 luglio 2010, foto Roberto Ganassa).
Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Galleggione (m 3107)
61
Alpinismo
Valchiavenna
A lpeggiatori
con le mucche su per la valle dell 'A cquafraggia
Sergio Scuffi
Mario Giacomini, secondo da dx, al Pian del Nido in val di Lei. La valle fu acquistata per 101 fiorini nel 1462 dal comune di Piuro, che così garantiva
vasti pascoli alle proprie mandrie. La transumanza avveniva a piedi attraverso la valle dell'Acquafraggia (settembre 1941, foto archivio Giacomini).
D
a Borgonuovo di Piuro,
risalendo la valle dell’Acquafraggia, dopo aver superato il
caratteristico nucleo di Savogno
(m 932), si incontra una serie di
maggenghi e alpeggi, collocati
sia lungo il corso d’acqua principale, sia sulle pendici e dorsali che
lo sovrastano sui due lati. Erano,
tutte queste, località frequentate e
sfruttate dalle famiglie di Savogno
e Dasile: due interessanti nuclei di
montagna collocati il primo sulla
sinistra, il secondo sulla destra idrografica, a quota leggermente superiore (m 1032) ed entrambi in bella
posizione panoramica.
econdo
quanto
racconta
Mario Giacomini di Villa
di Chiavenna, classe 1928, erano
S
62
LE MONTAGNE DIVERTENTI utilizzati come maggenghi Corbìa,
su un bel terrazzo sovrastante
Dasile, quindi i nuclei che si incontrano, in sequenza, risalendo la
valle oltre Savogno: Sant'Antonio,
Prati e Alpigia.
Da questi, frequentati a volte già
da fine aprile, verso metà giugno i
pastori raggiungevano gli alpeggi
alle quote più alte; da Corbia si
giungeva a Sirigna e Piangesca, da
Alpigia si saliva a Ponciagna, Lago e
ancora Piangesca.
Racconta Mario che, nei primi
anni ’60, a Savogno fu costruita
una nuova scuola: nemmeno il
tempo di utilizzarla e, verso gli anni
1965-66, in breve tempo si spopolarono sia Dasile che Savogno. Il
fatto curioso, aggiunge Francesco,
il figlio di Mario, è che gli abitanti
non si limitarono, come normalmente succede, a stabilirsi nei paesi
di fondovalle, ma si trasferirono
prevalentemente nel comasco e in
Brianza.
A questo punto gli alpeggi
vennero dati in affitto a pastori
provenienti da fuori; tra questi
viene menzionato un Barri di
Dubino.
Mario, che da ragazzo aveva
frequentato l’alpeggio di Pian del
Nido in val di Lei, in quegli anni si
trovava a gestire una propria macelleria e aveva un grosso allevamento
di vitelli, utilizzando una stalla
costruita a Borgonuovo nel 1969.
Decise così di portare in alpe i
propri animali e, nel 1970, iniziò
Estate 2015
a utilizzare i pascoli partendo da
Dasile (aprile-maggio), portandosi
poi all’Alpigia, per sostare, per pochi
giorni, più in quota a Ponciagna e
raggiungere, infine, l’alpeggio di
Piangesca (m 2098), situato a O
rispetto al lago dell’Acqua Fraggia.
In quell’anno ancora il Barri conduceva le proprie bestie all’Alpigia e
a Lago Dentro; dall’anno successivo Mario rimase l’unico a caricare gli alpeggi della zona. Il figlio
Francesco, a soli nove anni, era il
pastorello incaricato di seguire una
mandria di quasi 200 vitelli!
Negli anni successivi ai vitelli si
aggiunsero le manze e poi le mucche
da latte, sia di proprietà sia, in
parte, affidate da altre famiglie della
zona; occorreva quindi organizzarsi
per la mungitura e la lavorazione
del prodotto. Racconta Francesco
che si mungevano circa 150 litri di
latte al giorno e la cagliata si faceva
mattina e sera, con la produzione,
quindi, di oltre una dozzina di
forme di formaggio d’alpe la settimana; e mentre il burro si portava
a valle con una frequenza regolare,
per il formaggio si attendeva la fine
della stagione estiva: immaginabile
il gran numero di viaggi con grossi
carichi utilizzando il cavallo, su e
giù da Savogno (fin qui, fortunatamente, arrivava una teleferica,
ancora in uso).
Lo sfruttamento dell’alpeggio da
parte di Mario è durato fino a metà
degli anni '90, facilitato nelle ultime
stagioni dall’ausilio dell’elicottero.
Circa la frequentazione di tutte
queste località e l'impiego dei
sentieri lungo la valle dell’Acquafraggia, Mario ricorda che
di lì passavano quelli che, attraverso il valico omonimo, si recavano in val di Lei (in particolare a
Pian del Nido, all’estremità meridionale dell’attuale invaso) e, al
ritorno, scendevano fino a Savogno
per poi deviare, in quota, verso
Villa di Chiavenna. Per raggiungere quel lontano alpeggio, sul
versante settentrionale dello spartiacque alpino, poteva essere necessaria anche un’intera giornata di
cammino: ogni anno in paese si
effettuava una gara, una specie di
asta, per aggiudicare al miglior offeLE MONTAGNE DIVERTENTI Fine anni '70. Foto di gruppo all'alpe Lago Dentro (foto archivio Giacomini).
La conca dell'Acquafraggia dal passo del Turbine (27 luglio 2010, foto Roberto Ganassa).
rente il servizio di trasporto dei
viveri in quota e dei prodotti caseari
giù al paese.
Tornando alla famiglia Giacomini, negli ultimi anni l’allevamento è passato nelle mani di
Marco, l’altro figlio, il quale, nel
frattempo, ha costruito una nuova
moderna stalla a Borgonuovo.
L’alpeggio viene sempre utilizzato,
ma Marco vi conduce solamente
le manze; è venuto a mancare,
pertanto, tutto l’impegno legato
alla mungitura e alla lavorazione del
latte.
Mario Giacomini (2015, foto Sergio Scuffi).
Valle dell'Acquafraggia
63
Escursionismo
4
Alta Via della Valmalenco
4 tappa
a
Da Chiareggio al lago Palù passando per i Ciàz de Fura,
il rifugio Longoni e l'alpe Sasso Nero.
Eliana e Nemo Canetta
64
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il laghetto dei Ciàz de Fura (m 2305) è alimentato da acqua risorgiva
e offre uno degli scorci più suggestivi della IV tappa dell'Alta Via della
Valmalenco (1 novembre
2014,
foto Valmalenco
Luciano Bruseghini).
Alta Via
della
(IV tappa)
65
Escursionismo
Valmalenco
La quarta delle 8 tappe dell'Alta Via della Valmalenco è tra le meno impegnative.
Attraversa le pendici meridionali del gruppo delle Tremogge e del Sasso Nero,
per approdare sulle rive del lago Palù dove si trova l'omonimo rifugio. Priva
di pericoli, con anche la possibilità di un ristoro intermedio al rifugio Longoni,
permette di visitare il bel laghetto dei Ciaz de Fura e la remota alpe Sasso Nero,
un tuffo nell'antica tradizione pastorale della Valmalenco.
Pizzo delle Tremògge
(3441)
Pizzo Malenco
(3438)
Sassa d'Entova
(3329)
Pizzo d'Argento
(3945)
Forcella d'Éntova
(2832)
Ciàz de Fura
VA
LN
EV
AS
CO
Sellette
Sasso Nero
(2916)
Éntova
Senevedo Superiore
La Corte
Chiareggio
Il tracciato della IV tappa dell'Alta Via della Valmalenco (rosso) e la variante rifugio Longoni - rifugio Marinelli per la forcella d'Entova (giallo) visto dai
pressi del rifugio Del Grande - Camerini (28 settembre 2014).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
Partenza: Chiareggio (m 1612).
Itinerario automobilistico: da Sondrio si
prende la SP15 della Valmalenco. Arrivati a Chiesa
in Valmalenco (12 km) si prosegue per il ramo
occidentale (sx) della valle, si passa San Giuseppe e
dopo 10 km si è a Chiareggio. Oltre il paese si scende
al cian de la Loppa, nell’ampio greto del torrente
Mallero, dove si lascia l’auto nel parcheggio libero.
Itinerario
sintetico: Chiareggio (m 1612) - La
Corte - alpe Fora (m 2053) - Ciàz de Fura (m 2305) rifugio Longoni (m 2430) - alpe Sasso Nero (m 2304) alpe Roggione (m 2009) - rifugio Lago Palù (m 1965).
Tempo previsto: 6:30 ore.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
D
al centro di Chiareggio
(m 1612) ci incamminiamo
lungo la carrozzabile in direzione di
Chiesa in Valmalenco (E) finchè sulla
sx incrociamo una carrareccia con
alti muretti laterali. La imbocchiamo
(indicazioni e segnaletiche) e saliamo
66
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 1000 m in salita e
400 in discesa (sviluppo 13 km).
Dettagli: E/EE. Escursione su sentieri segnalati
(n. 301-305) da bandierine bianco-rosse e dai
triangoli gialli dell'Alta Via della Valmalenco. È
tra le tappe meno impegnative dell'Alta Via della
Valmalenco.
Mappe:
- Comunità Montana Valtellina di Sondrio,
Cartografia Escursionistica, Fogli 1-2: Valmalenco Versante retico, 1:30000;
- Valmalenco. Speciale Alta Via della Valmalenco, 1:
30000, allegato omaggio al n. 29 de Le Montagne
Divertenti.
sino alla località La Corte dove si
trova il Parco Geologico di Chiareggio. Più avanti superiamo la valletta
del torrente Nevasco e continuiamo
sull’opposto versante lungo il sentiero
che si immerge in un bel bosco di
conifere. Risaliamo a tornanti sino a
una radura e, dopo aver guadagnato
ancora un poco di quota, iniziamo una
lunga traversata che aggira il costolone
meridionale della Sassa di Fora. La
vegetazione va gradatamente diminuendo e di fronte a noi si para, verso
NE, l’imponente costiera formata
Alta Via della Valmalenco (IV tappa)
67
Escursionismo
da pizzo delle Tremogge (m 3441),
pizzo Malenco (m 3438) e Sassa
d’Entova (m 3329), la cui cresta SO
termina con una sorta di torrione
sotto cui è riconoscibile il rifugio
Longoni, caratteristico edificio
bianco con tetto e infissi rossi. Più a
valle, sotto la capanna, si osservano
le cave di serpentino delle Sellette
e, più inbasso, quelle di Fura. In
salita, ora meno accentuata, giungiamo così ai primi pascoli dell’alpe
Fura (m 2059), ove a sx incrociamo
il sentiero che proviene dall’alpe
dell’Oro1. Sotto l’alpe sono visibili
gli impianti delle cave di serpentinoscisto, raggiunti da una stradella che
proviene da San Giuseppe e dall’alpe
d’Entova.
Superate le baite2, addossate sotto
1 - Vedi: Eliana e Nemo Canetta, Variante dall'alpe
Vazzeda Superiore al rifugio Longoni, LMD n.32 Primavera 2015. pagg. 88-89
2 - Sul retro del baitone dell’alpe Fora si può notare
un grosso blocco di roccia con coppelle, croci, iniziali. Non era noto sinché la guida alpina Popi
Miotti e l’ingegner Pelosi ne segnalarono l’esistenza.
Le coppelle dell’alpe Fora risultano le più alte della
Valmalenco e, se si confermerà la loro origine
arcaica, proverebbero (come quelle dell’alpe Grum
in val di Togno) come i nostri antenati abitassero a
Valmalenco
Verso i Ciaz de Fura (18 luglio 2014, foto Roberto Ganassa).
Chiareggio visto da La Corte (3 luglio 2014, foto Roberto Ganassa).
delle rocce con due edifici di recente
ristrutturazione che per dimensioni
sovrastano gli altri, vinciamo con
ripida marcia una costa erbosa verso
N sino a guadare il torrente Forasco.
Guadagniamo così l'ampia conca dei
quote estremamente elevate.
Ciaz de Fura che attraversiamo in
piano su terreno talora anche paludoso ma aiutati da un coreografico
camminamento su piattoni. In tal
modo ci dirigiamo a E verso le belle
cascate che intagliano le sovrastanti
scure balze rocciose e incorniciano la
piana. Le costeggiamo alla base per
Scorci dei Ciaz de Fura. Sullo sfondo il monte Disgrazia (15 luglio 2013, foto Robertto Moiola).
piegare a ESE3 (dx) e risalire un ampio
cengione di lastroni e rocce rotte.
Arrivati al quadrivio San Giuseppe Longoni - passo delle Tremogge - Ciàz
de Fura, seguendo le indicazioni in
pochi minuti siamo sul poggio panoramico della cresta SO della Sassa d'Entova che ospita il rifugio Longoni4
(m 2430, ore 3).
Tornati al quadrivio, scendiamo in
direzione San Giuseppe per un centinaio di metri di dislivello sino alla
partenza della teleferica e a intercettare la carrozzabile che collegava San
Giuseppe con il rifugio Entova Scerscen, ove fino agli anni '90 si praticava lo sci estivo5. Seguiamo la strada,
in evidente stato di abbandono, verso
monte (NE), superando una serie di
tornanti6 a cui segue un lungo traversone sotto la parete sud orientale della
Sassa d’Entova. Nella prima valle che
attraversiamo fino al 1987 si trovava
un nevaio perenne costituito dalle
valanghe che qui precipitano copiose
dai pendii meridionali della Sassa
d'Entova. Per consentire il transito
dei veicoli veniva allora scavata una
3 - All'estremità meridionale dei ciaz de Fura vi è un
bel laghetto di acqua resorgiva in cui si specchia il
monte Disgrazia e che vale sicuramente una visita.
4 - Gestito dalla guida alpina Elia Negrini e di proprietà del CAI di Seregno, il rifugio Longoni è aperto
dai primi di giugno a metà settembre. Tel. 0342
451120 - 348 3110010 - [email protected].
5 - Per approfondimenti: Rifugio Entova Scerscen.
Un progetto naufragato, LMD n.25 - Estate 2013,
pp. 80-81
6 - La via più breve per giungere alla strada già sopra
i tornanti è il sentiero che scende direttamente dal
rifugio Longoni in direzione E.
Notte in Longoni (21 settembre 2013, foto Roberto Ganassa).
68
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (IV tappa)
69
Escursionismo
galleria nella neve. In seguito alle
temperature e agli avvenimenti legati
all’alluvione dell’87 il nevaio è pressoché definitivamente scomparso.
Giungiamo a un vecchio tornante
lambito dal corso principale del
torrente Entovasco. Raggiungiamo
il tornante sinistrorso di quota
m 2400 ca.. Qui l'Alta Via si diparte
verso SE (dx), guada il torrente (talora
qualche difficoltà) e prosegue a mezza
costa sino all' insellatura a monte
della quota 2384. Inizia ora un tratto
assai peculiare dell’Alta Via, realizzato
segnalando antiche tracce abbandonate e tratti privi di sentiero, che si
sviluppano a mezza costa sulle pendici
della selvaggia costiera del Sasso Nero.
L'orizzote a levante è dominato da
una serie di massicci torrioni separati
da burroni e valloni. La direzione è
sempre indicata, oltre che dall’abbondante segnaletica, dall’isolata piramide
del Castello (m 2633)7. Il percorso
supera una serie di pietrosi valloncelli, per continuare8 tra poco incise
vallette intervallate da minuscole
conche di magri pascoli che convivono con rocce montonate dai ghiacciai e cespugli di rododendro. Giunti
alla base del Castello, sempre a mezza
costa superiamo una china erbosa
sopra rocce nerastre che dominano la
valle, e approdiamo alla verdeggiante
conca sommitale del vallone che
proviene dalla sottostante alpe Entova.
Risaliamo brevemente un pendio
erboso e ci portiamo in vista della
successiva conca: quella che ospita
le minuscole baite in pietra dell'alpe
Sasso Nero (m 2304 m, ore 2). Il
misero alpeggio, oltre a costituire un
buon punto di sosta, rende assai bene
l’idea della durezza della vita nell’antica Valmalenco, quando i montanari vi soggiornavano durante l’estate
per sfruttare le poche conche erbose
di questa zona. Seppure sia tra i più
scomodi alpeggi della Valmalenco,
quassù è stato monticato bestiame
fino al 19929.
7 - Si tratta di un carateristico torrione a SO del
Sasso Nero. Costituito da serpentino, può essere
salito nei pressi del suo spigolo SO (via normale).
Arrampicata su buona roccia fino al III+ con un
insolito passaggio iniziale attraverso una specie di
cunicolo. Richiede poco più di un'ora dall'alpe
Sasso Nero.
8 - In questo tratto si badi a non perdere quota!
9 - Per approfondimenti: Luciano Bruseghini, Sass
Negru. Paradis di cäveri, pürgatòri di vachi, inférn di
70
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco
Sassa di Fora
(3363)
Rifugio Longoni
Alpe Fura
Chiareggio
Il sentiero che scende dalla Longoni verso E si innesta sulla carrozzabile per l'ex rifugio EntovaScerscen (1 novembre 2014, foto Luciano Bruseghini).
Entova
Lungo la carrozzabile per l'ex rifugio Scerscen-Entova (giallo). Indicato il tornante presso il quale
l'AV (rosso) si diparte dalla rotabile (1 novembre 2014, foto Luciano Bruseghini).
Il Castello visto dal laghetto del Castello. Circondato da rocce montonate, il lago giace su un terrazzo
panoramico a poca distanza (ma fuori traccia), da dove il sentiero dell'Alta Via si separa dalla
carrozzabile per l'ex rifugio Entova Scerscen (21 ottobre 2014, foto Beno).
Estate 2015
Dalla vetta del Castello. In rosso il tracciato della IV tappa dell'AV della Valmalenco, punteggiata in giallo la variante Longoni - forcella d'Entova
- rifugio Marinelli. Si noti sulla dx, nei pressi del tornante della carrozzabile (gialla) i resti del nevaio in cui fino al 1987 veniva scavata una galleria per
consentire il transito delle vetture (21 ottobre 2014, foto Beno).
L'alpe Sasso Nero si trova a m 2304 sul versante sud-occidentale del Sasso Nero. Presenta tipiche
costruzioni in sasso dagli ingressi molto piccoli, tant'è che pare impossibile che in quelle stalle vi
potessero entrare le mucche (1 novembre 2014, foto Luciano Bruseghini).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Dalle baite saliamo per tracce un
valloncello in direzione SE, lasciando
a dx la quota m 2307. Ci abbassiamo
ora per traversare a mezza costa un
vallone petroso e portarci sull’opposto
versante, a m 2350 circa. In questa
zona (indicazioni a vernice) si lascia
a sx il percorso, indicato da ometti,
che costituisce il collegamento tra
l’Alta Via e la cresta sommitale del
Sasso Nero (vedi varianti). Inizia ora
la discesa verso la conca del lago Palù
in cui l’Alta Via segue l’antico sentiero
d’accesso dell’alpe Sasso Nero.
Aggirato uno spallone, troviamo
su un cengione erboso che domina a
picco il lago Palù e l’ampia distesa di
ciùm, LMD n.24 - Primavera 2013, pp. 48-49
Alta Via della Valmalenco (IV tappa)
71
Escursionismo
Valmalenco
Il lago Palù e l'omonimo comprensorio sciistico visti dal sentiero alpe Sasso Nero - alpe Roggione (21 ottobre 2014, foto Beno).
Il lago del Tricheco, ancora gelato a stagione inoltrata. In alto si vede la sella della forcella d'Entova (20 luglio 2013, foto Luciano Bruseghini).
boschi circostanti. Poco oltre iniziano
i pini mughi e il sentiero continua
perdendo quota a mezza costa, lascia
sulla dx la presa d’acqua canalizzata
del lago Palù e porta, ormai nel bosco,
all’ampio spiazzo dell’alpe Roggione
(m 2007). Qui incrociamo anche il
tracciato della V tappa dell’Alta Via
che sale al sovrastante Bocchel del
Torno. Noi invece pieghiamo a dx (O,
indicazioni) e in pochi minuti siamo
al rifugio Palù (1965 m, ore 2).
Di proprietà di Giuseppe Dell'Andrino, il rifugio è situato in splendida
posizione panoramica in una pecceta
alle falde del Sasso Nero10.
Questa variante, segnalata con
bandiere bianco-rosse (305 var.), è
consigliabile a chi volesse accorciare
di un giorno l'Alta Via e nel farlo
godere di paesaggi d'alta montagna
e della vicinanza dei ghiacciai. Dal
rifugio Longoni comporta 700 metri
di dislivello positivo e 300 negativo,
percorribili in 6 ore e mezza.
Dal rifugio Longoni saliamo la spalla
SO della Sassa d'Entova fino a circa
m 2750, quindi iniziamo un traverso
in discesa che supera la valle dell'Entovasco (tratti attrezzati con catene)
e ci porta al Cian di Bö (m 2672),
conca detritica dove si trovano i resti
dei baraccamenti di servizio all'ex
rifugio Entova - Scerscen, ben visibile
in alto sulla cresta orientale della Sassa
d'Entova.
Seguendo la pista giungiamo nei
pressi del laghetto di quota 2690,
conosciuto come lago della Balena.
Pieghiamo decisamente a dx (E) e
puntiamo alla forcella d'Entova. Dopo
poco cammino possiamo ammirare il
bel lago del Tricheco (m 2735), ghiacciato per la maggior parte dell'anno.
Sfasciumi e minuto detrito, ci
VARIANTE 1. RIFUGIO LONGONI BOCCHETTA D’ENTOVA - RIFUGIO
MARINELLI
10 - Il rifugio, aperto tutto l'anno tranne maggio e
novembre, è anche raggiungibile in circa mezz’ora
dall'arrivo della funivia del Palù ed è pure collegato
da una stretta carrareccia col sottostante maggengo
de I Barchi (1698 m), dal quale poi si discende su
carrozzabile a San Giuseppe. Dispone di una ventina di posti letto, anche se più che di un rifugio si
tratta di un ristorante rinomato per la cucina tipica
valtellinese e per gli amari preparati dal gestore, in
particolare la grappa alla vipera! Tel. 0342 452201
- 0342 453030 - 333 1639561
72
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il rifugio Palù (21 settembre 2014, foto Roberto Ganassa).
Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (IV tappa)
73
Escursionismo
accompagnano infine alla forcella
d'Entova11 (m 2831, ore 2:30),
aperta tra una diramazione della
cresta orientale della Sassa d’Entova e
le propaggini settentrionali del Sasso
Nero. Dalla sella scendiamo sull’opposto versante, facendo attenzione di
tenere la sx per non incappare negli
alti salti rocciosi che sovrastano il lago
Scarolda. Stiamo attraversando la più
importante zona carsica della Valmalenco e sull'orografica sx della valle
possiamo infatti notare gli ingressi di
alcune grotte.
Qui vi sono due possibilità per
raggiungere il rifugio Marinelli.
A quota m 2510 ca., infatti, vi è un
bivio. Si può prendere la traccia segnalata sulla dx che traversa a mezzacosta
(NE) tra detriti e calcari puntinati di
stelle alpine, scavalca direttamente le
propaggini orientali della Sassa d'Entova e attraversa i ghiaioni e le rocce
montonate dell'opposto versante fino
a raggiungere il ponte sul principale
emissario del ghiacciaio dello Scerscen Inferiore, oppure si può seguitare a scendere lungo la valle della
forcella d'Entova fino al pianoro di
quota m 2340, non lontano dal Cimitero degli Alpini12. Noi ci affidiamo a
quest'ultima possibilità, un poco più
lunga. Dal pianoro perdiamo ulteriore
quota fino a intercettare il sentiero
che sale il vallone dello Scerscen. In
un ambiente grandioso dominato
dalle cime principali del massiccio
del Bernina, superiamo il torrente
che esce dalla lingua del ghiaccio di
Scescen Inferiore13. Pieghiamo poi a dx
(ENE) per portarci sotto le lingue della
vedretta di Scerscen Superiore. Da qui
per roccette e sfasciumi, oltre una conca
siamo al rifugio Marinelli-Bombardieri14 (m 2813, ore 3:30) punto d’ar-
Valmalenco
rivo della V tappa dell’Alta Via.
Dalla forcella d'Entova verso il rifugio Marinelli (2 luglio 2011, foto Luciano Bruseghini).
11 - Detta anche forca d'Entova.
12 - Il Cimitero degli Alpini nel vallone dello Scerscen fu posto in ricordo di ben 24 giovani che in
pochi giorni persero la vita nell'aprile 1917
13 - In questo punto le due opzioni escursionistiche
si saldano nuovamente.
14 - Il Marinelli-Bombardieri è stato il primo rifugio costruito dal CAI sulle Alpi Lombarde.
Inaugurato nel 1880 con il nome di rifugio Scerscen, due anni più tardi venne intitolato alla memoria del suo ideatore Damiano Marinelli, travolto da
una valanga lungo il canalone che porta il suo nome
sulla parete E del monte Rosa.
Il nome di Luigi Bombardieri, alpinista, scrittore e
presidente del CAI di Sondrio, si legò a quello del
rifugio nel 1957 quando l'elicottero che lo trasportava precipitò a poca distanza dalla capanna stessa.
Aperto da giugno a settembre (e ad aprile-maggio
nella stagione dello scialpinismo) è gestito dalla
74
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il rifugio Marinelli-Bombardieri (2 luglio 2011, foto Luciano Bruseghini).
Il gruppo del Bernina visto dalle calcaree propaggini orientali della Sassa d'Entova (25 luglio 2010,
foto Roberto Ganassa).
Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI VARIANTE 2. ALPE SASSO NEROSASSO NERO-BUCHEL DEL
TORNO-RIFUGIO PALÙ
Questa variante, allungando di
3 ore e 600 metri di dislivello la
IV tappa dell'Alta Via della Valmalenco, permette di salire in vetta al
Sasso Nero, una specie di altipiano
di serpentino isolato al centro della
Valmalenco: il più completo osservatorio sulle cime che contornano
la valle del Mallero15.
Nei pressi dell’alpe Sasso Nero
(m 2304) ci stacchiamo dal tracciato
dellAlta Via e prendiamo il sentiero
segnalato in direzione NE che per
rocce montonate tocca il laghetto
del Sass Negru, incastonato ai piedi
di rupi nerastre. Superiamo da sx la
successiva bastionata e saliamo un
ripido pendio di detriti. Usciti sulla dx
grazie a una cengia, continuiamo per
rocce montonate che portano al circo
terminale del vallone (m 2750 ca.).
Qui imbocchiamo il facile canaletto
di sx che adduce alla selletta tra le
quote m 2814 e m 2840 della cresta
sommitale. Pieghiamo a sx (NNO) e,
per un piatto valloncello, tocchiamo
la vetta del Sasso Nero (m 2917,
ore 2) caratterizzata da un grande
ometto. Per la discesa, a m 2760 ca.,
anzichè ripercorrere la via dell'andata,
prendiamo a sx (SE) e per pietraie e
rocce montonate divalliamo seguendo
i bolli fino al capolinea degli impianti
sciistici (m 2350). Seguendo la pista,
poi il sentiero sulla dx, senza via
obbligata guadagniamo il bocchel
del Torno (m 2203), ampia sella tra
il Sasso Nero e la dentellata cresta del
monte Roggione. Qui incontriamo il
tracciato della V tappa dell’Alta Via.
Lo prendiamo contromano verso O
(dx) per divallare su buon sentiero,
dapprima ripido poi decisamente
più dolce, all’alpe Roggione e di lì al
rifugio Palù (m 1965, ore 2).
guida alpina Giuseppe Della Rodolfa.
Il rifugio Marinelli-Bombardieri offre 210 posti
letto e, nei periodi di chiusura, un confortevole
locale invernale in grado di ospitare 14 persone.
Contatti: [email protected]
tel: 0342 511577 - 3475200146
15 - Per approfondimenti: Luciano Bruseghini,
Sasso Nero. Balcone sul Bernina, LMD n.24 - Primavera 2013, pp. 38-47
Alta Via della Valmalenco (IV tappa)
75
Escursionismo
Valmalenco
L ago P alù
Eliana e Nemo Canetta
Il lago Palù.
Sullo sfondo da
sx: Corno di
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
Braccia, cima del Duca e punta Rosalba (21 settembre 2014, foto Roberto Ganassa).
76
Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (IV tappa)
77
Approfondimenti
Valmalenco
A lpe GF ora
L
intervista a
Ragazzi si scaldano attorno ad un fuoco improvvisato dopo un bagno nel lago Palù (agosto 1934, foto archivio Corti - CAI sez. Valtellinese).
P
rimo lago naturale della Valtellina per dimensioni, chiuso in
un catino fra Sasso Nero, monte Motta
e monte Roggione, il lago Palù è uno
dei luoghi più pittoreschi e visitati della
Valmalenco. Già negli anni tra il XIX
e il XX secolo l’escursione al lago (che
ai tempi partiva da Chiesa) era assai
popolare. Naturalmente la costruzione,
nella seconda metà del XX secolo, della
Funivia al Bernina ha reso la zona ancor
più visitata, sia d’estate che d’inverno.
Le acque, tiepide in estate, si prestano a
spegnere la calura che affligge i gitanti.
Il toponimo deriva da “palude”:
benché di acquitrinoso abbia ben poco,
il Palù è effettivamente un lago dalle
acque stagnati, sicché non vi sono né
immissari, né emissari. Di conseguenza,
il livello del lago è molto influenzato dalle precipitazioni e dai prelievi
d’acqua da parte dell’uomo.
L'origine del lago non è da sbarramento morenico, come taluni studiosi
78
LE MONTAGNE DIVERTENTI sostennero, ma la causa va cercata
nell’escavazione glaciale di un’antica
vedretta che si annidava sotto il monte
Roggione.
Il lago a inizio '800 doveva essere
assai più vasto di quanto risulti oggi,
con uno sviluppo della riva circa triplo,
e occorreva più di un’ora per effettuarne
il periplo a piedi. Inoltre sappiamo che,
attorno al 1850, 4 o 5 famiglie soggiornavano sulle sue rive per praticarvi la
pesca con reti o imbarcazioni; abbondavano trote e tinche1.
L'utilizzo indiscriminato delle acque
fece nascere aspre polemiche che videro
il loro culmine agli inizi degli anni
‘70 quando il lago Palù era sfruttato
come bacino di regolazione stagionale2;
1 -Fabio Besta in Guide della Valtellina del 1883 riferisce: «Né i pesci mancano, anzi v’abbondano le trote e
vi si trovò pur anco una grossa anguilla che ora si conserva nel Museo dell’Università pavese.»
2 - L'acqua del lago Palù veniva riversata nel Mallero
per aumentarne la portata nel periodo invernale e
far funzionare la centrale idroelettrica del Curlo.
su iniziativa popolare, il 28 ottobre del
1971 fu adagiata sul fondo del lago una
statua del Cristo in tutto simile al Cristo
degli Abissi della cala di San Fruttuoso,
a protezione delle acque e come monito
all’uomo affinché ne faccesse buon uso.
L’immersione sotto i ghiacci, che per i
tempi costituiva un primato assoluto,
generò un tale riscontro mediatico
che quell’inverno non vi furono prelevamenti e il prosciugamento fu così
scongiurato.
Da allora ogni anno, la seconda
domenica di agosto la scena si ripete
nel contesto della festa dell'alpe Palù,
durante la quale viene effettuata anche
un'accurata pulizia del fondo del lago
e dell'alpe. La statua viene immersa dai
sommozzatori di Valtellina Sub, che poi
la preleveranno l’inverno successivo.
Nonostante tale monito, il lago
viene ora sfruttato per imbiancare le
piste da sci del vicino comprensorio.
Estate 2015
iacomo
enatti
Luciano Bruseghini
L'alp de Fura de dint sulle pendici SE della Sassa di Fora (agosto 1931, foto archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese - www.archiviocorti.it).
N
ell’Inventario dei toponimi
valtellinesi e valchiavennaschi 1 si riferisce che in una mappa del
1816 l’alpe Fora (Fura) viene suddivisa in due maggenghi differenti.
Il principale è l’alp de Fura de dint,
sulla dx orografica della valle del
Forasco, verso lo sperone che la divide
da quella del Nevasco. Si tratta di un
gruppo di baite circondato da ampie
sponde di pascoli racchiusi dai circhi
rocciosi.
L’altro è l’alp de Fura de fö, un
piccolo gruppo di baite nell’ampio
catino di pascoli che si estende a E
della precedente, sempre sulla dx
orografica della valle del Forasco,
circa 70 m sotto il Sas Credää (salto di
roccia al termine della cresta SE della
Sassa di Fora). Da tale mappa risulta
che l’insediamento contava comples1 - A. Masa e G. De Simoni (a cura di), Inventario
dei toponimi valtellinesi e valchiavennaschi. Chiesa
Valmalenco, Società storica valtellinese, 1976
LE MONTAGNE DIVERTENTI sivamente 27 costruzioni di cui 20
all' alp de Fura de dint e 7 all’alp de
Fura de fö.
L’amico Giacomo Lenatti, classe
1950, dall'età di sei anni ha trascorso
tutte le estati con la sua famiglia a
Fura e ricorda benissimo che alcune
case occupavano la parte destra e
altre quella sinistra dell’alpeggio, che
invece ad un occhio estraneo potevano sembrare un unico agglomerato.
Con i genitori Aldo e Anna e i fratelli
Mauro e Roberto caricava l’alpe in
compagnia di altre quattro famiglie.
La sua e altre due stavano all’alp dë
Fura dë dint, quella verso Chiareggio,
e sfruttavano i pascoli che dalle baite
si estendono verso la valle del torrente
Nevasco. Le restanti utilizzavano
invece l’alp dë Fura dë fö e spingevano
le loro bestie fin sul pianoro sovrastante (Ciaz dë Fura). Anche quest’ultima zona in realtà era divisa in due
parti, una superiore detta Ciaz dë
sura (nel libro dei toponimi descritta
come “ampio spazio pascolativo, fondo
dell’avvallamento compreso fra il pizzo
Tremogge e la Sassa d’Entova, attraversato dal sentiero Rif. Longoni – Passo
Tremogge”) e una inferiore detta Ciaz
dë sót (“più grandi quelli inferiori, che
vanno dal mutùm di tacùm verso il Rif.
Longoni, dove passa il sentiero dell’alta
via della Valmalenco” ).
Già nell’Ottocento, i primi pastori
che iniziarono a caricare quest’alpeggio costruirono un canale artificiale a circa m 2500 per captare l’acqua
del Forasco e convogliarla verso le
casupole, così da avere acqua fresca a
portata di mano e forza motrice per
azionare la penia (zangola). Il torrente
Forasco scorre impetuoso in una forra
ed è alimentato dal sovrastante ghiacciaio della Sassa di Fora. Nella Piccola
Età Glaciale - cioè nell’Ottocento - era
particolarmente sviluppato, con una
lingua che scendeva fino a m 2780. Ai
Alpe Fora
79
Approfondimenti
Giacomo Lenatti con la madre Anna Pedrotti a Fura nel 1970 (foto archivio Lenatti).
Sergio e Dino Fanoni con Giacomo Lenatti a Fura (estate 1968, foto archivio Lenatti).
Giacomo e Tommaso Lenatti davanti alla casa nuova a Fura (estate 2000, archivio Lenatti).
80
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco
giorni nostri purtroppo questo ghiacciaio si è molto ridotto e si trova solamente sopra i m 3100, ma continua a
vivere grazie alle correnti di föhn che
dal versante svizzero riportano fin qui
le nevi del ghiacciaio di Fex.2
Ancora oggi, quindi, questo “naviglio d’alta quota” è operativo e ogni
estate i pastori provvedono a sistemarlo perché le numerose valanghe
che slittano dai ripidi pendii sovrastanti spesso lo ostruiscono con
detriti.
Dalla fine degli anni Cinquanta all’inizio degli anni Ottanta erano quasi
150 i capi che brucavano l’erba della
zona: un centinaio stavano dë dint
mentre gli altri dë fö. Oltre alle mucche
vi erano anche i maiali e alcune pecore
a completare il quadro bucolico. Le
pecore però non pascolavano nelle
vicinanze delle baite, ma preferivano i
ripidi declivi della Sassa di Fora.
I ricordi più belli di Giacomo sono
quelli di quando era ragazzino e a
Fura trascorreva l’estate in compagnia
di una decina di altri bimbetti: il loro
compito era quello di controllare che
agli animali al pascolo non capitasse
niente, ma molto spesso tralasciavano questa noiosa attività per giocare
insieme.
A nove anni Giacomo mungeva da
solo tre mucche e poi preparava la
minestra di latte sul focolare, anche se
era più quella che cadeva tra le fiamme
di quella che restava nella pentola.
Era molto legato a quest’alpeggio,
tant’è che durante il periodo dello
sfalcio faceva scendere a valle i genitori e i fratelli, mentre lui rimaneva da
solo a occuparsi di tutto il bestiame.
Anche quando si è sposato con Fulvia,
da cui ha avuto i figli Martina e Aldo,
ha continuato a vivere nell’alpeggio
nei mesi estivi, portandosi al seguito
i famigliari che lo aiutavano nelle
faccende quotidiane.
Dopo il servizio militare, però, ha
diviso la sua attività lavorativa in due
parti: d’inverno stava alle dipendenze
della FAB, società che gestisce gli
impianti di risalita del Palù, mentre
da maggio a settembre prendeva in
2 - Per approfondimenti vd. L. Bonardi, E. Rovelli,
R. Scotti, A. Toffaletti, M. Urso, F. Villa (a cura di),
I ghiacciai della Lombardia, evoluzione e attualità,
Milano, Hoepli 2012, p. 122.
Estate 2015
Fura: tra le vecchie costruzioni emergono per dimensioni le due di recente ristrutturazione (28 settembre 2014, foto Beno).
affitto una quarantina di capi da allevatori di Castione e Albosaggia e li
portava a pascolare sui maggenghi
dell’alta Valmalenco. A inizio maggio
sostava all’alpe Senevedo inferiore,
ora attraversata anche dalla bella pista
di fondo che collega San Giuseppe a
Chiareggio, ma quasi subito si alzava
leggermente fino al Pagliunch dove
teneva gli animali in stalla a consumare il fieno accumulato l’estate
precedente, poi ridiscendeva a Senevedo. A inizio luglio si recava direttamente all’alpe Fora utilizzando il
sentiero che passa per Senevedo superiore. Due giorni dopo portava in
quota anche alcuni maiali che nutriva
con gli scarti della lavorazione del
latte. Questi, essendo liberi di girovagare, a volte si infilavano anche
all’interno delle piccole baite in cerca
di cibo, ma venivano allontanati con
“gentilezza” dagli alpeggiatori.
A settembre si abbassava con le
mucche a Senevedo inferiore e le
lasciava pascolare libere per due settimane in modo che brucassero tutta
l’erba della zona, per poi riconsegnarle
ai legittimi proprietari.
Dal 1982, quando in questa zona
sono rimasti solamente due nuclei
famigliari, quello di Giacomo e del
LE MONTAGNE DIVERTENTI fratello Mauro, e quello dei fratelli
Tommaso e Rodolfo Lenatti, l’alpe è
diventata un tutt’uno: le bestie prese
in affitto dai quattro amici hanno
iniziato a pascolare liberamente per
tutta la zona, senza confini.
I quattro allevatori rimasti hanno
unito le forze per meglio sfruttare le
risorse di questo avamposto e hanno
ristrutturato la baita più grande,
rendendola agevole e confortevole (a
Fura de dint). Inoltre hanno predisposto due teleferiche: una più in
basso che si dirigeva alla cava di
serpentino scisto, già servita da una
comoda strada sterrata, e l’altra che
dall’alpeggio saliva ai Ciaz de Fura
de sót. La teleferica in basso è stata
poi smontata e sostituita da una più
comoda pista agricola, mentre quella
in alto è tutt’ora utilizzata per il rifornimento di legna e alimenti e per
portare a valle il latte munto.
Nel 1952 ai Ciaz de Fura de sót erano
state anche costruite due piccole casupole per ricoverare le bestie in caso di
forte maltempo. Gli allevatori invece
alloggiavano sempre a Fura e ogni
mattina alle quattro si svegliavano per
salire in quota a mungere e poi riscendevano a lavorare il latte; l'operazione
veniva ripetuta nel tardo pomeriggio.
I formaggi prodotti a Fura venivano trasportati appena possibile al
Pagliunch dove c’era un’ottima cantina
di stagionatura; il burro invece veniva
venduto in parte a Chiareggio e in
parte a Chiesa.
Solamente nel 1990 è stato eretto,
nei pressi dell’arrivo della teleferica
ai Ciaz de Fura de sót, un piccolo
baitello al fine di pernottare accanto
al bestiame che qui pascolava solitamente nel mese di agosto.
Dopo pochi anni, però, Mauro ha
abbandonato la compagnia per un
lavoro fisso presso gli impianti del
Palù, mentre Giacomo è andato in
pensione nel 2010. Da allora solamente i fratelli Tommaso e Rodolfo
continuano a caricare Fura con
20/30 mucche, anche se Giacomo si
presta spesso ad aiutarli, soprattutto
durante il periodo della fienagione,
quando è richiesta manodopera nel
fondovalle per lo sfalcio dei prati.
Comunque, ancora oggi, ogni estate
Giacomo prende in affitto cinque
mucche che tiene per un periodo a
Senevedo, per poi mandarle in villeggiatura a Fura dagli amici. Questo
perché per lui è impossibile separarsi
dalla vita d’alpeggio!
Alpe Fora
81
Approfondimenti
Valmalenco
Una guida
al Rifugio Longoni
E N
intervista a
lia
Luciano Bruseghini
egrini
Elia con i figli Rocco e Teresa davanti al rifugio Longoni (22 luglio 2013, foto archivio Negrini).
Il rifugio Longoni si trova lungo la IV tappa dell'Alta Via della Valmalenco e costituisce l'arrivo della I tappa del Tour del Bernina. Sullo sfondo le cime
della val di Togno e le Alpi Orobie (21 settembre 2013, foto Roberto Ganassa).
I
l rifugio Longoni fu costruito nel
1938 su una balconata rocciosa a
2450 metri lungo la cresta SO della
Sassa d’Entova. Di proprietà del CAI
di Seregno, è intitolato ai fratelli Elia
e Antonio Longoni, deceduti durante
la prima guerra mondiale e insigniti
della medaglia d’argento al valor militare. La struttura può dare ospitalità
ad una trentina di avventori disponendo di camere da 4/6 posti letto e
di un ampio camerone da 18 posti;
in caso di emergenza c’e anche una
soffitta dove pure io ho provato la
bella esperienza di dormire in compagnia di amici sotto a degli appetitosi
salumi in stagionatura.
Uno dei punti forti della capanna è
sicuramente lo splendido panorama
che si gode dalla sua terrazza: ammirare
i candidi ghiacciai del Disgrazia infuocarsi alla luce dell’alba o del tramonto è
uno spettacolo imperdibile.
Oltre che come punto di appoggio
per i trekking, il rifugio è base per
82
LE MONTAGNE DIVERTENTI ascensioni alpinistiche sia sulle vicine
vette di Sassa di Fora e del gruppo
delle Tremogge, sia verso il più
lontano gruppo Glüschaint-Sella.
Dal 1995 la Longoni è gestita dalla
guida alpina Elia Negrini, classe 1959
di Caspoggio, che mi concede un’oretta di tempo per raccontarmi le sue
esperienze.
Anche se ora abita a Sondrio, ci
tiene a sottolineare il forte legame
con il piccolo comune malenco dov’è
nato: «al secondo piano della casa
paterna in via don Gatti» puntualizza con orgoglio. Da giovanissimo,
mi confessa, non era attratto dalle
montagne che lo circondavano. Solamente durante gli anni del collegio a
Tirano si è invaghito delle alte quote,
sentendo i racconti escursionistici
dei compagni di corso. Ricorda che
a 13 anni ha percorso per la prima
volta la val Poschiavina col padre
Albino e, una volta giunto al passo di
Canciano, è rimasto ammaliato dal
ghiacciaio del pizzo Scalino. Ma sicuramente la persona che lo ha indirizzato alla conquista delle vette è stato
l’amico e cugino Luciano Bricalli. In
sua compagnia, nell’estate del 1977,
ha compiuto numerose salite classiche nei gruppi del Bernina e del
Disgrazia (Cresta Güzza, piz Palù, la
nord del pizzo Cassandra, la Corda
Molla al Disgrazia…). Proprio dopo
una di queste uscite ha conosciuto
un’altra persona molto importante
per la sua carriera alpinistica: Enrico
Lenatti, gestore del rifugio Porro in
val Ventina, che ha incontrato di
rientro dal torrione Porro. Grazie
a lui, Elia e Luciano sono entrati
a far parte del Soccorso Alpino e
hanno appreso ulteriori nozioni sulla
progressione in montagna. L’amore
per le alte quote si è concretizzato
prima nel 1981 quando è diventato
aspirante guida alpina e definitivamente nel 1984 quando ha ottenuto
il brevetto di guida alpina. In quegli
Estate 2015
anni lavorava come guida nei mesi
estivi, mentre in inverno era impiegato presso gli impianti di risalita
di Caspoggio. La maggior parte dei
clienti ambiva a scalate nel gruppo del
Bernina1 e del Disgrazia, ma capitavano richieste anche per le Dolomiti,
il monte Rosa e il Monviso. Negli
anni ’90 ha cominciato ad esplorare gruppi montuosi al di fuori dei
confini nazionali: dopo un tentativo
al Pumori (Nepal) lungo la via dei
primi pionieri, ha salito l'Island Peak,
l’Aconcagua, il Kilimanjaro, il monte
Kenia; molti anche i trekking trekking in giro per il mondo.
Lo stile di vita della guida alpina
lo ha sempre entusiasmato, ma con
il passare degli anni ha sentito il
bisogno di maggiore tranquillità, per
cui nel 1995 ha deciso di partecipare al bando per l'assegnazione del
rifugio Longoni: da allora l’ha gestito
ininterrottamente per vent’anni, ritagliandosi comunque delle giornate
per accompagnare i clienti sulle fantastiche vette della Valmalenco.
Elia mi racconta che inizialmente
ha trovato difficoltà nella conduzione
del rifugio: per l’organizzazione, per il
trasporto delle merci, ma soprattutto
per la mancanza di energia elettrica (a
questo si ovviava utilizzando elettrodomestici a gas). Nei primi anni era
aiutato dai fratelli Onorato e Paolo,
entrambi cuochi. Aveva pure assunto
1 - Ad oggi Elia ha salito il pizzo Bernina (m 4049)
più di 100 volte con clienti senza l'ausilio dell'elicottero per gli avvicinamenti.
LE MONTAGNE DIVERTENTI un collaboratore che lo sostituiva
quando lui era assente perchè chiamato come guida alpina.
Per trasportare l'occorrente per
l'ospitalità, da principio utilizzava
la strada sterrata che giungeva fino
a circa m 2200. Da qui tramite una
teleferica sospesa nel vuoto recuperava facilmente il tutto. In seguito,
purtroppo, non è più stata fatta
manutenzione alla carrozzabile che
man mano è degradata al punto che
nemmeno con un 4x4 si riesce a
percorrere l’ultimo tratto. Da allora,
ad inizio stagione, ricorre all’elicottero
per trasferire il grosso delle derrate
alimentari e la legna per il fuoco.
Dopo essersi sposato e aver avuto
due figli ha continuato a gestire la
struttura aiutato proprio dai suoi
famigliari: ricorda con gli occhi lucidi
che i suoi ragazzi hanno trascorso
tutte le estati in quota, inizialmente
controllati da una babysitter, poi, col
passare degli anni, come collaboratori
nelle faccende quotidiane. Anche la
moglie Susanna, in tutti i momenti
liberi dal lavoro in città, saliva e sale
tutt’ora ad aiutare il marito.
Rammenta che nei primi anni si
lavorava molto: erano tanti gli avventurosi che vi pernottavano per poi
compiere traversate o ascensioni.
Nell'ultima decade invece sono diminuiti coloro che si fermano a dormire,
mentre sono aumentati gli escursionisti che sostano solo per il pranzo.
Anche il menù ha subito variazioni: la
clientela si è fatta sempre più esigente
e si è quindi passati dalla classica
pastasciutta e dal minestrone a piatti
tipici valtellinesi come pizzoccheri e
polenta con salmì di selvaggina.
La sua clientela chiede principalmente di essere accompagnata
alla Sassa d’Entova lungo la bellissima cresta SO oppure al pizzo delle
Tremogge sfruttando il canalone
roccioso verticale che porta direttamente in vetta.
Essendo il rifugio Longoni vicino
al confine elvetico, oltre ai turisti
italiani, qui transitano e si fermano
molti stranieri che intendono realizzare il tour del Bernina: la prima tappa,
infatti, prevede la partenza dal passo
del Maloja e l’arrivo alla Longoni
passando per il passo del Muretto.
Per ampliare l’offerta della zona sta
realizzando un sentiero attrezzato sul
pizzo Malenco, così da poter conquistare facilmente una vetta di oltre
3400 metri senza mettere piede sul
ghiacciaio, evitando le trappole dei
crepacci.
Attualmente la Longoni è aperta nei
mesi estivi, dai primi di giugno a metà
settembre, ed Elia è contrario all’apertura del rifugio in primavera: i pendii
di accesso sono spesso pericolosi per
ed esposti al distacco di slavine.
Al fine di migliorare la vivibilità del
rifugio, nel corso degli anni ha apportato numerose modifiche strutturali,
tra le quali la veranda e il balcone
di accesso, la termocucina e il rifacimento di tutti i servizi igienici. Spera
vivamente di poter quanto prima
montare dei pannelli fotovoltaici sul
tetto per avere energia elettrica sia per
la gestione della struttura, sia per i
clienti che ormai non si muovono più
se non sono accompagnati da decine
di apparecchiature elettroniche.
Dal 1995 al 2005, ogni estate il
rifugio ha ospitato docenti e studenti
dell'Università Statale di Milano,
facoltà di geologia, per un campo
estivo di due settimane volto a studiare
le peculiarità geologiche della zona.
«Consiglierei vivamente anche ai
giovani - si congeda Elia - di provare
a gestire un rifugio alpino: è un’esperienza di vita molto istruttiva che però
va fatta con convinzione perché serve
molta passione e soprattutto parecchia capacità di adattamento.»
Rifugio Elia ed Antonio Longoni
83
Escursionismo
Riservato ai soli escursionisti esperti, proponiamo un
insolito itinerario ad anello di grande interesse storico,
naturalistico e paesaggistico che, partendo da Premadio e
appoggiandosi al ripido sentiero di Sassalta, tocca le due
cime del monte delle Scale (m 2497 - m 2521), lambisce le
sponde del lago delle Scale e si chiude, alto sopra Bocche
d’Adda, lungo l’antica via della Ferrarola.
Dalla cima del monte delle Scale si ha una delle più
esaustive prospettive sia sulla conca di Bormio, che sulla
Valdidentro, ma pure sulla valle di Fraele, con i suoi
giganteschi invasi, che su quella del Braulio, dove sono
incise le infinite risvolte della strada dello Stelvio.
Nicola Giana
84
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI \ La cima E del monte delle Scale vista dalla sua cresta
Monte
(m 2497
- m 2521)
85
orientale
(17delle
luglio Scale
2014, foto
Beno).
Escursionismo
Alta Valtellina
Monte delle Scale - cima SE
(2497)
2315
Monte di Solena
(2919)
ro
la
Sassalta
Castelet
Via Ferr
a
Il monte delle Scale visto da Bormio. Indicati il sentiero di Sassalta e la via della Ferrarola (16 luglio 2014, foto Beno).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: Premadio, ponte dei Forni (m 1300).
Itinerario automobilistico: da Bormio
proseguire sulla SS38 dello Stelvio e, al terzo
tornante, voltare a sx e immetersi sulla SP 301 del
passo del Foscagno. Passata la frazione Molina,
parcheggiare l’auto nei pressi del ponte dei Forni
sull’Adda, sito allo sbocco della valle del Braulio (circa
2 km dall'inizio della SP 301).
Itinerario sintetico: ponte dei Forni (m 1300) Castelet (m 1480) - Sassalta - cima E del monte delle
Scale (m 2497) - cima NO del monte delle Scale
(m 2521) - forte del monte delle Scale - torri di Fraele
(m 1941) - lago delle Scale (m 1928) - Castelet
(m 1480) per la via della Ferrarola - ponte dei Forni
(m 1300) .
Tempo previsto: 7 ore e mezza.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 3+ su 6, 1200 m in salita.
Dettagli: EE. Percorso per escursionisti esperti
e con piede sicuro; salita alla vetta su tracce di
I
l monte delle Scale, localmente
chiamato anche piz da la Crosc1, è
una massiccia barriera con andamento
ONO-ESE tra la Valdidentro, di
cui costituisce un tratto della sponda
settentrionale, e la valle dell'Adda.
Si tratta di un prolungamento della
calcarea costiera delle cime di Platòr,
1 - Pizzo dalla croce, per la grande croce metallica
posta sulla sua cima orientale.
86
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI sentiero, segnalato con radi ometti, molto ripido e
sdrucciolevole. In discesa lungo la via Ferrarola, tratti
ripidi, esposti e sdrucciolevoli.
Mappe:
- Kompass n. 72 - Parco Nazionale dello Stelvio,
1:50000.
– Alta Valtellina, Bike & Trekking Map n. 4, Bormio Stelvio - Valdisotto - Valdidentro, 1:25000
Approfondimenti:
- Mario Gianasso, Guida Turistica della Provincia di
Sondrio, B.P.S. II Edizione 2000
- Fabio Besta, Guida alla Valtellina ed alle sue acque
minerali, pubblicata per cura del CAI Sez. Valtellinese,
Sondrio Stab. Tipo Litografico A. Moro & C. 1884
- Eliana e Nemo Canetta, Escursioni in alta Valtellina,
Braulio - Cancano - Fraele - Lago di Livigno - Parco
Nazionale Svizzero, CDA-Vivalda, Torino 2000
- Nemo Canetta, Sui sentieri della Grande Guerra in
Valtellina, Edizioni CDA, Torino 1996
- Giovanni Peretti, Rifugi alpini, bivacchi e itinerari
scelti in Alta Valtellina, Bonazzi Grafica, Sondrio 1984
da cui è separata tramite la profonda
breccia dove sorgono le torri di Fraele.
L'edificio sommitale del monte delle
Scale è caratterizzato da due cime di cui
la più vicina al cielo è a NO (m 2521),
mentre quella più vicina al cuore degli
escursionisti è a SE (m 2497), dotata
di grande croce metallica e rinomata
per la bella vista sulla conca di Bormio
e la Valdidentro.
Nel Medioevo il monte delle Scale
era punto nodale della Via Imperiale
d’Alemagna2. Qui infatti si trovavano
le torri di Fraele (XIII sec.) e le scale di
Fraele3, costruite per controllare l’ac2 - Di qui transitavano tutte le merci dirette in Svizzera, Austria e Germania.
3 - Il toponimo scale fa riferimento alle famose scalinate di legno utilizzate per superare il ripido passaggio roccioso che portava alle torri di Fraele, la
cui caratteristica era di essere rapidamente smonta-
Monte delle Scale (m 2497 - m 2521)
87
Escursionismo
Alta Valtellina
Il panorama sulla conca di Bormio dalla cresta SE del monte delle Scale (16 luglio 2014, foto Beno).
cesso alla valle di Fraele. Durante la
Grande Guerra, sul versante S appena
sotto la sella tra le due cime, vi era
una caserma, mentre a N erano dislobili e asportabili in caso d’invasioni nemiche. Oggi
una strada di origini militari sale a stretti tornanti
sul versante S delle cime di Platòr e supera la fascia
di rocce tramite gallerie, facilitando l’accesso sia al
lago che alla vetta.
cate diverse piazzole d’artiglieria atte
a contrastare la discesa degli austriaci
qualora avessero sfondato le linee
avanzate sullo Stelvio.
archeggiata l’auto nei pressi
del ponte dei Forni (m 1300)
imbocchiamo la sterrata sulla dx idrografica che entra nelle gole; dopo 50 m
P
Sguardo sulla cima Piazzi dai pressi del forte del monte delle Scale (16 luglio 2014, foto Beno).
sulla sx ha inizio la via della Ferrarola
(sentiero n. 198) che porta a Cancano.
Il tratto iniziale, buono come riscaldamento, si sviluppa comodo e ad ampi
tornanti tra mughi e pini silvestri sopra
l’abitato di Premadio, lungo il crinale
di separazione fra la valle del Braulio
e la Valdidentro. In località Castelét
(enorme masso erratico quotato
m 1480), il sentiero n.198 spiana inoltrandosi nella valle del Braulio. Qui lo
abbandoniamo a favore del sentiero di
Sassalta4, che si diparte sulla sx e sale
4 - Freccia rossa sul basamento del traliccio n. 5;
salire diretti dietro questo evitando l’evidente
traccia che scende verso sx.
senza sconti di pendenza sul crinale
cosparso di mughi. Riscoperto e pulito
da una guida locale, è una traccia non
sempre evidente e facilmente confondibile con quelle dei selvatici. Sporadici
ometti di sasso confermano la giusta
direzione. Il terreno è sdrucciolevole,
molti i sassi precari, la progressione
è quasi tutta di punta e mai banale,
ma la fatica è ripagata dai gradevoli
scorci sui bagni, sulla verde piana
di Bormio e sui monti che le fanno
corona. Superato un primo strappo
che non dà respiro, a m 1600 usciamo
su una costa erbosa e di radi mughi,
esattamente a perpendicolo sulla frana
La Valdidentro dalla cima SE del monte delle Scale (16 luglio 2014, foto Beno).
88
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte delle Scale (m 2497 - m 2521)
89
Escursionismo
panoramico a m 2000. Proseguendo
verso N, dopo un ripido passaggio tra
le piante siamo a una cengia a m 2200.
Dal successivo belvedere notiamo in
lontananza, ben evidenti, la serie di
tornanti di Spondalunga, mentre sulle
pendici settentrionali della Reit, meno
chiari perchè nel folto della mugheta,
intuiamo i resti delle strade militari di
arroccamento dirette al villaggio de Le
Buse. Ovunque volgiamo lo sguardo
scopriamo tracce di percorsi o resti di
fortificazioni della Grande Guerra.
Il sentiero ora corre sulla facile cresta
permettendo la vista dei ghiaioni che
precipitano sul versante sud; con passo
sicuro e senza vertigini guadagniamo
la quota 2360 e da questa, per facile
traccia sul fianco N, tocchiamo finalmente la croce bianca della cima SE del
monte delle Scale (m 2497, ore 3).
L’impatto col generatore per l’illuminazione notturna della croce non
è certo entusiasmante, ma la vista e
la pace che si godono da quassù non
hanno eguali. Poco distante una rosa
LE MONTAGNE DIVERTENTI conduce all’ampia sella tra le due vette
e per via intuitiva (qualche ometto)
conquistiamo la cima NO del monte
delle Scale (m 2521, ore 0:30), dalla
quale dominiamo la valle di Fraele
con i laghi artificiali di Cancano, San
Giacomo e quello naturale delle Scale.
Tornati alla sella, è doverosa una
visita all’ampio pianoro di quota
m 2420 con le postazioni d’artiglieria
prima di accedere alla galleria che porta
alla caserma incollata sotto la cresta sul
versante S. Al suo interno troviamo due
Monte delle Scale - cima NO
(2521)
postaz
ioni
di
art
ig
Discesa dalla cima SE e salita alla rocciosa cima SO del monte delle Scale (16 luglio 2014, foto Beno).
La mulattiera militare sul versante S del monte delle Scale. Dopo questo tratto su cengia diviene meno aerea e porta con numerose risvolte alle torri di
Fraele (16 luglio 2014, foto Beno).
90
delle cime in acciaio inox facilita l’individuazione e la conoscenza delle
vette circostanti. Forte è il contrasto
tra le pendici del versante N, con sullo
sfondo gli invasi colossali di Cancano
e di San Giacomo di Fraele, e la strapiombante parete a S, famosa tra i
rocciatori, con gli ampi ghiaioni che
raggiungono il fondovalle.
Qui in vetta un monumento ai
Caduti è stato posato a ricordo e
monito per le generazioni future.
Imbocchiamo il sentiero che
ria
lie
di Turripiano. Lo sguardo spazia sul
Masucco, sul San Colombano e sulla
cima Piazzi. Cento metri più in alto
(m 1700) siamo sul ghiaione (ex discarica) del materiale di scarto proveniente dalla costruzione della galleria
Cancano-Premadio dell’AEM, ora
A2A. Evitando la traccia che invita ad
attraversarlo, saliamo tenendoci sul
fianco sx sino alla base di un piccolo
salto di rocce, superato il quale (corda
fissa) siamo a una piazzola (m 1800)
che ospita un’antenna delle telecomunicazioni, una stazione dell’ARPA
di rilevamento geotecnico e idrometeorologico e l’imbocco del condotto
di cui abbiamo appena calpestato gli
scarti di realizzazione.
Il tracciato riprende a salire sul lato
opposto, verso N, e con una serie di
zig-zag (corde fisse) giunge in località
Sassalta dove sono i resti dei basamenti
in cemento armato delle baracche
dormitorio e delle mense degli operai
che lavorarono alla galleria sottostante.
Gradualmente il sentiero ritorna
ripido e, chiuso nella spessa mugheta
disseminata di erica, si sposta verso
NE guadagnando un ridotto punto
Alta Valtellina
Estate 2015
Il forte del monte delle Scale visto da S (16 luglio 2014, foto Beno).
polveriere. Sono staccate dalla roccia
con una camera d'aria per esser meglio
isolate dall'umidità. Esposti a S vi sono
i vecchi dormitori delle truppe, dove
ora si trovano i pannelli esplicativi con
foto, racconti e aneddoti sul conflitto e
sulla vita militare.
L'uscita del tunnel ci proietta sul
luminoso fianco meridionale del
monte. Imbocchiamo la vecchia
mulattiera militare che prende avvio
all’estremità occidentale del severo
edificio blindato. Al primo tornante
sinistrorso gli smottamenti, il crollo
dei muri di sostegno e la mancanza
di manutenzione hanno ridotto la
via a semplice traccia. Tra rocce rotte,
numerosi canali e profondi ghiaioni,
il sentiero, attrezzato con catene nei
passaggi più esposti, percorre questo
primo tratto poco agevole tenendosi
sul ripido versante S. Occorre prestare
attenzione al materiale smosso,
evitando sia di provocare frane, sia di
fare da bersaglio a chi sta sopra. Capita
spesso che a far cadere materiale siano
le capre che custodiscono il fortino, le
quali si affacciano dalle cenge incuriosite dal passaggio degli ignari visitatori.
Fioriture estive al lago delle Scale, riserva privata di pesca. Il lago non ha immissari né emissari: il rifornimento e il riassorbimento dell’acqua
avvengono esclusivamente sotto la superficie. All'estremità dx del lago si nota un'estesa macchia di potamogeti (16 luglio, foto Beno).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte delle Scale (m 2497 - m 2521)
91
Escursionismo
Alta Valtellina
Monte delle Scale - cima SE
(2497)
LAa G
rande G uerra
VA
S
Monte delle Scale - cima NO
(2521)
in
forte
(2425)
lta
lle e attorno al monte delle
cale
Eliana e Nemo Canetta
ssalta
i Sa
d
ro
tie
sen
via della Ferrarola
Il monte delle Scale visto dalla valle del Braulio (agosto 2014, foto Eraldo Meraldi).
Scorci panoramici mozzafiato si
susseguono a ogni cambio di direzione,
ma basta poca fantasia per immaginare
quante fatiche e tribolazioni hanno
vissuto i nostri antenati più di un secolo
fa per realizzare queste opere.
Dopo un traverso alla base di una
parete rocciosa, guadagniamo la spalla
posta al limite superiore della fitta
mugheta del versante occidentale. La
via diventa una carrareccia che con
lunghi traversi scende alle storiche torri
di Fraele (m 1930, ore 1:15), mute
sentinelle dello scorrere del tempo5.
Prendiamo quindi la strada principale verso E, oltrepassiamo l’albergo
Villa Valania e costeggiamo la sponda
occidentale del lago delle Scale6 fino alla
casina del Lago (m 1928, ore 0:20).
Alle nostre spalle, incorniciata dalla
breccia dove sono le torri, c'è la cima
Piazzi col suo ghiacciato versante N.
All’interruzione della staccionata
(cartello segnavia) imbocchiamo il
sentiero classico per la vetta del monte
5 - La più bassa fu deliberatamente utilizzata come
cava di materiale per costruire una chiesetta lì vicino
dedicata a Sant' Antonio.
6 - Fatto bizzarro alle alte quote, il lago e le sue
sponde appartengono ad un circolo di pesca privata.
I biglietti sono in vendita presso Domus Immobiliare a Isolaccia (Valdidentro) o direttamente al lago
dove un custode ben poco garbato con eventuali
intrusi è a disposizione per qualsiasi necessità.
92
LE MONTAGNE DIVERTENTI Scale che, attraverso i prati da sfalcio,
porta a ridosso dei mughi. Poco prima,
un secondo cartello (scritta sul retro,
bivio non molto chiaro) indica la
deviazione a sx per Premadio lungo la
via Ferrarola. Il toponimo, con molta
probabilità, è legato al fatto che questa
era usata per trasportare a valle il ferro
delle miniere di Fraele e il carbone
che si produceva su questi versanti
per alimentare l’impianto fusorio di
Premadio7.
Costeggiando i prati e tenendoci a
ridosso del bosco (tracce di sentiero),
in direzione E e poi SE, entriamo nel
fresco delle piante ove la mulattiera si
fa più evidente e in leggera ma costante
salita. Orliamo le pendici settentrionali
della montagna sino ad affacciarci sul
fianco orientale, proprio di fronte alla
valle del Braulio (m 2050 ca.).
Gradatamente il tracciato volge a
S e percorrendo alcuni tratti ripidi,
sdrucciolevoli ed esposti fra le rocce
7 - Nel 1850 la ditta Luigi Corneliani costruì un
complesso fusorio a Premadio, poco a valle del
ponte dei Forni. Il carbone per l’altoforno era prodotto col legname tagliato sulle pendici che attorniano il monte delle Scale, come stabilito da un
contratto del 16 dicembre 1852. Cessata l’attività
nel 1875, è l’unico forno ottocentesco, in Italia, a
non aver subito riconversione. Esempio di archeologia industriale, è attualmente inserito in un parco
giochi di proprietà del Comune.
e i ghiaioni che precipitano verso
Bocche d’Adda, tramite una serie di
tornanti siamo al bivio (m 1718) che
immette sul Sentiero dei Fortini8, dove
si trovano testimonianze di fortificazioni del periodo della Grande Guerra.
Trascurando la deviazione (tenere la
dx), superata una valletta scoscesa e
percorsi otto brevi tornanti, il sentiero
spiana giungendo ai ruderi di un
edificio ormai anonimo. Segue il Crap
de la Capèla (m 1612), riparo naturale spesso utilizzato dai contrabbandieri nel secolo scorso che transitavano
curvi sotto il peso delle bricolle. Poco
più avanti una piccola fontanella funge
da abbeveratoio per uomini e selvatici.
Il sentiero prosegue in leggera discesa
offrendo scorci affascinanti tra i mughi
che lasciano intravedere sul versante
opposto l’avvicinarsi del complesso dei
Bagni Vecchi.
Rieccoci finalmente all’enorme
masso erratico di Castelét e, in breve,
per lo stesso itinerario fatto in salita
ritroviamo l’auto al ponte dei Forni
(m 1300, ore 2:30)9.
8 - Vedi la rubrica di itinerari Andare per montagne
in Alta Valtellina a cura di Eraldo Meraldi.
9 - Si ringrazia Eraldo Meraldi per le informazioni
fornite.
Estate 2015
La gittata dei cannoni del monte delle Scale e del Dossaccio era tale da poter far giungere i proiettili fin oltre il passo dello Stelvio (grafica Canetta).
Q
uando nel 1870, con la presa
di Roma, terminò la fase
principale del Risorgimento, uno
dei maggiori problemi dell'Italia fu
quello della difesa dei confini nazionali. Oggi può apparire perfino strano,
ma dobbiamo meditare sulla realtà
ben diversa di un’Europa di un secolo
e mezzo fa, in cui lotte nazionali e di
potere erano all’ordine del giorno. Non
dimentichiamo del resto che la vicina
Svizzera ha mantenuto in perfetta efficienza le sue opere di difesa almeno
sino al termine della guerra fredda e
si dice che debba la salvaguardia della
propria neutralità, anche durante le
due tremende guerre mondiali, proprio
alle sue capacità militari e alla validità
delle sue fortezze.
Ma torniamo a noi. L’Italia appena
nata aveva - guarda caso - gli stessi
problemi di oggi: tante idee, ma pochi
soldi! Fu così che aree considerate
importanti, ma non alla stessa stregua
di altre, come la Valtellina, ebbero
LE MONTAGNE DIVERTENTI l’onore di molti progetti che però
restarono tutti rigorosamente sulla
carta. Venne poi la Triplice Alleanza
con la quale Roma si legò per decenni
a Vienna e Berlino. Per di più in quel
periodo varie altre motivazioni scavarono un fossato tra l’Italia e la Francia.
Fu così che si iniziarono a fortificare le
Alpi Occidentali, in parte riutilizzando
antiche opere sabaude, in parte riempiendo letteralmente quelle montagne
di strade e batterie, mulattiere militari e fortificazioni. Ovviamente tale
ingaggio prosciugò le già risicate risorse
del bilancio di quello che ai tempi si
chiamava Ministero della Guerra e
che, solo dopo il Secondo Conflitto
Mondiale, ha assunto il pudico nome
di Ministero della Difesa. Si andò
avanti così per decenni, lasciando quasi
completamente sguarnita la frontiera
con l’Impero asburgico, col quale non
avevamo un’intesa idilliaca, causa l’irredentismo verso Trento e Trieste, ma
che comunque bene o male era nostro
alleato. Va notato che però in Valtellina furono piazzati due battaglioni di
Alpini, a Morbegno e Tirano, che come
d’uso assunsero il nome della città ove
risiedevano. Tali reparti però (che a
piena forza potevano contare su circa
2000 uomini) avevano anche caserme
a Chiavenna, Sondrio e Bormio, per
cui da quelle basi potevano costantemente pattugliare sia la frontiera con la
Svizzera che quella con l’Austria.
Col nuovo secolo le cose gradatamente cambiarono. Innanzitutto le
finanze migliorarono, in secondo luogo
la tensione con la Francia decrebbe
e l’Italia, pur restando membro della
Triplice Alleanza, iniziò a fortificare
anche la frontiera con l’Austria, verso
cui i rapporti andavano peggiorando.
Fu così che si riprese in considerazione la Valtellina e finalmente, verso
il 1910, tale progetto fu trasformato
in realtà. Dopo lunghe discussioni (si
era anche pensato di fortificare il colle
dell’Aprica) si decise di costruire tre
Monte delle Scale (m 2497 - m 2521)
93
Approfondimenti
Alta Valtellina
Il forte del monte delle Scale (13 agosto 2009, foto Roberto Ganassa).
fortezze: Colico, Tirano e Bormio. Lo
scopo delle opere di Colico e Tirano
era di bloccare un’eventuale discesa di
forze asburgiche che avessero violato
la neutralità svizzera, puntando rispettivamente su Chiavenna e sulla Valtellina, dalla val Bregaglia e dalla valle di
Poschiavo. Quanto all’Alta Valtellina
il discorso era più complesso. Bisognava da un lato impedire all’avversario l’utilizzo dell’importante strada
dello Stelvio e dall’altro battere con
l’artiglieria sia la Valdidentro che la
94
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valfurva, da dove si temevano infiltrazioni nemiche. Il problema però era di
soluzione relativamente facile poiché,
avendo atteso tanti anni, i forti valtellinesi godevano degli ultimi ritrovati
della tecnica, e in particolare di artiglierie poste in torri girevoli corazzate
che potevano ruotare per colpire obiettivi a 360°.
A Colico e Tirano le torri ospitavano
pezzi da 149A, ovvero con il calibro
della bocca da fuoco di 149 mm. Il
forte in Alta Valtellina fu eretto su un
Obice 149/G del peso di 5297 kg come quelli che furono portati sul monte delle Scale (museo d’artiglieria di Torino, foto Nemo Canetta).
dosso nel Comune di Valdisotto, nella
frazione di Oga proprio di fronte a
Bormio. Le torri corazzate disponevano di 4 pezzi da 120/40 di derivazione navale, che quindi avevano una
notevole gittata (11,3 km): le granate,
che pesavano quasi 25 kg, potevano
raggiungere abbastanza agevolmente
addirittura il passo dello Stelvio!
Le nostre fortificazioni erano il perno
centrale di un’intera area attrezzata a
difesa. Ad esempio a Tirano altre artiglierie erano sotto il forte e altre ancora
Estate 2015
sui dossi sopra Trivigno.
In Alta Valle le opere militari furono
numerose. Alle Motte sotto il forte fu
piazzata una batteria di pezzi da 70A,
il cui scopo era di battere lo sbocco
delle gole del Braulio, impedendo
al nemico la discesa nella conca di
Bormio. Furono poi costruite tutta
una serie di stradelle e mulattiere militari: la prima, oggi trasformata in una
carrozzabile sterrata, saliva al monte
Masucco, dal quale si dominava tutta
la Valdidentro e i monti verso Livigno.
Una seconda raggiungeva le torri di
Fraele e l’area di Cancano (ove non
erano state ancora erette le dighe).
Dalla sella delle torri, un’arditissima
mulattiera raggiungeva la sommità
del monte delle Scale, dalla quale si
domina completamente il complesso
delle Gole del Braulio e la strada dello
Stelvio nel tratto tra la Prima e la
Seconda Cantoniera. Un’altra stradetta
portava infine alla Forcola, tra la punta
di Rims e il monte Braulio, da dove si
poteva controllare la vicina frontiera
elvetica e soprattutto la testata della
valle del Braulio con il passo Stelvio.
Negli ultimi anni prima della guerra fu
poi aperta la carrozzabile che collegava
LE MONTAGNE DIVERTENTI la Valdidentro con Livigno attraverso
il passo del Foscagno. Strada oggi di
eccezionale importanza turistica, ma
poco gradita ai livignaschi che temevano di perdere le proprie franchigie
doganali!
A Bormio erano depositati 4 pezzi
da 75A che avrebbero dovuto essere
portati, in caso di conflitto, sulla
sommità del monte delle Scale, col
compito di tirare sulla strada dello
Stelvio. Pesavano 1040 kg e lanciavano a circa 8 km un proiettile di
6,3 kg. Particolare importante: erano
ad affusto rigido, ovvero non avevano
meccanismi per eliminare il rinculo
e dopo ogni colpo dovevano essere
riportati nella posizione originale (il
che naturalmente riduceva molto il
ritmo del tiro).
Tuttavia i comandi della zona si
resero conto che questi cannoni
avevano una potenza troppo scarsa
rispetto allo scopo previsto. Come
sempre vi furono discussioni, progetti,
lettere e richieste finché pare che
Cadorna stesso, prima della guerra, nel
periodo di preparazione dell’esercito,
decise di inviare in Valtellina 4 obici
da 149G, che facevano parte delle
difese di Roma, ormai inutili. Il guaio
era che questi pezzi, che giunsero
puntualmente a Bormio, pesavano
ben 5297 kg! In compenso lanciavano oltre 9 km una granata di più di
35 kg, con potere dirompente nettamente superiore a quello dei 75A.
Bocche da fuoco un po’ vecchiotte,
anch’esse ad affusto rigido, ma
comunque decisamente valide se si
fosse dovuta bloccare un’eventuale
discesa asburgica dallo Stelvio.
Nei primi giorni di guerra i pezzi
furono smontati e trainati a forza di
braccia dal Battaglione Alpini Valtellina (costituito con riservisti relativamente anziani del Tirano) fino alle
torri di Fraele. Poi con sforzi che ci
appaiono veramente sovrumani, gradatamente raggiunsero la vetta del monte
delle Scale dove iniziarono a fare buona
guardia alle gole del Braulio. Tuttavia
gli austriaci si guardarono bene dal
scendere sul versante valtellinese dello
Stelvio, tanto che successivamente i
pezzi furono spostati alla Forcola, da
dove era possibile un tiro più utile
verso l’area dello Stelvio e i ghiacciai
circostanti.
Monte delle Scale (m 2497 - m 2521)
95
Escursionismo
Piz Tea Fondada
(3144)
Cime di Plator
(2910)
Monte Cornaccia
(3049)
Pizzo del Ferro
(3054)
va l
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Piz Schumbraida
(3125)
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piano di Pedenolo
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Frae
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Monte Braulio
(2980)
cola
or
e F
Grasso di Solena
(2008)
Cascina del Lago
Villa Valania
I laghi di Cancano
e di San Giacomo di Fraele
N
ella valle di Fraele si trovano
i cosiddetti laghi di Cancano,
due colossali invasi artificiali: il lago
di Cancano (Cancano II, 123 milioni
di m3) e il lago di San Giacomo di
Fraele (64 milioni di m3). Costruiti
dalla AEM nel secolo scorso, sono
oggi proprietà di A2A.
Sono alimentati dalle acque del
fiume Adda, che nasce nella vicina
valle Alpisella, nonché dal canale
dello Spöl1, dal canale Gavia - Forni
1 - Un sistema di gallerie della lunghezza complessiva di 23,7 km, sottopassando lo spartiacque
alpino, raccoglie le acque dell'alta valle di Livigno, a
oltre m 2000, che naturalmente defluirebbero verso
il bacino del Danubio
96
LE MONTAGNE DIVERTENTI - Braulio2 e dal Nuovo Canale Viola3.
Tutto ebbe inizio tra il 1925 e il
1933, quando nell'incontaminata
valle di Fraele fu eretta la diga ad
arco-gravità di Cancano I che originava un invaso di circa 20 milioni di
m3. Nel 1940 si iniziò a costruire un
secondo sbarramento (a speroni nella
parte centrale e raccordato a due dighe
2 - Costituito da 3 tronchi in galleria per una lunghezza complessiva di 33,3 km, raccoglie le portate
derivate dai torrenti Alpe, Gavia, Frodolfo, Zebrù,
Braulio, Forcola e alcune immissioni minori.
3 - Inaugurato nel 2004 in sostituizione del vecchio
canale a cielo aperto che era in funzione dal 1928, è
lungo quasi 17 km e ha richiesto 32 mila tonnelate
di calcestruzzo. Raccoglie le acque della val Viola
Bormina che possono raggiungere una portata di
15 metri cubi al secondo.
Dalla cima NO del monte delle Scale (16 luglio 2014, foto Beno).
Beno
laterali a gravità massiccia) a monte di
Cancano I: la diga di San Giacomo
di Fraele. I lavori, più volte interrotti
durante la Seconda Guerra Mondiale,
si conclusero solo nel 1950 e ai piedi
della diga venne realizzata una piccola
centrale idroelettrica che sfruttava
il salto esistente tra la quota di San
Giacomo e quella di Cancano I.
La centrale fu dopo poco dismessa
e l'edificio sommerso con la realizzazione tra il 1953 e il 1956 della
nuova diga di Cancano II, del tipo
ad arco-gravità, con altezza massima
di ben 136 metri e ubicata a valle di
Cancano I.
La diga e la vecchia centrale,
Estate 2015
tuttavia, nei periodi di secca, fanno
ancora oggi capolino come fantasmi
dal passato, così come le fondamenta
delle baracche di Digapoli, il villaggio
utilizzato dalle maestranze durante
la costruzione della diga di San
Giacomo di Fraele.
Oggi il dislivello tra le dighe di
San Giacomo e di Cancano viene
di nuovo sfruttato grazie un sistema
di turbine capaci di generare fino a
10 MW, mentre il salto maggiore
viene trasformato in energia elettrica
dalle 6 turbine Pelton collegate ai
3 gruppi generatori della centrale di
Premadio, che può erogare fino a 226
MW di potenza.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Nei periodi di magra, dalla superficie del lago di Cancano emerge la veccha diga ad arco-gravità di
Cancano I. Immagine ripresa dal monte delle Scale - cima SE (foto Beno).
Monte delle Scale (m 2497 - m 2521)
97
Escursionismo
Alpi Orobie
Val Cervia
L’asprezza del versante orobico sopra Cedrasco e la scarsità di acqua hanno protetto
la val Cervia dallo sfruttamento idroelettrico consegnandola praticamente intatta ai
giorni nostri. È una valle dai due volti: ripida e impervia all’imbocco dalla Valtellina,
dolce e aggraziata nella parte più elevata.
Per scoprire le bellezze di questo scarsamente conosciuto corridoio laterale che si
diparte dalla valle dell'Adda a sud dell’abitato di Cedrasco, vi proponiamo una lunga
escursione con partenza dall’alpeggio di Campelli (m 1265) e che culmina sulla vetta
del monte Toro.
Luciano Bruseghini
Sulla cresta
E del monte Toro
(24 ottobre
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
2014, foto Luciano Bruseghini).
98
Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Val Cervia
99
Escursionismo
Orobie
Il tempietto dedicato alla Madonna Regina dei Monti a Campelli
(5 settembre 2009, foto Fabrizio Barri).
Nei pressi di baita Giambone (m 1530) (24 ottobre 2014, foto Luciano
Bruseghini).
Baita Pessoli, altrove indicata come baita superiore di val Cervia, capolinea
della strada carrozzabile (24 ottobre 2014, foto Luciano Bruseghini).
Sguardo sul lungo solco della val Cervia da I Pianoni (24 ottobre 2014,
foto Luciano Bruseghini).
«L
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
100
Partenza: Campelli (m 1265).
Itinerario automobilistico: da Sondrio - uscita
tangenziale via Vanoni -, dirigersi verso Albosaggia e,
attraversato il ponte sull'Adda, svoltare a dx sulla SP16.
Insistere sulla pedemontana superando Albosaggia e
Caiolo; giunti a Cedrasco (8 km), prendere a sx per il
centro del paese, dove si imbocca (serve il permesso vedi nota 2 a pag. 103) la stretta strada asfaltata che
sale ripida in val Cervia fino all'alpeggio di Campelli
(circa 9 km).
Itinerario
sintetico: Campelli (m 1265) - Fenili
LE MONTAGNE DIVERTENTI Arale (m 1600) - casera di Val Cervia (m 1615) - passo
di val Cervia (m 2318) - monte Toro (m 2524) - passo
di Valbona (m 2324) - baita Publino (m 2058) - casera
Caprarezza (m 1900) - Fenili Arale (m 1600) Campelli (m 1265).
Tempo previsto: 9-10 ore.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 3- su 6, 1700 m.
Dettagli: EE. Escursione di notevole sviluppo
chilometrico (30 km).
Estate 2015
à nella val Cervia - scriveva
oltre cent'anni fa Bruno
Galli-Valerio in Cols et Sommets - gli
orsi avevano trovato un nemico terribile. Non li attaccava col fucile, ma
tendeva loro delle trappole. Delle enormi
trappole in ferro, fissate con delle catene,
erano tese nei boschi. Dicono che ben
undici orsi vi hanno lasciato la pelle [...]
Ma gli orsi hanno, come noi uomini,
qualcuno che li vendica. Parecchi anni
dopo, in una di quelle trappole, il figlio
del cacciatore fu intrappolato e ne ebbe
una gamba sbriciolata. Gli orsi erano
vendicati.»
Se a questo racconto aggiungiamo
che il toponimo parrebbe derivare
dalle mandrie di cervi che la popolavano, siamo portati a immaginarci
la val Cervia come una di quelle
immense vallate dell’ovest americano. In realtà, anche se molto più in
piccolo e senza grizzly, ai giorni nostri
la val Cervia rimane comunque tra
le più selvagge e incontaminate della
provincia di Sondrio. Perciò merita di
essere visitata!
LE MONTAGNE DIVERTENTI P
er ridurre il cammino, giunti in
auto a Cedrasco1, acquistiamo
il permesso di transito2 . Questo ci
consente di proseguire coi mezzi per
la ripida carrozzabile asfaltata che
dal paese sale con numerosi tornanti
lo scosceso fianco settentrionale del
dosso Morandi e conduce agli alpeggi.
Al bivio per Campelli (m 1265,
cartello in legno) lasciamo la vettura.
Ci proiettiamo a piedi (sx) verso
le baite di Campelli3 seguendo la
carrareccia inizialmente sterrata, poi
acciottolata, fino al grazioso tempietto
dedicato alla Madonna Regina dei
Monti e risalente al XVIII secolo.
Subito a dx dell’edificio religioso
parte un sentierino, segnato con bolli
1 - Il toponimo Cedrasco deriva dal termine mirtillo, cedrùn nel dialetto locale.
2 - Come riportato sul sito del Comune di Cedrasco: “i costi dei permessi variano dai 3 euro per la
durata giornaliera ai 20 euro per la durata annuale.
Gli stessi sono reperibili presso gli uffici comunali, i
negozi e il bar presenti in paese e il bar Libera in
località San Pietro Berbenno (quest'ultimo esercizio
è aperto dalle ore 6).
3 - Da quest'anno a Campelli si può anche sostare
più giorni nel nuovo rifugio "Il Rododendro" in
gestione dal Gruppo Alpini di Cedrasco.
bianco-rossi, che prende quota in un
ombroso bosco di abeti, per poi ricongiungersi con la strada asfaltata nei
pressi di alcuni pannelli illustranti il
parco delle Orobie Valtellinesi. Insistiamo lungo la carrareccia, che dalla
primavera 2015 è stata interamente
pavimentata. Lo scarso traffico veicolare rende piacevole anche camminare
lungo la rotabile.
Finalmente, oltre i m 1300,
iniziamo a penetrare in val Cervia.
La strada taglia tutto il vertiginoso
e dirupato fianco destro idrografico;
in alcuni tratti sono state posizionate anche delle reti paramassi come
protezione.
Al piccolo nucleo di Fenili Arale4
(m 1600, ore 1) il paesaggio si addolcisce, dai pascoli è possibile scorgere
4 - Questo toponimo, come altri che incontreremo
lungo il percorso, non è raro sul versante orobico
valtellinese. Basti pensare ai Fienili Arale nella vicina
val Tartano.
Questa è la località più remota per cui è valido il
permesso di transito. Andare oltre coi mezzi è concesso ai soli caricatori d'alpe e ai volontari residenti
che svolgono attività di manutenzione sia della
strada che dei pascoli della vallata.
Val Cervia
101
Escursionismo
Orobie
Monte Toro
(2524)
2465
Traccia di salita e discesa dal monte Toro (24 ottobre 2014, foto Luciano
Bruseghini).
In vetta al monte Toro. In lontananza le vette delle Alpi Retiche
(24 ottobre 2014, foto Luciano Bruseghini).
Passo di val Cervia. Al centro il Corno Stella (m 2621), di cui si intuisce l'ombrosa parete N. In basso a dx è il lago Moro in alta val Carisole
(24 ottobre 2014, foto Luciano Bruseghini).
Traverso a mezza cosa verso la baita Cerech bassa (24 ottobre 2014, foto
Luciano Bruseghini).
Il nucleo di baite di casera Caprarezza (24 ottobre 2014, foto Luciano
Bruseghini).
la testata della valle, dominata dal
Corno Stella sulla cui cresta occidentale si trova la sella del passo di val
Cervia, nostra prima meta di giornata. Volgendo lo sguardo verso N
abbiamo un interessante prospettiva
del monte Disgrazia e della rettilinea
valle di Postalesio.
Dissetati alla fontanella, proseguiamo lungo lo sterrato che inizialmente si abbassa di una cinquantina
di metri per poi incedere pianeggiando
fino al bivio nei pressi dell’alpeggio
di baita Salinoni: questo è il punto di
chiusura dell'anello che ci condurrà su
entrambi i versanti della vallata.
Prendiamo a dx e ci abbassiamo di
un centinaio di metri fino a toccare
il fondovalle dove scorre placido
il torrente Cervio. Attraversiamo
un’idilliaca radura in leggera salita
costeggiando i nuclei di baita Serra
(m 1490) e Rasega (m 1501). Un
ponticello (m 1550) ci trasferisce sul
lato dx idrografico dove, passata una
baita in località Grasso dei Caioli
(m 1567), in breve raggiungiamo la
elementare tracciato che si contorce
sui pendii fino alla cima.
Volendo menzionare imprese di
tutt'altro spessore il nostro pensiero
corre al 1923, quando Bruno GalliValerio e Rino Rossi per primi vinsero
la parete N. I due partirono a piedi
dalla stazione di San Pietro (vi erano
giunti da Sondrio col treno delle 4:20
del mattino) e rientrarono nel capoluogo alle 20:45 con una gita che,
mappa alla mano, ha uno sviluppo
di oltre 50 km! È interessante anche
ricordare che, come racconta lo stesso
Galli-Valerio, quando informarono
alcuni contadini della val Cervia delle
loro intenzioni furono prontamente
invitati a desistere: «Non riuscirete
mai, vi ammazzerete.»6
Ma ciò non li scoraggiò e alle 12 gli
alpinisti erano già alla vedretta (oggi
estinta) sotto la N del Corno Stella. La
scalata della parete fu alquanto rocambolesca, su rocce a tratti difficili e che
102
LE MONTAGNE DIVERTENTI casera di val Cervia (m 1624, ore 1).
Alzando lo sguardo verso E scorgiamo
sul versante opposto i pascoli e le baite
che visiteremo al ritorno5.
Procediamo sempre in direzione
S. Il torrente Cervio, che scorre alla
nostra sx, scompare per un breve
tratto per poi riapparire più in alto:
in questo scorcio di tarda estate la
portata d’acqua non è sufficiente a far
sfiorare il canale sotterraneo naturale
che s'inghiotte il torrente.
La pista sterrata ora è molto dissestata e poco curata poiché a questa
quota, fortunatamente, non sono
molti i veicoli che transitano. Dopo
un breve e ripido tratto cementato,
finalmente giungiamo alla baita
Pessoli (m 1923, ore 0:30), capolinea della carrozzabile.
Ci troviamo a un crocevia: a dx
(O) si sale al passo di Valbona che
conduce in val Madre, mentre a sx
5 - In val Cervia sono presenti ben 8 alpeggi su cui
d'estate vengono caricate circa 200 mucche da latte,
assieme a un discreto numero di asciutte, capre e
cavalli.
(E) si va al passo del Tonale che porta
nella valle del Livrio, proseguendo
diritto verso S, invece, si raggiunge il
passo di val Cervia. Noi imbocchiamo
quest’ultima direttrice e, dopo aver
attraversato un piccolo rigagnolo,
iniziamo a guadagnare quota fra radi
pascoli e pietraie per approdare a una
zona pianeggiante conosciuta come i
Pianoni (m 2126). Ancora un po' di
fatica, un ultimo traverso a sx e finalmente siamo al passo di val Cervia
(m 2318, ore 1), dal quale possiamo
dare un’occhiata alla val Carisole,
laterale della val Brembana. Sotto di
noi vi è lo scuro lago Moro, mentre
a dx appare l’abitato di Foppolo con
le sue piste da sci. Si ha un’estesa
panoramica anche sulle lontane vette
delle Alpi Retiche, in primis il monte
Disgrazia (m 3678).
A sx è invece il pendio ovest del
Corno Stella (m 2610) a catturare
la nostra attenzione: da qui è possibile salirvi abbassandosi sul versante
bergamasco di circa duecento metri,
per poi imboccare il ripido ma
Estate 2015
6 - Bruno Galli-Valerio, Punte e passi, traduzione a
cura di Luisa Angelici e Antonio Boscacci, Tipografia Bettini, Sondrio 1998.
LE MONTAGNE DIVERTENTI richiesero loro l'utilizzo della tecnica
della piramide umana: «Affondo la
piccozza in una fenditura per permettere al mio compagno di appoggiarvi il
piede, ricorda Bruno Galli-Valerio, poi
aiutandolo colle spalle, lo spingo in alto.
Dopo molti sforzi, il Rossi può con una
mano toccare la cresta e avendo trovato
un appoggio per l'altro piede, riesce a
passare dall'altra parte. Passo anch'io
aiutato dalla corda.»
Oggi purtroppo non resta traccia
né di camminatori tanto tenaci, né del
ghiacciaio: solamente dopo inverni
particolarmente nevosi un piccolo
nevaio resiste tutta l'estate ai piedi
della parete N del Corno Stella.
Torniamo a noi. Dal passo ci
voltiamo verso N ad ammirare lo spettacolo di tutta la val Cervia appena
percorsa: da qui sembra ancora più
lunga di quello che in effetti è!
Con la pancia piena, dopo una
proficua sosta ristoratrice, riprendiamo la marcia seguendo il tranquillo filo di cresta verso O: il monte
Toro, nostra prossima meta, è lì che
ci invita a raggiungerlo. Una debole
traccia corre lungo lo spartiacque con
alcuni saliscendi e, dopo un facile
tratto roccioso, sbuchiamo sulla vetta
del monte Toro (m 2524, ore 0:30),
al confine tra val Madre, val Cervia e
val Carisole.
Dalla cima scendiamo per la
facile cresta NE (sfasciumi, non vi è
sentiero) puntando all'ardito torrione
di quota m 2465. Lo aggiriamo
da dx, abbassandoci per rottami e
pascoli fino a incontrare il sentiero
della GVO7. Lo seguiamo (sx) e arriviamo al passo di Valbona (m 2324,
ore 0:45), stretto intaglio nella roccia
compreso fra la Sponda Camoscera e
il picco roccioso quotato m 2465.
Riscendiamo in val Cervia, passando
prima per baita Gavazza (m 2154) e
poi traversando in piano a La Piana
(m 2093), fino a divallare alla baita
Pessoli (m 1923, ore 0:45), dove
siamo transitati già alcune ore prima.
Sempre sfruttando la GVO in dire7 - Gran Via delle Orobie - sentiero Bruno Credaro.
Val Cervia
103
Escursionismo
Orobie
zione E, ci abbassiamo nel fondovalle
per rimontare il versante opposto
toccando l’alpeggio di baita Publino
(m 2058, ore 0:20), dove ci intratteniamo con un gruppetto di asini
intenti a pascolare la poca erba
rimasta. Vorrebbero seguirci, ma
riusciamo per fortuna ad allontanarli:
non si è mai visto un gruppo di asini
che si accoda a due somari!
Ora il sentiero principale prosegue
sempre a E e si inerpica verso il passo
del Tonale. Noi invece imbocchiamo
una traccia che diparte a sx (N) e
taglia in leggera salita il costone erboso
ai piedi della cima Tonale. Dopo un
breve tratto dirupato sbuchiamo in un
ampio pascolo recintato da muretti
in sasso, qui perdiamo la via. Non ci
preoccupiamo più di tanto perché il
prato successivo è ben visibile. Insistiamo verso N pianeggiando fino a
pervenire a una breve spalla rocciosa
oltre la quale c’è baita Mattarucchi
(m 2109, ore 0:35) dove ritroviamo
la pista. Il fondovalle è già immerso
nell’oscurità, noi in quota invece ci
godiamo ancora i caldi raggi del sole
che ci accompagnano per tutta la
traversata. Incrociamo un ruscelletto
quasi asciutto con accanto un’enorme
tanica di alluminio piena d’acqua:
evidentemente la portata di questo
rivolo è incostante per cui gli alpeggiatori provvedono a fare scorta nei
periodi piovosi.
Il tracciato scende in diagonale
fino a baita Cerech Bassa (m 1970,
ore 0:30) che sorge ai piedi dell’omonima punta. Gli alberi, in particolare i contorti larici, interrompono
la monotonia delle praterie. Attraversati altri due rigagnoli, saliamo
per un breve tratto e poi ancora
in leggera discesa fino al nucleo
di Casera Caprarezza (m 1900,
ore 0:30). È un alpeggio ben sfruttato, con pascoli curati ed edifici
recentemente ristrutturati: di grande
aiuto è stata sicuramente la carrozzabile che arriva fin qui e allevia di
parecchio le fatiche dei pastori.
Insistiamo su questa rotabile in
discesa passando per Casera Stavello
(m 1738, ore 0:30), che spunta
improvvisamente dopo una curva
nel bosco. Giunti a baita Salinoni
(m 1652, ore 0:30) ritroviamo il
bivio incontrato in mattinata. L’anello
è chiuso, non ci resta che tornare alla
macchina a Campelli. Trotterelliamo
sempre lungo la strada, risaliamo una
breve rampa e sbuchiamo a Fienili
Arale (m 1600, ore 0:30). Provvidenziale ci appare la fontana a cui ci
dissetiamo e riempiamo le borracce.
Anche qui ci sono due asini al
pascolo, ma a differenza dei loro
simili incontrati a baita Publino,
scappano appena ci vedono: forse
“profumiamo” più di loro!
Ricalcando il tracciato del mattino
usciamo soddisfatti dalla valle. Ai
pannelli del parco, imbocchiamo il
sentierino che si abbassa velocemente a
Campelli (m 1265, ore 0:50) e, dopo
30 km e 1700 metri di dislivello positivo, giungiamo sani e salvi all’auto.
Storie di alpinisti e cacciatori
L'11 agosto 1910,
dopo aver rocambolescamente scalato
il Corno Stella
dalla parete N,
Bruno Galli-Valerio
incontra un contadino lungo la via del
ritorno. Questo ha
una doppietta sulle
spalle...
« - Brav'uomo, gli
dico, cacciate prima
del tempo?
- Cosa pensate? Mi
risponde. Ho preso il
fucile perchè ho una
grande paura delle
vipere.
Questa risposta mi
fa ridere e: - Avreste
potuto dirmi che
l'avete preso per difendervi dalle formiche.
Il contadino mi lancia uno sguardo sospettoso da sotto il cappello. Si chiede se non sia per caso una guardia. Al primo
sentiero di traverso, ci augura la buonasera e sparisce nei boschi.»1
1 - Tratto da: Bruno Galli-Valerio, Punte e passi, op. cit..
104
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Val Cervia
105
Alpinismo
Pizzo di Rodes
(m 2829)
Il cuore delle selvagge Orobie è probabilmente la val
d’Arigna. Vi consigliamo un impegnativo tracciato
escursionistico che si svolge nella sua parte occidentale e
regala laghetti alpini, nevai, creste, e, dopo la possibilità di
trascorrere una notte nel caratteristico rifugio Donati, porta
sulla vetta del celebre pizzo di Rodes, da cui si gode uno
dei panorami più estesi dell'intera Valtellina.
Claudio Bormolini
Alba su punta di Santo Stefano (sx) e pizzo di Rodes (dx) ripresa da Montagna in Valtellina. Al centro si nota la
bocchetta
(18 dicembre
2014, foto Beno).
106 del
LE Reguzzo
MONTAGNE
DIVERTENTI
Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo di Rodes (m 2829)
107
Escursionismo
Orobie
Briotti (21 settebre 2013, foto Claudio Bormolini).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
108
Partenza: Briotti (m 1049).
Itinerario automobilistico: Sondrio, SS 38
per Ponte in Valtellina - a Casacce prendere a dx per
Sazzo (m 456) - proseguire in val d’Arigna sino a
Fontaniva (m 814, località meglio conosciuta come
Arigna) - al tornante, svoltare a dx per le contrade
Berniga (m 835), Famlonga (m 925), Prestiné
(m 956), sino a giungere a Briotti (m 1049) ove ha
inizio l’escursione a piedi.
Itinerario
sintetico: Briotti (m 1049) - Prati
di Torre (m 1145) - baite Bernè (m 1236) - baita
Spanone (m 1559) - Santo Stefano (m 1848) baita di Quai (m 1890) - rifugio Donati (m 2504) bocchetta del Reguzzo (m 2621) - pizzo di Rodes
(m 2829) - bocchetta di Santo Stefano (m 2378) lago di Sopra (m 2124) - Santo Stefano (m 1848) Briotti (m 1049).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 10 ore per l'intero giro.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Scarponi consigliati.
Difficoltà/dislivello: 3- su 6 / circa 1800
metri.
Dettagli: EE. Brevi tratti scoscesi e su fondo
scivoloso oltre i m 2600. Passi elementari di
arrampicata per la vetta del Rodes. Possibilità
di neve anche in estate avanzata. Per utilizzare il
rifugio Donati occorre accordarsi con Arialdo Donati
che ne custodisce le chiavi (tel 0342-482000).
Mappe:
- Kompass n.104 - Foppolo-Valle Seriana, 1:50000;
- Carta escursionistica Comunità Montana Valtellina
di Sondrio, foglio 3 - Le valli orobiche, 1:30.000.
Estate 2015
L'
avventura parte da Briotti
(m 1049), amena località del
comune di Ponte in Valtellina posta
su un poggio panoramico a 30 minuti
di guida da Sondrio.
Lasciamo l’auto nei pressi dell’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi alla periferia occidentale del
nucleo, attraversiamo la strada (ex
decauville) per salire alle case del
centro (m 1060) dove si trova una
piazzetta con lavatoio coperto e una
teca con altorilievo che indica i monti
circostanti, i maggenghi e i sentieri
per raggiungerli.
Un sentiero risale i prati e interLE MONTAGNE DIVERTENTI cetta la carrozzabile per i prati Torre.
Guadagnate le baite alte (m 1145), in
direzione SSE raggiungiamo le baite
Bernè (m 1236).
Eccoci al guado sul Tripolo, torrentello apparentemente innocuo, ma
che altrove ha scavato solchi profondi.
Celato da uno spesso strato di muschio
riconosciamo un crot1 per la conservazione del latte. Poco prima delle baite
(cartello di legno), prendiamo a dx
il ripido sentiero per i laghi di Santo
1 - Costruzione a pianta circolare, in pietra a secco
e coperta a cupola. Dimensioni ridotte e grossi
spessori murari, grazie anche all’acqua corrente del
ruscello, garantivano un ambiente fresco adatto alla
conservazione del latte.
Stefano e il rifugio Donati.
La traccia prosegue e avvicina la
baita Spanone (Spanùn, m 1559,
ore 1:15), un rudere nel mezzo di una
radura prossima ad essere inghiottita
dalla vegetazione.
La zona è densa di formicai e la
vista si apre su media e alta Valtellina,
oltre che sulle scure pareti di Druet e
Cagamei.
Il bosco presto si dirada e la via
diventa tortuosa fino a farci scorgere
il muro della diga2 e, più in basso,
2 - Serbatoio a regolazione stagionale, facente parte
del complesso denominato “Venina Superiore-Inferiore”, le cui acque alimentano la centrale di Armisa.
Pizzo di Rodes (m 2829)
109
Escursionismo
la facciata della nuova chiesetta di
Santo Stefano (m 1848, ore 0:45),
edificata in sostituzione di quella più
antica sommersa lago artificiale3.
Al successivo bivio, proseguiamo a
sx passando sotto la casa del guardiano
e percorriamo il lungo tratto pianeggiante che taglia il versante orientale del pizzo Culdera e raggiunge
il baitone di Quai (m 1890,
ore 0:30). Sopra di noi si apre l’omonimo vallone: la via bollata supera
senza sconti di pendenza i quasi
600 metri che ci separano dalla conca
del Reguzzo. Inizialmente il sentiero
segue un torrentello, risalendo i magri
pascoli punteggiati di crap e maròs.
Una pioggerella costante e le nuvole
che corrono basse rendono ancora più
affascinante e solitario questo luogo.
Verso m 2200 il vallone diventa
improvvisamente più impervio e
sassoso, e aprendosi lascia intravedere
l'arrotondata vetta del Rodes.
Questo è sicuramente il tratto più
duro e faticoso. Uno strappo ci regala
un pianoro dall'aspetto lunare: rocce
montonate e blocchi sparsi nascondono un ambiente ricchissimo di
rivoli d'acqua. Siamo intorno a
m 2400; manca poco, ma la stanchezza inizia, o meglio continua a
farsi sentire.
Il sentiero si trasforma in una
traccia ben segnalata (segnavia rosso
e arancio) che, dopo aver aggirato da
dx delle placconate, ci deposita sul
promontorio dove sono collocati il
rifugio Donati (m 2504, ore 1:45) e
l'adiacente bivacco invernale.
Siamo a pochi passi dal lago di
Reguzzo, nelle cui acque limpidissime e calme si specchiano tutte le
cime e le creste circostanti. Un tavolone e delle panche con intagliati i
profili delle vette ci accolgono per una
bella merenda ristoratrice. Qui vicino
si trova anche la stazione nivometeorologica automatica gestita da ARPA
Lombardia le cui misurazioni dimostrano che la conca del Reguzzo è la
L’opera, realizzata negli anni 1928-29, è stata ottenuta innalzando la quota del laghetto naturale omonimo con due dighe a gravità, di cui la principale è
a pianta molto arcuata, con uno sviluppo di 207 m
e un’altezza di 25 m, mentre l’altra ha uno sviluppo
di 70 m e un’altezza di 21 m (fonte Edison Gestione
Idroelettrica).
3 - Per approfondimenti sulla prima parte dell'itinerario si veda: Nicola Giana, Sulle tracce di Santo Stefano, LMD, n.25 Estate 2013 - pagg. 104-113
110
LE MONTAGNE DIVERTENTI Orobie
La mulattiera pianeggiante che collega Santo Stefano al baitone di Quai
(27 giugno 2012, foto Fabio Pusterla).
Lungo la pista pianeggiante che da Santo stefano porta al baitone dei Quai
(20 settembre 2014, foto Claudio Bormolini).
Il lago di Reguzzo e il rifugio Donati (26 settembre 2004, foto Riccardo
Scotti).
All'interno del rifugio Donati si trovano molti comfort (21 settembre
2014, foto Claudio Bormolini).
Pizzo di Rodes
(2829)
Pizzo di Scotes
(2978)
Passo Biorco
(2620)
Bocch. del Reguzzo
(2621)
Pizzo di Rodes
(2829)
Bocch. del Reguzzo
(2621)
Punta di Santo Stefano
(2693)
Lago di Reguzzo
Rif. Donati
Panoramica dalla punta di Santo Stefano. Indicate la traccia di salita dalla Donati al Rodes per la bocchetta del Reguzzo e quella di discesa dal Rodes
verso la bocchetta di Santo Stefano. Quando il fondo non è nevoso si affrontano chine d'erba, di sfasciumi e placche (2 giugno 2009, foto Beno).
Rif. Donati
(2504)
VA
LL
ON
E
DE
L
QU
AI
Rodes e punta di Santo Stefano visti da E (2 ottobre 2011, foto Marino Amonini).
Estate 2015
zona più nevosa dell'intera provincia.
La notte trascorre serena nell'accogliente tepore del rifugio che, di
proprietà dei CAI Valtellinese, offre
14 letti, acqua, stoviglie, fornelletto e
stufa a legna.
All'alba ha inizio l'ultima parte
dell'ascensione a quello che, con
una grossa iperbole, è stato definito
il Cervino di Piateda. Ci dirigiamo
decisamente a NE puntando all'eLE MONTAGNE DIVERTENTI vidente intaglio tra il pizzo di Rodes
a sx e la punta di Santo Stefano a
dx. La traccia corre dapprima tra
detriti, quindi una ripidissima rampa
erbosa ci conduce alla bocchetta del
Reguzzo (m 2621, ore 0:30) che
ci catapulta in un ambiente incredibilmente spettrale: la valle cinta
da punta di Santo Stefano, pizzo di
Rodes e dai contrafforti rocciosi della
sua cresta NNO è una distesa di rocce
montonate e detriti, dove talvolta la
neve rimane anche per tutta l'estate.
Qui fino agli anni '30 vi era un ghiacciaio, ora ridotto a nevaio non sempre
permanente. Il cupolone del Rodes è
dritto a S e per raggiungerlo non ci
resta che individuare il tracciato meno
problematico tra placconate, neve e
detriti. Non vi è via obbligata, i tratti
di “arrampicata” sono semplici e brevi;
talvolta, per di più, il consistente
Pizzo di Rodes (m 2829)
111
Escursionismo
Pizzo di Coca
(3050)
Pizzo di Scotes
(2978)
Pizzo di Porola
(2981)
Punta di Scais
(3039)
Pizzo di Redorta
(3039)
Dente di Coca
(2925)
Pizzo Cavrel
(2825)
Tramonto in vetta al Rodes (3 novembre 2007, foto Beno).
Punta di Santo Stefano
(2693)
Bocch. di Santo Stefano
(2380)
La valle e la punta di Santo Stefano dal primo lago (21 settembre 2013, foto Claudio Bormolini).
La valle tra il pizzo di Rodes e la punta di Santo Stefano, innevata talvolta anche d'estate (2 giugno 2011, foto Beno).
passaggio di escursionisti disegna una
traccia che agevola l'orientamento.
Giunti in vetta (pizzo di Rodes,
m 2829, ore 0:40) siamo colpiti
dal vastissimo paesaggio. Particolarmente istruttiva è la vista sul gruppo
centrale delle Orobie, di cui si distin-
112
LE MONTAGNE DIVERTENTI guono le vette principali. Leggenda
vuole che da qui si veda addirittura la Madonnina del Duomo di
Milano, ma chiunque abbia raggiunto
la cima potrà sicuramente smentire
tale diceria! Sul versante meridionale
della montagna occhieggia il laghetto
del Rodes e, molto più in basso, al
confluire di val Vedello e val Caronno,
una porzione del lago di Scais. A SE
si scorgono, ai piedi del pizzo Biorco,
il lago degli Uomini e il lago delle
Donne. Se ci voltiamo, in lontananza,
abbiamo una carrellata completa delle
Estate 2015
Alpi Retiche, dalla val Masino al
gruppo Ortles-Cevedale.
Per il rientro ci abbassiamo nel
vallone appena salito fino a superare
l'edificio sommitale della punta di
Santo Stefano e raggiungerne la base
della sua cresta NO, dove si trova
LE MONTAGNE DIVERTENTI (cartello) l'intaglio della bocchetta di
Santo Stefano (m 2380, ore 1).
Questa mette in comunicazione
il vallone dell'Alpe di Piateda con il
vallone dei laghi di Santo Stefano,
nostra prossima tappa. Smontiamo
così dallo spartiacque in direzione NE
e seguiamo la traccia che si fa via via
più marcata e che, dopo aver attraversato i tre ripiani glaciali che ospitano i laghi, ci porta a Santo Stefano
(m 1848, ore 1:15), da cui, per la
via dell'andata, torniamo a Briotti
(m 1047, ore 1:45).
Pizzo di Rodes (m 2829)
113
Escursionismo
Orobie
Rifugio O
ttorino donati
R
ai piedi del pizzo di
odes
I
l 17 agosto 1985, domenica, la giornata non era delle più limpide.
Una fresca brezza accompagnò molte persone nella salita ai m 2504 del
lago di Reguzzo, dove l'atmosfera fu subito riscaldata dall'entusiasmo
degli amici di Ottorino Donati che in sua memoria avevano costruito e si
accingevano a inaugurare un nuovo rifugio nel cuore del gruppo centrale delle
Alpi Orobie, proprio ai piedi del pizzo di Rodes.
Il rifugio Ottorino Donati e il bivacco invernale situati nei pressi del lago di Reguzzo (9 luglio 2011, foto Roberto Ganassa).
A
ppuntamento
rispettato,
domenica 31 agosto 2014
ai piedi del pizzo di Rodes, per
coloro che son saliti lassù a condividere un significativo compleanno:
i trent’anni del rifugio Ottorino
Donati.
Una quarantina di amici non si
sono lasciati intimidire delle bizze
del meteo e hanno aderito alla
semplice iniziativa promossa da
Arialdo Donati, anima del gruppo di
volontari che trent’anni fa eresse la
struttura.
Si è potuto anche ammirare il
nuovo tavolo di legno posto all'esterno del rifugio con ricamati i
nomi delle vette circostanti e l’ordinata staccionata realizzata per contenere gli imbrattamenti di capre e
selvatici che frequentano la zona.
Sono stati accolti con letizia don
Angelo Mazzocchi, parroco di
Piateda, che ha celebrato la Santa
Messa, i carabinieri di Ponte con
il comandante Battista Ellena e il
decano di Briotti Pierino Donati,
forte dei suoi 87 anni.
setemap
orientarsi nello spazio.it
Cartografia Escursionistica
Applicazioni Web Isimap
Rilievo Sentieri Tematici
Comunicazione Turistica
Escursionistica
Progettazione Segnaletica
Verticale su Piste Ciclabili
Pannelli Cartografici Tematici
114
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LE MONTAGNE DIVERTENTI 0342.200296 [email protected]
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Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI La breve cerimonia è stata introdotta dal saluto del sindaco di Ponte
Valtellina Franco Biscotti che ha
espresso un vivo apprezzamento per
quanto si è fatto allora e quanto si
conserva oggi; il rifugio è insostituibile punto di riferimento del
versante per appassionati escursionisti che vogliono godere degli straordinari scenari di quella quota.
Un piacevole spuntino ha poi
accomunato tutti in allegria, anche
i ritardatari giunti dalle bocchette
attorno al Rodes. E per concludere
l’inossidabile Claudio “del Belgio”
ha pescato dalle limpide acque del
lago di Reguzzo una preziosa bottiglia di champagne Veuve Clicquot
per corroborare il buonumore dei
presenti che si accingevano alla
lunga discesa a piedi fino a Briotti.
Questo in sintesi è quanto accaduto nel 2014, ma meritano certo
maggior attenzione le ragioni che 30
anni fa hanno portato a erigere un
rifugio lassù, a oltre m 2500 ai piedi
della piramide del pizzo di Rodes
(m 2829).
AMICI DI BRIOTTI
A cavallo tra gli anni '70 e '80 un
pugno di giovani, amici per la pelle
e arditi quanto basta per inventarsi audaci prove sportive (corse in
montagna, discese e sci alpinismo
tanto sui prati di Briotti, che sugli
aspri fianchi della val d’Arigna)
diedero vita all'associazione “Amici
di Briotti”, con sede e cuore pulsante
nell'omonima contrada orobica del
Comune di Ponte in Valtellina.
Dinamici e attivi organizzarono
manifestazioni atte a richiamare interesse e curiosità; dai 40 soci iniziali
l’associazione arrivò a contarne
un'ottantina, tesserandosi alla FISI e
dotandosi di un geniale mini skilift
smontabile con 250 metri di fune
che fu installato talvolta sui pendii di
Briotti, talvolta sui nevai del Scimur
in alta val d'Arigna.
Un anno i soci proposero persino
lo sci estivo sui ripidissimi pendii
sotto il Coca, portando in elicottero
l’impianto e passando una decina
di giorni al bivacci Corti tra sciate e
birre, musica e cantate.
Pizzo di Rodes (m 2829)
115
Approfondimenti
Orobie
Gli "Amici dei Briotti" dopo una gara di sci. Da dx Ottorino Donati, Loris
Folini e Arialdo Donati (anni '70, foto archivio famiglia Donati).
La seconda stagione di lavori per la costruzione del rifugio Donati
(estate 1984, foto archivio famiglia Donati).
La messa per l'inaugurazione del rifugio Donati (17 agosto 1985, foto
Marino Amonini).
Durante l'inaugurazione viene anche consegnata una targa al Claudio "del
Belgio" (17 agosto 1985, foto Marino Amonini).
Ottorino Donati col suo deltaplano (fine anni '70, foto archivio famiglia Donati).
OTTORINO DONATI
Della compagnia faceva parte Ottorino Donati, un ragazzone del ’58,
simpatico e spericolato, allegro e scanzonato, praticante lo sci alpinismo e
adepto della nuova disciplina che si
stava imponendo in quegli anni: il
deltaplano.
Spiccava il volo dal piz Culdera o
addirittura dal cocuzzolo del pizzo di
Rodes; grandi vuoti si aprivano sotto
di lui, ripagando con adrenalina la
faticosa salita sotto il peso di un voluminoso zaino colmo di attrezzatura.
Un tragico schianto automobilistico alle porte di Sondrio, sotto un
violento temporale, lo rapì ai suoi
cari e alle piccole frazioni di Arigna e
Briotti il 1 luglio 1983.
Morire a venticinque anni lascia
indelebili cicatrici nei cuori degli
amici.
LA SCINTILLA
Il cugino di Ottorino, Arialdo
Donati, una settimana dopo la
scomparsa di Ottorino salì al lago di
Reguzzo, ai piedi del pizzo di Rodes
e Biorco.
116
LE MONTAGNE DIVERTENTI Solo, con la mestizia nell’animo e
il vuoto nel cuore lasciato dall’amico,
assaporò l’intensa spiritualità della
montagna che rendeva i ricordi ancor
più struggenti.
Lo shock per la morte di Ottorino
avrebbe potuto sgretolare quel gruppo
capace di tante iniziative. Nacque così,
lassù, l’idea di costruire una struttura
in memoria di Ottorino.
L’AZIONE
Arialdo, comunicata l'idea a suo
fratello Amerino e a suo padre Pietro,
radunò gli amici per pianificare i
lavori. Seguirono mesi di telefonate, riunioni e incontri, confronti e
verifiche.
L’associazione, al di là delle quote
del tesseramento, aveva la cassa
prosciugata; partì una sottoscrizione
tra amici, familiari, i tanti ospiti che
frequentano Briotti e la val d’Arigna
d’estate, gli sportivi che partecipavano
alle gare, artigiani ed enti.
In pochi mesi, chiedendo casa per
casa, si raccolsero trentatre milioni di
lire; cifra significativa per organizzare
il cantiere.
Piercarlo Stefanelli di Sondrio,
professionista ben conosciuto in
zona per essersi occupato di numerose residenze estive e amico degli
intraprendenti giovani de “Amici di
Briotti”, elaborò un progetto semplice
ed essenziale. Ai comuni di Ponte in
Valtellina e di Castello dell’Acqua
il compito di verificare e rilasciare le
necessarie autorizzazioni.
Il senatore Libero Della Briotta
(1925-1985) si prodigò per le
concessioni e sensibilizzò Comunità
Montana ed enti affinché sostenessero
l’iniziativa; anche il CAI di Sondrio fu
parte attiva.
Nella primavera 1984 i giovani
“Amici di Briotti” erano già pronti a
salire al Reguzzo, e appena il meteo
lo permise raggiunsero, ispezionarono
il sito, studiarono la giusta collocazione del manufatto e soluzioni per il
trasporto del materiale.
IL CANTIERE
Arialdo e Amerino Donati, Eligio e
Claudio Famlonga, Claudio Moretti
“del Belgio”, Giuseppino Moretti,
Ivo Berniga furono i primi sherpa a
Estate 2015
portarsi sulle spalle i pesanti carichi da
Santo Stefano al Reguzzo; la Sondel,
infatti, aveva collaborato trasportandoli con il carrello lungo il piano
inclinato che dalla centrale di Armisa
(m 1041) giunge al primo dei tre
laghi di Santo Stefano (m 1848) .
Arialdo con mazze, badili, picconi
e punte; Amerino con carriola in
groppa; Ivo attrezzi vari, Eligio la
tenda, i due Claudio i viveri, Giuseppino le bevande, tante.
Una volta al Reguzzo, in quell'ambiente inospitale arredato con
sfasciumi, placconate e chiazze di
neve, più volte si chiesero: «Ma chi ce
lo ha fatto fare?»
La domanda se la posero di nuovo
la notte, quando alle 22 scoppiò un
furioso temporale che prima scosse,
poi fece a brandelli la tenda, costringendo gli sventurati a passare la notte
nello scomodo e misero riparo offerto
da alcuni grossi massi.
Bastò però il sole del mattino a
riportare il buon umore.
L'estate fu spesa a individuare,
LE MONTAGNE DIVERTENTI raccogliere e squadrare i sassi occorrenti per costruire fondamenta e basamento, quindi ad accantonare quelli
necessari a erigere il rifugio.
L’anno successivo furono acquistati i materiali mancanti che l’elicottero, il Lama dell’Elitellina pilotato
dal virtuoso Rubis, portò da Briotti
al Reguzzo sfidando le insidie delle
correnti e delle scighére.
La struttura, che prendeva rapidamente forma, incuriosì molti; così che
la schiera degli arditi ricevette l'aiuto
di altre preziose braccia. Non mancarono i villeggianti e lo stesso sindaco
Luigi Tempra, saliti al Reguzzo per
verificare, sostenere e incoraggiare
lo sforzo di quella pattuglia di incoscienti ma bravi giovanotti di Briotti
e dintorni.
Nell'autunno 1984, la prima neve
indusse ad abbandonare il cantiere,
ma alla primavera successiva, dopo
vari sopralluoghi con gli sci, si decise
un primo trasporto con l’elicottero: un carico di sacchi di cenere
da spargere sulla piazzola per favo-
rire il rapido scioglimento della neve
e consentire in sicurezza di effettuare
altri voli per un’altra estate di cantiere.
Per proteggersi di notte e riporre
gli attrezzi fu utilizzata una baracca,
essenziale ma ben fatta.
Una notte però la violenza dell’ennesimo temporale, allentò le funi
che la ancoravano. Questa volò così
lontano da disperderne le tracce e i
volontari passarono la notte tremanti
protetti solo dai loro sacchi a pelo
fradici1.
Al Reguzzo il bel cameratismo dei
volontari diventava letizia durante
i pasti; certo non si esagerava col
cibo, sebbene la specialità regina
fosse la cropa di cui il Giuseppino era
"maestro di paiolo".
Nell’estate del 1985 vennero inseriti gli arredi, curati interamente dalla
falegnameria Botacchi di Chiuro
ai cui si aggiunsero i letti a castello
1 - Che al Reguzzo i temporali siano particolarmente furibondi lo dimostra il fatto che il basamento del pennone della bandiera, formato da blocchi disposti a opus incertum, a furia di incassare
scariche elettriche si è fuso.
Pizzo di Rodes (m 2829)
117
Escursionismo
Torna
in Valtellina il Festival Jazz più atteso dell’estate.
Orobie
AmbriaJazz è un festival itinerante di jazz e musica contemporanea che si tiene ogni estate in Valtellina. Il festival è teso alla
valorizzazione di luoghi caratteristici della provincia attraverso
proposte musicali sempre diverse: si suona presso centrali
elettriche, miniere, ville patrizie, chiese e castelli.
Con la sua offerta di musica dal vivo (sempre gratuita grazie al
contributo di enti e sponsor), AmbriaJazz ha saputo richiamare
dal 2009 in Valtellina nomi importanti a livello internazionale
(Paolo Fresu, Francesco Bearzatti, Gianluca Petrella, Hamid
Drake, Paolo Angeli), offrendo nel contempo spazi a molti altri
artisti di qualità.
L’ultimo sabato di luglio non può mancare l’appuntamento ad
Ambria in Val Venina, nel Comune di Piateda; 1.325 metri, dove
si incrociano i torrenti Venina e “Zapél”, poche abitazioni ben
tenute, abitate solo d’estate. Lì si è scelto di portare il progetto
più carico di messaggi umani perché lassù la gente merita
un’occhio di riguardo, un evento in punta di piedi, carico di
rispetto per coloro che hanno aperto le porte di casa, “tarano”
la polenta per tutti i partecipanti, ripuliscono la strada e falciano
il prato della Chiesa dove suoneranno i musicisti che vengono
accolti a braccia aperte come vecchi amici venuti da lontano.
Musiche e balli durante la cerimonia di inaugurazione del rifugio Donati (17 agosto 1985, foto Marino Amonini).
donati dai familiari dei compianti
Erminio e Luigi Faccinelli.
Il “Rifugio Donati Ottorino, s.m.
2.504” - così recita la dedica scolpita
sull’architrave in ghiandone all’ingresso - era pronto.
“Sono passati sette anni ed il Festival è diventato
una presenza significativa in Valtellina, sono venuti
musicisti bravissimi, persone meravigliose che non
scorderemo più, si lavora insieme su tante belle
idee, si cresce concerto dopo concerto.
Sicuramente AmbriaJazz ha avuto la fortuna di
essere riconosciuto un buon progetto dagli Enti
pubblici e privati che lo finanziano, ma senza il
contributo di ogni singola persona che ha dedicato
tempo, energie, denaro ed in cambio non chiede
altro che ascoltare del buon jazz, non ci potrebbe
essere il Festival che conosciamo. Ormai esso è
dotato di una propria identità e sotto il suo nome
convogliamo tutti come una grande famiglia,
ognuno con il suo compito, tutti bravissimi... e io
mi commuovo di fronte a tutto questo.”
L’INAUGURAZIONE
Domenica 17 agosto 1985, giornata
fredda, ma non negli animi di chi si
era recato lassù al Reguzzo.
Una tazza di vin brulè o caffè
bollente a ritemprare la fatica della
scarpinata, poi via all'inaugurazione.
La messa fu celebrata da Padre
Antonio, un frate cappuccino, e
accompagnata dal Coro Vetta di
Ponte in Valtellina.
Poi i brevi saluti del presidente del
CAI Stefano Tirinzoni, del sindaco di
Ponte Luigi Tempra, tesi a cogliere i
tanti risvolti significativi dell’opera e
ad esprimere apprezzamento e gratitudine a coloro che si erano prodigati
nella sua realizzazione.
Anche una targa consegnata a un
emozionato Claudio “del Belgio”
suggellò il momento cerimoniale.
Giovanni Busetto
Direttore artistico AmbriaJazz
Il programma degli eventi di quest’anno
è pubblicato
sulDIVERTENTI
sito www.ambriajazz.it
LE MONTAGNE
118
Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI La cropa ed eccellente vino retico
fecero poi esplodere la festa, resa
ancora più sonora e allegra dal
complessino musicale e dalle voci di
coristi e solisti presenti.
Anche il sole, a tratti, si mostrò al
Reguzzo e il richiamo del pizzo di
Rodes, a due passi, calamitò sguardi e
voglia di salire.
IL BIVACCO
Non paghi di aver realizzato il
rifugio, gli stessi amici, Arialdo ed
Amerino in testa, nel 1996, godendo
di contributi erogati dalla Comunità
Montana di Sondrio si mobilitarono
per costruire il bivacco invernale e
locale bagno; una struttura sempre
aperta2 per chi necessitasse di un ricovero in quei luoghi remoti.
Il bivacco, la cui forma richiama
quella dell'adiacente rifugio, anche
grazie alla maestria di Mauro Del Po
e alla disponibilità di Peppino Della
Cagnoletta, fu completato in una sola
stagione.
2 - Per utilizzare la Donati occorre invece chiedere le
chiavi a Arialdo Donati - tel. 0342-482000.
ESTATE DI GARE TRA BRIOTTI E
DONATI
Due appuntamenti podistici organizzati da i Dolcissimi asd 3 caratterizzeranno l'estate 2015 a Briotti.
Si inizierà domenica 23 agosto
2015 alle ore 9 con il I Vertical
Reguzzo 1.5 - memorial Loris Folini,
una corsa in montagna di 12 km per
superare i 1500 metri di dislivello
positivo che separano i Briotti dal
rifugio Donati.
Sabato 12 settembre, invece, sarà il
turno de La mezza dell'acqua. Atleti
e famiglie, con partenza dal Dosso
del Grillo (Briotti) alle ore 16:30,
potranno scegliere su che distanza
cimentarsi: 5 km, 10 km, oppure
21 km, correndo in piano lungo la ex
decauville, ad una quota di m 1000.
Il tempo realizzato sui 10 km sarà
valido come seconda prova del Tris
Orobico, circuito di tre gare sulla
sponda orobica della media Valtellina promosso da Castelraider asd4.
3 - Info: www.idolcissimi.it
4 - Info: www.castelraider.it
Pizzo di Rodes (m 2829)
119
Rubriche
Lena
il fiume dei Mammut
Testi e foto Eliana e Neno Canetta
L’immenso territorio della Siberia è attraversato da tre fiumi
tra i più grandi del mondo: l’Ob, lo Enissey e la Lena.
Quest' ultima, lunga 4400 km, nasce non lungi dal Lago
Baikal, esattamente dal versante occidentale dei monti omonimi.
Compresa interamente in Russia, ne costituisce il corso d’acqua
più lungo. Il suo ciclopico bacino idrografico misura all’incirca
2 500 000 km2, cioè 3 volte quello del Danubio. La Lena, infine,
sbocca nel mare Glaciale Artico con un immenso delta di oltre
32 000 km2 in cui si snodano le circa 45 bocche del fiume.
120
LE MONTAGNE DIVERTENTI Sole di mezzanotte nella laguna di Tiksi (12 agosto 2014).
Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Lena, il fiume dei mammut
121
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
3,5 cm
Come mai ci siamo interessati a questo lontano fiume russo?
0169 WIND CHIME PAN 14-4002
TuttoTPX
iniziò nel gennaio 2008, quando fummo parte di un gruppetto di quattro
italiani che atterrò nel gelido aeroporto di Yakutsk, la capitale della lontana Yakutia,
la repubblica più vasta e fredda dell’immenso territorio della Federazione Russa.
0741 ORANGE.COM PAN 18-1561 TPX
8,3 cm
3,5 cm
1806 LIME PUNCH PAN 13-0550 TPX
2,9 cm
Yakutsk, piazza Lenin (19 agosto 2014, foto Canetta).
2 cm
8 cm
I
l termometro segnava -42 °C,
ma la popolazione della città ben
intabarrata, specie le donne in lunghe
pellicce, non sembrava preoccupar2043 MYKONOS BLUE PAN 18-4434
TPX
sene più di tanto. Dopo una breve
sosta turistica, ripartimmo assieme
a uno statunitense di Denver su un
pulmino 4x4 che, con una lunga
traversata verso oriente, raggiunse
Tomtor e Ojmjakon, ovvero le località abitate più fredde del pianeta.
Fummo particolarmente fortunati
poiché era da anni che non si registrava un freddo così intenso e riportammo a casa il nostro diplomino con
indicata la temperatura di -66 °C,
anche se sul fiume Indigirka, ove ci
eravamo recati a pesca, pare che il
termometro fosse sceso a -68 °C!
Appena usciti da Yakutsk, il pulmino
traversò l’immane distesa di ghiacci
della Lena, fiume che non è superato
ancor oggi da ponti, poiché durante
il disgelo primaverile la corrente
unita agli iceberg distruggerebbe ogni
struttura1.
Durante la sosta a Yakutsk, Eliana
ed io scoprimmo che vi era un
servizio di crociere, invero abbastanza
1 - La Russia in tempi recenti sta progettando di
erigere, nei pressi del capoluogo, un enorme ponte
sospeso.
122
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI avventuroso, che portava alle Torri
della Lena e poi giù verso nord sino
all’avanposto sperduto di Tiksi, unico
porto della Yakutia sul mar Glaciale
Artico, ben oltre il Circolo Polare.
Da allora ci era rimasta la voglia di
provare questa originale crociera, pare
del tutto ignota ai viaggiatori italici.
osì, sette anni dopo, nell’agosto del 2014, torniamo a
Yakutsk per meglio conoscere la
città, ma soprattutto per imbarcarci
sul confortevole battello e trascorrervi 14 giorni. Del gruppo italiano
del 2008 siamo rimasti solo noi
due. In compenso è con noi Larissa,
la bella, brava e simpatica russa
di Syktyvkar che ormai da anni ci
accompagna nelle escursioni nel suo
paese.
Yakutsk è una città di circa
270 mila abitanti dall’aspetto piacevolmente moderno. Eretta completamente sul permafrost, molte delle
sue case sono costruite su apposite palafitte, di modo che la struttura non si muova durante la breve
estate, stagione relativamente calda2,
contrariamente a quello che molti
pensano, a causa di un tipico clima
C
2 - La temperatura media di luglio a Yakutsk è di
18,9 °C, contro i -42,9 °C di gennaio.
continentale. Per le strade quindi
non mancano belle ragazze in minigonna e si nota la commistione al
50% tra gli yakuti, di antica etnia
turca, e i russi propriamente detti.
Impossibile non citare taluni musei
eccezionali, in particolare quello del
mammut, i cui resti ancor oggi si
trovano tanto frequentemente nel
paese che ai turisti - pare incredibile vengono venduti oggetti scolpiti nelle
zanne del colosso morto 10 mila anni
orsono. Ancor più impressionante è il
Tesoro, ove sono raccolti diamanti, di
cui la Yakutia è il secondo produttore
al mondo, pepite d’oro e di platino
e oggetti in pietre dure lavorati con
tale ricchezza e maestria da renderli
veri patrimoni artistici. A metà di
viale Lenina vi è la piazza Lenin dove
troneggia, lo sguardo e la mano tesa
verso il futuro, la statua del grande
rivoluzionario, che forse non gradirebbe scoprire che, in questo lontano
avamposto del potere moscovita
eretto in luogo di una fortificazione
cosacca, vi sono più gioiellerie che in
via Monte Napoleone a Milano.
Il giorno successivo ci svegliamo
più a sud di Yakutsk perché abbiamo
navigato verso le sorgenti, in vista
di una selva di torri e canne d’orLena, il fiume dei mammut
123
Rubriche
Yakutsk, al museo dei mammut (3 agosto 2014).
gano3 composte da calcari, dolomiti
e ardesie, alte dai 150 ai 300 metri,
così slanciate da fare invidia alla
Grignetta. In effetti qui un arrampicatore sportivo troverebbe pane per i
3 - Le singolari formazioni rocciose sono state originate dai forti sbalzi termici che caratterizzano il
clima di questa parte di Siberia.
124
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valtellinesi nel mondo
Yakutsk - museo etno: lo sciamano (3 agosto 2014).
suoi denti, ma queste rocce, risalenti
al più antico paleozoico4, sono state
inserite all'interno del Parco naturale Pilastri della Lena e proclamate
nel 2012 Patrimonio dell’Umanità
dall’UNESCO. Quando sbarchiamo,
4 - Per l'esattezza risalgono al Cambriano, era geologica collocata circa 500 milioni di anni fa.
ai piedi delle torri della Lena, una
famiglia di yakuti ci accoglie con riti
tradizionali di benvenuto, poi gambe
in spalla per un buon sentiero, non
privo di segnaletiche che avvisano
dell’eventuale presenza di orsi bruni,
raggiungiamo la sommità più elevata
di questo settore di pilastri. Il panoEstate 2015
Cartello di pericolo orsi lungo il sentiero per i pilastri della Lena
(7 agosto 2014).
La Lena vista dall'alto dei pilastri (7 agosto 2014).
I pilastri della Lena (7 agosto 2014).
Zhigansk. Benvenuto sulla spiaggia con costumi eveni (10 agosto 2014).
rama è immenso: il fiume costellato di isole e poi, più in là, boschi
a perdita d’occhio e nessun segno di
antropizzazione5.
I giorni successivi il battello
discende per un gran tratto verso
nord; ogni tanto lungo le rive qualche
minuscolo villaggio, poi per ore più
nulla finché, dopo un paio di notti,
ecco uno strano monumento a indicare che stiamo per tagliare il Circolo
Polare. L’equipaggio cortesemente ci
avverte di non salire al segnale, perché
pericoloso dato il terreno franoso.
Risultato: russi, italiani, svizzeri e
inglesi si lanciano in una corsa sfrenata per vedere chi arriva primo. Più
sotto il cuoco arrostisce sul fuoco di
legna gli shashlik, spiedini di carne e
pesce che consumiamo, bagnati di
vodka, in una notte in cui il tramonto
sembra non avere mai fine.
A proposito di nazionalità: sulla
nave siamo un centinaio di turisti, la
maggioranza russi, ma non mancano
5 - La Yakutia ha una superficie di 3 milioni di km2,
cioè 10 volte l'Italia, ed è abitata da meno di
1 milione di persone!
LE MONTAGNE DIVERTENTI ucraini e abitanti della Crimea, i cui
rapporti reciproci sono invero assolutamente ottimi. Qui sulla Lena la
guerra dell’Ucraina appare quanto di
più lontano e stupido si possa immaginare. Per il resto vi è mezza Europa:
italiani e spagnoli, danesi e inglesi,
svizzeri e tedeschi. Quando ognuna
delle nazionalità deve prodursi in uno
spettacolo noi temiamo ci chiedano di
cantare O sole mio, poiché per i russi
(… e non solo) è difficile comprendere che non tutti gli italiani cantino
queste note, accompagnati da mandolini e mangiando pizza.
Poco oltre il Circolo eccoci a
Zhigansk un grosso villaggio ove
sbarchiamo accolti da un comitato di
benvenuto in perfetto costume eveno.
Gli eveni erano la popolazione che
occupava queste zone non solo prima
dell’arrivo dei russi, ma anche prima
degli yakuti. Bella gente dai tratti
chiaramente mongolici, che abitava in
tende molto simili a quelle dei pellirosse americani che, non dimentichiamolo, non sono altro che siberiani
che, passando lo stretto di Bering,
molte migliaia di anni avanti Cristo
migrarono dall’Asia all’America.
Lungo via Sovietica attraversiamo
la cittaduzza, tutta di case di legno,
ove non mancano negozi ben forniti e
antenne satellitari. Raggiungiamo così
la nuovissima chiesa, eretta in questi
ultimi anni in luogo dell’antica rasa
al suolo dai bolscevichi. Nei pressi
un bel museo con le solite zanne di
mammut e dei curiosi panciotti in
pelle di pesce. Fuori i ragazzi della
scuola hanno organizzato uno spettacolo di danze e cori folcloristici. Roba
per turisti penserà qualcuno. Attenzione, la nostra cittadina è raggiungibile solo in elicottero o dal fiume, ma
di crociere turistiche, se tutto va bene,
ne arrivano tre all’anno. Guardando
gli eveni abbiamo l’impressione che
loro siano meravigliati quanto noi
nel vederci anche perché nel raggio
di centinaia di chilometri attorno,
a parte qualche casa di cacciatori e
boscaioli, non v’è null’altro.
Ripartiamo verso nord e attracchiamo a Kyusyur, un altro villaggio
non molto diverso dal precedente ma
Lena, il fiume dei mammut
125
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
Il sole di mezzanotte oltre il Circolo Polare Artico (11 agosto 2014).
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126
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
forse più semplice. La via centrale
ricorda la Rivoluzione d’Ottobre,
sebbene non manchi un recente
monumento che richiama alla
memoria le deportazioni dell’epoca
di Stalin. Ci offrono buone specialità
locali a base di pesce e renna, mentre
ci mostrano oggetti dell’artigianato
locale tra cui curiosissimi gioielli a
base di ossa di pesce che purtroppo
Eliana deve rinunciare a comperare
perché gli ultimi sono stati acquistati da qualche tedesco, al passaggio
della nave un mese prima.
Sulla nave si mangia molto bene:
un'interessante cucina russa. Le
specialità yakute sono il pesce congelato consumato crudo assieme a sale
e erbe e la carne di cavallo, oppure di
renna, oltre a prodotti della caccia.
Quanto al terreno gelato, produce
pochissimo se non nell’estremo
sud della repubblica. Insomma in
Yakutia a scavare è più facile trovare
diamanti, oro o carbone - per non
parlare delle ossa di mammut - che
patate.
La nave infila il cosiddetto Canale,
le rive si rinserrano, non vi sono
più isole e la Lena è larga solo (si fa
per dire) 2 chilometri. Per decine di
miglia ammiriamo un'imponente
catena montuosa spianata dalle ere
geologiche e dai ghiacci. La vegetazione è quasi sparita: siamo in
piena tundra e gli alberi sono ormai
solo un ricordo. In compenso, tra
LE MONTAGNE DIVERTENTI Tiksi. Simboli del regime comunista (12 agosto 2014).
calanchi e torri rocciose il panorama
è realmente mozzafiato. Tanto più
che verso mezzanotte il cielo si tinge
di un rosso sanguigno che ci ricorda
come a nord del Circolo il sole per
settimane non tramonti. Usciti dal
Canale ecco davanti a noi il delta,
tanto piatto che a stento possiamo
distinguerlo dalle onde circostanti.
La nave piega a est e si immette in
una laguna. La costa è costituita
ancora da montagne coperte di
tundra. Alle prime ore del mattino
giungiamo allo sbarco. Un piccolo
golfo ove un barcone fa da pontile.
Ci accolgono alcuni militari della
locale guarnigione, assai cortesi,
che devono controllare il passaporto
di tutti, russi compresi. Le coste
del mar Glaciale sono considerate
a Mosca area strategica e quindi,
come del resto nelle zone vicine al
confine, si è sottoposti a particolari controlli superati i quali si è
peraltro liberi di girare a piacimento.
E così saliamo su pulmini 4x4 che
su una strada sterrata tutta buche
ci portano a Tiksi, che per molti di
noi rappresentava un po’ la meta del
viaggio. Nulla di turistico intendiamoci: grossi casermoni in cemento
ricordano i fasti di questo centro,
eretto negli anni dello stalinismo
e poi divenuta una base militare
importante. Oggi, che i tempi sono
cambiati,Tiksi è un po’ decaduta e
i suoi 5 mila abitanti sono circa la
metà di quelli dell’epoca della guerra
fredda. Un bel centro culturale ci
accoglie per l’usuale spettacolo di
danze e canti, poi passeggiamo liberi
per le strade fangose, pensando come
deve essere la vita da queste parti nel
lungo inverno, in cui per parecchi
mesi il sole non sorge6. Notiamo
vecchi murales di propaganda ma
pure un museo che, seppur un po’
vecchiotto, è di grande interesse. Tra
l’altro scopriamo che d’inverno qua
capita pure di imbattersi negli orsi
bianchi che, sulla superficie del mare
gelato, giungono dalla banchisa
polare. Una saletta è poi dedicata a
un'impresa incredibile: un gruppetto
di abitanti di Tiksi è partito in sci da
fondo dalla cittadina e, risalendo la
Lena per oltre un migliaio di chilometri, è giunto a Yakutsk in 3 mesi
dormendo in tenda. Una proposta
per taluni sportivi estremi di casa
nostra! Anche qui non mancano
piccoli negozi dove facciamo rifornimento di ciò che non è disponibile
a bordo, sollevando visibile curiosità
poiché probabilmente siamo tra i
primissimi italiani che si siano aggirati tra le case di Tiksi.
Quando ripartiamo è ormai sera
e sulla laguna che riattraversiamo
verso il Canale uno splendido e
fiammeggiante sole di mezzanotte ci
saluta.
6 - La temperatura massima media in inverno è
-27°C!
Lena, il fiume dei mammut
127
Fauna
Rubriche
Martin
pescatore
testi Alessandra Morgillo foto Jacopo Rigotti
U
n lampo turchese dalle iridescenze blu cobalto sfumato
di verde smeraldo si tuffa in acque
limpide e subito riemerge in una
nuvola di goccioline brillanti
stringendo nel grande becco un
pesciolino.
Dopo aver consumato il suo
pasto, ritorna a posarsi sul suo ramo
in prossimità dell’acqua e attende
pazientemente, immobile anche
per ore, la sua prossima preda. Il
martin pescatore (Alcedo atthis) è
un uccello di piccole dimensioni
(17-19 centimetri di lunghezza)
dal corpo tozzo e arrotondato, con
la coda corta e una grossa testa con
un becco lungo e conico. Questo è
completamente nero nel maschio,
mentre presenta la parte inferiore
bruno-rossastra nella femmina, ma
entrambi sfoggiano un inconfondibile piumaggio variopinto azzurro
con vivaci riflessi cangianti sul
dorso e sul capo in netto contrasto
con il petto e il ventre arancione
color ruggine, mentre ai lati del
collo e sulla gola spicca una macchia
bianca. Il colore blu non è dovuto
ad un pigmento, ma generato da
iridescenza e per questo motivo le
penne sembrano virare dal blu al
verde a seconda dell'angolo di incidenza e della rifrazione della luce.
Il martin pescatore, chiamato
affettuosamente “martino” da fotografi, birdwatchers e naturalisti, è
abbastanza diffuso e vive sempre
vicino ai corsi d’acqua, preferibilmente circondati da boschetti e
cespugli. Conduce una vita prevalentemente solitaria e durante la
stagione riproduttiva scava in prossimità degli argini sabbiosi una
sorta di cunicolo in cui depone 6-7
uova che si schiudono a maggio. I
pulli vengono nutriti da entrambi
i genitori. È di abitudini stanziali
Il martin pescatore (Alcedo atthis) emerge dal
torrente
sua preda (2013,
foto Jacopo
LElaMONTAGNE
DIVERTENTI
Rigotti).
128 con
e se indisturbato può riutilizzare lo
stesso nido per diversi anni.
Pur essendo tra le specie più
colorate dell’avifauna italiana,
non è facilmente visibile quando
è posato. Tradisce, invece, la sua
presenza quando si sposta da un
posatoio all’altro in volo rettilineo,
teso e rasente l'acqua emettendo il
suo tipico verso, un fischio corto e
acuto. Abilissimo pescatore di nome
e di fatto, sa tener conto istintivamente della rifrazione della luce che
può falsare la posizione del pesce e
qualche volta si ferma a mezz’aria
in volo librato per scrutare meglio
sotto il pelo dell’acqua. Se il pesce si
trova vicino alla superficie si limita
ad afferrarlo in volo, altrimenti
piega le ali saldamente all’indietro
e si tuffa fulmineo in picchiata
dandosi velocità con qualche colpo
d’ala, in un’azione precisa e sicura,
degna di un vero professionista.
Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Martin pescatore
129
Fauna
Rubriche
Il martin pescatore si nutre principalmente di piccoli pesci che cattura
con il becco tuffandosi in acqua. Quando si immerge gli occhi sono
chiusi da una membrana nittitante trasparente, che li protegge ma
allo stesso tempo consente all’animale di vedere anche sott’acqua
La vista del martin pescatore è estremamente sviluppata: la
particolare conformazione anatomica dell’occhio garantisce una
precisa valutazione delle distanze e gli consente persino di ridurre al
minimo l’effetto dei riflessi sull’acqua
Dopo aver catturato la preda, il martin pescatore fa ritorno al proprio
posatoio per poterla consumare con calma. È solito sostare su canne
o rami sporgenti sulla superficie dell’acqua, che elegge a punti
d’osservazione per individuare le prede (2013, sequenza fotografica
realizzata da Jacopo Rigotti - queste e altre spettacolari immagini
della fauna delle nostre montagne sono pubblicate nel nuovo libro
Alpi Selvagge, disponibile nei migliori punti vendita e su
http://shop.clickalps.com).
A pag. 135: Jacopo Rigotti in azione.
130
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Martin pescatore
131
Rubriche
IL FOTOGRAFO
Jacopo Rigotti, nato a Trento nel 1990, vivo in un piccolo paesino immerso nella
natura. Dal 2012 mi sono avvicinato alla fotografia naturalistica specializzandomi in
avifauna. Sono autodidatta e in questi anni ho cercato di studiare le più complesse
tecniche fotografiche in modo da ottenere scatti dinamici, naturali e che evidenzino
dettagli e colori dei soggetti. Questo genere fotografico mi vede confrontarmi con specie
molto rare, per questo motivo seguo gli animali anche per mesi interi senza lasciar nulla
al caso. Collaboro come fotografo con alcune importanti riviste italiane ed estere e dal
2014 sono entrato a far parte dell’agenzia fotografica ClickAlps.
ORE DI ATTESA E MIGLIAIA DI SCATTI
Nel 2013 mi sono posto l’obiettivo di fotografare il martin pescatore, impresa per
niente facile. Vedendolo lungo un torrente che scorre poco distante da casa mia, ho
deciso di fare un sopralluogo armato di digitale. Dopo un’accurata ricerca e diversi attraversamenti in acqua, ho visto l'uccello posato su di un rametto. Quando anche lui si è
accorto della mia presenza, è volato via. Sono andato a controllare da vicino e ho notato
sul ramo delle squame di pesce, segno che era il punto in cui il martin pescatore era
solito cibarsi. Ho quindi installato lì vicino un capanno con rami e teli mimetici e sono
tornato quasi tutti i giorni per due mesi. Le lunghe ore di appostamento sono state
premiate: il soggetto si mostrava sempre più confidente e collaborativo e il tempo di
attesa nel capanno diminuiva ogni volta.
Infine ho cercato di realizzare scatti sempre più originali: ho collocato la macchina
fotografica al di sopra del punto di pesca dell'uccello immortalando dall’alto tutta
l’azione, che successivamente ho ripreso da sott’acqua. Per fare ciò mi sono avvalso di
una custodia subacquea da me costruita appositamente per questo progetto e collegata
con un cavo di scatto lungo 8 metri.
132
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Martin pescatore
133
L'arte della fotografia
Lo zaino del fotografo
Oltre alla macchina fotografica, che obbiettivo porto? Quale filtro? E il cavalletto?
Queste sono domande che mi pongo tutte le volte che sto preparando lo zaino per
andare in montagna. Le opzioni sono tante, ma spesso non posso avere appresso tutta
l'attrezzatura fotografica che vorrei: lo zaino sarebbe troppo pesante. Cerco così di
capire quali sono le mie priorità, cosa voglio ritrarre e, soprattutto, studio la mia meta e
il tragitto per arrivarci.
Testi e foto Roberto Ganassa
LE MONTAGNE DIVERTENTI Val di Sacco - lago di Malghera (17mm, f/8, 1/25s, ISO 200)
(26 settembre 2014, foto Roberto Ganassa).
Lo zaino del fotografo
135
L'arte della fotografia
Rubriche
Q
uando si parte per un escursione in montagna, una delle
cose più importanti da preparare è lo
zaino. Portare sulle spalle per chilometri
e centinaia o migliaia di metri di dislivello una pesante zavorra può risultare
molto gravoso. È quindi utile selezionare solo ciò che risulta di rilevante
importanza per la gita.
In particolare nel nostro caso, ovvero
un’escursione fotografica estiva, è
fondamentale partire con le idee ben
chiare su che tipo di fotografie stiamo
andando a scattare e ovviamente sui
luoghi e le possibili situazioni che così
andremo a incontrare.
Solitamente, quando va in montagna,
il “fotografo medio” tende a prediligere i paesaggi, come ad esempio un
bel lago alpino circondato dalle cime
che ne fanno da corona. In questo
caso è opportuno avere con sé un bel
grandangolo1.
Sovente può capitare di avvistare
un branco di camosci o di stambecchi
arroccati su qualche cengia: in questo
caso il grandangolo servirebbe a poco
perché andremmo ad immortalare dei
puntini indistinti. Consigliabile quindi
avere nello zaino anche un teleobiettivo (200 mm)2 che consente di fare
buoni avvicinamenti.
Se invece siamo a caccia di foto prettamente faunistiche e vogliamo contare
i peli del manto di un ermellino,
possiamo tranquillamente dimenticarci
dei 200 mm e affidarci a focali ben più
performanti (dai 400 mm in su) che
ci restituiranno potenti e appaganti
ingrandimenti.
Se vediamo una bella foto di cielo
notturno e decidiamo di imbarcarci
anche noi in questa sfida tecnica, allora
dobbiamo raggiungere quote medioalte per evitare l’inquinamento luminoso e portare con noi l’indispensabile
treppiede oltre che un buono e luminoso grandangolo3.
Ahimè i cavalletti “buoni” pesano sia
sulle nostre spalle che sul nostro portafogli, però dobbiamo affidarci a loro se
vogliamo delle immagini perfettamente
1 - Consigliamo focali di 10-12 mm per sensore
APS-C, 15-17 mm per sensore a pieno formato.
2 - Le focali consigliate si riferiscono a sensori da
35 mm, per quelli APS-C ricordiamo che tale valore
va diviso per 1,5.
3 - Almeno f/2.8 di apertura massima per le notti
nere di luna nuova, sufficiente un f/4.0 nelle notti
rischiarate dal plenilunio.
Val Gerola - lago di Trona
(17mm, f/20, 1/4 s, ISO 100 - filtro ND montato)
(16
giugno 2013,
foto Roberto
Ganassa). LE MONTAGNE
DIVERTENTI
136
Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Rododendri in val Porcellizzo (17mm, f/20, 1/100s, ISO 200) (10 luglio 2014, foto Roberto Ganassa).
Cibo a parte, l'attrezzatura per un'escursione fotografica estiva di 1 giorno. Lo zaino, riempito anche
con le derrate alimentari, pesa circa 7kg (24 maggio 2015, foto Robeto Ganassa).
ferme. Per ritrarre il firmamento, laghi
dalle acque “setate” o immortalare lo
scorrere dei torrenti, sono richiesti
tempi di esposizione molto lunghi,
anche 30 secondi. Con esposizioni così
prolungate, se attrezzati con un cavalletto “peso piuma” o di bassa qualità
basterebbe un insignificante refolo di
vento per far vibrare la macchina che
quindi ci restituirebbe foto mosse o
micromosse. Poi, oltre quella per far foto, vi è
sempre l’attrezzatura fondamentale per
affrontare una gita in sicurezza. Supponiamo in questo numero di non prevedere pernottamento in quota nè alcuna
difficoltà alpinistica o tratto innevato. In base ai luoghi che andremo a
visitare dobbiamo sapere se portarci
abbondanti rifornimenti idrici oppure
limitarci a una bottiglietta che lungo
il percorso andremo a rabboccare nei
freschi torrenti di montagna. Indispensabile poi è avere nello zaino una larga
mantella impermeabile, che in caso di
maltempo dovrà coprire noi e lo zaino
stesso in cui si trova la nostra preziosa
attrezzatura che, si sa, non ama l'umidità; un coltellino, una felpa, un paio
di calze e una maglietta di ricambio.
Se siamo diretti a quote superiori ai
m 2200 non dimentichiamoci mai
giacca antivento e occhiali da sole.
Infine dobbiamo inserire nello
zaino, che per un fotografo deve essere
almeno da 30 litri, cibi energetici, ma
al contempo velocemente digeribili,
e questo è un concetto soggettivo a
seconda della potenza di stomaco di
ciascuno.
Lo zaino del fotografo
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IL MIGLIOR FOTOGRAFO
LE FOTO DEI LETTORI
Le foto dei lettori
1
Val di Mello (19 agosto 2014, foto Guglielmo Segota).
Recensione (a cura di Beno)
Il fotografo - Guglielmo Segota
Non sempre è necessaria una fotografia tecnicamente impeccabile per colpire
l'osservatore. Talvolta solo l'inquadratura e il contesto dello scatto sono in grado
di emozionare a prescindere dalla gamma di colore o dal dettaglio.
L'immagine che abbiamo premiato in questo numero estivo della rivista ha toni
drammatici e quasi onirici. Nel quadro compositivo, dove viene perfettamente
applicata la regola dei terzi, si incrociano piani orizzontali e pareti verticali tra cui si
rincorrono nubi gonfie d'acqua e si insinuano boschi sospesi che testimoniano la
perenne lotta della vegetazione coi versanti più impervi della valle.
Ma ciò che più colpisce, al centro della fotografia e indicata dalla sinuosa linea
di fuga costituita dalla venatura nel granito, è la sensuale sagoma di una ragazza
che, in controluce e perfettamente stagliata sopra una porzione molto luminosa
del cielo, sta contemplando ciò che sta al di là del dosso roccioso.
L'osservatore viene così spinto ad entrare nell'immagine da una curiosità quasi
irresistibile, da un bilanciarsi di dolcezza e terrore, di facile e di inaccessibile, di
verde e di grigio.
Insomma questa fotografia è una perfetta sintesi della nostra bella val di Mello!
Mi chiamo Guglielmo Segota. Sono nato a Milano
nel 1970 e vivo a Vicenza dal 1996. Valtellinese
mancato, vanto però bisavoli originari di
Piazzalunga; dacchè ne ho memoria, ho trascorso
tutte le mie estati in villeggiatura ad Ardenno,
dove tuttora ritorno regolarmente con i miei
figli Clara e Giorgio a ritrovare parenti e amici
di infanzia. Non riesco a concepire vacanze
differenti, perchè il luogo più caro al mondo per
me è questo pezzetto di Valtellina, tra Morbegno
e Sondrio. Da alcuni anni mi piace fare fotografie,
da poco utilizzo una semplice Fuji X-20 che
posso portare sempre con me. Fotografo quasi
esclusivamente natura e paesaggi, luci ed ombre
o luoghi particolarmente suggestivi: più amo il
soggetto e meglio mi vengono le foto.
MANDA LE TUE FOTOGRAFIE
Due sezioni dedicate ai nostri lettori:
- una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo", i loro scatti inerenti i monti di
Valtellina e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected].
- una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate esclusivamente all'indirizzo
email [email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista (o un oggetto personalizzato LMD,
come il retro della nuova mappa della Valmalenco) e, preferibilmente, uno scorcio del luogo. Per esigenze grafiche, e non per
corruzione degli addetti, alcune immagini potranno essere pubblicate in anticipo rispetto all'ordine di invio. Non si accettano
fotomontaggi.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
2
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1 ➣ Messico - Al sito Maya di Tulum, con Luca, Barbara, Tiziana, Enza, Elisabetta, Renzo, Diego, Sergio e Paola (15 marzo 2015).
2 ➣ Val Seriana - Il piccolo Achille, il più giovane tra gli abbonati a Le Montagne Divertenti (2 febbraio 2015).
3 ➣ Giordania - Piera e Daniela al cospetto del Tesoro di Petra (18 marzo 2015).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori
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LE FOTO DEI LETTORI
Le foto dei lettori
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Colombia - Alessandro e Lucrezia al parco archeologico di San Agustin (7 marzo 2015).
Valmalenco - Papà Ivan festeggia 42 anni al rifugio Palù con Samuele, Beatrice e Roberta (12 febbraio 2015).
Piemonte - Rodney, Noelia e i concertisti di viole da gamba a Varallo (ottobre 2014).
Emirati Arabi - Catelina e Bertasch davanti al più alto grattacielo del mondo, il Burj Khalifa di Dubai (18 febbraio 2015).
Orobie - Remo, Alfiero, Giuseppe, Giacomo, Giovanni e il fotografo Luca in vetta al Meriggio (5 gennaio 2015).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
9 ➣ Svizzera - Le Ladiesgang si esibiscono al ristorante Zarea di Sfazù (25 aprile 2015).
10 ➣Valmalenco - Filippo Negrini sceglie il pizzo Scalino per la sua prima gita di scialpinismo (2 maggio 2015).
11 ➣Nepal - Anna, Luciano e Riccardo al cospetto del Machapuchare (ovvero "coda di pesce"), a poca distanza dal campo base dell’Annapurna (9 aprile 2015).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori
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LE FOTO DEI LETTORI
Le foto dei lettori
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12 ➣Santina - classe 1926, apprezzata e nota sarta di Molteno dagli anni '60 (aprile 2015, foto Stefano Famlonga).
13 ➣Alpi Orobie - Giuliana e Francesco Marveggio festeggiano Pasquetta sulla cima del piz Cavrin est (6 aprile 20015).
14 ➣Emirati Arabi - Damiano e Lara in viaggio di nozze sul Burj Khalifa di Dubai, l'edificio più alto del mondo (9 dicembre 2014).
15 ➣Lanzada - I vecchi amici della "Premiata pasticceria Gianoli" leggono insieme e giocano a carte (12 febbraio 2015).
16 ➣Australia - Severino, da Cino a Perth con LMD (18 luglio 2014).
17 ➣Monti Lariani - Andrea, Chiara, Luca, Mattia e Arianna di ritorno dal pizzo Gino in val Cavargna (18 aprile 2015).
18 ➣Alta Valtellina - Il CAI di Bormio diretto al Cevedale (12 aprile 2015).
19 ➣Trentino - Paolo e Camilla con gli sci da fondo sulla pista del Sole a Casere in valle Aurina (11 aprile 2015).
20 ➣Nuova Zelanda - Clara e Umberto dal parco del Mount Cook (25 dicembre 2014).
21 ➣Lanzada - Michele Nana davanti al museo della Bagnada (5 aprile 2015).
22 ➣Ardenno - Marco al bacino della Pioda ripercorre l'itinerario descritto nel n 32 de LMD (6 apile 2015).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
Le foto dei lettori
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23 ➣Torre di Santa Maria - La "Pineta", ha trascorso le sue molte estati ai Piasci con le mucche (aprile 2015, foto Angela Vanotti).
24 ➣Marocco - Emilia, Pierangela, Giuseppe e Gianfranco al col du Tichka (22 marzo 2015).
25 ➣Talamona - Fedele Simonetta, il maggior esperto dei sentieri sulle montagne di Talamona (aprile 2015, foto Alessandro Gusmeroli).
26 ➣Gilberto Rigamonti - detto "Fuoco", ha girato il mondo per lavoro: parla e canta in quattro lingue (aprile 2015, foto Rodolfo Anzani).
27 ➣Molteno - Rodolfo Anzani nei pressi della chiesa parrochiale di San Giorgio situata sul belvedere del Ceppo (aprile 2015).
28 ➣Val di Campo - Lago Saoseo: Auri, nonno Paolo Morellini, Rossano Nana, Michela e Stefano Morellini (27 luglio 2014).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
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29 ➣Talamona - La famiglia Murada quasi al completo (22 marzo 2015).
30 ➣Orobie - Rubens, Emma, Mafalda e Franco sul monte Poieto (7 febbraio 2015).
31 ➣Silvio Gaggi - scultore e artista , proviene da una storica famiglia di "giovellai" di Chiesa (aprile 2015, foto Luca Schenatti).
32 ➣Chiesa V.co - Luca Schenatti presso la chiesa dei Santi Giacomo e Filippo (aprile 2015, foto Serena Gaggi).
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33 ➣Delebio - Chicco Gottifredi davanti alla casa del mitico Walter Bonatti (aprile 2015).
34 ➣USA - Houston: Eugenio, Matteo, Tea e Monica di Fraciscio (9 febbraio 2015).
35 ➣Roma - Spedizione valtellinese e valchiavennasca alla maratona di Roma 2015 (22 marzo 2015).
36 ➣Dalmine - Stefano Della Mina, da anni allestisce nel suo garage un singolare presepe di rame (aprile 2015, foto Chicco Gottifredi).
37 ➣Val di Fassa - Monica, Giorgio, Graziana, Eugenio al rifugio Vajolet ai piedi delle omonime torri (31 luglio 2014).
38 ➣Sardegna - "I Dolcissimi" Sergio, Remo, Serena, Massimo, Fabrizio, Rossano e Gabriele sull'isola di Tavolara (22 gennaio 2015).
39 ➣Lanzada - Onorato Nana, classe 1932, ha lavorato dal 1950 al 1980 nella miniera della Bagnada (5 aprile 2015, foto Michele Nana).
40 ➣Alpi Cozie - Rossana e Roberto alla Testa di Cervetto al cospetto del Re di pietra, ovvero il Monviso (27 marzo 2015).
41 ➣Alpi Retiche - Ugo Andreoli e gli altri membri del CAI di Aprica con le ciaspole sul monte Padrio (20 febbraio 2015).
42 ➣Antonio Forni (Toni) - Famoso alpinista e sciatore di Mossini, esemplare promotore dello sport (aprile 2015, foto Sergio Proh).
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43 ➣Germania - Matteo, Simone, Alessandra, Fiorella e Matteo al castello di Linderhof in Baviera (6 agosto 2014).
44 ➣Pierina Bruni - classe 1912, è la piu' anziana di Teglio (aprile 2015, foto Ivan Andreoli).
45 ➣Mossini - Sergio Proh presso la chiesa di San Bartolomeo che domina da un piccolo poggio tutta Sondrio (aprile 2015).
46 ➣Alpi Orobie - Ilda, Reppo, Monica, Katia, Antonella, Marco (il piccolo e il grande) e Caterina sul monte Cadelle (21 agosto 2014).
47 ➣Molteno - Stefano Famlonga presso il municipio, nello storico parco di Villa Rosa (aprile 2015).
48 ➣Alpe Piazza - Gli amici ricordano Pietro Fabio Del Nero, precursore dello sci in Albaredo scomparso due anni fa (6 aprile 2015).
49 ➣Torre - Angela Vanotti al castello di Torre; resti di residenza castellana e torre di segnalazione del 1300 (aprile 2015).
50 ➣Teglio - Ivan Andreoli ai piedi dell’antica torre Beli Miri, monumento simbolo del paese (aprile 2015).
51 ➣Teglio - Simone Civati al piccolo Santuario della Madonna di Caravaggio, in frazione San Martino (7 aprile 2015).
52 ➣Talamona - Alessandro Gusmeroli presso il monumento dei caduti nella piazza centrale del paese (aprile 2015).
53 ➣Primolo - Giorgio e i matti della seconda "Primolata": sgambata di 17 km che prevede di salire a piedi da Sondrio alla frazione di
Primolo (29 marzo 2015).
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LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
Le foto dei lettori
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soluzioni del n.32
Che scimma i-è?
La montagna misteriosa non è altro che il monte Legnone,
qui fotografato dall'alpe Piazza (23 gennaio 2015, foto
Beno).
I vincitori sono:
1. Angela Vanotti di Torre
2. Francesco Bresesti di Sondrio
Hanno inoltre indovinato: Annalisa, Lucia e Andrea,
Michele da Lanzada, massimo, Sergio Proh, Ivano, Simone
Superconcorso
Civati, Simone, Gigi, Rodolfo Anzani, Fabio Bulanti,
Cristian Moretti, Fabio Cornaggia, Francesco, Stefano
Famlonga, Anna, Stefano, LUCA, Stefano Vecchi, Alessandro Gusmeroli, Pedrazzoli Martina, Ivan Andreoli, Gra,
Giorgio Beltramini, Antonietta, Daniele, Luca Schenatti,
Dik, Patrizia Oregioni, Chicco, Luca, Marmotta, Martina
Pedrazzoli, Massimo, Graziana, Flaminio Benetti, Mattia e
Giorgio Beltramini.
Ma 'n gh'el?
Si tratta della chiesa di Sant'Abbondio a Boalzo, nel
comune di Teglio (18 luglio 2008, foto Beno).
I vincitori sono:
1. Chicco Gottifredi di Dubino
2. Sergio Proh di Mossini
Hanno inoltre indovinato: Andrea e Lucia, Francesco Bresesti, Angela Vanotti, Margherita Montani,
Stefano, Luca Schenatti, Vanda Gianoli, Tonino, Stefano
Famlonga, Gigi, Aldo, Martina Pedrazzoli, Francesco,
Pietro Duico, Simone Nonini, Fiorini, Rodolfo Anzani,
Roberta Corlatti, Ivan Andreoli, Elisabetta Giovanazzi,
Simone Civati, Stefano Crapella, Antonietta, Alex
Bombardieri, Bruna Fiorina, Giorgio Beltramini, Gela,
Graziana, Bianca Fiorina, Arturo, Dik, Flaminio Benetti,
Mariangela Lazzarini, Stefania Bassola, Bruna Fiorina,
Steft, Michele Nana, Alessandro Gusmeroli, Katia,
Gabriella Polinelli e Mina Bartesaghi.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
Vincitori e
vinti
Foto di gruppo dopo la gran finale del concorso
in val Viola (11 aprile 2015, foto Beno).
S
abato 11 aprile 2015 si è tenuta in
val Viola la gran finale del superconcorso LMD - n.32 Primavera 2015.
Dieci lettori hanno superato le tre prove
che hanno dato loro il diritto di partecipare alla caccia al tesoro. La location
era ubicata su un bel dosso nella valle
Cantone di Dosdé, laterale della val
Viola, dove i concorrenti sono giunti
puntuali, chi solo, chi con un aiutante.
Le prove da affrontare erano due: una
gara di corsa e una ricerca ARTVA per
trovare i premi nascosti sotto la neve.
Alle 10 il Caspoc' ha dato il via alla
gara di velocità, una crudele salita di
200 metri in neve crostosa senza l'ausilio né di sci né di ciaspole. Solo i primi
tre classificati avrebbero avuto accesso
alla ricerca dei 3 premi più gratificati
nascosti sotto la neve, tra cui vi era l'attrezzatura da scialpinismo.
Luca Schenatti, forte corridore, ha
vinto, seguito da Gabriele, fratello e
aiutante di Michele Nana. Avvincente è
stata la lotta per il terzo posto tra Ivan
Andreoli e Fabrizio Duca (aiutante di
Alessandro Gusmeroli): i due hanno
lottato accanitamente strattonandosi e
facendosi placcaggi da rugbisti. Giunti
LE MONTAGNE DIVERTENTI I fortunati vincitori
(11 aprile 2015, foto Beno).
parimerito si è resa necessaria una
partita secca di pari o dispari per assegnare il terzo posto al fortunato Alessandro Gusmeroli.
Prima Luca e poi Michele hanno
deciso di lasciare ad Alessandro e al
suo aiutante il compito di individuare
la posizione dei dispositivi e di decidere quale estrarre. Fatto ciò, hanno
avuto inizio gli scavi. A Luca, il più
forte nelle prove di abilità, la sorte ha
concesso solo il terzo premio, pantaloni tecnici e racchette telescopiche,
al giovane Michele è spettato, con
gioia del padre che era lì ad aiutarlo,
una bottiglia di champagne e un paio
di moffole Skitrab. A questo punto si
è elevato l'urlo di gioia; Alessandro e
Fabrizio hanno alzato al cielo la bottiglietta vincente che gli ha consegnato
l'attrezzatura completa da scialpinismo
della Skitrab!
La splendida giornata in amicizia,
dove ci son stati premi per tutti, si è
conclusa davanti a un boccale di birra
offerta dal fortunatissimo vincitore.
Giochi
151
Ma ch'èl?
Giochi
Chissà
chi di voi ha mai
visto o usato questo
aggeggio...
I 2 più veloci dalle
ore 21:00 del 3 luglio
2015 che indovinano cos'è
riceveranno la nuova maglia
tecnica personalizzata LMD
(taglia unica) + la fascetta
estiva LMD.
Tra tutti gli altri che
avranno indovinato entro le
ore 22 verranno estratti
3 fortunati a cui andranno
la fascetta estiva LMD + il
volume "Il Versante retico.
Da Cima di Granda al
Monte Combolo". Scrivete
le vostre risposte su
www.lemontagnedivertenti.com/
concorsi/
http://lemontagnedivertenti-diario.blogspot.it/
'N gh'el?
Che chiesa è ritratta in questa immagine?
I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 2 luglio
2015 riceveranno la nuova maglia tecnica
personalizzata LMD (taglia unica) + la
fascetta estiva LMD.
Tra tutti quelli che avranno indovinato
entro le ore 22 verranno estratti altri 3
fortunati a cui andrà la maglietta LMD +
il volume "L'alta via della Valmalenco".
Scrivete le vostre risposte su
www.lemontagnedivertenti.com/
concorsi/
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE
LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi
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Rubriche
LE RICETTE
DELLA NONNA
Antipasto di verdure
di stagione
Testi e foto Carlo Nani
Siamo in estate, la stagione delle lunghe camminate in cui il sole scotta le spalle dei viandanti e sembra non
tramontare mai, ma siamo anche nella stagione in cui i caldi raggi accarezzano l’orto che così riesce a offrire i
prodotti migliori ripagandoci delle mille fatiche spese per la sua cura.
Allora quale ricetta migliore proporvi, se non un fresco antipasto composto da 7 diversi tipi di ortaggio?
Ingredienti per 5 vasetti da 500 ml:
• 300 g cipolline
• 300 g carote
• 300 g sedano
• 300 g peperoni
• 300 g fagiolini
• 300 g cavolfiori
• 2 kg pomodori per sugo
• ½ bicchiere di aceto di vino bianco
• 1 ½ bicchieri di olio
• 2 cucchiai di zucchero
• 1 cucchiaio di sale
• ½ cucchiaino noce moscata
Lavare e cuocere i pomodori per un’ora e
mezza circa e in seguito passarli al setaccio (passaverdure). Nel frattempo lavare accuratamente,
asciugare e tagliare a pezzetti le verdure. Cotti
e passati i pomodori aggiungere nella pentola il
sale, la noce moscata, lo zucchero, l’aceto, l’olio,
le carote il sedano i fagioli e i cavolfiori; cuocere
per 10/15 minuti e aggiungere i peperoni e le
cipolline. Passati ulteriori 15 minuti, dopo aver
verificato il punto di cottura delle verdure che
devono rimanere leggermente croccanti, spegnere
il fuoco e mettere l’antipasto ancora bollente nei
vasi di vetro, chiuderli ermeticamente e sterilizzarli facendoli bollire in acqua per 10 minuti e
lasciandoli raffreddare gradualmente nell’acqua
di sterilizzazione.
154
LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi
155
L'alpinismo fa per la pace e l'amicizia
tra i popoli più che tutte le conferenze
di cariatidi riuniti all'Aja e altrove!
Bruno Galli-Valerio (1867-1943)
LE MONTAGNE DIVERTENTI 157