Imp Nero 4 - Omikron Italia srl

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NPT
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IN TERAPIA
Comitato Scientifico: Aulisa L, Bizzi B, Caione P, Calisti A, Chiozza ML, Cittadini A, Ferrara P, Formica MM,
Ottaviano S, Pignataro L, Pitzus F, Pretolani E, Riccardi R, Salvatore S, Savi L, Sternieri E, Tortorolo G, Viceconte G
Registro del Tribunale di Roma n. 337 dell’1/6/1991 · Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L.
353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - Roma · Periodicità quadrimestrale · © 2009 Mediprint S.r.l.
I GAGs nella prevenzione del rischio
tromboembolico: indicazioni nella
pratica clinica di un presidio territoriale
Gianfranco Nero
ISSN 1122-2557 - Supplemento alla rivista NPT - Anno XIX - n. 1(Suppl. 6)/2009
Angiochirurgo e Flebologo - Roma
Nell’ambito di tutta la patologia vascolare (arteriosa, venosa e del microcircolo) la complicanza tromboembolica rappresenta sempre una condizione di estremo rischio per il paziente, sia per le possibili ripercussioni loco-regionali (turbe trofiche, ischemiche, congestizie…) che per le alterazioni funzionali a distanza, relative all’alterazione ischemica o da stasi determinata dal processo trombotico o embolico.
D’altro canto, in ogni campo della patologia vascolare, entrano in gioco le tre variabili di
Virchow che possono innescare un processo tromboembolico: le arteriopatie, dove le alterazioni ateromasiche rappresentano di per sé già un danno endoteliale, una causa di rallentamento del flusso, una variazione dei parametri emoreologici e della viscosità ematica; le
flebopatie, dove i problemi della parete delle vene (dilatazione e tortuosità) e delle valvole
rappresentano il danno endoteliale, la stasi contribuisce ai fenomeni di sludging e di emoconcentrazione e i fenomeni di “ricircolo” (shunt veno-venosi) determinano un ulteriore
momento protrombotico; infine, nelle patologie del microcircolo, a partire dalle acrosindromi fino alle vasculiti, dove la sofferenza ischemica si accompagna alla stasi del versante
venulare e alle modificazioni della permeabilità capillare con fenomeni di edema e d’infiammazione consequenziali.
Le problematiche, quindi, che approdano solitamente a un ambulatorio angiologico del territorio devono rappresentare un momento di riflessione nella gestione del paziente, anche
per il possibile rischio di tromboembolismo, richiedere approfondimenti diagnostici specifici e, nei casi selezionati, una terapia adeguata e, possibilmente, “calzata” su misura.
Ovviamente le situazioni cliniche a cui si fa riferimento non includono le condizioni in cui
la profilassi del tromboembolismo ha già una strategia codificata ed efficace, come per la
prevenzione del tromboembolismo venoso (TEV) in patologie da immobilità, da traumi ac-
Gianfranco Nero
cidentali o iatrogeni, da condizioni di trombofilia familiare, da neoplasie ecc., nelle quali il trattamento con eparine a basso peso molecolare ha fornito risposte concrete e
con bassi rischi di eventi avversi (1).
In questa sede voglio proporre alcune riflessioni su patologie piuttosto frequenti, nella pratica clinica quotidiana,
per le quali, a volte, non si considera in modo corretto il
rischio tromboembolico.
Nella patologia arteriosa, le condizioni di ipoafflusso
dei distretti periferici, in particolare le arteriopatie obliteranti croniche degli arti inferiori con una claudicatio importante (<100 m) spesso esasperate da una concomitante presenza di lesioni macrovascolari (asse iliaco-femorale) e distali (asse popliteo-tibiale), che rendono molto difficile un’indicazione alla rivascolarizzazione chirurgica,
tradizionale o endovascolare, anche per la presenza di altri fattori di rischio che impegnano il paziente, non hanno
a tutt’oggi grandi possibilità terapeutiche nella patologia
arteriosa e costituiscono uno stato in cui un evento trombotico distale può determinare una condizione d’ischemia critica, con effetti devastanti funzionali e psicologici.
Nella patologia del microcircolo, le acrosindromi, spesso stagionali, con i fenomeni di Raynaud, le parestesie delle mani, i “geloni” … rappresentano un momento di limitazione della qualità della vita in pazienti per lo più giovani e, quindi, più “sensibili” ai problemi di salute; in questi
casi, oltre a una corretta condotta di vita e ad alcuni rimedi sintomatici, non c’è terapia specifica e, anche se raramente, si osservano fenomeni di microtrombosi periferica
con piccole lesioni già ischemiche o necrotiche digitali.
Infine, nella patologia venosa, che conta la maggior parte dei pazienti, vi sono condizioni in cui disporre di un
farmaco con effetti antitrombotici ed emoreologici potrebbe ben embricarsi con i pilastri della prevenzione delle sindromi da stasi che sono e rimangono, in assoluto, le
norme comportamentali e l’elastocompressione graduata.
Ed è proprio in una sindrome varicosa da insufficienza
venosa superficiale di un sistema safenico con un quadro
clinico di varici importanti e, in particolare, di dilatazioni
ampollari con veri e propri aneurismi venosi in un paziente anziano che ho “conosciuto” e apprezzato l’utilità
dei glicosaminoglicani (GAGs).
“Circa 20 anni fa viene a visita una “giovane” signora di 84
anni con una storia lunga di varici, peraltro fino a quel
momento asintomatiche, ma che, da qualche giorno si
erano complicate con un “bozzo” dolentissimo, mediale
pararticolare al ginocchio sinistro (Fig.1) che non la faceva più camminare, né dormire; la valutazione clinica dimostrava un nodo varicoflebitico piuttosto ampio con un
alone rosso mediale lungo la coscia ma con grande safena
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Figura 1. Varicoflebite paraarticolare del ginocchio sinistro (particolare).
pervia al terzo superiore di coscia (grazie ai rilievi del
Doppler C.W.). Che fare? Prescrissi eparina calcica (a dosaggio basso per un’anamnesi di ulcera gastro-duodenale) ma, per “risolvere” prima quella situazione di dolore e
angoscia, proposi di eseguire, in anestesi locale, un piccolo intervento di svuotamento della varicoflebite, un po’
come facevo per i trombi post-scleroterapia.
Il giorno dopo, in sala operatoria, effettuai quanto programmato (Figg. 2-5) con un rapido senso di sollievo della paziente ma con la necessità di fare qualcosa di più oltre al bendaggio elastocompressivo adesivo, alla raccomandazione di camminare il più possibile e di dormire
con le gambe sollevate; anche perché il medico di famiglia
non aveva confermato la prescrizione di eparina calcica.
Figura 2. Varicoflebite dell’arto inferiore sinistro.
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I GAGs nella prevenzione del rischio tromboembolico: indicazioni nella pratica clinica di un presidio territoriale
Ebbene, in quel momento ho pensato alla possibilità, fino
ad allora conosciuta ma non perseguita per scarsa convinzione, di usare una terapia medica di supporto con GAGs
(sulodexide, 1 cps mattina e sera per 30 giorni).
A 7 giorni dal piccolo intervento, alla rimozione del bendaggio (Fig. 6), osservai la risoluzione completa della varicoflebite, non solo nella sede “sintomatica” ma anche
del tratto safenico di coscia che al Doppler C.W. era evocabile con le manovre di compressione/rilasciamento distale. La paziente fu molto soddisfatta. A distanza di sei
mesi, anche grazie a idonea elastocompressione graduata
e a verosimile riduzione della portata della safena interna
di coscia, ricanalizzata dopo la flebite, anche le altre varici
di gamba erano di molto ridotte e la gamba non presentava edema e la dermoipodermite, in fase acuta allora, era
regredita a un lieve grado di lipodermatosclerosi. La pa-
Figura 5. Materiale chirurgico dopo l’intervento.
Figura 3. Particolare dell’operazione chirurgica di
svuotamento della varicoflebite.
Figura 6. Risultato post-operatorio a sette giorni.
Figura 4. Particolare dell’operazione chirurgica di
svuotamento della varicoflebite.
ziente, per circa 2 anni, ha effettuato visite periodiche e
non ha avuto importanti variazioni cliniche della malattia
varicosa che è rimasta ben compensata sia per la calza
elastica che per la terapia antitrombotica che, periodicamente, la paziente ha continuato ad assumere.
Quanto, in questo caso clinico, ha giocato la terapia farmacologica? Alla luce dei dati emersi soprattutto in questi
ultimi anni, con la conoscenza più fine dell’endotelio e
delle sue funzioni di controllo sia dell’attività anticoagulante, antitrombotica, antiaterogena, profibrinolitica ecc…
grazie, in particolare, alla presenza dei GAGs, c’è da pensare che la terapia farmacologica sia stata co-protagonista
del successo terapeutico (2). In ogni caso, da quella esperienza positiva, proprio per non incorrere in una condizione così complicata, prescrivo la terapia antitrombotica
in quelle situazioni (paziente con aneurismi venosi, dermoipodermite…) già prima della complicanza, soprattut-
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to se il paziente non si comporta bene (non indossa le calze, cammina poco, non dimagrisce, non si vuole sottoporre a terapie aggressive…). Non ho mai osservato effetti collaterali, anche quando, negli ultimi anni, ho usato anche prodotti topici a base di GAGs ma, soprattutto, non
ho più osservato quadri di tromboflebite segmentaria, come quello descritto, nei pazienti che ho seguito.
Non soltanto in patologia venosa, ma anche nelle altre
condizioni di patologia vascolare a cui facevo riferimento
prima (arteriopatie obliteranti con importante limitazione
dell’intervallo libero di marcia, acrosindromi…), l’indicazione a un trattamento con GAGs ha dimostrato un razionale d’impiego, sia per il miglioramento dell’intervallo libero di marcia nelle arteriopatie obliteranti degli arti inferiori (3,4) che nella prevenzione delle complicanze nelle
acrosindromi e nel miglioramento del trofismo locale.
Bibliografia
1. Geerts WH et al. Prevention of thromboembolism. American
College of Chest Physician evidence-based clinical practice guidelines (8th Ed.). Chest 2008;133:141S-159S.
2. Ofosu FA. Pharmacological actions of sulodexide. Semin Thromb Hemost 1998;24:127-138.
3. Coccheri S et al. Sulodexide in the treatment of intermittent clau-
dication: results of randomized, double-blind, multicentre, placebo-controlled study. Eur Heart J 2002;23:1057-1065.
4. Gossetti B et al. Effect of mesoglycan on walking distance in patients affected by chronic peripheral arterial occlusive disease.TIJM
2008;1:23-25.
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