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Massimo Mutti - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Jobs Act
Pc, internet, mail e Gps
Privacy del lavoratore e controlli
tecnologici
Enrico Barraco - Barraco Studio legale lavoro
Divieto di controlli a distanza
e suoi temperamenti
“esclusivamente” circoscrive, infatti, la legittimità dell’installazione di impianti audiovisivi e di
qualsiasi altro strumento atto a monitorare l’attività dei dipendenti alle sole finalità elencate dalla
norma, le medesime già contemplate prima della
novella, a cui si aggiunge quella di tutela del patrimonio aziendale. Appare quindi corretto ritenere tuttora vietato il ricorso a strumenti di sorveglianza (anche tecnologici), al solo scopo di
controllare l’attività lavorativa (1).
Il legislatore del 1970 aveva disciplinato la materia dei controlli datoriali a distanza con la legge
20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori),
il cui art. 4, originario primo comma, vietava in
via di principio l’uso di impianti audiovisivi e di
altre apparecchiature per finalità di controllo a
distanza dell’attività dei lavoratori.
Tale generale divieto conosceva tuttavia la deroga di cui al comma secondo ove, nella previgente
formulazione, si ammetteva un controllo c.d.
“preterintenzionale”, occasionale, sull’attività dei
dipendenti, in presenza di “esigenze organizzative e produttive” o per ragioni di “sicurezza del
lavoro”. Da ciò discendeva la legittima installazione di strumenti di vigilanza che solo incidentalmente consentissero un controllo sull’operato
dei lavoratori, con esclusione di qualsivoglia forma di controlli continui, tali da privare il lavoratore di spazi e tempi al di fuori dell’altrui supervisione, e pur sempre nel rispetto della procedura
preventiva di accordo con le Rappresentanze sindacali o, in difetto, previa autorizzazione del Servizio ispettivo dell’Ispettorato del lavoro.
La riforma operata dall’art. 23, D.Lgs. n.
151/2015, uno dei tanti tasselli che compongono
il mosaico del Jobs Act, ha un impatto formalmente forte sul testo dell’art. 4, comma 1, in
quanto elimina il radicale divieto collocato nell’originario incipit della norma.
Nondimeno si può sin d’ora affermare che l’intervento del legislatore non ha comportato affatto
l’ammissibilità di un controllo a distanza sui lavoratori privo di limiti. L’uso dell’avverbio
Peraltro l’installazione e l’uso di tali strumenti di
controllo continua ad essere condizionata alla
preventiva stipulazione di accordi collettivi con
la Rsu o le Rsa o, nel caso di imprese radicate
nel territorio di più Province o Regioni, con “le
associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale”. Tale ultima precisazione costituisce il novum della riforma, che
in tal modo supera il rigoroso orientamento del
Ministero del lavoro (2), fonte di aggravio degli
oneri datoriali, secondo il quale il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali più vicine mediante la conduzione di separate negoziazioni in
ogni unità produttiva, sarebbe stato imposto dalla
natura dei diritti personali del lavoratore, quale
quello alla riservatezza.
Inoltre, dall’attribuzione di natura collettiva all’accordo discende la legittimazione alla sua stipulazione non solo in capo al datore, ma altresì
della associazione sindacale alla quale risulti
iscritto o conferisca mandato.
In mancanza di accordo, il datore può rivolgersi
alla Direzione territoriale del lavoro competente
(1) In materia sia consentito rinviare a E. Barraco, A. Sitzia,
Potere di controllo e privacy, Milano, 2016; Cfr. M. T. Salimbeni,
La riforma dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. It.
dir. lav., 2015, IV, 601; A. Sitzia, I controlli a distanza dopo
il “Jobs Act” e la Raccomandazione R(2015)5 del Consiglio
d’Europa, in Lav. giur., 2015, 7, 671 ss.; Dagnino E., Tecnologie
e controlli a distanza, in Dir. rel. ind., 2015, 4, 988 ss.; L. A. Cosattini, Le modifiche all’art. 4 St. lav. sui controlli a distanza, tanto rumore per nulla?, in Lav. Giur., 2015, 11, 985 ss.
(2) Risposta ad interpello 5 dicembre 2005, prot. n. 2975.
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Procedura di codeterminazione sindacale
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per territorio o al Ministero del lavoro, in presenza di plurime unità produttive dislocate in territori di competenza di più direzioni, affinché accertino la necessità dell’installazione degli impianti.
Da notare il venir meno del potere delle richiamate istituzioni di determinare le modalità d’uso
delle apparecchiature (3).
La violazione di tali precetti integra il reato di
cui all’art. 38, Stat. lav. (4), tanto nel caso in cui
l’impianto o l’apparecchiatura siano stati utilizzati o, per la giurisprudenza, anche solo installati
senza il previo accordo sindacale o l’autorizzazione amministrativa, quanto nell’ipotesi in cui il
controllo non risulti finalizzato alle esigenze
elencate dal primo comma. Priva di rilevanza penale è invece l’inosservanza delle disposizioni di
cui al comma 3, in punto di regole di utilizzabilità dei dati raccolti.
Strumenti di controllo
Rilevante modifica ha riguardato il comma secondo dell’art. 4, Stat. lav. Nella nuova versione
la norma prevede infatti che “la disposizione di
cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione
lavorativa e agli strumenti di registrazione degli
accessi e delle presenze”. Da ciò deriva non solo
che i controlli, resi possibili dalla strumentazione
in esame, non sono soggetti agli oneri procedimentali appena esaminati, ma anche e principalmente che tramite tali mezzi si può effettuare un
controllo a prescindere dalle finalità produttive,
organizzative o legate alla sicurezza e alla difesa
dei beni aziendali. Come si vedrà, la nuova disposizione ha un importante impatto soprattutto
sull’utilizzo ai fini di controllo dei dispositivi
elettronici, quali computer e tablet, dati in dotazione al lavoratore.
Utilizzabilità delle informazioni raccolte
Al terzo comma, il legislatore della riforma ha
apposto dei limiti all’utilizzabilità dei dati ottenuti mediante i controlli condotti con le modalità
di cui ai precedenti due commi, imponendo ulteriori oneri in capo al datore di lavoro.
Il dogma del Jobs Act: controlli sì, ma solo se trasparenti
Art. 4, comma 3: Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto
di quanto disposto dal Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
Il datore potrà quindi utilizzare ad ogni fine connesso al rapporto di lavoro (i.e. disciplinare, risarcitorio e retributivo) le informazioni raccolte,
a condizione da un lato che l’effettuazione dei
controlli sia condotta nel rispetto del Codice della privacy, dall’altro che sia stata data adeguata
informazione sulle modalità d’uso degli strumenti e sui controlli (5).
L’omessa o insufficiente osservanza di tali accorgimenti, quindi, impedisce l’uso delle informa-
zioni acquisite, con conseguente impossibilità
per il datore di porle a fondamento di provvedimenti disciplinari ovvero delle proprie ragioni in
eventuali controversie con il lavoratore (6).
L’accento posto sul dovere di informazione individuale del dipendente accresce, dunque, l’importanza del ricorso a policies aziendali adeguate, sulla scia delle indicazioni del Garante della
Privacy in materia di monitoraggio degli accessi
ad internet (7), che istruiscano in maniera com-
(3) Il previgente comma 2, art. 4, Stat. lav. prevedeva infatti
che “(…) In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro,
provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le
modalità per l’uso di tali impianti”.
(4) Peculiare la vicenda normativa dell’incriminazione in oggetto. Originariamente prevista dallo stesso art. 38, Stat. lav, è
stata poi “trasferita” dal legislatore all’art. 171, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, contenente un richiamo all’art. 114, stesso
Decreto, che a sua volta opera un rinvio all’art. 4, Stat. lav.,
mantenendone ferme le disposizioni. Infine, il citato art. 23,
D.Lgs. n. 151/2015 - nel riformare la materia - ha reintrodotto
un’esplicita incriminazione delle violazioni delle regole sui controlli a distanza di cui ai commi 1 e 2, art. 4, Stat. lav.
(5) E. Barraco-A. Sitzia, Potere di controllo e privacy. Lavoro,
riservatezza e nuove tecnologie, cit., 13.
(6) Cass. pen. 2 ottobre 1996, in Dir. prat. lav., 1996, 3249;
v. anche Trib. Milano, 7 luglio 1977, in Orient. giur. lav., 1977,
716; Trib. Roma, 10 luglio 1974, in Foro it., 1975, II, 26, che
hanno chiarito anche che la violazione sussiste per il solo fatto
dell’installazione di un impianto obbiettivamente idoneo a realizzare una forma di controllo a distanza del lavoratore e che
non è dunque necessario indagare sull’elemento intenzionale
della condotta. Inoltre Bottini A. (a cura di), Controlli a distanza.
A braccetto privacy e diritto del lavoro”, in Il Sole - 24 Ore, Norme e Tributi, 24 agosto 2016, n. 212.
(7) Il riferimento è alla Deliberazione del 1° marzo 2007, n.
13 “Lavoro: le Linee guida del Garante per l’utilizzo della posta
elettronica e di internet”, su cui si veda infra.
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prensibile il lavoratore sulle regole d’uso ed i tipi
di controlli effettuabili mediante tutti gli strumenti aziendali.
La norma richiede al datore soltanto un’informazione “data al lavoratore”, configurando così un
atto unilaterale, che non abbisogna del consenso
del dipendente. In assenza di precise indicazioni
legislative, deve ritenersi comunque che esigenze
di certezza e difendibilità impongano la forma
scritta e un’opportuna documentazione, da esibire e produrre in caso di accesso ispettivo o di
contenzioso con i lavoratori. In via prudenziale
appare consigliabile anche l’affissione dell’informativa ai fini e per gli effetti di cui all’art. 7,
Stat. lav. (8).
In materia di controlli a distanza sull’attività del
lavoratore è pertanto evidente il mutamento di
prospettiva della riforma: ad una dimensione collettiva di tutela della riservatezza del lavoratore,
fondata sull’intervento dei sindacati, è stata affiancata una forma di protezione individuale,
coerente con la natura personalissima del diritto
alla privacy, realizzata mediante la previa informazione del singolo lavoratore.
Del resto l’informazione assume da sempre un
ruolo chiave nella disciplina del Codice della privacy: la legittimità dell’utilizzo dei dati personali
transita proprio attraverso la correttezza e la
completezza dell’informazione fornita all’interessato circa le modalità di acquisizione ed utilizzo
degli stessi, come si evince dalla lettura degli
artt. 11 e 13, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
Mediante l’espresso richiamo dell’art. 4, comma
3, Stat. lav., la disciplina sulla privacy, il cui rispetto è condizione di utilizzabilità dei dati rac-
colti con le modalità indicate dai commi 1 e 2, si
intreccia al diritto del lavoro.
Del resto, tale connubio, sebbene raramente valorizzato in giurisprudenza (9), era già contemplato
dalla normativa internazionale e sovranazionale
proprio in relazione ai controlli eseguiti mediante
i nuovi mezzi informatici e telematici.
In particolare si fa riferimento alla “Raccomandazione del Consiglio d’Europa sul trattamento
dei dati personali sul posto di lavoro” del 1° aprile 2015, sostitutiva della precedente Raccomandazione settoriale del 1989, superata dalle grandi
innovazioni tecnologiche intervenute nel corso
degli ultimi anni.
Prima ancora era intervenuto il Regolamento di
lavoro riguardante la vigilanza sulle comunicazioni elettroniche sul posto di lavoro, pubblicato
dal Gruppo di lavoro sulla protezione dei dati
personali, istituito ai sensi dell’art. 29, Direttiva
95/46/Cee, con cui sono dettati i principi indispensabili alla base della legittimità del controllo
tecnologico.
Infine, come valorizzato dallo stesso Garante per
la protezione dei dati personali in materia di controlli tecnologici (10), anche nell’ordinamento interno il collegamento tra la disciplina dei controlli datoriali a distanza e quella sulla privacy era
effettuato dall’art. 114, Codice privacy, che ribadiva (e tuttora ribadisce) la piena vigenza dell’art. 4, Stat. lav. nell’ambito dei rapporti di lavoro, fatti salve le disposizioni del codice. Pertanto,
a contrario, anche prima della riforma, il datore
di lavoro, nell’esercizio del potere di controllo,
era vincolato ai principi di necessità, correttezza,
pertinenza e non eccedenza propri del Codice
della privacy.
Intreccio tra tutela lavoristica e privacy
I trattamenti dei dati personali devono avvenire nell’osservanza dei principi del Codice ed in particolare:
a) il principio di necessità: gli strumenti informatici devono essere configurati riducendo al minimo l’utilizzazione di dati personali in relazione alle finalità perseguite;
b) il principio di correttezza: le caratteristiche essenziali dei trattamenti - considerando oltretutto l’invasività e il carattere a volte occulto dei controlli tecnologici - devono essere rese note ai lavoratori;
c) il principio di pertinenza e non eccedenza: si tratta di un canone di valutazione che, malgrado l’apparente (e in buona parte effettiva) fumosità, appare di centrale importanza, stante la massiccia utilizzazione che ne fa il Garante nei propri provvedimenti e risposte ad
interpello; il datore di lavoro deve trattare i dati nella misura meno invasiva possibile.
(8) E. Barraco-A. Sitzia, Potere di controllo e privacy. Lavoro,
riservatezza e nuove tecnologie, cit., 15.
(9) Pone l’accento sulla rilevanza della disciplina del D.Lgs.
n. 196/2003 in materia di controlli datoriali Corte di Appello di
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Milano, 30 settembre 2005, in Not. giur. lav., 2006, 100.
(10) Deliberazione 1° marzo 2007, n. 13 “Lavoro: le Linee
guida del Garante per l’utilizzo della posta elettronica e di internet”, in Dir. prat. lav., 2007, n. 23, Inserto.
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Pc, tablet ed internet
Il dato che emerge chiaramente dalla disamina
degli interventi normativi e del Garante per la
privacy, antecedenti alla riforma dell’art. 4, Stat.
lav., è la rilevanza del ricorso a strumenti di controllo tecnologici in ambito lavorativo.
L’uso di devices elettronici, quali computer, tablet, smartphone e della connessione ad internet
è divenuto infatti imprescindibile per l’espletamento di un elevato numero di prestazioni lavorative, consentendone una maggior rapidità ed efficienza.
Tuttavia, un utilizzo distorto o un abuso di tali
mezzi da parte del lavoratore può essere da un
lato fonte di rischi e costi per l’azienda (si pensi,
ad esempio, ai casi in cui attraverso il proprio
personal computer sia effettuato un accesso in rete a siti a pagamento o si contraggano virus tali
da infettare l’intera rete informatica aziendale o,
peggio ancora, siano commessi reati); dall’altro
può costituire occasione di distrazione e scarso
rendimento nello svolgimento dell’attività lavorativa.
Al contempo, la memorizzazione - consentita dai
suddetti dispositivi - dei dati salvati, delle operazioni compiute e degli accessi in rete permette al
datore di rilevare l’utilizzo non “fisiologico” degli strumenti di lavoro in questione e reperire dati inerenti eventuali responsabilità per i danni cagionati all’azienda o relativi ai tempi, quantità e
contenuti dell’attività lavorativa. Al rovescio della medaglia, il controllo delle attività svolte attraverso i dispositivi tecnologici si presta a utilizzi
invasivi della sfera di riservatezza del prestatore
di lavoro, sconfinanti nel trattamento di dati sensibili inerenti la salute o gli orientamenti politici,
sindacali, religiosi, sessuali.
Particolarmente pericoloso, sotto questo profilo,
appare l’utilizzo di Internet da parte dei dipendenti in quanto può formare oggetto di analisi,
profilazione e integrale ricostruzione mediante
elaborazione di log file della navigazione web ottenuti, ad esempio, da un proxy server o da un
altro strumento di registrazione delle informazioni (11).
In assenza della disciplina di cui ai commi 2 e 3,
art. 4, Stat. lav. che, riferendosi genericamente
(11) E. Barraco-A. Sitzia, Potere di controllo e privacy. Lavoro, riservatezza e nuove tecnologie, cit., 20.
(12) Il riferimento è ancora una volta alla Deliberazione 1°
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agli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”, ricomprende pacificamente anche i dispositivi di natura tecnologica, i punti di riferimento in quanto a legittimità
dei controlli ed utilizzabilità dei dati erano rappresentati dalle Linee guida del Garante della
privacy (12) e dai principi elaborati in materia
dalla giurisprudenza.
Navigazione in internet
Accanto al generale dovere del datore di dotarsi
di policies aziendali sulle quali informare compiutamente i lavoratori (art. 13, Codice privacy),
rendendo così note le tipologie e modalità dei
controlli eseguibili, il Garante vieta in particolare
l’utilizzo dei dati personali ottenuti mediante le
strumentazioni hardware e software mirate al
controllo dell’utente di un sistema di comunicazione elettronica, svolto mediante:
1) la riproduzione e l’eventuale memorizzazione
sistematica delle pagine web visualizzate dal dipendente;
2) la lettura e la registrazione dei caratteri inseriti
tramite tastiera o analogo dispositivo (la rilevanza di tale divieto si può apprezzare, ai fini del
presente paragrafo, considerando che dal monitoraggio della digitazione effettuata dal dipendente
si può comunque risalire ai siti frequentati);
3) l’analisi occulta di computer portatili affidati
in uso (anche a tal proposito è agevole osservare
come sia sufficiente azionare il comando “cronologia” per avere un panorama completo delle navigazioni effettuate tramite un determinato personal computer).
Prescrive inoltre talune misure per una regolamentazione del controllo sulla navigazione web
compatibili con un’acquisizione e trattamento legittimo dei dati personali del lavoratore. Sul punto, le Linee guida richiedono la previa individuazione di siti considerati correlati o meno con la
prestazione cui è tenuto il lavoratore; la configurazione di sistemi di filtri atti a prevenire operazioni reputate inconferenti con l’attività lavorativa; il trattamento di dati in forma anonima o su
base collettiva, per gruppi sufficientemente ampi
di lavoratori; la conservazione dei dati per un
marzo 2007, n. 13 “Lavoro: le Linee guida del Garante per l’utilizzo della posta elettronica e di internet”, cit.
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tempo strettamente necessario al perseguimento di
finalità organizzative, produttive e di sicurezza.
La presenza di queste ultime esigenze, in ossequio al previgente art. 4, comma 2, Stat. lav.,
consente - secondo il Garante - l’espletamento di
controlli a distanza esclusivamente previa conduzione della procedura codeterminativa.
Alla luce della nuova disciplina, tuttavia, se gli
strumenti di natura tecnologica sono funzionali
allo svolgimento dell’attività lavorativa, deve
escludersi tanto l’onere procedurale, quanto la
necessaria preterintenzionalità del controllo, operando soltanto i vincoli di cui al terzo comma
(preventiva informazione e rispetto delle norme
del Codice della privacy) ai fini dell’utilizzabilità
delle informazioni ottenute.
Esempio emblematico è il Gps: strumento di lavoro o strumento di controllo?
Dipende dalle mansioni del lavoratore (…).
Il segnale Gps: metafora dei controlli tecnologici
Direzione Interregionale del lavoro di Milano, parere 10 maggio 2016: “se un lavoratore del settore dell’autotrasporto guida il veicolo
aziendale dotato di rilevatore Gps per esigenze assicurative e/o per esigenze produttive e/o di sicurezza e il Gps traccia gli spostamenti
del veicolo e, quindi, indirettamente segue gli spostamenti del lavoratore, si può ritenere che lo strumento accessorio impiantato sul
veicolo rientri nella previsione del nuovo art. 4, comma 2, legge n. 300/1970?
La risposta è sicuramente positiva: l’automezzo ed il Gps servono entrambi inscindibilmente ed unitariamente al lavoratore per rendere
la sua prestazione lavorativa, quindi sono strumento di lavoro nella loro unicità”.
Teoria dei controlli difensivi
In assenza di disposizioni espressamente riguardanti gli strumenti utilizzati ai fini dell’esecuzione della prestazione, oggi invece contenute negli
attuali commi 2 e 3, art. 4, Stat. lav., in giurisprudenza erano emersi due orientamenti contrastanti.
Il primo, più liberale e allo stesso tempo minoritario, con particolare riferimento alla navigazione
in internet, affermava l’inapplicabilità dell’art. 4,
Stat. lav. all’ipotesi di controlli perpetrati mediante strumenti tecnologici, laddove questi consentissero l’emersione di un rilevante inadempimento degli obblighi di diligenza, integrante una
giusta causa di licenziamento. Pertanto veniva ritenuta legittima l’acquisizione e l’allegazione in
giudizio dei dati registrati dal provider, l’impresa
informatica che fornisce l’accesso ad internet, in
assenza di qualsivoglia procedura codeterminativa o informazione del lavoratore, anche ai fini
della contestazione dell’esattezza dell’esecuzione
della prestazione (13).
A tale impostazione si contrapponeva l’orientamento più restrittivo e dominante che escludeva
l’applicazione dell’art. 4, Stat. lav. in relazione all’utilizzo di dati reperiti mediante strumenti elettronici, in particolare attraverso il monitoraggio
della navigazione in internet, solo in occasione di
controlli c.d. “difensivi”, ovvero eseguiti a poste-
riori, per l’esclusivo accertamento di condotte illecite lesive di beni aziendali estranei al rapporto
con il lavoratore (esempio: rete informatica aziendale infettata da virus), accertamento effettuato su
dati occasionalmente acquisiti, ovvero mediante
strumenti che non consentissero un controllo costante e mirato dell’esecuzione della prestazione
lavorativa, bensì fossero preterintenzionalmente
idonei alla memorizzazione di dati.
Pertanto, anche in occasione di controlli difensivi, se diretti all’accertamento e alla denuncia di
comportamenti inadempienti delle obbligazioni
contrattuali e non meramente lesivi dei beni
estranei al rapporto di lavoro, si imponeva, secondo tale ricostruzione, l’osservanza delle prescrizioni di cui all’art. 4, Stat. lav.
Emblematiche le pronunce di merito e legittimità
nella vicenda relativa all’utilizzo del programma
di controllo informatico centralizzato “SuperScout”, che consente di acquisire automaticamente tutte le navigazioni in internet effettuate
dal lavoratore. I giudici esclusero la legittimità
dell’utilizzo dei dati ottenuti con lo strumento di
controllo in questione, in quanto pervasivo e costante, quindi contrario alle istanze di libertà e
dignità dei lavoratori, laddove non fossero rispettate le condizioni procedurali e non sussistessero
esigenze di produzione, organizzazione e sicurezza richieste dal previgente art. 4, Stat. lav. (14).
(13) Trib. Milano, 8 giugno 2001, in D&L Riv. crit. dir. lav.,
2001, 1067, con nota di G. Bulgarini d’Elci, Licenziamento per
abuso di collegamento ad internet e tutela del lavoratore dai
controlli a distanza.
(14) Trib. Milano 31 marzo 2004, in Orient. giur. lav., 2004,
108, con nota di L. Cairo, Internet e posta elettronica in azienda:
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In particolare, questo il principio di diritto dettato nella suddetta vicenda dalla Suprema Corte: “In tema di controllo del lavoratore, le
garanzie procedurali imposte dall’art. 4, comma 2, legge n. 300/1970 (espressamente richiamato anche dall’art. 114, D.Lgs. n.
196/2003 e non modificato dall’art. 4, legge n. 547/1993, che ha introdotto il reato di cui all’art. 615-ter c.p.) per l’installazione di impianti ed apparecchiature di controllo richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, trovano applicazione anche ai controlli c.d. difensivi, ovverosia
a quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori, quando tali comportamenti riguardino l’esatto adempimento
delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela dei beni estranei al rapporto stesso, dovendo escludersi che l’insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti possa assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore”.
Riflessioni conclusive
All’indomani del D.Lgs. 14 settembre 2015, n.
151, la teoria dei controlli difensivi deve ritenersi
tendenzialmente superata (15).
Ove infatti pc, tablet o smartphone, dotati di connessione internet, siano strumenti essenziali all’esecuzione della prestazione lavorativa, lecito è
l’utilizzo dei dati ottenuti attraverso gli stessi, a
prescindere dalla finalità del controllo e dalla attuazione della procedura codeterminativa, sempreché siano rispettate le norme del Codice della
privacy, e sia stata data adeguata informazione al
lavoratore sulle tipologie e le modalità di controllo, conformemente al dettato del comma 3,
art. 4, Stat. lav., con conseguente necessità di implementare in tal senso le policies aziendali (16).
Per contro, qualora il dispositivo di controllo non
costituisca al contempo uno strumento di lavoro
e tuttavia ricorrano finalità di tutela del patrimonio aziendale, fondanti il c.d. controllo difensivo
nelle ricostruzioni giurisprudenziali, deve ritenersi oggi necessario l’adempimento degli oneri
procedurali di cui al comma 1, art. 4, Stat. lav.,
in forza dell’espresso richiamo a tale esigenza
quale condizione alla derogabilità del divieto dei
controlli a distanza.
Un dubbio permane in ordine all’estensione del
concetto di strumento utilizzato “per rendere la
prestazione lavorativa”.
Se pc, tablet e connessione ad internet possono
senz’altro essere attribuiti in dotazione al lavoratore a tale scopo, non tutte le funzioni che essi
svolgono si rivelano indispensabili allo svolgimento delle mansioni. In particolare, ove un’applicazione o un software installati nei dispositivi
di lavoro abbiano in realtà funzione di mero controllo dell’attività del dipendente (si veda ad
esempio il citato programma “Super Scout”), il
monitoraggio perpetrato sfruttando tali funzioni
dovrebbe ricadere nelle maglie dell’art. 4, comma 1, Stat. lav., non potendo le stesse essere qualificate quali strumenti funzionali all’esecuzione
della prestazione lavorativa.
In tal senso sembra orientarsi anche il Ministero
del lavoro che, in un comunicato stampa del 18
giugno 2015, ravvisa come lo strumento che funge da mezzo per lo svolgimento delle mansioni
cessa di essere tale nel momento in cui viene
modificato per controllare il lavoratore, ad esempio mediante l’aggiunta di programmi di geolocalizzazione o di filtraggio (17).
Con Provvedimento del 13 luglio 2016, anche il
Garante per la privacy, richiamandosi al suddetto
comunicato, è intervenuto in materia di controlli
tecnologi indicando, a titolo meramente esemplificativo, quali strumenti elettronici possono costituire strumenti di lavoro ricompresi nel comma 2
dell’art. 4, Stat. lav.
Si riporta il passaggio “(…) Possono essere considerati ‘strumenti di lavoro’ alla stregua della
normativa sopra citata il servizio di posta elettronica offerto ai dipendenti (mediante attribuzione
di un account personale) e gli altri servizi della
rete aziendale, fra cui anche il collegamento a siti
internet. Costituiscono parte integrante di questi
strumenti anche i sistemi e le misure che ne consentono il fisiologico e sicuro funzionamento al
fine di garantire un elevato livello di sicurezza
della rete aziendale messa a disposizione del lavoratore (ad esempio: sistemi di logging per il
il potere di controllo del datore di lavoro; Corte di Appello di Milano, 30 settembre 2005, in Not. giur. lav., 2006, 100; Cass.,
sez. lav., 23 febbraio 2010, n. 4375, in Lav. giur., 2011, 991,
con nota di E. Barraco - A. Sitzia; in materia di controlli difensivi, tra le più recenti, cfr. anche Trib. Milano, 28 aprile 2009, in
Dir. rel. ind., 2010, 1, 187 ss., con nota di P. Monda, L’impiego
dei controlli difensivi e la protezione della sfera personale del dipendente. In materia si veda anche Provvedimento Garante
per la protezione dei dati personali 2 febbraio 2006, in Guida
lav., 2006, n. 9, 31 con nota di Pietrosanti.
(15) Sul superamento dei controlli difensivi vedi anche la recentissima Cass. 19 settembre 2016, n. 18302.
(16) E. Barraco-A. Sitzia, Potere di controllo e privacy. Lavoro, riservatezza e nuove tecnologie, cit., 35.
(17) Ministero del lavoro, Comunicato stampa del 18 giugno 2015, in www.lavoro.gov.it.
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Jobs Act
corretto esercizio del servizio di posta elettronica, con conservazione dei soli dati esteriori, contenuti nella cosiddetta ‘envelope’ del messaggio,
per una breve durata non superiore comunque ai
sette giorni; sistemi di filtraggio anti-virus che rilevano anomalie di sicurezza nelle postazioni di
lavoro o sui server per l’erogazione dei servizi di
rete; sistemi di inibizione automatica della consultazione di contenuti in rete inconferenti rispetto alle competenze istituzionali, senza registrazione dei tentativi di accesso)”.
Pertanto deve concludersi che non esiste una
qualificazione valida a priori, in via generale ed
astratta, di uno strumento come apparecchiatura
di controllo piuttosto che strumento per rendere
la prestazione lavorativa. La classificazione in tal
senso, anche per le attrezzature tecnologiche, deve viceversa essere condotta con approccio casistico a seconda della tipologia merceologica
aziendale e delle caratteristiche delle mansioni
svolte (18).
(18) E. Barraco-A. Sitzia, Potere di controllo e privacy. Lavoro, riservatezza e nuove tecnologie, cit., 8.
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