Rassegna stampa

Transcript

Rassegna stampa
Dante, Inferno, canto dei vanagloriosi
E proseguendo la solinga via
noi giungemmo presso un gran caldaio
dove fetente broda ribollia.
Immersa senza tunica né saio
vidi qui sbrodolarsi molta gente
che si dolea traendo un alto guaio.
Io mi rivolsi allora al mio sapiente:
“Chi sono quei dannati in quella broda
che pute come merda puzzolente?”
“Figliol, chi se medesmo al mondo loda”,
rispose il mio dottore senza fretta,
“in questo inferno giusta pena inbroda.
Colui che più degli altri s’imbelletta,
che nera ancora porta la cocuzza,
di vanagloria superò ogni vetta.
A soddisfar sue voglie e ogni ruzza
gli valsero i denari e il servo incenso
che dell’Italia tutta l’aria appuzza.
Accanto a lui rimira quel melenso,
col turibolo in mano, Emilio Fede,
che alla parola tolse onore e senso.
E quel Brunetta nano che non vede
altro valore che quello di se stesso
Catone redivivo ancor si crede.
Quel tondo calvo dal sorriso fesso
di adulazione tenne una cavagna
per guadagar l’arrosto e pure il lesso.
E’ Bondi che sorride alla Carfagna,
che salì in alto grazie al calendario,
ove mostrò il valor della culagna.
La sdegnosetta che in veste di primario
resse la scuola e si chiamò Gelmini
cacciò in strada il povero precario.
Per aver messo ai bimbi i grembiulini
tanto quanto Maroni si dié vanto
che, crudo, cacciò in mare i clandestini”.
Più non mi disse e qui io chiudo il canto.
Zibaldone di pensieri sull’Informazione
a cura del centro di Documentazione Rigoberta Menchù
Il Centro di Documetazione "Rigoberta Menchù" - che prende il nome
dall'indigena guatemalteca Premio Nobel per la Pace 1992 -, si è costituito a Sondrio,
nel febbraio del 1997, a cura dell'Associazione Italia-Nicaragua,
Amnesty
International, la Bottega della Solidarietà, l'Agenzia per la Pace. Ha sede in Sondrio,
presso Lavops, Via Lungomallero Diaz, 18
Lo scopo del Centro è quello di offrire a tutti cittadini, agli studenti e agli insegnanti in
particolare, strumenti e occasioni di conoscenza e di informazione su temi,
problemi, paesi del Terzo Mondo, di promuovere una cultura della pace e della
solidarietà, la difesa e l'affermazione dei diritti umani, il commercio equo e solidale.
Il centro di documentazione aderisce alla manifestazione per la libertà di
stampa del 19 settembre a Roma. La scheda che segue vuole essere un
contributo di riflessione su questo tema, comprese le note iniziali (gf)
Libertà va cercando ch’è si cara…
Nota n. 1.
Le nostre opinioni, come le nostre scelte, molto dipendono dalle informazioni
che abbiamo: sono esse che le influenzano, le orientano, le determinano. Sia
nell’acquisto di un paio di scarpe come nell’esprimere il nostro voto. Chi
controlla mezzi di informazione, la televisione innanzi tutto, le radio, i
giornali, ha potere sulle nostre opinioni, le orienta e quindi le controlla. I
media nel loro insieme non sono più il “quarto potere” (come è stato
intitolato il famoso film di Orson Wlles “Citizen Kane” del 1941), si buon ben
dire che è il primo, perché permette di conquistare ed esercitare tutti gli altri.
Tanto è vero che chi vuol fare carriera politica, cerca innanzi tutto di
impadronirsi delle televisioni, e dei giornali (il caso italiano è esemplare: mai
Berlusconi avrebbe avuto il potere politico se non avesse avuto prima le
televisioni); tanto è vero che la prima cosa che si fa in un colpo di stato è
quella di occupare la sede della televisione e mettere sotto controllo i giornali.
Nota n.2
Libertà, perché non suoni come parola vuota, vuol dire possibilità .Libertà
di stampa vuol dire possibilità culturale, economica di stampare. Di questa
libertà- concreta - in Italia, e nel mondo, godono pochi. “La libertà di
stampa è la libertà di chi ha soldi per scrivere quello che vuole o
abbastanza soldi per pagare i giornalisti per farlo” ( Joseph
Lapalombara) Ecco perché in Italia la stampa è quasi tutta padronale: sono
i gruppi economici-finanziari- industriali i padroni dei giornali; pochissimi i
giornali liberi, di cooperative di giornalisti e lettori (vedi Il Manifesto e
qualche altro). Non esistono giornali indipendenti: tutti, l’eccezione conferma
la regola, dipendono da un padrone. E i nostri giornali di padroni ne hanno
almeno tre: l’imprenditore editore, la pubblicità, i sussidi dello stato (vedi La
casta dei giornali di Beppe Lopez).
Nota 3
In Italia solo il 13% acquista un giornale; oltre l’80% della popolazione
italiana ha come fonte unica di informazione la televisione; e questa sappiamo
tutti come è messa e in mano a chi è.
Nota 4
Più ignoranza c’è, più bugie si possono dire, più facilmente le guerre si
possono fare. La guerra ha bisogno di disinformazione e bugie, come la pace
ha bisogno di verità e informazione corretta e onesta.
Per questo chi si impegna per la pace si adopera per una giusta informazione
e per la ricerca della verità.
L’informazione, corretta e onesta, non ci viene data, servita a tavola dai
telegiornali o in poltrona sul giornale (padronale). L’informazione è tutta a
nostro carico e a nostre spese; come la ricerca della verità.
Il detto “l’ha detto la televisione”, per dire che è vero, va esattamente
rovesciato: l’ha detto la televisione, dunque c’è da dubitarne, molto
probabilmente non è vero.
“Tutto quello che sai è falso”, recita il titolo de un “manuale dei segreti e delle
bugie” edito da Nuovi Mondi Media: e l’affermazione rischia, con questo
nostro sistema di informazione, di essere vera.
“Siate semplici come colombe e prudenti come serpenti” ( dal Vangelo)
“La verità si tradisce sia mentendo sia tacendo” (Cicerone)
MANIFESTAZIONE PER LA LIBERTA' DI STAMPA 19 SETTEMBRE A ROMA
La Federazione Nazionale della Stampa Italiana comunica:
L’informazione non si fa mettere il guinzaglio: sabato 19 settembre
manifestazione a Roma.
"La Segreteria della Federazione nazionale della Stampa Italiana ha
deliberato oggi di proporre alle forze sindacali e sociali di tenere sabato 19
settembre prossimo a Roma una "manifestazione civica" per la libertà
dell’informazione, difendendola da ogni tentativo di depotenziarne la
funzione costituzionalmente garantita e di indurre silenzi non dovuti.
C’è un allarme che sta diventando molto alto nel Paese. Non è la prima volta
che è stata necessaria la mobilitazione anche contro governanti di segno
diverso da quello attuale, ma oggi si sta vivendo una fase di grande
delicatezza con attacchi senza precedenti. Non solo disegni di legge bavaglio
ma anche azioni forti in sedi giudiziarie e manifestazioni pubbliche che hanno
l’oggettivo risultato di costituire una minaccia per chi fa informazione
ritenuta non gradita.
L’informazione non si farà mettere il guinzaglio. Il mondo dell’informazione,
assieme al mondo del lavoro ed alla società civile, è chiamato a scongiurare
questo pericolo.
C’è bisogno urgente di riassumere e promuovere la consapevolezza piena
della funzione dell’informazione quale pilastro di ogni democrazia; una
funzione che è anche politica ma che non appartiene alla disponibilità del
potere. E’ una materia che va sottratta, prima che sia troppo tardi, alle
contingenze dei virulenti contrasti politici e che impone pertanto il rispetto
dei principi legali e sociali di convivenza di cui è parte integrante.
La Federazione Nazionale della Stampa Italiana ritiene che sia necessaria,
quindi, una reattività civile nella considerazione che l’informazione è libertà;
ogni ferita che essa subisce determina una attenuazione della libertà di tutti.
E’ indispensabile che l’informazione possa dare una rappresentazione
permanente della vita del Paese, nella pluralità dei punti di vista e di tutte le
rappresentanze sociali e culturali e ne racconti libera mente i successi e i
problemi.
Il diritto all’informazione
Art. 21 della Costituzione italiana
“Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di informazione”
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”
Art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. 1948
Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il
diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare,
ricevere e diffondere informazioni i idee attraverso ogni mezzo e senza
riguardo a frontiere.
L’art. 11 del Trattato di Nizza, La carta dei Diritti Fondamentali dei Cittadini
Europei recita: “Ogni cittadino ha diritto alla libertà di informazione. Tale diritto
include la libertà di opinione e la libertà di ricevere e comunicare informazioni o idee
senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di
frontiera…La libertà dei media e il pluralismo sono rispettati”.
Di seguito una piccola antologia di pensieri sull’informazione.
“Forse mai come oggi, nell’era della più sofisticata ed efficiente tecnologia
dell’informazione, è stato così difficile sapere come stanno le cose ed è stato così
semplice mentire” (Claudio Magris, Corriere della Sera 12.01.03)
“Un ulteriore veleno della democrazia è la menzogna, dentro la quale viviamo ormai
stabilmente: menzogne sulle armi e sul terrorismo sostenuto da Saddam, menzogne
recentissime sulle torture e sulle intercettazioni illegali americane che Bush nega
perentoriamente di far praticare” (Barbara Spinelli, La Stampa 31.12.05)
“Ci chiediamo se sia compatibile con i valori costitutivi dell’Europa il fatto che, proprio
nella sua parte più bella e antica, una persona controlli l’80% dei media e sia per
inciso anche presidente del Consiglio. Trovo che queste cose siano importanti e
vadano conosciute nel mondo” ( Claudio Abbado)
“Il potere politico sembra nel caso italiano aver vinto la partita controllando non la
carta stampata, mai il più potente mezzo di informazione e seduzione che ai nostri
tempi è la tv….(il telegiornale) tende a spalmare sulla realtà italiana ‘una patina di
gaudenza che non corrisponde al paese reale’ …Apparentemente dà voce a tutti, ma
invece apre e chiude sistematicamente con la maggioranza governativa, in modo che
il governo abbia sempre l’ultima parola” ( Barbara Spinelli, La Stampa, 1.02.04)
“Non ci dovrebbe essere alcun potere politico incontrollato in una democrazia. Ora, è
accaduto che questa televisione sia diventata un potere politico colossale,
potenzialmente si potrebbe dire anche il più importante de tutti. E così sarà se
continueremo a consentirne l’abuso. Essa è diventata un potere troppo grande per la
democrazia. Nessuna democrazia può sopravvivere se all’abuso di questo potere non
si mette fine” ( Karl Popper)
“La disinformazione all’interno della propaganda militare è parte della guerra”
(Donald Rumsfeld)
“Se i cittadini americani fossero consapevoli che fino ad oggi esistono molto più prove
sui rapporti economici e il sostegno di Bush a Bin Laden e dei suoi uomini di quanto
non si possa dire sui presunti legami tra Saddam Hussein e Bin Laden, il governo
cadrebbe come un castello di carta” (Michel Choussudovsky, Nigrizia, febbraio
2004)
“Ma l’opinione pubblica americana non è semplicemente fuorviata. E’ minacciata,
tiranneggiata, intimidita e mantenuta in uno stato di permanente ignoranza e paura,
con una conseguente dipendenza dalla sua leadership” ( Jhon Le Carré, Repubblica,
16.01.03)
“Naturalmente la gente comune non vuole la guerra: né in Russia, né in Inghilterra,
né in Germania. Questo è comprensibile. Ma, dopo tutto, sono i governanti del paese
che determinano la politica, ed è sempre facile trascinare con sé il popolo, sia che si
tratti di una democrazia, o di una dittatura fascista, o di una dittatura comunista o di
un parlamento. Che abbia voce o no il popolo può essere sempre portato al volere dei
capi. E’ facile. Tutto quello che dovete fare è dir loro che sono attaccati, e denunciare i
pacifisti per mancanza di patriottismo e in quanto espongono il paese al pericoli.
Funziona allo stesso modo in tutti i paesi” ( Herman Göring, maresciallo del Terzo
Reich)
“Berlusconi ha quasi il monopolio dell’informazione…Tre reti televisive sono sue e altre
due (rai1 e rai 2 n.dr.) reti rai lo servono. Aggiungi che Berlusconi ha già in tasca
metà della carta stampata che ne ha sposato fina dall’inizio la causa, e che la restante
metà non ne può ignorare i pesanti condizionamenti. Dunque in Italia sta
scomparendo un principio fondamentale della democrazia: la pluralità degli
strumenti di formazione dell’opinione pubblica”(Giovanni Sartori)
*****
“Mettendo insieme tutte le tirature dei giornali italiani si raggiunge una cifra
abbastanza derisoria rispetto a quella di coloro che guardano la televisione;
calcolando inoltre che solo una parte della stampa italiana ancora conduca una critica
al governo in carica, e che l’intera televisione, Rai più Mediaset, è diventata la voce
del padrone, Berlusconi aveva sacrosanta ragione (o sostenere che i giornali non li
legge nessuno mentre tutti guardano la televisione)…Questo è un dato di fatto, ci
piaccia o non ci piaccia, e i dati di fatto sono tali proprio perché sono indipendenti
dalle nostre preferenze…Si controlla il consenso controllando i mezzi di persuasione
più pervasivi…In un regime mediatico (come il nostro), dove il dieci per cento della
popolazione ha accesso alla stampa di opposizione, e per il resto riceve notizie da una
televisione controllata, da un lato vige la persuasione che il dissenso sia accettato (“ci
sono i giornali che parlano contro il governo, prova ne sia che Berlusconi se ne
lamenta, quindi c’è libertà”), dall’altro l’effetto di realtà che la notizia della televisione
produce (se ho la notizia di un aereo caduto, è vera, tanto è vero che vedo i sandali
dei morti galleggiare, e non importa se per caso sono i sandali di un disastro
precedente), fa sì che si sappia e si creda solo quello che dice la televisione”
(Umberto Eco, La Repubblica, 9.01.04)
*****
RaiMediaset: stessa casa, stesso padrone.
(…) Per quanto riguarda la Rai, il potere di nomina si è definitivamente
domiciliato a Palazzo Grazioli. Anche l' indirizzo, a pensarci bene, evoca un che di
fatale: via del Plebiscito. Numero 102. E siccome nel caso di Berlusconi in tutta onestà
non si può dire che perda il pelo, il proverbio si può in qualche modo aggiustare
osservando che grazie alle note cure, almeno sulla testa, il pelo lo guadagna pure, ma
il vizio, il vizio di decidere le cose di tutti a casa sua, quello no: il Cavaliere non lo
perde. Sullo svuotamento delle sedi istituzionali, d' altra parte, girano ormai da anni
rimarchevoli e convincenti analisi socio-politologiche, da Ralph Dahrendorf a Peppe De
Rita. E per quanto ancora da rifinire nelle sue appetitose determinazioni, la riunione di
oggi rientra nei processi di cui sopra. Ma intanto, a proposito di pelo e vizio, converrà
segnalare che alla fine di febbraio del 2003, cioè durante il II governo Berlusconi,
sempre a Palazzo Grazioli si tennero tre vertici in due giorni, tutti dedicati alla
spartizione delle poltrone Rai - che per il padrone di casa non sarebbe esattamente l'
argomento più pacifico. Ma tant' è. Di questo andazzo privatistico del comando,
di questa concezione proprietaria delle istituzioni, di questa deriva all'
insegna di una sempre meno contrastata egocrazia, la residenza romana di
Berlusconi figura da tempo come emblema evidente e massiccio, quanto può
esserlo una reggia. (…). - FILIPPO CECCARELLI, Il vizio del cavaliere
(Repubblica — 18 aprile 2009 )
*******
Il cittadino è molto male informato, e la mala informazione è una delle
principali sciagure italiane. È vero, la criminalità tra gli immigrati cresce, ma cresce
in un clima di legalità debole, di mafie dominanti, di degrado urbano. Un clima che
esisteva prima che l’immigrazione s’estendesse, spiega Barbagli. Se la malavita
italiana svanisse, quella dei clandestini diminuirebbe.
La menzogna viene piuttosto dai governanti, e in genere dalla classe dirigente: che
non è fatta solo di politici ma di chiunque influenzi la popolazione, giornalisti in
prima linea. Tutti hanno contribuito alla bolla d’illusioni, al sentire della gente di cui
parla Bossi. Tutti son responsabili di una realtà davanti alla quale ora ci si inchina: che
vien considerata irrefutabile, immutabile, come se essa non fosse fatta delle idee
soggettive che vi abbiamo messo dentro, oltre che di oggettività. I fatti sono reali, ma
se vengono sistematicamente manipolati (omessi, nascosti, distorti) la realtà ne
risente, ed è così che se ne crea una parallela. La realtà dei fatti è che ogni mafia, le
nostre e le straniere, si ciba di morte, di illegalità, di clandestinità. La realtà è un’Italia
multietnica da anni. Il pericolo non è solo l’iperrealtà: è la manipolazione e la mala
informazione. (Barbara Spinelli 17.05.09, La Stampa)
*****
Silvio Berlusconi dà il tocco finale al conflitto di interessi scegliendo il direttore del Tg1
nella persona del suo più entusiasta intervistatore (Augusto Minzolini)…che in
questi anni lo ha seguito con passione regalando ai lettori della Stampa il distillato del
berlusconismo. E’ il naturale, scontato epilogo di una lenta, progressiva degenerazione
di un potere mediatico che …torna a prendere il pieno possesso della fonte primaria
della sua vera, profonda radice: la televisione…” (Norma Rangeri, Il Manifesto 22
maggio 2009)
*****
Libertà di stampa? L'Italia è al 40° posto, dopo Cile e Corea del Sud
"Reporter Sans Frontières" www.rsf.fr
Reporter sens frontière (Rsf) ha pubblicato la prima classifica mondiale della
libertà di stampa e non sono mancate le sorprese. Innanzitutto va rilevato che,
pluralismo e libertà nella diffusione delle notizie non sono una prerogativa dei paesi
più ricchi e sviluppati. Basti pensare che il Costa Rica precede in classifica gli Stati
Uniti e diverse nazioni europee. L'Italia, a causa dell'irrisolto conflitto di interessi del
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, si piazza al quarantesimo posto, superata
da paesi latinoamericani come Ecuador, Uruguay, Paraguay, Cile ed El Salvador, oltre
che da Stati africani come Benin, Sudafrica e Namibia. La maglia nera dei peggiori del
gruppo spetta a tre nazioni asiatiche: Corea del Nord, Cina e Myanmar. In fondo alla
classifica figurano anche la maggior parte dei paesi arabi, a partire da Libia, Tunisia e
Iraq, dove è semplicemente impensabile che un giornale o una testata radiotelevisiva
possa criticare il capo dello Stato o l'operato del governo. R.s.f. assegna invece buoni
voti ad alcune realtà africane come Benin, Sudafrica, Mali, Namibia e Senegal, tutte
collocate nelle prime cinquanta posizioni e in condizione di vantare una reale libertà di
stampa. I peggiori nell'Africa nera risultano essere Eritrea (132ma), Zimbawe
(123mo), Guinea Equatoriale (117ma), Mauritania (115ma) e dal 109mo al 105mo
posto, Liberia, Rwanda, Etiopia e Sudan. (Reporters sens frontiéres).
LIBERTA' DI STAMPA/Liberi, ma solo in parte (di Pino Nicotri) (giornalista )
Inviato da: "Pino Nicotri" [email protected]
Dom 3 Mag 2009 10:13 pm
“Non è più un Paese pienamente libero”. Di che Paese si tratta? Cuba? Egitto? Tibet?
Sudan? Libia? Cina? Nossignori, si tratta dell’Italia. E a sostenere, dimostrandolo dati
alla mano, che non siamo più un Paese pienamente libero non sono i lamentosi
militanti del PD e neppure i comunisti cattivi, brutti , sporchi, mangiabambini
e ora anche sabotatori del matrimonio Veronica Lario/Silvio Berlusconi, bensì una
stimata organizzazione autonoma: vale a dire la non governativa Freedom House,
con sede negli Stati Uniti, che esamina la libertà di stampa in 195 Paesi da quasi
30 anni, per l’esattezza dal 1980, e che si pone come obiettivo la promozione della
libertà nel mondo.
Nel rapporto 2009 di Freedom House il nostro Paese viene declassato per la prima
volta da Paese ‘libero’ (free) a ‘parzialmente libero’ (partly free), unico caso
nell’Europa Occidentale insieme alla Turchia. La Grecia ha subito un significativo
arretramento, ci precede infatti di una sola casella, però a differenza dell’Italia
mantiene la valutazione ‘free’. Malta, Francia e Cipro precedono la Grecia e nella
classifica mondiale l’Italia è al settantunesimo posto, a pari merito con Benin e
Israele.
Sergio Lotti: È la repubblica, ragazzi, Peacereporter maggio 2009
La chicca delle ultime settimane è scaturita inopinata mente da un'intervista
all'arcivescovo dell'Aquila, un autentico capolavoro inserito quasi in sordina durante
una puntata di Annozero. Sua eminenza esprimeva disapprovazione su come Michele
Santoro aveva trattato il tema del terremoto e sulla mancanza di rispetto mostrata da
Vauro nell'ormai famosa vignetta sulle cubature. Confessava però di non aver visto la
tramissione e quanto alla mancanza di rispetto pareva risentito soprattutto per le
critiche al presidente del Consiglio. Sul momento non si è capito: possibile che
Berlusconi, per un pastore di anime di quel livello, sia più importante della pietà per le
vittime del sisma? Ma poi ci siamo ricordati che si stava parlando dell'Unto del signore,
bestie che siamo, e che la cosa non è poi così strana. Molto più strano è il concetto
che non soltanto l'Unto, ma anche altri rappresentanti delle istituzioni hanno della
professione giornalistica e del servizio pubblico: la passerella del governo sulle
macerie aquilane è informazione, le critiche alla scarsa prevenzione, ai
mancati controlli e alle colpevoli inefficienze sono indecenza, sciacallaggio,
comportamenti da censurare.
La televisione è da anni, e resta ancora oggi, il principale mezzo scelto dagli
italiani per formarsi un'opinione sulla politica e sul da farsi in cabina
elettorale. Solo un quarto degli elettori, infatti, si e' affidato ai giornali, uno su dieci
per informarsi ha letto il materiale di propaganda dei partiti (volantini, manifesti,
ecc.), mentre Internet rappresenta la fonte di informazione per una fetta ancora
minoritaria (e giovane) del corpo elettorale. E' questo il paese ancora teledipendente
che emerge da un'indagine che il Censis ha condotto durante la campagna elettorale
per le elezioni europee e che è stata pubblicata oggi, a urne chiuse e risultati acquisiti.
La tv la fa dunque da padrona: il 69,3% degli elettori si e' informato attraverso le
notizie e i commenti trasmessi dai telegiornali per scegliere come e chi votare.
I Tg restano dunque il principale mezzo per orientare il voto soprattutto tra i
meno istruiti (il dato sale, in questo caso, al 76%), i pensionati (78,7%) e le
casalinghe (74,1%). Al secondo posto, ancora la Tv, con i programmi giornalistici di
approfondimento ("Porta a porta", "Matrix", ecc.), a cui si e' affidato il 30,6% degli
elettori. Si tratta soprattutto delle persone piu' istruite (il dato sale, in questo caso, al
37%) e residenti nelle grandi citta', con piu' di 100.000 abitanti (con quote che
oscillano tra il 36% e il 40%), mentre i giovani risultano meno coinvolti da questo
format televisivo (il 22,3% nella classe d'eta' 18-29 anni). Al terzo posto si colloca la
carta stampata: i giornali sono stati determinanti per il 25,4% degli elettori (il 34%
tra i piu' istruiti, e il dato sale a oltre un terzo degli elettori al Nordest e nelle grandi
citta', e raggiunge il 35% tra i lavoratori autonomi e i liberi professionisti).
Democrazia e plutocrazia
“Siamo convinti di prendere le nostre decisioni autonomamente; ma se tutti i grandi
media, dal mattino alla sera e giorno dopo giorno, ci martellano con lo stesso
messaggio, abbiamo ben poca libertà per formare le nostre opinioni. I mezzi di
comunicazione di massa sono presenti ovunque: stampa, radio e, soprattutto,
televisione; le nostre decisioni si basano sulle informazioni di cui disponiamo.
Tali informazioni, anche senza pensare che siano false, sono state selezionate,
classificate, raggruppate per portarci a una certa conclusione piuttosto che un' altra.
Tuttavia, gli organi d'informazione non esprimono la volontà collettiva e non possiamo
lamentarcene: l'individuo deve poter giudicare autonomamente e non per effetto di
decisioni provenienti dallo stato; sfortunatamente, nulla garantisce l'imparzialità di tali
informazioni.
In alcuni paesi, oggi è possibile - disponendo di molto denaro! - comprarsi una o
cinque o dieci reti televisive, stazioni radio, giornali, e far dire loro ciò che si vuole, in
modo tale che i consumatori, lettori, ascoltatori e spettatori pensino a loro volta ciò
che si vuole. Qui non si tratta più di democrazia, quanto di plutocrazia: non è il
popolo ad avere il potere, ma soltanto il denaro.
Altrove non è questione di denaro, ma della pressione che esercitano la moda, i
tempi o i luoghi: i giornalisti non sono né sottomessi allo stato, né comprati dal
denaro, eppure agiscono tutti allo stesso modo, imitando tra loro chi gode di maggiore
fama, temendo di apparire disinteressati, sentendosi incaricati di una stessa missione.
Il fenomeno non è nuovo, ma nel nostro mondo sottoposto a un'informazione continua
la sua forza è aumentata considerevolmente. Lo spettatore, o ascoltatore, o
lettore che crede di scegliere liberamente le proprie opinioni è forzatamente
condizionato da ciò che riceve. Anche la speranza suscitata da Internet, come
informazione diffusa da individui indipendenti e accessibile a tutti, rischia di essere
disattesa: il problema non è soltanto l'informazione che sfugge al controllo, ma anche
la manipolazione e nulla consente all'internauta di medie capacità di distinguere l'una
dall' altra.”
(Tzvetan Todorov, Lo spirito dell’Illuminismo, Garzanti, pag.45)
JONN NOOPER, TNE GUARDIAN, GRAN BRETAGNA
L’Italia che non sa
I DIALOGHI "PICCANTI" DI SILVIO BERLUsconi con una escort a caccia di denaro e di
favori sono stati registrati e pubblicati. Ma la cosa che più colpisce in tutta questa
storia è che gli italiani sanno a stento di cosa stiamo parlando. La maggior parte dei tg
non ha dato la notizia che il settimanale l'Espresso ha pubblicato sul suo sito le
trascrizioni delle registrazioni. La vicenda è stata ignorata non solo dalle reti
Mediaset, ma anche dal primo e dal secondo canale della Rai e da La 7, di
proprietà di Telecom Italia.
Si potrebbe obiettare che, siccome le registrazioni erano disponibili su internet e la
stampa ne parlava, il fatto che la tv le abbia ignorate conta poco. Ma non è così. In
Italia meno di un terzo della popolazione ha accesso alla rete. E anche prima
dell'arrivo di internet, appena un italiano su dieci comprava abitualmente un
quotidiano. Sicuramente la notizia delle registrazioni farà il giro del paese. Ma voci e
pettegolezzi non possono modificare un dato di fatto: la maggioranza degli I italiani
non conosce i particolari della vicenda né le sue implicazioni di interesse generale.
Quella che sta emergendo in Italia sotto i nostri occhi è una cultura dell'informazione
tipica dei regimi autoritari. In Italia ci sono ricchi e poveri anche in fatto di
informazione. I ricchi sono quelli che leggono i quotidiani come la Repubblica, il
Corriere della Sera e la Stampa, gli utenti della rete e chi ascolta le poche radio
d'informazione indipendenti. I poveri, molto più numerosi, sono quelli che guardano i
tg, controllati direttamente o indirettamente da Berlusconi. È una situazione
anomala e allarmante per un paese democratico dell'Europa occidentale.
Prima della caduta del muro di Berlino, una parte della Germania est comunista - e
precisamente la zona di Dresda - era chiamata "la valle degli ignari", perché i suoi
abitanti non riuscivano a ricevere il segnale delle tv occidentali e dovevano
accontentarsi dell'informazione di regime. La loro visione del mondo era quella
fabbricata dal governo.
Siamo abituati a pensare all'Italia come a quel paese di forma sottile e allungata che
ha una spina dorsale montuosa. Ma fin quando Berlusconi rimarrà in carica, faremmo
meglio a immaginare l'Italia come un paese attraversato per il lungo da una
spaccatura ampia e profonda: una nuova valle degli ignari. .
INTERNAZIONALE 805, 24 LUGLIO 2009 . 11
DISINFORMATIA TELEVISIVA
Repubblica — 23 luglio 2009
UNA tv alla maniera della Ddr - paragonabile cioè a quella della Repubblica
democratica tedesca, la famigerata Germania dell' Est - non è una televisione
di Stato, bensì di regime. Una tv che nasconde, occulta e censura le notizie
sgradite al governo, o più in generale ai poteri dominanti. E dunque, l' opposto
di un servizio pubblico, finanziato dai cittadini attraverso il canone d'
abbonamento, tenuto a fornire invece un' informazione corretta e completa all'
intera collettività nazionale. Il giudizio severo espresso dal quotidiano inglese
The Guardian sulla televisione italiana piomba con il fragore di un macigno sul
tavolo del Consiglio di amministrazione della Rai, convocato oggi per procedere
con le nomine al vertice dei telegiornali e delle reti, come hanno
autorevolmente sollecitato il Capo dello Stato e il presidente della Commissione
parlamentare di Vigilanza. Ma risulta tanto più grave per il fatto - del tutto
anomalo nel panorama internazionale - che la nostra tv pubblica è controllata
indirettamente da quello stesso governo che già controlla direttamente la tv
privata di proprietà del presidente del Consiglio. Siamo, perciò, al doppio
regime televisivo; al duopolio di regime; al regime assoluto dell' etere.
Ne abbiamo avuto l' ennesima riprova ieri, dai tg del pomeriggio e della sera,
quando il titolo di testa è diventato il rassicurante "Non sono un santo",
pronunciato da Silvio Berlusconi con una formula autoassolutoria che rivela in
realtà tutta la spregiudicatezza e l' arroganza di chi si considera un impunito o
un impunibile. Finora, però, i telegiornali domestici o compiacenti hanno
accuratamente evitato di riferire agli italiani che cos' è accaduto in quei seta
luci rosse,a Roma o in Sardegna, dove il presidente del Consiglio ha consumato
le sue notti hard in compagnia di belle ragazze più che disponibili, ruffiani,
traffichini e faccendieri, protetto dagli agenti dei servizi segreti, della Polizia di
Stato o dai carabinieri. È come mandare in onda il finale di un film, senza aver
trasmesso il primo e il secondo tempo: nel caso specifico, significa dare solo le
notizie favorevoli e gradite al premier, dopo aver tentato di liquidare la vicenda
con la giustificazione che si trattava di gossip o di questioni private.
Un' informazione parziale, incompleta, a senso unico; subalterna al
potere politico; suddita del governo. A Berlusconi, insomma, viene
concesso di replicare e difendersi da accuse che i telespettatori non conoscono
bene o non conoscono affatto, se non leggono abitualmente i giornali italiani e
quelli stranieri. Così la sua autocertificazione di empietà rischia perfino di
apparire incomprensibile alle orecchie di tanti cittadini ignari e teledipendenti
che non hanno assistito alle puntate precedenti o ne sono stati informati in
modo parziale e distorto dai tg di regime. E pensare che otto elettori su
dieci si formano un' opinione proprio attraverso la "disinformatia" a reti
unificate.(…)- GIOVANNI VALENTINI
Il potere è più che comunicazione, e la comunicazione eccede il potere. Ma il potere
si fonda sul controllo della comunicazione, come il contropotere dipende
dall’infrangere quel controllo. E la comunicazione di massa, la comunicazione che
potenzialmente raggiunge l’intera società, è modellata e governata da relazioni di
potere, radicate nel business dei media e nella politica dello stato. Il potere della
comunicazione sta al cuore della struttura e della dinamica della società.
Questo è l’argomento di questo libro. Perché, come, e da chi le relazioni di potere
sono costruite ed esercitate attraverso la gestione dei processi di comunicazione, e
come queste relazioni di potere possono essere alterate da attori sociali che puntano
al cambiamento sociale influenzando l’opinione pubblica. La mia ipotesi di lavoro è
che la forma più fondamentale di potere consiste nell’abilità di plasmare la
mente umana. Il modo in cui sentiamo e pensiamo determina il modo in cui
agiamo, individualmente e collettivamente. Certamente, la coercizione, e la
capacità di esercitarla, legittimamente o no, è una fonte essenziale del potere. Ma la
coercizione da sola non è in grado di stabilizzare il dominio. La capacità di costruire
consenso, o almeno di instillare timore e rassegnazione nei confronti dell’ordine
costituito, è essenziale per imporre le regole che governano le istituzioni e le
organizzazioni della società. E quelle regole, in tutte le società, manifestano relazioni
di potere incastonate nelle istituzioni in seguito a processi di lotta e compromesso tra
attori sociali in conflitto che si mobilitano per i propri interessi sotto la bandiera dei
propri valori. Inoltre, il processo d’istituzionalizzazione delle norme e regole e la sfida
a queste norme e regole da parte di attori che non si sentono adeguatamente
rappresentati nei meccanismi del sistema procedono simultaneamente, in un movimento incessante di riproduzione della società e di produzione del cambiamento
sociale. Se la battaglia fondamentale sulla definizione delle norme della società, e
l’applicazione di queste norme nella vita quotidiana, ruota intorno al processo di
plasmazione della mente umana, la comunicazione occupa un posto centrale
in questa battaglia. Perché è attraverso la comunicazione che la mente umana
interagisce con il suo ambiente sociale e naturale. Il processo di comunicazione opera
in base alla struttura, la cultura, l’organizzazione e la tecnologia di comunicazione di
una data società. Il processo di comunicazione media in maniera decisiva il modo in
cui le relazioni di potere vengono costruite e contestate in ogni ambito della prassi
sociale, ivi compresa la prassi politica. (Manuel Castells, Comunicazione e potere,
Università Bocconi 2009)
L'APPELLO DEI TRE GIURISTI
L'attacco a "Repubblica", di cui la citazione in giudizio per diffamazione è solo l'ultimo episodio, è
interpretabile soltanto come un tentativo di ridurre al silenzio la libera stampa, di anestetizzare
l'opinione pubblica, di isolarci dalla circolazione internazionale delle informazioni, in definitiva di
fare del nostro Paese un'eccezione della democrazia. Le domande poste al Presidente del Consiglio
sono domande vere, che hanno suscitato interesse non solo in Italia ma nella stampa di tutto il
mondo. Se le si considera "retoriche", perché suggerirebbero risposte non gradite a colui al quale
sono rivolte, c'è un solo, facile, modo per smontarle: non tacitare chi le fa, ma rispondere.
Invece, si batte la strada dell'intimidazione di chi esercita il diritto-dovere di "cercare, ricevere e
diffondere con qualsiasi mezzo di espressione, senza considerazioni di frontiere, le informazioni e
le idee", come vuole la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, approvata dal
consesso delle Nazioni quando era vivo il ricordo della degenerazione dell'informazione in
propaganda, sotto i regimi illiberali e antidemocratici del secolo scorso.
Stupisce e preoccupa che queste iniziative non siano non solo stigmatizzate concordemente, ma
nemmeno riferite, dagli organi d'informazione e che vi siano giuristi disposti a dare loro forma
giuridica, senza considerare il danno che ne viene alla stessa serietà e credibilità del diritto.
Franco Cordero
Stefano Rodotà
Gustavo Zagrebelsky
"Considero la manifestazione per la libertà di stampa una delle più importanti ed essenziali di questi
anni; una manifestazione che interpreta un sentimento collettivo, l'urgenza di tanta gente che vuole
dare un segno forte in un momento in cui in questo paese la libertà di stampa è a rischio.
La libertà di stampa non riguarda solo l'informazione. In tutte le democrazie libertà di stampa vuol
dire soprattutto approfondimento e confronto; confronto di posizioni e idee diverse in modo che chi
legge o ascolta i telegiornali possa farsi autonomamente una sua opinione.
Da noi invece stiamo assistendo alla oppressione di questo confronto da parte di un potere sempre
più arrogante che vuole zittire le voci a lui invise. È orrenda, è tecnica da terrorismo questa mania di
querelare e denunciare chiedendo per di più milioni di risarcimento quando si vuole mettere a tacere
i giornali non amici. Come lo è l'ossessione di chiamare "diffamazioni", le notizie: nessun politico o
governante di un paese straniero si permetterebbe di aggredire la stampa, i giudici, gli intellettuali
come succede in Italia. Qui si arriva a usare il bastone, a frugare nel fondo della vita delle persone
per, screditandole, metterle a tacere. Per non parlare dell'informazione televisiva dove se guardi i
telegiornali in Rai o i nelle reti private e non trovi le notizie, o se proprio proprio sono costretti a
dirle le ascolti capovolte come è avvenuta su tutta la vicenda delle ragazze di Bari.
Sono preoccupato. Con Franca Rame ne abbiamo viste di tutti i colori in 60 anni di satira, ma mai
un potere così subdolo nel voler mettere in ginocchio i giornali che vogliono capire, approfondire,
tenere alta l'allerta, arrivando perfino a invitare gli industriali a non dare la pubblicità ai giornali che
parlano male del premier. All'estero questo è reato. Non lasciamo che in Italia diventi la regola.
Ecco perché è importante manifestare per la libertà di stampa il 19". (Dario Fo)
Perché il mondo cattolico preferisce tacere
Filippo Gentiloni
Nonostante tutto, il consenso del mondo cattolico a Berlusconi non sembra diminuito.
Nonostante le vicende private, nonostante la politica antiumanitaria e razzista. Un
consenso che, anche se con un piccolo calo, si mantiene maggio- . iitario proprio fra i
cattolici praticanti (Mannheimer). Come mai? Si può cercare di rispondere ricordando
alcune caratteristiche del mondo cattolico italiano.
La prima caratteristica non può non riguardare le fonti di informazione. I cattolici
del nostro paese, più o meno come tutti o quasi i loro fratelli, ascoltano soprattutto
la tv. I mass media certamente più dei vescovi e dei parroci. E non .bisogna
dimenticare che la voce dei media è quella di Berlusconi. Non tutta, certamente, ma
per larga, larghissima parte. Anche la voce della chiesa nel nostro paese passa
per l'altoparlante berlusconiano dei mass media. È qui che l'opposizione viene
dimezzata e corretta; è qui che si fabbrica, giomo dopo giomo, il consenso al govemo
e anche alle sue prese di posizione caratterizzate da un dubbio - a dir poco - spirito
cattolico.
Non che manchino del tutto le voci di dissenso. Quelle che resistono, però, prima di
tutto sono deboli e rare. Si aggiunga che generalmente sono politicamente
caratterizzate come "di sinistra..: la loro coloritura politica prevale, generalmente,
sulla loro coloritura cattolica (tutti cattocomunisti, ama dire Berlusconi). A tutto
vantaggio, quindi, della politica del premier.
Si deve anche aggiungere che il mondo cattolico - è bene usare questa espressione
generica - '. anche quando è critico nei confronti di Berlusconi, è attento a non
perdere quei privilegi che il govemo di centrodestra gli concede. Privilegi
importanti, come si è visto ancora in questi giorni a proposito dell'insegnamento della
religione nella scuola." I "palazzi.. vaticani sono attenti a non incrinare un rapporto
che, tutto sommato, è a loro favore.
E, allora, è meglio tacere o qua.si. Nonostante le escort e il caso Boffo e gli immigrati
respinti in mare. Sopportando un certo imbarazzo: a dir poco. Una nuova Democrazia
Cristiana (quella, forse, di Casini) sembra al cattolicesimo italiano ancora lontana.
L'orgia del potere nella tv del Cavaliere
GIOVANNI VALENTINI, La repubblica 14 settembre 2009
UN DIKTAT, un atto d'imperio, unacensura preventiva. Non contento di avere già a
disposizione tre reti televisive private controllate dalla sua azienda di
famiglia e due pubbliche controllate dalla sua maggioranza di governo, in
piena orgia del potere mediatico il presidente del Consiglio è deciso oraanormalizzare
la Terza rete della Rai, l'ultimo bastione della resistenza catodica, per omologarla definitivamente all'informane di regime attraverso cui controlla a sua volta gran parte
dell' opinione pubblica italiana.
La decisione di cancellare la prossima puntata di Ballarò per trasferire lo show sulla
consegna delle case ai terremotati dell' Abruzzo a uno speciale di Porta a porta, in
programma domani sera in prima serata, conferma purtroppo tutte le preoccupazioni
e i sospetti manifestati da più parti negli ultimi tempi. E imprime così il sigillo di
Palazzo Chigi su ciò che ancora resta del nostro cosiddetto servizio pubblico televisivo.
Anche se la scelta corrispondesse effettivamente alla volontà di "valorizzare un
momento importante per il Paese", come dichiara con falso candore il vicedirettore
generale della Rai Antonio Marano; e anche se Bruno Vespa, dopo àver accondisceso
senza alcuna esitazione a questa manovra, riuscisse a imbastire una puntata
professionalmente ineccepibile della sua trasmissione, la brutalità dell'imposizione
danneggia due volte l'immagine e la credibilità dell' azienda di viale Mazzini agli occhi
dei cittadini telespettatori. Una prima volta, perché assegna a Porta a porta il crisma
dell'ufficialità governativa, quasi fosse l' house organ di Palazzo Chigi, a scapito della
sua residua autonomia e indipendenza. E una seconda volta, perché di fatto scredita
Ballarò, bollando il programma di Giovanni Floris come infido ed eretico.
(…) Alla radice di questa scelta, c'è verosimilmente l'idea di un'informazione per così
dire addomesticata; subalterna al potere politico; incline a rappresentare e a difendere
l'immagine del governo, preservandolo da qualsiasi sorpresa, imprevisto, critica o
contestazione. Un'informazione imbavagliata, costretta a rispettare il protocollo di
Palazzo Chigi, tendenzialmente ridotta al ruolo di megafono governativo. E dunque,
agli antipodi del suo ruolo e della sua responsabilità istituzionale: cioè della sua
funzione di contropotere, inteso qui come controllo del potere e non già come
opposizione pregiudiziale al potere costituito.