Domande della Tavola rotonda

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Domande della Tavola rotonda
1.
Come si articola e come si gestisce la DIMENSIONE DEL CONTROLLO nell’intervento
educativo domiciliare presso le famiglie affidatarie?
Il tema del “controllo” è trasversale a tutti gli operatori (assistenti sociali, psicologi, educatori) che
lavorano a sostegno delle famiglie affidatarie e assume caratteristiche e sfumature peculiari per gli
educatori che intervengono direttamente al domicilio degli affidatari. Questa tematica è presente
nell’ambito della prevenzione e della tutela, ma ci sembra che assuma una connotazione diversa per
gli educatori che intervengono nel contesto dell’affido. Come si articola e come si gestisce la
dimensione del controllo nell’intervento educativo domiciliare nell’ambito dell’affido, posto che,
rispetto all’ambito di prevenzione e tutela:
a) Si parte da presupposti differenti: nell’ADM, a causa delle difficoltà educative e genitoriali del
contesto familiare, si esplicita la necessità di intervenire per integrare le funzioni genitoriali a tutela
del benessere del minore; nell’affido, diversamente, l’obiettivo è supportare e facilitare da un punto
di vista educativo e pedagogico il nucleo familiare nella fase di avvio dell’affido o durante fasi
critiche successive del progetto.
b) Si parte da livelli di conoscenza differenti del sistema: nell’ADM può sussistere già una
valutazione delle risorse e delle fragilità della famiglia. Nell’affido l’educatore osserva e fa parte di
un sistema che, con l’ingresso del bambino, deve riorganizzarsi e il cui funzionamento reale non è
conosciuto dagli operatori, ma solo ipotizzato in base agli elementi raccolti durante la fase di
conoscenza della famiglia affidataria e durante il processo decisionale che determina l’abbinamento
di quella famiglia con quel bambino.
c) Ci sono aspettative diverse da parte degli operatori della rete: nell’ambito di prevenzione e tutela
le dimensioni del controllo e del sostegno sono condivise tra gli operatori e con le famiglie. Il
controllo nell’affido è meno esplicitato, non solo alle famiglie affidatarie, ma anche tra gli operatori
della rete. In questo senso ci sembra che il tema del controllo sia connesso anche al tema della
fragilità delle famiglie affidatarie, che non sono “famiglie perfette”, all’effetto che le fragilità delle
famiglie hanno sugli operatori e a come gli operatori della rete si aspettano che l’educatore debba
intervenire rispetto alle fragilità individuate.
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2.
PROGETTO PONTE
Per contestualizzare questa domanda ci sembra rilevante riportare brevemente la storia di due
diversi “progetti ponte” strutturati in rete con il Servizio Minori da giugno 2009 ad oggi.
a)
Gabriele viene inserito in famiglia affidataria all’età di 3 anni, in seguito al collocamento,
dall’età di 7 mesi, in una comunità insieme alla madre. La signora è seguita dal CPS, mentre il
compagno, padre di G., è detenuto dalla nascita del bambino e non ha rapporti con lui. L’intervento
educativo viene avviato in corrispondenza dell’avvio dell’affido: l’educatrice è presente quando
mamma e bambino si incontrano, una volta ogni quindici giorni, presso il domicilio della madre, per
osservare e promuovere la relazione madre-bambino nel nuovo contesto di casa; osservare il
bambino e sostenerlo nell’integrazione delle esperienze e dei vissuti sperimentati con la madre e
con la famiglia affidataria; favorire e mediare la comunicazione tra la madre e la famiglia
affidataria, aiutando tutti gli adulti coinvolti nella lettura dei comportamenti di G. prima, durante e
dopo gli incontri in relazione anche alle dinamiche dell’affido.
L’educatrice incontra poi ogni 3 mesi circa la mamma di G. al Servizio Affido per condividere le
osservazioni effettuate e co-costruire il progetto educativo in itinere. Gli obiettivi individuati sono
stati: lavoro sulle regole e contenimento; organizzazione degli spazi della casa e dei momenti
dedicati al bambino; lavoro sull’autonomia in contesti diversi da quello di casa (parco,
supermercato, ecc.); lavoro sulle comunicazioni al bambino rispetto alla sua storia, al padre,
all’affido. L’educatrice partecipa inoltre ad alcuni colloqui di sostegno con la famiglia affidataria
per condividere anche con loro il progetto e le osservazioni e viene organizzato un incontro di
confronto al Servizio Minori tra la madre di G. e gli affidatari.
b)
Antonio viene inserito in famiglia affidataria all'età di 7 anni. A 9 anni viene collocato in
una seconda famiglia affidataria, individuata anche tenendo conto del progetto di riavvicinamento
alla madre, che nel frattempo è riuscita a raggiungere parte degli obiettivi prefissati.
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L'intervento educativo viene attivato per facilitare il passaggio di A. dalla prima alla seconda
famiglia affidataria (accompagnamento al saluto e al distacco dalla prima famiglia affidataria,
accompagnamento alla conoscenza dei nuovi affidatari e durante il trasferimento). L'educatore è poi
presente quando mamma e bambino si incontrano, una volta ogni quindici giorni, presso il
domicilio della madre, per sostenere la relazione tra madre e figlio, per accompagnare il minore nel
passaggio emotivo dal contesto familiare affidatario a quello d’origine, per consentire una
rielaborazione degli incontri, per permettere una maggiore chiarezza e fluidità di comunicazioni tra
i due nuclei familiari.
L’educatore incontra poi la madre di A. ogni due mesi al servizio sociale per condividere le
osservazioni effettuate e co-costruire il progetto educativo in itinere. Gli obiettivi individuati sono
stati: lavoro sulle regole e contenimento; organizzazione degli spazi della casa e dei momenti
dedicati al bambino; lavoro sull’autonomia in contesti sia casalinghi sia diversi da quello di casa
(parco, supermercato, ecc.), rielaborazione degli avvenimenti più significativi verificatisi durante gli
incontri, sostegno nella creazione di una relazione adeguata tra madre e famiglia affidataria.
Bilancio dell’esperienza:
Punti di forza, risorse:
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Supporto al bambino nella gestione della doppia appartenenza; mediazione e facilitazione
del rapporto tra famiglia di origine e famiglia affidataria.
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Sostegno alla relazione genitore naturale-bambino, garantendo la doppia appartenenza, ma
sviluppando anche spazi di autonomia nella relazione con i figli.
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Possibilità di apportare nuovi elementi di osservazione sulle famiglie di origine e i bambini,
utili per un approfondimento del progetto.
Elementi critici (fattori di rischio che rendono potenzialmente inefficace l’intervento
educativo di “ponte”):
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Rischio di impostare “visite protette a domicilio”, perdendo la funzione di ponte e
ritrovandosi ad effettuare un intervento di protezione fuori contesto (non in uno spazio terzo
istituzionale, quale lo Spazio Neutro).
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Spostamento e sbilanciamento degli obiettivi sul versante del sostegno alla famiglia naturale
e al recupero delle funzioni genitoriali, con il rischio che il progetto assuma caratteristiche, modalità
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e tempi tipici di un intervento di ADM in ambito di tutela. Questo può determinare anche una
discrepanza tra i tempi di raggiungimento degli obiettivi di “ponte” e collegamento tra le due
famiglie e quelli di sostegno ed integrazione alle risorse genitoriali (quando si conclude
l’intervento? Quando si è concluso il “ponte” ed è possibile per il bambino gestire la doppia
appartenenza o quando la madre naturale ha raggiunto gli obiettivi condivisi con lei?)
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Rischio di privilegiare la relazione con la famiglia naturale, percepita come più fragile e
bisognosa, piuttosto che con la famiglia affidataria, a priori considerata più “competente”.
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Difficoltà nella gestione delle alleanze: si corre il rischio di essere percepiti dalla famiglia
affidataria come “alleato” della famiglia di origine, oppure, nel tentativo di non colludere e
coalizzarsi con nessuna delle due famiglie, si corre il rischio di non allearsi effettivamente né con
l’una né con l’altra.
Partendo dall’esperienza maturata fino ad oggi, costruita in rete con il Servizio Minori, tenendo
presente anche le diverse esigenze dei servizi coinvolti, COME DELINEARE IN FUTURO IL
PROGETTO PONTE? Quali sono SENSO, TEMPI, OBIETTIVI del lavoro educativo
dell’educatore nel progetto ponte?
Il progetto ponte, declinato a livello operativo anche partendo dall’incontro tra la presenza di una
risorsa educativa disponibile all’interno del Servizo Affido e le istanze del Servizio Minori, ci
sembra un intervento importante e significativo da sviluppare, ma rischia di essere facilmente
snaturato o strumentalizzato. Come differenziarlo in modo chiaro da una sorta di “Spazio Neutro a
domicilio”? Come preservare la dimensione specifica dell’affido? Come garantire l’alleanza con
entrambi i nuclei famigliari, ed essere realmente “ponte”, evitando il rischio che la famiglia
affidataria possa percepire l’educatore come alleato della famiglia di origine?
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AFFIDO A PARENTI
E' necessario DIFFERENZIARE L'INTERVENTO EDUCATIVO DOMICILIARE NELL'AFFIDO
A PARENTI E NELL'AFFIDO ETEROFAMILIARE? In che modo?
Dalla nostra esperienza di questi 2 anni è emerso come l'intervento domiciliare nelle situazioni di
affido a parenti presenta alcune specificità:
a) DURATA. A fronte dell’invischiamento del sistema familiare che spesso caratterizza l’affido a
parenti e che rende il nucleo dei parenti affidatari potenzialmente più fragile ed esposto, si rischia di
cronicizzare l’intervento educativo, senza connotarlo precisamente nel tempo come accade più
facilmente negli affidi etero familiari, in cui l'intervento si può anche chiudere dopo i primi 3 mesi
di osservazione.
b) Accompagnamento dei bambini all'ELABORAZIONE DELLA STORIA. Nell'affido
eterofamiliare, durante l'intervento educativo, l'accompagnamento dei bambini all'elaborazione
della storia è delicato per la complessità che caratterizza le storie dei minori in difficoltà, ma la
sinergia con gli adulti di riferimento del nucleo degli affidatari appare spesso più agevole. Gli
affidatari, comunque troppo esposti per aiutare da soli i bambini a rileggere la loro storia,
sostengono, riprendono e rafforzano i significati che gli operatori esplicitano e correlano, senza
l'implicazione emotiva del fatto di riferirsi alla propria storia familiare. Nell'affido parentale, invece,
in alcune situazioni il minore sembra non riuscire a prendere le distanze dalle sue origini,
rimanendone vincolato, mentre in altre fatica ad avere accesso alla sua storia, perché il legame crea
una sorta di tabù. L'educatore si trova ad affrontare questa tematica con tutto il nucleo familiare,
parenti e bambini.
Anche in questo caso ci sembrava utile riferirci a due situazioni concrete affrontate negli ultimi due
anni, senza spiegare però l’evoluzione del progetto come nel caso della formulazione della domanda
sul progetto ponte, ma presentando frasi, disegni, suggestioni esplicativi raccolti durante gli
interventi educativi.
Ad esempio Francesca, ragazza di 17 anni in affido dagli zii materni dall’età di 5 anni, con
l’adolescenza ha iniziato ad assumere comportamenti provocatori e aggressivi agendo, soprattutto
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nel contesto familiare, frequenti “attacchi al legame”. La ragazza ha profonda consapevolezza del
proprio passato familiare e sente la difficoltà di pensare un futuro possibile e felice nell’ambito
degli affetti della famiglia affidataria, non riuscendo a legittimarsi a causa della profonda sofferenza
per le sue origini e non permettendosi di iniziare a costruire qualcosa di buono per sè. Urla contro la
madre affidataria “tu sei la sorella di mia mamma”, ammettendo di non riuscire a mantenere un
buon legame con la zia in quanto le richiama costantemente l’abbandono, subito dalla propria
madre e solo parzialmente affrontato (si definisce “orfana di genitori vivi”). Lo zio, nei momenti di
forte tensione e conflitto, riferendosi alle mancanze e alle fragilità della ragazza le dice “sei proprio
di quella famiglia lì”, intendendo la famiglia multiproblematica della moglie. F. ritiene che il
collocamento in un’altra famiglia le avrebbe permesso di non dover fare i conti tutti i giorni con la
sua storia e ha espresso la volontà di allontanarsi dalla famiglia richiedendo un collocamento in
comunità.
Nella famiglia affidataria di Mirella, bambina di 9 anni in affido dagli zii paterni dall’età di 5 anni, è
invece molto difficile, ed in certi frangenti praticamente impossibile, affrontare con serenità e
chiarezza le motivazioni dell’affido, perché questo comporterebbe in qualche modo nominare e
spiegare anche agli altri 3 figli naturali la storia della famiglia paterna e le fragilità dello zio
(tossicodipendente ora in cura metadonica), padre di M.
Alla bambina e ai “fratelli affidatari” viene quindi spiegato dai genitori che il papà di M., essendo
senza una compagna, non avrebbe potuto occuparsi da solo della figlia garantendole l’accudimento
necessario (lavare, stirare, cucinare) e non avrebbe potuto accompagnarla durante la crescita, in
particolare durante lo sviluppo sessuale (“come avrebbe potuto fare quando le sarebbero venute le
mestruazioni?”). Inoltre permettono anche ai figli, senza apparentemente problematizzare tale
decisione, di aggregarsi ai momenti di incontro tra M. e il padre.
c) la dimensione del CONTROLLO e del SOSTEGNO viene vissuta dagli affidatari parenti in
modo più invasivo.
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