File - Missionari della Consolata
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Tonino Bello, un “santo nuovo” per una “chiesa nuova” Alcune note sul “magistero” episcopale del servo di Dio mons. Antonio (“don Tonino”) Bello (19351993). Un contributo critico. L’A. del presente saggio esterna la sua meraviglia per la causa di beatificazione di Mons. Antonio Bello, avviata pochi anni fa. L’atteggiamento dell’A. risulta sempre più comprensibile e condivisibile alla luce di vari scritti di Mons. Bello. Fino all’ultima sua conferenza tenuta ad Assisi nell’agosto 1992, il presule pugliese ha manifestato idee molto discutibili. In sintesi ecco i punti non condivisibili del pensiero di Mons. Bello: iper-conciliarìsmo, progressismo e antropologismo teologico, linguaggio secolarìsta, filo-socialismo, pacifismo assoluto, disistima verso il Sacro e verso i Dogmi, mariologia terra-terra, sensualità, femminismo. L’A. auspica che un tale Pastore non venga presentato come modello per coloro che devono essere anzitutto maestri e custodi della Fede Cattolica. di Padre Paolo M. Siano, FI Quest’anno 2012 è caduto il 50 anniversario della Professione di Terziario Francescano Cappuccino di don Tonino Bello. Infatti, il 1 gennaio 1962, don Tonino (ordinato sacerdote nel 1957) ha emesso la Professione del Terz’Ordine Francescano (TOF) (1). Il prossimo 20 aprile 2013 sarà il 20 anniversario della morte di mons. (“don”) Antonio (“Tonino”) Bello. Al riguardo è stato preparato un progetto didattico per far conoscere alle scuole don Tonino quale «testimone della fede» (2). Alla luce di questi due eventi, e dietro raccomandazione di amici, ho deciso di inoltrarmi nella lettura degli Scritti del Servo di Dio. Sì, attualmente mons. Bello — o più popolarmente “don Tonino” Bello – è Servo di Dìo (3). Nel 2007 la Congregazione per la Cause dei Santi, dietro richiesta della Conferenza Episcopale Pugliese, ha dato il nulla-osta per la Causa di Beatificazione, avviata nell’aprile 2008 (4). Nel 2010 è iniziato il Processo di Beatificazione. La prima sessione pubblica del Processo si è svolta alla presenza di autorità religiose e civili nella cattedrale di Molfetta, sotto la presidenza di mons. Angelo Amato (poi cardinale), Prefetto della suddetta Congregazione (5). Mons. (o più familiarmente “don”) Tonino Bello, Beato e poi Santo? Questo è l’auspicio coltivato in vari ambienti della Chiesa italiana, soprattutto da quelli “all’avanguardia” in materia di Teologia, Morale e Liturgia e sensibilissimi verso problematiche socio-politico-economiche… Don Tonino Bello, un santo “nuovo” per una Chiesa “nuova’! Dopo aver scandagliato vari scritti e discorsi di don Tonino, qui riportati, non posso fare a meno di esprimere una profonda amarezza nel constatare l’entusiasmo acritico di clero e laici verso il defunto Vescovo di Molfetta. Quantunque fosse una persona umanamente molto cordiale e sensibile ed un affascinante oratore (“amico” battagliero di emarginati, sfrattati, disagiati, alcolizzati, drogati, ladri, ecc., «gli ultimi» come lui li chiamava), tuttavia certi suoi scritti, discorsi, omelie e atteggiamenti rivelano una mentalità troppo mondana, troppo concentrata sul politico, sull’«orizzontale»… una mentalità poco attenta e poco sensibile al sacro, al Dogma… Mons. Antonio Bello è l’esponente più popolare dì quella cultura teologica e morale post-conciliare (progressista) che ha prodotto in vari ambienti di chiesa (anche italiana) i seguenti frutti: 1) una “pastorale” nominalmente cristiana ma effettivamente “orizzontale” e secolare, concentrata (esclusivamente o quasi) sulle rivendicazioni sociali, favorendo, di fatto, un certo oblio (da parte di fedeli) verso i Novissimi, come pure la disistima (disprezzo) verso i Dogmi della Fede e verso la esigente ascetica e spiritualità cristiana vissuta dai veri Santi; 2) una liturgia “pop” (ostile al Canto Gregoriano), fantasiosa ed anti-rubrìcale, la quale, dietro il pretesto di evitare il rubricismo, si è slegata il più possibile sia dal passato “pre-conciliare”, sia dalle rubriche del Messale di Paolo VI… So, per esperienza diretta, che almeno dagli anni ’90 tra i sacerdoti è invalsa l’abitudine di eliminare l’amitto sacerdotale grazie a un comodo camice con chiusura a “zip”. Poi si è fatto a meno anche del cingolo e ora – l’ho scoperto da poco – vari sacerdoti celebrano la Santa Messa senza usare la stola (solo casula sul camice). Chissà quale altro “indumento” salterà via nei prossimi anni… 3) una spiritualità (vita intcriore e di preghiera) buonista, insignificante e poco incisiva; 4) un impegno politico praticamente “a sinistra” ed una critica serrata e “spietata” alle Istituzioni, esclusivamente in fatto di temi sodali ed economici (nonviolenza, droga, criminalità, lavoro, disoccupazione, casa, tasse…) e mai sui problemi etici quali l’aborto, il divorzio, l’eutanasia, ecc. Teniamo bene a mente che don Tonino (ordinato sacerdote nel 1957) ha avuto alle spalle una formazione sacerdotale “all’antica”, “preconciliare”, ossia fatta di manualistica scolastica (tomista) chiara e netta nonché di ascetica senza mezze misure… Dopo il Vaticano II, don Tonino si è aperto al vento nuovo… Ma i giovani seminaristi e sacerdoti che ricevono sin dall’inizio una formazione “dontoninobellista” hanno radici fragili, sia teologiche che morali, ascetiche e spirituali… Non resta loro che un modo secolare e sentimentale di concepire la Fede e il Sacerdozio cattolico, con risultati disastrosi per se stessi e per le anime… Precisazioni ermeneutiche Già prevedo che tra le obiezioni che mi muoveranno i “fans” del Servo di Dio, ci saranno le seguenti: 1) Don Tonino usa spesso un linguaggio metaforico, simbolico, profetico, “provocante”, ma solo per stimolare nuove mentalità, riflessione e azione ecclesiale…; 2) Le “sbavature” linguistiche, o finanche gli errori (“dottrinali” o “di forma”), del Servo di Dio non pregiudicano la sua santità, né la sua incisività pastorale… A queste due possibili obiezioni rispondo: 1) L’errore filosofico del nominalismo scinde il linguaggio dal contenuto ed apre le porte non solo alle menzogne (dalle bugie “diplomatiche” e “giornalistiche” di ambienti colti, alle semplici bugie “di scusa” della povera gente), ma anche ad errori filosofici, nonché errori di Fede e di Morale. Ogni parola, ogni tipo di linguaggio ha dei contenuti che non possiamo scindere o cambiare a nostro piacimento. Separare radicalmente parola e contenuto è indice di relativismo e soggettivismo, che dal piano linguistico scivola facilmente a quello teorico e pratico. Con approccio sanamente realista dovrebbe essere facile (se non si vuol chiudere gli occhi) riscontrare nel pensiero, nei discorsi e negli scritti del Servo di Dio alcuni contenuti assai discutibili e da rigettare. Più che attaccare singoli Dogmi, don Tonino manifesta una mentalità “nuova” per una chiesa “nuova” dove i Dogmi sono praticamente superflui… Il suo linguaggio “moderno” — come vedremo — non fa rilucere i Dogmi e il sacro, ma affossa il Mistero e il Soprannaturale nell’umano e nel mondano… 2) La seconda tesi sopra accennata suppone di fatto la stessa mentalità che giustifica quel grave errore di Teologia morale denominato opzione fondamentale e che ebbe grandissima diffusione subito dopo il Concilio Vaticano II, raggiungendo “picchi” di ampio gradimento intra-ecclesiale tra gli anni ’70 e gli anni ’90 del secolo XX. Poi, finalmente, quell’errore fu denunciato da Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Ventati splendor, 67-70 (1993). Detto in parole semplici, secondo quei teologi deviati l’opzione fondamentale che si fa per Dio non viene cambiata se non da un ‘opzione direttamente contraria. Il peccato è mortale solo quando muta radicalmente e direttamente tale opzione fondamentale: da con-Dio a controDio… Per cui se uno commette peccati ritenuti tradizionalmente mortali, ma non intende mutare direttamente la sua opzione fondamentale pro-Deo, allora costui può sentirsi ancora in comunione con Dio, dunque in grafia di Dio… È facile notare che tale errore nasconde insomma volontarismo soggettivista di impronta luterana. Ora, chi ragiona secondo l’ “opzione fondamentale”, afferma che don Tonino ha fatto la sua opzione fondamentale per Dio, per Cristo, per la Chiesa, e che i suoi eventuali errori linguistici o dottrinali non l’hanno mutata. Dunque, merita la Beatificazione e Canonizzazione… Un tale ragionamento ripugna sia alla ragione che alla Fede. È ovvio che mons. Bello ha detto anche cose vere, giuste e cattoliche (es.: l’esistenza di Dio, di Gesù, la centralità dell’Eucaristia nella vita cristiana, la necessità della preghiera, il dover essere contemplativi-attivi riscoprire il ruolo della Madonna nella nostra vita inferiore, ecc…), tuttavia ciò non è sufficiente a “sanare” o a far “dimenticare” le tesi eterodosse e strambe da lui enunciate. Un Vescovo dev’essere maestro integro della Fede e della Morale, uomo di Dio amante del Culto e della preghiera. Solo a tali condizioni potrà essere autenticamente incisivo nel campo pastorale. Ora, l’ “orizzonte” culturale, ermeneutico e spirituale in cui don Tonino pensa, parla e agisce da Pastore (ed in cui egli colloca le suddette verità della Fede e della spiritualità cristiana) è in realtà l’orizzonte di una svolta antropologica tale che “svuota” e “svaluta” dal di dentro tutto ciò che è spirituale e soprannaturale… Nel corso del mio lavoro chiamerò mons. Bello anche “don Tonino” oppure il “Presule salentino”. Passo ora a compendiare e ad illustrare gli elementi più discutibili del “magistero” episcopale di mons. Bello secondo quanto contenuto nei suoi discorsi (interviste, conferenze) e scritti (omelie, libri, lettere). Si tratta di elementi fondamentali e portanti della sua figura e della sua opera di Vescovo. I brani che citerò saranno intercalati dai miei commenti mirati a favorire una riflessione critica ed approfondita sulla presunta “beatificabilità” del Presule salentino. Ritengo che il numero e la qualità delle fonti qui citate, anche se forse non esauriscono tutta la produzione letteraria e discorsiva di mons. Bello, tuttavia sono più che sufficienti a mostrare l’ “essenza” del suo pensiero. 1. DON TONINO E I SUOI “MAESTRI” (TRA IPER-CONCILIARISMO E PROGRESSISMO) I maestri, ovvero i punti di riferimento culturale, teologico e pastorale di mons. Bello sono: mons. «don Helder Càmara, l’apostolo brasiliano» (6), padre Karl Rahner (7), mons. Bruno Forte (8), padre Teilhard De Chardin (9), il card. Giacomo Lercaro, mons. Luigi Bettazzi (10), il card. Michele Pellegrino (11), padre Ernesto Calducci (12), il card. Carlo M. Martini (13), padre David M. Turoldo (14). Don Tonino condivide il conciliarismo e l'”avanguardismo” dei suoi “maestri”. In una lettera ad un sacerdote (1983), mons. Bello ricorda «i tempi profetici di Papa Giovanni. I fremiti del Concilio. Le difficoltà e le lentezze del postconcilio (15). Lentezze del post-Concilió? Di solito questa locuzione è usata da coloro che hanno il “prurito delle novità”… In un articolo del 1986, mons. Bello ricorda mons. Michele Mincuzzi (1913-1997), vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca dal 1974 al 1981 (la diocesi in cui è cresciuto don Tonino). A proposito di quei sette anni, mons. Bello mostra una sorta delirio iper-conciliarista e progressista, allorché scrive: «Sono stati gli anni in cui, ad uno ad uno, abbiamo appreso a demolire certi idoli che già il Concilio ci aveva fortemente invitati ad abbattere: la fierezza della carne e del sangue, il prestigio delle appartenenze, la sicurezza del linguaggio, il fascino rassicurante del passato, l’estraneità alle tribolazioni della ricerca umana, le rigide chiarezze concettuali» (16) 2. SECOLARISMO LINGUISTICO E TEOLOGICO Mons. Bello afferma che lo slogan di una giornata mondiale missionaria era il seguente: Perché al mondo non manchi il Vangelo. Il Presule salentino inverte lo slogan: Perché al Vangelo non manchi il mondo… Secondo don Tonino non bisogna «comunicare con l’uomo contemporaneo mediante linguaggi superati» (ossia troppo religiosi, “sacri”, “tradizionali”…), ma bisogna «entrare in contatto tecnico con l'”ateismo linguistico” della sua cultura» (17). Eppure don Tonino è l’esempio lampante che cambiando linguaggio si finisce, prima o poi, con l’adottare i contenuti del nuovo linguaggio… Non esiste un linguaggio “neutrale”, ovvero che prescinda del tutto dai suoi contenuti (i nominalisti/relativisti separano il linguaggio dalla realtà oggettiva)… Inoltre, non tutti i “linguaggi” sono idonei a veicolare le Verità della Fede. Pertanto, spiegare la Dottrina della Fede secondo le categorie di un linguaggio secolare (“ateo”) produce un impoverimento, uno svuotamento della Dottrina… Il “sacro” viene profanato ed alterato… Mons. Bello è un esempio di ciò. In un’altra occasione, don Tonino ribadisce che per essere missionari dobbiamo adattare il nostro linguaggio catechetico «al vocabolario del mondo» per attuare, così, la «fedeltà all’ uomo» (18) In un articolo del 1989, mons. Bello ribadisce la necessità pastorale e missionaria de «l’adattamento al vocabolario del mondo»(19) Ancora in preda ad una incontenibile “passione” di novità e di eversione linguistica, così dice il Presule salentino in un’omelia del 9 aprile 1989: «La parrocchia, perciò, deve essere luogo pericoloso dove si fa “memoria eversiva” della Parola di Dio» (20). Quando parla di Dio, mons. Bello mostra grande antipatia per la Teologia “tradizionale”. Non ha fiducia nelle argomentazioni “classiche” della Teologia, dell’Apologetica e della ragione… Don Tonino ha invece fiducia nel sentimento, nelle “passioni”, nel sociale, nell’esistenziale… cioè in se stesso e nel suo modo di sentire. Una tale catechesi è fuorviante e risente dell’influsso del cosiddetto “pensiero debole”, anti-razionale e relativista. Ecco cosa dice il Presule salentino nel 1992, con il solito linguaggio metaforico e “trasgressivo”, demolitore del “passato”: «Un fatto è certo: gli articolati sillogismi dei manuali, impressionanti per rigore scientifico e per lucidità filosofica, ti muoiono sulle labbra ogni volta che devi tentare un approccio che non voglia rimanere sospeso sulle trame della sterile accademia. Le solide costruzioni del pensiero, in cima alle quali, gradino dopo gradino, la ragione consolidava un tempo l’immagine di Dio, rischiano di ruzzolare alla prima argomentazione di segno contrario. Le stesse trionfanti conclusioni, a cui talvolta è dato di giungere senza che si siano frapposti ostacoli dialettici, non scaldano più che tanto gli interlocutori» (21). Ecco un’altra perla della “teologia” di mons. Bello: «Qualcuno ha scritto che la meraviglia è la base dell’adorazione. È proprio vero. Anzi, l’empietà più grande non è tanto la bestemmia o il sacrilegio, la profanatone di un tempio o la dissacratone di un calice, ma la mancanza di stupore» (22). Ancora in quel discorso del 1992, mons. Bello ritiene diseducativo presentare Dio come Uno che ti chiede il rendiconto finale. Dunque pare che mons. Bello non dia grande importanza al Giudizio di Dio… Paradiso assicurato per tutti? Inferno vuoto? Insomma pare che don Tonino non condivida molto l’ottica dei Santi (“pre-conciliari”!!!)… Ecco l’ennesimo discorso superficiale del Servo di Dio: «[Dio] Non è il grande magazziniere dei nostri nomi. E neppure l’archivista supremo che per ogni uomo allestisce un “dossier” riservato. Non è l’infallibile memorizzatore di fatti e misfatti, che poi, nel giorno del giudizio, egli userà come prove di merito o come capi d’imputatone nei nostri confronti. Sarebbe veramente banale ridurre Dio al ruolo di controllare dei nostri “sgarri”, o al rango di banchiere dei nostri titoli di credito. Un Dio siffatto, che vesta l’abito del funzionario compiaciuto o che indossi la divisa del gendarme, è quanto di più allucinante si possa pensare» (23). È davvero impressionante, la maestria con cui don Tonino banalizza (e praticamente nega) la verità di Dio Giudice. Don Tonino immagina un Dio a sua propria immagine e somiglianza e così pensa di tranquillizzare gli scrupolosi e di avvicinare gli animi a Dio… Ciò è semplicemente fuorviante e anti-pastorale. Al contrario, Gesù parla del Giudizio divino in termini che non hanno nulla a che fare con la “maliziosa” superficialità di don Tonino, il quale ha ben studiato la Teologia, ma si è lasciato prendere dallo spirito del mondo… Poco oltre (ancora in quel discorso del ’92), mons. Bello afferma che la gloria di Dio, il suo nome JHVH, «straripa da tutte le parti». Dio è dappertutto: è nei luoghi sacri e positivi (santuari, monasteri, Caritas…) ma è anche nei luoghi dove si praticano «le orge della dissolutezza», i loschi affari finanziari, gli spettacoli osceni, la «stregoneria», le «bestemmie», la «violenza» e la «morte»… Don Tonino cita al riguardo i versetti del Salmo 139: «Se salgo in ciclo là tu sei; / se scendo negli inferi eccoti»… (24). Don Tonino aggiunge che la terra non è oggetto di spartizione tra il Bene e il Male, «non ci sono paletti catastali»… Dio è Santo, penetra dappertutto… (25). Non discuto affatto la verità dell’Onnipresenza di Dio. Il problema è che tale dottrina nel contesto delle idee “dontoninobelliste” summenzionate, acquista una tinta spettrale. Ricapitoliamo. Dapprima don Tonino dice che Dio non è il gendarme che scruta tutti e poi ti chiede il rendiconto al Giudizio finale… Poi dice che Dio è dappertutto anche negli ambienti del vizio… Con scaltrezza don Tonino prende un versetto biblico dove si dice che Dio è lassù nei cieli e negli inferi… Ci perdonino i “dontoninobellisti”, ma l’idea che danno questi brani di mons. Bello è che tutto sommato Cielo e inferi, bene e male, buoni e cattivi sono… la stessa cosa! In effetti in quel discorso (e in tutti gli altri), don Tonino non parla mai dell’inferno eterno, della dannazione eterna… Dunque buoni e cattivi, bene e male, virtù e vizio, cielo e inferi… Dio è tutto e dappertutto… Don Tonino sotto sotto (forse senza volerlo) ci offre una sorta di “panteismo” sui generis, affine a certe credenze esoteriche che predicano l’unione di tutti gli opposti… 3. SVOLTA ANTROPOLOGICA RADICALE. L’UOMO E IL MONDO La seguente citazione è un esempio chiarissimo di svolta antropologica e antropocentrista di don Tonino, il quale ha tradotto in termini popolari la teologia progressista di Karl Rahner: «Quando avrò tempo, quando andrò in pensione, mi piacerebbe rimodellare in termini umani tutte quelle preghiere che noi facciamo in chiesa. l’atto di fede, l’atto di dolore, di speranza, di carità… Mi Dio, credo fermamente… Mio Dio, mi pento con tutto il cuore… Mio Dio, ti amo… Mi piacerebbe formulare atti di fede nell’uomo che Dio ama; atti di amore nell’uomo. Atti di speranza nell’uomo. Perché Dio gioca tutto sull’uomo. Anche noi dovremmo…» (26). Credere nell’uomo? Sperare nell’uomo? Amare l’uomo?… Ora capisco perché Nichi Vendola (omosessuale notorio) ha tanto “incensato” don Tonino Bello… Costui infatti predicava l’amore al mondo e all’uomo… Se non sbaglio, la storia insegna che alle impennate umanistiche sull’uomo corrispondono — guarda caso — anche impennate “omosessualiste”… [ad esempio: al tempo dell’umanesimo-Rinascimento fiorentino del ‘400; oppure si pensi al recente umanesimo clericale (filosofico-teologico-pastorale) postconciliare e agli scandali di clero pedo filo ed omosessuale]. Poco oltre, don Tonino scrive: «Come solleviamo il turibolo intorno all’altare che è simbolo di Cristo, così dovremmo rivolgere il turibolo verso l’uomo. Non gesti della piaggeria, ma gesti di onore e di gloria. Dio ha posto sul capo dell’uomo una corona di gloria e di onore. Il Signore si toglie la corona di gloria e di onore e la pone sul capo dell’uomo» (27). A proposito di verginità e celibato sacerdotale per il Regno dei cieli. In un articolo del 1983 don Tonino cerca di difendere questi valori, però fa affiorare il suo orgoglio antropocentrico, la sua eccessiva fiducia nelle sue doti di uomo… Egli racconta che quando era parroco qualcuno gli diceva di comprendere perché i preti non possono sposarsi: infatti i preti sposati come potrebbero seguire la comunità e badare alla propria famiglia, «magari con una moglie possessiva e con dei figli scapestrati»? Al che, mons. Bello commenta: «Quando sentivo valutazioni del genere, pur condividendone in fondo i contenuti pratici, provavo dei rifiuti viscerali. Prima di tutto perché si insinuavano dei dubbi circa la mia capacità di scegliere una moglie che non fosse possessiva, o di educare dei figli che non fossero scavezzacolli. In secondo luogo, perché un ragionamento di quel tipo gettava un discredito notevole sulla valenza pastorale del matrimonio, quasi che un uomo sposato potesse essere solo un annunciatore part-time del Regno di Dio» (28). È bene osservare due cose: 1) di fatto, i coniugati sono vincolati alla loro famiglia; invece chi non è sposato è più libero nelle cose del Signore; una tale considerazione non è un «calcolo faccendiero» (come dice don Tonino) ma è la constatazione della realtà; 2) il ragionamento di don Tonino, sulla valenza pastorale full-tìme del matrimonio, potrebbe indurre a giustificare in qualche modo (pastoralmente?), prima o poi, il sacerdozio uxorato… Nello schema sommario del programma pastorale per l’anno 1984, mons. Bello condivide la definizione di «presbitero» illustrata da Karl Rahner che egli definisce «grande teologo contemporaneo». Secondo Rahner, il presbitero è essenzialmente l’uomo ordinato ad annunciare la Parola. L’«anamnesi eucaristica» è il momento culminante dell’annuncio della Parola (29). In questo brano, mons. Bello, sulla scia di Rahner, non da grande peso alla dimensione sacrificale dell’Eucaristia (la Quale non è semplicemente SacramentoAnamnesi, ma è Sacramento-Sacrificio, Presenza Reale di Cristo) né alla mediazione compiuta dal sacerdote tra Cristo e gli uomini per la gloria dì Dio e per la «salus animarum». In quel progetto pastorale, mons. Bello, pur lamentandosi della scarsa affluenza dei fedeli alla Confessione, pur incitando i sacerdoti ad essere più disponibili alle Confessioni (30), però, dopo qualche rigo, fa divieto di ascoltare le confessioni dei fedeli durante la celebrazione della Messa (31). Tale decisione ci sembra poco pastorale. In un discorso ai professionisti di Molfetta, mons. Bello separa il sacro e la santità… Egli si riconosce a malincuore uomo del sacro, uomo che celebra Riti… Ma egli ama la santità laica e raccomanda ai laici professionisti di promuovere tale santità… Egli identifica i valori del Vangelo ai valori umani: solidarietà, accettazione dell’altro, ecc… I valori soprannaturali sono ridotti e identificati ai valori naturali… Ecco i brani sconvolgenti del Presule talentino: «II sacro è una tintura che noi mettiamo all’esterno secondo i nostri gusti. Santità è invece vita interiore, è ascolto […]. Ora io vorrei invitarvi ad essere i promotori di questa santità più di quanto non lo sia il vescovo. Perché il vescovo, purtroppo anche il vescovo, è un uomo del sacro. Io mi vedo moltissime volte interpellato sulle processioni, sui riti. Uomo del sacro. Siate voi i promotori della santità. Io mi appello a quella santità laica di cui tutti quanti voi potete essere fornitori, protagonisti e propositori. La santità laica, i valori del Vangelo che poi sono i valori che si sprigionano dalle viscere della terra. La solidarietà! […] La trasparenza! […] L’accettazione dell’altro! La ricerca dell’altro!» (32). Prosegue poco oltre: «Provocare dalle viscere del territorio questa esemplarità. Questo è promozione di una cultura nuova per la città. La santità laica, la promozione di questi valori» (33). Così mons. Bello conclude quel suo discorso “laico” ed “anti-sacro” rivolto ai professionisti di Molfetta: «Quanto merito vi troverete per essere stati promotori di questa santità urbana, di questa santità laicale, democratizzata, diffusa. La città langue di interiorità (34) Le parole di mons. Bello, sopra menzionate, sono inequivocabili. Esse sono sintomo di grave crisi e di incomprensione della propria identità vocazionale e teologica. Il Presule salentino mostra di sopportare a malincuore il sacro e i Riti liturgici… li considera totalmente altro rispetto alla santità… Addirittura egli demanda ai laici il compito della santità e della promozione di interiorità… E invece ciò è il primo compito del Vescovo. Don Tonino ha dimenticato che i Segni sacri (Sacramenti) sono veicoli di santità? Mons. Bello con-fonde soprannaturale e naturale, Vangelo e valori umani… Mette troppo l’accento sulle viscere della terra… Viscere della terra, santità “laica”… sono elementi che fanno pensare al mondo esoterico dei riti massonici… In un discorso ai soci dell’AVIS, don Tonino equipara la consacrazione di una chiesa a una raccolta di sangue, la lettiga all’altare, la sacca di sangue al calice della Santa Messa… Ecco poi il solito commento finale “naturalista” «Tante cose che sono semplicemente umane possono assurgere a dimensioni sacre. Vivete queste dimensioni laiche della santità!» (35). In un discorso ad un Consiglio pastorale, mons. Bello presenta una stravagante e mondana interpretazione della parabola di Gesù sulle dieci vergini. Don Tonino rimprovera le vergini sapienti perché non hanno voluto dare l’olio alle vergini stolte…(36). Don Tonino non si accorge che facendo così, rimprovera anche il Signore che ha “inventato” quella parabola… Don Tonino più sapiente di Gesù? Mons. Bello si mostra teorico di un “pensiero debole”, avverso a Dogmi e a mentalità pre-conciliare… In uno scritto del 28 gennaio 1987, mons. Bello accusa la Chiesa di «tradimenti» consumati contro gli intellettuali, contro la loro ricerca, libertà e autonomia intellettuale… (37) (forse egli si riferisce anche al caso Galilei)… In una sua rilettura della storia, don Tonino accusa la Chiesa di aver distrutto le culture («ecatombe delle culture»), «violentando le grandi tradizioni religiose degli Incas o degli Aztechi o dei Maya» (38)… Don Tonino sapeva che le «grandi tradizioni religiose» che lui rimpiange comprendevano anche i sacrifici umani? I “conquistadores” con le armi liberarono popoli inermi, vittime di aguzzini… Ma si sa… Don Tonino è contro le armi… In un’omelia del 6 settembre 1990, dopo aver elogiato le comunità di base, mons. Bello accenna ai rapporti tra la Santissima Trinità e la Madonna e dice: «Non voglio andare oltre. Perché forse mi perderei in un terreno che è già pieno di insidie dottrinali perfino per i teologi più scaltriti» (39). Quando si tratta di Misteri della Fede (e non di rivendicazioni sociali), mons. Bello non si sente a suo agio… In un discorso del settembre 1984, in occasione della profanazione di una chiesa di Molfetta, mons. Bello parla del malessere sociale della città… Poi elogia il pianto della povera gente e conclude parlando di Dio in modo troppo antropomorfico: «E Dio non sarà tentato a disperare di noi» (40). Don Tonino è troppo ligio alla Gaudium et spes fino al punto da assolutizzarla. Egli identifica la speranza cristiana con la speranza del mondo… Certo, poi egli ammette che ad un certo punto la speranza cristiana scavalca quella mondana verso l’ultraterreno… Ma come al solito, le cose “soprannaturali” dette da don Tonino non sono coinvolgenti, non elevano verso l’Alto, ma restano come asfissiate dal suo costante e oggettivo “antropocentrismo” e “socialismo” linguistico (nonché concettuale)…(41). Alla sua Chiesa locale, dopo il Convegno di Loreto (1985), don Tonino dice, tra l’altro, che non esiste «una politica cristiana»… La politica deve avere la sua «laicità», senza «ipoteche confessionali»…42. Citando la relazione di mons. Bruno Forte, don Tonino Bello dice anche che la Chiesa del futuro deve essere «debole», deve condividere il travaglio della perplessità, dev’essere compagna del mondo, deve servire il mondo senza pretendere che il mondo creda in Dio o che vada a Messa la domenica o che viva maggiormente in linea col Vangelo…(43). Indubbiamente, il “pensiero debole” del Presule salentino indebolisce i cristiani che lo assumono (preti, religiosi e fedeli laici) e rafforza la cultura laicista. Pertanto ritengo che le frequenti lamentele e provocazioni linguistiche del Presule salentino sulla crisi di Fede, sulla secolarizzazione, sull’incoerenza dei cristiani nella società, ecc., siano lamentele e provocazioni sterili e ipocrite. Mons. Bello è come un medico che denuncia il male, ma somministra una medicina che lo aegrava. 4. “SOCIALISMO”, PACIFISMO ASSOLUTO, GLI “ULTIMI” (ANCHE IN EPISCOPIO) In filigrana, nel pensiero del Presule salentino, possiamo riscontrare un sostanziale e tacito filo-socialismo o filo-comunismo. Nell’agosto del 1992, durante un convegno assisano (a cui partecipò come relatrice anche l’on. Nilde Jotti), mons. Bello ha detto che nel giorno del suo ingresso come Vescovo a Molfetta, durante l’omelia, per esortare i fedeli ad essere “eccentrici” ed appassionati per il Vangelo nel mondo, egli ha citato un pensiero di Antonio Gramsci (comunista) che esortava i suoi “compagni di partito” ad avere il «brivido della passione»… Mons. Bello racconta che in seguito ha ricevuto una lettera anonima nella quale lo si rimproverava di aver citato un comunista invece che i Padri della Chiesa. Ovviamente mons. Bello non era affatto “pentito” di aver citato Gramsci e a questo proposito ha ricevuto a quel Convegno scroscianti applausi, dopo aver parlato del «brivido della passione» auspicato da Gramsci… Nel 1992 mons. Bello si è recato in “viaggio di pace” a Sarajevo, all’epoca martoriata dalla guerra. È interessante notare che il Diario di viaggio di mons. Bello è stato pubblicato anche sul quotidiano comunista Il Manifesto, in prima pagina, il 15 dicembre 1992 (45) In un’omelia del 6 settembre 1990, don Tonino loda le «comunità ecclesiali di base», o «comunità di base», come icona della Santissima Trinità (46), comunità «inventate dal Signore» (47)… Sappiamo che le “comunità cristiane di base”, sorte negli anni ’60-’70 in Italia e in America Latina, si pongono in posizione critica nei confronti della gerarchia ecclesiastica privilegiando un approccio molto soggettivo e “popolare” nei confronti della Parola di Dio e della morale (es.: circa i divorziati risposati, il ruolo dei laici nella gestione della comunità cristiana…). Tali comunità hanno uno spirito decisamente iperconciliarista (48) e “comunista”. Secondo don Tonino, «avvento» è quando la Comunità condivide l’esistenza (grama e “randagia”) del «terzomondiale»… Avvento è quando Madre Teresa di Calcutta abbandona la clausura per andare sulle strade del mondo…(49). Perché don Tonino non dice che Avvento è anche quando le religiose di clausura aumentano le loro austerità e preghiere in favore del prossimo, in preparatone al Natale? Ma ciò sa troppo di “tradizionale”… Ciò non rientra nei progetti mondani di don Tonino… In occasione del Natale (di un anno imprecisato), mons. Bello parla dell’Incarnazione, della «inabitazione di Dio tra gli uomini». E subito, egli ne approfitta per parlare e difendere a tutti i costi gli “ultimi”: ossia i sieropositivi, i tossicodipendenti da recuperare, gli zingari, gli abusivi… Don Tonino rimprovera coloro che protestano allorché questi “ultimi” diventano loro “vicini” di casa… Don Tonino, di fatto, equipara sieropositivi, tossicodipendenti, zingari e abusivi al Verbo Incarnato… Eppure don Tonino dovrebbe essere un po’ più comprensivo verso la gente che teme tali “ultimi”… La cronaca insegna che tossicodipendenti (anche in fase di recupero) e zingari, sono categorie “particolari” da cui non raramente provengono certi “soggetti” che mettono in difficoltà la sicurezza e la proprietà altrui (talora anche la vita)… Ma si sa… Don Tonino ha il complesso socialista e gioca sulla pelle degli altri creando scrupoli inutili e falsi sensi di colpa… Ossessionato dalla mentalità “rossa” e sessantottina, il Presule salentino dice anche che la Chiesa deve incoraggiare l’obiezione di coscienza contro il servizio militare… (51) Don Tonino è assolutamente contrario alla guerra, ad ogni guerra… Secondo lui nessuna guerra è giusta, nemmeno come “extrema ratto”… L’unica difesa contro i tiranni, contro gli assalitori, è la non-violenza…(52.) Persino la «legittima difesa» non dev’essere armata, non deve ricorrere alla violenza… Dobbiamo dire che anche in questo il Presule salentino non si è rivelato un buon maestro. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (1999 2, rist. 2003) difende il principio della «guerra giusta» ossia «la legittima difesa con la forza militare» a determinate condizioni (n. 2309), occorrendo le quali, «i pubblici poteri, in questo caso, hanno il diritto e il dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale» (n. 2310). E che dire del commercio delle armi che mons. Bello avversa in modo assoluto? Ebbene, il Catechismo non parla di “soppressione” bensì di “regolamentazione” di tale commercio (cf. CCC 2316), ovviamente condannando la corsa pazza agli armamenti. Non siamo in un “paradiso terrestre”. Ci sono gruppi di uomini malvagi che detengono armi… Perciò occorrono altrettante armi nelle mani delle polizie e degli eserciti, per difendere gli inermi. Il pacifismo di mons. Bello è pertanto sterile e lesivo, fondato sul solito mea-culpismo e auto-lesionismo degno dell’epoca sessantottina. In alcune sue riflessioni, mons. Bello accosta la stola al grembiule e presenta il grembiule quale l’unico paramento sacerdotale registrato dal Vangelo… Don Tonino rincara la dose dicendo che a proposito della Messa solenne celebrata da Gesù il Giovedì Santo, il Vangelo «non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali» (54). Egli auspica «la Chiesa del grembiule» (55). In un’omelia del 6 gennaio 1991, mons. Bello ricorda con affetto Giuseppe – un alcolizzato morto l’anno precedente -, che viveva… in episcopio, dove giungeva anche a ritirarsi, ubriaco, «più tardi del solito» (56)! In uno slancio di antropologismo e sentimentalismo poetico, mons. Bello spiega in questo modo la differenza tra Basilica minore e Basilica maggiore: Basilica minore è la chiesa fatta di pietre… Basilica maggiore «è quella fatta di carne. È l’uomo, insomma!» (57). Don Tonino spiega chiaramente che Basilica maggiore è ogni uomo… è don Tonino stesso… ed è anche… Giuseppe quando è ubriaco fradicio! Don Tonino scrive che una volta, tornando tardi in episcopio, ha trovato Giuseppe, ubriaco fradicio, davanti al portone dell’episcopio e ha contemplato in lui – ubriaco fradicio – quasi un angelo… (58) Don Tonino narra un episodio avvenuto all’inizio del suo ministero episcopale. Un giovane ladro spara contro un metronotte ferendolo gravemente. Il metronotte risponde al fuoco uccidendo il giovane. Mons. Bello visita all’ospedale il metronotte ferito e celebra le esequie del ladro al cimitero. Poi mons. Bello scrive una lettera immaginaria al giovane ladro, Massimo. Più volte mons. Bello scrive che «giustamente» il metronotte ha ucciso Massimo. Forse don Tonino si è “convertito” ed ammette la liceità della legittima difesa armata? No. All’inizio della sua lettera immaginaria, don Tonino scrive: «Mio caro fratello ladro, sono letteralmente distrutto. Ma non per la tua morte. Perché stando ai parametri codificati dalla nostra ipocrisia sociale forse te lo meritavi» (59). E poi don Tonino mena giù fendenti, col solito meaculpismo “comunista”, sociale e collettivista: prima di essere «giustamente» ucciso dal metronotte, Massimo è stato «ingiustamente ucciso» da «tutta la città», e poi dalle «nostre comunità cristiane» che non sono andate a cercarlo e ad inseguirlo… E poi don Tonino dice che ladro non è Massimo ma tutti coloro che (don Tonino include anche se stesso) gli hanno rubato la dignità umana…(60). Anche in quella lettera è immancabile il riferimento indirettamente colpevolista contro la Liturgia… Le comunità cristiane che don Tonino rimprovera, a suo dire, «celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l’icona di Cristo nel cuore di ogni uomo» (61). In tutta quella lettera piena di retorica comunista, fanno brutta figura il metronotte che ha ucciso… e la Liturgia che distrae dal “sociale”… 5. LITURGIA E SPIRITUALITÀ “SECOLARE”. DISISTIMA VERSO IL SACRO E I DOGMI In un’omelia del 9 aprile 1989, don Tonino raccomanda – è giusto – di fare dell’altare «l’asse portante di tutte le vostre scelte personali», e raccomanda di coltivare «una profonda spiritualità» (62). Finalmente il Presule salentino dice qualcosa di bello e di buono! Eppure ciò non basta, come stiamo vedendo e come vedremo ancora… In alcune riflessioni sulla festa del Corpus Domini (24 giugno 1992), mons. Bello elogia l’Eucaristia ripetendo il ritornello: «Ti adoro in ogni momento, o vivo Pan del Cielo, gran Sacramento!». Don Tonino constata con amarezza «gli effetti devastanti della secolarizzazione» (63), in particolare l’indifferenza e la poca partecipazione alla Processione eucaristica da lui presieduta. Però, poi, don Tonino tira giù un fendente “secolare” contro la “nostalgia” di Processioni eucaristiche del passato, devotissime e frequentatissime: «Diciamoci, però, la verità. I tempi cambiano, e forse è fuga rincorrere le nostalgie del passato, quando la festa del Corpus Domini rievocava meriggi trascorsi nell’addobbo dei rioni, stormi di campane, volute di turiboli e fremiti di pianete. Ma è pur vero che ci stiamo adattando all’esilio» (64). A questo punto ci chiediamo: forse anche mons. Bello, con la sua “svolta antropologica” ha contributo — non poco — alla secolarizzazione accelerata del suo territorio? E con lui, quanti altri Vescovi?… Il Servo di Dio mons. Bello non mostra molta simpatia per i Riti liturgici celebrati secondo le rubriche, anzi sembra soffrire di ciò una vera avversione / ossessione… In questo don Tonino è “figlio” della sua epoca post-conciliare nella quale, a partire dagli anni 70-’80, hanno trionfato liturgisti moderni e antirubrìcali, sostenitori di danze e chitarre… Così mons. Bello prega il Signore per il suo popolo (1982): «Liberalo dalla noia del rito, dall’usura del cerimoniale, dalla stanchezza delle ripetizioni. Fa’ che le sue Messe siano una danza di giovinezza e concerti di campane, una speranza di liberazione e canti di chiese ,[…]» (65). Noia del rito? Usura del cerimoniale? Stanchezza delle ripetizioni? Ma con chi se la prende don Tonino? Nella sua parrocchia (1982) non celebrava la Messa “tridentina”!!! Lo sappiamo… i liturgisti modernisti non vogliono rubriche… Essi hanno in uggia anche le rubriche del “nuovo” Messale… Vogliono creatività a tutto spiano. In un progetto pastorale del 1984, mons. Bello manifesta nuovamente le sue incomprensioni e i suoi pregiudizi “antirubricali” tipici di quei liturgisti post-conciliari che scambiano per “rubricismo” anche la giusta e devota attenzione alle rubriche liturgiche. Quei liturgisti, nemici della Messa “tridentina”, vogliono invece assoggettare la Liturgia alle voglie creative della loro “schola” e dei singoli celebranti o animatori di turno. Ecco cosa scrive don Tonino: «Spesse volte nelle nostre liturgie si ha la percezione nettissima che l’unico a mancare è Gesù Cristo. Rubricismo, tanto. Ritualismo, a non finire. Moralismo a volte insopportabile. Fede, zero. Incontro con Lui, opaco. Abbandono all’onda della sua grazia, quasi inesistente» (66). Poi don Tonino si lamenta che nelle Liturgie «non c’è invenzione», non c’è «preghiera interiore», non c’è «ascolto contemplativo» (67), finito il «rito», «si depongono le chitarre e si scappa» (68). Se mons. Bello avesse favorito di più il Canto Gregoriano nelle parrocchie, forse ci sarebbe stata più “interiorità”… . Insomma vediamo che don Tonino è maldestro, contraddittorio. Condanna la malattia, ma non è capace di somministrare una terapia giusta… Esorta alla meditazione, al silenzio, all’esame di coscienza, alla lettura spirituale, al colloquio personale con Cristo, anche allo «sforzo ascetico», però, dice che non vuole fare «l’apologia dei mille ingredienti devozionali che hanno inflazionato e continuano a inflazionare ancora la nostra spiritualità» (69). Don Tonino è abile a rimanere nel vago, nell’ambiguità… Ma si ha l’impressione netta che la sua spiritualità (anti-devozionale) si ispiri a quella dei “maestri” influenzati dai “Fratelli separati” (giansenismo liturgico e anti-devozionale…). Don Tonino è un maestro di slogan, frasi fatte. Ad esempio, egli auspica che «le nostre messe siano “vere” e concepite come un incontro così forte, esigente ed estenuante con il Signore Risorto, da scoraggiarne la ripetizione senza un proporzionato motivo» (70). La fantasia di mons. Bello è davvero estenuante, capricciosa… Poco oltre egli auspica che la preghiera universale dei fedeli non dev’essere stereotipa ma che esprima di più «la fantasia implorante dei fedeli» (71). Il 16 ottobre 1988, mons. Bello interviene alle Giornate Salveminiane a Molfetta. Don Tonino elogia Gaetano Salvemini (1873-1957) in quanto — al dire di don Tonino — era un anticlericale onesto, mai volgare… Don Tonino si mostra affascinato dal «laicismo» di Salvemini il quale (proprio come don Tonino) non vuole caste o Chiese privilegiate… Don Tonino presenta Salvemini come… un santo laico! (72) II Presule salentino trova addirittura «commovente» il testamento olografo di Salvemini, nel quale è scritto: «”Se ammirare e cercare di seguire gli insegnamenti morali di Gesù Cristo, senza curarsi se Gesù sia stato figlio di Dio o no, è essere cristiano, intendo morire da cristiano, come cercai di vivere, senza purtroppo esservi riuscito”» (73). Nel 1946, Salvemini indirizza una lettera all’amico Modugno. Secondo mons. Bello, in quella lettera Salvemini «lascia trasparire questa fierezza unita a un’incredibile professione di umiltà» (74). Il Presule salentino cita alcuni brani di quella «incredibile professione di umiltà» e di «cristianità» di Salvemini, ove leggiamo tra l’altro — parole di Salvemini: «Dichiaro che sono cristiano perché accetto incondizionatamente gli insegnamenti morali di Gesù Cristo, e cerco di praticarli per quanto la debolezza della natura umana me lo consente. Quanto ai dogmi… non me ne importa proprio nulla: non li accetto, non li respingo, non li discuto: la mia fede in certe norme di condotta morale non dipende dal credere che Cristo era figlio d iDio» (75). Più avanti, in quella lettera — scrive don Tonino —, Salvemini dice che «i catafalchi dominatici» non lo riguardano…(76). Al termine di quel suo intervento alle giornate salveminiane, il Presule salentino (che in sostanza mostra di condividere la mentalità antidogmatica di Salvemini), scrive: «C’è da essere certi, però, che il Signore, sensibile ai galantuomini increduli non meno di quanto sia indulgente con le canaglie credenti, abbia accolto ugualmente nella sua pace questo profeta laico del suo Regno» (77). Dunque, per mons. Bello tutti in Paradiso, a buon mercato: credenti e non credenti, penitenti e impenitenti, buoni e cattivi… Il Presule salentino è in fondo come Salvemini… Non gli importa nulla dei Dogmi. In un articolo del 1989, il Servo di Dio mons. Bello manifesta ancora profonda incomprensione ed avversione per il sacro, per le rubriche liturgiche. Le sue parole sono intessute di voglia di “secolo” e di “laicità” mondana: «Appesantiti dall’impianto tipico della “civiltà cristiana” e da un apparato ancora marcatamente sacrale, fatichiamo a dare smalto all’annuncio e a conferirgli i tratti di quella “hilaritas”, cioè di “.. quella gioia contagiosa di cui parla Sant’Agostino, che accompagna sempre le buone notizie, sconvolgenti e rivoluzionarie» (78). Poco oltre, don Tonino si pone tante domande, ne rilevo alcune: «[Le nostre chiese] Sbloccano a sufficienza le cinture del rito, per liberare il messaggio e farlo “correre veloce”? O si estenuano spesso nella custodia del “sacro”, nella conservazione del “deposito”, nella vigilanza sul “talento” sotterrato? […] Quanto annuncio rivoluzionario rimane ancora sotto certi battesimi, cresime e prime comunioni? Quali stacchi eversivi producono certe omelie?» (79). In una lettera ai catechisti, del 28 gennaio 1990, don Tonino dice che “noi sacerdoti” «spintoniamo» Gesù «ma senza toccarlo»: «Lo manipoliamo nei sacramenti, logorandolo con le nostre ritualità. Lo urtiamo con implorazioni da cerimoniale, comprimendolo nei frasari da copione. Gli strisciamo accanto con la ripetitività delle sacre faccende e gli piantiamo i gomiti nei fianchi, violentando i poveri al cui interno egli si nasconde» (80). Come al solito il Presule salentino contrappone Liturgia e Poveri… Mons. Bello non riesce a cogliere il soprannaturale nelle «ritualità» e nel «cerimoniale»… Li critica volentieri per contrapporli ai poveri… Di fatto il Presule salentino presenta sacro, Liturgia, Riti liturgici, Cerimoniali, Rubriche liturgiche come ostacoli alla carità sociale verso i poveri… Non si arrabbino con me i sostenitori di mons. Bello se dico che l’avversione al sacro è di solito indizio di possessione diabolica… Certamente il Presule salentino non è un indemoniato, ma è altrettanto certo che la sua incomprensione / disistima / avversione al sacro non può provenire da Dio. In un messaggio dell’8 aprile 1990, mons. Bello («Terziario Francescano Cappuccino»), in nome della “comunione” parrocchiale, scrive al Ministro dell’OFS di Molfetta insistendo che i Terziari non celebrino il Triduo Santo nella loro chiesa, bensì in quella parrocchiale…(81). Mi permetto di far notare che il far convergere tutto nella parrocchia, può essere pastoralmente utile e significativo, ma non sempre. Bisogna star attenti a non annullare le peculiarità in nome di una comunione esteriore e orizzontale. Un Pastore “social-comunista” come mons. Bello annulla facilmente le differenze e i sani pluralismi. Narro un episodio tipico di “dontoninobellismo” che mi riguarda da vicino. Anni fa, un parroco (ora defunto), in nome della “comunione”, obbligava il nostro Convento-Seminario a celebrare il Triduo Santo nella sua parrocchia (la chiesa che noi officiavamo era un Santuario). Non potevamo celebrare la Liturgia secondo la nostra ars celebrandi, ossia sacra, devota, raccolta (con Canto Gregoriano). I nostri frati erano costretti a prender parte a Tridui Pasquali animati dalla corale parrocchiale di tipo neo-catecumenale con stili liturgici diametralmente opposti al nostro. Quel parroco (pace all’anima sua!) ci ha rovinato il Triduo Pasquale almeno per due anni consecutivi, in nome di una comunione “orizzontale” che spezza e azzera le ricchezze e le peculiarità… E quando predicava, quel brav’uomo, riduceva tutto all’uomo! Era tutto “don Tonino Bello”! Gesti, linguaggio e contenuti della sua oratoria… Ma parlava così tanto dell’uomo, svilendo i Misteri della Fede, che mi sembrava piuttosto “Ludwig Feuerbach” redivivo (filosofo che ridusse la Teologia ad Antropologia!). Il Vescovo diocesano, di quel tempo, era devotissimo di don Tonino Bello vantandosi persino di guidare in pellegrinaggio i sacerdoti della sua diocesi sulla tomba del Vescovo di Molefetta.. Poi, quando, col Motu Proprio Summorum Pontifìcum (2007), noi frati cominciammo ad apprendere e a celebrare la Messa “tridentina”, quel Vescovo cercò di opporvisi, ma la Santa Sede ci difese Poi quel Vescovo, agli incontri del clero, ci tolse il saluto, facendo tutto il possibile per evitarci… Quando ci avvicinavamo a lui pei salutarlo, lui cercava di girarsi dall’altra parte! Ecco fin dove arriva la simpatia umana e la “comunione” dei Vescovi e dei preti “don toninobellisti”! Questo tipo di Pastori sanno essere accoglienti con musulmani, ubriachi, drogati… magari anche con omosessuali “militanti” (ad es.: quel parroco giustificava le convivenze tra due ormosessuali “che si vogliono bene”, raccomandando che almeno fossero fedeli l’un l’altro!!! Mons. Bello era tanto accogliente con i politico omosessualista Nichi Vendola)… Però, tali Pastori, dinanzi a religiosi che zelano la loro identità ed amano la Messa “tridentina”, non sono più accoglienti ma sfoderano un’intolleranza, direi, “fascista”. C’est la vie Quando si tratta di parlare o scrivere di misteri sublimi della Fede, don Tonino, immancabilmente “rovina” la festa affossando tutto nel sociale… Un esempio. In una festa per il Corpus Domini don Tonino dice che forse i suoi uditori si attendano che egli spieghi la Presenza eucaristica di Gesù, il suo amore per noi, i rapporti tra Chiesa ed Eucaristia… Ma don Tonino spiazza tutti dicendo che ben altri «interrogativi» affollano la sua mente… A questo punto don Tonino fa le sue arringhe sociali e angosciose. Secondo don Tonino non può esserci festa del Corpus Domini finché un uomo senza tetto dorme nel “tabernacolo” di una barca rovesciata oppure finché un altro con i figli passa la notte in un vagone ferroviario… Non si è credibili se non si presta attenzione «al “corpo e al sangue” dei giovani drogati», ecc., ecc. (82). È sempre la solita retorica social-comunista antiborghese che semina malumori anche durante momenti sacri in cui l’anima ha bisogno di ricaricarsi di Cielo per praticare le virtù in terra… Ma è la terra, non il Cielo, ciò che affascina, appassiona e ossessiona don Tonino… Al termine di quell’omelia, don Tonino condanna ancora una volta «il fasto vuoto delle nostre liturgie» (83). Quando si tratta di Liturgia, don Tonino è incapace a fare catechesi di elevazione liturgica… Con le sue continue denunzie di “fariseismi” liturgici (veri o presunti), indubbiamente don Tonino contribuisce a posporre la Liturgia (e quindi il Culto a Dio, l’onore di Dio) ai sindacalismi sociali… Nel 1990 il Presule salentino va in Etiopia. Nel suo Diario di viaggio, egli mostra creatività liturgica con un pizzico di sensualità… Il 13 luglio mons. Bello celebra la Santa Messa. Ci sono anche delle Suore. Lascio la parola a mons. Bello: «Bellissima l’Eucaristia e partecipata in modo straordinario. […] All’offertone, la sorpresa dei doni e, soprattutto, della danza improvvisata da suor Celinia, sulla musica della marcia nuziale di Mendelssohn. Ho posato poi sull’altare un vasetto di profumatissimo unguento orientale (portato dalla Palestina). Ho colto al volo l’occasione per avvicinarmi a tutte le suore e ungerle con l’unguento, dicendo a ognuna “Sii il buon profumo di Cristo”» (84). Al Presule salentino piace vedere e toccare… In un messaggio ai catechisti, del 21 aprile 1991, mons. Bello mostra ambiguità dottrinale, in cui sembra con-fondere sacro e profano, bene e male, virtù e vizio… Don Tonino afferma che la gloria di Dio, il Nome di Dio JHVH, quindi la sua «santità», «straripa da tutte le parti», trasuda dappertutto: nei Santuari, nelle chiese, mi monasteri, nelle mense Carìtas, ma anche nei luoghi viziosi e criminali, nei luoghi delle lobbies finanziarie, nei luoghi osceni, nei luoghi dove si bestemmia, nei luoghi criminali dove si pianifica e si attua la morte.. .(85). Potrebbe sembrare che don Tonino voglia dire semplicemente che Dio è dappertutto e vede tutto… Eppure, alla luce di tutti i suoi scritti, è più logico concludere che secondo don Tonino non c’è più alcuna differenza tra sacro e profano… Nel luglio 1991, don Tonino tiene gli Esercizi spirituali a Lourdes, ad un gruppo di sacerdoti ammalati e anziani. Ad un tratto egli rivela una delle sue «trasgressioni» (così lui stesso le definisce) in fatto di Liturgia: nella sua ultima Ordinazione sacerdotale ha ordinato ai sacerdoti presenti di non cambiare la stola al neo-sacerdote ma di lasciargliela nella posizione di diacono, per ricordargli che egli è un «diacono permanente», ossia servo di Cristo…(86). Nel volume Scritti mariani, troviamo alcune meditazioni di mons. Bello tenute ad Assisi il 27 agosto 1992. In un brano davvero delirante, don Tonino afferma che la Chiesa deve rinunciare a quelli che lui definisce «progetti integralisti»… Insomma la Chiesa dev’essere compagna del mondo, dev’essere debole, la Chiesa non deve sentirsi superiore al mondo, la Chiesa dev’essere disposta a perdersi per la vita del mondo… così scompariranno le differente tra le religioni… Ritengo necessario citare questo delirante brano di don Tonino dove troviamo una mentalità davvero massonica e mondana: «In secondo luogo, una Chiesa, che voglia essere compagna dell’uomo e testimone dello Spirito, deve liberarsi dal complesso di superiorità nei confronti del mondo, per la cui vita è anzi disposta a perdersi. E quando le religioni saranno capaci di dare la vita per l’uomo, allora scompariranno anche le loro contrapposizioni» (87). La Chiesa deve perdersi per il mondo? Le religioni si devono perdere per l’uomo? Qui ci troviamo dinanzi ad atteggiamenti tipici dello storicismo hegeliano (la Chiesa si perde per il mondo e nel mondo… l’Assoluto si estranea, si nega, si perde…) e antropocentrismo post-hegeliano (Feuerbach, Marx…). Mons. Bello cita con elogio un racconto tratto dal libro di padre Ernesto Balducci (prete “moderno”) L’uomo planetario. Nel 1943, una nave affonda in Groenlandia, colpita da un siluro tedesco. Quattro cappellani, un rabbino ebreo, un sacerdote cattolico, due pastori protestanti affondano insieme tenendosi per mano, e pregando, dopo aver messo gli altri in salvo… Così commenta don Tonino: «Questo racconto mi sembra splendido per la sua forza evocativa. Intanto, la minaccia di morte che incombe sul genere umano. Poi, la fine dell’era delle molte religioni, antecedentemente rissose sulle loro prerogative di universalità che s’inabissano. E finalmente, l’inizio contestuale dell’unica religione, che assume come valore sommo la salvezza dell’uomo, anche mediante il dono della propria vita. Se nella Casa Comune le religioni si presenteranno tutte con questo intendimento di salvezza dell’uomo, se ne avvantaggerà anche la causa di Dio» (88). Don Tonino non fa capire come e quale sarà quell’unica Religione che lui auspica… Sarà la religione cristiana? Forse… Ma conoscendo don Tonino, sarà un “cristianesimo” senza Dogmi, miserabile in fatto di Liturgia, socialistoide… Don Tonino, pregno dello “spirito di Assisi”, sogna il superamento di tutte le religioni? Le religioni, le «fedi», dunque anche quella Cattolica, sono solo sguardi parziali di un Mistero più grande? Don Tonino relativista? Leggiamo quanto scrive nel 1989: «Anche oggi, in quest’esodo dei popoli verso la nuova terra di Canaan, emerge il bisogno di una forza divina che trascenda le fedi, espressione dei nostri sguardi parziali puntati su Dio. Dalle viscere dell’umanità prorompe il sussulto di uno pneuma universale che scavalchi le immagini di tutte le teofanie stanche, e provochi una convivenza nuova tra le genti fondata sulla pace, sulla giustizia e sulla salvaguardia del creato. Assisi, Basilea, Seul… sono le tappe di un cammino di catarsi religiosa che, mentre impedisce la pietrificazione di Dio, sta conducendo, non più attraverso discussioni teoriche ma passando per gli incroci della qualità della vita, a quella esperienza di convivialità “sull’alto monte” predetta dai profeti. Tu solo, Gesù, compaginatore dell’unità, potrai liberarci dalla tragedia che le religioni, invece che accelerarla, frenino la nostra corsa verso traguardi di solidarietà planetaria» (89). Don Tonino parla di una forza che trascende tutte le “fedi”… Anche la Fede Cattolica? Anche i Dogmi cattolici devono essere superati? Cosa deve fare Gesù? Convenire alla vera Religione oppure limitarsi a realizzare solidarietà umana e terrena interreligiosa? Cosa deve fare la Chiesa Cattolica? Dalle premesse poste da don Tonino, le risposte a queste e ad altre domande verteranno solo su: sociale, terra, mondo, uomo… In una preghiera del 1992 don Tonino da l’impressione di considerare le religioni come facce di una stessa medaglia… Lo stesso Dio viene invocato con vari nomi (Dio, Allah, ecc…)… Si direbbe che sia solo una questione di Nomi e non di contenuti dottrinali (nominalismo religioso): «Onnipotente e misericordioso Dio, Signore della storia e Creatore dell’universo, noi ti chiamiamo con nomi diversi, ma sei uno e unico in tutti» (90). «Signore, noi ti preghiamo per le tue Chiese, e per i nostri fratelli ebrei e musulmani. Noi tutù ti riconosciamo come unico Dio e abbiamo Abramo, Isacco e Giacobbe come nostri padri nella fede» (91). È interessante notare nel Presule salentino il silenzio (quasi assoluto) sui Novissimi e sull’Aldilà (Morte-Giudizio-inferno-Purgatorio-Paradiso). Non sorprende che circa la “sorte” di Giuda Iscariota, don Tonino (26.02.1989) si mostri “perdonista” o almeno “agnostico”. Il calcagno di Giuda, levato per colpire il Signore, rappresenta, secondo don Tonino, un bisogno angoscioso di redenzione che chiede il nostro servigio e non la nostra condanna… Don Tonino scrive che a lui non interessa se Giuda si sia dannato o salvato..(92). Davvero stupefacente! Don Tonino perdona viziosi e criminali, anche gli impenitenti finali! Ma non perdona la Chiesa del passato pre-condliare, la Chiesa dei Dogmi, la Chiesa della Messa “tridentina”, ecc., ecc. Mi perdonino i “dontoninobellisti” se dico che don Tonino mostra una sorta di perversione intellettuale volta a stravolgere ogni Verità e valore della nostra Fede, pur di adattarla agli effimeri slogan del mondo corrotto e decadente. E se è vero che uno agisce così come pensa, c’è da sperare che nella sua ortoprassi il buon senso abbia avuto la meglio sulla coerenza con queste idee strampalate. Pare che il Presule salentino faccia silenzio (assoluto) anche sui peccati mortali e sulla distinzione tra peccato mortale e peccato veniale. Si direbbe che il peccato “grave” anzi “gravissimo”, per don Tonino sia solo la non-accoglienza dell’altro… (93). Forse anche mons. Bello ha fatto sua l’eresia dell’opzione fondamentale? Conoscendo il suo pensiero, è lecito sospettarlo… Nel settembre 1992, in alcune linee per l’anno pastorale 1992-93, don Tonino scrive tra l’altro: «Abituare i ragazzi al silenzio, ridurre l’eccedenza dei rumori ritualisti, ridare anima ai gesti celebrativi perché non restino spenti o artificiali, ricentrare tutto attorno all’Eucaristia, ridare peso alla direzione spirituale, ritrovare il gusto dell’arcano…» (94). In questo caso siamo pienamente d’accordo con il Presule salentino. Peccato che con tutto quello che ha seminato negli anni precedenti, tali auspici sembrino restar sulla carta… È certo che la Messa “tridentina” favorisce molto quanto don Tonino . auspicava all’inizio del suo ultimo anno di pastorale e di vita… Don Tonino elogia il pensiero di padre Ernesto Balducci (1922-1992). In un articolo pubblicato il 26.04.1992 sul quotidiano comunista II Manifesto, don Tonino mostra la sua avversione alla Chiesa dei Dogmi. Ecco quanto scrive in difesa di padre Balducci (con enfasi progressista e soggettivismo romantico): «L’hanno chiamato il “teologo del dissenso”. Anche i resoconti giornalistici di ieri parlavano di lui come di un “prete contro”. Trovo infelici queste espressioni. Da che cosa egli dissentiva infatti, o contro che cosa faceva resistenza se non nei confronti di una Chiesa “edita”, arrivata, troppo sicura della sua corazza culturale e troppo innamorata della cristallizzazione del suo patrimonio ideologico? E, in fondo, questo “essere contro ” non significa lottare contro gli idoli? Padre Balducci amava la Chiesa» (95) 6. RELIGIOSI E SACERDOTI: (DEL) NEL MONDO, PER IL MONDO, CON IL MONDO… In apertura di un discorso alle religiose, mons. Bello elogia padre Paul Couturier (1881-1953), «il grande apostolo dell’ecumenismo», il quale già negli anni Trenta non voleva un ecumenismo inteso come “ritorno” alla Chiesa Romana da parte dei cristiani non-cattolici, bensì un ecumenismo inteso come cammino convergente di tutti, ciascuno rimanendo nella sua confessione cristiana… Secondo Couturier e secondo mons. Bello, il ritorno di tutti nella Chiesa Cattolica distruggerebbe le “diverse ricchezze culturali”… dunque occorrerebbe una unità intesa come armonia di opposti e diversi che rimangano tali… (96). Couturier apprezzava molto il pensiero di Teilhard De Chardin (convergenza in Cristo di tutta l’umanità a prescindere dal credo religioso) (97). Purtroppo, come dimostra la ricerca storica, tale ecumenismo del non-ritorno ha affascinato vari Padri e periti conciliari (del Vaticano II) ed è cresciuto con orgoglio rampante dopo il Vaticano II fino ai nostri giorni. Mons. Bello sembra elogiare la vita religiosa (castità, povertà, obbedienza). Purtroppo non cita scritti di Santi, bensì (oltre all’ambiguo Couturier) cita Goethe (poeta, naturalista e massone) e Dietrich Bonhoeffer (pastore protestante) (98). Nel discorso di mons. Bello trapela qualche “stoccata” secolarista: la spiritualità delle religiose non è fuga dal mondo («fuga mundi») o disprezzo del mondo, ma è entrare nel mondo per portarlo a Dio… (99). Le religiose devono aiutare «coloro che hanno il compito di immergersi appassionatamente nella comunione col mando» (100) . Comunione col mondo… In tal modo mons. Bello non aiuta affatto i Religiosi… Li imprigiona nel mondo, ovvero nella mondanità… Il Presule salentino non capisce che una qual certa «fuga mundi» è imprescindibile in qualsiasi cammino di Vita Consacrata, secondo l’esempio dei Santi… Mons. Bello mostra di non considerare affatto il pericolo della triplice concupiscenza (superbia, carne, mondo) da cui anche i religiosi devono guardarsi… Sembra che realtà come peccato, tentazione, custodia dei sensi e dell’anima, ecc., siano ormai “cose” vecchie, preconciliari… Circa la comunione con i poveri e con gli “ultimi”, mons. Bello, in pratica, raccomanda alle religiose di dare i conventi vuoti a chi è senzatetto…(101). Egli chiede alle Congregazioni religiose che «facciano spazio a chi è senza tetto» (102). In un altro scritto di don Tonino leggiamo tali affermazioni imprudenti: «Esaminare il problema di come restituire agli ultimi case religiose vuote e conventi chiusi. […] Educare chi si blocca di fronte al sospetto sistematico che sotto forme di pseudo povertà si camuffì il raggiro degli imbroglioni, avendo per certo che è molto meglio rischiare di mandare a piene mani nove impostori su dieci, che mandar via a mani vuote il solo bisognoso» (103). Si direbbe che a mons. Bello non interessi affatto aiutare i religiosi a uscire dalla crisi della mancanza di vocazioni… Eppure come Vescovo dovrebbe dare delle indicazioni forti, in particolare per quanto riguarda la preghiera, l’ascesi, la penitenza, la clausura, la difesa dalle insidie del mondo…. insomma i mezzi soprannaturali che attirano le vocazioni… Qui sta il punto… Mezzi soprannaturali… Ma a giudicare dalla sua mariologia sensuale (vedremo più avanti) comprendiamo che mons. Bello non dev’essere stato un gran che a stimolare nelle giovani l’amore per la pudicizia e per la verginità consacrata… A mons. Bello interessavano solo le rivendicazioni sociali… Inoltre, a don Tonino poco importa la clausura religiosa dei conventi e dei monasteri: meglio sacrificarla ai senza tetto… E i religiosi? Diventeranno secolari, come i senza tetto… Nel giugno 1985, in occasione del Convegno interdiocesano, mons. Bello ribadisce che la scelta religiosa non dev’essere “fuga dal mondo “, sterile ripiego intimista al sicuro delle sagrestie, lontano dalle angustie del mondo e dal turbine dell’azione… la scelta religiosa vuol dire essere presentì nel mondo…(104). In un ritiro dettato al suo Clero diocesano, il 20 settembre 1985, mons. Bello insiste sulla «conduzione collegiale» e sulla «corresponsabilità» nella conduzione delle parrocchie…(105). Anche questa tesi di mons. Bello risente di una sorta di collettivismo bolscevico… Collegialità anche nella direzione di una parrocchia? E dove finisce la giusta “autonomia” e “libertà” di un parroco? Un parroco che non si attesta sulle posizioni progressiste del “dontoninobellismo” sarà costretto a cedere dinanzi alla collegialità “pretesca” (che magari non vorrà sentir parlare di Messa “tridentina” o prediche “devote” o “tradizionali”…) oppure a cambiar diocesi (“mobbing” clericale)… In quel ritiro, mons. Bello afferma che il prete non è solo uomo di Dio, ma è «uomo del mondo»… Il Presule salentino fa capire che in ogni sacerdote c’è Esaù e Giacobbe: il primo è uomo che ama correre e stare nel mondo… il secondo è più contemplativo… Don Tonino ama Esaù e, di fatto, esorta ad essere un po’ Esaù… Esaù ci spinge «ad andare verso i lontani, verso la piazza»… Poi don Tonino cita alcuni casi di ragazzi disagiati (due ragazze tossicodipendenti, un’ex-carcerato che ha rubato e poi violentato una ragazza…)… Don Tonino mostra la sua impotenza dinanzi a quelle sconfitte… Ma la sua mentalità mostra un certo gusto e compiacimento nell’arrendersi e nel “tuffarsi” nel mondo…(106). Ecco cosa trasmette, in fondo, don Tonino ai sacerdoti: l’ottimismo tragico e compiaciuto dei filosofi esistenzialisti… Privo di sana ascetica e di autentica mentalità di fede, l’uomo (anche il sacerdote) si ritrova sconfitto dal male… È vero che in quel ritiro, don Tonino raccomanda la lettura spirituale, la lettura detta vita dei Santi e degli scritti patristici…(107). Purtroppo questi buoni consigli (lettura dei Santi) di mons. Bello sono come “ingabbiati” e “soffocati” da una rete di mondanità, secolarismo, antropologismo che lo stesso mons. Bello contribuisce a tessere nel cuore dei suoi sacerdoti, religiosi e fedeli laici… Le buone medicine “tradizionali” e soprannaturali che pur fornisce (di quando in quando), non sono capaci di neutralizzare i veleni di quella mentalità secolarista che lui stesso accoglie e dispensa… Il 18 febbraio 1990, in una visita pastorale, mons. Bello elogia la preghiera delle Clarisse per l’Est europeo, elogia la recita dei Rosari… Davvero bello! (108) Però egli non riesce a fare a meno di esortare ad amare il mondo… Siccome la gente non va in chiesa, allora, secondo don Tonino, è segno che bisogna uscire dalla chiesa… Don Tonino raccomanda di «uscire negli spazi profani»: «Invadete la profondità, profanatevi, diventate profani. Ascolteremo nelle letture. “Siate santi come il Signore è santo” (Lv 11,44). Non siate sacri ma santi. È un invito a uscire insieme alla gente. La parrocchia è fatta per servire il territorio: anche i miscredenti» (109). Don Tonino dice che il metodo missionario è cambiato… «Non dobbiamo trascinare le anime a Cristo»… Ora è Cristo che agisce attraverso il nostro servizio al territorio…(110). Il 15 marzo 1992, un anno prima della morte, don Tonino raccomanda ai suoi preti di pregare, anche davanti al Tabernacolo…(111). Il problema è che chi ha assorbito in pieno il “dontoninobellismo” (immersione nel mondo, svalutazione del sacro e dei Dogmi) forse farà grande fatica a restare davanti al Tabernacolo… In alcune omelie del 12-15 settembre 1985 (triduo in onore della Madonna dei martiri, Patrona di Moffetta), giustamente, mons. Bello raccomanda a tutti la Confessione sacramentale, almeno una volta al mese… E aggiunge che «la confessione non è il tribunale della penitenza, è il luogo del perdono» (112). In realtà la Confessione è anche “tribunale” di penitenza… Del resto si chiama anche Sacramento della Penitenza… Ma si sa… i Pastori “moderni” preferiscono parlare di “Sacramento della Riconciliazione”… Penitenza è un termine “pre-conciliare” per i “dontoninobellisti”… Comunque c’è almeno un altro punto di quelle omelie (12-15 settembre 1985), in cui mons. Bello “zoppica” nella Dottrina mostrando ancora la sua mentalità “comunista”. Eccolo. Mons. Bello mette in guardia da una «ecclesiologia satanica»… ossia il concepire «una Chiesa arrogante […], una Chiesa che si atteggia sempre a maestra, che sta sempre dalla parte della cattedra e non si mette mai dalla parte degli scolari, una Chiesa che pone le sue compiacenze nella sua arte, nelle sue biblioteche, nella sua cultura, nelle sue tradizioni, nei secoli di gloria che ha avuto, nella sua storia, nella sua diplomazia, nella sua capacità di trattare con gli uomini; una Chiesa forte che vuoi avere il suo spazio nella piazza del mondo e reclama la sua porzione di gloria. Questo è il modo satanico di concepire la Chiesa, questa è l’ecclesiologia satanica. Non è questa la Chiesa che Gesù ci presenta» (113). In realtà, ciò che è satanico è la mentalità secolare e social-comunista con cui il Presule salentino fraintende e distorce il mistero e la realtà storico-teologica della Chiesa. Mons. Bello non mostra grande apprezzamento per il Magistero della Chiesa… soprattutto per quello pre-conciliare… Forse che la Chiesa dell’era “pre-conciliare” (quando era più “potente” o “influente” nella società, ed era molto più attaccata al suo “passato” liturgico, teologico, ecc…) non era anche una Chiesa al servizio dei poveri? E che dire delle tantissime opere di carità sorte a favore dei poveri nella Chiesa pre-conciliare? Don Tonino è “satanico” nella sua manipolazione della storia. Sempre legato ai soliti slogan da politica comunista, don Tonino dice che Gesù vuole «la Chiesa che scende a livello della gente, che fa lo stesso cammino, percorre la stessa strada, non la Chiesa che non vuoi macchiarsi il vestito» (114). E quale sarebbe la Chiesa che «non vuoi macchiarsi il vestito»? Quella “pre-conciliare”, legata ai Dogmi e al “rubricismo”?… Don Tonino predica sempre sulla Chiesa che indossa il grembiule per servire, la «Chiesa del grembiule» (115)… Dall’insieme delle idee di don Tonino Bello, qui illustrate, potremmo pensare anche al grembiule… massonico! Il 17 settembre 1989, mons. Bello stabilisce che tutti i ritiri spirituali che si terranno per «suore, sacerdoti, ministri straordinari dell’Eucaristia» vertano sulla Christifideles laici (116) Anche qui don Tonino mostra di ignorare che sacerdoti e religiosi hanno particolari esigenze spirituali e non devono essere livellati ai laici. Egli confonde, inoltre, ritiro spirituale e incontro di formazione dottrinale e pastorale… Poi don Tonino ribadisce la priorità della vita interiore… (117). Ma ormai il dado è tratto. L’immersione (apostolica) nel mondo caldeggiata di continuo da don Tonino, inevitabilmente risucchia e ostacola le migliori energie spirituali e le virtù tipicamente religiose (tra cui clausura, raccoglimento, ecc…) Circa il rapporto tra Sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune dei fedeli, nonché le prerogative benedicenti del Vescovo, mons. Bello mostra di non avere le idee molto chiare… In data 13 settembre 1987, ad una coppia di laici (Filomena e Mario) che partono missionari in Argentina, don Tonino dice: «E ora, prima di allontanarvi dal grembo materno della vostra comunità, con tutta la forza che vi deriva dal sacerdozio regale e profetico dei fedeli, vogliate tracciare su di noi un largo benedicente segno di croce» (118) Nel luglio 1991, mons. Bello predica a Lourdes Eserciti spirituali per sacerdoti ammalati e anziani. Il tema è Sacerdoti per il mondo e per la Chiesa. Al ritorno da Lourdes mons. Bello scopre di avere un tumore allo stomaco. Le prediche di quegli Esercizi spirituali sono raccolte nel libro Cirenei della gioia, pubblicato nel 1995 con la Prefazione di Enzo Bianchi, priore di Bose. Il titolo di quegli Esercizi ribadisce il leitmotiv del magistero episcopale di mons. Bello: Sacerdotì per il mondo… Don Tonino parla di Dio in modo molto antropomorfico, direi, pagano: «II mondo è il chiodo fisso di Dio, è l’idea dominante che gli turba il sonno e non gli fa chiudere occhio. Comprendete allora che, se noi assumiamo nella loro crudezza queste espressioni e le metabolizziamo all’interno della nostra vita interiore, anche per noi il mondo deve diventare il chiodo fisso, l’idea dominante che non ci fa chiudere occhio» (119). Invece di “imitare” il Presule salentino (beatificabile?), preferiamo seguire san Massimiliano M. Kolbe, il quale additava l’Immacolata come la nostra cara e amata «idea fissa»! Don Tonino dice che siamo «sacerdoti per il mondo», che il mondo «è il termine ultimo del progetto di salvezza», che dobbiamo avere «affetto per il mondo», ossia «il mondo della violenza […], il mondo della droga, il mondo della cattiveria […], il mondo dello squallore», ecc…(120). Poi don Tonino dice che noi sacerdoti siamo «per il mondo» (per il mondo che lui ha appena descritto) e che dobbiamo soffrire e gioire «insieme con il mondo»… (121). Qualcuno avrebbe dovuto chiedere a don Tonino: come è possibile gioire con il mondo… della droga, della cattiveria, dello squallore, ecc., che non vogliono nessuna conversione? E poi che senso ha, insistere su questo «chiodo fisso» (il mondo!) durante Eserciti spirituali rivolti a sacerdoti ammalati e anziani che oramai hanno bisogno prioritario di pregare e di coltivare meglio le virtù soprannaturali e prepararsi all’incontro con Dio? Insomma, ci sembra che il Presule salentino abbia mostrato incapacità spirituale e pastorale anche nella scelta dell’argomento guida di quegli Esercizi. Ancora con i soliti slogan mondani, don Tonino dice che noi siamo sacerdoti «per una Chiesa che supera la sue barriere. Una Chiesa che non chiude occhio per il mondo. Non una Chiesa che si protegge, che si difende» (122). Don Tonino dice giustamente che la Chiesa e noi sacerdoti dobbiamo salvare il mondo, dobbiamo portarlo a Cristo…123. Ma nel contesto “progressista”, “mètadogmatico”, anti-sacrale e “socialista” del pensiero di don Tonino, c’è il rischio che la salvezza sia intesa semplicemente come “sociale”, terrena, intra-mondana… Oppure che il Cristo non sia più quello dei Dogmi… Don Tonino auspica che i fedeli sappiano liberare anche noi sacerdoti «dai ceppi rituali nei quali siamo bloccati» (124)…. Mons. Bello dice: «Noi dobbiamo essere servi del mondo» (125). Nel Vangelo di san Giovanni è scritto che Gesù (durante l’Ultima Cena) si alzò da tavola, si cinse dell’asciugatoio e lavò i piedi ai suoi Discepoli. Don Tonino dice che i sacerdoti devono “alzarsi da tavola”, ossia uscire fuori dal perimetro delle chiese, uscire dal «nostro sacro rifugio», in cui don Tonino vede solo «il linguaggio delle pantofole, delle vestaglie, del caminetto»… Uscire dai «narcisismi spirituali che ci attanagliano anche nelle nostre assemblee»… uscire da quei «muri, dove non penetra mai l’ordine del giorno che il mondo ci impone»…(126). Secondo don Tonino dobbiamo «uscire nella strada in un modo o nell’altro: c’è uscito anche Giuda “ed era notte” (Cv 13,30)» (127). Ma è strana l’esegesi di mons. Bello… Sembra presentarci Giuda Iscariota come modello di uscita nel mondo… Don Tonino non mostra rimpianto e nemmeno comprensione della direzione spirituale ricevuta ai tempi del Seminario… Egli dice infatti che a furia dì vincere le passioni — come raccomandavano i padri spirituali— lui e i sacerdoti come lui, hanno perso la passione ossia l’entusiasmo per il Regno di Dio…(128). In quegli Esercizi spirituali don Tonino narra di una sua lettera ai catechisti scritta di giorno, durante una Visita pastorale… Don Tonino, in quella lettera, dice che lui avrebbe voluto scrivere loro quella lettera di notte, nel raccoglimento… Avrebbe desiderato scrivere loro sulla Santissima Trinità… E invece è costretto a scrivere di giorno… ma ci sono tante persone che gli vogliono parlare… tanti problemi esistenziali da risolvere: drogati, invalidi, divorziati, disoccupati… Mons. Bello confessa candidamente ai suoi catechisti (e agli uditori di quegli Esercizi) che proprio non ce la fa a scrivere sul «mistero trinitario»… Mons. Bello dichiara che non sa come riannodare la Dottrina trinitario, con quello spettacolo desolante di problemi… Mons. Bello mostra di essersi lasciato troppo coinvolgere ed avviluppare dal mondo (da lui tanto predicato, osannato, amato…), dalle angosce esistenziali, fino al punto da non riuscire ad elevare se stesso e gli altri alle “cose di lassù” e al Mistero della Santissima Trinità in particolare… Don Tonino non è stato un Buon Pastore che eleva al Cielo. Con il suo “chiodo fisso” sul mondo, fa restare le sue anime sulla terra… Il Vescovo “don” Tonino è poco soprannaturale, troppo terreno e socio-politico… Riporto vari brani di mons. Bello, circa quella Visita pastorale (brani riportati nei suoi Esercizi spirituali — Lourdes 1991), in cui notiamo una certa “crisi di fede”: «Questo girotondo di persone ferite, di persone sconsolate, di situazioni insanabili, di violenze sotto traccia… Che fatica combinare il vocabolario suggerito dalla dottrina biblica con quello urlato dalla disperazione degli uomini. Quanto lontana è la luce dei cicli da questi crepuscoli vermigli della terra unti di sangue. In cima a un foglio ho segnato: mutua immanenza delle persone divine, ma che cosa ha da spartire questo concetto, che pure avrei voluto spiegarvi, col 70% di invalidità di Luigi, che mi sono annotato più sotto, nella speranza di segnalarlo alla casa di riposo dove non hanno voluto accogliere sua moglie, anch’essa anziana e malata di diabete? Che senso ha che sul dritto del foglietto dei miei appunti abbia abbozzato alcune frasi sulla inabitazione della Trinità nell’anima del giusto, e sul rovescio mi ritrovo il numero telefonico del SUNIA, presso cui stasera dovrò protestare perché ad una famiglia numerosa, che abita in un locale diroccato fuori mano, non hanno concesso il punteggio giusto per l’assegnazione delle case popolari? […]» (129), e via ancora di questo passo con “litanie” dove si mescola sacro e profano con la netta vittoria del secondo… Più avanti, dopo aver affermato più volte la sua impossibilità a discorrere di Dio Uno e Trino dinanzi alle angosce della gente, finalmente mons. Bello conclude: «È inutile, non ce la faccio proprio a sollevarmi verso le vertigini trìnitarie, sono troppo impantanato nei problemi dei nostri umani crepacci. Mi fermo qui, forse sono troppo stanco. Se mi riuscirà stanotte riconsidererò tutto nel silenzio della mia cappella. Per ora perdonatemi. Vi saluto» (130). Le riflessioni di don Tonino non sono affatto edificanti. Invece di scrivere quelle cose angoscianti, avrebbe fatto meglio ad aspettare la notte e scrivere con spirito più soprannaturale. Invece di trasmettere Fede e Speranza, don Tonino trasmette impotenza umana e angoscia, quasi disperazione… Don Tonino, un Vescovo, che deve portare la Luce, purtroppo è “entrato” così a fondo nel mondo che alla fine nemmeno lui sa come portare Dio al mondo e il mondo a Dio… E entrato nella “disperazione” del mondo… Circa quella lettera, mons. Bello vi ha aggiunto un post scriptum: «È vero, è tutto vero. Ho rimeditato su tutto ciò che ho scritto ieri e il Signore mi ha suggerito di non cambiare neppure una virgola: forse è proprio vero che le strade del cielo attraversano i poveri incroci della terra» (131). A questo punto dovremmo commentare: “Dalla padella alla brace”! Persino dopo una riflessione notturna, fatta con calma, don Tonino ribadisce e approva addirittura le sue crisi di fede, le sue parole insensate… E addirittura dice che il Signore gli ha ispirato così! Quale Gesù gli ha ispirato questo? Forse il “Gesù” senza Dogmi, quello che piaceva a Gaetano Salvemini (lodato dallo stesso mons. Bello)? Un’altra occasione mancata. Mons. Bello, invece di “riparare”, si è ostinato a far scendere Dio, il sacro, la Fede, nell’abisso della disperazione quotidiana, sociale e secolare… E così non ha elevato gli animi al Ciclo, né ha risolto i problemi della terra… In don Tonino si vede il gusto per il mondo, il gusto per l’angoscia, per il tragico… E questo “sadismo” spirituale viene verniciato di pseudocristianesimo. Il Presule salentino, anche a Lourdes (per giunta, a sacerdoti ammalati e anziani) parla della Madonna in modo eversivo e rivoluzionario: «Quando presentate Maria ai giovani, cari confratelli, non presentatela come la bambinella, la santarella tutta casa e sinagoga. Maria è amante della giovinezza, amante del cambiamento. Questo discorso fatto ai giovani li seduce» (132). Don Tonino presenta una Madonna trasgressiva, eversiva, proprio come i giovani degli anni ’80-’90. Ma questo è un antropomorfismo insopportabile. Poi don Tonino, sulla linea dei giovani (eversivi), auspica «rinascite che si ottengono solo con radicali rovesciamenti di fronte, non con impercettibili restauri da laboratorio» (133). Don Tonino dice anche cose devote su Maria Santissima (però lui la chiama solo «Maria»). Ad esempio, egli è convinto che la Madonna è stata addirittura testimone dell’evento della Risurrezione di Gesù (134). Ma questo è solo uno “sprazzo”, un “lampo”… Poi don Tonino, dopo qualche pagina, ricade pesantemente in una “mariologia” minimalista e secolarizzata, troppo dipendente da esagerate preoccupazioni ecumeniche. Mons. Bello ha in uggia anche la devozione, scambiandola facilmente per “devozionalismo”… Leggiamo quello che dice il Presule salentino: «Dobbiamo riscoprire di più la funzione di Maria all’interno della nostra vita interiore, all’interno della nostra vita spirituale. Qualcuno potrà avere la sensazione che stiamo rasentando le soglie del devozionismo; qualcuno potrà anche arricciare il naso in nome del cristocentrismo, del pneumocentrismo e di tutti gli altri centrismi. Qualcuno potrebbe domandarsi perplesso: Cosa diranno i nostri fratelli protestanti se vengono qui? Non voglio esortarvi ad aumentare gli spessori della devozione mariana, vi sto esortando a ricentrare di più, a scoprire di più, la funzione ecclesializzante di Maria, la funzione di Maria all’interno della nostra vita interiore. Non si tratta di devozione: la Lumen Gentìum parla chiaro» (135). Purtroppo mons. Bello vede incompatibilità tra il riscoprire il ruolo della Madonna nella nostra vita interiore e l’aumento della nostra devozione verso di Lei… Già… la devozione… Essa, come i Riti liturgici, non gli sta tanto a cuore… Certo, sulla scia della Lumen gentium, don Tonino spiega che non possiamo fare a meno della Madonna, Ella è «anticipazione della Chiesa»… Ma, leggendo oltre tali Esercizi spirituali, comprendiamo che quella di don Tonino è una Madonna “nuova”, secolarizzata e profanata (da don Tonino)… Leggiamo alcune frasi: «Maria viveva sulla terra una vita comune a tutti. Simile cioè alla vicina di casa. […] Anche a lei un giorno dissero: “Maria, ti stai facendo i capelli bianchi…”. Si specchiò forse alla fontana, e anche lei provò la struggente nostalgia di tutte le donne quando si accorgono che sfiorisce la giovinezza. Non è estranea Maria alla sofferenza di tutte le figlie di Eva» (136). Dunque una Madonna un po’ vanitosa, secondo don Tonino… E poi don Tonino immagina una Madonna che ha i momenti di crisi con suo marito san Giuseppe, di cui Ella non riesce a comprendere i silenzi… una Madonna che soffre incomprensioni da parte di Gesù e san Giuseppe (137)… Ma che Madonna è mai questa? Don Tonino presenta la Madonna come — parole sue — «un’antica compagna di scuola» (138). Un altro colpo di piccone anti-devozionale, don Tonino lo da alla reale Onnipotenza supplice di Maria Mediatrice di grazia. Don Tonino non sa che farsene di una Madonna che risolve i nostri problemi… Don Tonino vuole invece una Madonna che soffre i problemi e le angosce esistenziali (anche dal Paradiso??) come noi… Ecco come don Tonino si rivolge alla Madonna: «Fa’ che possiamo sentirti vicina ai nostri problemi. Non come Signora che viene da lontano a sbrogliarceli con la potenza della sua grafia o con i soliti moduli stampati una volta per sempre. Ma come una che gli stessi problemi li vive anche lei sulla sua pelle, ne conosce l’inedita drammaticità e ne percepisce le sfumature del mutamento, e ne coglie l’alta quota di tribolazione» (139). Don Tonino propone, di fatto, una devozione mariana secolarizzata, angosciosa, disperata… È lodevole che poi egli parli delle «esperienze spirituali» vissute da Maria, di modestia, umiltà e purezza per i nostri giorni… (140). Ma l’antropocentrismo di don Tonino permea tutta la sua mentalità, spiritualità, teologia e pastorale, soffocando i semi e i bei germogli di fede, devozione e spiritualità… E i frutti, seppur vi sono, non sono belli e non durano… 7. ALL’OMBRA DELLO “SPIRITO DI ASSISI” (27.08.1992) SU: RELIGIONI, SACRO, UOMO… Nell’agosto 1992, presso la Cittadella (editrice) di Assisi si è svolto il 50 Corso di Studi Cristianointerreligioso-internazionale sul tema Chiese e religioni nella nuova Europa: mercanti del sacro o testimoni dello Spirito? (141). In quell’incontro (a cui partecipò come relatrice anche l’onorevole comunista Nilde Jotti), mons. Bello tenne una conferenza più o meno intitolata La bisaccia del cercatore (oggi rinvenibile anche youtube [142]) dove, in circa 44 minuti, egli sintetizzò le linee portanti del suo “magistero” fin qui illustrato. Vediamo o rivediamo alcuni concetti chiave. Don Tonino dice che bisogna essere compagni del mondo e dell’uomo, e testimoni dello Spirito. Egli intende purificare il volto di Dio dalle croste terrene… Dice che il «confluire sull’unico crocicchio di più religioni», invece che farci concorrenza, deve spingerci a «un processo di catarsi interiore che ci impedisca la pietrificazione di Dio, che ci preservi dall’assolutizzare i nostri sguardi parziali puntati su di lui» (143), una catarsi che ci abiliti a «percepire l’anelito di uno pneuma universale che erompe dalle viscere della terra e ci fa scavalcare le immagini di tutte le teofanie storiche» (144). Praticamente, don Tonino auspica lo scavalcamento delle Religioni… già in altre occasioni egli ha fatto ben capire che i nostri Dogmi sono pietrificazioni di Dio… Davvero inquietante il riferimento di don Tonino a «uno pneuma universale» (pneuma=spirito) che sgorga dalle viscere della terra (gli inferi?) e ci fa scavalcare le immagini delle teofanie storiche (dunque anche le teofanie ebraica e cristiana)… Ma quel “pneuma” o spirito, chi “diavolo” è? Uno spirito che viene dalle viscere della terra non è uno spirito del Cielo… Don Tonino, su questo punto, è inequivocabilmente gnostico e, oserei dire, massonico. Don Tonino, che forse comprende il carattere profondamente eversivo delle sue proposte, cerca di difendersi dicendo che non vuole mettere in crisi la nostra identità religiosa (Cattolica)… Anzi – citando padre Ernesto Balducci — mons. Bello dice che dobbiamo restare fedeli a una identità aperta, la quale non va ritenuta come il tutto ma come un frammento del tutto nascosto nel futuro… E con il nostro frammento (Cattolico!) non possiamo fare la misura del tutto… (145). Quelle del Presule salentino sono espressioni dal sapore nettamente relativista e panteista che di fatto favoriscono un disprezzo dei Dogmi cattolici. Il Presule salentino, quando parla di Liturgia e sacro, mostra sempre sottostima, fraintendimenti, incomprensioni… Ad esempio, in quel Convegno dice: «Anche dietro l’altare più santo è in agguato l’idolatria» (146). Anche in quell’occasione don Tonino mostra avversione al sacro… Separa sacro e santità e poi fa sprofondare e identificare concettualmente la santità con il Profano… Mons. Bello profana il sacro e canonizza il profano… tutto ciò, ovviamente, in nome di un progressismo iper-conciliarìsta che vuole una Chiesa “mondanizzata”. Mons. Bello dice che con la Gaudìum et spes, la Chiesa ricolloca le sue tende nella Città terrena… E la Chiesa, prosegue il Presule salentino, «non pretende per i discepoli di Gesù suoli privilegiati per la loro edilizia. Alla categoria del sacro, cioè della separatela che seleziona spazi e tempi da dedicare al Signore, [ndr. la Chiesa] preferisce la categoria della santità che permea di presenta divina anche le fibre più profane dell’Universo (147). Mons. Bello critica i maestri ascetici, i maestri di vita inferiore (preconciliari) i quali di insegnavano a condividere le sofferente del mondo… Invece ora Gaudium et spes ci invita a condividere le gioie del mondo… Poi don Tonino, proseguendo il discorso sulla separazione tra sacro/santità, parla di «santità che è percettibile nelle cose» (148) (ovviamente, le cose del mondo). A quel Convegno, mons. Bello non riesce a contenere la sua ossessione critica verso il sacro e verso la sacra Liturgia, che lui, oggettivamente, sottovaluta e ritiene superflua per l’opera di santità e testimonianza cristiana… Infatti mons. Bello afferma che per una genuina testimonianza cristiana, occorrono coordinate di «concretezza ed autenticità» le quali sono «da rintracciare non nelle carte nautiche dei libri edificanti, o dei nostri Messali e neppure delle nostre sontuose liturgie, ma da rintracciare nella vita pratica dei cristiani veri che gli uomini di oggi per quanto scettici o lontani, increduli o indifferenti o diversi potranno incrociare la loro rotta con quella di Gesù Cristo»149. E ancora in preda ad ossessioni anti-liturgìche, antirubrìcalì ed antidogmatiche, il Presule salentino dice che la Chiesa non deve trincerarsi «nel perimetro rassicurante delle sue liturgie» e non deve rimanere «assorta nella sterile lucidità dei suoi dogmi» (150). Quindi mons. Bello cita con elogio il seguente brano di Dietrich Bonhoeffer: «Non ci è lecito intonare il canto gregoriano finché c’è un solo ebreo che è votato allo sterminio» (151). Quasi a conclusione della sua conferenza, mons. Bello afferma che la Chiesa non deve contare «su progetti integralisti» (152). Qualche minuto prima egli ha dichiarato che il nostro «deficit» (ecclesiale) non sta nella carenza dell’annuncio della Risurrezione di Gesù quanto invece nella mancanza di testimonianza cristiana autentica… (153). Da come si evince anche da altri brani e discorsi qui citati, è chiaro che mons. Bello da scarsa importanza alla custodia ed alla difesa della Dottrina della Fede… Non conosce, o fa finta di non conoscere, i gravi errori di Teologia, di Morale e di Esegesi biblica (anche circa la Risurrezione di Cristo) che già all’epoca (anni ’80-’90) allignavano in ambienti ecclesiali e accademici. Insomma, il Presule salentino propone col suo “magistero” episcopale una mentalità “anti-integralista”, cioè una mentalità “nuova” di cristianesimo in cui sacro, sacra Liturgia, Dogmi sono insignificanti, indifferenti, quasi superflui, per la missione di santità e di testimonianza cristiana nel mondo… Ma una Chiesa così “debole”, come la vuole don Tonino, non potrà dare un’autentica testimonianza di Fede. Una siffatta Chiesa è appiattita, “tradita”, consegnata al secolarismo. Mons. Bello si è comportato, di fatto, come un oggettivo alleato del comunismo culturale e del neo-modernismo ideologico. Verso la conclusione della sua relazione a quel Convegno, mons. Bello cita l’episodio della morte di quattro cappellani militari (un ebreo, un cattolico, due protestanti) che muoiono tenendosi per mano, mentre cercano di mettere in salvo il resto dell’equipaggio di una nave colpita da un siluro nazista (1943)… Per mons. Stello quell’episodio rappresenta la fine delle Religioni che si sacrificano per la salvezza dell’uomo… E quindi l’avvento dell’«unica religione» che assume come valore la salverà dell’uomo…(154) Davvero nelle parole del Presule salentino si coglie quello “spirito di Assisi” inteso in senso profondamente esoterico e gnostico. Come vedremo nel prossimo paragrafo, il Presule salentino mostra in varie occasioni sprazzi di sensualità incontenibile… In quel Convegno assisano del ’92, mentre disquisisce sui rapporti tra buono e bello, bonus e bellus, dice ad un certo punto che nel dialetto salentino, per dire che “una ragazza è bella” si dice che è «bunedda»… E più avanti, allorché cerca di mostrare che le gioie umane sono contigue a quelle eterne e che la Gaudium et spes (del Vaticano II) ci esorta ad essere cirenei della gioia del mondo, a far da compagni del mondo, il Presule salentino ci esorta a condividere le gioie umane e accenna all’ «estasi» che si prova dinanzi un bel paesaggio, e poi, poco oltre, accenna o «umanissima gioia che ti rapisce davanti al sorriso di un bambino, al lampeggiamento degli occhi di una donna, […] alla letizia di un abbraccio sincero» (156). 8. MARIOLOGIA «TERRA TERRA», SENSUALITÀ, FEMMINISMO Nell’anima di mons. Bello troviamo scolpita una grande sensualità, frutto della sua ossessione verso l’uomo e verso il mondo. In uno scritto del 18 gennaio 1987, egli racconta la sua prima visita “ad limina” dal papa Giovanni Paolo IL II Pontefice pone varie domande a mons. Bello rigurdanti la sua diocesi, i giovani, i sacerdoti, il popolo, ecc… A questo proposito, mons. Bello scrive: «Non ricordo che cosa gli ho risposto. Forse mi sono espresso con impacciata forzatura, così come un uomo innamorato può parlare della sua donna» (157). Mons. Bello parla persino della «nudità del Vangelo» (158), oppure di mettere «a nudo i bisogni scoperti» (159), oppure di «logica di nudità» (160) (ossia spogliarsi delle apparenze e del superfluo), «logica della nudità» (161)… Quando parla di «Chiesa del grembiule» (immagine a lui tanto cara), don Tonino la definisce «un’immagine un tantino audace, discinta, provocante. Una fotografia leggermente scollacciata di Chiesa» (162). Insomma, mons. Bello usa un linguaggio provocatorio, “di mondo”, con riferimenti “osé” al corpo femminile… Alcuni comportamenti diplomatici di Giovanni Paolo II hanno destato scalpore in ambienti cattolici “di sinistra”, ossia l’abbraccio del Papa a Pinochet e la sua visita a Reagan. A questo proposito, mons. Bello dice che lui vuole bene al Papa ed esorta a pregare per il Papa, «perché il Papa è Pietro, Pietro peccatore, non Pietro senza peccati, Pietro che sbaglia e non soltanto prima della Resurrezione di Gesù, ma anche dopo» (163). Poi il Presule salentino parla della Chiesa e si lascia scappare una… parolaccia: «Noi sappiamo che la Chiesa è una “casta meretrix”, come dicevano i Padri, una “casta puttana” cioè, espressione in cui l’aggettivo va erodendo giorno dopo giorno il sostantivo» (164). Ah, don Tonino… don Tonino… Perché ha tradotto “meretrix” con quel termine volgare e triviale? Un Vescovo che parla così, cosa ha nel cuore e nella mente? Aspettate e leggerete dell’altro. Mons. Bello indirizza una lettera immaginaria, e piena di «galanterie», a Myriam, sorella di Mosè… Don Tonino vede in Maria sorella di Mosè «il simbolo tutto moderno dell’audacia, della tenerezza e delle rivendicazioni del mondo femminile» (165). Don Tonino non riesce a nascondere la sua sensualità. Allorché elogia la «danza inventata» da Myriam, egli aggiunge: «Si condensa nelle volute dei vostri corpi di donna, roridi di profumi e di sudore [,..]»(166). Poi don Tonino immagina «i piedi nudi delle danzatrici», tra cui quelli della «dolcissima Myriam» (167)… Don Tonino elogia, di Myriam, il suo «Profumo di donna» (168). In un certo senso, don Tonino da il “colpetto” iniziale alla fantasia dei Lettori, specialmente giovani, portandoli ad immaginare corpi di donna che danzano … Non osiamo pensare dove potrebbe arrivare l’immaginazione lungo i “sentieri” sensuali e voluttuosi tracciati con delicata scaltrezza dal Servo di Dio (e servo del mondo!) mons. Antonio Bello. E ancora. Nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, 22 ottobre 1989, mons. Bello si rivolgi a tutti, tutti sono missionari. «Anche tu!». Ad un certo punto don Tonino scrive: «Anche tu, Lella, che ti sei iscritta all’Isef e i ragazzi, quando la sera passeggi sul corso, ti lasciano gli occhi addosso perché sei bellissima e modesta» (169) Da questa frase si evince che anche don Tonino ha lasciato «gli occhi addosso» alla «bellissima» Lella… Anche se fosse un personaggio fittizio, poco importa… Don Tonino si diletta a guardare e a ricordare… L’esatto contrario di quel che fanno i Santi, amanti della castità. Sull’episodio della mormorazione di Myriam (sorella di Mosè), mons. Bello da, compiaciuto, un’interpretazione femminista; in tal modo don Tonino, oggettivamente, mette in cattiva luce Dio presentandolo come un Giudice che ha dato un castigo ingiusto e sproporzionato… Un Dio Giudice maschilista e ingiusto? Che bestemmia! E un Vescovo che fa queste “esegesi” bibliche dovrebbe esserci proposto come “Beato” o addirittura come “Santo”? Che vergogna!!! Infatti mons. Bello spiega che Myriam ha mormorato contro Mosè poiché questi accentrava tutto il potere nelle sue mani… Poi Dio ha punito Myriam con la lebbra… Don Tonino difende ed elogia la «ribellione» di Myriam (170). Così don Tonino conclude la sua lettera femminista e sensuale: «Mi fermo qui. Anche perché non vorrei essere accusato di aver fornito imprudentemente ai circoli femministi pericolosi argomenti biblici, strumentalizzabili per le loro rivendicazioni» (171). Troppo tardi, Eccellenza… Ormai il “sasso” l’ha lanciato… il “colpetto” lo ha dato, e come al solito nasconde la mano e fa’ finta di niente, lasciando che gli altri scivolino e cadano lungo i sentieri “sinistri” da lei tracciati (antropocentrismo, progressismo teologico ed ecclesiale, secolarismo religioso-sacerdotale, femminismo, cripto-comunismo…). In data 18 gennaio 1990, mons. Bello indirizza a San Giuseppe una lettera immaginaria, nella quale troviamo un romanticismo melenso, stupido, sensuale e irriverente, che equipara i due castissimi Sposi a una coppia qualunque… Il Presule salentino immagina che la Madonna ricambi il sorriso di san Giuseppe sfiorandogli il capo «con la prima carezza». Poi san Giuseppe, facendosi coraggio, va una notte sotto la finestra di Maria, profumata di menta e basilico, e le canta alcuni versi del Cantico dei Cantici… (112). Poi la Madonna— fantastica don Tonino — ascoltando la “serenata” biblica, esce sulla strada, va da san Giuseppe, gli prende la mano e gli rivela di essere diventata la Madre del Figlio di Dio; poi la Madonna chiede a san Giuseppe di uscire dalla sua vita… Allora san Giuseppe stringe Maria al suo cuore e le accarezza il grembo… (113). È lecito ipotizzare che mentre scriveva queste cose, mons. Bello era delirante oppure in preda ad una crisi di “sensualità mistica”… In un paio di lettere del febbraio 1988, mons. Bello tenta di «riformulare» le Litanie mariane «in termini più laici». Il primo appellativo con cui chiamare Maria dovrebbe essere «Donna senza retorica»… Don Tonino equipara la Madonna alle varie ragazze dei nostri giorni: «Come Antonella, la ragazza di Beppe», «come Angela, la parrucchiera della città vecchia», ecc…(174). Mons. Bello immagina che Maria: «Come tutte le mogli, avrà avuto anche lei momenti di crisi nel rapporto con suo marito, del quale, taciturno com’era, non sempre avrà capito i silenzi. […] Come tutte le donne, ha provato pure lei la sofferenza di non sentirsi compresa, neppure dai due amori più grandi che avesse sulla terra» (175). Mons. Bello scrive, seriamente convinto, che «la follia» di ricondurre la Madonna «nei confini dell’esperienza terra terra», non vuole essere dissacratoria… Don Tonino vuole togliere l’aureola a Maria per ammirarla «a capo scoperto»… vuole spegnere «i riflettori puntati» su di Lei per misurare meglio l’Onnipotenza di Dio..(176). Purtroppo dobbiamo constatare che il Presule salentino ha compiuto, dal punto di vista letterario e pastorale, una oggettiva dissacrazione mariana, nonostante le sue pur buone intenzioni espresse con maestrìa poetica e fantasiosa. Nel 1993 le Edizioni Paoline pubblicano quello che forse è il best-seller mariano di don Tonino Bello: Maria donna dei nostri giorni. Don Tonino desiderava usare quel libro per il mese di maggio e invece morì il 20 aprile di quell’anno. Le ultime Litanie mariane, che recitò insieme all’amico mons. Luigi Bettazzi, furono quelle scritte in Maria donna dei nostri giorni (111). Questo libro di don Tonino Bello viene offerto addirittura come supplemento n. 2 (pp. 163) al numero del 18 maggio 2004 del settimanale Famiglia Cristiana edito dai Paolini. In questa sede cito la prima edizione pubblicata nel 1993 dalle Edizioni Paoline, quando mons. Bello era ancora vivo. Vediamo ora alcune tesi dell’ultimo libro di mons. Bello. Qui don Tonino ripete cose già dette su Maria in pubblicazioni precedenti e che ho sopra citato. Segnalo anche la “litania” antropologica a cui si riferiscono le strane opinioni di don Tonino che metterò in evidenza (e che se non fossero attribuite ad un Servo di Dio, sarebbero delle autentiche sciocchezze): 1) «Maria, donna feriale». La Madonna vede i suoi capelli bianchi e prova la «struggente nostalgia» che provano tutte le donne a vedere sfiorita la loro giovinezza. Anche la Madonna avrà avuto le sue crisi coniugali a causa delle reciproche incomprensioni con (san) Giuseppe… Don Tonino ammette la sua «follia» di voler ricondurre Maria «entro i confini dell’esperienza terra terra» per apprezzarla meglio (?!)…(178). 2) «Maria, donna senza retorica». La Madonna è come Antonella, la fidanzata di Beppe, entrambi senza lavoro… È come Angela, la parrucchiera… È come Isabella, la vedova… è come «Rosanna, la suora stimmatina» per il recupero dei tossicodipendenti… (179). Don Tonino equipara e “abbassa” la Madonna (svolta antropologica) al livello di creature ordinarie concepite col peccato originale… 3) «Maria, donna innamorata». Don Tonino equipara la Madonna ad una “normale” ragazzina italiana “di parrocchia”: «Ha assaporato pure lei [ndr. Maria] la gioia degli incontri, l’attesa delle feste, gli slanci dell’amicizia, l’ebbrezza della danza, le innocenti lusinghe per un complimento, la felicità per un abito nuovo» (180). Il Presule salentìno fantastica sulle reciproche dichiarazioni e tenerezze “d’amore” tra Maria e (san) Giuseppe avendo come punto di riferimento l’amore umano (forse anche foto-romanzi, film, telefilm…): parole, sguardi, serenate notturne di (san) Giuseppe sotto la finestra di Maria (Cantico dei Cantici)…, (181). Le cose sopra citate, e quelle che andremo a citare (sempre dal libro Maria, donna dei nostri giorni), denotano nel Presule salentino una gravissima carenza di Fede, di Teologia, di soprannaturale e persino di razionalità… Fede e ragione (disciplinata) vengono “prese a pugni” dalla “mariologia” (mariologia, tra virgo-lette) spontaneista, sensualista e antropocentrica di mons. Bello, secondo il quale, le salmodie notturne dette claustrali e i balletti delle danzatrici del Bolscioi, emanano dalla medesima sorgente di Amore… Con tutta la buona volontà “giustificazionista” non si può rimanere “abbottonati” dinanzi a scempiaggini di questo genere (che alle pia aures fidelium suonano come bestemmie). Ecco cosa dice (in preda ad una sorta di «follia» dissacrante) il Presule salentino a Maria: «Aiutaci perché in quegli attimi veloci di innamoramento con l’universo possiamo intuire che le salmodie delle claustrali e i balletti delle danzatrici del Bolscioi hanno la medesima sorgente di carità. E che la fonte ispiratrice della melodia che al mattino risuona in una cattedrale è la stessa che si sente giungere la sera… da una rotonda sul mare: “Parlami d’amore, Mariù”» (182). Ma cosa è mai questa “verve” di don Tonino? Poesia? Follia? Furore dissacratore? Forse, un po’ tutto… 4) «Maria, donna gestante». Di fatto, don Tonino insinua dubbi sulla verginità fisica di Maria Santissima e, in pratica, anche sulla di Lei Immacolata Concezione. Non la chiama mai “Santissima”, forse perché, per lui, è un aggettivo troppo “sacro”, troppo “devoto”. Al massimo, la chiama “Santa Maria”. Circa la gravidanza di Maria, don Tonino scrive: «Maria non fu estranea alle tribolazioni a cui è assoggettata ogni donna comune gestante. Anzi, era come se si concentrassero in lei le speranze, sì, ma anche le paure di tutte le donne in attesa. Che ne sarà di questo frutto, non ancora maturo, che mi porto nel seno? Gli vorrà bene la gente? Sarà contento dì esistere? E quanto peserà su di me il versetto della Genesi: “Partorirai i figli nel dolore?”. Cento domande senza risposta. Cento presagi di luce. Ma anche cento inquietudini» (183). Una “Maria” così “profanata”, così “dontoninobellista”, di fatto non è più la Sempre Vergine, la Sempre Intatta, l’Immacolata Concezione… Il Presule salentino ha ridotto la Madonna a “casta meretrix”… 5) «Maria, donna del primo passo». Don Tonino fantastica su Maria e Giuda Iscariota: «Chi sa con quale batticuore sei uscita di casa per distogliere Giuda dalla strada del suicidio: peccato che non l’abbia trovato. Ma c’è da scommettere che, dopo la deposizione di Gesù, sei andata a deporre dall’albero anche lui, e gli avrai ricomposto le membra nella pace della morte» (184). La Madonna che ricompone il cadavere di Giuda che, nell’atto dell’impiccagione si era crepato in due? Il buonismo, il perdonismo e l’audacia fantastica di don Tonino uniscono tutti gli opposti… virtù e vizio, penitenza e impenitenza, salvezza e dannazione… 6) «Maria donna coraggiosa». Con il solito linguaggio fatto di “slogan” scioccanti, trasgressivi, a effetto, mons. Bello presenta la Madonna come antesignano della teologia della liberazione… la Madonna che non è tutta casa e chiesa come la presenta il “devozionalismo”… Si vede che don Tonino non apprezza la vita religiosa femminile “tradizionale”… Don Tonino dice a Maria: «Hai reagito dinanzi alle ingiustizie sociali del tuo tempo. Non sei stata, cioè, quella donna tutta casa e chiesa che certe immagini devozionali vorrebbero farci passare. Sei scesa sulla strada e ne hai affrontato i pericoli, con la consapevolezza che i tuoi privilegi di Madre di Dio non ti avrebbero offerto isole pedonali capaci di preservarti dal traffico violento della vita» (185). 7) «Maria, donna del vino nuovo». Mons. Bello prega la Madonna contro i seguenti “pericoli”: «Preservaci dalle false sicurezze del recinto, dalla noia della ripetitività rituale, dalla fiducia incondizionata negli schemi, dall’uso idolatrico della tradizione» (186). Ora, però, nel contesto del pensiero di don Tonino: – per «false sicurezze del recinto», leggi: Dogmi di Fede e massime ascetico-spirituali;- per «ripetitività rituale», leggi: rispetto delle rubriche liturgiche;per «uso idolatrico della tradizione», leggi: zelo legittimo per l’ortodossia di Fede e per la Tradizione… 8) «Maria, donna che conosce la danza». Don Tonino afferma di aver letto il libro di una antropologa che scardina le Verità della Fede su Maria e nelle ultime pagine la studiosa aggiunge che la Madonna non potrà mai danzare. Il Presule salentino è scandalizzato per quest’ultima frase, la trova «pesante come un’ingiuria» e aggiunge: «O Dio: nel libro c’è di peggio, perché vengono scardinate le verità più salde che i credenti hanno sempre professato sul conto della Madonna. Però, mentre non mi ha scandalizzato più di tanto il sorrìso di sufficienza sul suo immacolato concepimento, sulla sua verginale maternità, mi ha dato invece un fastidio incredibile l’insinuazione che lei non sapesse danzare. Mi è parso insomma un enorme sacrilegio. Un oltraggio alla sua umanità. Un delitto contro ciò che ce la rende più cara: l’irresistibile dolcezza delle figlie di Eva» (187) Ancora indignato per quella frase («Maria non potrà mai danzare») — e non per il rifiuto dei Dogmi mariani — mons. Bello aggiunge, con toni morbosi: «Che cosa si nasconde, infatti, sotto questa frase, se non l’affermazione che Maria non ha avuto un corpo come le altre donne, e che la sua era una femminilità per modo di dire, o, comunque, così disincarnata ed evanescente, da renderle impossibile il prolungarsi gestuale nel vortice della danza?» (188) Ancora sensualità… Don Tonino prosegue nella sua arringaranto antropologica, poetica e sensuale sulla danza della Madonna: «E non vi sembra una bestemmia il solo sospetto che Maria fosse una creatura svigorita di passioni, povera di slanci, priva di calore umano, macerata solo da digiuni e astinenze, genuflessa sugli specchi frigidi delle contemplazioni, incapace degli struggimenti interiori che esplodono appunto nella grazia del canto e nella dilatazione corporea del ritmo?» (189). A dire il vero, in questo caso, anche il Presule salentino rasenta la «bestemmia»: egli infatti antropologizza e de-soprannaturalizza Maria a tal punto, che la “infossa” nelle passioni umane, la mette allo stesso livello delle povere figlie peccatrici di Eva (vanitose, sensuali, seducenti e “ballerine”), sino al punto da sfigurare e demolire i suoi Privilegi mariani. Il Presule salentino, nella sua “mariologia” terra terra, non celebra i Privilegi di Maria Santissima, ma celebra con morbosità il di Lei corpo femminile immaginandolo voluttuoso e danzante… Il Presule salentino celebra la volontà (sua e altrui) di voler vedere Maria come una qualsiasi creatura passionale, schiava della concupiscenza… Una “mariologia” senza Dogmi. Ecco cosa celebra mons. Bello. Celebra la sua idea di “Maria”. Ma questa non è la vera Madonna. Invece di “equiparare” (in certo qual modo) Maria Santissima alle sante suore, monache e vergini consacrate (caste, pudiche, modeste, raccolte, oranti, “angeliche”), invece di mostrare tali anime consacrate come le più vicine e somiglianti a Maria Santissima, al contrario mons. Bello (Servo di Dio!) equipara Maria alle ragazze secolari vanitose, sensuali e dannanti e (di fatto) presenta queste come le più vicine e somiglianti a Maria… Anche su questo punto mons. Bello opera una inversione di valori, una alchemica unione di opposti… Anche attraverso lo studio della sua “mariologia”, comprendiamo che mons. Bello non aveva grande stima né comprensione per la vita religiosa “tradizionale”… Nel suo sproloquio mariologico, mons. Bello afferma: «Qualcuno forse si chiederà perché mai mi sia tanto ostinato a sottolineare questa particolare attitudine “artìstica” di Maria. La risposta è semplice: non può sostenere la morte chi non sa sostenere la danza! Dire, perciò, che Maria non potrà mai danzare, significa ritenerla estranea a ciò che morte e danza hanno in comune: l’affanno del respiro, lo spasimo dell’agonia, la contrazione dolorosa del corpo. Significa svuotare di valore salvifico la sofferenza della Madonna, e ridurre il mistero dell’Addolorata, nonostante le sette spade confitte nel cuore, a uno spettacolo appariscente, allestito da Dio per funzionali ragioni scenografiche; In modo davvero capzioso, mons. Bello si serve di Verità mariane (in tal caso la Cooperazione di Maria alla Redenzione) semplicemente per giustificare la sua ossessione antropologica e sensuale verso Maria, donna che danza… Tutti i misteri della Fede, in virtù della “svolta antropologica” vengono fatti convergere verso l’uomo, verso il mondo, verso cioè una comprensione terra terra, mondana sensuale… 9) «Maria, donna bellissima». Il riferimento fugace all’Immacolata Concezione, (Maria, «senza neppure l’ombra del peccato») serve unicamente a don Tonino per esaltare la bellezza di Maria, anche quella corporea. Infatti precisa: «Parlo, anche, del suo corpo di donna» (191) 10) «Maria, donna dei nostri giorni». Ecco la 29a litania in cui don Tonino immagina Maria: «Immersa nella cronaca paesana. Con gli abiti del nostro tempo. Che non mette soggezione a nessuno. Che parcheggia la macchina accanto alla nostra». Purtroppo, don Tonino non si ferma qui. Va oltre. E ribatte inchiodo della sensualità. Mons. Bello scrive di Maria: «Vogliamo immaginarla adolescente, mentre nei merìggi d’estate rìsale dal la spiaggia, in bermuda, bruna di sole e di belletta, portandosi negli occhi limpidi un frammento dell’Adriatico verde. E d’inverno, con lo zaino colorato, va in palestra anche lei» (192). Il Presule salentino sembra impazzito. La Madonna che va al mare, abbronzata, e che indossa bermuda, mostrando così seno, gambe e fianchi… ? La Madonna che va in palestra come le comuni ragazzine, anche lì mettendo così in mostra il suo corpo femminile? Il Presule salentino denota una fantasia morbosa, segno di una discutibile integrità interiore. A don Tonino piace immaginare Maria che, come una qualsiasi donna, il giovedì va al mercato di Molfetta «e tira sul prezzo anche lei» (193). Come già predicato a Lourdes, nel 1991, anche nel suo ultimo libro (1993), mons. Bello dice che vuole sentire Maria vicina, non come Colei che risolve i problemi, ma come Colei che li vive… «Fa’ che possiamo sentirti vicina ai nostri problemi. Non come Signora che viene da lontano a sbrogliarceli con la potenza della sua grafia o con i soliti moduli stampati una volta per sempre. Ma come una che, gli stessi problemi, li vive anche lei sulla sua pelle, e ne conosce l’inedita drammaticità, e ne percepisce le sfumature del mutamento, e ne coglie l’alta quota di tribolazione» (194). Maria: «Come un’antica compagna di scuola» (195) 9 ALCUNE CONCLUSIONI Nell’ottica di mons. Bello, tutti i Misteri della Fede (Dio Uno e Trino, Cristo, l’Eucaristia, la Vergine Santissima, la Chiesa..?) divengono un pretesto per parlare dell’uomo e del mondo, per osannare e glorificare l’uomo… Il soprannaturale è affossato “gnosticamente” nel naturale… Il “magistero” episcopale di mons. Bello non aiuta l’uomo ad elevarsi al Cielo, ma imprigiona il Ciclo e l’uomo nell’angoscia esistenziale della terra, senza scampo… La speranza soprannaturale è labile, è offuscata… Mons. Bello rimpicciolisce e restringe al quaggiù gli orizzonti soprannaturali ed eterni… Egli “imprigiona” lo spirituale ed il soprannaturale nel materiale e nel naturale… Questa non è affatto una logica da “Mistero dell’Incarnazione”, bensì è una logica gnostica… Curioso al riguardo l’ossessione di mons. Bello per la Chiesa del grembiule… Il grembiule… Ma quale? Quello massonico? Che dire poi di quel riferimento (Assisi, 27 agosto ’92) allo spirito («pneuma») universale che erompe dalle viscere della terra e vuoi scavalcare tutte le teofanie storiche? Chi è quello spirito che proviene dal “basso” e scavalca religioni e teofanie? Il diavolo. I massoni accettano di buon grado il “cristianesimo” socio-orizzontale e a-dogmatico tratteggiato da mons. Bello (come pure quello del card. Martini, a cui mons. Bello si rifa volentieri). Insomma non vediamo affatto in mons. Bello un’autentica Fede e Spiritualità Cattolica, non troviamo in lui un’autentica ansia di Cielo, come quella dei Santi, ma solo un continuo rìvendicazionismo sociale e un gusto “pazzo” per il mondo e per l’uomo, ossia valori e atteggiamenti umani con i quali, di fatto, il Presule salentino mescola, identifica, riduce il Vangelo e la Fede Cattolica… Non troviamo in lui sicurezza e chiarezza dottrinale. In lui non c’è nessuna lotta in favore della difesa dei Dogmi della Fede, ma solo lotta per il sociale, allergia per la Chiesa “pre-conciliare” (con i suoi Dogmi, Liturgie, sicurezze dottrinali…), smania futurista e progressista per il “nuovo”… E’ nostra opinione che Beatificare o Canonizzare mons. Antonio Bello equivale, praticamente (in certo qualmodo), a “canonizzare” un modello assai discutibile, labile ed eterodosso di Pastore e di pastorale. In conclusione, nonostante la confusione dottrinale dei nostri tempi, ci meraviglieremmo molto se il Servo di Dio mons. Antonio Bello venisse beatificato; in quel caso ipotetico — ci sia permesso un po’ di ironia – non potremmo far nostro nemmeno il motto: “Santi ammirabili ma non sempre imitabili”. Non vediamo davvero cosa ci sia né da ammirare, né da imitare. Sottomettendo, sin d’ora, il nostro giudizio a quello futuro del Santo Padre sulla “beatificabilità” del Servo di Dio, al presente, ci auguriamo che i Pastori della Chiesa — soprattutto loro — non imitino mons. Antonio Bello nei suoi errori dottrinali e nei suoi atteggiamenti scandalosi qui denunciati. Fonte http://www.papalepapale.com/