PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TANA DE ZULUETA La
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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TANA DE ZULUETA La
Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TANA DE ZULUETA La seduta comincia alle 10,15. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Sulla pubblicità dei lavori. PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l’attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso. (Cosı̀ rimane stabilito). Audizione di rappresentanti della campagna « Sdebitarsi ». PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle istituzioni ed i processi di governo della globalizzazione, l’audizione di rappresentanti della campagna « Sdebitarsi ». Do il benvenuto alla dottoressa Raffaella Chiodo, coordinatrice della campagna, e al dottor Fabio Marcelli, rappresentante dell’Istituto di studi giuridici sulla comunità internazionale del CNR. Suggerisco ai nostri ospiti di svolgere due interventi di circa di dieci minuti ciascuno, cosı̀ da acquisire la vostra testimonianza per l’indagine conoscitiva al nostro esame. Do la parola alla dottoressa Raffaella Chiodo. RAFFAELLA CHIODO, Coordinatrice della campagna « Sdebitarsi ». Signor presidente, innanzitutto vogliamo rivolgere un 2 Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 ringraziamento per l’attenzione e la sensibilità dimostrata, anche in questa occasione, da parte vostra. In realtà, nel merito della questione del debito entreremo sia io che il dottor Marcelli, come rappresentanti della campagna. Tuttavia, abbiamo motivo di credere che sia necessario sollecitare l’attenzione del Parlamento, in particolare delle Commissioni esteri della Camera e del Senato – l’abbiamo già fatto in un’audizione in Senato un paio di mesi fa – sulla vicenda del debito. Mi riferisco, nello specifico, all’approccio italiano a tale questione. Infatti, abbiamo la sensazione che vi sia una sottovalutazione – non voglio usare il termine « dimenticanza » – di quanto questo problema, ancora irrisolto, sia assolutamente all’ordine del giorno e di come sia necessario che il nostro Paese si doti degli strumenti necessari – se esiste volontà in proposito – per affrontarlo nei termini che noi riteniamo importanti e giusti. La nostra campagna si occupa di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sul tema del debito estero, tenendo costantemente presente un punto politico per noi fondamentale, ossia la coerenza degli interventi necessari riguardo alla lotta alla povertà. La cancellazione del debito non può essere assolutamente vista come una questione a sé stante, ma come parte integrante di una strategia più globale per svolgere un intervento significativo. In questo senso, auspichiamo una svolta importante con la riforma della legge 26 febbraio 1987, n. 49 sulla cooperazione, cosı̀ come speriamo che vengano stanziate risorse significative, all’altezza degli impegni che il nostro Paese si è assunto (e speriamo si assumerà) per lottare contro la povertà in modo efficace e adeguato. Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE Esiste, dunque, una questione di coerenza all’interno della quale è necessario identificare il tema del debito. Nello specifico, la Banca mondiale ufficialmente riferisce che il debito, ancora oggi, rappresenta l’elemento soffocante per il progresso e lo sviluppo dei Paesi e dei popoli impoveriti. Affrontando il discorso in modo sintetico, le entrate verso i Paesi ricchi e sviluppati, rappresentate dai crediti dovuti al pagamento del debito estero da parte dei Paesi più poveri, superano la cifra totale delle risorse destinate a iniziative di sviluppo, ovvero i famosi finanziamenti per lo sviluppo. Pertanto, ad oggi, è ancora in atto – lo diciamo con uno slogan – un piano Marshall « rovesciato », in cui i Paesi poveri, con il pagamento del debito estero, garantiscono un’entrata nelle casse dei Paesi ricchi maggiore rispetto ai contributi allo sviluppo da loro elargiti. Questo significa, rifacendosi al concetto di coerenza, che non possiamo con la mano sinistra cooperare e destinare risorse per lo sviluppo, mentre con la mano destra prendiamo non solo quanto dato, ma addirittura gli interessi. Se questa è la situazione a livello mondiale – è la Banca mondiale che lo conferma, basta consultarne il sito – significa che la questione del debito non solo non è risolta, ma è ancora all’ordine del giorno e richiede da parte dei Paesi più ricchi e fortunati una presa di posizione politica adeguata. In caso contrario, qualunque campagna, qualunque impegno o intervento di aiuto allo sviluppo sarebbe vanificato da una situazione contraddittoria (oppure coerente, a seconda dei punti di vista). In questo senso, l’Italia ha approvato nel luglio del 2000 la legge n. 209, che disciplina la cancellazione del debito da parte del nostro Paese. Si tratta di una legge che abbiamo caldeggiato con una lunga campagna culminata, nell’anno del Giubileo, nell’approvazione della stessa, con grande soddisfazione da parte del movimento che quella campagna aveva supportato con una raccolta di firme e con la sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Basta prendere visione degli articoli di 3 Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 quella legge per rendersi conto di come prevedesse di costruire, unitamente all’intervento volto alla cancellazione del debito, anche un quadro di giustizia sociale e umanitaria che desse consistenza a tale scelta. In realtà, nel corso dei sei anni (ormai quasi sette) seguiti all’approvazione di quella legge, il suo impatto è stato purtroppo molto vanificato. Prima di tutto, essa prevedeva una tempistica, in base alla quale in tre anni avrebbe dovuto essere praticata la cancellazione totale dei debiti contratti con l’Italia; invece, dopo sei anni – quindi nel doppio del tempo previsto – stando all’ultima relazione presentata in Parlamento, è stata praticata solo la metà della cancellazione stabilita. Questo significa che in termini sia quantitativi, sia soprattutto qualitativi, quell’intervento ha subı̀to una vanificazione nella sua spinta propulsiva di giustizia, cui ovviamente noi teniamo molto. Il dottor Fabio Marcelli, rappresentante dell’Istituto di studi giuridici sulla comunità internazionale del CNR, che aderisce alla campagna, entrerà nel merito della questione per affrontare uno dei punti importanti di questa legge che, a nostro parere, è quello più sensibilmente vanificato: l’articolo 7. In base a tale articolo l’Italia avrebbe dovuto promuovere un’iniziativa importante presso i partner internazionali per coinvolgere la Corte internazionale di giustizia nell’affrontare la questione del debito. L’articolo 7 per noi è quindi molto importante, in quanto andava oltre l’applicazione della legge stessa, proponendo un impegno anche politico nello scenario internazionale da parte del nostro Paese, che fosse in grado di sollecitare una svolta adeguata. In realtà, le relazioni presentate in Parlamento sull’applicazione della legge riportano sempre un’unica frase, secondo la quale non è stato riscontrato alcun interesse presso i partner internazionali. Questo è l’unico commento che si riscontra riguardo all’applicazione dell’articolo 7 della legge. A nostro avviso, questa situazione è molto grave – in realtà, anche il Governo in carica, nel suo programma, aveva an- Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE nunciato di voler perseguire questo obiettivo – e ci auguriamo che il Parlamento, e in particolare la vostra Commissione, abbia la sensibilità di cogliere alcune proposte che noi stiamo cominciando ad avanzare. In primis, chiediamo di riprendere in esame e di valutare adeguatamente l’importanza di questo articolo, cominciando a ragionare sulla necessità di rafforzare e attualizzare quella legge. È vero che essa ha una sua tempistica – i tre anni che ho richiamato prima – purtroppo già vanificata, tuttavia possiamo comunque cominciare a mettere mano ad alcune proposte di modifica, che possano attualizzarla e inserirla nel contesto presente. Per noi è molto importante ristabilire una stretta forma di collaborazione, come del resto già accaduto in Senato con la Commissione affari esteri. Sono già stati approvati alcuni ordini del giorno – certamente di vostra conoscenza – che vanno in questa direzione. Tra l’altro, il 2 ottobre a Roma organizzeremo un incontro – sperabilmente « ospitato » dalla Camera dei deputati – con una rappresentante della Commissione di auditoria sul debito dell’Ecuador, che ha prodotto un lavoro rilevante sulla questione del debito di quel Paese. Come sapete, tale questione è stata per molto tempo sotto i riflettori, dal momento che il Governo della Norvegia, l’anno scorso, ha dichiarato di riconoscere il principio di illegittimità del debito relativo all’Ecuador e ad altri quattro Paesi. Questa è la strada che, a nostro parere, dovrebbe essere percorsa. Siamo consapevoli del fatto che la questione del debito soffoca le economie e le possibilità di sviluppo autonomo dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo. Sappiamo anche che gli obiettivi di sviluppo del millennio non sono perseguibili anche a causa del debito che questi Paesi sono costretti a pagare. Esso sottrae loro risorse che invece potrebbero dirottare per sostenere autonomamente i propri processi di sviluppo. Pensiamo, dunque, che sia arrivata l’ora di cominciare a ragionare concretamente sui possibili aggiornamenti dell’intervento italiano sul debito. 4 Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Chiodo. Credo sia opportuno raccogliere entrambe le testimonianze dei nostri ospiti, in modo da poter dare successivamente ai colleghi la possibilità di formulare domande congiunte. Do la parola al dottor Fabio Marcelli, rappresentante dell’Istituto di studi giuridici sulla comunità internazionale del CNR. FABIO MARCELLI, Rappresentante dell’Istituto di studi giuridici sulla comunità internazionale del CNR. Signor presidente, vi ringrazio per questa opportunità. Il mio nome è Fabio Marcelli e sono primo ricercatore all’Istituto di studi giuridici internazionali del CNR; pertanto, il mio campo di interesse scientifico è quello del diritto internazionale. Di recente ho avuto modo di approfondire in particolare la questione del debito estero, tema sul quale ho scritto anche il libro « I rapporti fra diritto internazionale e debito estero dei Paesi cosiddetti in via di sviluppo ». Faccio parte della rete « Sdebitarsi », in collaborazione con la quale abbiamo istituito qualche mese fa un osservatorio presso il nostro Istituto che sta raccogliendo dati e materiale informativo sul tema del debito estero. Il mio intervento sarà dedicato principalmente all’articolo 7 della legge n. 209 del 2000, sul quale, peraltro, la dottoressa Chiodo ha già espresso i concetti fondamentali. Riteniamo che si tratti di una norma importante, perché sancisce l’impegno delle istituzioni italiane, in primo luogo del Governo, in sede internazionale per promuovere un parere della Corte internazionale di giustizia sul tema del debito estero. Voi sapete che la Corte internazionale di giustizia ha due ordini di competenze: contenziosi, qualora insorga una controversia tra due o più Stati, e consultivi, in base ai quali gli organi internazionali possono chiedere alla Corte un parere su questioni che abbiano attinenza col diritto internazionale. In base al suddetto articolo, il Governo italiano dovrebbe adoperarsi – in sede di Assemblea generale delle Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE Nazioni Unite, di Consiglio economico e sociale e di organizzazioni internazionali in genere – perché si adotti una risoluzione che chieda alla Corte internazionale di giustizia di chiarire il quadro giuridico internazionale applicabile al debito estero. Tale chiarimento è importante perché, in realtà, il quadro giuridico internazionale è abbastanza confuso. In ogni caso, gli elementi che si possono desumere inducono a dubitare fortemente della compatibilità dei rapporti debitori in essere con i princı̀pi generali del diritto internazionale. La disciplina di questi rapporti di debito, infatti, è racchiusa in contratti autoreferenziali, con i quali gli Stati debitori si impegnano a pagare somme ingenti ai propri creditori (altri Stati, organizzazioni internazionali, come le istituzioni finanziarie internazionali quali la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, banche regionali e cosı̀ via nonché, in moltissimi casi, banche ed istituti di credito privati, finanziarie e fondi internazionali). Tuttavia, come ha già ricordato la dottoressa Chiodo, il debito estero rappresenta un ostacolo fondamentale allo sviluppo di questi Paesi, perché le somme che gli stessi devono destinare al pagamento dei creditori vengono sottratte ad altre possibilità di impiego. Mi riferisco, ad esempio, alle spese per la sanità, per ospedali efficienti, per l’istruzione, onde garantirla alle giovani generazioni; inoltre, vengono sottratte alla possibilità di soddisfare elementari diritti delle popolazioni interessate, come quello dell’accesso all’acqua, all’alimentazione e via elencando. In altre parole, il pagamento di tali somme rappresenta un ostacolo al rispetto dei diritti umani. Pertanto, va segnalata una prima grossa contraddizione tra il debito estero e le norme che impongono agli Stati il rispetto dei suddetti diritti. Voglio fare riferimento, in primo luogo, ai patti del 1966, stipulati in sede di Nazioni Unite, dedicati rispettivamente ai diritti civili e politici e a quelli economici, sociali e culturali. È chiaro che senza la disponibilità di risorse finanziarie adeguate nessuno Stato – spe- 5 Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 cialmente quelli poveri – è in grado di soddisfare in modo adeguato i diritti delle proprie popolazioni. Vi è, quindi, una contraddizione tra i diritti umani e il debito estero. Un ulteriore tema cui possiamo accennare è quello dell’autodeterminazione, un altro principio fondamentale che attualmente regge la comunità internazionale, fortemente legato al principio di democrazia: ogni Stato deve essere in grado di determinare le politiche da seguire, in base a un elementare principio di partecipazione democratica. Ebbene, il debito estero obbliga, viceversa, gli Stati non solo a destinare somme ingenti – a volte addirittura la maggior parte dei propri bilanci pubblici – al pagamento dei creditori, ma anche a seguire le politiche imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali (Fondo monetario internazionale e Banca mondiale) che chiedono agli Stati, per poter avere accesso a determinate risorse finanziarie, di impegnarsi a sottoscrivere programmi politici, quali, ad esempio, quelli di riduzione dell’intervento pubblico, di privatizzazione, di abbattimento indiscriminato dei dazi tariffari, di compressione delle spese pubbliche, di apertura indiscriminata e totale agli investimenti esteri, senza alcuna garanzia per il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente. Si tratta di un altro elemento di contraddizione che possiamo sottolineare. Ulteriore tema da affrontare è quello relativo al discorso dell’ambiente. Anche questo è un problema di risorse, ma non solo. Difatti, è chiaro che le risorse destinate ai creditori potrebbero essere impiegate per politiche ambientali di cui, come ben sappiamo, vi è oggi un bisogno enorme e crescente in tutto il mondo. Inoltre, risorse naturali, come le foreste, il patrimonio della biodiversità e via elencando, vengono in molti casi vendute sul mercato internazionale per procurarsi le valute forti necessarie al pagamento degli interessi sul debito. Si tratta, dunque, di un ulteriore elemento di contraddizione. Ultimo elemento sul quale voglio brevemente soffermarmi riguarda il fatto che la disciplina di questi rapporti si sottrae, Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE in molti casi, anche ai princı̀pi generali del diritto civile. Basti pensare al fatto che siamo in presenza, come di recente ravvisato dal segretario di Stato vaticano, monsignor Bertone, ad una vera e propria usura internazionale: i tassi corrisposti sono usurai e non hanno riscontro in alcuna legislazione interna. Si parla di tassi del 5-6 per cento mensile, il che equivale addirittura al 72 per cento annuo. Inoltre, non è prevista alcuna salvaguardia contro il cosiddetto « anatocismo », per cui le somme pagate a titolo di interessi vengono poi imputate sul capitale, producendo una crescita esponenziale ed inarrestabile del debito estero. Vorremmo che tutti questi meccanismi fossero sottoposti al vaglio preciso della Corte internazionale di giustizia, che rappresenta il massimo organo giudiziario mondiale, per stabilirne la conformità ai princı̀pi del diritto internazionale e del diritto civile. Il Parlamento italiano si è assunto tale impegno, approvando pressoché all’unanimità l’articolo 7 della legge n. 209, che risponde, tra l’altro, ad una tradizione nazionale abbastanza meritoria – portata avanti in alcuni casi dall’Italia – di garantire comunque la promozione del rispetto del diritto su scala internazionale. Ebbene, a sette anni dall’approvazione della legge, tale articolo è rimasto completamente inapplicato, con motivazioni a volte addirittura risibili. Ricordo che una relazione di un ministero competente (mi sembra fosse il Ministero dell’economia e delle finanze) sosteneva che non è possibile portare avanti questa previsione, perché fra l’altro essa richiederebbe l’unanimità della comunità internazionale. Questo non è vero, perché le risoluzioni che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adotta normalmente per chiedere il parere della Corte internazionale di giustizia possono essere assunte a maggioranza. Quindi, il problema è di volontà politica e consiste nel capire se il Governo italiano intenda ottemperare o meno a un preciso obbligo, imposto da una legge votata all’unanimità, quindi con un voto assolutamente bipartisan, dal Parlamento italiano. Inoltre, occorre rendersi conto se 6 Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 l’obiezione ricordata in precedenza dalla dottoressa Chiodo, riguardante l’accordo fra gli alleati, possa in qualcun modo ostacolare l’accertamento del diritto, ritenuto invece preminente dal Parlamento italiano. Penso che debba essere compiuto ogni sforzo per garantire che anche il fondamentale articolo 7 della legge n. 209 sia applicato. La richiesta di parere presso la Corte internazionale sarebbe una decisione molto popolare e gradita a livello internazionale, in quanto è stata più volte avanzata, ad esempio, dal Parlamento latinoamericano. Sono reduce da un convegno internazionale svoltosi la settimana scorsa a São Paulo, presso la sede del Parlamento latinoamericano e presso la facoltà di giurisprudenza, nel corso del quale è stato riaffermato, nell’ambito del debito, il fondamentale obiettivo del ricorso alla Corte. Pertanto, se l’Italia riuscisse a compiere questo passo in sede internazionale, si potrebbe delineare un nuovo tipo di rapporti anche fra nord e sud, quindi fra Paesi industrializzati e Paesi cosiddetti in via di sviluppo, molto più in sintonia con il diritto internazionale che consentirebbe senza dubbio uno sviluppo dei rapporti, per il futuro molto più armonioso e pacifico nonché ispirato a princı̀pi effettivi di giustizia e di diritto. PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Marcelli. Do ora la parola ai colleghi che intendono porre quesiti o formulare osservazioni. ALÌ RASCHID KHALIL. Signor presidente, ringrazio i graditi ospiti per la loro esposizione e rinnovo l’impegno del mio gruppo politico a riprendere questa battaglia. Considerata l’ormai prossima sessione dell’Assemblea generale dell’ONU (ottobre-novembre), siamo in ritardo per poter intervenire. Ad ogni modo, come Commissione, insieme al Ministero degli affari esteri, possiamo fare un tentativo, pensando da subito al prossimo anno per spingere il Governo in questa direzione e cercare di trovare una soluzione – in tutto o in par- Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE te – per questo problema drammatico che, come avete ben esposto e delineato, non solo ostacola lo sviluppo di molti Paesi che si trovano in condizioni disagiate, ma lede i diritti fondamentali dei cittadini. Con il mio intervento ho voluto ribadire questo impegno e ringraziarvi per la vostra presenza. PRESIDENTE. Mi associo al ringraziamento formulato dall’onorevole Khalil. A livello internazionale, immagino che le energie profuse per la risoluzione sulla moratoria della pena di morte abbiano in qualche modo monopolizzato gli sforzi; del resto, anche in quel caso si trattava di costruire un fronte nuovo, geograficamente molto trasversale. Vi chiedo, alla luce della vostra esperienza e dei rapporti che avete con la campagna « Sdebitarsi » a livello mondiale, se potete fornire qualche indicazione sui potenziali alleati. Avete fatto cenno all’America Latina e alla Norvegia. In Europa, in Asia e in Africa quali altri potrebbero esservi ? A vostra conoscenza – ma si tratta di una domanda che naturalmente rivolgeremo al Governo – quale potrebbe essere il responso dei partner del Club di Parigi ? FABIO MARCELLI, Rappresentante dell’Istituto di studi giuridici sulla comunità internazionale del CNR. Signor presidente, noi siamo certi che un’iniziativa italiana in sede internazionale troverebbe subito consensi in tutti i continenti, anche perché i Paesi indebitati rappresentano purtroppo la maggioranza dei componenti della comunità internazionale. Quindi, è chiaro che la proposta di ottenere un chiarimento del quadro giuridico internazionale applicabile al debito estero e quindi la salvaguardia dei princı̀pi fondamentali di giustizia e di diritto su questo fenomeno cosı̀ importante, troverebbe subito adesioni, a livello sia di governi che di opinione pubblica di questi Paesi. Ho citato i Paesi latinoamericani perché in essi è in atto un processo di integrazione più avanzato rispetto ad altri terreni. Su questo tema si stanno impe- 7 Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 gnando fortemente diversi Paesi, con i quali fra l’altro l’Italia ha rapporti storici molto forti. Penso, ad esempio, all’Argentina, al Brasile, all’Ecuador, che ha compiuto ultimamente scelte molto avanzate sul terreno del debito, ma anche ad altri Paesi dell’America latina. Indubbiamente, anche in altri continenti vi sono governi che sarebbero molto sensibili e disposti ad appoggiare questa scelta, qualora il Governo italiano si impegnasse finalmente ad attuare l’articolo 7 della legge n. 209. In sede europea, la Norvegia ha compiuto, nel passato più recente, scelte molto avanzate su questo terreno. Con la dichiarazione di Soria Moria del 2006 si è impegnata a perseguire questi princı̀pi di giustizia su scala internazionale. Di conseguenza, penso che sarebbe raccomandabile un coordinamento con il Governo norvegese, ovvero un Paese creditore al pari del nostro. Quanto alle reazioni degli altri Paesi del Club di Parigi, penso che essi si siano ispirati, al contrario della pronuncia del nostro Parlamento, alla gretta osservanza dell’interesse immediato. Purtroppo, non cogliamo in questi governi un’ispirazione a più ampio respiro, vòlta a mettere in primo piano gli interessi globali della comunità internazionale. Tuttavia, resta indubbio che anche in questi Paesi esistano forze politiche, sociali e culturali che potrebbero essere sollecitate da una mossa del Governo italiano a uscire allo scoperto e, quindi, a scatenare, anche in queste realtà, un dibattito che risulterebbe senz’altro molto utile e che potrebbe portare, in alcuni casi, all’adozione di posizioni più avanzate di quelle registrate finora. Infatti, finché la politica estera di questi Paesi – e, a quanto pare, anche del nostro – si ispirerà solamente alla salvaguardia degli interessi a breve termine delle banche e delle società finanziarie, è chiaro che continuerà l’attuale andazzo del debito estero, per niente positivo, per i motivi cui abbiamo accennato. Una mossa politica del Governo italiano in questo senso sarebbe, dunque, di grande spessore, sia politico che culturale e po- Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE trebbe aprire prospettive nuove anche all’interno dei Paesi membri del Club di Parigi. Non so se in questo modo ho risposto alla sua domanda. PRESIDENTE. Credo di sı̀. GIANNI FARINA. Signor presidente, voglio spendere poche parole per esprimere il mio augurio affinché l’articolo 7 venga immediatamente applicato. Infatti, il problema mi sembra di straordinaria importanza, anche con riferimento ai risvolti drammatici che potrebbero determinarsi se non fosse messa in atto una politica ferma nella direzione da lei indicata. Vorrei qualche chiarimento ulteriore. Ad esempio, i Paesi dell’America latina sono indebitati, però hanno anche enormi potenzialità. Penso al Brasile e all’Argentina, per esempio, che non sono Paesi sottosviluppati, ma con potenzialità evidenti; vivono momenti di crisi, ma anche momenti di grande trasformazione e di grande progresso. Inoltre, vorrei qualche chiarimento sui Paesi dell’Africa, perché è proprio lı̀ che si vive il dramma di un continente alla rovina totale. Sono convinto che l’Italia dovrebbe essere in prima fila per condurre una battaglia molto più avanzata, cui si è accennato anche in questa occasione. Il problema dell’azzeramento del debito, secondo me, si pone per la quasi totalità dei Paesi africani. In poche parole, quel debito non verrà più restituito o, se verrà restituito, provocherà conseguenze ben illustrate in questa sede. Credo che l’Italia dovrebbe porsi il problema di perseguire una politica coraggiosa – anche cercando alleanze in Europa disponibili in tal senso – vòlta all’azzeramento del debito di una serie impressionante di Paesi e legando tale azione al problema della democrazia e dei diritti. Questo legame mi convince molto. Credo che l’Italia sia in grado di stare in prima fila per portare avanti una battaglia di diritti, di democrazia, di superamento del sottosviluppo e di riconoscimento di una realtà non risolvibile se non 8 Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 con l’azzeramento del debito, mettendo a fuoco il passato e riprendendo un cammino che non può che essere diverso. Tengo a sottolineare questo punto e credo che sia compito della Commissione e dei gruppi parlamentari fare in modo che questa sensibilità si allarghi sempre più. SABINA SINISCALCHI. Signor presidente, intervengo innanzitutto per scusarmi del ritardo, dovuto ai mezzi di trasporto, senza tuttavia che ciò rappresenti un alibi. Mi scuso, dunque, con i rappresentanti della campagna « Sdebitarsi » e mi auguro che lascino della documentazione a disposizione di tutti i commissari. Vorrei un giudizio – non so se abbiate già trattato questo punto nella vostra relazione – sulle iniziative di riconversione attuate dall’Italia in alcuni Paesi, come ad esempio il Kenya. Immagino si tratti di iniziative complesse da realizzare, dal momento che passano attraverso l’accordo con il Governo del Paese debitore. Tuttavia, mi pare che ci sia anche la volontà di coinvolgere la società civile. A distanza di quanto tempo – non saprei dirlo – sono state avviate queste iniziative in applicazione della legge n. 209 ? RAFFAELLA CHIODO, Coordinatrice della campagna « Sdebitarsi ». In realtà entrambi gli onorevoli che sono intervenuti da ultimo hanno perso la parte iniziale del discorso, nella quale abbiamo affrontato questi aspetti. GIANNI FARINA. Mi dispiace, ma ho avuto gli stessi problemi della collega Siniscalchi. RAFFAELLA CHIODO, Coordinatrice della campagna « Sdebitarsi ». Non importa, per fortuna sarà disponibile il resoconto stenografico e dunque non mi ripeterò su argomenti già trattati all’inizio che inquadravano la necessità di affrontare la questione del debito in maniera coerente. Le ragioni richiamate poco fa dall’onorevole Farina, che portano oggi la stra- Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE grande maggioranza dei popoli africani a soffrire dell’impatto che il pagamento del debito estero comporta, sono un fatto appurato. Preciso, inoltre, che non si tratta di qualcosa in procinto di verificarsi, ma di un avvenimento già in corso da decenni. Se vogliamo essere ancora più precisi, come direbbe l’ex presidente del Sudafrica, Nelson Mandela, sono secoli che i popoli africani pagano in maniera drammatica la sottrazione di risorse al loro continente, e quindi al beneficio dei popoli. Si è partiti con il processo di deportazione degli schiavi per proseguire con la colonizzazione, che ha sottratto all’Africa materie prime preziosissime. Ancora oggi, peraltro, l’economia di questi Paesi sarebbe potenzialmente molto forte se essi non avessero subı̀to questo processo devastante, di cui noi siamo responsabili. Non solo le società civili dei Paesi africani, ma molti governi impegnati in un dialogo con la società civile ci chiedono un’inversione dell’ottica, perché ritengono che sarebbe opportuno rovesciare la visione e cominciare a pensare che forse i veri creditori non sono i Paesi ricchi, quanto piuttosto – e non solo sul fronte economico – i popoli che oggi pagano il costo dei processi di indebitamento. Sulla questione sollevata dall’onorevole Siniscalchi, devo dire che noi – parlo della campagna « Sdebitarsi », ma in generale delle campagne sul debito con cui noi manteniamo rapporti (prevalentemente africane, ma anche latinoamericane ed anche asiatiche) particolarmente forti e impegnati – esprimiamo un giudizio molto « tenero » nei confronti non tanto della cancellazione del debito, quanto della conversione del debito, con tutto il processo che essa prevede. Come sapete, nel caso specifico del Kenya, richiamato dall’onorevole Siniscalchi, il processo è iniziato più di qualche anno fa, promosso da una realtà come quella di padre Alex Zanotelli, che dal Kenya, con le associazioni presenti sul territorio e soprattutto nella baraccopoli di Korogocho, ha iniziato a sollecitare il Governo italiano affinché affrontasse la 9 Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 questione della conversione. È stata una proposta effettivamente nata dal basso, ovvero dalla società civile. Tuttavia, dietro la conversione del debito si intravede un principio di fondo forse non corretto. Ovviamente sono ben accetti tutti i processi di conversione, tanto più laddove siano costruiti con la partecipazione della società civile; tuttavia il principio politico che la stessa campagna per la cancellazione del debito del Kenya ha ribadito, anche con una certa stizza, è appunto la necessità di veder cancellato il debito. Infatti, nel momento in cui viene riconosciuto un debito che ha maturato gli interessi usurai di cui parlava poco fa il dottor Marcelli – senza dimenticare le altre questioni che abbiamo richiamato all’inizio dei nostri interventi – va sancito un principio. Una volta riconosciuto tale principio, si deve procedere in modo coerente con esso. Quindi, la conversione può anche andare bene all’interno di un meccanismo vòlto a cercare soluzioni – abbiamo detto che la legge italiana, peraltro, ne offre – alla questione del debito dal punto di vista politico. Non bisogna inseguire gli effetti, bensı̀ lavorare sulle cause che hanno prodotto l’attuale situazione debitoria. Occorre affrontare la questione in termini politici e quindi è necessaria, come suggeriva il presidente della Commissione, un’iniziativa di respiro internazionale e di alto profilo politico da parte del nostro Paese, che riprenda in mano la questione del debito. L’esempio dell’iniziativa contro la pena di morte è certamente molto concreto, con tutte le problematiche che conosciamo. Tuttavia, anche sul debito esiste una disponibilità e un interesse fortissimo da parte di alcuni Paesi, anche se non di tutti. Come sappiamo, infatti, alcuni Paesi preferiscono pagare il debito, proprio per poter ricevere altri crediti e inseguire il meccanismo imposto in questo momento dalle istituzioni finanziarie grazie alle regole attualmente in vigore. Noi chiediamo, invece, che venga compiuto un gesto coraggioso. L’esempio della Norvegia è concreto; chiaramente si tratta di un Paese piccolo, i cui crediti maturati Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 10 III COMMISSIONE sono inferiori rispetto a quelli dell’Italia. Tuttavia, la sua iniziativa (tra l’altro sviluppata nel nostro continente) trova simpatia in Spagna e nel mondo cosiddetto « ricco » dell’Europa, ma anche disponibilità e interesse non solo nei Paesi dell’Africa australe come il Mozambico, ma anche in quelli dell’Africa occidentale e centrale. Alcuni di essi, membri dell’Unione africana, certamente sono interessati a costruire un percorso di questo tipo, con le caratteristiche richiamate dal dottor Marcelli. Non c’è necessariamente bisogno di raggiungere la maggioranza assoluta o l’adesione della totalità dei membri dell’assemblea delle Nazioni Unite, perché basta una decisione presa a maggioranza semplice per interpellare la Corte internazionale di giustizia e chiedere un suo parere sui meccanismi del debito, quindi sulle sue cause e non solo sui suoi effetti. PRESIDENTE. Credo che questa audizione potrà risultare molto utile ai colleghi della Commissione per portare avanti l’azione politica già iniziata al Senato, per quanto riguarda l’aggiornamento di questo capitolo molto importante della nostra politica estera, sul quale, come giustamente richiamato all’attenzione della Commissione, si è avuto negli ultimi tempi un certo silenzio. Chiedo ai nostri ospiti di consegnare alla Commissione la documentazione predisposta, come suggerito dall’onorevole Siniscalchi, affinché possa essere messa in distribuzione. Dichiaro conclusa l’audizione. Audizione di rappresentanti del Forum sociale mondiale in Italia. PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle istituzioni ed i processi di governo della globalizzazione, l’audizione di rappresentanti del Forum sociale mondiale in Italia. Anche in questo caso, come per la precedente audizione, suggerisco un’esposizione Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 di circa dieci minuti, prima di lasciare la parola ai colleghi per eventuali domande e integrazioni. Do la parola alla dottoressa Raffaella Bolini, rappresentante del Forum sociale mondiale in Italia. RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante del Forum sociale mondiale in Italia. Ringrazio il presidente e i membri della Commissione per l’invito a partecipare all’audizione odierna. Mi chiamo Raffaella Bolini e sono la responsabile internazionale dell’ARCI. Insieme ad altri colleghi, impegnati in alcune organizzazioni della società civile italiana, faccio parte del Consiglio internazionale del Forum sociale mondiale, che è l’argomento del quale mi propongo di parlavi oggi. Purtroppo, avendo avuto il computer rotto per quindici giorni, non ho potuto portare documentazione scritta, che comunque potrò inviare in un secondo momento. Immagino che nelle sedute precedenti diversi miei colleghi, esponenti di organizzazioni della società civile, abbiano avuto modo di illustrarvi i contenuti delle principali campagne globali di critica alla globalizzazione neoliberista. Per quanto mi riguarda, provvederò a descrivere il Forum sociale mondiale che, con le sue articolazioni continentali e regionali, rappresenta lo strumento attraverso il quale tutte queste campagne si sono potute sviluppare in maniera più efficace, a partire dal gennaio 2001. In questo modo spero di poter contribuire alla vostra indagine conoscitiva, relativamente a due aspetti: le forme e la metodologia della rete globale del movimento altermondialista e l’impegno a rinnovare ed estendere democrazia e partecipazione, ovvero il contenuto forse più trasversale. Non a caso i primi momenti in cui è comparso il movimento no global hanno coinciso con le contestazioni di grandi istituzioni, organismi e vertici internazionali, come la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione mondiale per il commercio o il G8. Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 11 III COMMISSIONE Al centro di tali contestazioni, sin dall’inizio, non figuravano solo i contenuti specifici delle agende di questi organismi o di questi eventi, ma proprio il grande tema della democrazia. Molte di queste sedi – come avrete sicuramente appreso dai miei colleghi – non hanno basi democratiche. Alcune di esse, come l’Organizzazione mondiale per il commercio, sono addirittura costruite per censo, mentre altre affidano scelte di importanza globale solo ai governi più importanti del pianeta. La teoria democratica non legittima i poteri forti a governare il mondo sulla base dei rapporti di forza esistenti. La democrazia, al contrario, si fonda su un principio di uguaglianza fra i cittadini, si pone l’obiettivo di garantire a tutti almeno i diritti di base e uguali diritti di cittadinanza e affida alla politica e alle istituzioni il compito di comporre in modo equilibrato i diversi interessi, per ottemperare agli impegni di principio enunciati dalle carte fondamentali: in Italia la Costituzione, a livello internazionale la Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazione Unite nonché le altre basi fondanti del diritto internazionale. Il pensiero neoliberista teorizza esattamente il contrario. Afferma che i diritti non si possono imporre al mercato e, quindi, mette in un angolo e sottrae poteri alla politica e alle istituzioni democratiche. Molte decisioni fondamentali sono oggi prese dalle banche centrali, dalle istituzioni finanziarie internazionali, senza neanche consultare i Parlamenti. È enorme il peso dei grandi gruppi economici e finanziari, delle multinazionali, molte delle quali hanno bilanci più consistenti di quelli di intere nazioni. I cittadini non possono partecipare a scelte che neanche conoscono: non solo i cittadini dei Paesi poveri, ma neppure quelli dei Paesi ticchi, compresi noi italiani. Se consideriamo che molte scelte cruciali vengono assunte da organismi e istituzioni che non rispondono ad alcun Parlamento e, spesso e volentieri, neanche alla maggioranza dei governi del globo, si aprono Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 ovviamente molti interrogativi sul tasso di democrazia consentito da questo sistema. La carenza democratica che oggi affligge il pianeta aumenta il livello di ingiustizia, la disuguaglianza, lo sfruttamento e la povertà. Infatti, senza il contrappeso della partecipazione popolare e del controllo democratico i grandi interessi economici, finanziari, commerciali e militari riescono ad imporre scelte magari funzionali ai propri profitti, ma spesso completamente inadatte o addirittura controproducenti per la realizzazione di giustizia sociale, pace, convivenza e tutela dell’ambiente. Nessuna società, neppure quella più avanzata e ricca, può sentirsi immune dai danni prodotti dalla carenza democratica. La sensazione di non contare nulla induce tanta parte della cittadinanza a ritenere superflue e perfino parassitarie le istituzioni democratiche e la politica. La frustrazione di tanto sud del mondo è un ottimo brodo di cultura per integralismi ed estremismi. L’aumento dell’esclusione sociale produce solitudine, individualismo, rottura dei legami comunitari, aumento della paura, e quindi dell’aggressività. Innovazione democratica e democrazia globale non sono certo temi che hanno facili risposte a disposizione. È un terreno di ricerca e di sperimentazione in cui ciascun soggetto dovrebbe fare la propria parte. Non è esattamente questa la condizione in cui ci troviamo, perché la stessa discussione italiana sulla crisi della politica, che pure occupa tanto spazio nel dibattito pubblico, è assai silente su tali nodi che a noi paiono essere quelli cruciali. In questa situazione assolutamente non facile, la società civile democratica di tutto il mondo sta provando, in questi anni, a investire energie e risorse su questo tema, sperimentando, innanzitutto su sé stessa, la costruzione di un nuovo laboratorio democratico. Il Forum sociale mondiale è lo strumento principale che ci siamo dati, convinti innanzitutto del fatto che per rispondere alle sfide globali sia necessario, per parte nostra, costruire una società civile globale, ossia una rete dei diversi soggetti Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 12 III COMMISSIONE di società civile che, partendo e comunicando la propria esperienza, possano insieme produrre una capacità di pensiero e di azione che sia in grado di agire sulle scelte globali. Il Forum sociale mondiale nasce nel 2000 dall’intuizione di alcune organizzazioni brasiliane. È interessante ricordare queste organizzazioni, anche perché il loro elenco spazza via l’idea, spesso macchiettistica, del movimento altermondialista e no global creatasi anche nel nostro Paese. Le organizzazioni brasiliane che hanno dato vita al Forum sociale mondiale sono la rete delle organizzazioni non governative, la Commissione giustizia e pace della Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani, una grande associazione di imprenditori, il sindacato, istituti di analisi sociali ed economici, il Movimento dei lavoratori senza terra e ATTAC. La prima edizione del Forum sociale mondiale si è tenuta a Porto Alegre, nel sud del Brasile, nel gennaio del 2001. Negli anni successivi si sono svolte altre tre edizioni a Porto Alegre e una a Mumbai, in India. L’ultima edizione, nel gennaio di quest’anno, si è svolta a Nairobi, in Kenya. È stato il più grande evento autorganizzato di società civile mai realizzato in Africa. Vi hanno partecipato più di 60 mila persone, il 70 per cento africane, con la presenza di tutti i Paesi africani. Tale evento ha dimostrato che in Africa esiste una società civile e democratica e che su di essa la politica internazionale dovrebbe contare. La prossima edizione si terrà a Belém, in Amazzonia, nel 2008. Il comitato organizzatore è costituito dalla rete delle associazioni indigene di tutti i Paesi amazzonici e, ovviamente, il Forum avrà al centro il tema dell’emergenza ambientale, del clima e della biodiversità. Dall’esperienza mondiale nel tempo sono nate, a catena, moltissime esperienze continentali, regionali e nazionali. Ne segnalo solo una: il Forum sociale degli Stati Uniti, che si è tenuto per la prima volta ad Atlanta nel giugno di quest’anno e che ha visto una grande partecipazione popolare di classe media impoverita. Si è trattato di un importante momento di denuncia della Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 totale assenza di ammortizzatori sociali nel Paese più ricco del mondo, dove non esiste l’assistenza sanitaria e alle donne vengono sottratti i figli se, una volta licenziate, non riescono più a pagare l’affitto. Il processo del Forum sociale mondiale è gestito da un consiglio internazionale cui partecipano i rappresentanti di moltissime realtà della società civile di tutti i continenti. Penso sia interessante sottolineare che, fra gli altri, sono membri effettivi e permanenti di questo consiglio la Federazione internazionale dei sindacati, la CARITAS internazionale, la Lega internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli, Oxfam e molte altre autorevoli organizzazioni. Provo a esporvi brevemente la metodologia del Forum sociale mondiale. Il Forum è uno spazio aperto. Il consiglio internazionale, dunque, si limita a costruire un contenitore in cui ciascuna organizzazione, o rete di organizzazioni, che lo desideri, può collocare i propri incontri. Il Forum in quanto tale non assume mai alcuna decisione, non firma documenti, non lancia campagne, né manifestazioni. Le organizzazioni e le reti che vi partecipano possono, al contrario, utilizzare il Forum per proporre le proprie iniziative, che rimangono comunque di titolarità delle singole organizzazioni e che portano la firma di chi le promuove e non del Forum. Questo è un aspetto fondamentale del laboratorio democratico che si sta sperimentando. La storia è piena di esperienze democratiche naufragate nella lotta per l’egemonia o per il potere. Noi crediamo, invece, che la ricerca di un pensiero nuovo, capace di traghettare l’umanità verso un futuro migliore, sia appunto una ricerca. Nessuna delle culture esistenti, o già sperimentate, può dire di avere la ricetta pronta e solo la capacità di ascolto fra le diverse tradizioni culturali e la disponibilità alla contaminazione possono aiutare, camminando insieme, a identificare, passo per passo, la strada del cambiamento necessario. Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 13 III COMMISSIONE La critica radicale al neoliberismo, alle politiche di esclusione sociale che porta con sé, alla disuguaglianza, al militarismo, alla guerra, al razzismo è patrimonio di culture ed esperienze molto diverse tra loro. Da questo punto di vista, il Forum è una sorta di piazza che cerca di aiutare l’incontro e lo scambio tra chi condivide questa critica e cerca un’alternativa. Il Forum ha una sua carta dei princı̀pi che ciascun partecipante deve sottoscrivere. Si tratta di un documento di quattordici punti che, oltre al richiamo agli obiettivi comuni che ho appena enunciato, propugna il principio della non violenza e nega l’accesso al Forum ai partiti politici e alle organizzazioni militari in quanto tali. Nel corso degli anni, in contemporanea al Forum sociale mondiale, sono stati organizzati forum sociali delle autorità locali e dei parlamentari, con l’idea di provare a rafforzare l’incontro e l’alleanza con le forme della rappresentanza democratica. In questi anni, all’interno del contenitore Forum, si sono create e rafforzate molte reti di società civile e hanno preso il via tante campagne e vertenze. Ne cito solo alcune: contadini e consumatori che si occupano dei temi della sovranità alimentare e dell’accesso alla terra; operatori e utenti che difendono i servizi pubblici come l’educazione alla sanità; comunità che in tutto il mondo difendono i beni comuni, in primo luogo l’acqua; ecologisti del nord e popoli indigeni del sud impegnati a difendere l’ambiente; gli esclusi; i sindacati; le organizzazioni per i diritti umani che lottano per i diritti sociali, dalla casa al lavoro; i pacifisti e le vittime dei conflitti impegnati per la pace; le comunità del sud e le organizzazioni antirazziste che lavorano per i diritti dei migranti. Le organizzazioni pacifiste di tutto il mondo hanno potuto organizzare, grazie alla rete del Forum sociale mondiale, la più grande manifestazione mai realizzata sul pianeta. Mi riferisco a quella contro la guerra in Iraq tenutasi il 15 febbraio 2003 quando, nella stessa giornata, 110 milioni di persone scesero in piazza in tutto il mondo. Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 Prima di concludere, mi soffermo su due limiti del processo Forum, che mi sembra importante sottolineare. In Europa, dove esiste un Forum sociale europeo – ha tenuto la sua prima edizione a Firenze, per poi incontrarsi di nuovo a Parigi, Londra, Atene e, a settembre del prossimo anno, a Malmö, in Svezia – il processo ha una grande debolezza nei Paesi dell’Europa dell’est. La causa di questa situazione è l’enorme fragilità della società civile in quelle zone. Crediamo che questo problema riguardi tutti, non solo noi, quindi, ma anche la politica e le istituzioni. L’Unione europea si va allargando a nazioni in cui vi è poco spazio per esercitare un controllo democratico. Paesi essenziali e fondamentali, come la Russia, senza una cittadinanza attiva e consapevole rischiano di essere molto facilmente preda di poteri forti, della corruzione e della mafia. Anche in Medio Oriente esistono esperienze di forum, ma sono deboli. La cultura forum ancora non riesce a produrre un linguaggio capace di parlare alle società civili democratiche arabe, mediorientali e islamiche, molte delle quali vivono situazioni difficili dal punto di vista dell’agibilità democratica o dei conflitti. Anche questo problema riguarda tutti. Da questo punto di vista, di particolare interesse per noi è il percorso di costruzione del Forum sociale del Maghreb, che dovrebbe tenersi quest’anno. Per concludere, riepilogo gli obiettivi che il processo Forum sociale mondiale si pone e che in questi anni ha realizzato: fornire un’occasione permanente di autoformazione per la società civile e democratica di tutto il mondo, attraverso la conoscenza delle esperienze che si vivono in altri continenti e il confronto con esse; rafforzare le società civili che vivono in condizioni difficili e di isolamento, dando ad esse la possibilità di legittimarsi e crescere nella rete con altre esperienze; produrre comunicazione alternativa, e dunque educazione popolare, con gli strumenti a nostra disposizione, da Internet alle manifestazioni, che sono per noi innanzitutto un mezzo per comunicare, in Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 14 III COMMISSIONE una realtà che di fatto nega alla società civile l’accesso ai mezzi di comunicazione di massa; costruire e rafforzare vertenze e campagne politiche, sia di opposizione, come quelle alla guerra, che propositive, come quelle per la ripubblicizzazione dell’acqua; procedere nella ricerca di un disegno di società alternativo al neoliberismo, capace di intervenire sia su singoli e specifici contenuti che sul tema trasversale della democrazia globale. Quest’anno il Forum sociale mondiale invita a partecipare alla Giornata mondiale di azione che si terrà il 26 gennaio prossimo. Sarà un evento speciale; non si tratterà di una grande riunione, né di una grande manifestazione, ma a ciascuno – a casa propria e sui propri contenuti – si chiederà di costruire qualcosa che renda visibili le proprie vertenze e le proprie proposte. Questo vuole essere un modo per cercare di valorizzare la rete diffusa di società civile che si batte per la pace, la giustizia e i diritti in tutto il mondo e che si impegna ogni giorno, anche quando i riflettori sono spenti e le iniziative sono piccole e diffuse. Visto che molti argomenti all’esame, oltre ai contenuti specifici di questioni che ovviamente investono anche il Parlamento, si riferiscono anche al problema più generale di come ricostruire le istituzioni democratiche nell’era della globalizzazione, credo che sarebbe interessante trovare una modalità di relazione (ad esempio di informazione permanente) con la vostra Commissione sul percorso sviluppato dal Forum sociale mondiale. PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni. GIANNI FARINA. Ho molto apprezzato l’esposizione della dottoressa Bolini e quindi mi limiterò a svolgere una riflessione in riferimento alla sua affermazione circa la debolezza complessiva dei Paesi dell’est europeo. Come membro della delegazione parlamentare dell’OSCE ho già avuto modo di appurare personalmente tale situazione, avendo avuto molte occa- Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 sioni per visitare questi Paesi. Naturalmente, in tali circostanze è emerso in maniera evidente il problema della debolezza della società civile e delle stesse istituzioni democratiche. Credo che i parlamentari più sensibili possano utilizzare queste occasioni per far crescere una nuova sensibilità. L’OSCE svolge una funzione molto importante, che non si esaurisce solo nell’attività del monitoraggio. Esiste un problema relativo al monitoraggio delle occasioni democratiche come lo svolgimento delle elezioni; le prossime saranno in Ucraina, il 28, 29 e 30 settembre e, successivamente, in Russia nei primi di dicembre. Dato che ci sono le elezioni, tale monitoraggio si effettua nel momento in cui il processo democratico trova applicazione concreta. Durante l’anno si svolgono una serie di iniziative che trattano i problemi più diversi. Il prossimo incontro, ad esempio, si terrà in Slovenia. Il problema è legato specificamente al rapporto tra l’OSCE, i Paesi europei e i Paesi del Mediterraneo sudorientale come Egitto, Israele, Libia e via dicendo. Quindi, si tratta di una occasione di straordinaria importanza. Queste occasioni possono rappresentare il momento per avvicinare i parlamentari di quei Paesi a un problema drammatico e difficile. Come ho detto, dunque, ho apprezzato molto l’esposizione della dottoressa Bolini. Inoltre, per quanto mi riguarda – ma credo che questo valga per tutti noi – ritengo che questa attività, nell’ambito delle organizzazioni internazionali, possa essere molto utile a sviluppare ulteriormente una nuova sensibilità. SABINA SINISCALCHI. Ringrazio anch’io la dottoressa Bolini che ci ha illustrato una realtà di cui spesso si è poco consapevoli, ma che negli ultimi dieci anni è stata l’unica voce forte di critica a un processo economico globale che oggi sta preoccupando le stesse istituzioni finanziarie internazionali e molti governi. Prima di altre si è levata questa voce che, vorrei ricordare, è stata definita dal New York Times, dopo Seattle, come la « se- Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 15 III COMMISSIONE conda potenza mondiale ». Pertanto, è importante per la nostra Commissione ascoltare questa voce nelle sue varie articolazioni, che sono davvero numerose e diverse, come ci ricordava la dottoressa Bolini. L’intervento dell’onorevole Farina mi consente di introdurre la mia domanda. Il collega ha citato il ruolo dell’OSCE e la mia domanda riguarda la relazione tra questa società civile organizzata su scala planetaria – che appunto rappresenta voci e settori sociali anche molto diversi fra loro, ma che riesce a trovare un luogo e un momento di sintesi dal 2001 ad oggi – e le istituzioni internazionali. Mi riferisco sia alle istituzioni che vengono criticate da questa società civile (la dottoressa Bolini ha citato in precedenza il Fondo monetario, la Banca mondiale e l’Organizzazione mondiale del commercio), sia a quelle con cui, invece, ha un dialogo più facilitato come ad esempio, alcune agenzie delle Nazioni Unite che partecipano attivamente ai forum internazionali. Chiedo, dunque, a che punto sia questa relazione e se la stessa venga ritenuta utile e produttiva dal Forum sociale mondiale, anche ai fini della democratizzazione da lei evocata. PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Bolini per la replica. RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante del Forum sociale mondiale in Italia. Vi ringrazio perché avete colto il « tema dei temi », ovvero quello della relazione con le sedi istituzionali, per il raggiungimento dei nostri obiettivi che cominciano ad essere comuni alla società civile e che stanno penetrando anche all’interno di istituzioni e sedi della democrazia internazionale. In sintesi, potrei dire che esiste un limite della società civile organizzata e del processo Forum e un limite che, invece, riguarda il lato istituzionale. Il limite del processo Forum è che al suo interno esistono realtà molto diverse. Alcune di esse non hanno assolutamente paura ed anzi ricercano il rapporto con le istituzioni, comprese quelle a cui riservano le maggiori critiche e addirittura quelle che, Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 secondo il loro pensiero, non dovrebbero neanche esistere, perché dovrebbero cedere il proprio mandato alle Nazioni Unite. Vi sono, però, anche numerose organizzazioni della società civile che, in qualche maniera, ritengono di non dover ricercare il dialogo per paura di essere integrate in un sistema o di perdere la propria radicalità. Per quanto mi riguarda, credo che più si espande il processo del Forum sociale mondiale e delle reti di movimento che rappresenta, più vengono conosciuti i contenuti, più è fondamentale entrare in relazione, dialogare (eventualmente anche scontrarsi con tutti) ed essere capaci di costruire, da pari a pari, tavoli (anche di discussione e controversia), che possano essere utili all’avanzamento del pensiero. Come ho detto, si tratta di un problema nostro. Dall’altro lato, esiste un problema legato al fatto che molte realtà e istituzioni, pur riconoscendo le forme tradizionali della società civile (le ONG tradizionalmente intese e via dicendo), non riconoscono quelle più nuove. Queste ultime non sono strutturate solo attraverso le organizzazioni formalmente costituite, che vantano una tradizione di riconoscimento istituzionale, ma si costruiscono anche su campagne e nella dinamica dei movimenti sociali che sono per loro natura labili e non riconducibili a statuti o a permanenze. Tuttavia, nel momento in cui si costituiscono, rappresentano un’ampia varietà e rappresentanza di interessi e di settori della società. Da questo punto di vista, credo che sia necessario cogliere un elemento di riflessione che vada dal livello locale, ai Parlamenti nazionali, per arrivare al Parlamento europeo – organo che pur dando grande spazio alla società civile, fa riferimento ad un modello che deve rientrare dentro certi canoni non idonei a molti movimenti sociali – fino ai livelli superiori, ovvero quelli delle Nazioni Unite che ovviamente rappresentano una sede fondamentale. Forse si può pensare, anche attraverso un lavoro da svolgere insieme, a rendere più fluida questa modalità e a costruire Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE meccanismi di riconoscimento che non obblighino la società civile e le sue espressioni di movimento a trasformarsi in soggetti stabili, dotati ad esempio di un presidente o di un comitato centrale. Se avessimo agito in questo modo, l’esperienza del Forum sociale mondiale non sarebbe neanche cominciata. Il Forum sociale mondiale non ha neanche un riconoscimento giuridico proprio per non creare una struttura in cui la volontà di stare in rete venga in qualche maniera resa subalterna a logiche di organizzazione. Insomma, è in atto un dibattito interessante sulle nuove forme di organizzazione dei movimenti. In tale prospettiva, penso che un contributo importante potrebbe venire anche da una sperimentazione sviluppata in sede italiana. € 0,30 Stampato su carta riciclata ecologica 16 Indagine conoscitiva – 21 — — SEDUTA DEL 18 SETTEMBRE 2007 PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Bolini che ha toccato un problema che investe non solo l’OSCE, ma anche il Consiglio d’Europa e l’Assemblea parlamentare euromediterranea, organizzazioni che si stanno tutte interrogando sul modo più fruttuoso per tenere in piedi questo dialogo. Dichiaro conclusa l’audizione. La seduta termina alle 11,30. IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO RESOCONTI ESTENSORE DEL PROCESSO VERBALE DOTT. COSTANTINO RIZZUTO Licenziato per la stampa il 23 ottobre 2007. STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO *15STC0005790* *15STC0005790*