Estratti dal libro Il monitor di deflessione nella psiche umana IL
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Estratti dal libro Il monitor di deflessione nella psiche umana IL
Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 1 Estratti dal libro Il monitor di deflessione nella psiche umana 1975-2003 by Psicologica Editrice Psicologica Editrice di Tonino Meneghetti Via San Sebastiano 130 00065 Fiano Romano, RM - Italy Tel. +39 0765 45.53.47 Fax +39 0765 20.71.31 e-mail: [email protected] http://www.psicoedit.com http://www.ontopsicologia.org I ed.: 1975, V.le Marconi, 136 Roma II ed.: 1985, Ontopsicologica Editrice, Roma III ed.: 2002, Psicologica Editrice IV ed.: 2003, Psicologica Editrice ISBN 88-86766-96-3 Capitolo Undicesimo IL MEDIATORE DI CAMPO E IL SISTEMA RIFLESSO Ribadendo la tesi che la schizofrenia umana esistenziale - sia in chiave patologica, che di latenza, che di deformazione di tutta quella fenomenologia che poi si effettua come aggressività e soprusi politici - non si causa per natura intrinseca dell’uomo, ma per un’interferenza diversa, dobbiamo parlare di quella specie di meccanismo a cui avevamo accennato precedentemente, un meccanismo per il quale l’energia viene regolata da sistemi riflessi coordinati. Per capire cosa intendo per sistema riflesso, bisogna provare a immaginarlo sul principio della cellula fotoelettrica, che viene impressionata da una variazione di luce, determinando automaticamente l’effetto programmato: l’apertura di un cancello, l’accensione di un televisore, ecc., ma, in questi termini, siamo ancora su parametri molto grossolani. Bisogna immaginare qualcosa come un’interlogica che sta all’interno del cervello umano, cioè un sistema di coordinamento come l’associazionismo di pensiero, di idee. Dato un certo input, si collega immediatamente un sincronismo di una sequela di immagini che, tutto sommato, scorrerebbe da sé senza fine all’interno di un soggetto o del gruppo di tutti coloro che fanno parte di quel tipo di cultura sistemica. Si potrebbe replicare, a questo punto, che se, ad esempio, all’idea di acqua, di donna, di maschio, di pene, di albero, scatta, in un individuo il meccanismo, è perché è stato educato così. Ma è stato educato da un uomo, cioè da colui che chiama padre, madre o è stato elaborato come si elaborano i circuiti nei computer di calcolo elettronico? Cioè un’elaborazione particolare per cui, data un’idea starter, partono inevitabilmente sempre le stesse idee, malgrado la sua esperienza, la sua vita, i suoi fatti, il suo vivere. 1 Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 2 Per capire meglio i modi energetici con cui si stabilizza l’ossessione, il meccanismo che abbiamo detto correlarsi su sistemi riflessi che modulano la frequenza dell’energia – e conseguentemente della materia - all’interno della cerebralità umana, bisogna riferirsi a concetti di una civiltà superiore alla nostra tecnologia. Volendo fare una verifica elementare, diciamo, ad esempio, che voi mi vedete, oppure che io vedo voi: un corpo, una luce, la mia sciarpa. Che prova avete di vedere la mia sciarpa? Si potrebbe rispondere: «La vedo!» Questo cosa significa? Si può verificare questo oggetto negli effetti e dire che è una sciarpa, ma mentre voi siete sicuri di vedere questo oggetto, vi dico che non è vero: voi vedete onde che vi mediano la sciarpa. Il vedere è un modo di toccare sensibilizzato da onde energetiche, da onde da considerarsi secondo i parametri della comune fisica nucleare. Tu tocchi un’altra cosa che ti indica la sciarpa e, per deduzione, vai all’oggetto, cioè noi abbiamo delle variazioni, dei codici che mediano: è un modo di frequenza d’onda che codifica in te l’immagine riflessa della sciarpa, ma in realtà l’occhio non vede altro che variazioni di luce. L’unica costante che ci impressiona secondo riflessioni sinaptiche di neuroni è un modo-luce. Il colore, la consistenza degli oggetti sono un modo-luce cifrabile, connotabile in aspetti matematici, che comunque non sono l’immediatezza del senso ottico al senso di oggettività della lana di questa sciarpa. Tolta l’energia mediatrice, tolto il terzo mediante, non vedi niente, per te la sciarpa non esiste neppure. L’occhio è un modo diverso del tatto, è un organo correlato a una variazione di luce, cioè a un certo tipo di energia, per cui toccando, impressionato da quel tipo di onde, tocca l’oggetto, esattamente come la mia mano deve toccare questo oggetto per sapere se è legno o plastica. L’occhio è un modo più raffinato, cioè tocca a una più ricca frequenza d’onda, ma in realtà non tocca l’oggetto, tocca un mezzo che ci mette in comunione, una specie di agente universale. In tutto ciò che vedete, che toccate, c’è il mediatore di campo: mentre noi vediamo soltanto una cosa, l’unico costante oggettivo è un mediatore di campo. All’interno di questo mediatore di campo o campo mediatore, noi vediamo le diverse sfaccettature delle molteplici differenze degli accadimenti esistenziali. Una volta sottratto l’uomo alla visione ontica o alla soggettività dell’In Sé, basta creare un congegno capace di deformare o anticipare le mediazioni di campo e all’interno di qualsiasi essere umano si possono modulare i riferimenti al reale voluto o convenzionato. Si può immaginare, per fare un esempio, una persona chiusa in una stanza, dalla quale vede il resto del mondo solo attraverso un oblò. Se un altro coglie il suo campo di mediazione, lo può alterare, basta che faccia un disegno sull’oblò che l’altro lo proietta su tutto quel che vede, all’infinito. Cioè, basta variare la diapositiva nell’entrata di mediazione ultima a me percipiente e per me che percepisco la riferenza del molteplice circostante è molto semplice arrivare a un’alterazione, a un’alienazione, perché non colgo la realtà com’è, ma come mi viene catalogata attraverso il mediatore di campo nell’ultima approssimazione alla mia intrinsecità cerebrale. Ancora un esempio. Se metto sul giradischi un disco con una musica molto dolce, che piace, io mi rilasso e se ho l’ambiente adatto, prendo un bicchiere di cognac, lo riscaldo nella mano, lo sorseggio piano, se c’è un amico o un’amica parlo amichevolmente, il mio cuore si allarga, comincia una sequela di pensieri piacevoli. Vedo così che, al girare della puntina su una piastra nera, l’essere umano agisce in un certo modo, ma se cambio disco e metto una musica stridente, vedo che cambia comportamento, magari si ottura le orecchie o se ne va. Quindi, nel primo caso, l’essere umano si mette in una compiacenza con se stesso e vede il luogo in modo ameno, nel secondo reagisce in modo completamente diverso. Oggi, ci sono le cuffie per l’ascolto della musica da apparecchi portatili, ma qual è la realtà che percepisce il soggetto, anche se si trova per strada, in macchina o altrove? La musica che ha nelle orecchie. 2 Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 3 Sulla stessa falsariga, ma in modo molto più sofisticato, potremmo avere una cuffia immessa, che autoregola in anticipo a un nostro individuale criterio di realtà, che agisce in anticipo alla frequenza delle immagini, alle frequenze di realtà e le modula secondo un programma prestabilito. Quindi, in ogni situazione, siamo mediati da un’altra cosa che non constatiamo. Sostanzialmente, nell’analisi dell’inconscio umano, fatta centinaia di volte, ho trovato sempre lo stesso nastro, lo stesso disco; magari varia il tempo, ma dopo poche battute a riduzione definitiva, mi ritrovo sempre con lo stesso nastro, almeno in questo tipo di civiltà. Questo meccanismo è talmente semplice, che ha una capacità di adattamento pressoché infinita ed una enorme facoltà di preorientare tutte le movenze dell’uomo, anche perché si carica della stessa energia umana, parte a riflesso dell’azione dell’uomo: ad ogni azione, ha subito pronta la risposta, sul tipo del relè. Questo non è ancora tutto ed inoltre, indagando la schizofrenia umana, non ci stiamo occupando dell’aspetto patologico, ma di un fenomeno universale. […] Capitolo Sesto SPECULARITÀ E ORGANISMICO 6.1 Questo scritto è una sintesi prospettica di campo per la comprensione specifica del campo semantico come intenzionalità organizzatrice della vita. […] Ciò che inizio a proporre dà la possibilità di proseguire oltre il principio di Gödel e il principio di Heisemberg. […] La scienza ontopsicologica propone una nuova visione su quanto concerne l’indagine scientifica inerente l’uomo e il suo mondo. La sua novità consiste nell’uso razionale del campo semantico. È appunto il campo semantico che permette all’Ontopsicologia la sicurezza d’informazione sulla situazione e sui componenti operativi dell’una o dell’altra soluzione. La conoscenza di questo permette il criterio base ai procedimenti del reale, sia da parte dell’osservatore che da parte dell’osservato. Dal momento-fatto che lo scienziato-uomo è basato su esperienza corporeo-terrestre e si riferisce comunque a problematiche dipendenti o inerenti a tale situazione – nonostante che sperimenti un reale trascendente – ogni processo di oggettivazione può procedere, come operatore storico di conoscenza, solo su coordinate in qualche modo sensorie. Esperienza significa uscire o rinascere da qualcosa in cui si è morti. Ogni conoscenza, circoscritta come fenomeno in spazio-tempo, subisce la misurazione e cioè le varianti del prima e del poi in riferimento ad un qui e adesso. L’Ontopsicologia sceglie come unità di misura l’entità uomo, ciò significa che è una scienza che misura il reale secondo la funzione uomo. Secondo questa funzione si categorizza il reale comunque esso sia. La scelta si fonda sul fatto inevitabile che il reale è reale nella misura e nel modo che tocca l’uomo. Dove e quando l’uomo non è toccato, ogni realtà possibile è irreale per il fatto che non è causale. L’uomo, per metafisica proiezione della propria individuazione, non coglie il nulla, quindi l’uomo, per quanto organismicamente identificato, è l’unità di misura di qualsiasi epistemologia. Da diversi anni mi interessavo alla ricerca del criterio di realtà, ma su tutte le scienze giungevo alla conclusione che in campo specifico Heisemberg (il principio di indeterminazione) e Godël (l’assenza del principio fondante in matematica) avevano già dato. 3 Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 4 Soltanto nell’analisi dell’intuizione einsteiniana circa la relatività riuscii a comprendere che la riduzione ultima doveva trattarsi d’un momento mediatore. Tutto il reale positivo era riducibile a una relazione. La coscienza di questa relazione era la misura esatta per tutte le altre: si trattava dell’unità di campo semantico o quantum esistenziale. Questa unità o quantum in relazione si precisa nella semplicità di uno medio a due. In sostanza la misura è esatta in quanto si apre oltre la costrizione terrestre. Questa unità - o azione in relazione o dinamica prodotta e riferentisi ai propri estremi - consente tranquillamente un sapere ordinato e cioè dà il potere di conoscere le cause in relazione, di variarle, di annullarle, di provocarle. Anche se il raggio operativo è sul concreto materico sensorio, questa unità è rintracciabile nella dinamica psichica (intenzionalità). Dinamica o intenzionalità sono sempre mediazione di due estremi. Verificandosi il fatto che questa scoperta è ancora di troppo in anticipo alle più avanzate conoscenze della fisica nucleare, della fisica quantistica (la teoria onda-corpuscolo vi è prossima), ecc., non è facile codificare o numerare questa unità intenzionale. Questo aspetto, una volta storicizzato in scienza, darebbe un avanzamento di civiltà e di morale pari a un millennio di crescita dell’attuale umano. Per queste difficoltà e per immediatezza operativa, in Ontopsicologia si parla solo di campo semantico, il quale viene usato in tre modi: 1) campo-rete di molteplici inferenze dinamiche tra i diversi centri forza del campo (ipercampo); 2) tratto di attivazione tra due o più estremi; 3) misura energetica differenziata da quante sino ad oggi conosciute, che viene usata sia come differenziazione energetica sia come variabile di una cosante base (per esempio la costante h di Planck). La sicurezza di operazioni applicate è tale da non prevedere eccezioni; ciò è confermato dalla metodologia clinica riscontrata nella psicoterapia in genere ed in particolare di molte somatizzazioni (cisti, ulcere, artrosi, processi cancerosi, ecc.). Questa energia ha la proprietà di generare qualsiasi campo e i relativi punti forza, nonché di variarlo in lunghezze d’onda pressoché infinite. Circa l’80% del pensiero e comportamento umano è basato sulle variabili del campo semantico. Praticamente, conoscere i comportamenti del campo semantico significa prevedere tecnicamente le volizioni del singolo o del gruppo in esame. Attraverso il campo semantico si può variare l’equilibrio elettro-dinamico d’un sistema computeristico, operare sul raggio dell’E.S.P., variare qualsiasi conduzione ondulatoria, interferire tranquillamente negli spazi interattivi del nucleo e cogliere l’energia in anticipo alle proprie particelle elementari. Anche se l’applicazione dell’Ontopsicologia sinora è stata in campo clinico-psicologico, pedagogico, filosofico, artistico, il riscontro ultimo della sua metodologia è proprio delle scienze esatte ed in particolare della fisica. Cioè, il discorso ontopsicologico, per quanto tutt’oggi risulti difficile - nonostante l’evidenza sui riscontri effettivi - risulterebbe ovvio e concreto solo se ridotto alle angolazioni di una fisica più sviluppata sulle premesse che già ha. In sostanza l’Ontopsicologia parla di scienza umanistica, ma è basata solo sui comportamenti base della energia: la materia è un derivato degli spostamenti o stabilità dell’energia. L’Ontopsicologia indaga l’energia in una comprensione di altre conoscenze non esclusive di questo pianeta. Tutto il corpo umano è previsto come un perfetto sincronismo-radar in interazione ondulatoria - sulla tipologia pressoché simile alle onde alfa - ed anche i processi del pensiero non sono altro che visualizzazioni–monitor che segnalano il già precipitato energetico o un calcolo di probabilità sugli accumuli energetici in sviluppo. Con questo non si elimina il problema di fondo della spiritualità dell’uomo, anzi - proprio per definire meglio l’ambito dell’animo - occorre prima conoscere la praxis energetica dell’azioneuomo. 4 Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 5 Purtroppo tanti aspetti di normale competenza fisico-matematica vengono registrati come miracoli, veggenza, profetismo, peccato, salvezza, sentimento, dignità, ecc. L’Ontopsicologia è scienza che provoca alla semplicità del rilievo secondo accorgimenti neutrosperimentali e a riferimenti di variazione energetica. Indispensabile, però, è l’autenticità del ricercatore. C’è scienza esatta solo con strumento e indagine esatti. Autenticità significa che l’uomo scienziato deve possedere se stesso in modo esatto e cioè consapere il totale della propria unità di azione. Per questo l’Ontopsicologia prevede un lungo training per giungere alla comprensione operativa del campo semantico. Essendo questo un’interferenza organizzatrice di sistemi energetici e mentre organizza è rilevabile anche in sé, in quanto è medio in rapporto, ne consegue che la scienza adatta a definirlo e comprenderlo è la fisica, nonostante che i verbalizzati di esso o simboli di significanza possano andare dalla poesia alla psichiatria. Se, per esempio, lo si adatta alla musica, diviene scelta organizzata di segnali capaci di investire e informare i comportamenti nucleo-dinamici delle cellule. La portata operativa del campo semantico richiede tutto l’uomo o anzi il meglio esistenziale dell’uomo, in quanto si avvale di un accettore-sensorio interno che funziona solo se l’uomo è oggetto sano ed integro. In caso contrario, anche l’uomo è oggetto delle conduzioni semantiche. Se altri fisici non sono giunti a questa scoperta lo si deve al fatto di aver scisso la ricerca da una personale completezza di uomo. Come per i rilevatori di energia specifica è indispensabile l’esattezza funzionale dei rilevatori, altrettanto è la legge per l’uomo quando è in ricerca dell’ultimo semplice che forma la propria struttura fisico-mondana. Per ora la conoscenza di tutte le implicanze dell’energia base denominata campo semantico è esperienza continua riuscita di pochi e questi pochi sanno che il campo semantico è per la scienza ufficiale novità avveniristica, ma definibile comunque su parametri fisico-matematici, in quanto tratta di variabili quantiche di energia sempre aperta. La difficoltà al rilevamento dell’energia totale secondo l’unità di misura uomo è determinata dall’interferenza deflessiva della programmazione-computer inserita in anticipo alle sintesi di coscienza. Essendo la coscienza uno strumento dell’umano, l’uomo può verificarlo partendo da fatti e accadimenti che lo anticipano come in sé non fenomenico. 6.2 Specularità e organismico 6.2.1 Senza ripassare tutta la teoresi sui rapporti tra simbolo e azione, mi fermo a puntualizzare la loro distinzione e valenza in riferimento all’organismico-uomo. Qui per simbolo intendo il fuori dell’azione che mi è intima o mi si sta facendo tale. Il simbolo è un riflesso transeunte o ipostatizzato di un’azione (= specificità dinamica del reale) presente o potenziale. Il simbolo è un’effettualità ineliminabile ed intrinseca dell’esistenza posizionata su coordinate spazio-tempo. Stando di fatto in questo ambiente mondano dove le esistenze si distinguono anche per individuazione di proiezione speculare segmentata nell’attimo, si dà il prima e poi d’un continuo. Questo prima e poi, in riferimento alla nostra capacità di identificare per proiezione della nostra individuazione, determina una selezione tematica, la cui matrice resta l’entità uomo. Il simbolo è il fatto naturale dell’azione in situazione spazio-temporale secondo le coordinate di questo sistema mondano, non è inerenza intrinseca dell’unità di azione in sé. Tutti i processi mentali e sensori dell’uomo sono derivati secondari e postumi di un’azione che risulta assente. Tutte le riflessioni di coscienza, le determinazioni dialettiche della logica razionale e matematica, le libere associazioni di fantasia coordinata e persino le concentrazioni di alta meditazione trascendentale o riduttiva non sono altro che cifre, anagrammi, riflessi-starter, schede perforate d’un vasto campo condotto ed equilibrato da un’intelligenza sistemica e computeristica. Il reale uomo-mondo poggia nell’interazione limitata d’un vasto campo fisico congegnato su interazioni pressoché perfette di relé, onde fotoelettriche e vettori stroboscopici. 5 Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 6 Qui per campo intendo uno spazio ipotetico (vuoto geometrico) identificato da una globalità o insieme di tensioni e alterazioni, i cui vettori o corpi sono le effettualità immanenti. Questo campo si autoregola sulla contemporaneità di proporzione di equilibrio (equazione ellittica), proporzione di spostamento o trasloco (equazione parabolica) e di proporzione di quantico di azione (equazione iperbolica). Queste tre leggi sul potenziale, sullo sprigionamento energetico o calore e sul muoversi ondulare consentono al campo l’autonomia di esistenza e il continuo divenire o moto delle proprie sorgenti, i cui sviluppi sono azioni o individuazioni di campo. 6.2.2 L’energia di questo campo è una e ondulare e qualsiasi variazione è coesistente al quantico totale. Dall’effettualità del muoversi accade la discrepanza dinamica, che poi effettua il quantico e da questo la corpuscolarità ordinata (atomica, cellulare, molecolare). Cioè l’energia di questo campo non si disgrega mai nelle proprie variazioni, ma resta sempre monadica e cioè il potere del tutto è intatto in ogni singola parte. Successivamente, data ormai la sperequazione dei diversi quantici individuati dalle intensità ondulari, la coesione dei quantici determina la forza magnetica: i tratti di relazione più intensi all’interno dell’espressione magnetica risaltano come forza elettrica. I passaggi o movimenti (sempre nella contemporaneità attiva degli stadi predetti) dell’espressione elettrica effettuano l’energia termica. La globalità del campo ipotetico si ricicla di continuo attraverso le proprie gradualità espressive di energia ondulare, corpuscolare, magnetica, elettrica e termica. Le variazioni energetiche di questo campo non sono propriamente distinte, ma piuttosto modi specifici relativi al modo propriocettivo dell’uomo. 6.2.3 Questo campo è a sua volta immesso in interazioni di altri campi di portata cosmica, per cui noi possiamo scientificamente cogliere solo un’effettualità di un sincronismo di insiemi. Uno degli insiemi, quale è appunto il nostro campo o ipercampo, noi lo possiamo cogliere in alcuni segmenti, per il fatto che la nostra logica su di esso è basata su spazio e tempo e la nostra vita è ridotta a piccoli e pochi secoli, mentre l’ipercampo respira su dimensioni che contengono come proprio quotidiano l’intero ciclo cosmogonico planetario e stellare. Praticamente noi cogliamo in piatto e cioè su due dimensioni (anche quella di profondità è un traslato delle prime due) e secondo l’ottica di alcuni passi ciò che sussiste con moto perpetuo in pienezza sferica senza confine. L’ipercampo pulsa tutto insieme centro a se stesso, insieme ad altri ipercampi, che consentono le più svariate esistenze e forme energetiche. Il termine che può ridurre l’insieme degli ipercampi è esistenza. Questa parola per me significa l’aspetto totale che si differenzia dal nulla e dall’Essere. Il concetto di nulla è relazione dialettica nell’esistenza, ma che non ha alcuna realtà in sé. L’Essere è talmente concreto da non consentire misurazione alcuna: è atto in sé. Preciso che si dà l’Essere e l’esistenza. L’Essere è l’atto in sé, per sé e con sé; da esso deriva qualsiasi potenziale. L’attuazione di qualsiasi potenziale costituisce l’esistenza. Esistenza significa ente la cui azione gli deriva da fuori di sé: agisce e cioè esiste in quanto è posto da fuori. L’esistenza è l’insieme di molteplici ipercampi. Ciascun ipercampo è un sincronismo di più campi o agglomerati energetici funzionali ad una specificità di individuazioni. Questi campi si definiscono universi. Più universi o insiemi convivono nell’identico ipercampo, senza toccarsi o essere reali o concreti in alcun modo tra loro. Noi infatti conviviamo con altri universi che non saranno mai reali finché siamo sulla tipologia umana, terrestre o di questo cielo planetario. 6.2.4 Ciascun ente può conoscere per quanto è o esiste. In riferimento all’uomo vero, cioè l’uomo che può riflettersi totalmente per quanto esiste e quindi non ha patologie o monitor distorcente, si ha una triplice conoscenza: sensoria, psichica e ontica. Questi modi, quando sono relazione o interazione 6 Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 7 all’Io storico dell’uomo, possono essere percepiti in modo esterocettivo, propriocettivo ed egocettivo, indifferentemente. Quando dico conoscenza, propriamente intendo uno stato di coscienza. Coscienza significa esistere insieme a ciò che agisce o si agisce, significa cogliere qua ciò che si muove là e ciò è il sapere e quindi essere soggetto di ciò che si oggettifica in relazione al qua, dove io sto. La conoscenza sensoria è la capacità o atto misurante il quanto di accadimento in tutto ciò che è l’interazione del campo o universo. La conoscenza psichica è l’atto o riflesso misurante il quanto di accadimento in tutto ciò che è l’ipercampo. La conoscenza o coscienza ontica è l’apertura consumata nell’in sé dell’Essere. Da questo stato, il quanto di esistenza è previsto solo come potenziale di un atto che può riferirsi ad extra o meno. Per comprendere questo passaggio, posso portare l’esempio di me quando segno o non segno, pur sapendo. Cioè, io so e posso disegnare un volto; che io disegni il volto sulla carta o non lo disegni, il volto che so non aumenta né diminuisce in rapporto a quanto lo so; lo stesso accade se dico o non dico una parola. In rapporto all’Essere in sé, ogni esistenza è simbolo, un segno. «Io disegno ciò che non sono, ma ciò che disegno sembra a me che sono». Questo è l’asserto categorico che l’Essere può nei confronti di qualsiasi esistenza e l’esistenza, vista da sé, non esiste, ma vista da dove l’Essere è, sembra, appare ed è storia del fenomeno. L’In Sé dell’Essere costituisce la fenomenicità dei campi e degli ipercampi e solo da sé si sostanzia il fenomeno. L’esistenza non è reale in sé, ma è noumenica solo nella misura di quanto sembra all’In Sé dell’Essere. La specularità è la proiezione che il reale può fare di sé senza minimamente perdersi o diminuirsi. Quando mi rifletto su uno specchio o rifletto su una parola o segno un mio modo di essere o esistere o mi rifletto su un fittizio me che chiamo coscienza, io non faccio altro che usare le capacità di proiezione insite nel mio reale. La specularità va insieme col reale, è potenziale nell’Essere, è di necessità a qualsiasi costituirsi dell’esistenziale. È necessaria proprio perché nasce essenzialmente dal potenziale intrinseco all’Essere di riflettersi ad extra o meno. Questa necessità resta intrinseca all’esistenza, dalla forma intelligente - come i pensieri, i ragionamenti, le fantasie speculative, ecc. - alla forma più spenta della materia. La specularità è l’inevitabile dell’esistenza e costituisce il simbolo in tutte le sue implicanze e conseguenze. Una volta stabilita la specularità, questa diventa la sagoma di struttura o formale dell’organizzato (materia nelle proprie specificità nucleari e chimiche) e dell’organismico (insieme materico-cellulare e biopsichico). […] Nell’esistenza il simbolo è inscindibile dall’intenzionalità del reale. L’organismico è semplice intenzionalità d’un reale individuato. La specularità è il potenziale aperto a infinite individuazioni e ogni individuazione si significa all’altra attraverso simbolo. Il simbolo è la specificità formale della specularità esistenziale. 6.2.5 La specularità (da speculum = specchio) significa anteprimum in distans immediato e localizza per un individuato la presenza d’un concreto o reale in azione, quindi dà la presenza d’un significante alle mie individuazioni o specificazioni replicanti l’esistenza. Non si dà il reale qualunque, ma un reale specificato, più o meno coordinabile al mio reale. Ogni reale esistenziale è azione in rapporto, è cioè sempre relazione. Soprattutto nell’esistenza dell’uomo terrestre, che è un replicante di vita più presente e cosciente altrove (cioè l’umanità con tutto il suo fatto è un prodotto d’intelligenza superiore – ma non del tutto diversa – presente e operante in un altro campo o universo dello stesso ipercampo), tutti i rapporti vitali sono coordinati da interazioni formalizzate in 7 Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 8 anticipo da sagome speculari, che annunciano la presenza coinvolgente di un’azione metabolica. I due diverranno inesorabilmente uno, un terzo che sarà gli estremi precedenti e la coscienza risultante sarà di progresso per entrambi. Nell’identità del terzo i primi due s’inverano uno con identità storica. Quindi è la stessa specularità1 a costituire l’annuncio di reciprocità esistenziale per meglio precisare anche la relazione d’interazione. Quando incontro l’amico, lo vedo prima ed inizia in me un processo d’uniformazione. Se incontro un opposto, mi modulo per un congruo deviamento o superamento. Praticamente, ciascuna individuazione agisce non tanto per il reale che è, ma piuttosto per gli schemi delle specularità specificate, o meglio, ciascuna agisce o reagisce secondo la programmazione delle immagini precostituite dal proprio codice base di comportamento. Il DNA biologico è piuttosto il risultato d’una specificazione speculare. Chi riesce a decodificare i sistemi di immagini programmate secondo il ponderabile speculare, ha in mano i codici base della costituzione delle particelle elementari della materia e delle unità spaziali del cervello umano. I comportamenti dei moduli elementari e delle unità spaziali basate sulle colonne radiali (Eccles) sono innanzitutto basi sistemiche come i chip nell’elettronica, ma tutti preorientati da proiezioni speculari, direzionate e composte da intelligenze operanti su un altro campo superiore a quello umano. Il nostro mondo, per quanto duro e spietato, per chi ne scopre le ragioni ultime, è un mondo di immagini o di accadimenti televisivi. Con questo non bisogna cadere nell’esasperazione: «Se siamo macchine, perché intendere la vita?» L’In Sé eterno dell’uomo può essere storicizzato su un pupazzo di fango, su un agglomerato di carbonio e silicio, su un meccanismo computeristico e su un formalizzato caleidoscopico di immagini. Il fatto di essere dei replicanti, cioè delle copie previste dagli studi applicati per predisporre modi nuovi per intelligenze prime, non ci deve meravigliare. Continuamente le nostre mani, i nostri piedi, i nostri fatti, le nostre guerre, le nostre ricerche, i nostri amori, ecc., sono riconosciute fasi dialettiche per una pace di azione spirituale e felice del nostro superiore pensiero. Se invece noi siamo prodotti replicanti altre intelligenze per stati di allargamento della vita, non deve sorprenderci, ciò che conta è giungere all’atto ultimo e questo è vero e possibile per chiunque può porsi il problema. Chi non si pone il problema di essere o non essere, non ha peso per fare diritto di trascendenza, in quanto - essendo privo di potenziale - è già arrivato al posto che comunque lo pone. Dunque tutti i nostri sistemi di conoscenza sono basati da interazioni speculari più che da spostamenti di concreti quantici e questi sono comunque secondari e dipendenti da quelli. I passaggi razionali, le associazioni intuitive, i raccordi neurosinaptici, le illazioni poetiche o trasporti artistici, le rivelazioni mistiche, le riduzioni ultime o epoché trascendentali, sono sempre riferimenti a specularità codificate, che vanno da un fatto periferico o terminale a un monitor sempre più centralizzato. […] Ho detto che tutti i processi di conoscenza sono interazioni di varia specularità e tutte sono operative secondo l’analogia del campo elettronico come relé, cellula fotoelettrica, monitor, effetto stroboscopico. Riporto qui di seguito come intendo questi meccanismi e secondo questo intendimento vanno poi applicati alla comprensione dei nostri modelli conoscitivi. 1 Matrice del reale, del simbolo e del formale: formale è il prima del concreto o reale individuato, il simbolo è a posteriori del concreto. 8 Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 9 6.2.7 Funzionamento del relé Il relé è un dispositivo attraverso il quale si rende possibile l’attivazione o la disattivazione, più in generale la modificazione, di circuiti che, per la loro dipendenza dal dispositivo stesso, definiremo circuiti condizionati. In essenza, il relé si compone di un circuito di eccitazione o primario, predisposto a ricevere un segnale di comando esterno, quale un potenziale elettrico, e di un circuito di attuazione o secondario, che propriamente interviene sui circuiti condizionati, operandone modificazioni. Il circuito primario ed il secondario sono fisicamente separati, tuttavia esiste tra i due una precisa relazione: il circuito secondario risponde in modo univoco agli eventi del circuito primario; più in generale diremo che esiste una relazione diretta tra il potenziale elettrico in ingresso ed il cambiamento di figurazione dei circuiti condizionati, relazione che si stabilisce attraverso la mediazione del relé. Va inoltre detto che il processo di commutazione è tale per cui il sistema secondario effettua le modificazioni circuitali, ma non conosce le cause primarie che le determinano. Il principio di funzionamento dei dispositivi di scatto si basa su una serie di trasformazioni energetiche: nel caso del relé elettromeccanico il potenziale elettrico applicato in ingresso si traduce in campo magnetico, le cui forze sono in grado di spostare una serie di lamine metalliche, cui fanno capo i circuiti condizionati. In conseguenza di tale azione meccanica, si realizza la chiusura e l’apertura di tutta una serie di contatti, stabilite secondo un criterio predeterminato. È proprio lo stabilirsi di queste nuove e diverse connessioni che altera la configurazione originaria dei circuiti stessi e di conseguenza il loro modo di funzionamento. Questi contatti sono stabilmente inseriti nei circuiti condizionati, benché la loro presenza, nelle condizioni di non-operatività del relé, può non alterarne il funzionamento, anzi - se strategicamente disposti - essi possono apparire come costituenti, cioè come elementi di continuità dei circuiti stessi; in realtà, all’atto dello scatto, essi operano complesse modificazioni circuitali, che rispondono ad uno schema già preordinato. Contrariamente ad altri dispositivi, il relé non risponde linearmente a variazioni crescenti (o decrescenti) del potenziale elettrico in ingresso, ma agisce secondo la caratteristica tutto o niente (on/off): quando il potenziale è al di sopra di una certa soglia - specifica per i diversi tipi - la corrispondente eccitazione del circuito primario produce lo scatto, o meglio, il cambiamento di stato del relé (ad es., da on a off o viceversa), invece per valori inferiori alla soglia il dispositivo rimane inerte. Mentre per alcuni tipi di relé il cambiamento di stato è legato al mantenimento delle condizioniinput che l’hanno determinato, pena il ritorno allo stato precedente appena tali condizioni vengano a mancare, considerazioni diverse debbono essere fatte per i relé che rispondono a segnali di tipo impulsivo. Per impulso si intende un segnale elettrico il cui livello varia in senso crescente, raggiunge un massimo, per poi decrescere fino a raggiungere il valore di partenza; queste variazioni si succedono in un intervallo di tempo generalmente abbastanza piccolo, che può andare da alcuni decimi di secondo fino ad alcuni milionesimi. Questi segnali prendono il nome di trigger in quanto capaci di innescare processi più ampi, sincronizzando questi ultimi sulla loro cadenza caratteristica. A tale proposito esistono dei relé, detti stabili, che sono in grado di cambiare stato quando un impulso di trigger viene inviato al loro ingresso e di mantenere indefinitamente tale stato anche quando l’impulso stesso sia terminato; il ripristino delle condizioni iniziali è consentito solo tramite la somministrazione di un nuovo impulso di caratteristiche identiche al precedente; ciò implica che in tali dispositivi non esiste in effetti una corrispondenza immediata, se si eccettua l’istante di scatto, che consenta di individuare la relazione causa-effetto. Questa specificità di funzionamento può essere ampliata realizzando dei relé in grado si scattare solo in presenza di un determinato segnale codice, costruito secondo una combinazione di impulsi, che vengono sequenzialmente (o contemporaneamente) inviati all’ingresso del dispositivo (ad es., i selettori delle centrali 9 Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 10 telefoniche). Più è elevato il numero dei codici usati, cioè il numero di variabili impiegate per costruire tale combinazione, più il relé risulterà immune da eventuali interferenze dovute ad altri segnali. Tale capacità di selezione implica che il relè deve essere dotato di una serie di dispositivi-filtro, opportunamente predisposti, che consentono di scomporre l’informazione in arrivo nelle varie componenti, al fine di valutarne la conformità che, se confermata, attua il cambiamento di stato del relé. Le moderne tecnologie consentono la costruzione di relé a stato solido, che vengono realizzati con materiali semiconduttori. In questi il convenzionale processo di scatto elettromeccanico è sostituito da modificazioni della struttura del materiale che avvengono a livello atomico e molecolare. È la presenza del potenziale elettrico in ingresso che determina, attraverso i consueti passaggi energetici, tali cambiamenti strutturali, che si traducono, in definitiva, in equivalenti funzioni di commutazione dei circuiti condizionati. Per esempio, adottando dei materiali caratterizzati da legami molecolari stabili, quali i legami covalenti, è possibile impedire la circolazione di elettroni liberi entro il materiale; in altri termini, la struttura risulta possedere una elevatissima resistenza specifica e quindi può considerarsi isolante (contatto di relé aperto). L’applicazione del potenziale determina un campo elettronico, le cui forze interagiscono con la struttura atomica, modificandola di conseguenza; ciò comporta la rottura dei legami covalenti, con la conseguenza del libero fluire di elettroni e bassa resistenza specifica del materiale (contatto di relé chiuso). Tra le caratteristiche più importanti del relé, va citata la sua capacità di risposta a variazioni rapide del segnale di ingresso, cioè la rapidità con cui il dispositivo è in grado di cambiare di stato, in sincronismo con le variazioni del segnale di ingresso. Questa caratteristica per i relé convenzionali è limitata a pochi cicli al secondo, superato tale margine le inerzie meccaniche delle lamine impediscono al dispositivo di seguire sincronicamente gli eventi del segnale di ingresso. L’impiego di relé a stato solido ha permesso di superare questo problema. In essi infatti, essendo assenti inerzie di tipo meccanico, l’unica limitazione è rappresentata dal tempo di polarizzazione/depolarizzazione delle strutture atomiche; tale limite consente comunque di rispondere agevolmente a variazioni superiori al milione di cicli al secondo. Caratteristica propria di alcune classi di relé è lo scatto ritardato: l’applicazione del segnale di comando non determina il subitaneo cambiamento di stato, lo scatto avviene dopo un po’ di tempo, che può essere precedentemente calcolato e regolato: è questo il caso dei dispositivi denominati temporizzatori, in cui il trigger iniziale avvia un processo latente, che si concretizza nella commutazione dopo un preciso intervallo di tempo. Concludendo, possiamo dire che l’utilizzazione combinata di relé aventi caratteristiche diverse consente di modificare il criterio di operatività di reti e circuiti altamente complessi, legando questo insieme di cambiamenti alla presenza di un unico segnale di ingresso, opportunamente codificato. 6.2.8 Funzionamento della cellula fotoelettrica L’effetto fotoelettrico è uno degli infiniti modi di trasformazione dell’energia; in esso la traduzione dell’energia luminosa in energia elettrica avviene per mezzo di elementi chiamati cellule fotoelettriche. Tali cellule fotoelettriche sono costituite da particolari materiali fotosensibili, quali il selenio o i semiconduttori (questi ultimi usati anche nella costruzione di transistori e circuiti integrati), materiali cioè che, se colpiti da una radiazione luminosa, cambiano le proprie caratteristiche a livello di struttura atomica e molecolare e sono conseguentemente in grado di generare un potenziale di tipo elettrico oppure di variare la propria resistenza specifica al passaggio di una corrente elettrica. Tale processo a livello atomico può così essere sintetizzato: i quanti di energia luminosa, i fotoni, sono in grado di liberare elettroni dal vincolo attrattivo esercitato dal nucleo. Ciò è dovuto ad una trasformazione energetica intermedia: il quanto di energia luminosa si traduce in energia 10 Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 11 meccanica capace di vincere la forza di attrazione che tiene legati gli elettroni al nucleo degli atomi costituenti le molecole. Mentre risulta abbastanza agibile liberare gli elettroni delle orbite più esterne, fornendo limitati quanti fotonici, tale azione sulle orbite più interne richiede grandi energie, a causa della progressione geometrica con cui aumenta la forza attrattiva esercitata dal nucleo. Come conseguenza di tali processi, si determina una modificazione dei rapporti di interazione ed equilibrio nell’atomo, mentre gli elettroni liberati concorrono alla formazione del potenziale elettrico di cui già accennato. Si dà quindi una corrispondenza univoca tra il quanto di energia luminosa che colpisce la cellula e l’intensità del segnale di tipo elettrico che si produce in uscita, nel senso che esiste un rapporto di proporzionalità - almeno entro un certo campo - tra l’intensità della radiazione luminosa incidente e la tensione o corrente che si determina. In tal modo, attraverso la lettura di questa tensione, si è in grado di determinare l’intensità luminosa ed apprezzarne le variazioni (ad es., gli esposimetri delle macchine fotografiche). Le cellule fotoelettriche possono essere anche usate per realizzare dei circuiti di soglia o a scatto nei quali, quando il livello di intensità luce raggiunge un determinato valore, la corrispondente tensione indotta (che funziona quindi da trigger) può attivare tutta una serie di circuiti elettrici a valle (relé, ecc.). Più in generale, potremmo dire che è possibile trasmettere dei messaggi codificati secondo variazioni rapide dell’energia luminosa e riceverli sotto forma di segnali elettrici in identica sequenza; tutto ciò senza che l’occhio umano possa minimamente percepire tali veloci variazioni, anche guardando direttamente la sorgente luminosa e questo a causa delle limitazioni dovute alla persistenza retinica ed alle basse velocità di trasmissione lungo le vie nervose. Si pensi infatti che la massima velocità di variazione della luce percepita dall’occhio umano non raggiunge i dieci cicli al secondo, mentre oggi, con le moderne tecnologie, si possono trasmettere messaggi ottici fino ad 80 milioni di informazioni al secondo (sorgenti laser e guide ottiche). A questo va aggiunto che esistono tipi di cellule fotoelettriche che sono sensibili solamente ad una limitata porzione dello spettro ottico (infrarosso, ultravioletto, ecc.), per cui soltanto un fotone di quella particolare lunghezza d’onda sarà in grado di eccitare la cellula, che peraltro resterà immune da qualsiasi altro segnale ottico di differente lunghezza d’onda. 6.2.9 Funzionamento del monitor Il monitor è un dispositivo attraverso il quale si rende possibile la presentazione visiva di un’immagine, precedentemente trasposta in segnale elettrico, per esempio attraverso una telecamera da ripresa. Sia il monitor che la telecamera basano il loro principio di funzionamento su dispositivi, quali fotoemettitori e cellule fotoelettriche, di cui abbiamo già parlato. Il monitor si compone, in essenza, di una (o più) sorgente fotoemittente, di un sistema di deflessione, di uno schermo. La sorgente luminosa irradia un fascio di luce molto concentrato, chiamato pennello elettronico, del diametro inferiore al millimetro, che si proietta su uno schermo, dotato di fosfori particolari. Il quanto di energia luminosa, propria del fascio, attraverso i consueti passaggi di trasformazione energetica, attiva i fosfori; ne consegue che il punto luminoso ottenuto sullo schermo è la proiezione ottica del fascio medesimo. Il dispositivo fotoemettitore viene modulato direttamente dal potenziale elettrico variabile, che è trasposizione dell’immagine ripresa. Esiste una relazione lineare tra intensità del segnale ed intensità della radiazione luminosa: la variazione del segnale da zero al suo massimo, passando per valori intermedi, determina variazioni di tonalità dal nero al bianco, attraverso l’intera gamma dei grigi, del punto luminoso. Un sistema di deflessione consente inoltre di spostare il ristretto fascio luminoso, onde il suo punto-proiezione possa essere direzionato in ogni punto dello schermo. Vediamo più in dettaglio come il meccanismo di deflessione si attua. Il fascio di luce emesso dalla sorgente, prima di giungere allo schermo, attraversa una serie di elettrodi collegati a potenziali elettrici, che variano 11 Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 12 secondo una certa legge. I campi elettrici che si stabiliscono hanno un’intensità che varia in sincronismo col potenziale che li determina; le forze di tali campi interagiscono con la struttura corpuscolare del fascio di luce: i corpuscoli hanno proprie velocità e propria direzione; ora, poiché le vettorialità del campo elettrico perturbante e dei corpuscoli non sono coincidenti, si determina una risultante che costringe il fascio luminoso a deflettere dal proprio percorso naturale. La quantità di non coincidenza tra i due è proprio l’ammontare della deflessione, quantità che cambia in ragione della legge di variazione del potenziale elettrico generante il campo di forze. Per poter raggiungere qualsiasi punto dello schermo, il fascetto è soggetto a due deflessioni, orientate secondo gli assi cartesiani, un sistema di sincronismo tra le due consente il movimento del punto per righe orizzontali, che si succedono verticalmente dall’alto verso il basso. Sincronizzando ora la variabile intensità luminosa della sorgente con la quantità di deflessione, è possibile ricostruire un’immagine, che altro non è che un insieme discontinuo di punti, o meglio dello stesso punto luminoso, che assume posizioni e tonalità diverse nello stesso tempo. Questa ricostruzione si rende possibile a causa dei limiti del sistema visivo: la elevata persistenza retinica, la ridotta acutezza visiva, le leggi gestaltiche, secondo le quali il sistema percettivo e di analisi opera, danno globalmente di questo insieme segmentato un’immagine definita. In altre parole, è il codificato del segnale in ingresso, agente sulla sorgente, che disegna l’immagine, essendo stabilito quale intensità luminosa il punto deve assumere, per ogni posizione sullo schermo. Più complesso è il discorso per le immagini a colori, ove il segnale contiene informazioni riferite alle tre componenti fondamentali di colore: rosso, giallo, blu. La tonalità (crominanza) e la intensità (luminanza) di colore per ogni punto-proiezione dello schermo è stabilita come mediazione e sommazione delle radiazioni emesse da tre distinte sorgenti luminose, irradianti rispettivamente sulle lunghezze d’onda fondamentali. Il movimento dell’immagine è dato come successione veloce di quadri. Finché la tessitura di un quadro non è completa, cioè l’intero schermo non è stato esplorato dal punto, l’immagine rimane per così dire congelata; al suo completamento inizierà una nuova tessitura, che avrà distribuzione diversa delle tonalità assunte spazialmente dal punto. Poiché questo intercalarsi avviene con una velocità dell’ordine della frazione di secondo, per i limiti del sistema ottico, anziché una fluttuazione di quadri che si succedono, si percepirà un’immagine in movimento. 6.2.10 Effetto stroboscopico La trasmissione dei segnali ottici viene realizzata per mezzo di dispositivi chiamati fotoemettitori. Tali elementi, se eccitati da un segnale elettrico, generalmente un potenziale elettrico, sono in grado di emettere radiazioni luminose di specifica intensità e lunghezza d’onda. Il processo si attua attraverso una serie di trasformazioni energetiche intermedie, che implicano modificazioni della struttura dei materiali a livello molecolare ed atomico. L’applicazione del potenziale elettrico a questi dispositivi ha come conseguenza diretta la creazione di un campo elettrico le cui forze, interagendo, modificano i rapporti di equilibrio all’interno dell’atomo. Più in particolare, diremo che esiste un vincolo attrattivo specifico tra nucleo e gli elettroni ordinati sulle varie orbite; tale relazione impegna un certo quanto di energia (potenziale). Le forze del campo elettrico, che si traducono in energia meccanica avente propria vettorialità, sono capaci di neutralizzare tali vincoli, estraendo gli elettroni o facendoli saltare su un’orbita contigua; come conseguenza, l’energia precedentemente impegnata, è costretta a trasformarsi in quanto fotonico, nel rispetto del principio di conservazione. È chiaro che agli elettroni delle orbite più interne competono quanti di energia maggiori, ma è pur vero che la loro liberazione richiede campi elettrici di grande intensità (milioni di elettronvolt), che sono difficilmente raggiungibili. Se ora il potenziale elettrico applicato, anziché risultare costante, varia nel tempo secondo una legge definita (segnale codificato), anche il campo elettrico ed i relativi processi intermedi sopra 12 Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 13 descritti risponderanno sincronicamente; in altre parole sarà possibile modulare l’energia luminosa, emessa dalla sorgente, in funzione della variabilità del potenziale elettrico applicato. Diversi possono essere i tipi di modulazione: parliamo di modulazione di ampiezza quando esiste una correlazione lineare tra le intensità del segnale codificato e della radiazione luminosa, di modulazione di frequenza quando la correlazione esiste tra intensità del segnale elettrico e lunghezza d’onda della radiazione emessa. Va inoltre detto che questi tipi di modulazione possono essere entrambi presenti ed operati in tempi diversi o contemporaneamente. Nel processo di modulazione la condizione di riposo implica la presenza di un potenziale elettrico costante, che determina un’emissione ottica a parametri costanti (intensità e lunghezza d’onda); questo segnale, per così dire a riposo, è detto portante, essendo il mezzo base attraverso il quale si propaga l’informazione sovraimposta. In definitiva, quindi, il messaggio codificato non è il potenziale elettrico in se stesso, quanto la sua variazione temporale e spaziale. Peraltro questi tipi di modulazione consentono di trasmettere messaggi ottici di limitato contenuto informativo ed inoltre sono sensibili alle interferenze dovute al mezzo attraverso cui si propaga la radiazione luminosa (rumore, diffrazione, riflessione, ecc.) le quali introducono un’alterazione del segnale modulante, alterazione che è tanto più consistente quanto maggiore è la quantità di informazioni trasmesse. Le moderne tecniche si avvalgono di dispositivi che sono immuni alle interferenze e che consentono quindi la trasmissione di grandi quantità di informazioni con un tasso di errore trascurabile. Ciò si rende possibile trasmettendo contemporaneamente o sequenzialmente più segnali modulanti del tipo tutto o niente (on/off); l’informazione è allora trasmessa come combinazione di questi segnali, combinazione che si muta continuamente ad alta velocità (decine di milioni di volte al secondo) seguendo il codificato presente in ingresso. In ogni caso la decodifica al terminale ricevente avviene soltanto se esso è stato preventivamente predisposto a riconoscere la codifica che modula la radiazione luminosa. Questo implica che tutte le strutture intermedie non conoscono il reale significato del messaggio in transito, ma percepiscono semplicemente un insieme di variazioni su cui si sincronizzano. Come già visto, la traduzione del messaggio codice in segnale ottico avviene attraverso una modificazione sincrona della struttura molecolare ed atomica dell’elemento fotoemittente. Esistono però dei limiti alla velocità di polarizzazione/depolarizzazione, oltre i quali l’elemento non risponde più ed introduce delle distorsioni, che deteriorano la qualità del segnale. Questo limite di risposta è quello che, in sostanza, differenzia i vari dispositivi: a seconda dell’impiego avremo quindi dispositivi a bassa velocità - con risposta e quantità di informazioni trasmissibili limitate - e quelli ad alta velocità, ove i parametri sopra indicati raggiungono valori notevoli. Limitandomi a questi estremi tecnici (tecnica = artificio del fare meccanico e quindi impostazione di azione forma o di azione vita su fissazione di correlati: messi insieme secondo un modo alcuni estremi, si produce la ripetizione di un’azione, quindi l’azione replica se stessa come stereotipo), è facile ridurli alla proporzione di un riflesso neuronico (molto più piccolo d’un chip elettronico), per comprendere la possibilità d’inserire monitor di deflessione (all’interno della corteccia cerebrale-ponte di Varolio, della tromba di Eustachio, di un emisfero) e proprio sulla soglia o membrana di particolari neuro-cellule, preposte alla mediazione ultima della propriocettività. 6.2.11 La conoscenza sulla fisica fondamentale è carente dell’energia-forma. Per energia-forma indico il complesso di vettorialità di cui quanti, corpuscoli, fotoni, ecc. non sono altro che gli effetti o precipitati, che determinano le formazioni materiche rilevabili dai sensori secondari o sensi esterni delle nostre capacità analitiche. 13 Il mediatore di campo e il sistema riflesso ♦ 14 Tutte le cosiddette particelle elementari sono sempre accompagnate, subcondotte e plasmate da onde associate, la cui azione ci risulta vuota. La particella è simbolo proprio perché va insieme ad altro, che ne è il costituente. L’energia-forma è il primo accadimento storico della specularità. La specificità dell’energiaforma costituisce il campo delle interazioni intenzionali e cioè i campi vettori della psichicità o attività psichica. L’In Sé è un’altra cosa: la psiche è energia-forma e si attiva in e al di là di qualsiasi particella elementare. L’unità specifica di un complesso di energia-forma costituisce la tipologia di un evento esistenziale (evento è un’azione-vita) o universo ambiente che, per esempio, per noi umani può corrispondere a tutto ciò che noi possiamo conoscere scientificamente. Il perimetro del nostro universo, quindi di uno dei campi dell’ipercampo, è esattamente dato dal potenziale di quanto noi possiamo ponderare nel serio senso di positività scientifica. Il complesso dell’energia-forma, che poi in fisica fondamentale può corrispondere a campi di onde associate, con ponderabilità a rilevanza zero, è ciò che io propriamente definisco campi semantici ed è proprio grazie a questi che conosco senza parametri di spazio e di tempo i reali di energia-forma. 14