38. Matrimoni gay

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38. Matrimoni gay
De Marco P., Apparizioni quotidiane. Il nostro conflitto con i segni degli altri
pp. 252, € 14,00, ISBN 88-89264-56-X
Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2005
38. Matrimoni gay1
La lettura che postula l’irreversibilità di un processo ha, anzitutto, il difetto di ignorare la
varietà di ciò che è in corso, e specialmente di sottovalutare/escludere la tendenzialità di ciò
che si oppone alle (spesso solo presunte e sperate) tendenze dominanti. La frustrazione eticopolitica dell’intelligencija (così frequente negli ultimi decenni) nasce dall’incapacità di
considerare vitali, dotate di senso e futuro le scelte divergenti o contrapposte a quelle presunte
dominanti. Così il ‘riemergere’ di figure storiche date per sconfitte produce deprecazione, ma
raramente analisi (e se analisi, solo patologica).
Cosa valgono queste premesse per il nostro argomento? Sia per gli aspetti che abbiamo
chiamato simbolici (coppia umana, bisessualità, matrimonio e famiglia), sia per quelli
bioculturali e socio-giuridico-istituzionali (oltre l’orizzonte delle sociologie e dei diritti della
famiglia), l’esame dei processi di trasformazione caratterizzati dall’atteggiamento non-critico
di riconoscimento (di legittimità, desiderabilità, innocuità) sono manchevoli. La perdita del
differenziale simbolico è perdita di capacità di identificazione, eminentemente culturale. La
coppia umana bisessuale è radicalmente distinta dalla coppia di eguali (amicizia, sodalitas),
funzionalmente e cosmologicamente (=posizione nell’insieme).
Nell’ordine del simbolico è vero che la coppia di eguali e, se non infeconda (lo è in sé
per l’aspetto procreativo), comunque ordinata alla elaborazione del “doppio”, della iterazione
o replicazione. La dimensione ‘feconda’ della coppia di (sessualmente) eguali è l’amicizia.
Che questo possa includere la relazione (omo)sessuale è noto; ma l’alterità rispetto alla
coppia bisessuale-coniugale è nitidissima. Insistere sulla storicità delle differenze di genere
non sposta l’evidenza, la rende anzi più cogente. Solo una immaginaria coppia fertile
costituita da individui bisessuati (v. Le Guin) potrebbe rientrare nella categoria (in sé
infertile) delle coppie di eguali.
La matrirnonializzazione della coppia omosessuale suppone, invece, e sembra perseguire
anche culturalmente (ad es. nelle istanze di Scalise e della Battaglia), una piena parità di
funzioni con la coppia eterosessuale. Funzioni simboliche, funzioni riproduttive e di
parentalità-socializzazione. In effetti tutto questo non può che avvenire con integrazioni e
supplenze eterologhe (in senso ampio) in ordine al biologico come al culturale. Non solo lo
sperma o gli ovuli mancanti entro la coppia, ma la figura materna o paterna mancanti, saranno
(per usare analogicamente il termine, assai efficace) eterologhi, cioè provvisti dall’esterno
della coppia. Non solo si potrà/dovrà ricorrere (biologicamente) a madri surrogate ma
(educativamente) a figure materne o paterne surrogate.
La dimensione eterologa contrassegna dunque (e questo avviene già, per le coppie gay
americane sposate) la dimensione omologa della omosessualità, come - simmetricamente –
l’omologo (nella dimensione riproduttiva) contrassegna la eterosessualità della coppia umana
universale.
In tale prospettiva pleniore la famiglia di omosessuali diviene una complessa macchina
riproduttiva e socializzatrice, costruita attorno a due eguali, che impiega più soggetti
(strumentali, ad es. il donatore di sperma, o funzionali, il sostituto della figura paterna) per
identificarsi alla famiglia eterosessuale.
Per l’aspetto strettamente procreativo, molto rilevante, questa coppia si avvicina alla
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Appunto redatto in occasione di un intervento ad Otto e Mezzo del 28 febbraio 2004.
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coppia eterosessuale infeconda; ha bisogno delle stesse supplenze e surrogazioni. Si potrebbe
aggiungere che ricade nelle stesse difficoltà e nelle contraddizioni del “figlio ad ogni costo”,
con la aggravante che una sodalitas omofilica trasformata in “famiglia” deriva da questo dalla istanza di identificazione piena alla famiglia ‘naturale’ universale - un desiderio di prole
ancora più artificiale e astratto.
Consuntivamente si può sottolineare: 1. il plesso critico istituzione matrimoniale-implicazioni
biogenetiche (etiche) delle famiglie omosessuali come famiglie intrinsecamente artificiali, e
la istituzionalizzazione di questa formula neo-familiare; 2. la convergenza distruttiva (nei
confronti dell’istituto familiare) dei profili di libertà dal genere con le conseguenze di
declassamento-rifiuto della maternità nelle culture femministe, e dei profili di paternitàmaternità (artificiale) prefigurati dalla cultura omosessuale; 3. la rilevanza per le generazioni
future di questa katastrofé nella storia della famiglia; 4. l’impraticabilità dell’astratta
autonomia dei giudici nel regolare la tensione tra istituzioni, culture e istanze/diritti,
presente/futuro antropologico, già ora indotta dalle decisioni di alcune amministrazioni
americane.
Ma perché l’attenzione al fenomeno appare attratta solo da cronaca e colore? Lo spazio
delle culture e dei mores è rimasto l’unico per cui valga ancora nell’opinione pubblica
‘qualificata’ il principio del fatto compiuto. Non è una distrazione, s’intende, e prevede delle
eccezioni; il fatto compiuto per essere accolto come irreversibile deve corrispondere a profili
di ‘‘incremento di libertà”. Ma, fondamentalmente, i mores paiono esonerati dagli orizzonti
della Società del rischio come dalle competenze del Principio responsabilità.
Il senso comune, per cui “ormai le cose stanno così”, ha anche un alleato nella fallacia (in
senso propriamente logico) di cui le scienze sociali si compiacciono. In ordine ai processi di
trasformazione dei costumi tendiamo a stilizzare i fenomeni in termini di destino, anzi ancora
a presentarli in termini di progresso (comunque di risultati desiderabili). Sennonché senso
comune e saperi particolari, muovendosi così, costituiscono un ostacolo all’analisi e alla
prognosi. Non si ottengono profili conoscitivi adeguati maneggiando pregiudizialmente i
fenomeni come necessari (o comunque inevitabili) e tendenzialmente buoni in sé, poiché la
connotazione soddisfa in anticipo le ragioni della ricerca e la descrizione diviene modello di
un dover-essere (o non poter non-essere).
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