DA TIFOSI DIVENNERO BOIA DA MILITARI

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DA TIFOSI DIVENNERO BOIA DA MILITARI
«Ražnatović è Arkan. Chiamato “il purificatore”. Nella foto, ben fatta, appare sano e felice,
con un ampio sorriso sulla faccia da porco. So quanto gli piace avere a che fare con i media, soprattutto
in Occidente, nella tana dei suoi nemici», da Aquile e angeli, di Juli Zeh, Fazi Editore, 2005
da tifosi divennero boia
da militari tornarono ultrà
I tifosi serbi furono organizzati come una milizia per esasperare il nazionalismo: dal 1991 al 1995 le Tigri di Arkan
uccisero centinaia di bosniaci. Oggi gli ultrà slavi esibiscono ancora i simboli cetnici. E scatenano l’odio alle partite
di diego mariottini - L’Europeo n. 5, 2011
S
ono migliaia, e i loro sono atti di guerra. Gli ultrà serbi fanno dell’orgoglio patrio una bandiera
e del calcio un pretesto per ribadire che contro la
forza la ragione non vale. Buona parte dell’opinione pubblica italiana fa la conoscenza dei tifosi
slavi soltanto il 12 ottobre del 2010, quando Italia e Serbia
si affrontano a Genova per le qualificazioni ai Campionati europei 2012. La cronaca non è più quella di una partita
ma di una “serata di ordinaria follia collettiva” (degli ultrà
serbi, fortunatamente non imitati da altrettanti italiani o
dalla stessa polizia), che impedisce alla manifestazione il
suo regolare svolgimento. (Ivan Bogdanov, che ha guidato
la rivolta degli ultrà, l’8 marzo 2011 è stato condannato dal
tribunale di Genova a tre anni e tre mesi di reclusione; Nicola Kličović a tre anni, Danijel Janjić a due anni e otto mesi e
Srđan Jovetić a due anni e sei mesi. Resteranno in Italia per
scontare la pena, dopodiché verranno espulsi, ndr). Ciò che
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si vede a Genova è soltanto il più recente atto di un processo
che ha origini lontane e che si rifà al fenomeno hooligans a
livello internazionale. Ma con una differenza: in Serbia essere un ultrà della Stella Rossa, del Partizan o della Nazionale,
si ammanta di altri significati. Il fenomeno ha origine nel periodo che precede il crollo del Muro di Berlino.
Febbraio 1989. Una strana figura, vestita in modo ostentatamente elegante e con un’aria da boss della malavita,
ha appena varcato i cancelli dello stadio della Stella Rossa
di Belgrado, la più titolata formazione di calcio jugoslava.
L’uomo che quella sera entra nella sede della Crvena Zvezda,
conosciuta nel mondo come Stella Rossa, si chiama Željko
Ražnatović, ma è noto come Arkan. Ha 37 anni ed è all’apice
della sua carriera criminale. Il suo nome è pronunciato con
circospezione, come avviene per i boss della camorra o della
’ndrangheta. La Stella Rossa rappresenta a livello sportivo
il potere centrale che da più di 40 anni sottomette, a detta
bosnia, 28 settembre 1995 Željko Ražnatović, a sinistra, comandante della
Guardia volontaria serba, con il figlio Mihajlo. Il 20 settembre 1995 le Tigri di Arkan
uccisero a Trnova 12 uomini, il 21 a Sasina assassinarono 66 uomini e una donna.
di tanti, le realtà che compongono il mosaico della Federazione. In Jugoslavia da qualche anno è al potere una figura
sinistra (ma non di sinistra): Slobodan Milošević.
È arrivato al vertice politico cavalcando l’onda del nazionalismo estremo e fomentando l’odio etnico. Ha capito che
il comunismo è al capolinea e che la Jugoslavia così come
l’aveva costruita il maresciallo Tito (una Repubblica federale
socialista) non ha futuro.
battesimo di fuoco
con la stella rossa
Il nuovo Presidente ha in mente una Grande Serbia, egemone su tutte le altre realtà interne. Il calcio è un mezzo
utile per arrivare all’obiettivo, e Milošević punta su Arkan
per piegare lo sport, anzi il tifo, ai propri fini. E pensare che
Tito non amava i gruppi ultrà che erano sorti tra gli anni Cinquanta e Sessanta, anzi li perseguitava perché ne coglieva il
valore eversivo. Era stato difficile per lui accorpare, sia pure
con la forza, realtà sociali così diverse per lingua, cultura
e religione, e non voleva che il calcio potesse far risorgere
antichi e non spenti odi etnici. Preoccupazione profetica.
Tito morì nel 1980 e iniziò lo sfaldamento della Federazione. Nel 1989 in Jugoslavia era già presente una malavita
pronta a impossessarsi del potere e a usare ogni mezzo per
arrivare all’obiettivo.
Arkan ha organizzato i tifosi come una milizia militare.
Devono diventare soldati, ha stabilito: dovranno fare la
guerra. Capelli tagliati, barba sempre fatta, abolizione degli
alcolici. E, naturalmente, culto del leader.
Poi arriva il battesimo del fuoco: domenica 13 maggio
1990. La Stella Rossa deve giocare fuori casa contro i rivali croati della Dinamo Zagabria. Quel giorno Arkan mette a
frutto mesi di preparazione: trasformare un nutrito manipolo di tifosi in esperti di guerriglia urbana. Da anni il nazio-
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bijeljina, bosnia 31 marzo 1992, sopra e a destra: le Tigri di Arkan uccidono
tre “bosniak”, musulmani bosniaci. In tre giorni, nella città, che sorge nel
Nordest del Paese, al confine con la Serbia, furono assassinate oltre 500 persone.
nalismo ha invaso pesantemente la Serbia, ma anche nelle
altre realtà della Federazione nessuno crede nella possibilità
di mantenere l’assetto creato nel 1945. In Slovenia si parla
apertamente di indipendenza, in Croazia è salito al potere
l’ultranazionalista Franjo Tuđman, immagine speculare di
Milošević. Anche Tuđman sarà un dittatore e sfrutterà il calcio come strumento di consenso politico non meno del suo
“collega” serbo, utilizzando a livello mediatico le gesta della
Dinamo Zagabria, la prima squadra della capitale croata.
A Zagabria, i tifosi di Belgrado si scontrano con quelli
della squadra di casa. Le armi utilizzate non sono soltanto i
pugni, ma anche coltelli, spranghe di ferro e razzi. Una volta
dentro lo stadio, gli ultrà serbi svellono sedili e li lanciano in
campo al grido di «Uccideremo Tuđman».
I tifosi della Dinamo reagiscono con lanci di pietre. I teppisti di entrambe le squadre si riversano in campo, ma la
polizia – ancora federale, ma a stragrande maggioranza serba – sembra interessarsi soltanto a quelli croati. Il giocatore
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Zvonimir Boban, capitano della Dinamo, perde le staffe e si
avventa contro un poliziotto che sta picchiando un tifoso
della sua squadra. Boban sferra un calcione al tutore della
legge e quell’immagine fa il giro del mondo.
la guerra inizia
a bordo campo
Quella foto diventa il segno di uno sfaldamento interno e
di una tensione mai percepita in modo così chiaro. Si ascoltano per la prima volta cori che inneggiano alla morte dello
“zingaro serbo” o del “bastardo croato”.
Dopo i fatti di Zagabria si ha la rassegnata sensazione che
la Jugoslavia sia giunta al capolinea. L’obiettivo di Milošević
è la conquista militare della Croazia e della Bosnia, con
la cancellazione delle etnie non serbe. Il progetto genocida, poi, devasta un’intera (ex) nazione fra il 1991 e il 1995,
con strascichi di guerra fino al 1999. Le milizie che Arkan
organizza e capeggia vengono ribattezzate “le Tigri” e de-
la complice Per radio Free Europe, Arkan ottenne in premio 2 milioni di
marchi per il massacro di Bijeljina. Tra i suoi sostenitori, Biljana Plavšić, unica
donna sotto processo all’Aja ed ex presidente della Repubblica serba di Bosnia.
vono compiere le azioni più efferate, prima in Croazia e poi
in Bosnia-Erzegovina. Esecuzioni di massa, stupri, razzie,
pulizia etnica sono principalmente opera di questi gruppi,
coacervo dei peggiori tifosi della Stella Rossa, ma anche del
Partizan, di squadre minori, insieme con ergastolani reclutati nei penitenziari di Belgrado.
Al termine della guerra nei Balcani, il calcio continua a
essere un importante strumento di consenso e di aggregazione. Arkan diviene proprietario di una società di calcio,
l’Obilić. Sfruttando i risultati della squadra, campione di
Serbia-Montenegro nella stagione 1997-1998 (si dice che i
giocatori avversari fossero tenuti sotto tiro da cecchini appostati sopra le tribune: contro l’Obilić di Arkan era “conveniente” perdere), Arkan tenta la scalata politica, urtando la
suscettibilità di Milošević. Il 15 gennaio 2000, ignoti mandanti confezionano il suo assassinio. Cinque anni dopo, in
circostanze ancora una volta poco chiare, anche Milošević
muore, a L’Aja, in Olanda, appena prima di essere giudicato
presso il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia
per crimini di guerra. Scomparsi Arkan e Milošević, oggi è
ancora in piedi la struttura politico-calcistica che i due hanno creato e fortemente voluto. Dunque, gli ultrà serbi potrebbero essere utilizzati in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo, se la situazione lo richiedesse. I fatti di Genova
dell’ottobre 2010 ne sono stati la dimostrazione più chiara
anche per il resto dell’Europa.
la vedova della “tigre” È in gabbia
Dopo l’omicidio del marito Arkan, la cantante e musicista
serba Svetlana “Ceca” Veličković Ražnatović era diventata presidente della squadra di calcio dell’Obilić di Belgrado.
Accusata di aver sottratto alla società oltre 4 milioni di euro
(proventi della vendita di una decina di giocatori) e di possesso illegale di armi, Ceca il 12 aprile 2011 ha patteggiato con
la procura di Belgrado: otto mesi di arresti domiciliari e un
pagamento allo Stato di 1,5 milioni di euro.
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