SARAH_VAUGHAN di Luciano Federighi

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SARAH_VAUGHAN di Luciano Federighi
SARAH VAUGHAN
di Luciano Federighi
Non ama il blues e le voci del blues, e la sua cantante preferita è Leontyne Price. La canzone standard la trova
non di rado interprete insofferente o distaccata, la sua grande ambizione è che qualche ispirato compositore
contemporaneo scriva un'opera lirica su misura per lei. Eppure Sarah Vaughan ("Little Miss Sassy", com'era
nota al pubblico di Harlem ai tempi delle sue apparizioni al Teatro Apollo, o "La Divina", com'è stata
soprannominata dalla gente del jazz) rappresenta uno dei pochi punti fermi nella storia del canto afroamericano
e, più in particolare, della vocalità squisitamente jazzistica.
A questa, ha aperto nuove, determinanti prospettive armoniche e di fraseggio, impedendole di perdere contatto
con gli sviluppi della musica sul versante strumentale, dotata di una prestanza tecnica senza pari, di una
estensione duttilissima, colma di suggestioni cromatiche, dalla brunita palpabilità dei bassi sino ad un falsetto
modulato senza sforzo apparente, per quattro intensi decenni Sassy è stata l'esempio forse più tangibile e
illuminante per più generazioni di cantanti e la voce più ammirata dagli stessi jazzmen, che hanno sempre
riconosciuto in lei una profonda consonanza di feeling. «Sarah Vaughan improvvisa» ha detto il batterista Grady
Tate. «Sarah Vaughan sa cantare Lush Life ogni sera in modo diverso. È la cantante più spontanea e creativa
con cui ho mai avuto il piacere di lavorare, ed io ho lavorato con i migliori cantanti del mondo.» Ed ha aggiunto il
pianista Jimmy Rowles, «Dietro di lei puoi suonare qualsiasi cosa. Puoi anche lanciarle delle sfide. Lei sente
tutto. Riesce a muoversi in ogni direzione possibile». Come Carmen McRae, come Ella Fitzgerald, Sarah Lois
Vaughan si è formata nell'area newyorkese, fulcro della evoluzione del jazz moderno. È nata a Newark, nel
New Jersey, una città dalla folta comunità nera a poche decine di miglia dal cuore di Manhattan, il 27 marzo del
1924, da una famiglia modesta ma capace di garantirle un'infanzia serena e di ispirarle un vivo amore per la
musica, il padre, falegname, suonava la chitarra, mentre la madre cantava nel coro di una chiesa battista.
Sarah stessa crebbe a contatto con la musica religiosa (non però il gospel infuocato e "sanctified" che a
Chicago stava sviluppando una sensibilità espressiva tanto diversa nella coetanea Dinah Washington) come
pianista, organista, cantante e intanto veniva ampliando le sue conoscenze anche in una direzione musicale
formale, prendendo a lungo lezioni private e studiando (e diplomandosi) al liceo artistico di Newark.
La familiarità con la teoria, la capacità di analisi del pentagramma, così insolite, a quei tempi, in una voce di
collocazione popolare, e la pratica approfondita del pianoforte, avrebbero molto contribuito a fare di lei una
cantante singolare e a suo modo rivoluzionaria. Quando nel 1943 una Sarah diciannovenne ancora
magrissima, piuttosto rozzamente vestita e dai modi imbarazzati, si recò al Teatro Apollo per partecipare ad
uno dei celebri mercoledì del dilettante, l'esigente e spesso crudele pubblico harlemita sentendola interpretare
Body and Soul dovette indovinare in lei il germe del vero talento e le tributò un piccolo trionfo. Il crooner nero
Billy Eckstine, che per una fortunata circostanza si trovava nel teatro, intuì in quella voce certo sempre
immatura anche una potenziale originalità e grandezza, oltre ad un'immediata eloquenza e bellezza tonale.
Eckstine rimase talmente sorpreso ed entusiasta che la portò subito con sé dal pròprio leader, Bari Hines.
L'orchestra aveva appena finito di provare in uno studio a Broadway. «Earl si sedette al pianoforte» ha
rievocato il cantante in una recente intervista con Eileen Southern e disse a Sarah, «'Forza, fammi sentire
qualcosa'. E lei cominciò a cantare. Fu come in uno di quei vecchi film, tutti quanti interruppero quel che
stavano facendo e tesero bene le orecchie, ed lo intanto me ne stavo lì con il petto gonfio di orgoglio per averla
scoperta.» Per Sarah, che entrò nella formazione anche in qualità di seconda pianista, si trattava dell'orchestra
ideale, l'unica allora, probabilmente, che potesse stimolarne al meglio l'immaginazione musicale. Nelle sue
sezioni giovani strumentisti come Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Little Benny Harris, stavano compiendo il loro
radicale rinnovamento della sintassi jazzistica e per la cantante di Newark come per Eckstine, del resto, la
lezione fu importantissima. Sarah non era una cantante come le altre, ben lungi dal rappresentare, come molte
sue colleghe del periodo, un contorno funzionale e decorativo dell'orchestra, con questa cercava piuttosto
secondo la testimonianza di Eckstine, l'integrazione, il confronto. Il suo approccio, il suo pensiero, erano quelli
della musicista, la sua ambizione quella di creare alla sua voce una dignità e flessibilità espressiva tali da porla
sullo stesso piano dei solisti del jazz. Sul palcoscenico, quando Sarah intonava quello che allora era il suo
cavallo di battaglia, This Is My First Lave, e Parker la seguiva con un assolo di sedici misure (al sax tenore),
un'affinità di inventiva armonica e ritmica doveva essere già evidente per il pianista e critico di origine inglese
Leonard Feather, che nell'estate di quello stesso anno la sentì proprio all'Apollo con la band di Hines, il suo
canto «con progressioni cromatiche di minore settima ed un tono lirico, di colomba, completamente nuovo nel
jazz» non poteva non lasciare allibiti. Sarah Vaughan, scriverà più avanti John McDonough sulle pagine del
"Down Beat", «portò al bop quello che Ella aveva portato allo swing. Il suo sound veicolava gli stessi messaggi
delle più importanti voci strumentali del bop, e la sua mobilità e il suo fraseggio si sposavano perfettamente alla
nuova musica». Del resto, l'apprendistato a fianco dei vari Gillespie, Parker, Gordon, continuò anche quando,
nel 1944, Eckstine decise di formare una propria orchestra reclutando gran parte degli alunni più agguerriti di
quella di Hines (tra cui, appunto, Sarah) e avvalendosi dei brillanti, dinamici arrangiamenti moderni di Budd
Johnson o di Jerry Valentine. Con questa straordinaria fucina del bop, cantando I'Il Wait And Pray (la sua unica
registrazione commerciale con Eckstine, per la DeLuxe, con un arrangiamento dello stesso Valentine), Mean
To Me, Don'1 Blame Me, Sarah, pur attraverso certi vezzi, certe acerbità interpretative, appariva già in vista dei
suoi traguardi. Eccellenza di intonazione, una singolare ampiezza di tessitura, con ricchi e cangianti toni di
contralto e la capacità di tendersi in alto grazie a sapienti escursioni nel registro di testa, sicurezza e fantasia
ritmica ed esuberanza di portamento e immaginazione armonica (meno geniale e intuitiva, certo, e più
consapevolmente coltivata di quella di Billie Holiday), le garantivano sin da allora una posizione di almeno
potenziale rilievo nell'arco della vocalità jazzistica. Fu Leonard Feather, anche su pressione di Gillespie, a
organizzarle la prima seduta di registrazione a suo nome, per una piccola etichetta, la Continental. Il 31
dicembre del 1944, affiancata dagli stessi Leonard e Dizzy, da Geòrgie Auld e Aaron Sachs rispettivamente al
tenore e al clarinetto, dal chitarrista Chuck Wayne, dal contrabbassista Jack Lesberg, dal batterista Morey Feld,
la ventenne Vaughan incise Signing Off, Interlude, No Smokes, East Of The Sun, per un modesto compenso,
pare, di cinquanta dollari. La session sanciva comunque l'inizio della sua carriera di solista. Sassy si fece anche
ascoltare in alcuni club della 52ma Strada, mentre nel maggio del '45 tornò a registrare in due diverse occasioni
con Parker e Gillespie, lasciando piccoli capolavori quali Lover Man affrontato con bella distensione, benché
senza quella intensità emotiva che allo stesso brano aveva saputo dare Lady Day e Mean To Me, illuminato da
una grande introduzione e da un eloquentissimo assolo di Bird.
Abbandonata l'orchestra di Eckstine, per un paio di mesi a cavallo tra il '45 e il '46 la cantante si aggiunse alla
combo del contrabbassista John Kirby, che si esibiva nella saletta sopra il celebre Copacabana. Ma quella fu
l'ultima occasione di relativo anonimato, da allora in poi il nome sul marquée sarebbe sempre stato il suo, e
presto anche in sale di notevole prestigio. Fu la Musicraft di Albert Marx a credere nelle sue possibilità e a
puntare senza esitazioni su di lei, due anni di registrazioni, a cominciare dalla primavera del '46, segnarono la
sua definitiva consacrazione come importante vedette jazzistica (cominciò, tra l'altro, a vincere i referendum
delle riviste specializzate, quello del "Down Beat" dal '47, quello del "Metronome" dal '48) e la condussero alle
soglie della grande affermazione commerciale. In questo periodo un altro alunno di Eckstine, l'arrangiatore e
compositore Tadd Dameron, continuò ad esercitare una rimarchevole influenza su di lei. Era stato Tadd a
suggerirle l'importanza di certe scelte tecniche, quali il pieno controllo della respirazione, l'attenzione
nell'emissione delle note, e ad incoraggiarla a seguire una propria strada. Per la Musicraft, il geniale musicista
di Cleveland fu responsabile degli arrangiamenti di notevoli performances vaughaniane, come A Hundred Years
From Today (a nome di Geòrgie Auld) e in particolare If You Could See Me Now, il superbo standard composto
dallo stesso Dameron di cui Sarah affiancata da Bud Powell, Kenny Clarke, Leo Parker, Freddy Webster dette
una versione già definitiva.
Contemporaneamente, e per altri motivi, anche George Treadwell, trombettista, rivestì un ruolo determinante
per l'affermazione di Sarah Vaughan. I due si erano conosciuti nell'inverno del '46, durante un prolungato
ingaggio della cantante nel famoso locale di Barney Josephson, il Cafe Society: George suonava nella "house
band" di J.C. Heard. Per Sarah, si è detto, lui rappresentò una sorta di Pigmalione. Sposandola, divenne subito
il suo manager (il primo d'una serie di quattro mariti manager, intorno ali' '80 lo sarebbe stato un altro
trombettista, il basiano Waymon Reed) e come tale si preoccupò di affinare la sua immagine scenica, di porre
rimedio alla goffaggine del suo vestire, di mascherare la sua timidezza, la sua scontrosità, la sua peculiare
distrazione di fronte al pubblico, contrariamente ad una Dinah Washington o ad una Carmen McRae, Sassy non
ha mai avuto un senso spiccato dello spettacolo, né una gestualità, una presenza particolarmente evocative.
Con l'acquisizione d'una maggiore sicurezza personale, ha osservato Feather, Sarah sembrò rivelare anche
«un controllo più maturo e compiuto dello stile che già aveva imposto». Negli anni Musicraft si apprezzano
prove che illustrano un miglior bilanciamento di quel suo estesissimo "range" vocale (intorno alle tre ottave,
rarissima dote per una cantante jazz o pop), un tocco più nitido sulla nota, una calibratura più coerente
dell'interpretazione. La session del 19 agosto 1946 con un ottetto di Teddy Wilson (comprendente altri antichi
partner di Billie Holiday quali Buck Clayton, Don Byas, J.C. Heard) la trova in Penthouse Serenade, in Don 'i
Worry 'Bout Me già più tornita sui bassi, e capace d'una pregevole elasticità nella rilettura della melodia. Sarah
personalizza a fondo, sedici mesi più tardi, il sostegno discreto e swingante del quartetto del pianista Jimmy
Jones (un suo fedelissimo) con Kenny Clarke, John Collins e Al McKibbon, e la scelta di materiale adeguato
come My Gentleman Friend e What A Difference A Day Makes (la canzone che nei decenni seguenti diverrà
una hit tanto per Dinah Washington che per Ester Phillips), la ispirano a sfruttare al meglio i suoi connotati
jazzistici, ad esprimersi attraverso un gioco armonico originale, inventivo, ricco di sorprese.
Il talento per imporre al brano una propria prospettiva armonica e una propria intonazione ritmica è già evidente
in queste prove, Sarah, la musicista vocale, trova la sua misura e il suo agio espressivi a contatto con gli uomini
del jazz con i quali stabilisce un vivace rapporto di interazione, affermando inoltre una sua insolita capacità di
leadership e di fronte a canovacci standard sufficientemente flessibili da garantire l'improvvisazione, l'eccitante
modulazione della melodia. Ma il sodalizio con la Musicraft, a partire dall'autunno del '47 offre anche diverse
aperture commerciali sotto forma di orchestre d'archi o (durante il secondo, lungo black out imposto dal
sindacato dei musicisti) ampie corali. The Lord's Prayer (il Paternostro, un'interpretazione, comunque, tanto
possente e luminosa da meritarle i complimenti della grande Marian Anderson) e It's Magie sono per lei hits di
discrete proporzioni, indicativi d'una precisa volontà di trovare sbocchi al di fuori del jazz, passando Sarah alla
Columbia, (nel '49), e successivamente (nel '54) alla Mercury, questa volontà assecondata da produzioni ricche
e opportuniste avrebbe portato frutti copiosi. Frutti, perlopiù, artisticamente discutibili. Laddove Billie Holiday
sapeva conservare entro una cornice pop (per esempio in alcuni dischi Decca dei secondi anni '40, come
l'inquietante You're My Thrill) la piena forza emozionale del suo canto, e Dinah Washington inventava
convincenti quadretti drammatici anche dal suo repertorio più effimero e banale, Sarah, mentre s'imponeva al
pari del suo mentore Billy Eckstine come nome da juke box, viveva un peculiare dilemma espressivo. Il grande
pubblico, così come parte della critica, non comprendeva certi tratti squisitamente jazzistici e le componenti,
starei per dire sperimentali, del suo canto, l'uso delle scale e degli arpeggi, delle progressioni bop, l'arditezza
degli intervalli, dei contrasti timbrici, del glissando, erano apprezzati a fondo soltanto dai colleghi musicisti. Un
cronista del "New Yorker", ascoltandola nel dicembre del '48 al Clique, accompagnata da Jimmy Jones, Oscar
Pettiford e Kenny Clarke (una ritmica di sogno, per un cantante), le rimproverava l'assenza di semplicità e di
commozione («il modo in cui Sarah utilizzava la sua voce, facendo immense evoluzioni e discendendo
repentinamente dal molto acuto al molto grave, le dava troppo spesso la sonorità del vento in un vicolo»),
Mentre tre anni dopo, recensendo sulla stessa rivista un suo concerto alla Carnegie Hall con Lester Young e
Errol Garner, Douglas Watt osservava che alla sua abilità nel muoversi attorno a una canzone e nell'alterare
ritmo e pitch non corrispondevano il buon gusto e la sapienza artistica necessari per allontanare l'impressione
dell'artificiosità. Già nel '46, inoltre, Barney Josephson aveva notato al Cafe Society la sua incapacità di
comunicare al pubblico il senso delle sue più avventurose espressioni musicali. Tenute a freno, purgate dei loro
connotati bop, le sue performances sapevano invece toccare la fantasia del pubblico generico, incantato da
certa maestà barocca e dalla suggestiva ricchezza cromatica di quella grande voce, come pochissime in grado
di assicurare una rispettabilità e una possanza di tipo operistico alla canzone popolare. La Sarah Vaughan
venticinquenne, trentenne, trentacinquenne, sceglie la via dello sdoppiamento, continuando ad affinarsi a
contatto con il mondo del jazz e affidando la propria sopravvivenza commerciale a frequenti prove di taglio
oleografico o di assoluto disimpegno. Per la Columbia incide con i violini di Percy Faith o di Norman Leyden
(Ave Maria, nel '51) ma anche, nel dicembre '49, con una buona orchestra di Joe Lippman (The Nearness Of
You, dal delizioso, sensuale lirismo) e, in due sessions del maggio 1950 forse insuperate per icasticità e
limpidezza, con un ottetto di Jimmy Jones comprendente Miles Davis e Budd Johnson, ne emergono un nuovo
Mean To Me con un secondo chorus ricostruito con fine e ardita intelligenza di improvvisatrice, e un Come Rain
Or Come Shine dal respiro profondo e sereno. Per la Mercury alterna prestazioni sfacciatamente commerciali
(Broken Hearted Melody, un lacrimoso rock'n'roll per adolescenti del '58, che rimarrà il suo disco più venduto)
ad altre di notevole eleganza e dignità formale e dalle più che occasionali impennate creative (gli album del '56
e '57 con l'orchestra di Hai Mooney, dedicati agli hits di Broadway e ai songbooks di Gershwin e di Irving Berlin,
quest'ultimo una serie di duetti con il sempre affine Billy Eckstine) e a diverse di esaltante libertà jazzistica,
quelle con il trio regolare (attraverso gli anni '50 è ancora perlopiù Jimmy Jones il suo pianista, con Roy Haynes
alla batteria e Joe Benjamin o Richard Davis al contrabbasso), che Sarah sa fronteggiare con la presenza d'un
grande sassofonista; l'incontro del '54 con Clifford Brown (dal quale scaturiscono un irresistibile Lullabye Of
Birdland, un pregevole September Song), I confronti con formazioni di Ernie Wilkins o di Count Basie (l'album
No Count Sarah del '58: senza il Conte al pianoforte, appunto).
Spesso, in queste circostanze, il suo strumento vocale agile e imponente diviene il magnifico, spieiato
dominatore d'una melodia. Non trova limiti apparenti di flessibilità ritmica e di invenzione cromatica, e la sua
intonazione si fa pressoché perfetta (Sarah è musicista dall'orecchio acutissimo e insofferente, durante le sue
apparizioni di quegli anni all'Apollo, ricorda il manager del teatro, esigeva che il piano venisse accordato prima
di ogni set) nella avvolgente profondità dei bassi come nell'acciaio duttile dei medi e nella flautata, lunare
trasparenza del più acuto svettare di testa. Luci, volumi, spessori, si bilanciano in una tensione architettonica
vivacissima, che sembra dilatare l'intera song, oltre a mutarne le proporzioni interne. I portamenti, incisi da un
vibrato glorioso e ampio quanto attentamente dosato, controllato, hanno un pieno respiro strumentale, a volte
attraversando la frase in un prolungato parallelo armonico rispetto alla scrittura originaria, altre volte
modulandosi in dense volute di glissando, sempre creando tracciati sintattici alternativi in combinazione con il
taglio esatto delle pause, con le pennellate di staccato. La concentrazione sulle singole note è sorprendente,
ciascuna prende una sua individualità, vuoi per il gioco virtuoslstico di oscillazioni tonali, vuoi perché il colore è
immaginosamente cangiante, ora pieno e maturo, ora acre, obliquo, in una caratteristica contrazione del pitch,
ora evocativo d'un violoncello, d'un clarinetto basso, d'un sassofono soprano. Sarah Vaughan non tiene conto
dei testi, se non per esplorare e celebrare, a suo modo, la musicalità delle parole e delle singole sillabe e anche
in questo appartiene alla tradizione espressiva di Armstrong e della Fitzgerald (dai quali eredita il gusto
dell'improvvisazione in scat, cui sa dare una tonda, palpitante limpidezza) più che non a quella delle grandi
interpreti intrise di blues, da Ethel Waters a Mildred Bailey, dalla Holiday alla Washington, o comunque motivate
da un vivo senso del racconto, come Carmen McRae o Lee Wiley. Bob James, che è stato suo
accompagnatore, rammenta che Sarah «si considera una strumentista. A volte sul palcoscenico si dimentica le
liriche, in parte perché pensa alle note, alle frasi, con la mentalità di chi suona un sassofono, una tromba. Le
liriche per lei non hanno grande importanza. Sarah vuole mettere in luce il suo strumento, ma le canzoni pop
non lo permettono. Eppure lei ci riesce, muovendosi bene al di sopra e ben al di sotto dei limiti della canzone».
Certo è che questa, per lei, è tanto più spesso un punto di partenza che non un quadro lirico da valorizzare. La
tensione emotiva che la cantante sa creare è del tutto personale, si riflette dall'intenso lavorio melodico in rapidi
contrasti d'espressione indipendenti dalla semantica del verso, da solenne ad affabile, da arguta a maliziosa o a
sofisticata, da languida a naif (quel candore di ragazzina, sorta di retaggio fitzgeraldiano, che nella prima
Vaughan era spesso dominante) suggerendo anche godibili momenti ambigui, intermedi. La rinuncia alla
penetrazione della canzone favorisce naturalmente anche certe scorie, certi tratti negativi. Nella sua grandezza
l'ha osservato la cantante Barbara Leala, Vaughan ha il torto di lasciarsi tentare dall'eccesso spettacolare, dalla
ridondanza, da un gusto non impeccabile. La sua dizione può perdersi in pose fasulle, di sapore snobistico (la
"g", la "s" che si snervano, si palatalizzano), e nella sua stessa rielaborazione e ornamentazione della frase c'è
talvolta quel segno dell'autocompiacimento, del narcisismo, che non si coglie in quanti personalizzano la
canzone rispettandone però la logica drammatica.
Allo sbocciare degli anni '60, a dispetto (o forse in virtù) delle continue oscillazioni, Sarah ha conquistato
pubblico e critica a livello nazionale e internazionale. (Pur essendo una star, della star non ha ereditato i
capricci, e questo la rende grata anche agli organizzatori di festival e concerti, Arrigo Pollilo la ricordava
appunto «Come una persona di buon carattere e di buon senso, senza pretese o atteggiamenti da diva».)
Incide per la Roulette, adesso, e sebbene la sua produzione sia sempre oltre che copiosa qualitativamente
difforme, non poche sono le prove che parlano d'una piena maturità, un nuovo album con la big band di Basie e
stavolta, con Basie stesso (comprendente un incisivo The Gentleman Is A Dope, un prezioso Alone iniziato "a
capella", e pulsanti versioni di temi da tempo associati al nome di Sarah, un Perdido che si tende in uno scat
scintillante, un Mean To Me aperto da un legato sorprendente, Lover Man, I Cried Por You), frequenti
collaborazioni con arrangiatori della sensibilità di Quincy Jones (il microsolco You're Mine You, del '62) e Benny
Carter, un singolare incontro in trio con il chitarrista Mundell Lowe e il bassista George Duvivier su motivi di
Ellington, Porter, Arlen, Rodgers, e una registrazione al Tivoli di Copenaghen dell'estate del '63 (nuovamente
su Mercury), in cui, oltre agli immancabili e popolari Tenderly e Misty, si apprezza un arioso e intenso Polka
Dots And Moonbeams. Spalleggiata da un trio, la cantante vi dimostra con quanta immaginazione e
concentrazione e autorità sappia articolare le sue performances dal vivo e con quale spirito ludico, quale
capacità di divertimento. Giocare con la voce, e dunque modificare costantemente le interpretazioni, accettare
la sfida di canzoni perennemente rivisitate, per Sarah è un requisito essenziale della sua arte e della sua
professione. «È necessario divertirsi, sul palcoscenico», ha dichiarato «perché le canzoni sono sempre le
stesse, sera dopo sera. E se non ti sai divertire, finisci presto per stufarti e cambiare mestiere.» Nel '67 l'album
Mercury Sassy Swings Again, con una grande orchestra affollata di nomi prestigiosi (Clark Terry, Freddie
Hubbard, J.J. Johnson, Kai Winding, Phil Woods, Benny Golson), offre una conferma ulteriore d'una sensibilità
e intuizione armonica difficilmente uguagliarle e d'un piglio personalizzatore che giunge sin quasi alla
dissacrazione. Sarah, scrive Martin Williams, «trasforma la specialità di Joe Williams, Every Day I Have The
Blues, e la specialità di Tony Bennett, I Left My Heart In San Francisco, in forsennati tour de torce vocali» e
gioca con il suo repertorio di abbellimenti e variazioni in maniera ora apparentemente discreta ora esuberante.
Quello stesso anno, tuttavia, si apre il primo lungo gap nella sua fitta carriera discografica, è un periodo,
d'altronde, di grande imbarazzo e confusione per tutti i cantanti di matrice jazzistica, in buona parte provocato
dalla popolarità sempre crescente del rock e dalla sua dittatura sul mondo dello spettacolo e quello
discografico. Quando Sarah riprende a registrare, nell'autunno del '71, lo fa per la Mainstream e con grandi
formazioni dirette da Ernie Wilkins o da Michel Legrand, in un microsolco dedicato alle canzoni del compositore
di The Summer Knows. Ma i momenti magici sono ancora quelli che vedono la cantante a confronto con piccoli
gruppi di jazz. L'album registrato in concerto a Tokio, nel '73, con il trio composto da Cari Schroeder, l'italo
americano John Giannelli e Jimmy Cobb, la porta ad un passo dall'ambito premio Grammy, mentre la
collaborazione dell'anno successivo con il quintetto di Jimmy Rowles (con Al Aarons, Teddy Edwards, Monte
Budwig, Donald Bailey) si segnala per una rara sobrietà e compattezza. Rowles è per lei l'accompagnatore
ideale, perché sa bilanciarla con la sua squisita essenzialità, scoraggiandone la possibile spinta verso l'eccesso
rococò e al contempo assecondandola magistralmente sul piano dell'invenzione ritmica e melodica e su quello
di un certo humor estemporaneo. Sarah, di fronte a un repertorio selezionato con acume, che oscilla tra il
kerniano Folks Who Live On The Hill, un divertente Frasier The Sensous Lion, scritto da Rowles con Johnny
Mercer, ed una accorata ballad di Bacharach, A House Is Not A Home, e ad arrangiamenti flessibili e di buon
respiro, trova gli stimoli necessari per costruire interpretazioni musicalmente vibranti, lucidissime, fraseggiando
con profondità ed aplomb, e confermando nell'occasionale intervento in scat le sue doti di improvvisatrice pura.
Benché nel corso dell'ultimo decennio, sempre più allontanandosi dall'ambiente del club, a lei sgradito, Sarah
Vaughan abbia scelto molto di frequente di esibirsi con orchestre sinfoniche, quasi a voler rivendicare per la
propria voce un ruolo stabile in una dimensione accademica, queste doti hanno continuato a meritarle
l'ammirazione pressoché unanime del mondo del jazz. Sotto il profilo storico, la sua importanza appare oggi
formidabile. Se molte altre voci di primo piano recano l'impronta immediata della sua influenza (Helen Merrill,
Lorez Alexandria, Dee Dee Bridgewater), questa ha pervaso più o meno direttamente, più o meno
consapevolmente, l'intero panorama della vocalità di segno boppistico. La stessa Betty Carter, l'originalissima
scatter emersa dall'orchestra di Lionel Hampton, e per molti l'unica vera cantante di jazz esente da
compromessi e contaminazioni, afferma che l'esperienza di Sarah Vaughan ha permesso agli altri cantanti di
stretching out, di ampliare i propri orizzonti espressivi.
La voce ancora più scavata che in passato nel turgore dei gravi (gravi monumentali, che spesso si caricano dì
riflessi mascolini), la grande disciplina tecnica sempre al servizio del suo contraddittorio quanto affascinante
intreccio di reale, penetrante eloquenza e di ieratica solennità e di gusto del pieno, dell'elaborato, Sarah
mantiene un carnet densissimo attraverso gli anni 70 e '80. L'Europa e l'Italia le mete preferite, la ospitano con
grande frequenza e lei contraccambia con prestazioni vibranti, non mancano le novità, come quel Send In The
Clowns che pure a volte denuncia la sua scarsa attitudine alla recitazione entro lo spazio della song, o come la
drammatican versione a capella di Summertime. Quanto alla carriera discografica, dopo una discutibile
avventura nel songbook dei Beatles per la Atlantic, sin dal 1978 viene guidata da Norman Granz. Per la Fabio
Sassy esordisce a fianco di Joe Pass e Oscar Peterson in un programma di solidi standard, quindi ripassa i
classici ellingtoniani, esplora a fondo il canzoniere brasiliano, ritrova Basie, e diventa anche produttrice di se
stessa in un album dell'82 con il quartetto di Roland Manna, nella memoria rimane in particolare una versione di
Autumn Leaves giocata tutta nel chiaroscuro di uno scat elastico e vigoroso.
Non le mancano i grandi riconoscimenti. Nell' '84 viene scelta per interpretare le poesie di Karol Wojtyla,
musicate da Boland, Palumbo, Schifrin e nello stesso anno da vero lustro alla cerimonia d'apertura delle
Olimpiadi di Los Angeles. Il suo cinquantesimo compleanno viene ricordato alla Camera dei Rappresentanti
degli Stati Uniti e in occasione del cinquantacinquesimo, nel marzo del 79, George Wein le apre ancora una
volta le porte della Carnegie Hall per tre serate di celebrazione della sua arte e della sua carriera. La prima
serata con ospiti del calibro di Gerry Mulligan e Mei Torme, la seconda culminante in un "summit" con altri due
magistrali boppers canori, Betty Carter e Eddie Jefferson, la terza un ennesimo incontro con l'orchestra di
Basie. A un osservatore come Gary Giddins, queste prove di Sarah appaiono discontinue quanto capaci di
incantare per splendore espressivo, relax, eleganza, e anche per quella giocosa irriverenza nei confronti della
canzone. Giddins non ha dubbi. Sarah Vaughan rimane «la cantante più creativa tra quante agiscono entro il
repertorio standard americano, il suo controllo di timbro, pitch, articolazione e dinamica, la sua abilità
nell'improvvisare armonicamente, melodicamente e ritmicamente, e il suono stesso del suo strumento, la
collocano inequivocabilmente nella categoria dei più grandi strumentisti di jazz».
Ditascalia alle Foto
Sarah Vaughan, Quincy Jones e un vecchio magnetofono che stabilisce il periodo in cui venne scattata questa
foto, È la fine degli anni cinquanta, i tempi di una felice associazione della cantante con il leader arrangiatore.
Herbie Mann al flauto, Clifford Brown alla tromba e Paul Quinichette al sax tenore attorniano la Divina per la
registrazione di un long playing per la EmArcy.
"Sassy" durante un concerto. È una foto degli anni settanta, quando già la voce della cantante aveva raggiunto
uno spessore assolutamente unico.
Count Basie, Sarah Vaughan: due big del jazz uniti in un meeting di estremo rilievo. Il Conte era un grande
ammiratore della cantante che considerava un fenomeno, riprendendo la definizione che Ellington riservava al
proprio trombettista Cat Anderson.
Sarah colta in un atteggiamento particolarmente ispirato. Sta indubbiamente interpretando una ballad.
Sarah Vaughan alla fine della sua esibizione al Teatro Pavone di Perugia nel 1985.
GUIDA ALL'ASCOLTO
SARAH VAUGHAN
di Bruno Schiozzi
CD A
l'LL BE SEEING YOU
- "Sarah Vaughan with thè Jimmie Jones orchestra" Harry Edison (ir), Cerala San/ino (fi, ten), Ronnell Brighi (p), Barry Galbrai-th (chit), Richard
Davis (cb), Percy Bri-ce (batt), Janet Soyer (arpa), sezione d'archi, Sarah Vaughan (voc). New York, 19.4.1960.
Uno dei più significativi songs in senso assoluto degnamente interpretato.
YOU'VE CHANGED
-"Sarah Vaughan with thè Jimmie Jones orchestra": stessa formazione e stessa data del precedente.
Un cavallo di battaglia di Lady Bay cui Sarah conferisce insolite proiezioni.
LOVER MAN
- "Sarah Vaughan with thè Count Basie orchestra" Sonny Cohen, Thad Jones, Joe Newman, Snooky Young (tr), Henry Coker, Al Grey, Ben-ny
Powell (tbne), Marshall Brown, Frank Wess, Frank Poster, Billy Mitchell, Charlie Fowlkes (sax), Count Basie (p), Freddie Green (chit), Eddie Jones
(cb), Sonny Payne (batt), Sarah Vaughan (voc). New York, 15.5.1960.
Un altro grande tema caro alla Holi-day: ancora un volta la Divina riesce ad affrancarsi dalla tradizione.
I CRIED FOR YOU
- "Sarah Vaughan with thè Count Basie orchestra" stessa formazione e stessa data di Lover Man.
Ancora un classico del repertorio di Billie Holiday che beneficia di un'interpretazione quanto mai volitiva.
AIN'T NO USE
- "Sarah Vaughan and her orchestra": Harry Edison (tr), Jimmy Jones (p), chitarra, basso e batteria sconosciuti. New York, 1961.
II clima intimista creato dal piccolo gruppo sembra favorire in modo particolare l'estro della Vaughan. Notevoli, come sempre, i commenti della
tromba di Harry Edison.
SOMEBODY ELSE'S DREAM
- "Sarah Vaughan and her orchestra": stessa formazione e stessa data di Ain't No Use.
TROUBLE IS A MAN
- "Sarah Vaughan and her orchestra": stessa formazione e stessa data di Ain't No Use, ma tre strumenti ad ancia aggiunti.
Un lampante attestato di pathos interpretativo.
HA VE YOU MET MISS JONES
- "Sarah Vaughan and her orchestra": stessa formazione e stessa data di Ain't No Use ma tbne, ten e bar aggiunti.
Un tema che i cantanti cercano, di solito, di evitare per gli scarsi appigli interpretativi che offre. Sarah lo domina con una personalità che trova pochi
riscontri.
CD B
WRAP YOUR TROUBLES IN DREAMS
- "Sarah Vaughan and her orchestra": stessa formazione e stessa data di Ain't No Use.
Al contrario del precedente, questo brano sembra incontrare il consenso dei cantanti per via di una favorevole progressione armonica. Anche Sarah
sembra apprezzarne gli aspetti.
STELLA BY STARLIGHT
- "Sarah Vaughan with Marty Manning and his orchestra": formazione orchestrale sconosciuta, Sarah Vaughan (voc). New York, 1962. Affiora una
grinta jazzistica che Sassy spesso trascura.
I REMEMBER YOU
- "Sarah Vaughan with Marty Manning and his orchestra": stessa formazione e stessa data di Stella By Starlight.
Ancora un'interpretazione innervata di assunti jazzistici.
ALL I DO IS DREAM OF YOU
- "Sara + 2": Barney Kessel (chit), Joe Comford (cb), Sarah Vaughan (voc). New York, 1964
Una voce, una chitarra e un contrabbasso. Se i tre sono Sarah, Barney e Comford è subito gran spettacolo.
DISCOGRAFIA ESSENZIALE
a cura di Giacomo Battistella
"LOVER MAN"
MUSICRAFT MVS 2006* Lave Me Or Leave Me/Lover Man/Ghost Of A Chance/Button Up Your Overcoat/What A Difference A Day Made/Nature
Boy/I'm Through With Love/I Feel So Smoochie/Gentleman Friend/It's Magie.
Tra i solisti:Dizzy Gillespie(tr),Charlie Parker(alto),Al Haig(p),Cozy Cole(batt).8.11.1947-29.12.1947.
Edizione attuale: MUSICRAFT MVS 2006(USA)
"S. VAUGHAN IN HI FI"
COLUMBIA CL 914* East Of thè Sun/Pinky/Nice Work If You Can Get It/The Nearness Of You/Mean To Me/Come Rain Or Come Shine/It Might As
Wells Be Sprìng/Goodnight My Love/Ooh/ Can't Get Out Of This World/Ain't Misbehavin'/Whatcha Doin'To Me/Spring Will Be A Little Late This Year.
Tra i solisti:Miles Davis(tr),Benny Green(tbne),Tony Scott(ci),Sud Johnson(ten),J.C.Heard(batt),Billy Taylor(cb). 12.1948-1.1953.
Edizione attuale: ENCOREP 13084 (USA)
"SARAH VAUGHAN"
MERCURY MG 36004* Lullaby Of Birdland/Aprii In Paris/I'm Giad There Is You/He's My Guy/Jim/You're Not The Kind/Embraceable You/It's Crazy/
September Song.
Tra i solisti:Clifford Brown(tr),Paul Quinichette(ten),Herbie Mann(fi),Jimmy Jones(p),Joe Benjamin(cb),Roy Haynes(batt). 18.12.1954
Edizione attuale:EmArcy 195J 5(Giappone)
"SASSY SWINGS THE TIVOLI"
MERCURY MG 28031* Won 't You Come Home Billy Bailey/ What Is This Thing Called Love/Misty/Lover Man/ Sometimes I'm Happy/I Feel Pretty/
Tenderly/Sassy's Blues/Polka Doots and Moonbeams/I Cried For You.
Tra i solisti:Kirk Stuart(p),Charlie Williams(cb),George Hughes(batt).18.7.1963
Edizione attuale: MERCURY EXPR 1035 (Giappone)
"SASSY SWINGS AGAIN"
MERCURY MG 21116* Sweet Geòrgia Brown/Take The A Traini I Left My Heart In San Francisco/I Want To Be Happy/S'Posin'/I Had A Bali/Ali
Alone/Everyday I Have The Blues/On The Other Side Of The Tracks.
Tra i solisti:Clark Terry,Charlie Shavers,Freddie Hubbard,Joe Newman(tr),J.J.Johnson,Kai Winding(tbne),Phil Woods(alto),Benny Golson(ten),Bob
James(p, arr),Thad Jones,J.J.Johnson,Manny Albam(arr).7.2.1967
Edizione attuale: MERCURY SFX 10537(Giappone)
"DUKE ELLLINGTON SONG BOOK Vol.1"
PABLO TODAY 2312-111* In A Sentimental Mood/I'm Just A Lucky So&So/Solitude/I Lei A Song Go Out Of My Heart/I Didn't Know About You/Ali
Too Soon/Lush Life/In A Mellow Tone/Sophisticated Lady/Day Dream.
Tra i solisti:Waynon Reed (tr,flic),Zoot Sims,Frank Foster(ten),Frank Wess(fi,ten),J.J.Johnson(tbne),Bucky Pizzarelli, Joe Pass(chit),Jimmy Rowles
(p),Grady Tate(batt).8.9.1979
Edizione attuale: PABLO TODAY 2312-111(USA)
Da www.feykissmvheaven.altervista.org By Martina V.
"Sarah Vaughan" A Questo Fascicolo è Allegato L'Inserto Anita O'Day Vedi Foto