esercito la salvezza

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esercito la salvezza
ESERCITO LA SALVEZZA
È Domenica e il mio pranzo solitario,nella sua rassicurante dimensione domestica,s`è appena
concluso.
Sparecchio e riempio la lavastoviglie aggiungendo quel poco che ho sporcato a tutto il resto
accumulato in settimana.Per farlo,sono costretto a occupare ogni centimetro cubo del cestello.
Non è facile:occorre un certo metodo,la stessa perizia necessaria,per esempio,a stipare il
bagagliaio di un`auto quando una famiglia parte per le vacanze.È un`operazione a incastro
geometrico di cui,solitamente,sono gli uomini a farsi carico...chissà perchè. Anche quando
vivevo con la mia ex moglie,ero io a occuparmene.
Si vede che ai maschi riesce meglio,riempire certi vuoti.
Il vuoto lasciato da mia figlia però...quello no...non l`ho mai riempito.
Ora non mi resta che scuotere la tovaglia e raccogliere le briciole.Quelle del pane,
specialmente:non posso sopportare,mentre cammino per casa,di sentirmele crepitare sotto i
piedi.
La domenica,per me,è una giornata del tutto particolare.
La vivo,o per meglio dire la uccido,rimanendo in casa,quasi non avessi altro scopo se non
quello di scoprire come vive il mio appartamento durante la mia assenza;cosa
contiene,quando è vuoto.
Alle sette in punto di Lunedì mattina,proprio in quell`attimo di smarrimento che segue lo
spegnimento della sveglia,tra ciabatte e interruttori da scovare al buio,mi appare con
sconcertante evidenza lo scempio vergognoso che sto facendo della mia esistenza:mi si para
davanti prepotente,facendosi largo proprio in quell`istante di stordimento.
E io lo sento che quel segno nitido,apparso nello specchio appannato del risveglio,potrebbe
essere il messaggio rivelatore da non lasciarsi sfuggire,a cui aggrapparsi anzi,per salvarsi in
tempo.
Ma invece,ecco:quell`attimo di luce come ogni mattina svanisce,spazzato via dal rituale dei
gesti mattutini.
Nel loro ripetersi monotono si nasconde il tradimento:prima sgomberano la mente dal ricordo
di sogni e visioni e poi,srotolando un tappeto rosso di benvenuto,accolgono la
rassegnazione,invitandola a prendere posto lì al mio fianco,mentre seduto al tavolo sorseggio
un caffè,cucchiaino di zucchero dopo cucchiaino di zucchero,sempre più amaro.
"Devo ricordarmi di comprare una nuova caffettiera..." penso, facendo con ciò piazza pulita di
ogni residuo di evidenza e di ogni possibilità di salvezza.
È proprio un nuovo giorno adesso e io,ormai distratto,sono pronto ad affrontarlo.
Alle sette e quaranta sono sul pianerottolo di casa.La luce del mattino riflessa sulle scale
forse,la promozione a CapoDipartimento appena ricevuta oppure il compiacimento per
essere,anche oggi,in perfetto orario.
Insomma,dentro di me qualcosa,all`improvviso,sorride.
È una pace beata,tutta mia,quella che provo rimanendo in piedi con la valigetta in mano,di
fronte alla porta dell`ascensore.
È libero e lo chiamo.
Prima il tintinnio di un mazzo di chiavi,poi il roteare metallico di una serratura che scorre
implacabile:klang!klang!...KLANG!
No!
Arriva dal piano di sotto,il settimo.È il Beretta che sta uscendo di casa...ma perchè a
quest`ora?!Perchè fuori orario?!
L`ascensore intanto mi si ferma di fronte.Arrivava da sotto,gli sarà sicuramente sfilato davanti
agli occhi al Beretta,perchè anche lui adesso sarà impalato proprio quì,sotto di me,con la sua
valigetta in mano,di fronte all`ascensore:lui non lo sa,ma siamo due segmenti della stessa
retta.
Avrà già visto evidenziarsi in rosso il numero otto,sul display che ha davanti al naso.
Ora ho due possibilità:prendere l`ascensore,fermarmi al piano di sotto e fargli la cortesia di
caricarlo per scendere insieme (e allora buongiorno-buongiorno,prego-grazie,sorrisosorriso,bella giornata-bella davvero e così via,in un calvario lungo sette piani!) oppure
scorrergli davanti senza fermarmi,ma in questo caso il Beretta,realizzerebbe subito che sono
io l`inquilino che lo ha sdegnato,proprio io,quell`asociale dell`ottavo piano.
Devo fare una scelta e non ho alcun dubbio.
Resto immobile.Zitto.Non respiro.
La luce rossa di fronte a me uno..due..tre,dopo quattro secondi è verde e poi-come speravo-di
nuovo rossa.L`ascensore riparte,scende e subito si ferma.
Al piano di sotto sento il Beretta aprire la porta,entrare e finalmente schiacciare il tasto che lo
allontanerà da me.
Riprendo a respirare.In fondo non è successo niente,fatta eccezione per i due minuti e mezzo
di ritardo accumulati,che dovrò recuperare.
Lavoro in via Tabacchi.Venti minuti d`auto da casa.
Curiosamente,quasi a indicarmi i confini da violare e quelli da evitare,il mio ufficio è a metà
strada tra l`Agnesi (scuola superiore quasi esclusivamente femminile) e il Commissariato di
Polizia del Ticinese.
All`incrocio tra via Meda e vialeTibaldi,in attesa che scatti il verde,questa mattina il mio
sguardo è attratto da quella ragazza.Attraversa la strada per raggiungere la fermata del tram.
È molto giovane e come se non le bastasse essere già così attraente,si distingue tra gli altri
passanti indossando una giacca di un giallo appariscente.È poco più di una ragazzina ma la
sua bellezza è già accesa e la sua andatura è quella di una fiamma che vacilla,in cerca di
qualcosa o di qualcuno da bruciare.
Così era mia figlia, prima d`invaghirsi di quella nullità e di andare via per sempre con lui.Ha
lasciato solo un biglietto:tu sei malato-c`era scritto-hai paura della gente.
Ma si sbagliava,povera figlia.
Io so benissimo come stare tra la gente,non sarei mai diventato Capo Dipartimento se non lo
sapessi.Io non temo la gente.
La disprezzo.
Quella ragazza adesso è sulle strisce pedonali.Quando scatta il rosso lei,soprapensiero,è
ancora in mezzo al guado,proprio quì,davanti al muso della mia auto.
Un frastuono di clackson la strappa via dai suoi pensieri,facendola voltare di scatto.
I suoi occhi adesso mi fissano,stupiti e spaventati...diomio!come avessero capito tutto!
Ma non può aver capito!Devo.Stare.Calmo.
Protetto dall`abitacolo dell`auto,al sicuro dietro il parabrezza,ritrovo il sangue freddo e le
faccio cenno,con un sorriso rassicurante,di affrettarsi.
Lei, correndo,si dirige verso il marciapiede ma prima di raggiungerlo si volta ancora.
Faccio in tempo,ripartendo,a leggere un grazie sulle sue labbra.
Non ha capito.Non poteva,povera bambina.
E io,comunque,ho già deciso.
Salverò anche lei.Come le altre.
Se non la salvassi ora,lo so cosa accadrebbe: un giorno,le sue labbra,si sciuperebbero sulla
bocca di uno qualunque dei miei simili.
Un uomo a caso,tra i tanti in coda al semaforo,la fermerà con una scusa,la stupirà e lei ne
rimarrà incantata e lusingata.
Sarà di quell`estraneo che s`innamorerà.Sarà quella vita spesa in coda a un semaforo,ad
apparirle affascinante.Sarà il bisogno di fuggire dalla fermata del tram,a ingannarla.
Quell`uomo sarà per lei-piccina-un lucente uovo di Pasqua da rompere eccitata,pescato a
caso,disgraziatamente,nel bancale dei prodotti sotto-costo.
Una volta scartata,la sua sorpresa,rivelerà un grave difetto di fabbricazione e lei,delusa,gli
occhi strappati via dal sogno,cercherà dovunque e in ogni cosa,quella salvezza che solo
io,adesso,prima di quel giorno,posso darle.
Stasera stessa la salverò.
Stasera stessa i suoi occhi mi fisseranno ancora,come poco fa,stupiti e spaventati.Come
avessero capito tutto.
Allora si,non prima.