Le politiche sociali in Italia nello scenario europeo
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Le politiche sociali in Italia nello scenario europeo
Le politiche sociali in Italia nello scenario europeo Ancona, 6-8 Novembre 2008 PRESENTAZIONE DELLO STUDIO REALIZZATO PER IL PARLAMENTO EUROPEO: “THE ROLE OF MINIMUM INCOME FOR SOCIAL INCLUSION IN THE EUROPEAN UNION” Chiara Adonella Crepaldi Primo draft Paper presentato alla prima conferenza annuale ESPAnet Italia 2008 Sessione: Esclusione sociale e povertà: tra attivazione e misure passive Chiara Adonella Crepaldi IRS via XX settembre 24, 20123 Milano 02 46764321 [email protected] Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 1 Sommario 1. Introduzione ..................................................................................................................3 2. La lotta all’esclusione sociale in Europa........................................................................4 3. Il reddito minimo quale misura inserita nell’ambito di un sistema integrato di protezione sociale capace di coinvolgere politiche ed attori differenti ...................................................6 4. Il reddito minimo quale misura di integrazione sociale e lavorativa del beneficiario ....13 5. I rischi, il costo della introduzione della misura e le ricadute in termini di consenso....15 6. Conclusioni..................................................................................................................17 Principali riferimenti bibliografici.........................................................................................18 Lo studio è scaricabile dal sito del Parlamento Europeo al http://www.europarl.europa.eu/activities/committees/studies/download.do?file=19891 Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it seguente indirizzo: 2 1. Introduzione Nel 2006/2007 l’Irs ha realizzato per il Parlamento Europeo uno studio comparativo sulle caratteristiche delle misure di supporto al reddito assimilabili al Reddito Minimo presenti nei 27 paesi Ue. Obiettivo dello studio era quello di fornire al Parlamento Europeo elementi per l’emanazione di un quadro di riferimento in tema di lotta alla povertà attraverso strumenti volti al reinserimento dei beneficiari, in linea con gli obiettivi dell’Agenda di Lisbona. Lo studio è stato realizzato utilizzando diversi metodi di analisi ed approfondimento: • Analisi della letteratura comparativa esistente sul tema sia sul versante dell’analisi del contesto socio economico e del modello di welfare in cui le varie misure sono inserite, sia, più nello specifico, della analisi e valutazione delle specifiche misure nazionali e regionali assimilabili al Rmi esaminate nell’ambito di studi comparati, quali studi realizzati da OCSE, Parlamento Europeo, Commissioni UE, European Foundation for Living and Working Conditions, Missoc, oltre a studi realizzati da vari istituti di ricerca europei • Analisi di dati quantitativi sui 27 paesi europei di fonte Eurostat-Esspros, Silc, etc • Studi di caso: alcuni paesi sono stati scelti, sulla base di una valutazione del tipo di misura implementata, incrociata con l’efficacia del sistema di protezione sociale nel ridurre i tassi di povertà e con il modello di welfare a cui il sistema si richiama, per uno specifico approfondimento volto a mettere in evidenza criticità e punti di forza della misura, e possibili apprendimenti per il contesto europeo, in particolare per quanto riguarda gli aspetti legati alle modalità di reinserimento sociale e lavorativo. In sede di conclusioni lo studio ha messo in luce punti di forza e criticità della misura nel suo complesso e suggerimenti e orientamenti relativamente ad opzioni di policy percorribili. Il paper si concentra sulla analisi delle misure di reinserimento sociale e lavorativo implementate in alcuni paesi europei e sui punti di forza e di criticità messi in luce nei dibattiti nazionali o in percorsi di valutazione effettuati, dopo aver brevemente considerato alcune caratteristiche del contesto socio-economico e dei sistemi di protezione sociale dei 27 paesi UE. Si tratta per ora una di versione incompleta, in cui in particolare manca la parte relativa alla Repubblica Ceca, la cui analisi verrà completata nei prossimi giorni. Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 3 2. La lotta all’esclusione sociale in Europa La multidimensionalità del concetto di esclusione sociale, posto al centro della Agenda sociale europea e del trattato di Amsterdam, pone all’attenzione dei legislatori la necessità di impostare politiche sociali capaci di comprendere ed affrontare tale fenomeno da molteplici punti di vista. L’esclusione sociale non è necessariamente e non solo la povertà economica, e richiede, per essere fronteggiata, misure complesse, in grado di rompere il circolo vizioso della progressiva emarginazione dal proprio contesto sociale e lavorativo che conduce all’impoverimento economico e alla fuoriuscita dalla vita attiva. A tal fine in tutta Europa i diversi sistemi di welfare hanno approntato misure che presentano un fondamento comune ma profonde differenziazioni in termini di impostazione ed implementazione, anche in virtù delle differenze nelle priorità di politica sociale individuate in ciascun paese. Come è noto con l’eccezione di Grecia, Ungheria e dell’Italia, tutti gli altri paesi europei hanno introdotto un qualche strumento di integrazione del reddito inteso a supportare il beneficiario anche nella direzione di un suo reinserimento nella vita attiva. Tali misure, assimilabili al reddito minimo assumono declinazioni differenti nei vari paesi ma sono accomunate da alcune caratteristiche: • Sono forme di assistenza non contributiva e non categoriale, basate sulla prova dei mezzi, rivolte a soggetti non altrimenti protetti da politiche specifiche, e sono concepite per fronteggiare la povertà garantendo un adeguato standard di vita e il reinserimento sociale alle persone che godono di un reddito insufficiente • Sono misure spesso complementari rispetto ad altre erogazioni e sono intese quali supporti alle persone in difficoltà economica nell’ambito della creazione di una rete di protezione sociale • Sono infine misure che in molti contesti promuovono l’integrazione tra le politiche sociali e le politiche attive del lavoro, le politiche educative e di formazione, le politiche sanitarie e abitative, spesso implementate nell’ambito di una coerente strategia macroeconomica . Abbiamo scelto di approfondire l’analisi di alcune esperienze di RM in Europa con l’intenzione di andare ad approfondire alcuni aspetti che marcano in modo significativo la differenza col contesto italiano. Gli aspetti che ci sono sembrati interessanti da analizzare in termini comparativi sono quelli relativi a: • il reddito minimo quale misura inserita nell’ambito di un sistema integrato di protezione sociale capace di coinvolgere politiche ed attori differenti • il reddito minimo quale misura di integrazione sociale e lavorativa del beneficiario • i rischi, il costo della introduzione della misura e le ricadute in termini di consenso. Lo studio realizzato per il Parlamento Europeo ha consentito di ricostruire le esperienze di reddito minimo esistenti in Europa inserendole all’interno dei relativi sistemi di protezione sociale, letti attraverso il frame del modello di welfare di appartenenza. Per ciascun paese europeo ciascuna misura di contrasto all’esclusione sociale è stata inoltre analizzata confrontandola con il relativo livello di spesa dedicata all’esclusione sociale e l’efficacia di tale spesa nella riduzione della povertà. Volendo riassumere alcuni dati utili per collocare i casi studio selezionati all’interno di un contesto di riferimento si può osservare che: • la spesa media complessiva per la protezione sociale rappresenta nell’Unione Europea il 26.2% del PIL (2004). In generale sia la spesa pro capite che la % di spesa sul PIL per la protezione sociale Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 4 sono più elevati nei paesi con i tassi di povertà (dopo i trasferimenti sociali) più bassi. La spesa per la protezione sociale varia da un minimo di 12%-20% nei paesi Baltici, Irlanda, Malta, Slovakia, Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria fino ad un massimo di oltre il 30% in Danimarca, Svezia, Germania e Francia. In termini di livello di spesa pro capite in PPS i paesi che spendono di più (Lussemburgo, Svezia, Danimarca, Austria e Olanda) spendono oltre 8.000 euro annui, mentre i paesi che spendono di meno sono Lettonia, Lithuania Estonia, Slovakia, Polonia e Ungheria con un valore inferiore ai 3.000 (Eurostat Espross 2004). Al momento della realizzazione dello studio non vi erano dati disponibili relativamente a Romania e Bulgaria. • La spesa per la protezione sociale differisce fortemente nei diversi paesi non solo in termini di ammontare pro capite o di % sul Pil, ma anche relativamente alla sua composizione, anche se in tutti i paesi europei le pensioni e la sanità rappresentano ¾ della spesa per la protezione sociale: la parte restante comprende la spesa x disabilità, famiglia, disoccupazione, casa ed esclusione sociale. Considerando solamente l’esclusione sociale si osserva di nuovo chiaramente che i paesi coi livelli di spesa più elevati sono quelli con i livelli di povertà (dopo i trasferimenti sociali) più bassi: Svezia, Olanda, Danimarca, Austria, Slovenia, Finlandia, Germania, Francia, Lussemburgo. Anche in questo caso si evidenziano profonde differenze tra i paesi: il paese che spende di più pro capite a parità di potere d’acquisto è l’Olanda con 355 euro, mentre l’Italia, il paese che spende meno in assoluto, non supera gli 11,5 euro. E’ evidente che alcune differenze siano imputabili alle modalità di rilevazione ed attribuzione della spesa ai diversi capitoli, tuttavia le differenze appaiono in ogni caso significative. • Se consideriamo l’impatto delle pensioni e degli altri trasferimenti sociali nel ridurre l’incidenza della povertà possiamo osservare che in media i sistemi pensionistici riducono il tasso di povertà del 39,5%, facendolo scendere a livello europeo dal 43% al 26%; mediamente in Europa gli altri trasferimenti sociali hanno un impatto analogo nel ridurre la povertà: la riducono mediamente del 38,5% facendola scendere ulteriormente dal 26% al 16%, con ampie differenze tra paese e paese. Alcuni sistemi di welfare appaiono maggiormente efficaci nel ridurre l’incidenza della povertà di altri: vi sono sistemi che si appoggiano maggiormente sul contributo offerto dal sistema pensionistico ed altri che contano maggiormente sui trasferimenti sociali diversi dalle pensioni. Come è possibile osservare dalla tabella seguente in generale i secondi appaiono decisamente i più efficaci dei primi. L’efficacia nella riduzione della povertà da parte della spesa sociale escluse le pensioni è particolarmente evidente in Francia, Olanda, Austria, Repubblica Ceca, Ungheria, Finlandia, Danimarca, e Svezia, dove si ha un abbattimento del tasso di povertà superiore al 50% (calcolato osservando i livelli di povertà pre e post trasferimenti sociali). Al contrario in Lithuania, Spagna, Bulgaria e Grecia i trasferimenti sociali escluse le pensioni consentono una riduzione della povertà non superiore al 20%; l’Italia è collocata appena sopra al 20%. Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 5 Comparazione tra l’efficacia delle pensioni e degli altri trasferimenti sociali nella riduzione della povertà 90,0 80,0 70,0 60,0 50,0 effectiveness of pensions 40,0 effectiveness of other social transfers 30,0 20,0 total effectiveness 10,0 Cy G pr us re ec e Sp a Ire in Li la nd th ua P o n ia rtu ga La l tv Es ia to ni a I t Un R al ite o m y a d Ki n ia ng do Po m la nd M a B u lta lg ar ia EU Be 2 5 Lu lg xe ium m bo S l u rg ov De akia nm a Fi rk Ne n l th a n d er la G nd er s m a Fr ny a Sl nce ov en A u ia Cz H stria ec un g h R e a ry pu Sw blic ed en 0,0 Fonte: Elaborazione su dati Eurostat, 2004 Ad eccezione della Grecia e di Cipro, che presentano un elevato livello medio di spesa per i trasferimenti rivolti all’esclusione sociale con un basso grado di efficacia, nella maggior parte dei paesi in cui la spesa è utilizzata per programmi specifici volti a combattere la povertà e l'esclusione sociale piuttosto rispetto a misure generiche, l’efficacia complessiva della spesa ne è rafforzata. Questo consente di inferire che misure specifiche, quale ad esempio il reddito minimo, sono molto più efficaci nella lotta contro la povertà e l'esclusione sociale rispetto a quelle generiche e non inserite in quadro integrato di politiche. 3. Il reddito minimo quale misura inserita nell’ambito di un sistema integrato di protezione sociale capace di coinvolgere politiche ed attori differenti Una delle caratteristiche del Reddito Minimo, come abbiamo visto, è quella di essere considerato in diversi sistemi di welfare un tassello all’interno di un sistema integrato di lotta all’esclusione sociale. Una misura quale il Reddito Minimo può sviluppare le proprie potenzialità infatti solo se inserita in un sistema maturo di servizi ed interventi volti a supportare il beneficiario nelle diverse difficoltà che lo hanno portato alla deriva. Una misura puramente esistenzialistica, non portando con sé la soluzione del problema ma il mero fronteggiamento dell’emergenza, non fa che procrastinare il problema e trasformare il beneficiario in un soggetto passivo alla mercé dei ‘venti’, quello che sostanzialmente è avvenuto nella esperienza italiana. Prima di entrare nello specifico del tema dell’integrazione delle politiche di lotta alla esclusione sociale abbiamo provato a leggere le misure assimilabili al reddito minimo esistenti in Europa classificandole attraverso tre chiavi di lettura: 1. la posizione della misura nel sistema di protezione sociale, Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 6 2. l’efficacia del sistema di welfare nel quale essa è inserita analizzato nell’ambito del frame teorico dei ‘modellli di welfare’ 3. la rilevanza attribuita ai programmi di reinserimento sociale e lavorativo. Obiettivo di questa tripla classificazione è quello di arrivare a selezionare alcuni casi studio sui quali poi condurre una analisi in profondità relativamente alle misure di reinserimento sociale e lavorativo attivate. Da un lato abbiamo dunque osservato a quale punto della rete di protezione sociale le misure di reddito minimo si pongono, per valutare quanto, lungo un continuum, esse rappresentino ‘la rete’ in quanto tale, ovvero si configurino quali strumenti universalistici e/o onnicomprensivi, e quanto invece, all’altro estremo del continuum, si connotino come misure di last resort che vengono attivate solo dopo aver esaurito qualsiasi altra risorsa esistente a sostegno del beneficiario. La fonte per tutte le analisi successive è il Missoc. Un primo gruppo è costituito dai paesi che assumono il reddito minimo come misura universalistica e/o onnicomprensiva: è il caso soprattutto di Lussemburgo, Austria, Repubblica Ceca, Polonia, Malta, Slovacchia e Romania; all’altro estremo del continuum abbiamo collocato i paesi dove il reddito minimo è l’ultima possibilità per chi ha già usufruito di tutte le altre possibili misure specifiche. In questo caso il sistema prevede sia misure di assistenza categoriali che una misura generale di reddito minimo. A questo gruppo appartengono in particolare Francia, Finlandia, Germania, Irlanda e Inghilterra; gli altri paesi infine si collocano tra i primi due poli del continuum, a parte un gruppo molto più ristretto di paesi che non hanno una misura generale e/o nazionale di sostegno, o hanno solo misure categoriali (Italia, Ungheria e Grecia, Spagna). Abbiamo poi incrociato tale tipologia con il pattern del modello di welfare di appartenenza: abbiamo aggiunto ai 4 ‘modelli’ noti in letteratura (Nordico, Continentale-Bismarckiano, Liberale, Mediterraneo) un quinto raggruppamento di paesi, quelli dell’ex blocco comunista, che presentano caratteristiche differenti in relazione alle politiche sociali che hanno implementato e alle modalità di democratizzazione e di ingresso nell’economia di mercato, ma che condividono, oltre al sistema politico di provenienza, anche il fatto che durante il Comunismo hanno sviluppato un sistema di servizi ed interventi sociali generoso, in particolare in relazione ai servizi per l’infanzia. Misura universalistica omnicomprensiva Sweden Nordic countries Liberal model Continental Europe Southern Europe Eastern Europe ← Luxembourg Austria Malta → Denmark Belgium (Netherlands) Poland Slovakia Czech Republic Romania Cyprus Lithuania, Slovenia, Latria, Bulgaria, Estonia, Portugal Ultima istanza Solo misure categoriali e/o assenza di misure nazionali di reddito minimo Finland UK (Ireland) France Germany Italy Spain Greece Hungary Elaborazione su dati di fonte Missoc Come è possibile osservare dalla tavola successiva, e come era atteso, si osserva una notevole correlazione tra il modello di welfare e l’efficacia dei sistemi nella riduzione della povertà, con l'eccezione dei paesi dell'Est Europa, che presentano un’ampia differenziazione interna. Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 7 Modello di Welfare Efficacia dei trasferimenti sociali (escluse le pensioni) nella riduzione della povertà Alta (oltre 50%) Nordic countries media (30%-50%) Sweden Denmark Finland Liberal model UK (Irlanda) Continental Europe France Belgium Luxembourg Germany (Netherlands) Austria Southern Europe Eastern Europe Bassa (fino a 30%) Italia Spagna Greece Portugal Cipro Malta Czech Republic Slovenia Hungary Slovakia Lithuania Polonia Latvia Estonia Missing cases: Bulgaria, Romania - Elaborazione su dati di fonte Missoc ed Eurostat 2004 I paesi europei hanno sviluppato mix differenti di strategie, strumenti e "programmi sociali" in direzione del superamento della condizione di esclusione sociale, mix che prevedono modalità differenti di coinvolgimento dei beneficiari e dei diversi attori delle politiche. Negli ultimi dieci anni la maggior parte dei paesi europei ha promosso importanti cambiamenti e riforme nei sistemi di protezione sociale e nelle politiche del lavoro nella direzione di una sempre più accentuata ‘activation of passive expenditure’, e pertanto verso programmi sempre più orientati all’inserimento lavorativo, fino alla implementazione in molti paesi di sistemi del cosiddetto 'Welfare-to-work', rafforzando in tal senso sempre più il legame tra lavoro e diritti sociali. Vediamoli nel dettaglio: a) Progetti orientati al reinserimento lavorativo: La maggior parte dei paesi vincolano l'erogazione economica alla partecipazione del beneficiario a programmi orientati al reinserimento lavorativo o al potenziamento della sua occupabilità attraverso percorsi formativi, e professionalizzanti. I beneficiari vengono supportati nel percorso attraverso attività di consulenza personalizzata, e attività di orientamento e preparazione ai colloqui di lavoro a cui in molti paesi seguono proposte di collocamento in specifiche posizioni lavorative (Germania, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Irlanda, Repubblica Ceca, Slovenia, Slovacchia, Regno Unito, Bulgaria, Francia, Olanda, Spagna, Portogallo, Danimarca, Svezia). In generale in questi paesi la partecipazione a tali programmi rappresenta un requisito essenziale all’ottenimento del sostegno economico. In alcuni paesi il rifiuto di partecipare ai programmi e alle occasioni lavorative offerte senza giustificato motivo, comporta la riduzione o la sospensione dell’erogazione stessa: ciò vale in particolare per la Bulgaria, Danimarca, Estonia, Lithuania, Olanda. b) Progetti orientati all’inclusione sociale Tali programmi sono generalmente rivolti ai beneficiari della misura considerati non in grado di lavorare: essi includono diverse azioni, quali attività formative (promosse in molti paesi), consulenza e sostegno ai beneficiari con bisogni specifici legati alla vita quotidiana (ad esempio nel Regno Unito, Francia, Slovenia); occasioni di partecipazione attiva alla vita della comunità, ad esempio per i pensionati o attività socialmente Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 8 utili come il giardinaggio in spazi pubblici (in Germania, Bulgaria); cure mediche e riabilitazione per esempio nel caso dei beneficiari con problemi di alcool o abuso di droghe (in Estonia, Lettonia, Slovenia); attività di cura familiare rivolti ad anziani e bambini (in particolare nell’esperienza Italiana). Molti di questi programmi sono quelli che sono stati maggiormente sviluppati nell’ambito della sperimentazione italiana del RMI. In alcuni paesi la partecipazione a programmi di attivazione è su una base volontaria, mentre in altri la partecipazione a programmi o l'accettazione di opportunità di lavoro offerte è obbligatoria a pena di decadenza dalla misura. c) Politiche fiscali ed economiche Infine, con l’obiettivo di evitare uno dei principali limiti della misura che è il rischio della trappola della povertà e per stimolare i beneficiari ad accettare le opportunità di lavoro offerte, alcuni paesi hanno elaborato strategie specifiche che prevedono o di escludere una parte del reddito di lavoro (o l'intera retribuzione per un periodo limitato) nel calcolo del reddito, al fine di garantire anche in caso di occupazione il beneficio del reddito minimo; oppure di ridurre gradualmente l'importo del reddito minimo quando un beneficiario inizia a lavorare. Tali strategie sono implementate in particolare in Danimarca, Cipro, Repubblica Slovacchia, Portogallo, Germania, Belgio, Romania, Paesi Bassi, Regno Unito. Un'altra strategia volta ad evitare la trappola della povertà è quella della implementazione di sistemi di erogazione economica che non scoraggino l’aumento del reddito del beneficiario: in alcuni paesi è chiamata ‘indennità di ritorno al lavoro’ ed è presente nel Regno Unito, Lettonia, Francia, Irlanda e Malta. Nessun programma attivato Solo tre paesi non sembra abbiano previsto programmi di inserimento sociale e/o lavorativo né specifici incentivi fiscali od economici al reinserimento: si tratta in particolare Austria, Lithuania e Polonia. Tuttavia, in Polonia e in Lithuania, le persone con residue potenzialità lavorative hanno l’obbligo di registrarsi presso l'Ufficio del Lavoro e ad essere disponibili ad accettare attività lavorative o formative qualora venissero loro proposte. In sintesi il quadro che sembra emergere è il seguente: Reins. sociale + reins lavorativo + politiche fisc ed ec Denmark France Germany Ireland Latvia Malta Portugal Slovak Rep The Netherlands United Kingdom Reins. sociale + reins. lavor Bulgaria Czech Rep Luxembourg Spain Reins lavor + politiche fisc ed ec Sweden Reins. sociale Estonia Finland politiche fisc ed ec Belgium Cyprus Romania Nessun programma Austria Lithuania Poland Elaborazione su fonte Missoc Dal quadro che è emerso si è pertanto scelto di analizzare in profondità i seguenti paesi: • Danimarca: modello nordico caratterizzato da alta spesa per l’esclusione sociale, spesa che garantisce l’efficacia nella riduzione del livello di povertà tra le più elevate in Europa (seconda solo Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 9 alla Svezia), con una misura assimilabile al reddito minimo inserita in una strategia solida, coerente e supportata da una vasta gamma di misure mirate alle varie dimensioni dell’esclusione sociale, appoggiata ad un vasto e coerente programma di reinserimento sociale e lavorativo; • UK: sistema di welfare appartenente al modello liberale, che presenta una spesa per la protezione sociale in tema di esclusione sociale medio-alta che garantisce un livello medio di efficacia. La misura di minimum income attivata è senz’altro una misura di ultima istanza che in ogni caso pone un forte accento sui progetti e percorsi di reinserimento sociale. • Germania e Francia: due paesi del modello continentale bismarkiano caratterizzati entrambi da un elevato livello di spesa per l’esclusione sociale che garantisce una media efficacia nella riduzione della povertà. Anche in questo caso i modelli assimilabili al reddito minimo attivati possono essere considerati di ultima istanza • Repubblica ceca: è una esperienza di particolare interesse per vari motivi. E’ un paese che apparteneva all’ex blocco sovietico, che oggi presenta un articolato sistema di protezione sociale che viene considerato tra i più efficaci in Europa nel ridurre la povertà economica. Inoltre è un paese che ha attivato una misura assimilabile al reddito minimo che possiamo considerare universalistica e onnicomprensiva, almeno fino alle più recenti trasformazioni, con una forte attenzione alle misure di reinserimento sociale e lavorativo e al contenimento del rischio della trappola della povertà. L’Italia, che viene trattata solo in termini di “benchmark” (nel senso letterale e figurato del termine: pietra di paragone, parametro di riferimento) nelle conclusioni, appartiene al modello mediterraneo, presenta la più bassa spesa destinata all’esclusione sociale in Europa, con un livello di efficacia tra i più bassi, non possiede una misura di reddito minimo nazionale mentre dispone di varie misure categoriche nessuna delle quali inserita in un quadro strategico coerente e finalizzato. Iniziamo dunque a vedere come i diversi casi analizzati rispondono alla prima questione: il reddito minimo quale misura inserita nell’ambito di un sistema integrato di protezione sociale capace di coinvolgere politiche differenti. Il cash benefit e il Kontanthjælp all’interno della flexicurity danese La Danimarca è un caso interessante oltre che per i motivi già descritti anche perché ha sviluppato il ben noto modello di politica sociale, chiamato "flexicurity", che combina una politica del lavoro ‘pro-attiva’, con elevata flessibilità richiesta ai lavoratori i quali nel contempo godono di un elevato livello di tutela. La flessibilità implica semplicità nella assunzione e nel licenziamento dei lavoratori a cui si accompagnano consistenti benefici e supporti per i disoccupati. Si tratta di un modello particolarmente efficace e stimolante che l'Unione europea sta studiando come un possibile futuro modello sociale europeo, soprattutto perché tale sistema ha contribuito a portare la Danimarca alla quasi piena occupazione. Il successo danese, che consiste in un forte calo della disoccupazione e un basso tasso di inflazione, è legato alla attivazione di una strategia sistemica ed integrata tra i diversi settori delle politiche sociali e del lavoro e le politiche macroeconomiche e al virtuoso coinvolgimento ed interazione di diverse istituzioni ed organizzazioni, ciascuna delle quali con ruolo e responsabilità specifiche: il governo centrale, che svolge un importante ruolo di regolamentazione del sistema, gli enti locali che implementano le politiche di attivazione, i sindacati e le associazioni imprenditoriali, che vengono coinvolte nel processo di attuazione come parte di una nuova forma di partenariato sociale. Kontanthjælp (assistenza sociale) è lo strumento operativo nell’ambito della strategia complessiva ed è sorto nel 1993 a seguito di una radicale riforma del sistema di safety-net che tuttavia non ha assolutamente ridotto i Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 10 generosi sussidi di disoccupazione, ma attraverso una loro ridefinizione nella direzione di un molto più accentuato reinserimento delle persone nel mercato del lavoro con l’obiettivo di fondo di 'utilizzare il denaro più attivamente'. Il cash benefit, la mera erogazione economica, rappresenta il livello minimo di protezione nell’ambito della rete di sicurezza sociale e viene erogata solamente laddove non vi sia nessun altra opzione disponibile e solo una volta esaurite tutte le altre forme di sostegno messe a disposizione dal sistema sociale. In tale contesto è il reddito da lavoro o da pensione del nucleo familiare che viene preso in considerazione per la definizione della condizione di bisogno. Come è possibile osservare dalla figura seguente, negli ultimi anni, grazie agli esiti delle politiche implementate, il numero di beneficiari dei cash benefits si è progressivamente ridotto: L’Income support inglese nell’ambito del programma ‘Opportunity for all’ Anche nel sistema inglese il sostegno economico è strettamente connesso alla reintegrazione attiva nel mercato del lavoro. Il Regno Unito ha un piano nazionale contro la povertà chiamato 'Opportunity for All' lanciato nel 1999. I quattro elementi chiave della strategia volta ad alleviare la povertà e l'esclusione sociale sono articolati come segue: a) rendere possibile il lavoro; b) fornire sicurezza economica e inclusione sociale, in primo luogo attraverso un lavoro che paga; c) rottura della deriva che porta all’esclusione sociale; d) miglioramento dei servizi pubblici per tutti. La misura di sostegno al reddito si inserisce in una strategia complessiva introdotta nel 1988, ma successivamente modificata, che prevede l’implementazione di misure specifiche per i diversi target di popolazione coinvolti nell’ambito di una organica rete di sicurezza: Working age Income Support Incapacity Benefit Jobseeker’s Allowance Disabled people and carers Disability Living Allowance (adult) Disability Living Allowance (child) Attendance Allowance Child maintenance Child maintenance Pensions and retirement State Pension – pension credit (UK) State Pension (overseas) Source: Department for Work and Pensions Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 11 Il Sozialhilfe nella riforma complessiva del sistema tedesco Il sistema tedesco, precedentemente tipico esempio del "Modello Bismarckiano", è stato profondamente riformato attraverso la recente cosiddetta riforma Hartz IV che si compone di una ampia revisione delle politiche del lavoro e della assistenza sociale ed ha visto l’introduzione dell’obbligo al lavoro. E’ stata infatti introdotta una nuova forma di "assistenza di base" (Grundsicherung) per coloro in età lavorativa (dai 16 ai 65 anni) che sono ritenuti occupabili. Rimangono beneficiari della precedente forma di supporto economico solo coloro che sono sotto i 15 anni o che non sono valutati in grado di lavorare almeno tre ore al giorno. Dopo 65 anni invece la pensione sostituisce l'assistenza sociale. A seguito della riforma la grande maggioranza degli ex beneficiari delle misure di sostegno economico Alh e Sozialhilfe, a partire dal 2005 sono stati così considerati "erwerbsfähig" (lavoratori), e pertanto potenzialmente attivabili. La situazione specifica di ciascuno di essi è stata esaminata per verificare la loro effettiva occupabilità, e laddove essa sia stata considerata tale essi sono stati inseriti nell’ambito delle liste di disoccupazione. La misura del Sozialhilfe è diventata pertanto una misura di ultima istanza da erogare esclusivamente alle persone non in grado di lavorare per malattia o disabilità con una incapacità permanente al lavoro, ai pensionati con una pensione minima, e ai bambini in stato di bisogno, mentre per tutti coloro che hanno una qualsiasi potenzialità di reinserimento è prevista una forte azione volta al reinserimento lavorativo. Il beneficio viene calcolato sulla base delle caratteristiche del nucleo familiare e delle sue specifiche esigenze. Nel 2007 i beneficiari della misura sono risultati essere 1.980.271. Il Revenu Minimum d’Insertion (RMI) in Francia all’interno del sistema dei Minima Sociaux Dal 1988 il RMI è il principale strumento nella lotta contro la povertà in Francia: è sorto con l’idea di combinare una erogazione economica universale con un precorso di integrazione sociale. E’ una misura rivolta a tutti coloro le cui risorse sono al di sotto di un livello di reddito che varia a seconda delle dimensioni della famiglia. Il ‘piano della coesione sociale’ adottato nel 2004 ha rotto con il precedente approccio caratterizzato da frammentazione e compartimentazione degli interventi nella direzione di una integrazione tra tre pilastri dell’inclusione sociale: l'occupazione, la politica della casa e l’inclusione sociale. Una vasta gamma di misure (denominate Minima sociaux) sono state attivate per prevenire e combattere l'esclusione, in base alle esigenze specifiche di ogni individuo: il sostegno alle persone in cerca di occupazione e il ritorno alla vita attiva, l’integrazione sociale e lavorativa dei giovani, lo sviluppo del social housing, l'accesso ai diritti della sanità e dell'istruzione. I Minima sociaux sono prestazioni sociali a carattere non contributivo per chi è in condizioni economiche precarie. Sono 9 i tipi di Minimi sociali: ⇒ Il RMI garantisce un reddito minimo a qualsiasi persona di almeno 25 anni di età (meno in presenza di figli a carico): è la misura indirizzata verso le forme generiche di esclusione. Altre declinazioni della misura sono invece finalizzate ad obiettivi specifici per target specifici di utenza: i disoccupati di lunga durata, famiglie monoparentali, le persone con disabilità, gli anziani. Alla fine del 2004 i beneficiari di tale misura sono risultati essere circa un milione ⇒ L’API è rivolto alle famiglie monoparentali con bambini piccoli ⇒ L’ASV è un reddito minimo indirizzato alle persone anziane a basso reddito ⇒ L’ASS è rivolto ai disoccupati che abbiamo esaurito/superato la soglia di eleggibilità per l’indennità di disoccupazione, ma che abbiamo maturato 5 anni di contributi ⇒ L’AER è rivolta a coloro che abbiano raggiunto il minimo di contributi necessari per la pensione ma che non hanno ancora compiuto 60 anni Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 12 Gli altri minima sociaux sono rappresentati da provvidenze ancora più specifiche: la ‘pensione di reversibilità’ per i coniugi di beneficiari della ‘pensione sociale’ defunti, la pensione pre gli anziani invalidi, per gli excarcerati, i rifugiati e gli asylum seekers, oltre ovviamente a forme varie di pensione di invalidità per chi non abbia un livello di disabilità estremamente grave. La repubblica ceca…. 4. Il reddito minimo quale misura di integrazione sociale e lavorativa del beneficiario Il programma danese A New chance for everyone, lanciato nel 2006, ha inoltre dato avvio ad iniziative volte ad accrescere l’occupabilità delle persone svantaggiate sia nel mercato del lavoro tradizionale che attraverso opportunità di occupazione protetta. In questo contesto le politiche sociali e del mercato del lavoro si completano a vicenda; il sistema delle pensioni di invalidità e le regole di accesso alle prestazioni sociali sono stati profondamente riformati nella direzione di un sistema capace di massimizzare le opportunità di reinserimento sociale e lavorativo per tutti i cittadini, che sia capace di garantire che nessuno perda il lavoro a causa di un deterioramento delle condizioni psicofisiche. Tale strategia di workfare viene descritta in letteratura come una strategia offensiva piuttosto che difensiva che pone l'accento sull'attivazione, piuttosto che sull’erogazione di sussidi, volta a migliorare le competenze dei soggetti potenzialmente attivabili attraverso la formazione e l’istruzione puntando sull'empowerment piuttosto che il controllo e la sanzione. L'obiettivo del sistema è quello di far emergere ed incoraggiare tutte le risorse e le competenze residue che anche le persone più svantaggiate possiedono, considerando ciascun cittadino una risorsa preziosa per se stesso e per la società nel suo complesso. Pertanto il sistema incentiva le attività volte a reinserire tali soggetti nel mercato del lavoro attraverso la mobilitazione di tutte le opportunità sociali e di sostegno economico esistenti, laddove i supporti meramente occupazionali siano insufficienti. Se le persone oltre ad essere disoccupate, presentano anche un complesso di problemi sociali quali una condizione sociale difficile, problemi di salute, problemi legati all’abuso di sostanze, il sistema garantisce sostegno e supporto fino a che è possibile affinché potenzialmente nessuno venga trasformato in un mero beneficiario passivo di sostegno economico. Le amministrazioni locali promuovono progetti personalizzati quanto più tempestivamente possibile componendo pacchetti che comprendono corsi di formazione, counselling, percorsi riabilitativi, posti di lavoro protetti, accesso agevolato ai mezzi di trasporto, ecc e redigono un action plan controfirmato ed impegnativo per ambo le parti. Se il disoccupato rifiuta la proposta perde il sostegno economico per quattro settimane; in gravi e ripetuti casi, il diritto al sostegno può venire revocato definitivamente. Un aspetto di particolare rilievo è che il programma A new chance for everyone coinvolge tutti i livelli istituzionali e di governo e vede gli enti locali parte attiva nella costruzione dei percorsi attivanti verso cui indirizzare i beneficiari del sostegno economico. Nel Regno Unito l’income support viene erogato alle persone tra i 16 e 60 anni che sono a basso reddito impegnati lavorativamente fino ad un massimo di 16 ore alla settimana a causa di problemi di salute o disabilità, o perché si prendono cura di una persona malata o disabile o infine perché sono genitori in nuclei monoparentali con figli di età inferiore ai 16 anni. Questo significa che chi esula da tali fasce è inserito in specifici percorsi di reinserimento lavorativo. In particolare è interessante notare che a partire dal 1996 per i disoccupati potenzialmente attivabili, allo scopo di ridurre il rischio di "trappola della povertà", la misura dell’Income Support e il sussidio di disoccupazione sono state sostituite dal Jobseeker’s Allowance (JSA), una misura che presenta una attenzione molto più forte all’attivazione dei beneficiari, e pertanto mirata proprio a favorire il loro rapido ritorno al lavoro: l’introduzione della JSA infatti prevede per i beneficiari della misura Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 13 percorsi protetti e supportati da attività di counselling e tutoraggio realizzati dagli operatori dei Jobcenter volti a garantire un più agevole reingresso nel mercato del lavoro. Una attenzione particolare è stata posta dalla riforma sul reinserimento sociale e lavorativo delle famiglie monoparentali che vengono supportati nel percorso di reinserimento attraverso colloqui, consulenza mirata ed interviste. Una prima valutazione degli esiti suggerisce che ciò non sia sufficiente ad incoraggiare i genitori a scegliere di rientrare nel mercato del lavoro piuttosto che rimanere beneficiari dell’IS (Dwp, 2007d). Alcuni studi condotti sugli esiti della misura hanno evidenziato che tale riforma ha avuto un impatto notevole in tal senso: infatti da un numero di adulti beneficiari delle misure di sostegno economico (IS o JSA) pari a 2 milioni 290mila nel 1996, i beneficiari nel 1999 sono scesi a 1 milione 770 mila, cifra che, nonostante il successo della riforma, poi è rimasta più o meno costante tra il 1999 e il 2006. (Dwp, 2003). Le critiche sollevate al sistema evidenziano in particolare la necessità di introdurre meccanismi più efficaci nel promuove l’attivazione dei beneficiari andando in particolare ad individuare con maggiore precisione le specifiche esigenze di ciascun richiedente (Dwp, 2007b). Un altro limite del sistema che è stato evidenziato è legato a problemi organizzativo-gestionali dei servizi in particolare da un lato per quanto riguarda la mancanza di competenze specifiche degli operatori sociali nella attivazione dei percorsi di reinserimento e dall’altro la difficile cooperazione tra i diversi livelli istituzionali necessaria all’implementazione dei progetti di attivazione. Uno degli obiettivi anche della riforma del Sozialhilfe tedesco è stato quello di introdurre precorsi di attivazione ed inserimento lavorativo per tutti i beneficiari di assistenza, legando l’erogazione del sussidio all’impegno personale nei confronti di un percorso che può prevedere sia l’ingresso nel mercato del lavoro regolare sia la partecipazione a specifici progetti attivati dai Comuni. I percorsi di reinserimento lavorativo si compongono in particolare di tre misure: • Zumutbarkeit (lavoro ‘dignitoso’): è una offerta di lavoro che i beneficiari dell’Alg II (ovvero soggetti con residue potenzialità di attivazione), sono tenuti ad accettare. In caso di mancata accettazione i beneficiari posso essere passibili di sanzioni, a parte in casi molto particolari quali la malattia, la necessità di prendersi cura di bambini, o laddove non vi siano opportunità lavorative • Zusatzjobs (nuovi posti di lavoro): è una forma di inserimento lavorativo protetto o (o di pubblica utilità), non rappresentato da un lavoro retribuito: si tratta di lavori protetti messi a disposizione dal volontariato (associazioni cattoliche e protestanti, Croce Rossa, ecc) e dai Comuni e consentono al lavoratore di ottenere una integrazione rispetto all’importo base in termini di uno a due euro per ora lavorata. Si tratta di percorsi di inserimento riservati ai beneficiari suscettibili di essere attivati, ma non riescono ad entrare nel mercato del lavoro tradizionale e che non sono 'sufficientemente occupabili' per essere ammissibili per le tradizionali misure di politica per l'occupazione. • Arbeitsgelegenheiten (Opportunità di lavoro): è la forma di attivazione per i beneficiari più difficilmente occupabili ed ha lo scopo prioritario di testare la disponibilità e le potenzialità di attivazione. Tutti i beneficiari sono in ogni caso tenuti a concludere un Eingliederungsvereinbarung (contratto di inserimento). Tutti i beneficiari di Reddito Minimo in Francia devono sottoscrivere un contratto d'integrazione. Si tratta di un impegno reciproco tra il beneficiario e il presidente del Consiglio Generale, l’ente che gestisce la misura, volto all’avvio di un precorso di integrazione personalizzato che può comprendere azioni legate alla vita quotidiana (miglioramento della gestione del bilancio personale, l'assistenza sanitaria, l'alloggio...), formazione (orientamento professionale, progetti di integrazione), reinserimento nella vita professionale attraverso l’individuazione di una attività adeguata alla situazione nell’ambito del mercato del lavoro regolare che nell’ambito di progetti di pubblica utilità e posti di lavori protetti. Tra il 2002 e il 2004 tuttavia le opportunità di lavoro protetto sono state fortemente ridimensionate: nonostante siano opportunità di attivazione che non Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 14 garantiscono un duraturo reinserimento nel mercato del lavoro esse contribuiscono in ogni modo ad un miglioramento nelle condizioni di vita e delle opportunità dei più svantaggiati. Una valutazione dell’impatto negativo che tale ridimensionamento ha comportato nelle condizioni di vita di molte famiglie ha portato a partire dal 2005 ad un nuovo impulso in tal senso: con la ridefinizione delle caratteristiche e del target dei diversi minimi sociali sono state anche ripensate le modalità di accesso al mercato di lavoro protetto per i beneficiari delle misure. Repubblica ceca: 5. I rischi, il costo della introduzione della misura e le ricadute in termini di consenso In Danimarca il dibattito ha evidenziato che la strategia che è stata implementata ha di fatto evitato il diffondersi di fenomeni di marginalizzazione sociale e ha avuto il grande pregio di impostare percorsi di reinserimento in grado di agire sugli specifici bisogni dei beneficiari. Tale strategia ha suscitato ampio consenso in tutti i settori della società: il cosiddetto ‘miracolo danese’ è il risultato di una collaborazione pragmatica tra lavoratori, datori di lavoro e istituzioni tutti convinti che un fluido del mercato del lavoro e una sana economia siano la conditio sine qua non di qualsiasi società avanzata. Si tratta di un sistema fortemente centrato alla valorizzazione di tutte le risorse pubbliche e private esistenti sul territorio in termini di competenze, personale e finanziamenti, ecc, e fornisce una base autorevole per la nuova enfasi sui diritti e gli obblighi di tutti i cittadini. L’attivazione sociale viene considerata a tutti gli effetti quale un diritto del beneficiario, che viene coinvolto direttamente nella predisposizione del programma di intervento che deve corrispondere effettivamente alle sue specifiche necessità. Per questo poca attenzione e poche risorse vengono destinate alle attività di controllo e sanzione degli inadempienti. La riforma del sistema ha anche previsto una riduzione della pressione fiscale sui redditi medi al fine di contenere le dinamiche conflittuali insider-outsider. La letteratura descrive la strategia di workfare implementata in Danimarca come una strategia in grado di rinnovare e consolidare il sistema universalistico di welfare danese, anche se da alcune parti si è paventata la minaccia che ciò rischi di portare alla sua dissoluzione. Alcuni autori hanno infatti intravisto il rischio che la nuova politica neo-liberista di "workfare" rappresenti un mezzo per tagliare la spesa sociale pubblica (Hornemann Møller, 1996), altri hanno considerato la nuova politica come un indebolimento della responsabilità pubblica per i più deboli (Ketcher, 1996), altri ancora hanno criticato il fatto che i soggetti reinseriti attraverso politiche di attivazione non godano delle medesime garanzie di chi è inserito nel mercato del lavoro ordinario, in particolare perché presentano un livello salariale più basso. Il sistema viene infine giudicato dalla letteratura come relativamente costoso, nonostante sia difficile misurarne i costi con precisione. Stime informali realizzate dal Ministero del Lavoro indicano tuttavia che l’attuale sistema di attivazione ha un costo comparabile col sistema precedente la riforma. Per evitare che le misure messe a disposizione possano costituire un disincentivo al lavoro, il sistema inglese è impostato in modo tale da garantire che le misure agiscano nella direzione di 'rendere vantaggioso il lavoro: to make the work pay', attraverso lo sviluppo di sistemi fiscali e assistenziali capaci di supportare il rientro nel mercato del lavoro non penalizzando un eventuale incremento del reddito. Le nuove misure targettizzate garantiscono un importo maggiore rispetto alle misure precedenti di sostegno al reddito, ad eccezione degli adulti in età lavorativa: negli ultimi anni infatti accanto ad un progressivo aumento del livello di sostegno al reddito per le famiglie composte da pensionati e per le famiglie con due o più figli, si è assistito ad una decisa riduzione dell’importo erogato agli adulti in età lavorativa senza figli (NPI, 2006). Il governo ha anche previsto l’introduzione della misura della tassazione negativa o credito d’imposta a supporto dei lavoratori a basso Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 15 reddito perché rende particolarmente vantaggioso accettare una occupazione poco remunerata piuttosto che accedere al sussidio di disoccupazione. Si tratta di una misura che viene giudicata particolarmente utile da un lato quale incentivo al lavoro e dall’altro quale modalità di integrazione del reddito non stigmatizzante per i riceventi. La riforma del sistema di welfare tedesco ha senz’altro dato un impulso all'economia del paese e dopo 10 anni di crisi l'economia tedesca si è risollevata: la valutazione degli esperti è che il rapido calo della disoccupazione abbia senz’altro concorso a tale crescita. Nonostante il successo l'opinione pubblica ha mostrato un grande malcontento e al momento della stesura del caso studio il dibattito, in particolare nella sinistra, verteva sulla necessità di condividere i buoni risultati ottenuti aumentando le prestazioni rivolte ai soggetti maggiormente svantaggiati. Il sistema, che prevede incentivi economici legati all’inserimento lavorativo (che consistono da un lato nell’incremento dell’importo percepito rispetto al livello di base e dall’altro in una riduzione della pressione fiscale che significa il percepimento di un importo netto più elevato), sembra tuttavia essere tale da comportare un rischio di disincentivazione all’ingresso nel mercato del lavoro regolare: il confronto tra il salario di un lavoratore non specializzato o a tempo parziale e l'importo erogato attraverso Alg II (a cui vanno normalmente a sommarsi altre forme di sostegno economico) è tale da creare un dilemma al potenziale beneficiario. Le occupazioni protette definite zusatzjobs sono senz’altro di qualità inferiore, ma garantiscono un buon livello di reddito a fronte di un lavoro meno impegnativo rispetto ad una occupazione regolare. Un punto forte del sistema viene da più parti indicato nella decentralizzazione della sua gestione e governance: come in altri paesi federali (OCSE, 1999) o anche non federali ma che hanno devoluto l’assistenza sociale alle amministrazioni locali (OCSE, 1998, e 1998a) il decentramento permette una maggiore discrezionalità nella declinazione locale della misura garantendo una più adeguata risposta alle esigenze dei cittadini del territorio. Inoltre una diversa articolazione della misura a livello territoriale consente in un certo senso di testare mix diversi di servizi ed interventi favorendo l’emergere di una competizione interna che arrivi ad evidenziare le soluzioni migliori ai costi più bassi. Da un altro punto di vista tuttavia il decentramento degli interventi ha fatto si che il sistema implementato sia un sistema costoso: esso implica minori economie di scala, maggiori costi amministrativi e il rischio di attivare processi di mobilità territoriale tra i beneficiari che si spostano dove la misura appare più generosa. Inoltre attribuire le competenze della formulazione di progetti di reinserimento ad enti locali che insistono su territori troppo piccoli limita notevolmente i servizi implementabili, riduce la possibilità di avere a disposizione competenze specialistiche oltre ad un più piccolo mercato di riferimento per l’attivazione di opportunità di lavoro. Quasi inevitabilmente, i distretti rurali sono quelli che verranno maggiormente penalizzati. Il dibattito evidenzia che un sistema di welfare efficiente non dovrebbe presentare differenze interne troppo marcate: i cittadini dovrebbero godere dello stesso tipo di protezione sociale indipendentemente da dove vivono. Un sistema squilibrato da questo punto di vista infatti non garantisce la sua sostenibilità perché porta i beneficiari a spostarsi da un territorio che offre meno opportunità a quello contiguo che ne offre maggiori. La riforma "Hartz IV" ha inoltre evidenziato in sede di attuazione una serie di problemi: l’unificazione degli interventi rivolti in precedenza ai disoccupati e ai beneficiari di assistenza economica occupabili, beneficiari che ora ricevono lo stesso tipo di assistenza, ha comportato la creazione di una nuova struttura istituzionale composta da enti diversi (ufficio di collocamento ed enti locali) in forma di "consorzio" (ARGEn), che utilizza personale e risorse finanziarie di entrambi. Ciò ha comportato l’integrazione di due mentalità amministrative molto diverse ed è ancora difficile individuare una precisa attribuzione di responsabilità. L’idea iniziale della riforma Harz era quella arrivare ad individuare un unico riferimento per tutti coloro in cerca di lavoro ma l’operazione si è rivelata molto più complessa del previsto. L’aspetto positivo emerso è che la riforma è in ogni caso riuscita ad introdurre una transizione importante senza forti scosse per i beneficiari, che in gran parte Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 16 hanno vissuto solo uno slittamento da una forma di assistenza ad un’altra senza patire gravi conseguenze in termini economici. Anche in Francia il reddito minimo ha posto il legislatore di fronte al dilemma della trappola della povertà, che ha portato all’introduzione di correttivi di varia natura tra i quali in particolare l’introduzione di vincoli stringenti volti a legare più strettamente possibile l’erogazione economica all’accettazione della proposta di attivazione offerta e l’introduzione di politiche per l'occupazione che ruotano attorno a due assi principali: una riduzione del costo del lavoro attraverso la riduzione/eliminazione degli oneri sociali versati per i bassi salari, e una serie di riforme che hanno fornito incentivi finanziari a coloro che rientrano nel mercato del lavoro. Più recentemente è stata introdotta una forma di tassazione negativa, sul genere di quella introdotta in UK, e a partire dal 2003 il reddito minimo è stato sempre più trasformato in uno schema che possiamo chiamare di welfare-to-work: è stato introdotto il Revenu Minimum d’Activité (RMA) che ha introdotto un processo di selezione tra i beneficiari del RMI per identificare quelli potenzialmente occupabili, ed è stato introdotto un bonus per gli imprenditori interessati ad assumere beneficiari della misura. Alcuni osservatori hanno notato che una misura che incentiva fortemente, anche attraverso bonus economici e fiscali, l’inserimento lavorativo dei beneficiari, comporta però un forte rischio: l’accettazione di occupazioni di bassa qualità o scarsamente remunerate che può far aumentare significativamente il numero dei working poor. In Francia la progressiva decentralizzazione della misura, il cui governo è stato demandato al livello locale, ha posto problemi analoghi a quelli presentati per la Germania in termini di distribuzione di oneri e risorse tra il livello locale e quello centrale, che ha comportato in Francia il rischio di un aumento delle tasse locali a sostegno della misura e/o una riduzione del numero dei beneficiari (Burgi, 2006). Analogamente a quanto osservato anche per la Germania, e che era stato evidenziato anche dalla sperimentazione del RMI in Italia, la qualità e gli esiti dei programmi di reinserimento sociale e lavorativo sono fortemente condizionati dal contesto socio-economico in cui sono implementati. In contesti di particolare deprivazione tali programmi possono risolversi nella promozione di attività di scarsa efficacia ed utilità sia per il beneficiario che per la collettività. Un’altra criticità evidenziata in Germania si può ritrovare in Francia ed è emersa anche nella valutazione italiana: l’attivazione di programmi di reinserimento complessi richiede l’impostazione e il management da parte di operatori specificamente addestrati a tale compito dotati della strumentazione adeguata a promuovere percorsi che coinvolgono interventi afferenti a politiche differenti. La realtà è che in molti contesti tali figure non esistono e gli operatori vengono lasciati in una situazione di tensione tra gli obiettivi da raggiungere e i mezzi a disposizione (Burgi, 2006). Repubblica ceca: 6. Conclusioni Le conclusioni sono intese ad analizzare quali e quanto delle esperienze analizzate siano importabili nel contesto italiano, ponendo l’attenzione sulle condizioni che possano favorirne o al contrario limitarne l’esportabilità. Propongo di realizzare questa esercitazione teorica nell’ambito della discussione che seguirà la presentazione del paper, i cui esiti verranno successivamente sistematizzati e proposti quale conclusione del documento. Istituto per la Ricerca Sociale www.irs-online.it 17 Principali riferimenti bibliografici La principale fonte dello studio nella descrizione degli schemi di reddito minimo è il Missoc (European information system on social protection). Barbier J.C., Analyse comparative de l’activation de la protection sociale en France, Grande-Bretagne, Allemagne et Danemark, 2006 Behrendt, C. (2000) “Do means-tested benefits alleviate poverty?: Evidence on Germany, Sweden and the United Kingdom from the Luxembourg Income Study”, Journal of European Social Policy Bison, I. and Esping-Andersen, G. (2000) “Unemployment, Welfare Regime and Income Packaging”, in D. Gallie and S. Paugam (eds), Welfare Regimes and the Experience of Unemployment in Europe, pp. 69–86. 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