1 lezione dottorale miloud oukili

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1 lezione dottorale miloud oukili
LEZIONE DOTTORALE
MILOUD OUKILI
Nella notte di Bucarest ero impaurito, avevo freddo ed ho avuto vergogna di essere
impaurito ed avere freddo. Non ero mai affamato. Ho fatto dei fuochi, fuochi
immensi, individuabili da lontano, con pezzi di cartone e di plastica. Questi fuochi
erano la festa, una famiglia. Un angolo della via, una pavimentazione, isolata,
riscaldata. Canzoni, balli, Mia, Rafaël, Mihai piangono e i piccoli tremanti di sorrisi e
di preoccupazione.
È la curiosità che ha attratto inizialmente i bambini e successivamente la certezza
che il grande energumeno francese sarebbe stato là. Con i poliziotti che arrivavano
sostenevo che capivo e non parlavo rumeno. A volte ho giocato con la fisarmonica, a
volte facevo sparire e ricomparire le palline.
La prima volta in cui Marian faceva apparire e sparire le palline e la prima volta in cui
Marian, Corina, Daniel e Cesar hanno “giocolato.”
Marian lo avevo incontrato in una metropolitana. Egli chiedeva l’elemosina e io nel
mio sacco avevo delle arance! Non ho voluto donargliele, ma volevo sorprenderlo. Ho
fatto giocolerie; lui si è seduto e siamo diventato amici. Quindici anni più tardi, è il
referente delle attività di circo nel centro diurno di Parada.
Con cinque amici, intorno ad un tavolo, mentre giocavamo ai tarocchi, abbiamo
sognato e questo sogno si è concretizzato meglio di quanto potessimo immaginare.
Ecco i primi ateliers nei giardini della città, nei corridoi di edifici in costruzione, nei
metrò o nei canali, al freddo, alla neve e i fiocchi che soffiavano gelati, terrificanti di
giorno e di notte.
Ateliers, pretesti per incontrarsi, l'addomesticamento, l'apprendimento della fiducia e
del rispetto condiviso per generare un rapporto diretto, semplice e permettere al
bambino di trovare una propria dignità, accettando d’apprendere da lui prima di
pretendere: questa è stata una delle nostre chiavi.
Cento undici ragazzini ci hanno seguiti e noi li abbiamo ascoltati, capiti nelle loro
diversità.
Con loro è nato il primo centro diurno, con le pareti ridipinte dai loro colori. La parola
“casa” ha preso un senso, con regole da rispettare ma col sentimento di essere i
padroni del posto. Abbiamo fatto la spesa insieme, cucinato insieme, mangiato
insieme, con la volontà di essere sempre più numerosi. Hanno imparato a lavarsi, a
dire buongiorno, a vivere la quotidianità, a scrivere insieme le regole interne, a dare
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un senso alla giustizia dove non c’era. Discussioni interminabili, giorno dopo giorno
sul bene e il male, il bianco e il nero, il paradiso e l'inferno, il canale e la luna…
Parada era nata.
Abbiamo fatto i primi spettacoli per le vie di Bucarest, successivamente abbiamo
partecipato al festival dell'arte medioevale di Sighisoara. Abbiamo partecipato a una
sfilata con costumi rattoppati, in un albergo di lusso della capitale. Poi a Bordeaux.
Poi in Italia; il nostro autobus bloccato alla frontiera slovena e la corsa sulle strade
italiane per arrivare a Venezia, in ritardo per lo spettacolo. Ventitre giovani che
hanno segnato quella sera la storia delle nostre tournée. Le lacrime di Enrica, Denis,
Filippo e Maurizio e lo spettacolo riuscito in Piazza San Marco.
Abbiamo incontrato le prime famiglie ospitanti e lo slancio dei francesi, degli italiani e
dei rumeni che sostenevano i giovani rumeni creando per loro delle alternative:
Caravana, l’autobus della notte, gli appartamenti, un medico, uno psicologo,
animatori per le strade, gli insegnanti. Professionalizzare senza istituzionalizzare.
Rimanere atipico ma aprirsi alla collaborazione con le autorità, le istituzioni e altre
ONG. Dopo sei anni di risorse raffazzonate, Parada si è trasformata.
Ci sono quelli che hanno donato e donano il loro tempo, quelli che hanno dato e
donano ancora finanziamenti, in silenzio, pochi che non possono di più, molti che
continuano
con
passione,
fedeltà
e
pazienza.
Da
sempre
un
Consiglio
d’amministrazione che si è alternato nei suoi membri ma che continua a confrontarsi,
a condividere il lavoro e le preoccupazioni. Ci sono i soldi che sono mancati e che
mancano ancora.
La convenzione ONU in difesa dei diritti dell’infanzia, ma dobbiamo lottare perché
questa venga applicata. Il nerbo della guerra di questa lotta che continua a Bucarest,
ma che oggi è anche nella periferia di Parigi, di Milano, di Lisbona…
I bambini cacciati dal centro della città, la violenza, la prostituzione, le malvagità
sono le stesse e gli stessi sono i visi di questa infanzia ancora indurita.
C’erano e ci sono i bambini del Nepal che vivono sui mucchi di rifiuti, giocano sulle
strade rotte, dormono in venti in una stanza nei centri di Shandrodaya quando è loro
consentito.
C’è stato lo scambio importante con Valéria del GRT e gli educatori di CWIN, ONG
nepalese e questi bambini che hanno visto per la prima volta un clown. L'Honduras
dove i bambini passeggiano armati e finiscono nelle prigioni sovrappopolate; 800
detenuti per 60 sorveglianti e vige la legge del più forte. Prigione, pericolo, bambini
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abbandonati, mai educati. Spettacoli, ateliers e riflessioni sul lavoro possibile, una
goccia di acqua sicuramente…
Ed in Somalia, i bambini e gli adulti handicappati, incatenati alle pareti, cosiddetti
indemoniati. Questi quindici bambini di strada, cacciati dalla guerra, abbandonati là
per mancanza di meglio e con loro abbiamo costruito uno spettacolo somalo-rumeno.
Un improbabile progetto che invece si è compiuto.
Ci sono queste regole fragili che ognuno a proprio modo prova a instaurare nelle
strutture d’accoglienza di questi paesi e dei bambini che ancora non hanno realizzato
nulla. E questo lavoro lento per addomesticarli e donare loro il gusto del sogno.
C’è il riscatto di quelli che hanno saputo accogliere le opportunità e di altri che sono
rimasti
sulla
strada.
Cathy,
Moschu,
Cesar,
Christina,
morti,
C,
L,
M.,
tossicodipendenti di eroina.
Non si doma la strada, la strada si dà da sola o non si dà.
Ci sono le nascite dei bambini di Gigi e di Monica, quelli di Chera e di Isabella, di
Cola e Carmen, tutti genitori minori.
E questo bambino trovato nelle pattumiere della Gara de Nord che l'ospedale mi ha
accusato di abbandonare. Questo tassista rumeno che ha arrestato il tassametro e ci
ha portato per la città, di ospedale in ospedale dove abbiamo avuto lo stesso rifiuto.
C’era Nazim che si era battuto vicino ad un fuoco, era caduto nelle fiamme e la sua
tuta in poliestere si era trasformata in una torcia, le sue grida di sofferenza e
l'anestesia solo per i ricchi, rifiutata al bambino che urlava: “Milou Milou Milou”.
C’erano i crani dei bambini rasati in fila, i loro corpi nudi lavati con il getto di acqua
“nei centri detti di smistamento” dove i minori sono detenuti. Fase seguente
l’orfanotrofio. E due volte l'anno, le incursioni per pulire la strada. Le autorità
rumene, sorde, sopraffatte nel caos del dopo-Ceaucescu.
C’erano i capi banda e l'obbligo d’essere all'altezza. Non si instaura la violenza ma
non si deve rifiutarla, avere paura ma per non mostrarla mai… e io ho scelto il capo e
l’ho disposto al centro dello spettacolo. Proteggere il più debole, destabilizzando il
più forte. Ridicolizzarlo senza umiliarlo. Instaurare il dubbio e poi spegnere il fuoco
dentro le stelle per mettere tutti d’accordo. Non eravamo là per giudicare.
Non ho mai amato questi bambini per compassione ma perché non ho voluto altro
che essere con loro e che la mia rabbia fosse uguale o più grande della loro.
Comprendere le loro regole, disinnescare, ridistribuire i ruoli, era inoltre un gioco che
mi appassionava.
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Tutte queste vite d’adulti attraversate in questi corpi dei bambini, se lontano dai
vagabondi parigini, con loro ho imparato ciò che non avrei mai saputo.
E pertanto, abbiamo dormito quattro ore la notte e abbiamo ballato sino all’alba.
Un giovane autista mi domanda spesso “Come va Parada?” e io gli rispondo che
Parada è la gente, sono i bambini, è il circo e l’autobus notturno, le piramidi e i gli
operatori sociali…E difficile riassumere.
Parada è anche una pausa dello spirito. Mescolare il saper fare e l’immaginazione.
Viaggiare e condividere. Una rete di persone tessuta col passare degli anni, questi
bambini straordinari ospitati da genitori detti “normali”, questi bambini detti
“normali” affascinati da questi bambini di un altro luogo.
Vite trasformate, un impegno incondizionato a Parada e alla causa dei suoi bambini.
Lettere d’amore nelle mie tasche da parte di bambini francesi e italiani per i bambini
rumeni…
Parada ama, lo riconosco, attrae, abbaglia, sogna e fa sognare. Emozioni condivise,
sorrisi, fuochi d’artificio contro il freddo, la fame, la violenza, la solitudine,
l’esclusione…
Gli acrobati di un circo squattrinati, noi abbiamo inventato dei nasi rossi contro
l’indifferenza e l’avventura si ferma un istante qui, oggi a Bologna. Riconoscimento
incredibile per questa scuola della strada e della vita, senza cartelle e senza libri,
salvo che questo Piccolo Principe si racconti spesso letto, riletto e messo in scena con
i bambini.
Libro faro dal mio bambino a me, quello che mi ha portato ad essi e condotto a voi…
Grazie alla televisione francese che ha trasmesso quelle immagini della Romania
quella sera del dicembre del 1989.
Grazie a Handicap International, Terre des Hommes et Medici senza Frontiere
d’avermi fatto scoprire e viaggiare in questo paese così magnifico e contraddittorio.
Grazie a questo bagaglio che mi hanno donato mia madre, mio zio Najib, mio
fratello, mia sorella. La loro educazione, la loro attenzione, la loro apertura al mondo
e alle sue diversità, la loro esuberanza, la loro saggezza, il loro rispetto per l’altro, il
loro amore.
Grazie a tutti professori di tutte le scuole della vita che ho frequentato, in parallelo,
solo o accompagnato.
Grazie a tutti i bambini, gli adolescenti e i giovani adulti di Bucarest, Marian, Daniel,
Corina, Mia, Cathy, Moschu, Brusly, Lily, Chera, Mihai, Marcel e tutti gli altri grazie ai
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quali la storia di Parada si è scritta, nella sua ricchezza, nella sua follia, nei suoi
pericoli e nelle sue meraviglie.
Grazie ai miei amici rumeni, ai sessantatre operatori sociali che hanno costituto
l’equipe di Parada, ai collaboratori di Parada France, Coralie, Sibille, Anais, Julien,
Audrey, alle associazioni francesi che ci hanno sostenuto e ai 250 soci di Parada
Italia.
Grazie a Pontecorvo, che mi ha fatto sentire un bambino del dopo guerra d’Algeria.
Grazie a Gigi Riva, Gad Lerner, Enzo Biagi, grazie ai quali i sotterranei di Bucarest
sono divenuti un interesse condiviso, una lotta continua per il miglioramento delle
condizioni di vita dei dimenticati, degli ignorati, dei bambini perduti.
Grazie agli educatori, agli animatori, agli insegnanti, alle segretarie, ai medici, alle
psicologhe.
Grazie a tutte le autorità rumene, italiane e francesi di riconoscerci e di sostenerci
oggi nella costruzione di questa nuova società civile, così fragile, così carente.
Grazie a miei amici Antoine, Jacques, Noel, Christelle, Irina, Benoit, Didier, Ioana,
paladini di questa avventura dal primo giorno, e Aida, Michel e Jacqueline che non ci
sono più.
Grazie a tutti gli amici italiani, Enrica, Eugenia, Daniela, Loris, Franco, Don Alberto,
Francesca, Michele, Nazarena.
Grazie ad Assunta, Monica e Silvia di sostenerci instancabilmente.
Grazie all’Abbé Pierre di avermi fatto conoscere la strada e la lotta contro la miseria.
Grazie a Madame Mitterand d’aver sostenuto i nostri sogni e la nostra lotta in tutto il
mondo.
Grazie a Jacques Tati, Chaplin, Fellini, De Niro, Brassens, Fratellini e Crock.
Grazie a tutti quanti mi hanno accompagnato, consigliato e sostenuto con amore.
Grazie a tutti gli artisti della Caravana dell’acqua d’aver portato i nostri sogni aldilà
delle frontiere: Mostra, Sarajevo, Parigi, Roma, Bari. Grazie a Cesare, al Muretto,
l’Inad.
Grazie e tutti i fotografi e cameraman che hanno viaggiato con noi, Philippe, Ettore,
Termine e tanti altri.
Grazie a tutti quelli che ho dimenticato di citare ma che non dimenticherò mai.
Grazie all’opportunità di essere un clown franco-algerino e d’avere incontrato con le
mie scarpe gialle il cuore dei Balcani e il resto del mondo.
Grazie alla vita, alla sopravvivenza, ai sogni e alla realtà, alla fantasia e all’arte del
vivere.
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Questa laurea la dedico a tutti i colori di questa avventura, a mia madre e a mia
sorella che saranno contente di vedermi finalmente un clown dottore.
E ringrazio nuovamente la mia nuova maestra e la migliore: mia figlia Nina, sua
madre Cecile e suo fratello Pierre per la felicità che la famiglia mi procura, per il
coraggio e la pazienza con la quale sopportano questo papà, clown, dottore e la sua
non indifferenza…
Grazie a Saint-Exupéry d’essere caduto nel deserto e di aver incontrato il Piccolo
Principe. Io mi domando che cosa sarebbe il mondo se l’aereo lanciato contro le torri
gemelle fosse stato il suo.
Grazie a quelli che scrivono delle belle storie, grazie agli adulti che non hanno
dimenticato di essere stati bambini e grazie ai bambini che non vogliono diventare
dei vecchi bambini e che crescono…
Voilà.
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