Costumi popolari afragolesi dell`Ottocento

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Costumi popolari afragolesi dell`Ottocento
Costumi popolari afragolesi dell’Ottocento*
Nel 1830, scrivendo del proprio paese, l’insigne giurista e umanista di Afragola,
Giuseppe Castaldi, notava che «il territorio di questo Comune, ch’è molto esteso, è
generalmente arbustato, ed è atto a tutte le produzioni necessarie a sostenere la vita. I
canapi ed i lini vi riescono di ottima qualità … Il frumento, il granone, e la frutta di
ogni specie vi allignano anche assai bene … Il vino generalmente è molto debole …
siccome in ogni casa v’è una grande , e profonda grotta….si conserva assai bene, e
forma perciò un capo d’industria molto profittevole a quegli abitanti, che ne
immettono in tutt’i tempi gran quantità nella capitale … Negli anni scorsi si
coltivava, e si manifattura mediocremente una molta quantità di tabacco, che recava
grandissimo utile a tutti gli abitanti di quel comune» 1.
Questo prezioso riferimento di Castaldi ci informa, dunque, che nella prima metà
dell’Ottocento, Afragola era ancora un paese prevalentemente agricolo e, tuttavia,
con la maggior parte delle famiglie - nonostante la situazione d’immensa povertà in
cui viveva la maggior parte della popolazione rurale nel meridione d’Italia - ancora
«ben provvedute di beni di fortuna»; come aveva d’altronde già rilevato Lorenzo
Giustiniani, l’erudito giureconsulto napoletano che alcuni decenni prima aveva
attraversato tutte le “terre” del regno studiandone la geografia e la storia 2. Tale è,
peraltro, l’impressione che se ne ricava ammirando l’incisione raffigurante Uomo e
Donna dell’Afragola della Provincia di Terra di Lavoro nel Regno di Napoli (fig.1),
realizzata nel 1814 dall’incisore romano Bartolomeo Pinelli chiamato dall’editore
Lorenzo Lazzari a illustrare con una raccolta di cinquanta costumi le fogge dei vestiti
più interessanti del Regno di Napoli durante il periodo ferdinandeo 3.
(*) Quest’articolo costituisce il seguito di un mio saggio sui costumi popolari afragolesi, la cui
prima parte è apparsa tra le pagine di questa stessa rivista qualche anno fa (Costumi afragolesi nelle
testimonianze figurative del Settecento, in «Archivio Afragolese», a. IV n.7, giugno 2005, pp. 4152).
1
G. CASTALDI, Memorie storiche del Comune di Afragola, Napoli 1830, pp. 54 - 56. Sulla vita e
l’attività di questo erudito afragolese cfr. C. CERBONE, Giuseppe Castaldi tra Giacobinismo e
Restaurazione Un togato con la passione per le anticaglie, Afragola 2008.
2
L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Napoli 1793-1805, v. I,
pp. 64 -72.
3
Stampatore, pittore, scultore e disegnatore molto prolifico, Bartolomeo Pinelli (Roma 1781- 1835)
dopo aver appreso i rudimenti della scultura dal padre, artigiano di piccole statuette religiose di
scarso valore, frequentò, sostenuto economicamente dal conte Lambertini, l’Accademia di Belle
Arti di Bologna, dove la famiglia si era trasferita nel 1792, e poi l’Accademia di san Luca a Roma,
dove era tornato nel 1799. Nello stesso anno cominciò la collaborazione con Franz Kaisermann, per
il quale dipinse le figure delle sue vedute all’acquarello alterando quest’attività con lo studio dei
costumi popolari, sbocciati poi nell’Album di trentasei acquerelli di Scene e Costumi di Roma e del
Lazio (1807), nella Raccolta di cinquanta costumi pittoreschi incisi all’acquaforte (1809), nella
Raccolta di 15 costumi li più interessanti della Svizzera (1813) e nella Raccolta di 50 costumi li più
interessanti delle città, terre e paesi in provincie diverse del Regno di Napoli (1814) dalla quale è
tratta l’incisione in oggetto. Oltre al repertorio d’immagini dedicate ai costumi, illustrò numerosi
libri, realizzando cicli ispirati alla storia romana e greca antica (La Storia Romana, 1816; Istoria
Fig.1- B. Pinelli, Uomo e Donna dell’Afragola della Provincia
di Terra di Lavoro nel Regno di Napoli, 1814.
Greca, 1821), all’Iliade, all’Odissea, all’Eneide e ai grandi capolavori della letteratura italiana (La
Divina Commedia, La Gerusalemme Liberata, l’Orlando furioso). Morì povero l’1 aprile del 1835,
lasciando incompleta l’illustrazione del Maggio romanesco di Giovanni Camillo Peresio.
È evidente, infatti, in questa incisione, che misura mm. 170 x 195 e s’ispira molto
all’analoga precedente gouache di Alessandro D’Anna, come i costumi rappresentati
siano proprio di persone baciate dal benessere 4.
La donna indossa su un’ampia e arricciata gonna di velluto coperta da un grembiule,
una giacca a falda corta della stessa stoffa, con le maniche lunghe sagomate e alti
paramani di pelliccia ornati da frange. Sotto la giacca appena s’intravede, coperto
com’è da un fazzoletto trinato e ripiegato a triangolo sulle spalle fermato in vita sul
davanti da un nodo, il lembo di un corpetto. Per il resto la donna calza delle pantofole
prive di ornati e sul capo, ha una cuffia bordata da un nastro che si trasforma in un
fiocco sulla nuca; il collo è ingentilito da una collana con pendente e crocefisso.
L’uomo, invece, indossa sui calzoni di velluto, stretti al ginocchio e bordati alle
cuciture da passamani, una giacca di sarica, un forte tessuto di lana spinato utilizzato
soprattutto per confezionare uniformi militari, dalla quale fuoriesce una cravatta. La
foggia quasi militare della giacca è alleggerita dalla presenza di asole profilate da
cordoncini sui paramani delle maniche e dai bottoncini alle tasche. Sul capo, l’uomo,
che si poggia a un lungo bastone, ha un berrettino stretto al cocuzzolo da un nastrino,
su cui andava calzato il cappello a tesa larga che s’intravede ai piedi della roccia sulla
quale è seduto. Le scarpe, prive di pretesa, e le calze completano il suo
abbigliamento. La qualità dell’incisione, non solo di questa ma di tutta le incisioni,
non è delle migliori. Scrive in proposito Lucio Fino: «Si tratta di scene con
un’impaginatura solitamente distesa e spaziata, dove i personaggi – pur nelle
caratterizzazioni tutte individuali – in genere si ergono su sfondi anonimi o
convenzionali e disabitati, e disegnati sempre senza alcun rispetto per le regole della
prospettiva o, comunque, delle proporzioni: facilmente, insomma, vi si può
riconoscere come l’abilità grafica di Pinelli non fosse quasi mai sorretta da una sicura
ispirazione fantastica, e come la sua immediatezza popolaresca si raggelasse quasi
sempre in una retorica plasticità dei gesti, con le diverse figure sempre svuotate di
ogni umanità perché idealizzate secondo stanchi schemi neoclassici» 5. Nonostante ciò
la Raccolta ebbe una discreta fortuna giacché una seconda edizione apparve nel 1817
presso l’editore Giovanni Scudellari in Roma e una terza nel 1827.
L’immagine dell’uomo afragolese ritorna, in compagnia di un bambino, forse il
figlio, e di una donna di Aversa in costumi tipici di questa città, nell’incisione in rame
Donna di Aversa Uomo di Afragola In Provincia di Terra di Lavoro (fig. 2) disegnata
4
Le gouache di Alessandro D’Anna erano all’epoca molto note essendo state incise in rame, su
disegno dello stesso pittore ma con qualche differenza rispetto al prototipo, da Secondo Bianchi e
Guglielmo Morghen per la Raccolta di varie vestiture che costumano nelle città terre, e paesi in
provincie diverse del Regno di Napoli, edita a Napoli nel 1791-92 da Nicola Gervasi e Vincenzo
Talani.
5
L. FINO, Scene e costumi popolari a Napoli tra ‘700 e ‘800 stampe acquarelli e gouache da
Fabris a De Bouchard, Napoli 2004, pp. 212 - 213.
da Gioacchino Forino 6 e incisa dall’artista francese Émile Rouargue 7 nel 1824 per la
Litografia militare dell’Officio topografico del Regno delle Due Sicilie.
Fig. 2- G. Forino (dis.) – E. Rouargue (inc.), Donna di Aversa
Uomo di Afragola in Provincia di Terra di Lavoro, 1824
6
Dopo un breve apprendistato presso la Litografia militare dell’Officio topografico del Regno delle
Due Sicilie, Gioacchino Forino (Napoli 1797 - 1858), subito si affermò nel mondo artistico
napoletano eseguendo trentacinque dei sessanta ritratti di personaggi illustri del Regno pubblicati in
litografia da Lorenzo Bianchi e Domenico Cuciniello. La collaborazione con questi due editori
proseguì con il Viaggio pittorico nel Regno delle Due Sicilie (Napoli 1829), per il quale realizzò
ventisette dei 180 disegni. L’opera, insieme con una serie di scene popolari, di costumi e di feste,
realizzate negli stessi anni, valse al Forino una grande notorietà. Nel 1837 vinse il concorso a
litografo di seconda classe presso la Litografia militare. Tra i primi incarichi egli ebbe quello di
ritrarre Ferdinando II di Borbone. Fu impiegato prevalentemente in lavori di carattere figurativo
commissionati dai vari enti e amministrazioni dello Stato (tavole per la Marina, l’immagine di
una Vergine Addolorata per la parrocchia di S. Maria dei Sette Dolori). Un’altra significativa
collaborazione fu quella per la guida Napoli e luoghi celebri delle sue vicinanze edita da Gaetano
Nobile nel 1845 in occasione della VII Riunione degli scienziati italiani, per la quale realizzò
il Sepolcro di Caterina d’Austria e l’Arco di trionfo di Alfonso in Castelnuovo. Nel 1851, Forino fu
promosso alla prima classe. Tra le sue ultime realizzazioni si ricordano alcune vedute a pastello di
porti e rade dell’America meridionale, disegnate per la Guida generale della navigazione di E.
Rodriguez (Napoli 1857) (cfr. V. VALERIO, Forino Gioacchino, in «Dizionario Biografico degli
Italiani», v. 49, Roma 1997 (con bibliografia precedente).
7
L’artista francese (1795? - 1865) è noto per aver realizzato con il fratello Adolphe i rami per i due
volumi del Voyage pittoresque en Italie, di Paul Edme de Musset e in parte di Antoine Aubert editi
a Parigi nel 1855 e nel 1865.
Il disegno è quasi certamente una delle prime opere realizzate dal Forino e s’inquadra
verosimilmente in una serie d’incisioni prodotte nel periodo in cui egli fu assunto
come apprendista presso la Litografia, fondata nei primi mesi del 1823.
Un documento c’informa, infatti, che il 19 dicembre di quell’anno gli furono pagati
sei ducati per un costume del Regno, «eseguito litograficamente a pastello»8.
In ogni caso, qui, come altrove, l’artista dimostra che «il medium litografico gli era
particolarmente congeniale per il felice uso che sapeva fare della matita e del
carboncino, e per l’immediatezza della trasposizione grafica»9. L’ultima
raffigurazione di cui tratterò è un dipinto del pittore pugliese Giuseppe Gabbiani che
rappresenta Una contadina di Afragola 10. Il dipinto (fig. 3), come c’informa
un’iscrizione a matita sul retro, fu realizzato a Napoli nello studio del pittore sito al
Largo Olivella ma si trova ora conservato presso la Pinacoteca Comunale di Barletta
11
. Nella tela, che misura cm 48 x 31, la donna è raffigurata frontalmente, a
mezzobusto. Ha il volto ovale e lungo, lo sguardo, diritto, mostra un leggero
strabismo dell’occhio sinistro, il naso è sottile, come le labbra appena dischiuse. Ha il
capo cinto in alto da un fazzoletto rosso annodato dietro la nuca dal quale sporgono i
capelli disordinati; un lembo del fazzoletto le cade anteriore mente sulla camicia
8
Archivio di Stato di Napoli, Ufficio topografico, II, fasc. 2.
V. VALERIO, op. cit.
10
Nacque a Barletta il 6 gennaio del 1862, da Maria Giuseppe De Bitonto, e dal commerciante
Giambattista, discendente di un’antica famiglia originaria di Garessio. Iniziò il suo apprendistato
presso il pittore Giovan Battista Calò, primo maestro di Giuseppe De Nittis, e di tutta una schiera di
artisti barlettani, quali Vincenzo De Stefano e Raffaele Girondi. Il giovane Giuseppe mostrò da
subito una raffinata e innata qualità nella pittura: espose a Torino alla “Nazionale” del 1884 tre
marine: Margherita di Savoia, già Saline di Barletta, Dopo il tramonto, Sulla rada di Barletta;
mentre nel ‘85 partecipò all’Esposizione di Belle Arti di Roma con le nature morte Caccia di
Maggio e Un’aranciata. Grande successo riscosse all’Esposizione di Belle Arti di Roma dell’anno
successivo, guadagnandosi gli elogi di re Umberto per il Ritratto di Vittorio Emanuele II e
l’olio Margherita di Savoia, che il re volle a Roma nella Villa Margherita, dimora della regina
Madre. A questa prima scalata artistica, seguì, purtroppo, un periodo buio che lo segnò
profondamente nell’animo e nella salute. Un anno dopo aver sposato Maria Parrilli, la perse insieme
al primogenito; dopo pochi anni (1890) morì anche l’amato padre e quest’ultimo lutto lo indusse a
lasciare Barletta per trasferirsi a Napoli con la madre. Qui si dedicò esclusivamente all’arte, traendo
ispirazione dallo stile del Postiglione e del Tallarico. Questa nuova fase artistica ebbe risalto
nell’Esposizione di Belle Arti di Rimini del 1909, dove con il pastello Studio dal vero (Ritratto di
ragazza napoletana, n. d. r.) ottenne la medaglia di bronzo del Ministero della Pubblica
Istruzione. Partecipò anche alla Prima Mostra Nazionale d’Arte Pura e Applicata promossa da
Bernardo Celentano nel 1910 a Napoli. Giuseppe Gabbiani morì nel 1939, dopo aver fatto dono, in
due momenti successivi (nel gennaio 1928 e nell’aprile 1932) della sua collezione al Museo Civico
di Barletta, collezione costituita da un numero rilevante di dipinti e disegni ottocenteschi di scuola
napoletana e meridionale, da varie opere autografe, ma anche da dipinti di Francesco De Mura,
Francesco Solimena, Andrea Vaccaro, Luca Giordano, Cesare Fracanzano, Andrea Belvedere,
Giuseppe Recco, Giambattista Tiepolo, Mattia Preti, Anton Raphael Mengs, Giacinto Diano e Paolo
De Matteis.
11
La firma del pittore appare, invece, resa in corsivo a pennello, nell’angolo inferiore sinistro del
dipinto, mentre nell’angolo opposto ricompare, sempre in corsivo a pennello, la dizione Napoli.
9
bianca dall’ampio collo sciallato. Il dipinto fu realizzato probabilmente nel 1898,
anno di esecuzione di Sonno felice, una sua opera datata appunto con quel
millesimo, in cui è facile riconoscere la medesima modella e lo stesso abbigliamento
della nostra contadina. Il dipinto fu inviato all’Esposizione italiana di Londra del
1904 (Italian Exhibition Earl’s Court) che si tenne tra i mesi di maggio e ottobre di
quell’anno. L’opera, particolarmente encomiata, faceva pendant con un Contadino di
Afragola, della quale si è persa traccia, illustrata insieme al nostro dipinto alcuni
decenni dopo in “Echi e Commenti”, una nota rivista dell’epoca.
Franco Pezzella
Fig. 3 - G. Gabbiani, Contadina di Afragola,
Barletta, Museo Civico