l`adige 6 marzo 2013 - Associazione l` Altrastrada

Transcript

l`adige 6 marzo 2013 - Associazione l` Altrastrada
Trento
l'Adige
IL REPORTAGE
mercoledì 6 marzo 2013
27
Aspettano i clienti dalle dieci di sera all’una di notte:
Mostrano sui cellulari le foto dei figli, spiegano che i giorni
sono le donne costrette a prostituirsi in via Brennero
più redditizi sono a metà mese quando ci sono le paghe
Arrivano dalla Nigeria, dall’Est Europa, dalla Colombia Le africane, ricattate con il voodoo, rischiano la clandestinità
Sul marciapiede tra clienti e illusioni
Paure e speranze delle ragazze in vendita
Una notte con l’associazione L’AltraStrada
FEDERICA PASSAMANI
Parlano di amore e di bambini, raccontano di avere un fidanzato da qualche parte che
le aspetta, accettano un tè caldo e qualche biscotto. Inventano i loro nomignoli, senza
mai svelare il loro nome vero.
Dicono, mentendo, di avere
poco lavoro. Non sono felici.
Sono le «prostitute», le ragazze sfruttate di tutte le nazionalità che anche in inverno lungo via Brennero a Trento, più
o meno dalle dieci di sera fino
all’una del mattino, vendono
il loro corpo per le più svariate ragioni. Ci sono anche dei
trans. Ognuna lavora su un
preciso tratto di marciapiede,
dove una piazzola costa fino a
un centinaio di euro al mese,
che sono pagati al proprio
sfruttatore.
Dal Pittarello al Top Center,
sulla parte destra viaggiando
verso nord e dietro in via Solteri, ci sono «le nigeriane», più
avanti «le rumene», poi le altre
dall’est Europa; sulla parte opposta, all’altezza del Brico, i
trans colombiani e così via.
Guai rubare lo spazio a un’altra: le regole in questo mondo
sono sottili, non scritte, ma
precise e condivise.
Via Brennero di notte non è pericolosa, se non per le stesse
meretrici. I ragazzi dell’associazione L’AltraStrada la percorrono una volta alla settimana, per offrire delle bevande
calde, qualche nocciolina e,
soprattutto, una parola amica
da parte di italiani che non siano i clienti che le usano in cambio di poche decine di euro o
gli strozzini che le ricattano.
Propongono, questi volontari,
una forma diversa di contatto
umano e diffondono - quando
accettate - informazioni sulle
normative di tutela esistenti
in Italia, quali l’articolo 18 della legge Turco-Napolitano (soggiorno per motivi di protezione sociale). La possibilità di
avere un incontro genuino, lontano da interessi, e uno sguardo amico ha un valore grande
per le persone che soffrono e,
nella disperazione, magari non
sanno quali scelte fare.
Con i volontari de L’AltraStrada abbiamo passato un’intera
serata: prima alla riunione settimanale dell’associazione,
che ha sede a Villa S.Ignazio,
dove si tracciano i risultati delle precedenti uscite e si pianificano le prossime iniziative
(tra cui incontri nelle scuole e
proiezioni di film per la sensi-
L’INCONTRO
Due giovani controllate dalla polizia mentre aspettano i clienti in via Brennero: rimangono in strada fino all’una
I volontari aiutano le ragazze che vogliono cambiare vita
bilizzazione ai temi dell’immigrazione e della tratta delle
donne) e poi in via Brennero.
Lo scorso giovedì sera non era
una giornata particolarmente
«affollata» (in estate, ci dicono, il fenomeno raggiunge livelli più che raddoppiati), ma
di macchine fin oltre la mezzanotte ce n’erano diverse, con
all’interno degli abitacoli volti sia giovani, sia anziani. I
clienti: uomini di tutte le età
ed estrazioni sociali. Alcuni
transitavano, vagliando il mercato e curiosando, altri si fermavamo. I giorni più redditizi
per le ragazze - ha raccontato
una di loro - sono quelli attorno al 15 del mese, quando i
clienti hanno ricevuto paga,
tristi pieghe della clandestinità.
Le nigeriane di Trento hanno
fra i 16 e i 25 anni, parlano inglese e più o meno bene l’italiano. Salgono ogni sera in treno da Verona, Brescia, Mantova e rientrano con l’ultima corsa notturna. Le «storiche» sono gentili quando approcciate dai volontari: abbracciano
le donne, stringono la mano più distaccate - agli uomini del
gruppo e accettano il té caldo
che viene loro offerto. Le «nuove» invece sono diffidenti, parlano pochissimo e con loro il
lavoro di avvicinamento richiede pazienza e costanza. Le storie raccontate dai volontari de
L’AltraStrada, che in questi an-
ma non l’hanno ancora interamente spesa. Oggi si vergognano sempre meno di essere riconosciuti, tanto che, dicono
i volontari, spesso gli uomini
si fermano a chiedere il prezzo delle prestazioni anche in
loro presenza.
L’AltraStrada si occupa in particolare delle ragazze provenienti dal Nigeria, ragazze che
rispetto a quelle di altre nazionalità sono sfruttate in modo
più subdolo: incredibile a dirsi, ma il ricattatore di queste
africane è donna e viene soprannominata «maman». Prima di essere instradate in Italia, le ragazze vengono sottoposte in Nigeria a riti Voodoo,
durante i quali vengono pre-
annuncianti tragici avvenimenti se in Italia non si comporteranno bene. Dopodiché, accollando a ciascuna un debito fra
i 30 e i 60 mila euro da restituire in tempi brevi, la «maman»
le porta in Italia, ritira loro i
documenti, le ospita in un’abitazione e le avvia all’unico mestiere che, da clandestine, potrebbero esercitare per riscattarsi. Il loro è uno sfruttamento psicologico, ma spesso la
«maman» è vista dalle ragazze
come una figura positiva, colei che permetterà in futuro di
raggiungere il tanto sognato
miglioramento sociale. La realtà ha invece dimostrato che,
pagato il debito, il loro destino è quello di rientrare fra le
L’associazione. La testimonianza dei volontari: nessuna ragazza vorrebbe fare questo mestiere
I primi dieci anni de L’AltraStrada, per combattere lo sfruttamento
L’AltraStrada è una fra le tre associazioni presenti sul nostro territorio che
si occupano di assistere chi è intrappolato nel giro della prostituzione (le
altre due sono la Lila di Trento e il
Gruppo Raab di Rovereto).
L’associazione ha compiuto lo scorso
8 dicembre dieci anni di attività e conta oggi una decina di volontari che ogni
settimana, salvo una pausa estiva, offrono gratuitamente il loro tempo, senza troppe illusioni di poter cambiare
il mondo. Difficile se non impossibile,
spiegano, riuscire debellare il fenomeno.
Dopo i primi 7/8 mesi passati nell’associazione armati dei più nobili intenti, ognuno si rende conto che le cose
continueranno ad essere così, anche
se venissero riaperte le case chiuse,
anche se la polizia dovesse passare
tutte le sere ad arrestare le clandestine.
Le proposte di legge - aggiungono con-
cordi i volontari - sono pensate per tutelare il cliente e non le ragazze, nessuna delle quali vorrebbe fare questo
mestiere. Durante l’esperienza decennale de L’AltraStrada, sono state solo
due le ragazze che hanno scelto - perché giunte allo stremo - e chiesto ai
volontari di essere portate via, immediatamente. In questi casi, la rete trentina d’intervento è stata pronta ed efficiente e a loro si è aperta l’opportunità di una vita diversa e migliore.
ni hanno ascoltato e visto molto, sono a tratti terribili. Come
il caso recente di una ragazza
incinta, particolarmente richiesta dai clienti perversi,
spinta a lavorare fino alle ultime settimane di gravidanza.
Molte di queste donne hanno
dei figli, che accudiscono durante il giorno e dei quali mostrano talvolta le foto memorizzate nei loro cellulari. Hanno anche dei compagni, più o
meno stabili, che non sempre
vivono in Italia. A volte, dicono i volontari, si vede che non
ce la fanno più. Lamentano mal
di pancia, sono alienate come
istinto di sopravvivenza alla
realtà che hanno di fronte,
quando dai loro la mano senti «lo schifo» che hanno addosso. Ci sono dei balordi che,
passando lungo via Brennero
in macchina, tirano loro dei
sassi dai finestrini e ubriachi
o psicolabili che le disturbano, ma dai quali fortunatamente, grazie al tam-tam di avvisi
via cellulare, hanno ancora la
forza di difendersi.
Devono stare al freddo, svestite. L’altra sera in via Brennero
era più caldo del solito, ma dopo due ore passate a girare,
noi che eravamo vestite di tutto punto siamo arrivate a casa congelate. Loro avevano addosso poco più di un piumino
e di ore all’addiaccio ne avevano già trascorse molte di
più.
Ha organizzato l’Anpi: dalla situazione di ieri al lavoro di oggi
Settant’anni dallo sciopero Fiat
In occasione del settantesimo
anniversario, si è tenuta ieri sera presso sala dell’Aurora di
Palazzo Trentini la commemorazione per lo sciopero dei
100mila operai dello stabilimento automobilistico Fiat di
Torino, avvenuto il 5 marzo del
1943.
L’iniziativa, organizzata dalla
sezione locale dell’Associazione nazionale partigiani (Anpi)
in collaborazione con le segreterie locali delle sigle Cgil, Cisl
e Uil, è stata organizzata per ricordare una pagina poco nota
della storia italiana e della lotta antifascista, iniziata, a detta
del presidente Sandro Schmid
(foto), «ben prima della caduta
formale di Mussolini».
«A 70 anni di distanza - ha poi
spiegato il segretario della Cgil
Paolo Burli, in un lungo ed articolato intervento - ricordiamo una data che ha rappresentato una svolta per la storia del
nostro Paese, un’inversione di
rotta in cui fu reso manifesto il
disfacimento del regime fascista e del suo sistema di consenso».
A partire dal 5 marzo 1943, e
poi per tutto il mese, una lunga serie di scioperi, organizzati clandestinamente dagli stessi operai al motto «salario, pane e pace», colpì le industrie di
Piemonte, Lombardia, Emilia
Romagna e Veneto. Le richieste dei lavoratori comprendevano un aumento dello stipen-
dio, la possibilità di un vitto
adeguato e, soprattutto, l’uscita dell’Italia dalla seconda guerra mondiale. «Siamo abituati ha detto Schmid - a vedere la
Resistenza come un movimento che ha preso il via all’indomani dell’8 settembre 1943. In
realtà, la coscienza dei lavoratori e dei giovani operai era già
indirizzata a favore di una maggiore libertà prima del conflitto. Al loro coraggio, dobbiamo
la nascita della nostra costituzione democratica».
L’incontro di ieri, introdotto da
un documentario storico sull’accaduto, è stato anche un’occasione per parlare della situazione lavorativa attuale e i sindacati, attraverso l’intervento
Durante l’incontro è stato mostrato un documentario sullo sciopero del ‘43
unitario di Burli, hanno evidenziato come «la recessione economica non si arresti e con essa l’espulsione dal sistema delle imprese di migliaia di lavoratori».
«Divisioni e tensioni sociali - ha
quindi concluso Burli - rischia-
no di amplificare ulteriormente le difficoltà in un momento
già difficile per il Paese. Vi è
l’urgenza di avanzare una nuova idea di economia, l’occasione di affermare un equilibrato
ruolo dello Stato, una più avanzata idea di società».
L. B.