programma sezione Sguardi
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SGUARDI Paolo Rosselli Sandwich digitale. La vita segreta dell’immagine fotografica Interviene: Carlo Gentilini giovedì 10 giugno MAXXI – auditorium ore 14.00 Se è vero ciò che Iosif Brodskij ripeteva ai suoi studenti e cioè che l’esperienza precede sempre l’articolazione verbale, allora Paolo Rosselli ha fatto sua questa massima alla lettera, declinandola però in fotografia. Dopo aver abbandonato cavalletto e banco ottico, Rosselli si è lasciato guidare dalla tecnica digitale quasi ad occhi chiusi per poi ricostruire a posteriori il senso fotografico delle proprie esperienze visive, come se fosse un pittore. È infatti questa la grande libertà che offre la fotografia digitale: vedere e registrare ciò che l’occhio normalmente non vede secondo configurazioni del tutto inattese. Città del Messico, l’India, Tokyo, l’Africa sono solo alcuni dei banchi di prova che Rosselli descrive – verrebbe da dire, dipinge – e che ci restituisce con una fredda analisi in questo piccolo e prezioso zibaldone illustrato dove esperienza e riflessione, più che teoria e pratica, si saldano nell’alveo di una netta astrazione concettuale. Chiude il libro un «ricordo al futuro» del grande fotografo Ugo Mulas, presso il cui studio Rosselli si è formato all’inizio degli anni Settanta, che più che un ritratto è un gioco di riflessi, un’interazione dialettica fra passato e presente priva di qualsiasi nostalgia. Paolo Rosselli (1952) inizia a interessarsi di fotografia a vent’anni dopo un breve apprendistato nello studio di Ugo Mulas. Dopo la laurea in architettura, conseguita nel 1977, sceglie di dedicarsi interamente alla fotografia. Negli anni ’80 inizia a collaborare con riviste italiane ed estere pubblicando lavori e monografie su architetti contemporanei e del passato. In tutto è autore di una decina di monografie di architettura e di altrettante pubblicazioni che interpretano la scena della città nei suoi aspetti transitori. Svariate mostre personali all’estero e in Italia hanno riguardato il suo lavoro. Fra le sue pubblicazioni più recenti ricordiamo Dislocation, Solea Fotografia, Milano 2002 e Atlante Terragni, Skira, Milano 2004. Vive e lavora a Milano. Alessandro Dal Lago Miti e realtà della città multiculturale giovedì 10 giugno MAXXI – auditorium ore 16.00 La convivenza di culture, religioni e lingue diverse nelle città di oggi alimenta reazioni opposte, di paura e di speranza. Il cosiddetto “multiculturalismo” rischia allora di uscire dalla dimensione dei fenomeni sociali, storici, e di entrare nella sfera del mito. Disattivare questo slittamento è necessario per comprendere il presente senza demonizzarlo né esaltarlo. Alessandro Dal Lago è nato a Roma nel 1947, insegna Sociologia dei processi culturali presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova. A partire dagli anni Novanta, si è occupato di immigrazione collocando le sue analisi nel contesto degli studi che aveva già dedicato in precedenza sui cambiamenti del conflitto sociale nello scenario della metropoli contemporanea. Dopo “Tra due rive”, libro a più mani sulla nuova immigrazione a Milano (1992), il lavoro che meglio ha condensato il senso della ricerca di Dal Lago è stato “Non-persone”. L’esclusione dei migranti in una società globale (2004), a cui sono seguito alcuni studi sull’arte e il mercato dell’arte oggi, in collaborazione con Serena Giordano (“Mercanti d’aura”, 2006; “Fuori cornice. L’arte oltre l’arte”, 2008). Il volume del 2004 “La città e le ombre: crimini, criminali e cittadini”, scritto con Emilio Quadrelli, si riallaccia invece ai primi studi di Dal Lago su “La produzione della devianza” (1981). Serge Latouche Urbanismo e decrescita giovedì 10 giugno MAXXI – auditorium ore 18.00 A prima vista la prospettiva della decrescita è in contrasto con lo sviluppo planetario del fenomeno urbano, sancito anche da un dato statistico: il 51,3% della popolazione mondiale vive oggi nelle città e la percentuale è destinata ad aumentare per raggiungere il 60% entro i prossimi vent’anni. La decrescita non è però soltanto il risultato di una diagnosi sull’attualità, è l’espressione di un bisogno. Un pensiero che in modo innovativo coniuga etica, economia, ecologia. Serge Latouche, nato a Vannes, in Francia, nel 1940, è stato tra i fondatori della rivista del Mauss (Mouvement anti-utilitariste en sciences sociales). Professore emerito di Scienze Economiche all’Università di Paris XI e allo Ieds (Institut d’études du developpement économique et social), sempre a Parigi, a partire dagli anni Novanta si è segnalato a livello mondiale per i suoi studi sulle nuove sfide poste all’economia e alla cultura dai processi della globalizzazione. Dopo “Il ritorno dell’etnocentrismo” (2003) e “Come sopravvivere allo sviluppo” (2004), Latouche si è concentrato sulla questione della decrescita, affrontata in libri come “La scommessa della decrescita” (2006), “Breve trattato sulla decrescita serena” (2007), “Economia e decrescita” (2007). «Decrescita», ha scritto, «non è il contrario di “crescita”» ma è la parola d’ordine di una proposta che intende «abbandonare radicalmente l’obiettivo della crescita per la crescita» e lavorare a una «politica del doposviluppo». I libri di Serge Latouche sono tradotti in italiano da Bollati Boringhieri, Feltrinelli, Datanews. Walter Siti discute con Francesco Careri e Andrea Cavalletti di Roma/Mondo: nascita di una periferia globale venerdì 11 giugno Ex Mattatoio di Testaccio – Pelanda ore 11.00 Un angolo di borgata, una casa popolare, tre piani di cemento a vista e sullo sfondo pezzi di campagna, villaggi lembi di metropoli. La poltiglia indifferenziata della periferia di Roma è tra i personaggi principali di “Il contagio”, romanzo di Walter Siti che racconta una storia d’amore passionale e rovinosa intrecciata con una visione della periferia che da locale, romana, diventa cosmica, segno di una realtà che si sta globalmente “imborgatando”. «Il segreto di una civiltà al tracollo», scrive Siti, «è la consistenza fluida: una geografia collosa, una storia evaporante, un’identità fondente e una criminalità liquida». Walter Siti. Studioso di letteratura italiana contemporanea, a lungo docente universitario negli Atenei di Pisa, Cosenza e L’Aquila, Walter Siti ha pubblicato nel 1994 il suo primo romanzo, “Scuola di Nudo”, cui sono seguiti “Un dolore normale” (1999) e poi, con una cadenza più ravvicinata, “La magnifica merce” (2004), “Troppi paradisi” (2006) e “Il contagio” (2008). In quest’ultimo, in particolare, la casa di una strada immaginaria, via Vermeer, diventa insieme un luogo osservato e un occhio che osserva le mutazioni del paesaggio urbano e antropologico dell’attualità. Walter Siti, nato a Modena nel 1947, è anche il curatore dell’opera di Pier Paolo Pasolini nella collana “I Meridiani” dell’editore Mondadori ed è autore di numerosi saggi sulla poesia italiana del Novecento, da Montale a Penna, oltre che del libro “Il neorealismo nella poesia italiana” (1980). Nel 2009, dopo un viaggio negli Emirati Arabi, ha pubblicato il reportage narrativo “Il canto del diavolo”. Botto & Bruno discutono con Massimo Ilardi di cronache dell’abbandono venerdì 11 giugno Ex Mattatoio di Testaccio – Pelanda ore 15.00 Botto & Bruno lavorano su immagini della periferia urbana trasformati in luoghi dell’anima, riflessi di esistenze solitarie e marginali che trovano una loro ragione d’essere e di vita nei grandi e nei piccoli formati, nel wall paper, nel collage o nel disegno. Ripercorrere insieme a loro anni di attività, di installazioni e di ricerca è come attraversare il passaggio che trasforma l’osservazione sociale in forma artistica. Gianfranco Botto (1963) e Roberta Bruno (1966) hanno iniziato il loro percorso nei primi anni Novanta con piccoli libri autoprodotti che presentavano testi ritagliati da giornali accanto a immagini in bianco e nero di spazi metropolitani in abbandono. Da allora proprio il contrappunto fra solitudine esistenziale e precoci rovine della periferia industriale è diventato il motivo conduttore del loro lavoro. Dalle gigantografie in Laserprint incollate sui cartelloni pubblicitari o su facciate di palazzo, come nel 1997 al Bullet Space di New York, fino alla consacrazione artistica seguita alla mostra “fwd Italia” (Siena, Palazzo delle Papesse, 1999), dove presentarono “Suburb’s Island”, e alla partecipazione alla Biennale di Venezia del 2001, con il progetto “House where nobody lives” posto all’ingresso delle Corderie dell’Arsenale, Botto e Bruno hanno proseguito la loro esplorazione dei margini dell’esistenza urbana cogliendo, in essa, i relitti di un modello di sviluppo. I gesti della produzione e del consumo appaiono come sospesi, disattivati sugli sfondi delle fabbriche dismesse, delle strade sterrate, dei vuoti occasionalmente popolati da personaggi solitari. La vita che Botto e Bruno ricostruiscono nelle loro immagini – wallpapers, stampe su Pvc, su carta fotografica, video – è quella di ogni giorno: “An ordinary Day” è il titolo di una loro recente mostra a Torino. Dalla quotidianità, però, emerge l’obsolescenza dello sviluppo e del progresso, un mondo che appare vecchio e in rovina fin dal suo concepimento, per quanto le presenze che lo popolano abbiano i volti e gli abiti dell’adolescenza. Matteo Garrone incontra Dario Zonta su “La città nello sguardo del cinema di Matteo Garrone” a seguire, proiezione di “Estate romana” di Matteo Garrone venerdì 11 giugno Ex Mattatoio di Testaccio – Pelanda ore 17.00 Dopo anni di assenza da Roma un’attrice del teatro d’avanguardia degli anni Settanta torna nel suo appartamento di piazza Vittorio, affittato a uno scenografo napoletano, e stenta a riconoscere intorno a sé il paesaggio urbano e antropologico che aveva lasciato. In “Estate Romana” Matteo Garrone vede Roma come un simbolo della città in generale, luogo le cui rapide trasformazioni si riflettono su chi vi abita, e come uno specchio del mondo intero, rappresentato nel film anche tramite un ingombrante oggetto di scenografia. Nato a Roma nel 1968, Matteo Garrone è uno dei registi italiani più attenti alla realtà urbana, sfondo ma in qualche caso anche protagonista delle storie che ha preferito raccontare fin dagli esordi. Il successo di “Gomorra”, il film che nel 2008 Garrone ha tratto dal libro di Roberto Saviano e che ha vinto, fra l’altro, il Grand Prix del Festival di Cannes, lo ha segnalato sulla scena internazionale e ha rinsaldato il legame del suo cinema con i fatti e gli ambienti della cronaca. Questi erano già presenti in una pellicola come “L’imbalsamatore” (2002), tratta da una vicenda narrata da Vincenzo Cerami, e in “Primo amore” (2004), alla cui sceneggiatura ha partecipato lo scrittore Vitaliano Trevisan, anche interprete del ruolo principale del film. Del 2000 è invece il film “Estate Romana”, nel quale Garrone ha provato a unire dimensione narrativa e documentaristica puntando lo sguardo sulla città che si preparava al Giubileo. Ruggero Pierantoni Architetture ad alta definizione venerdì 11 giugno Ex Mattatoio di Testaccio – Pelanda ore 19.00 “Alta” e “Bassa definizione” sono espressioni efficaci per descrivere il modo in cui percepiamo gli oggetti del nostro habitat quotidiano. L’architettura, scriveva Walter Benjamin, è emblematica di una percezione distratta, abitudinaria. Eppure esistono strategie attraverso le quali l’architettura oggi cerca di catturare la nostra attenzione, di impegnarla in un gioco di aspettative e risposte che chiama in causa una sorta di “hi-fi” percettivo. Dal tempo di “L’occhio e l’idea” (1981) e soprattutto di “Forma fluens” (1986), ovvero dei due libri con i quali ha definito il suo orizzonte di ricerca, Ruggero Pierantoni ha lavorato sugli aspetti creativi della percezione, in particolare sull’interazione tra forma visiva e dimensione acustica. A lungo Ricercatore presso l’Istituto di Cibernetica e Biofisica del Cnr, Pierantoni coniuga lo studio delle neuroscienze con un’attenzione specifica, filosofica, per le modalità di produzione del senso, da lui associate all’invenzione di forme. Di qui la sua attenzione non solo per i risultati della ricerca scientifica ma anche per il pensiero “a bassissima definizione” della vita quotidiana (si intitola “Verità a bassissima definizione” un suo libro del 1998) e per le pratiche artistiche. Il suo incontro con i problemi dell’architettura - visti nella chiave del rapporto tra “forma”, “senso” e dimensione emotiva – risale a “La trottola di Prometeo” (1996). Nato a Roma nel 1934 ma residente a Genova, città dov’è stato anche Assessore alla Cultura del 1997 al 2002, Pierantoni ha pubblicato più di recente i volumi “Vortici, atomi, sirene. Immagini e forme del pensiero esatto” (2003) e “Uno scherzo fulmineo. Cinquecento anni di fulmini dal 1929 al 1447” (2007). Marco Senaldi A/R – Viaggio andata e ritorno tra architettura e arte: oggi sabato 12 giugno Ex Mattatoio di Testaccio – Pelanda ore 12.00 L’architettura cerca conforto e ispirazione nell’arte, l’arte a sua volta tende a manifestarsi in forme architettoniche o pseudoarchitettoniche. Gli architetti espongono nelle mostre, gli artisti elaborano progetti per luoghi pubblici, musei, abitazioni: più che un legame o un intreccio, il rapporto fra arte e architettura sembra oggi avere piuttosto la dinamica di un viaggio Andata e Ritorno, un continuo pendolare fra due termini. Milanese, nato nel 1960, Marco Senaldi si occupa di critica e teoria dell’arte contemporanea. Al centro dei suoi interessi è il rapporto fra le pratiche artistiche e altre forme di espressione tradizionalmente collocate ai margini dell’arte, a cominciare dai cosiddetti generi “di consumo” e dalle manifestazioni della cultura di massa. Più che equiparare, però, il lato “alto” e il lato “basso” della cultura e dell’arte, quello di matrice accademica e quello Pop, Senaldi ha provato a mostrarne la reciproca dipendenza, il loro appartenere a un rapporto indissolubile che rischia di non essere compreso se si continua a considerarli due polarità slegate. In questa chiave vanno letti sia libri come “Enjoy! Il godimento estetico” (2003), sia mostre come “Cover Theory. L’arte contemporanea come reinterpretazione” (catalogo Scheiwiller 2003), ideata da Senaldi anche come critica a una concezione esclusivamente giuridica del copyright. Senaldi, che insegna Cinema e Arti Visive all’Università Statale di Milano Bicocca, ha pubblicato nel 2004 “Van Gogh a Hollywood: la leggenda cinematografica dell’artista”. Sten e Lex “Lo spazio urbano dell’arte” performance e discussione con Davide Giannella sabato 12 giugno Ex Mattatoio di Testaccio – Pelanda ore 15.00 L’arte urbana sta vivendo il passaggio che la trasporta dalla periferia al centro dei territori artistici trasformando in corrente dominante, mainstream, quella che fino a poco tempo fa era considerata solo come una sottocultura. Un incontro con Sten & Lex, e una loro performance, per indagare le ragioni non sociologiche, ma propriamente artistiche di una simile metamorfosi. Sten & Lex sono conosciuti specialmente a Roma per le grandi immagini in bianco e nero comparse negli ultimi anni sui muri della città, in prevalenza ritratti: prima delle grandi icone popolari dei B-movies, da Bruce Lee all’ispettore Callaghan, poi di soggetti apparentemente senza tempo le cui immagini sono state recuperate da archivi fotografici o da stampe antiche: «personaggi del passato, anonimi, o piccole immaginette sacre» che «tornano a farsi vedere» grazie alle «grandi dimensioni», come i due artisti hanno dichiarato i due artisti. Sten & Lex lavorano prevalentemente con il poster e la loro tecnica prediletta, che li ha resi facilmente riconoscibili nel panorama degli street artists, è quella dello stencil, usata in modo originale per ottenere l’effetto di incisione che procede per strati. Dopo ogni opera, la matrice dello stencil, la “maschera”, viene distrutta. Di recente Sten & Lex sono stati invitati al “Can’s Festival” di Londra, hanno avuto una mostra personale presso la galleria CO2 di Borgo Vittorio, a Roma, e sono stati protagonisti di performances “ufficiali” quali la realizzazione di un gigantesco poster sulla facciata di un palazzo nel quartiere della Garbatella. Maurizio Ferraris Arredo inurbano sabato 12 giugno Ex Mattatoio di Testaccio – Pelanda ore 17.00 Gli oggetti molesti, i crimini del Design, l’estetica come bene rifugio e come pretesto universale, l’incontro quotidiano con strumenti progettati fin nei dettagli dei quali, però, noi stessi rischiamo di diventare gli oggetti d’uso e non più gli utenti. Maurizio Ferraris. Dal libro d’esordio (“Differenze. La filosofia francese dopo lo strutturalismo”, 1981), fino al recente “Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce” (2009), il percorso di Maurizio Ferraris è stato caratterizzato da un confronto diretto con le correnti filosofiche più influenti degli ultimi trent’anni: ermeneutica, decostruzionismo, filosofia analitica. A partire da “Estetica razionale” (1997) Ferraris ha cercato di ricondurre la diversità di questi approcci intorno all’idea di una nuova ontologia: pragmatica e attenta al quotidiano come il pensiero anglosassone, ma capace di fare leva anche su una tradizione “continentale” impersonata anzitutto dalla fenomeologia e da Heidegger. Da questa sintesi è derivata l’attenzione di Ferraris per la tecnologia (“Dove sei? Ontologia del telefonino”, 2005), per gli oggetti quotidiani (“Il tunnel delle multe”, 2008) e per quelli che, sulla scia di Derrida, egli definisce “oggetti sociali” (“Sans papier”, 2007). Di Derrida, del quale è stato amico e collaboratore, Ferraris ha fra l’altro pubblicato un ricordo (“Jackie Derrida. Ritratto a memoria”, 2006). È stato più volte ristampato il suo pamphlet “Una Ikea di università”, atto d’accusa contro le politiche universitarie degli ultimi decenni. Maurizio Ferraris insegna Filosofia Teoretica all’Università di Torino, la sua città. Eyal Weizman Il male minore presenta Federico Rahola sabato 12 giugno Ex Mattatoio di Testaccio – Pelanda ore 19.00 Per Hannah Arendt chi abbraccia un’etica del “male minore” dimentica rapidamente di avere scelto comunque a favore di un male. La logica della guerra preventiva, così come quella di una strategia oppressiva che trasforma anche l’architettura in un’arma politica, dipendono da un adattamento al “male minore”, segno distintivo di una nuova forma di barbarie. Nato ad Haïfa nel 1970, Eyal Weizman vive fra Tel Aviv e Londra, dove dirige il Centre for Research Architecture del Goldsmiths College. Architetto e saggista, ha pubblicato nel 2008 un libro dedicato alla costruzione del Muro che separa Israele dai territori palestinesi (“Architettura dell’occupazione”, trad. it. Bruno Mondadori ed.). In rete (www.ism-france.org) è reperibile un altro suo testo, “Introduction à la Politique de la Verticalité”, nel quale Weizmann analizza le carte geografiche utilizzate nelle trattative internazionali per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese e critica l’impostazione “bidimensionale” dei negoziati. Viene discusso solo quel che si può rappresentare su una mappa, scrive Weizman, eppure «sono state inventate nuove frontiere complesse», è stato concesso all’Autorità Palestinese soltanto «il controllo su “isole territoriali” separate mentre Israele ha conservato il controllo sia sullo spazio aereo al di sopra di esse, sia sul sottosuolo. Si potrebbe descrivere questo processo come una “politica della verticalità”». Di recente Weizman ha pubblicato un libro, “Il male minore” (trad. it. Nottetempo), che ripercorre la storia di questa nozione nel pensiero occidentale dall’antichità a oggi, assumendo come punto di partenza e riferimento costante della riflessione la conferenza pronunciata nel 1964 da Hannah Arendt su “La responsabilità personale sotto la dittatura”. Rita Marcotulli : “Us and Them - Omaggio ai Pink Floyd” Concerto Raiz, voce; Rita Marcotulli, pianoforte e tastiere; Matthew Garrison, basso elettrico, electronic sounds; Giovanni Falzone, tromba, effetti; Daniele Tittarelli, sassofoni; Mark Mondesir, batteria sabato 12 giugno, ore 21.30 Ex Mattatoio di Testaccio L'evocazione di aspetti cosmici e del quotidiano attraverso la sperimentazione del suono, la rottura delle forme convenzionali e la poetica delle melodie, rendono la musica dei Pink Floyd non solo attuale ma ancora fonte di ispirazione per questa formazione di musicisti che, pur provenendo da realtà musicali diverse, vi trovano un linguaggio comune. I brani che il gruppo eseguirà sono tra gli altri: Money, Us and Them, Wish you were here, Cry song, Burning bridges, Set the controls for the heart of the sun. Il risultato è conturbante: gli arrangiamenti, intelligentemente dosati e al tempo stesso mantenuti "aperti", non stravolgono gli originali, né nello spirito né nel sound, riuscendo ugualmente a diversificarsi e imprimere alla materia preesistente una impronta personale e originale ricca di inaspettati punti di fuga. I brani sono stati scelti da periodi diversi: così i pezzi più psichedelici e innovativi (Astronomy Domine, Set the Controls For The Heart Of The Sun) si annodano con quelli di matrice più folk-rock (Cirrus Minor, Cryng Song, Goodbye Blue Sky) e con quelli del pop più celebrato (Us and Them, Money). “Virtual Walls” “Us and Them“ installazione di luce e suoni a cura di MLD ispirata a “Us and Them” diventa parte integrante del concerto ideato da Rita Marcotulli come omaggio alla musica dei Pink Floyd. Il progetto ‘Virtual Walls’ è ideato da Floriana Cannatelli, Marco Frascarolo e Corrado Terzi.