Quaderno 3 - Laboratorio di Geomatica
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Quaderno 3 - Laboratorio di Geomatica
QUADERNO N°3 IMAGO MUNDI LA TERRA VISTA DALLO SPAZIO Note di Matematica, Fisica, Filosofia, Letteratura e Comunicazione Polo Territoriale di Como Facoltà di Ingegneria Civile Ambientale e Territoriale IMAGO MUNDI LA TERRA VISTA DALLO SPAZIO QUADERNO N°3 Imago Mundi – Quaderno 3 Sommario LA FOTOGRAFIA TRA TECNICA E ARTE .......................... 9 Introduzione .................................................................. 9 1. Breve storia della fotografia .................................... 10 2. La fotografia come tecnica di raffigurazione oggettiva...................................................................... 13 2.1 Il paesaggio urbano .......................................................... 13 2.2 Il paesaggio naturale ......................................................... 14 2.3 Applicazioni oggettive della fotografia ............................ 16 3. Funzione connotativa dell’arte fotografica ............. 19 IL PAESAGGIO NELL'ARTE RINASCIMENTALE ............ 29 Storia dell’evoluzione della prospettiva ...................... 30 1. Filippo Brunelleschi e la prospettiva monoculare ... 30 2. Leon Battista Alberti ............................................... 32 3. Piero della Francesca .............................................. 33 4. Leonardo da Vinci e la prospettiva aerea ................ 36 LA SICILIA, TRA LOCUS AMOENUS E DISSESTO ........ 39 1. Sicilia e abusivismo ................................................ 40 1.1 Abusivismo edilizio in Sicilia: la Valle dei Templi di Agrigento ................................................................................ 40 1.2 Mafia ed energie rinnovabili: Salemi ............................... 44 2. Il paesaggio siciliano nella letteratura ..................... 46 2.1 Teocrito e il paesaggio di Sicilia ...................................... 46 2.2 La Sicilia dell’immaginario tra Vigàta e Montelusa ........ 48 5 2.3 Poesia e paesaggio: la Sicilia ............................................ 52 3. Pittura e poesia: la Sicilia ........................................ 55 3.1 Pittura e paesaggio: la Sicilia ............................................ 55 SULLE RIVE DEL LARIO ..................................................... 58 1. Il lago di Como nell’immaginario giovanile .......... 58 2. Risultati del questionario rivolto a 100 alunni delle scuole superiori di Como (marzo 2011) ...................... 61 DAL MACRO AL MICRO ..................................................... 63 1. La macchina a vapore e la Prima Rivoluzione Industriale.................................................................... 63 2. Dal macro al micro: la termodinamica .................... 64 3. Studiare il micro: l’HLC del CERN ........................ 66 4. Spiegare il micro: il progetto “COLLIDER” .......... 66 LA FORMA DELLA TERRA E L'IMMAGINE DEL MONDO .................................................................................................. 69 1. Età moderna ............................................................ 69 2. Allegato A: Deviamento dalla figura della Terra figura sferica................................................................ 98 1. Kant: geografia fisica, vol I Milano 1807 ........................... 98 3. Allegato B: La geografia scientifica...................... 107 1. Snellius e la prima triangolazione..................................... 107 2. La catena di Riccardo Norwood ....................................... 109 3. Jean Picard e le grandi triangolazioni francesi ................. 110 4. La triangolazione dello Stato Pontificio nel 1750 ............ 112 Imago Mundi – Quaderno 3 Domitilla Leali Docente di italiano e latino Liceo Classico "A.Volta" Nel corso dell’anno scolastico 2010-2011 la classe II A del Liceo Classico “A. Volta”, insieme alle insegnanti Pina Cardile, docente di matematica e fisica e Domitilla Leali, docente di italiano e latino, ha contribuito al progetto “Imago Mundi” con la realizzazione di lavori relativi al tema della rappresentazione della Terra vista dalla Terra, con particolare attenzione all’Italia, della cui unità ricorreva il centocinquantesimo anniversario. Dopo un primo approccio scientifico alla questione, in merito al problema dell’individuazione di un punto della superficie terrestre, gli studenti hanno indagato, a partire da loro personali interessi culturali, le modalità e le caratteristiche della rappresentazione del paesaggio in linguaggi prevalentemente non verbali. Un primo gruppo si è occupato di ricostruire il percorso che ha portato, nella pittura rinascimentale, alla messa a punto della prospettiva; un secondo, invece, ha ricostruito il modo in cui la fotografia ha progressivamente rivolto la propria attenzione in termini informativi e poi più schiettamente artistici al paesaggio. Un terzo gruppo ha verificato, attraverso l’analisi di spartiti musicali e di canzoni popolari, le strategie con cui il linguaggio musicale puro, o accompagnato da testi, si è impegnato, a partire dal 1800, nella sfida di rappresentare fenomeni atmosferici o veri e propri paesaggi. Altri due gruppi, infine, hanno studiato l’immagine dell’Italia così come appare in alcuni film del Neorealismo italiano, in alcuni recenti film hollywoodiani e in alcuni spot pubblicitari. Da quest’ultima analisi è emerso chiaramente che l’immagine del nostro Paese agli occhi del mondo è, nel bene e nel male, fortemente stereotipata: tramonti rosa, cieli sereni, donne bellissime e uomini 7 aitanti che parlano gesticolando, mentre la mafia domina incontrastata. Una ricerca tra scienza e arte, i cui esiti, ancora una volta, si sono caricati per tutti di un forte valore civile. Link contributi video La fotografia. Tecnica e arte http://m.youtube.com/watch?v=g3ia3nUA6lk L’immagine cinematografica di Roma attraverso un viaggio dal Neorealismo a oggi http://m.youtube.com/watch?v=1FBSQjBU3pY 8 Il paesaggio e la prospettiva nell’arte rinascimentale http://m.youtube.com/watch?feature=m-chvid&v=NthxvZ8yYjk Imago Mundi – Quaderno 3 LA FOTOGRAFIA TRA TECNICA E ARTE Ilaria Ceppi, Silvia Mascheroni, Margherita Pasi Studentesse della Classe IIA – a.s. 2010-2011 Liceo Classico “A. Volta” – Como Introduzione I l breve percorso che ci accingiamo a svolgere si propone di trattare della fotografia intesa come arte volta alla rappresentazione del paesaggio. L’analisi prende avvio da una sintetica trattazione della storia della tecnica fotografica, dalle origini fino ad oggi, per meglio comprendere le applicazioni e gli obiettivi che essa ancora oggi riconosce come propri. Ripercorrendo lo sviluppo dell’arte è infatti possibile cogliere come progressivamente siano sorti il desiderio e la necessità di rappresentare, oltre alla figura umana, anche il paesaggio naturale, dapprima con funzione puramente descrittiva, poi con una finalità più connotativa: attraverso lo scatto dedicato a un luogo il fotografo, professionista o amatore che sia, trasmette un’emozione o una sua personale sensazione. E a questo fine, ben si piegano le diverse modalità rappresentative della tecnica, quali l’uso del colore o della prospettiva. 9 La fotografia tra tecnica e arte 1. Breve storia della fotografia Fin dall’antichità l’uomo dimostrò interesse per i fenomeni cui è soggetta la luce ma fu solo alla fine del 1700 che l'inglese Thomas Wedgwood riuscì a fissare le immagini prodotte dalla luce, anche se in modo non stabile. Poco più tardi Joseph Nicephore Niepce si interessò di questa scoperta e approfondì gli studi alla ricerca di una sostanza che potesse impressionarsi alla luce in maniera esatta e duratura. Egli condusse una serie di esperimenti che lo portarono in primo luogo ad ottenere un’immagine al negativo, ed in seguito a individuare la tecnica dell’eliografia, che permetteva di ottenere un positivo dai colori stabili, seppure l’immagine risultasse irrealistica a causa dello scarso controllo della luce. 10 Niepce incontrò a Parigi Louis Jacques Mandé Daguerre, un pittore parigino di discreto successo, che in seguito alla loro collaborazione mise a punto la dagherrotipia, con la quale ottenne risultati di Imago Mundi – Quaderno 3 grande pregio. L’invenzione fu accolta con toni entusiastici, poiché vista come un mezzo per lo studio delle vedute da parte di artisti ed incisori. Altri ricercatori che stavano lavorando nella stessa direzione si interessarono alla scoperta di Daguerre: tra questi William Fox Talbot, che rese noto di aver messo a punto un procedimento dal quale risultava un positivo con un tempo di dissoluzione abbastanza lungo; esso sarebbe poi stato migliorato da Sir John Herschel, al quale si deve l’introduzione dei termini fotografia, negativo e positivo. Le prime fotografie destarono subito l'interesse e la meraviglia dei curiosi che affollarono le sempre più frequenti dimostrazioni del procedimento. I più rimanevano sbalorditi dalla fedeltà dell'immagine e di come si potesse distinguere ogni minimo particolare, altri paventavano un abbandono della pittura o una drastica riduzione della sua pratica. Tale esito non si verificò, ma la certamente la nascita della fotografia favorì e influenzò la nascita di importanti movimenti pittorici, tra cui l'impressionismo, il cubismo e il dadaismo. Nonostante i successi incoraggianti, la fotografia incontrò inizialmente dei problemi nel ritrarre figure umane a causa delle lunghe esposizioni necessarie. Anche se illuminato da specchi che concentravano la luce del sole, immobilizzato con supporti di legno per impedire i movimenti, il soggetto doveva comunque sopportare un’esposizione di almeno otto minuti (con il tempo ridotti a 30 secondi) per ottenere una fotografia in cui appariva con occhi chiusi e un atteggiamento innaturale. Con il miglioramento delle tecniche, la moda dei ritratti poté estendersi rapidamente a tutti i ceti sociali, grazie all'economicità del procedimento. I soggetti erano ripresi solitamente in studio, su di uno sfondo bianco, anche se numerosi furono i fotografi itineranti, che si muovevano con le fiere e nei piccoli villaggi. Il popolare formato a carte de visite fece nascere la 11 La fotografia tra tecnica e arte 12 moda dell'album fotografico, in cui presero posto i ritratti di famiglia e spesso anche di famosi personaggi dell'epoca. Le carte de visite e tutte le immagini prodotte in tirature elevate risultavano però di bassa qualità a causa della meccanizzazione dell'inquadratura e dello sviluppo. Alcuni laboratori imposero uno stile estetico più ricercato, producendo ritratti più attenti al carattere del soggetto: tali laboratori erano per lo più guidati da pittori, scultori o artisti riconvertiti alla fotografia, che mantennero le tecniche delle arti “maggiori” anche nel nuovo procedimento. La tecnica del ritocco, da sempre discussa tra chi intende la fotografica come un documento della realtà e chi la ritiene uno strumento flessibile per migliorare o realizzare la visione artistica del fotografo, fu da subito utilizzato nella ritrattistica, per ammorbidire i segni dell'età o per cancellare le imperfezioni. L'inizio del Novecento vide il rifiuto della fotografia come semplice imitazione della pittura, a cui fece seguito l'abbandono di tutte quelle tecniche che trasformavano l'immagine simulando i tratti del pennello. Il nuovo corso propendeva verso la fotografia pura, intesa come strumento estetico indipendente e fine a se stesso. Nella prima metà del secolo scorso nacque negli Stati Uniti il movimento della Straight photography, che invitava i fotografi a scendere nelle strade della gente comune e della classe operaia, per ritrarre cantieri, metropoli, cieli drammatici, alla ricerca della forma pura o ripetuta, astratta, estetica comune al cubismo e ai nuovi movimenti artistici derivati. La fotografia divenne inoltre lo strumento inseparabile del viaggiatore e del giornalista, capace di divulgare gli eventi e i luoghi meno accessibili alla massa. L'impatto della fotografia sulla società fu enorme, tutto ciò che prima doveva essere descritto adesso, poteva essere visto: luoghi lontani, monumenti, opere d'arte, fatti. Grazie alla fotografia Imago Mundi – Quaderno 3 diventava possibile isolare l'istante dal fluire del tempo e sottrarre l’opera artistica alla sua “aura”, per renderla accessibile a tutti. 2. La fotografia come tecnica di raffigurazione oggettiva Nell’indagare la rappresentazione fotografica del paesaggio, è opportuno distinguere tra foto di ambienti naturali e paesaggi urbani. 2.1 Il paesaggio urbano Nel complesso ambiente di una città, la selettività della fotocamera rappresenta un notevole vantaggio. Il paesaggio urbano offre infatti una scelta infinita di soggetti, ma per ottenere una foto che possa dirsi “riuscita”, occorre una semplificazione dell’immagine tramite un’oculata scelta del punto di ripresa, della tecnica di esecuzione ed una precisa attenzione per gli effetti luce. Nella raffigurazione di un ambiente urbano occorre concentrarsi su quanto esprime la vera natura del luogo, dalle movimentate arterie del centro di una grande città alle viuzze di una cittadina di provincia. La gente è parte integrante di un paesaggio almeno nella stessa misura in cui lo sono i vari edifici rispetto ai quali funge anzi come parametro dimensionale, contribuendo al colore e all’atmosfera della foto. Le città, inoltre, presentano una gamma di condizioni luminose più vasta di qualsiasi altro soggetto, comprendendo tutte le più diverse accentuazioni della luce diurna e di quella artificiale. La luce a mezzogiorno non è certo la migliore per fotografare una città; la texture, la forma, i tipici particolari di un vecchio edificio saranno meglio evidenziati dalla luce obliqua del pomeriggio o del primo mattino; per le superfici con forte potere riflettente, l’illuminazione ideale è quella dell’alba e/o del tramonto. 13 La fotografia tra tecnica e arte 14 Centro della città di Siena 2.2 Il paesaggio naturale Di fronte alla bellezza e alla grandiosità della natura, si può cadere nell’equivoco di credere che sia sufficiente, per ottenere una bella foto, premere un pulsante. Non è però così immediato e naturale rendere l’esatto equilibrio dei rapporti dimensionali e l’incessante modificarsi del paesaggio che caratterizza gli scenari naturali. Prima di scattare, anche nella ricerca di un’immagine oggettiva, il fotografo deve studiare il soggetto, cercando quali siano quegli elementi che lo caratterizzano e, al contempo, lo individuano. Una pianura, per esempio, offre allo sguardo vuote distese e cieli spaziosi; le scogliere e le montagne presentano variazioni Imago Mundi – Quaderno 3 dimensionali e di forma a volte tanto improvvise da risultare drammatiche; i terreni boscosi possono essere intricati o spogli. È necessario dunque curare la composizione del soggetto al fine di ottenere l’inquadratura più di ogni altra adatta a esprimere la particolare essenza del luogo. Di maggior pregio artistico sarà la foto che predilige tempi e condizioni di luce insoliti, atti a dare maggiore intensità al paesaggio, per non scadere in un risultato banale e scontato. Per esempio, un tempo di esposizione relativamente lungo crea nel paesaggio un generale effetto di diffusione della luce che accentua e delinea i singoli particolari. L’insuccesso di una foto di paesaggio è in genere dovuto alla presenza di un inutile numero di particolari che soffocano quelle che possono definirsi le sue caratteristiche precipue. Occorre pertanto saper operare drastiche scelte, forse persino limitandosi a riprendere quei pochi dettagli che già da soli esprimono l’insieme. L’esatta scelta dei rapporti dimensionali tra primo piano, piano centrale e cielo, permette di mettere in risalto dettagli significativi, collocati in posizione chiave nell’inquadratura. La composizione può essere agevolata dall’inserimento nel paesaggio di un elemento che possa fungere da parametro dimensionale: la figura umana rappresenta sempre un forte polo di attrazione, anche se li tratta molto in piccolo. Servirsi dunque di essa crea o rafforza un punto focale per l’attenzione dell’osservatore o per bilanciare altri elementi. Il controllo dell’esposizione e le tecniche di messa a fuoco daranno forza a ogni composizione. 15 La fotografia tra tecnica e arte Il Golfo di Napoli, simbolo di paesaggio urbano e naturale 16 2.3 Applicazioni oggettive della fotografia Tra i diversi campi in cui si riscontra un utilizzo oggettivo, ossia puramente descrittivo o informativo, della fotografia, si possono annoverare la topografia, le immagini destinate alla pubblicazione su manuali e guide turistiche e le fotografie satellitari, di cui si usufruisce anche nell’ambito delle previsioni meteo. La topografia, studio e tecnica della riproduzione in scala sul piano di una zona limitata della superficie terrestre, sfrutta l’arte fotografica in quanto necessaria per una rappresentazione precisa e puntuale di uno spazio geografico anche esteso, dai piccoli centri abitati alle grandi metropoli. Inizialmente la tecnica sfruttata era quella della fotografia aerea, mentre questa ora è stata soppiantata dalla tecnologia satellitare. Le “occasioni” in cui questa Imago Mundi – Quaderno 3 applicazione viene sfruttata sono gli stradari, le mappe a livello cittadino, regionale o nazionale. Pianta topografica del centro archeologico della città di Roma 17 La fotografia satellitare permette di fornire una visione più generale dello spazio, allargandosi a livello nazionale, continentale o globale. Le finalità di tale tecnica sono di studio dello spazio stesso e, per esempio, dei fenomeni climatici ed atmosferici a cui è soggetto: si pensi alle immagini utilizzate nelle previsioni meteo. Gli scopi della tecnica fotografica stessa non sono più quindi solo descrittivi o informativi, ma si volgono anche a piegarsi alle necessità dell’uomo, quali appunto le previsioni del tempo. La fotografia tra tecnica e arte 18 Fotografia satellitare della penisola italiana La fotografia è ampiamente utilizzata anche con scopi di informazione turistica: la rappresentazione di paesaggi naturali, urbani, con le loro chiese, monumenti, diviene necessaria nella descrizione di un determinato luogo per supplire l’inefficacia della parola con l’impatto visivo sicuramente dall’esito più diretto. Imago Mundi – Quaderno 3 Colosseo, Roma 3. Funzione connotativa dell’arte fotografica Anche solo osservando una fotografia scattata da un satellite o un’immagine contenuta in una guida turistica, giusto per citare due esempi di quella che possiamo considerare un’applicazione oggettiva della tecnica, è difficile, se non quasi impossibile, porsi dinnanzi ad esse e restare completamente esenti da un trasporto emotivo. L’arte fotografica, infatti, riesce quasi sempre a coinvolgere empaticamente l’osservatore: proprio per questo essa gioca un ruolo di fondamentale importanza nella pubblicità o nel cinema, dove l’inquadratura, il soggetto o le modalità di ripresa sono fondamentali per la riuscita del prodotto. Le molteplici tecniche fotografiche si rivelano versatili non solo nella rappresentazione di contesti, ma anche delle emozioni che essi portano con sé: ogni immagine è in effetti soggetta a una molteplicità di chiavi di lettura che non ne permettono un’unica interpretazione, una, per così dire, spiegazione che risulti per tutti 19 La fotografia tra tecnica e arte valida e verificata, ma fanno in modo che ciascun osservatore possa vedere in essa un parte di sé, del proprio vissuto. È così che entra in gioco, grazie ai dati tecnici costituiti dalla prospettiva, dall’inquadratura, dal colore o dal bianco e nero, un significato connotativo, che rende i prodotti fotografici piacevoli alla fruizione e, in molti casi, affini, per fruizione, a vere e proprie opere d’arte. 20 San Quirico d’Orcia, provincia di Siena Si prenda ora in analisi un celebre piccolo bosco di cipressi, situato nella Val d’Orcia, in provincia di Siena, spesso ritratto, da professionisti,da fotografi in erba o da semplici turisti. La composizione è semplice: il complesso di alberi è l’unico elemento che rompe la linea continua delle colline, che presentano un andamento pulito, lineare. Le condizioni atmosferiche e meteorologiche favoriscono la netta demarcazione tra il verde brillante del campo e l’azzurro tenue del cielo, mentre il soggetto, Imago Mundi – Quaderno 3 ritratto secondo una prospettiva frontale, rimane l’unico elemento che può catturare l’attenzione dell’osservatore. Possiamo notare come le stesse condizioni climatiche possano modificare profondamente l’apparenza del paesaggio fotografato che diventa, di conseguenza, espressione di una vasta gamma di differenti sentimenti, in base al periodo dell’anno o della giornata in cui è avvenuto lo scatto. Fotografare questo paesaggio con la neve, la nebbia o al tramonto non darà certamente lo stesso impatto: il paesaggio innevato susciterà emozioni di quiete, di serenità. Ma, a dimostrazione della polisemia propria di un’immagine, la stessa foto potrà far scaturire in qualche altro una sensazione di distacco, generata dai colori pallidi e dal forte contrasto cromatico. 21 Il bosco di San Quirico d’Orcia innevato La fotografia tra tecnica e arte Il paesaggio nebbioso, che rende l’atmosfera estremamente malinconica, suscita in chi osserva il paesaggio un sentimento di tristezza e di dolore. La nebbia, infatti, avvolgendo ogni cosa, lascia lo spettatore in una condizione di isolamento rispetto a tutto ciò che lo circonda: la mente sembra svuotarsi e i pensieri paiono svanire, così che le emozioni sembrano ancora più forti. Il bianco avvolgente, che impedisce la visione nitida del soggetto, paradossalmente fa sì che l’osservatore resti maggiormente catturato, quasi trasportato nel mondo della sua intimità e delle sue emozioni, che pare celarsi proprio dietro quella distesa bianca che domina l’immagine. 22 Cipressi di San Quirico d’Orcia in una giornata nebbiosa Imago Mundi – Quaderno 3 La possibilità di vedere chiaramente il soggetto fotografato, invece, fa sì che l’attenzione dell’osservatore si concentri sui dettagli, a partire dai quali si genera una reazione empatica. Il paesaggio fotografato al tramonto fa sì che i colori del cielo attirino maggiormente lo sguardo dello spettatore, più coinvolto dallo sfondo che dall’oggetto centrale dello scatto. L’accostamento naturale di colori caldi suggerisce immancabilmente sensazioni positive, che prescindono dal tipo di paesaggio circostante. È il cielo l’elemento dominante della fotografia: tutte la forza dell’immagine sembra scaturire dal sole che irradia tutto il cielo rendendolo carico di una aggressività e di una passione, che arriva a illuminare anche l’emotività dell’osservatore. 23 Cipressi di San Quirico d’Orcia al tramonto La fotografia tra tecnica e arte Anche la prevalenza di colori caldi o colori freddi nell'immagine, o l'utilizzo del bianco e nero sono tecniche con cui si può ottenere l’empatia dell’osservatore, facendo emergere, di volta in volta, sensazioni ed emozioni sempre diverse. Nel caso dello scatto in analisi, l'utilizzo della tecnica del bianco e nero, oltre ad eliminare le “distrazioni” che potrebbero essere presenti in una rappresentazione a colori dello stesso luogo, permette all’osservatore di immergersi nell'alone del ricordo e della memoria, indietro nel tempo, distaccandolo solo per un preziosissimo attimo dalla realtà quotidiana e regalandogli così emozioni uniche. Sembra che i cipressi si arricchiscano di una nuova dimensione: non sono catturati nella loro staticità, nel singolo attimo, ma è come se, grazie alla scelta del bianco e nero, venisse loro conferito un senso di eternità. 24 Cipressi di San Quirico d’Orcia in una giornata nebbiosa Imago Mundi – Quaderno 3 Nel caso, invece, di una fotografia a colori, è necessario fare una distinzione fondamentale: nell'immagine, infatti, possono figurare e prevalere colori caldi oppure colori freddi: a seconda della preponderanza di tonalità calde o fredde, si può notare come l'atmosfera cambi completamente. Nel primo caso, infatti, l'intensità del giallo della distesa intorno ai cipressi comunica sensazioni positive e rassicuranti, che generano poi nell’osservatore armonia e pace, di sicurezza e di tranquillità. 25 Cipressi di San Quirico D'Orcia in un'immagine in cui prevalgono colori caldi La fotografia tra tecnica e arte Nel secondo caso, invece, l'osservatore sarà presumibilmente colto da sensazioni di isolamento, di tristezza e di malinconia: il silenzio diviene palpabile grazie alla freddezza di colori come il bianco o il grigio, che trasmettono emozioni più negative, legate al distacco e all'isolamento. Chi si pone davanti ad un'immagine in cui questi sono i colori predominanti, non può fare altro che calarsi in una dimensione di dolorosa riflessione personale. La fotografia non sembra comunicare un senso di protezione all'osservatore, ma al contrario sembra lasciarlo solo, inerme, dinnanzi alla grandezza e alla maestosità del paesaggio rappresentato. 26 Cipressi di San Quirico D'Orcia in un'immagine in cui prevalgono colori freddi Imago Mundi – Quaderno 3 Anche la luminosità e il contrasto sono elementi di importanza rilevante per la connotazione di uno scatto fotografico: per esempio, nella raffigurazione seguente, il contrasto esasperato esalta le tonalità cromatiche e fa convergere l’attenzione dello spettatore al centro dell’immagine, nel punto dove si incontrano le linee di forza della stessa. Con questa tecnica, applicata anche a posteriori, ossia a scatto compiuto, mediante fotoritocco, è possibile per il fotografo decidere quale elemento valorizzare, dove indirizzare lo sguardo dello spettatore, ottenendo un effetto cromatico quasi “da cartolina”. 27 Ripresa della prima fotografia presa in analisi con un’accentuazione del contrasto La fotografia tra tecnica e arte Prendiamo infine in analisi una fotografia cui è stato applicato un filtro seppia: essa ben si presta per una duplice osservazione sulla tecnica adottata; in primo luogo la scelta del filtro color seppia, per lo più applicato a scatto compiuto, svolge la funzione di modificare nel complesso l’atmosfera, conferendole un alone di distacco, di triste apatia; e ancora, la scala cromatica che si viene a creare, fa nascere da questo paesaggio un effetto melanconico, attraverso la sottolineatura chiaroscurale l’isolamento degli alberi. Il filtro seppia presenta una curiosa ambivalenza, in quanto se nella rappresentazione paesaggistica va a causare gli effetti sottolineati, nella ritrattistica ottiene invece l’effetto opposto: i volti risultano più solari, carezzati da una luce morbida, come quella di una vecchia foto: con tutte le considerazioni fatte precedentemente in merito alla scelta di scale cromatiche calde. 28 Applicazione di un filtro seppia Imago Mundi – Quaderno 3 IL PAESAGGIO NELL'ARTE RINASCIMENTALE Francesca Montemagno, Chiara Nesta Studentesse della Classe II A – a.s. 2010-2011 Liceo Classico “A. Volta” – Como 29 Il paesaggio nell'arte rinascimentale uesta ricerca si colloca, all’interno del progetto Imago Mundi - La Terra vista dalla Terra, nell’ambito della rappresentazione pittorica del paesaggio nell’arte rinascimentale, con l’obiettivo di illustrare l’evoluzione della raffigurazione del paesaggio grazie all’introduzione e allo sviluppo della tecnica prospettica, da quella monoculare di Filippo Brunelleschi a quella aerea di Leonardo daVinci. Q Storia dell’evoluzione della prospettiva 30 Il Rinascimento è uno dei momenti più importanti per la rappresentazione prospettica; in questo periodo artisti e matematici, grazie alla messa a punto di regole precise per la rappresentazione del reale codificate, cercano infatti di superare l’empirismo della prospectiva communis medioevale, in studi sistematici. in cui il termine prospectiva indica un metodo grafico per raffigurare tridimensionalmente la profondità spaziale su un piano bidimensionale. A tale rigorosa norma teorica, che tuttavia non riproduce perfettamente la visione umana, la prassi artistica cinquecentesca apporterà poi alcune variazioni,pur senza smentirne la validità di fondo. Se da una parte te l’uso della prospettiva mira a razionalizzare la ricostruzione della realtà, dall’altra la sua applicazione conduce ad operare delle schematizzazioni: l’integrazione armoniosa tra le esigenze di realismo e la tendenza all’astrazione costituisce il portato più originale dell’arte rinascimentale. 1. Filippo Brunelleschi e la prospettiva monoculare Il primo ad occuparsi dello studio della prospettiva fu l’architetto fiorentino Filippo Brunelleschi, che applicò alla rappresentazione Imago Mundi – Quaderno 3 pittorica alcuni principi dell’ottica, studiati in genere in relazione alle proprietà degli specchi. In armonia con il carattere tecnico pratico che qualifica la prima fase delle arti figurative rinascimentali, il suo metodo venne elaborato a partire da esperimenti ottici e non fu illustrato in un trattato, ma applicato in due tavolette, ora perdute, che ritraevano due vedute urbane: piazza della Signoria, con Palazzo Vecchio, e il Battistero di Firenze. La tavoletta più antica, che rappresentava il Battistero, non doveva esser guardata direttamente: lo spettatore, dal retro della tavola, doveva accostare l’occhio a un foro passante che corrispondeva al punto centrico della costruzione geometrica e, attraverso di esso, guardare l’immagine riflessa in uno specchio tenuto parallelo alla tavola col braccio libero. L’immagine era realizzata su argento brunito, in modo tale che, attorno alla raffigurazione dell’edificio, si rispecchiasse il cielo vero, aumentando l’effetto illusorio di realtà. La macchinosità di questo sistema ci aiuta a mettere a fuoco alcune regole basi della nuova costruzione spaziale e, più in generale, dell’uso quattrocentesco del mezzo prospettico. Nella tavoletta, infatti, erano stabiliti, forzatamente, un punto di vista unico e fisso (il foro) e una distanza (quella del braccio): è chiaro, quindi, che le regole matematiche, strumenti supremi di oggettivazione, erano applicate a partire da dati imposti soggettivamente dall’artista. 31 Il paesaggio nell'arte rinascimentale È altrettanto evidente che la prospettiva lineare elaborata da Brunelleschi non è affatto sovrapponibile alla visione fisiologica, che si realizza grazie a due occhi in continuo movimento, ma è piuttosto una costruzione intellettuale, in ogni caso assai felice, perché coerente con l’idea quattrocentesca di un mondo ordinato dall’uomo e rispondente alle esigenze stilistiche di unità e aderenza al reale. 2. Leon Battista Alberti 32 Il sistema brunelleschiano, adottato con entusiasmo da Masaccio e da Donatello, fu poi codificato dall’architetto e umanista Leon Battista Alberti nel trattato De Pictura, scritto in latino nel 1435. In questo testo egli espone analiticamente un sistema di riduzione prospettica, detto “costruzione legittima”, identifica l’imitazione della realtà come suo scopo principale e sottolinea il ruolo centrale dell’uomo-ordinatore del mondo, in quanto il dipinto prospettico ne riprodurrebbe la percezione oculare. Infine, introduce la definizione del dipinto come finestra affacciata Esempio di prospettiva centrale a su uno spazio creato punto di fuga unico e a più fuochi artificialmente. In un’opera impostata secondo la prospettiva geometrica, tutte le linee ortogonali alla superficie della rappresentazione convergono verso un unico punto di fuga ed è in corrispondenza di quest’ultimo Imago Mundi – Quaderno 3 che deve preferibilmente porsi l’occhio dello spettatore. In questo caso, per ottenere un effetto di profondità ottimale, il segmento che unisce il punto di vista e il punto di fuga deve essere ortogonale alla superficie del dipinto. La costruzione prospettica non si esaurisce però con il delineare la convergenza delle parallele verso un punto di fuga: è necessaria anche una scansione proporzionale in profondità. Per raggiungerla agevolmente, Alberti suggerisce un modo optimo, che esemplifica attraverso la costruzione esatta di un pavimento a scacchiera. Nonostante questa codificazione, l’uso della prospettiva non fu rigido: molti artisti sperimentarono soluzioni diverse, per raggiungere specifici effetti espressivi o per mettere alla prova le potenzialità del sistema. 3. Piero della Francesca In seguito, altri grandissimi artisti del Rinascimento lasciarono scritti sul tema; un esempio è Piero della Francesca, che completò l’impianto teorico delle tecniche per la costruzione della prospettiva nel De perspectiva pingendi, un trattato in lingua volgare composto nel 1475. Egli era consapevole della necessità di riferire la rappresentazione pittorica ad un organico e completo sistema di leggi e procedimenti matematici; il pittore, più che chiedersi “cosa” rappresentare, avrebbe dovuto occuparsi di “come” giungere ad una rappresentazione verosimile e corretta. 33 Il paesaggio nell'arte rinascimentale Nel De perspectiva pingendi, che costituisce il primo trattato organico della prospettiva rinascimentale, la rappresentazione figurativa viene riferita a un sistema di leggi e procedimenti matematici che devono consentire una verosimile traduzione dello spazio tridimensionale su un piano bidimensionale attraverso opportune deformazioni prospettiche avvertite dall’occhio umano, differentemente da quanto aveva detto Alberti, che aveva 34 La flagellazione di Cristo concentrato la propria attenzione nel rappresentare sul piano del dipinto figure sul piano del pavimento. Opera emblematica di questo studio è la Flagellazione di Cristo, un dipinto a tempera su tavola (di dimensioni piuttosto ridotte) che Piero della Francesca realizzò probabilmente attorno al 1460 per la corte di Urbino. Le scene rappresentate inducono a credere che il quadro sia di notevoli dimensioni. Ciò accade perché il pittore Imago Mundi – Quaderno 3 riesce a rendere molto ampio lo spazio dipinto grazie alla padronanza della prospettiva lineare. Il senso della profondità è dato principalmente dall’edificio che occupa la parte sinistra del quadro: le linee della pavimentazione, degli edifici e delle cornici corrono tutte verso il punto di fuga, che si trova molto vicino al centro del dipinto, a un terzo circa della sua altezza (f.1). La pavimentazione e il soffitto a riquadri hanno la funzione di definire la profondità dello spazio dipinto e di renderlo perciò misurabile. Le dimensioni delle piastrelle, che diminuiscono progressivamente, permettono ad esempio di individuare le diverse grandezze delle figure e di calcolare le esatte proporzioni tra architettura e personaggi. Grazie alla prospettiva, quindi, le figure poste in lontananza assumono dimensioni più piccole, rigorosamente corrette rispetto sia a quelle in primo piano, sia a quelle degli edifici, delle porte e delle colonne con cui sono in stretto rapporto. Le due scene sono nettamente separate dalla notevole differenza tra le dimensioni delle tre figure poste in primo piano e quelle delle figure poste in lontananza, oltre che f.1 Lo schema grafico riporta il punto dalla colonna, che suddivide di fuga, le linee prospettiche e gli assi di simmetria della figure. in due rettangoli aurei la superficie del dipinto. Nella sezione aurea di un segmento, il segmento intero sta al segmento maggiore come quest’ultimo sta al segmento minore: in questo caso, se AB è la lunghezza del dipinto e C è il punto in cui passa l’asse della colonna, il rapporto aureo si esprime nella 35 Il paesaggio nell'arte rinascimentale proporzione AB : AC = AC : CB. I rettangoli con base AC e CB sono dunque diversi, ma stanno tra loro in rapporto aureo. Grazie a tale proporzione la composizione pittorica esprime un perfetto equilibrio, senza ricorrere al sistema della simmetria. Inoltre, nelle due scene, la luce proviene da direzioni differenti: da destra quella della scena della flagellazione, da sinistra quella della scena in primo piano. Le due parti del dipinto sono però visivamente unite dal comune impianto prospettico. 4. Leonardo da Vinci e la prospettiva aerea 36 Alla fine del Quattrocento, Leonardo da Vinci si occupò attivamente delle problematiche della rappresentazione spaziale degli oggetti, con notazioni e dimostrazioni sparse nei suoi manoscritti. La sua ricerca di un linguaggio espressivo autenticamente pittorico era del tutto in sintonia con l’uso delle tecniche razionali di rappresentazione dello spazio. È opportuno sottolineare il differente modo di considerare il problema da parte di Leonardo rispetto agli artisti delle generazioni precedenti: mentre l'Alberti, considerando le relazioni fra immagine e oggetto reale, pone l'attenzione su rapporti di proporzionalità, Leonardo più sinteticamente mette a fuoco la similitudine, una delle proprietà che sarà fondamentale nello stimolare i successivi sviluppi di ordine teorico, e con la mentalità dello scienziato dice anche: "Prospettiva non è altro che sapere bene figurare lo ufizio dell'occhio". Leonardo si rese conto che, poiché l’immagine fisiologica si proietta su una retina curva, gli oggetti alle estremità del campo visivo tendono ad apparire più piccoli (aberrazioni marginali), cosa che non avviene nella riproduzione sul piano pittorico, e che lo spessore Imago Mundi – Quaderno 3 dell’atmosfera che si interpone tra oggetti e spettatore comporta variazioni nei colori (prospettiva aerea). Nella prospettiva aerea, con l'aumentare della distanza dal punto di osservazione, i contorni divengono più sfumati, i colori sempre meno nitidi e la loro gamma tendente verso l'azzurro. Leonardo, di conseguenza, nella sua pittura rende gli oggetti con colori sempre più sfumati in funzione della loro distanza, rendendo più nitidi quelli in primo piano. Egli distingue poi una "prospettiva aerea" propriamente detta, in cui si applica lo sfumato a seconda della distanza degli oggetti raffigurati, da una "prospettiva del colore" che invece teorizza il cambiamento del colore delle cose in ragione della loro lontananza. Secondo gli studi di ottica di Leonardo, inoltre, l'aria è più densa quanto più è vicina al suolo, mentre diventa più trasparente con l'altezza. Quindi soprattutto gli elementi di paesaggio che si sviluppano in altezza, come le montagne, appaiono più nitidi nelle parti più alte. La Gioconda La prospettiva aerea è efficacemente applicata in uno dei quadri più La Gioconda 37 Il paesaggio nell'arte rinascimentale celebri di Leonardo, la Gioconda, detta anche Monna Lisa. Appaiono molto nitidi e definiti i dettagli in primo piano, come le pieghe delle maniche e del vestito, il ricamo lungo la scollatura, il sottile velo che tiene fermi i lunghi capelli mossi, le mani adagiate in grembo. Il paesaggio sullo sfondo, invece, all’aumentare della distanza dal punto di osservazione, risulta sempre più sfumato, con contorni progressivamente meno nitidi e colori tendenti al verde e all’azzurro. Bibliografia 38 Carlo Bertelli, 2010, vol.3, La Storia dell’Arte – Dal Rinascimento all’età della Controriforma, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, Milano - Torino E. Tornaghi, 2010, La forza dell’immagine e il linguaggio dell’arte, 2^ edizione, Edizioni Loescher, Torino Sitografia http://www.istitutomaserati.it/prospettiva/index.html http://approfondimentidarte.forumfree.it/?t=44020270 http://it.wikipedia.org/wiki/Prospettiva#Primo_Rinascimento http://it.wikipedia.org/wiki/Flagellazione_di_Cristo_(Piero_della_Fr ancesca) http://it.wikipedia.org/wiki/Doppio_ritratto_dei_duchi_di_Urbino http://it.wikipedia.org/wiki/Prospettiva_aerea http://it.wikipedia.org/wiki/Gioconda Imago Mundi – Quaderno 3 LA SICILIA, TRA LOCUS AMOENUS E DISSESTO Ambrogio Gagliano, Monica Rossi Studenti della Classe II A – a.s. 2010-2011 Liceo Classico “A.Volta” – Como F in dal III sec. a.C. il poeta greco Teocrito, nei suoi Idilli e Epigrammi, individuava nella Sicilia l’ideale di ambiente bucolico, dove pace e serenità consentivano all’uomo di condurre un’esistenza priva di ogni sorta di turbamento e di dedicarsi alla riflessione e alla poesia, in assoluta armonia con la natura. Anche oggi la letteratura pone al lettore un analogo scenario: basti pensare alla Sicilia di Camilleri, soprattutto nei romanzi che hanno per protagonista il commissario Montalbano, in cui essa si rivela ancora incantevole, quasi per nulla contaminata dalla mano umana. Tale visione certamente stride a contatto con i molti casi di abusivismo edilizio, spesso dovuti all'influenza eterogenea della mafia sul territorio e a un intervento umano scisso da qualsivoglia rispetto ambientale e determinato da soli interessi economici. Colpiti da questo scarto, nell’ambito del progetto Imago Mundi, dedicato all’approfondimento del tema “La Terra vista dalla Terra”, ci siamo proposti di condurre uno studio di caso applicato alla Sicilia A tal proposito ci siamo serviti di opere artistiche e di notizie di cronaca, da cui è emerso un profondo contrasto tra l’immaginario collettivo e la reale condizione ambientale che interessa alcune zone della regione sicula, soprattutto a causa della radicata presenza del fenomeno mafioso. Abbiamo così preso in esame due emblematici fatti di cronaca: l'installazione di pale eoliche nel territorio della Valle di Mazara, in 39 La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto particolare nel comune di Salemi, e l'abusivismo edilizio che interessa la zona di Agrigento. A questi casi abbiamo associato e, in un certo senso, contrapposto alcune immagini letterarie o pittoriche che rendessero l'antitesi, che oggi interessa solo alcune zone della Sicilia, ma che in futuro potrebbe dar vita a una realtà dalla quale sarà impossibile affrancarsi: Vento a Tindari di Salvatore Quasimodo e Luce del sud, di Antonino Cammarata. 1. Sicilia e abusivismo 40 La prima sezione della nostra analisi concerne una delle più tristi realtà dell'isola: l'abusivismo edilizio. Il fenomeno riguarda ampie zone della regione, dall'entroterra alla costa, e intacca luoghi che rappresentano un patrimonio tra i più suggestivi al mondo. Il cemento ricopre il paesaggio naturale, seguendo gli interessi economici di una delle più problematiche piaghe nazionali, la mafia, nel silenzio e talvolta nell'assoluto consenso delle autorità. 1.1 Abusivismo edilizio in Sicilia: la Valle dei Templi di Agrigento In Sicilia, come in altre regioni italiane, l’abusivismo edilizio è stato a lungo considerato un fenomeno “normale”, finalizzato al raggiungimento del benessere soprattutto negli anni del boom economico, approvato da una classe politica compiacente, nonché sovente legata alla criminalità di stampo mafioso. Il caso più celebre è forse quello della Valle dei Templi, in cui il fenomeno del “mattone selvaggio” non solo infrange la legge, ma va a intaccare un inestimabile patrimonio storico artistico. Tale vicenda, nata attorno agli anni ’60, si protrae fino a oggi in un continuo susseguirsi di condoni, espropri e demolizioni mai attuate che avvengono in un ambiente non privo di un’adeguata e specifica Imago Mundi – Quaderno 3 normativa urbanistica. Importanti, nella ricostruzione del caso, gli avvenimenti del 19 Luglio 1966, in cui una frana provocata dall’accumulo di oltre 850.000 metri quadrati di edifici abusivi, mise in luce la speculazione edilizia di un’amministrazione che non solo aveva trascurato le voci di coloro che lamentavano il mancato rispetto per il patrimonio culturale della zona, ma aveva anche ignorato gli allarmi lanciati da tecnici ed esperti a proposito del rischio di frane. Tale episodio ebbe come immediata conseguenza l’emanazione del decreto Gui-Mancini, attraverso cui venne vincolata un’area di 1200-1300 ettari, la cosiddetta zona A, di maggior pregio archeologico, dichiarata assolutamente non edificabile, oltre ad un ordine di demolizione di 468 edifici, che però non venne mai eseguita. Al decreto, percepito dall’opinione pubblica come una sorta di azione punitiva nei confronti della città, seguirono varie proteste per le quali l’area delimitata sarebbe stata eccessivamente estesa e ben più ampia della comune concezione topografica della Valle e numerosi tentativi di restringimento della suddetta area. L’aspettativa del ridimensionamento dei confini della fascia di tutela assoluta giunse al culmine nel piano regolatore generale adottato dal Comune nel 1978, che escludeva dal vincolo tutte le principali contrade dove si era dispiegata l’edificazione abusiva: dall’anno dell’adozione del piano alla data della sua approvazione, nella versione riveduta (1982), nella zona A venne realizzato il 31,5% delle opere denunciate; l’attesa nutrita per anni, che aveva portato all’impennata delle costruzioni, subì un duro colpo in quanto quella parte del territorio è esclusa dal condono, e si smette di edificare abusivamente. Al 1985 risale la legge-sanatoria che esclude però ancora dal beneficio le opere realizzate nella zona A, dove l’abusivismo sembra scomparire, mentre continua imperterrito nel resto della città. 41 La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto 42 I primi decreti di demolizione, risalenti al 1980, non ebbero alcuna conseguenza concreta. Nel 1988 si contavano 2.000 costruzioni abusive di cui 500 nella zona A , mentre l’intervento dell’amministrazione comunale procedette con l’ulteriore restringimento dei limiti imposti dal tanto discusso decreto al fine di sanare parte degli abusi: vennero espropriati 400 ettari, ma il progetto formulato, che prevedeva un’ulteriore espropriazione di 300 ettari per un totale di 700 su 1200 nonché la demolizione dell’intera zona A sulla quale costruire il parco archeologico, non venne mai portato a termine. Il numero degli edifici costruiti salì con il passare degli anni: nel 1991 se ne contavano 600 all’interno della zona di assoluta inedificabilità e oltre 1500 in quella con vincolo di inedificabilità limitata. Nel 1993 salirono rispettivamente a 650 e 2000. Il fenomeno si protrae negli anni tra i movimenti di protesta degli abusivi e l’indifferenza della classe politica, perfettamente rappresentata dall’atteggiamento qualunquista del sindaco Calogero Sodano, che in un’intervista del 1996, riferendosi ad alcune fotografie, prova tangibile dell’esistenza del problema, dichiarò che si trattava di un’ “illusione ottica” sulla quale i giornalisti avrebbero costruito un caso inesistente. Nello stesso anno il ritiro improvviso della ditta vincitrice dell’appalto per la demolizione, pur creando numerosi sospetti, vanificò nuovamente l’intento di ristabilire l’ordine, oltre ad accrescere ulteriormente l’entità del problema; nel 1996 le case nella zona A arrivarono infatti a 700. Il 21 Marzo 2001, una ruspa demolì alcuni edifici, provocando presso l’opinione pubblica un vortice di proteste che culminarono nel 2002 con l’esplosione di una bomba sotto il tempio della Concordia, a seguito della firma di 300 atti di esproprio. Negli ultimi anni sono stati attuati ulteriori interventi, sempre meno efficaci: i territori in questione vengono sempre più spesso venduti e Imago Mundi – Quaderno 3 lottizzati al fine di evitare espropri e demolizioni, anche attraverso l’appello delle famiglie che occupano gli edifici. A questo proposito è rilevante notare che le statistiche di Legambiente sottolineano come la natura del fenomeno non sia “di necessità”: i dati provano infatti che l’abusivismo in zona A è per circa il 60% realizzato a fini famigliari non riconducibili a necessità di abitazione e che si tratta perlopiù di seconde case, come tali escluse da qualunque sanatoria in base alla legge sul condono edilizio dell’85. Queste dimore appartengono per lo più a famiglie di estrazione borghese, sono disabitate nei mesi invernali e spesso non sono allacciate alle reti idrica ed elettrica. Il fenomeno non trova quindi alcuna giustificazione nella richiesta di abitazioni da parte di famiglie di bassa estrazione sociale, ma risulta perlopiù identificarsi con la speculazione, attività spesso criminale perché connessa alla mafia. I benefici economici di tale fenomeno sono evidenti: la costruzione di una casa abusiva costa la metà di quanto non costerebbe se venisse effettuata nella legalità dal momento che non si paga l’onere di concessione al comune e la retribuzione degli operai non prevede il versamento dei contributi; tutti questi elementi contribuiscono al giudizio di condanna dell’abusivismo che, oltre a trasgredire numerose norme spesso di carattere burocratico, va a danneggiare nel caso specifico, un incredibile patrimonio storico, di grande bellezza e rarità. 43 La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto 1.2 Mafia ed energie rinnovabili: Salemi 44 Nel cuore della Valle del Belice, tra vigne e appezzamenti coltivati, sorge Salemi, piccolo comune del trapanese, protagonista di uno degli esempi più espliciti di violenza ambientale. Proclamata prima capitale dell'Italia Unita, se pur per breve tempo, dallo stesso Garibaldi nel momento del suo sbarco in Sicilia, Salemi per secoli ha goduto di un sonno profondo, tra vigneti e colline verdeggianti, come se l'uomo fosse arrivato in punta di piedi e in punta di piedi vi fosse rimasto. A risvegliare il piccolo comune i lavori di installazione di pale eoliche, giganti che costellano, immobili, il paesaggio. Immobili, perché nella zona in cui le pale sono state impiantate non vi è vento. A lanciare l'allarme dell' inquinamento paesaggistico, fu Vittorio Sgarbi, sindaco del paese, il quale, nel 2008, si oppose con forza all'installazione di pale eoliche nella valle di Mazara. Egli paragonò l’iniziativa a uno "stupro della campagna", definendo i parchi eolici della valle di Mazara, in quanto contrari all'articolo 9 Imago Mundi – Quaderno 3 della Costituzione italiana: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio artistico della Nazione". Fu Sgarbi stesso ad organizzare a Salemi una conferenza sul tema "La minaccia all'integrità del paesaggio e le energie rinnovabili", a cui prese parte lo scienziato Vladimir Kutcherov, il quale espose la sua teoria secondo la quale il petrolio è presente, sul pianeta, in quantità inesauribili e, per questa ragione, piuttosto che deturpare il paesaggio con mostri di ferro, sarebbe più opportuno verificarne la disponibilità nel territorio siculo. In effetti la violenza subita dal territorio di Salemi per l'installazione dei giganti immobili ha avuto importanti ripercussioni sull'economia del paese, tanto che molti viticoltori e agricoltori della zona, dovettero adeguarsi alle nuove condizioni territoriali, senza contare i numerosi danni alle strade, mai rimesse in sesto, le colline tagliate per consentire i lavori e la perdita di attrattiva turistica del territorio, con borghi medievali all'ombra di mostri di ferro. A lasciare ancora più indignati è l'impossibilità dell’uso dell'energia elettrica ottenuta dalle pale eoliche - qualora queste dovessero funzionare - perché la società Terna, ente nazionale che si occupa della distribuzione dell'energia, ha affermato che essa, assieme al restante surplus di energia elettrica prodotta attualmente in Sicilia, verrebbe convogliata verso l'Italia continentale attraverso un cavo sottomarino. A che cosa, ma soprattutto, a chi servono dunque queste pale eoliche? Perché, se il minimo di ore di vento per l'installazione legale delle pale eoliche è di 2700 ore annue, questi campi eolici sono stati realizzati a Salemi, dove il vento soffia in media per 2200? Cosa c'è dietro questo folle progetto di deturpazione del paesaggio? Ancora la mafia. I fondi stanziati dallo stato italiano per le forme di energia alternativa sono molto ampi e la mafia ne fa una fonte di guadagno "legale". Lo stesso sindaco del 45 La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto paese si è visto minacciato dall'associazione mafiosa dopo la denuncia del 2009, in seguito alla quale le indagini hanno portato al sequestro di diverse pale eoliche e all'arresto di mafiosi e imprenditori coinvolti, tra cui Melchiorre Saladino, uno dei più influenti cittadini di Salemi e un personaggio di spicco dell'organizzazione mafiosa siciliana. 2. Il paesaggio siciliano nella letteratura 46 Fin dall’antichità, la trasposizione letteraria del paesaggio ha permesso all’uomo di immortalarne e esaltarne la bellezza. Così, Teocrito, nel IV-III sec. a. C., e Camilleri ai giorni nostri hanno rappresentato la Sicilia nei suoi tratti più naturali e selvaggi, collaborando all’identificazione, nell’immaginario comune, del territorio siciliano con il locus amoenus per eccellenza. 2.1 Teocrito e il paesaggio di Sicilia Nato a Siracusa e ritenuto l’inventore della poesia bucolica, il poeta ellenistico Teocrito sviluppò un realismo nella descrizione e un'autenticità dei personaggi ignoti fino a quel momento. Da alcuni testi attribuiti al poeta siciliano è evidente come egli, nella descrizione del locus amoenus, tragga spunto dalla Trinacria reale, che può essere considerata la sua musa ispiratrice. Un primo esempio è costituito dal famoso idillio Licida o Le Talisie, il cui tema principale è l'investitura poetica di Teocrito al genere bucolico, sulla scia di Esiodo. In esso il poeta fornisce una descrizione della natura siciliana, ricca di odori e colori, assunto a simbolo dell'atarassia e del piacere disinteressato della poesia: Imago Mundi – Quaderno 3 In gran numero a noi sul capo stormivano pioppi e olmi; e da presso risuonava la sacra acqua sgorgante dall'antro delle Ninfe. Sui rami ombrosi le cicale bruciate dal sole frinivano senza riposo, e l'usignolo gorgheggiava lontano, nei fitti spini dei rovi. Cantavano le allodole e i cardellini, gemeva la tortora, volteggiavano intorno alle fonti le bionde api. Dappertutto un profumo di pingue raccolto, dappertutto un profumo di frutti. Pere ai nostri piedi, ai nostri fianchi mele in grandi quantità rotolavano, e si piegavano i rami carichi di susine fino a terra; (...) L'estratto (vv. 135-146) offre un ridente quadro naturale: sono presenti gli elementi tipici del locus amoenus, quali l'ombra, ai piedi dei pioppi e degli olmi, e l'acqua, che sgorga da una fonte sacra alle Ninfe. A questi si aggiungono elementi animali, quali le cicale e l'usignolo, simboli dell'arte del canto, insieme alle allodole e ai cardellini. Altro animale menzionato è l'ape, protagonista di numerose opere di stampo rurale, bucolico e georgico. Teocrito fa riferimento, inoltre, all'abbondanza di frutti della terra, quali pere, mele e susine, che contribuiscono a ritrarre una nuova età dell'oro. Il quadro descritto mostra un ambiente pacifico e idilliaco, che consente al poeta di immergersi in se stesso e di esprimere la propria interiorità mediante il canto. Anche i versi 5-19 dell'epigramma IV forniscono un'accurata descrizione paesaggistica, in cui elementi naturali, massima espressione di armonia e pace, sono contrapposti al canto d'amore del poeta, dai toni melanconici e quasi elegiaci: 47 La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto Un sacro recinto si propaga tutt'intorno, e un ruscello perenne, scorrendo dalle rocce, è adorno da ogni parte di lauri e di mirti e di un cipresso profumato: là una vite, madre di grappoli, si distende intorno con le sue volute; a primavera i merli con accenti melodiosi fanno riecheggiare canti gorgheggianti, e gli usignoli canterini rispondono con i loro cinguettii, effondendo la voce dolce come miele. Là fermati, e prega il bel Priapo ch'io smetta di desiderare Dafni, e subito gl'immolerò un bel capretto. Ma se rifiuta, e io ottengo l'amore di costui, voglio fare un triplo sacrificio: una giovenca, un irsuto caprone, e un agnellino che ho nell'ovile. Mi ascolti Priapo con favore. 48 2.2 La Sicilia dell’immaginario tra Vigàta e Montelusa Esistono luoghi della Sicilia che anche la letteratura moderna ha consacrato, imprigionandone il fascino e perpetuandolo nell’immaginario comune, rendendoli sfondo di romanzi e, qualche volta, addirittura protagonisti delle storie narrate. Questi luoghi, in particolar modo nelle pagine dello scrittore Andrea Camilleri, sceneggiatore e regista italiano nato a Porto Empedocle nel 1925, vibrano di una grande vitalità, al punto che, per molti lettori Vigàta (Porto Empedocle) e Montelusa (Agrigento) sono oramai divenuti oggetto di vero e proprio amore. La Sicilia di Camilleri è quella del suo immaginario, legata ai ricordi della giovinezza di inizio secolo, che oggi appare surreale e solo vagamente connessa alla Sicilia reale, soprattutto a causa delle modifiche al territorio attuate per sviluppare il turismo balneare. Imago Mundi – Quaderno 3 L’ambiente che il commissario Salvo Montalbano, protagonista di molti romanzi di Camilleri, ama di più è quello aspro, arido, brullo dell’antica Sicilia occidentale, affascinante e tranquillo, fonte di solitaria ispirazione e talvolta addirittura capace di suggerirgli importanti intuizioni legate alle sue indagini; questo amore è esplicitato dall’autore ne La forma dell’acqua: Quella però era la Sicilia che piaceva al commissario, aspra, di scarso verde, sulla quale pareva (ed era) impossibile campare e dove ancora c’era qualcuno, ma sempre più raro, con gambali, coppola e fucile in spalla, che lo salutava da sopra la mula portandosi due dita alla pampèra. Il romanzo La gita a Tìndari suggerisce la tendenza del protagonista ad isolarsi, appena possibile, all’esterno della realtà cittadina per immergersi nella natura della campagna siciliana, che costituisce lo sfondo perfetto per le solitarie riflessioni del commissario. In particolare i suoi pensieri sono stimolati dalle fronde di un antico ulivo saraceno, pianta tipica della macchia mediterranea, che, attraverso l’articolazione dei suoi rami, pare volergli ricordare l’intricatezza delle indagini sulle quali sta lavorando: C’era proprio a mezza strata tra i due paìsi, un viottolo di campagna, ammucciato darrè a un cartellone pubblicitario, che portava a una casuzza rustica dirupata, allato aveva un enorme ulivo saraceno che la sua para di centinara d’anni sicuram ente li teneva. Pareva un àrbolo finto, di teatro, nisciùto dalla fantasia di un Gustavo Doré, una possibile illustrazione per l’Inferno dantesco. I rami più bassi strisciavano e si contorcevano terra terra, rami che, per quanto tentassero, non ce la facevano a isarsi verso il cielo e che a un certo punto del loro avanzare se la ripinsavano 49 La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto e decidevano di tornare narrè verso il tronco facendo una specie di curva a gomito o, in certi casi, un vero e proprio nodo. Poco doppo però cangiavano idea e tornavano indietro, come scantati alla vista del tronco potente, ma spirtusato, abbrusciato, arrugato dagli anni. E, nel tornare narrè, i rami seguivano una direzione diversa dalla precedente. Erano in tutto simili a scorsoni, pitoni, boa, anaconda di colpo metamorfosizzati in rami d’ulivo. Parevano disperarsi, addannarsi per quella marìa che li aveva congelati, «canditi», avrebbe detto Montale, in un’eternità di tragica fuga impossibile. I rami mezzani, toccata sì e no una metrata di lunghezza, di subito venivano pigliati dal dubbio se dirigersi verso l’altro o se puntare alla terra per ricongiungersi con le radici. 50 Taliato da sotto, da questa nuova prospettiva, l’ulivo gli parse più grande e più intricato. Vide la complessità di ramature che non aveva prima potuto vedere standoci dintra. […] Per una mezzorata se ne stette a panza all’aria, senza mai staccare lo sguardo dall’dall‘. E più lo taliava, più l’ulivo gli si spiegava, gli contava come il gioco del tempo l’avesse intortato, lacerato, come l’acqua e il vento l’avessero anno appresso anno obbligato a pigliare quella forma che non era Imago Mundi – Quaderno 3 capriccio o caso, ma conseguenza di necessità. L’occhio gli si fissò su tre grossi rami che per breve tratto procedevano quasi paralleli, prima che ognuno si lanciasse in una sua personale fantasia di zigzag improvvisi, ritorni narrè, avanzamenti di lato, deviazioni, arabeschi. Uno dei tre, quello centrale, appariva leggermente più basso rispetto agli altri due, ma con i suoi storti rametti s’aggrappava ai due rami soprastanti, quasi li volesse tenere legati a sé per tutto il tratto che aveva in comune. I luoghi di Montalbano dal 2001 sono stati oggetto di una trasposizione televisiva, in seguito alla creazione della serie tv dedicata alle indagini del celebre commissario. Nella scelta paesaggistica sono state apportate variazioni significative rispetto all’originale versione letteraria: al ringiovanimento fisico del protagonista corrisponde un adattamento alle esigenze di un pubblico moderno, nonché più vasto, che passa attraverso la scelta di un paesaggio a misura d’audience, meno bucolico e poetico, ma di maggiore impatto visivo: il set è, infatti, collocato nei pressi di Ragusa, nella zona orientale della Sicilia, e avvicina lo sfondo della serie allo stereotipo “da cartolina”, alimentando la tendenza, già presente nella versione letteraria, ad una caratterizzazione idilliaca della regione. I due paesaggi, entrambi carichi di attrattiva, sono entrati a far parte, ciascuno con le sue peculiarità, dell’immaginario degli italiani: la parte orientale della Sicilia risulta più direttamente apprezzabile dal grande pubblico, più turistica perché corrispondente all’immagine del luogo di villeggiatura, proprio per questo si distingue dall’isola amata e descritta da Camilleri per mezzo della figura di Montalbano, che è invece più grezza, selvaggia, ancora priva dell’intervento invasivo dell’uomo. Attorno alla figura del commissario quindi gravitano due diversi, quasi opposti paesaggi dell’universo siciliano, due immagini 51 La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto completamente differenti, dirette a due diverse tipologie di pubblico, che contribuiscono in egual misura a fornire nell’immaginario comune l’idea dell’idillio, essendo ciascuna portatrice del proprio peculiare fascino: da una parte l’autentico ambiente camilleriano, brullo e primitivo, sfondo di solitaria contemplazione, dall’altra il meraviglioso luogo di mare, accattivante per la sua immediata bellezza ma più chiassoso e artificiale. 2.3 Poesia e paesaggio: la Sicilia La stessa malinconica nostalgia che prova Camilleri nei confronti della terra natia, teatro della sua giovinezza, appare nella poesia di Quasimodo Vento a Tìndari. Il poeta, nato a Modica nel 1901, condivide con Camilleri le origini siciliane e spartisce con lui il ruolo di divulgatore di un’immagine ideale della Sicilia. 52 VENTO A TINDARI Tindari, mite ti so Fra larghi colli pensile sull’acque Delle isole dolci del dio, oggi m’assali e ti chini in cuore. Salgo vertici aerei precipizi, assorto al vento dei pini, e la brigata che lieve m’accompagna s’allontana nell’aria, onda di suoni e amore, e tu mi prendi da cui male mi trassi Imago Mundi – Quaderno 3 e paure d’ombre e di silenzi, rifugi di dolcezze un tempo assidue e morte d’anima A te ignota è la terra Ove ogni giorno affondo E segrete sillabe nutro: altra luce ti sfoglia sopra i vetri nella veste notturna, e gioia non mia riposa sul tuo grembo. Aspro è l’esilio, e la ricerca che chiudevo in te d’armonia oggi si muta in ansia precoce di morire; e ogni amore è schermo alla tristezza, tacito passo al buio dove mi hai posto amaro pane a rompere. Tindari serena torna; soave amico mi desta che mi sporga nel cielo da una rupe e io fingo timore a chi non sa che vento profondo m’ha cercato. Il tema centrale della poesia, tratta dalla raccolta Acqua e terre del 1930, si sviluppa intorno all’evocazione della mitica Sicilia, evocata dall’io lirico in una dimensione quasi onirica. Essa si pone in contrasto con la condizione del presente che ha come sfondo l’ambiente cittadino freddo e alienante: il rimpianto della Sicilia si 53 La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto 54 unisce, dunque, alla nostalgia per l’infanzia ormai trascorsa, amplificata dall’esistenza piena di tristezza che il poeta conduce in un’altra città. L’autore nei primi versi della poesia invoca Tindari, piccola frazione nella provincia di Messina, teatro della sua giovinezza, e ne canta le bellezze paesaggistiche: in particolare il verso 2 fa riferimento alla morfologia del luogo, caratterizzata dall’articolazione in diverse collinette digradanti che si gettano in mare formando appunto capo Tindari. La piccola cittadina viene esaltata nei suoi tratti peculiari, che la dipingono come un luogo di estrema tranquillità e bellezza. L’espressione “pensile sull’acque”, sempre nel secondo verso, richiama alla mente i laghetti di Marinello, specchi d'acqua di mare poco profondi generati dall'insinuarsi del mare nella baia. Il poeta con la mente sembra figurarsi mentre sale sulla sommità dell’omonimo capo, dove venne fondata l’antica colonia greca Tyndaris, e poi nell’atto di contemplare l’alta collina che scende verso il mare, immerso nella tipica naturalità dei pini marittimi, toccati unicamente dal vento ma salvi dalla mano umana. Imago Mundi – Quaderno 3 3. Pittura e poesia: la Sicilia Nell'ambito dello studio del paesaggio siciliano, ci è sembrato infine utile analizzare come questo sia stato interpretato in campo artistico, dove trova ancora spazio la sua natura idilliaca, anche se lontana dalla realtà del territorio. 3.1 Pittura e paesaggio: la Sicilia 55 Luce del Sud Ciò che certamente colpisce, a prima vista, l'occhio dello spettatore sono i colori, tipici di Antonino Cammarata, nato ad Augusta nel 1962, dove tuttora vive e lavora. La sua esperienza di pittore comincia nel 1985, quando, attirato dalla magia del paesaggio della La Sicilia, tra Locus amoenus e dissesto 56 sua Sicilia, decise di rappresentarlo. I colori accesi e quanto mai reali, permettono al pittore siciliano di rappresentare un luogo non definito nel tempo e nello spazio, ma nel quale sono presenti tutti gli elementi del paesaggio di Sicilia. Il locus amoenus qui appare inviolato, massima espressione di pace e bellezza naturalistica, in cui la presenza dell'uomo si avverte come lontana e inoffensiva: la casa si inserisce perfettamente nel contesto naturale, sembra esserne parte inscindibile, così diversa dalle abitazioni abusive che costellano le coste della Sicilia. Anche la barca, simbolo di civiltà e di insediamento umano, sembra essere un elemento del paesaggio: essa fa parte del patrimonio culturale siciliano arcaico, in cui la pesca rappresenta una delle principali attività, nell'assoluto rispetto della natura, che, anzi, ne è maggiormente valorizzata; inoltre la barca è simbolo del viaggio, che, nel corso della sua storia millenaria, ha sempre interessato le coste siciliane. Gli unici due elementi artificiali sono rappresentati in uno sfondo prepotentemente naturale: il cielo, di un azzurro intenso, è coperto da rade nuvole, bianche come l'altura lontana, che sembra sorgere direttamente sul mare, di un blu delicato, misto al bianco della schiuma delle onde. La terra, di un marrone sabbia, presenta cocci di pietra casualmente disposti. Da essa prendono vita diverse forme vegetali: il fico d'India, pianta caratteristica della Sicilia, conferisce al paesaggio una sfumatura esotica e selvaggia; steli d'erba e fiori gialli, insieme a piccoli cespugli verdi disposti nel dipinto, coronano il paesaggio naturale; un albero, rigoglioso e dal tronco nodoso e irregolare, presenta una folta chioma, sullo sfondo del cielo azzurro, rivolta verso il mare, come testimone silenzioso del tempo immobile su questo paradiso terrestre. Imago Mundi – Quaderno 3 Bibliografia consultata Andrea Camilleri, 2000, La gita a Tìndari, Sellerio. Maurizio Clausi, Davide Leone, Giuseppe Lo Bocchiaro, Alice Pancucci Amarù, Daniela Ragusa, 2006, I luoghi di Montalbano. Una guida, Sellerio. Quasimodo Salvatore, 1994, Tutte le poesie, Mondandori Oscar Grandi Classici, Milano. Salvatore Ferlita, Paolo Nifosì, 2003, La Sicilia di Andrea Camilleri. Tra Vigàta e Montelusa, Kalòs. Teocrito, 1993, Idilli e Epigrammi, BUR, Bergamo. Sitografia http://www.tuttarteonline.it/cammarata.htm http://www.ildireeilfare.it/vittorio-sgarbi-primo-cittadino-disalemi-e-le-pale-eoliche/20080701 http://www.corriere.it/cultura/speciali/2010/visioni-ditalia/notizie/13Salemi-La-grande-truffa-siciliana_aabf23c65a66-11df-903e-00144f02aabe.shtml http://www.ecoblog.it/post/9603/eolico-siciliano-i-segreti-di-alisgarbi-e-il-no-del-sindaco-di-santa-croce-camerina-rg-al-parcofotovoltaico http://www.reteambiente.it/sostenibilita/10424/mafia-e-energierinnovabili/ http://www.repubblica.it/ http://archiviostorico.corriere.it/ http://it.wikipedia.org/wiki/Tindari 57 Imago Mundi – Quaderno 3 SULLE RIVE DEL LARIO Maria Doria Docente di linguaggi della comunicazione Studenti della Classe II F – a.s. 2010-2011 Liceo Classico “A. Volta” – Como 1. Il lago di Como nell’immaginario giovanile ome testo introduttivo si propone la scaletta dell’intervento della prof.ssa Marina Doria in occasione della conferenza di Imago Mundi del 29 settembre 2011. C Accogliendo le indicazioni del coordinatore, prof. Sansò, che spostavano l’attenzione sul paesaggio e sull’ambiente, e sollecitati anche dalla conferenza svolta in primavera, che aveva per argomento L’acqua come risorsa e come minaccia, nel corso dell’anno scolastico 2009-10 si è scelto di guardare da vicino la realtà del nostro lago. Per restringere l’argomento, di per sé vastissimo, ci si è limitati a considerare il lungolago comasco - per intenderci il tratto compreso tra villa Olmo e villa Geno - e si è deciso di partire con un primo approccio volto a tentare di fare luce, almeno in parte, sull’immagine del lago, così come essa si può dedurre dall’immaginario, appunto, e dal vissuto dei giovani coinvolti nel lavoro. Strumenti d’indagine d’eccellenza sono stati l’intervista e il sondaggio, che abbiamo coniugato con un mezzo espressivo particolarmente vicino ai ragazzi, quello della ripresa audio-video. E’ interessante notare subito come sia lo strumento ‘ freddo’ del sondaggio , sia quello ‘ caldo’ dell’intervista abbiano offerto lo stesso risultato in termini qualitativi, lasciando emergere, nella maggioranza dei casi, un senso dominante di estraneità e di non 58 Imago Mundi – Quaderno 3 appartenenza nei confronti del tratto di lago preso in considerazione. Ciò potrebbe in un primo momento stupire, se non che occorre tenere presente che questi cittadini, nella fascia di età considerata e cioè 16-18 anni per lo più – hanno avuto a che fare col cantiere delle paratie praticamente fin da quando hanno iniziato a percorrere la città da soli. In altre parole, non hanno mai visto, se non da bambini, il lungolago senza palizzate e senza cancelli. E sebbene non fosse nelle nostre intenzioni fare di questo problema il centro dell’indagine , nel corso del lavoro ci si è resi conto che esso rappresenta in realtà una sorta di filo conduttore ineludibile e capace di orientare - o disorientare - in modo determinante l’immaginario e il vissuto dei soggetti coinvolti. Anche semplicemente osservando i comportamenti degli studenti quando siamo usciti per realizzare le riprese all’aperto, si è potuto comprendere come i ragazzi, lasciati volutamente liberi di percorrere il lungolago con la macchina da presa, abbiano usato lo strumento che avevano a disposizione con un certo imbarazzo: quasi tutti hanno tentato in ogni modo di ritagliare nell’obbiettivo il pittoresco delle cartoline lacustri, di rifare (per finta?) il lago sognato, il lago delle ville e degli scorci panoramici coi fiori in primo piano, salvo poi discorrere fra loro del degrado, dello sporco, della provvisorietà dell’eterno cantiere a lago con un senso di apatia e d’impotenza tali da lasciare sconcertati. Del resto, da spettatori, hanno pur assistito alle polemiche, alle innegabili figuracce, agli eterni rinvii delle promesse di riqualificazione del primo bacino: come metabolizza tutto questo un adolescente? Forse dovremmo chiedercelo. Il dialogo in classe favorisce una presa di coscienza? Si può e si deve invertire la tendenza? I margini d’incertezza non sono pochi, soprattutto quando si voglia mantenere quell’onestà intellettuale 59 Sulle rive del Lario 60 che impone di non indottrinare i ragazzi con risposte preconfezionate, ma di lasciarli liberi per comprendere da soli la realtà, offrendo solo gli stimoli necessari per giungere autonomamente alle proprie conclusioni, sempre provvisorie. A tale fine, le docenti responsabili del progetto hanno individuato dopo questa full immersion nell’immaginario di cui s’è parlato e di cui sarà tra breve testimonianza il primo video proposto - alcuni passaggi fondamentali: 1) favorire la conoscenza delle leggi che tutelano il patrimonio paesaggistico e l’ambiente , nell’ambito dell’educazione alla cittadinanza. 2) offrire la possibilità ai ragazzi di realizzare in autonomia, in gruppo o individualmente, brevi spot e video per illustrare le loro scoperte. 3) avviare una riflessione che produca testi scritti di tipo giornalistico e saggistico (scrittura documentata). Tutti e tre questi passaggi sono stati realizzati. Data la peculiarità dell’occasione odierna, ci si limiterà alla proiezione di tre video: il primo espone i risultati del sondaggio e restituisce il clima delle interviste svolte; il secondo, brevissimo, vorrebbe sollecitare la presa di coscienza dell’importanza di amare il lago (gli inglesi userebbero il verbo to care) ; il terzo si concentra sul problema dell’inquinamento lacustre. N.B. I video sono reperibili nel dvd allegato. Imago Mundi – Quaderno 3 2. Risultati del questionario rivolto a 100 alunni delle scuole superiori di Como (marzo 2011) Si ringrazia in particolare l’alunna Lucrezia Gatti, per il preciso e efficiente lavoro di coordinamento. Il campione di studenti cui è stato rivolto il questionario relativo al sondaggio era costituito dagli studenti delle scuole superiori che hanno partecipato al progetto Imago mundi nel corso dell’anno scolastico 2009-10. Il campione, omogeneo quindi quanto provenienza sociale (studenti) lo è anche quanto a età (anni 16-19, con una predominanza di diciottenni). Indicativo è da ritenersi il dato della provenienza , cioè della zona di residenza: solo un quarto degli intervistati dichiara di abitare in centro città. Del resto, il dato è in linea con la tendenza sempre maggiore a trasferire la propria residenza fuori dalle mura cittadine. Forse anche per questo motivo, la maggior parte degli intervistati passa dal lungolago solo il sabato o la domenica (69%), per lo più per fare una passeggiata a piedi (54%) Alcuni si recano in zona anche per i lidi (44%), mentre pochi (8%) quelli che frequentano una delle società sportive che tradizionalmente sono ospitate nella bella cornice lacustre. Il dato è significativo, poiché suggerisce uno scarso utilizzo del lago: inutile sottolineare che uno sfruttamento mirato della risorsa lacuale potrebbe farla divenire centro catalizzatore dei giovani della provincia, offrendo occasioni di svago, sport e socializzazione a molti più soggetti di quanto non faccia ora. Nel percorrere il lungolago, il visitatore si imbatte in alcuni luoghi significativi ed emblematici dell’immagine di Como: Villa Olmo, il Tempio voltiano, la passeggiata stessa lungo il lago, piazza Cavour e Villa Geno. Ma quanto sono amati questi luoghi? Sono capaci di sviluppare nei giovani un senso di appartenenza e di identità? 61 Sulle rive del Lario 62 Dal sondaggio risulta che luoghi preferiti sono nell’ordine villa Olmo (32%), il tempio voltiano (22%) e la passeggiata (21%). Molto meno amati villa Geno (13%) e Cavour (12%). A fronte di una generale ammirazione per le innate, indiscutibili qualità paesaggistiche e architettoniche di tali luoghi, i ragazzi si aspetterebbero tuttavia di trovare più servizi, più pulizia, più movida. Il questionario prevedeva anche una domanda aperta, cui si può attribuire ovviamente un significato particolare: esiste un luogo sul lungolago al quale sei affezionato ?A tale quesito sorprendentemente più della metà degli intervistati (56 %) ha risposto NO. Questo scarso attaccamento a un luogo che fortemente caratterizza l’immaginario cittadino dovrebbe muovere a qualche riflessione, che lasciamo fare a chi legge. Coloro che hanno risposto di avere sul lungolago un luogo cui sono affezionati si limitano quasi tutti a ripetere l’indicazione già data circa il luogo preferito, eludendo il suggerimento del questionario, che invitava a indagare più nel dettaglio e nel vissuto personale, proponendo come esempi angoli, panchine ecc. Quest’anno Como si avvia a scegliere un nuovo sindaco. A lui e la sua squadra, tra i mille urgenti problemi da risolvere, modestamente poniamo anche quello di sapere restituire il lago ai soggetti decisivi per il suo futuro: i giovani! Imago Mundi – Quaderno 3 DAL MACRO AL MICRO IL COMPLESSO RAPPORTO TRA SCIENZA E TECNOLOGIA Claudio Fontana Docente di storia e filosofia Studentesse della Classe IV SA – a.s. 2010-2011 Liceo Scientifico “P. Giovio” – Como 1. La macchina a vapore e la Prima Rivoluzione Industriale La prima rivoluzione industriale costituì una fase emblematica e significativa per lo sviluppo del complicato rapporto che lega la tecnica e la scienza. L’elemento cardine della prima rivoluzione industriale fu l’invenzione della macchina a vapore, lo “steam engine”, concepito e sviluppato da brillanti ingegneri come James Watt, Thomas Savery e Thoms Newcomen. In questa prima fase, scienza e tecnica seguirono uno sviluppo piuttosto autonomo: lo sviluppo della macchina a vapore avvenne infatti senza la conoscenza delle leggi termodinamiche alla base dei principi sfruttati per trasformare l’energia termica sprigionata dalla combustione del carbone nell’energia cinetica prodotta dalla macchina e destinata ai più svariati utilizzi. Uno dei grandi problemi che gli ingegneri dovettero affrontare fu la creazione di sistemi di distribuzione e trasporto dell’energia cinetica generata dalla macchina a vapore; il costo, le dimensioni e la complessità di tale macchina rendevano infatti più conveniente installare in un grande impianto produttivo un’unica macchina a vapore la cui energia cinetica prodotta veniva trasmessa a tanti 63 Dal micro al macro 64 utilizzatori piuttosto che installare tante piccole macchine, ciascuna collegata ad un singolo utilizzatore. Vennero quindi realizzati diversi sistemi di trasporto dell’energia cinetica, differenti in base alla distanza che essi dovevano coprire. Nelle industrie, in cui generalmente centinaia di macchinari erano messi in moto da un’unica grande macchina a vapore, furono utilizzati sofisticati sistemi di pulegge, cinghie, alberi di trasmissione e giunti cardanici. Si calcola che una fabbrica dell’800 avesse in media 600 kilometri di alberi di trasmissione e 500 pulegge. Distanze maggiori furono coperte trasformando, grazie all’utilizzo di un sistema di bielle e camme, il movimento rotatorio prodotto dallo “steam engine” in un movimento oscillatorio, che mettesse meno sotto torsione i giunti e gli organi di trasmissione. Un esempio è costituito dal dispositivo installato nella cittadina tedesca di Bad Kosen, in cui un sistema di pali e camme metteva in moto una pompa situata a più di 200 metri di distanza dalla macchina a vapore. 2. Dal macro al micro: la termodinamica Dalla realizzazione delle nuove macchine a vapore nacque la ricerca della spiegazione fisica connessa al loro funzionamento, ed in particolare alla possibilità di trasformare il calore in energia meccanica. Questo è il campo di studi della termodinamica. Il caso della termodinamica è emblematico, in quanto la sua applicazione pratica precede la spiegazione teorica dei fenomeni fisici: dalla costruzione tecnologica si tenta dunque di risalire alle leggi che ne permettono il funzionamento. Attraverso il contributo di numerosi scienziati quali Lord Kelvin, Clausius, Joule, Charles e Gay-Lussac si sono scoperti i principi fondamentali della termodinamica. Ma il vero salto verso la modernità è stato operato da Boltzmann, che ha Imago Mundi – Quaderno 3 introdotto una teoria microscopica per spiegare il funzionamento dei gas reali. Tale teoria associava al comportamento macroscopico dei gas degli ipotetici stati microscopici di particelle in movimento attraverso l’uso del calcolo probabilistico: la probabilità viene così introdotta in una scienza fino ad allora ritenuta esatta, la fisica. Il calcolo probabilistico non è più stato abbandonato e ha anzi acquisito ulteriore importanza nella fisica moderna: per descrivere la posizione di un elettrone, per esempio, è necessario ricorrere alla sovrapposizione di stati probabilistici. Anche la tendenza di guardare al piccolo per spiegare il nostro mondo si è accentuata: al giorno d’oggi si parla di bosoni e neutrini, particelle ancora più piccole di protoni ed elettroni. Questa tendenza di scavare sempre più a fondo nelle radici della materia ha avuto come conseguenza un cambiamento del rapporto tecnologia- scienza. Infatti al giorno d’oggi è la tecnologia che procede dalle scoperte scientifiche e non viceversa. Per fare un esempio: è noto che l’occhio umano è in grado di percepire ( e quindi di modificare) gli oggetti fino ad una grandezza pari al decimo di millimetro (10-4 m). Il secolo scorso la grande innovazione tecnologica è stata data dal microprocessore, che ha permesso di lavorare con una scala di precisione del milionesimo di metro (10-6 m), il che ha portato allo sviluppo dei microchip che costituiscono il computer. Negli ultimi decenni è invece stato realizzato il microscopio ad effetto tunnel, che consente di agire sulla materia alla scala del nanometro (10-9 m): viviamo nell’epoca delle nanotecnologie. Gli esperimenti più moderni vanno ad indagare la materia ancora più a fondo, fino al picometro e oltre (10-12 m): è questo il caso del grande apparato sperimentale dell’LHC a Ginevra. 65 Dal micro al macro 3. Studiare il micro: l’HLC del CERN 66 Il Large Hadron Collider (LHC) è un acceleratore di particelle situato presso il CERN di Ginevra. Il Consiglio europeo per la ricerca nucleare (CERN) conta 20 stati membri ed è stato fondato nel 1954 da 12 paesi tra cui l’Italia. Il Grande collisore di adroni (LHC) è un anello con una circonferenza di 27 chilometri situato a 100 metri di profondità tra Francia e Svizzera. L’obiettivo dei fisici è riuscire a studiare le più piccole parti che costituiscono la materia. Due fasci di particelle (protoni o ioni) chiamati “adroni” viaggiano in direzioni opposte all’interno dell’acceleratore a velocità prossime a quella della luce: dallo scontro tra i due fasci è possibile riprodurre le condizioni che si sono presentate negli istanti immediatamente successivi al Big Bang. Per la formula di Einstein E=mc2 (l'energia è uguale alla massa moltiplicata per la velocità della luce al quadrato) al momento dello scontro l'energia accumulata dovrebbe trasformarsi in materia. 4. Spiegare il micro: il progetto “COLLIDER” “Collider” è il nome che abbiamo scelto per il nostro modello semplificato dell’acceleratore di particelle LHC, reinterpretato dopo averlo visitato al CERN di Ginevra. L’idea era quella di costruire un modello che tramite un approccio ludico potesse essere uno spunto per spiegare in modo semplice e comprensibile a tutti quanto Imago Mundi – Quaderno 3 accade negli acceleratori del famoso centro di ricerca. Per la progettazione e la successiva realizzazione è stato seguito un preciso metodo progettuale: partendo da degli schizzi (o “concept”), dove l’idea è stata trasposta su carta a mano libera, senza tener conto di alcuna limitazione (figura 1 e 2), è stato poi realizzato un modellino in scala ridotta (figura 3), frutto di un’ulteriore fase di semplificazione dei disegni iniziali. Dopo una fase di ricerca e collaudo dei materiali, è stato realizzato il modellino in figura 4. 67 Figura 1 Figura 3 Figura 2 Figura 4 Dal micro al macro Lo scopo del gioco è quello di inserire le due sfere contemporaneamente in entrambe le entrate superiori per ottenere una collisione tra di esse nella parte di tubo scoperta presso la base del modello. In questo caso il tempismo è la chiave per avere successo. Raggiungere l’obiettivo, parola di quelli che l’hanno provato, non è facile come sembra: questo fatto basti a far pensare come possa essere difficile far collidere delle “sfere” migliaia di volte più piccole: le particelle subatomiche. Da sottolineare è il fatto che in questo caso l’accelerazione delle sfere è data da quella gravitazionale mentre nell’LHC è ottenuta tramite il continuo alternarsi di campi magnetici. 68 Imago Mundi – Quaderno 3 LA FORMA DELLA TERRA E L'IMMAGINE DEL MONDO Maristella Galeazzi Docente di matematica e fisica Liceo scientifico "P. Carcano"- Como 1. Età moderna Sull’impulso dato dai grandi viaggi di esplorazione fu affinata la bussola e furono costruiti i primi strumenti per l’osservazione celeste e terrestre. L'Atlante catalano (1375 ca.) è la carta nautica più importante del periodo medioevale. Essa non porta la firma dell'autore attribuita alla scuola cartografica di Maiorca. Si suppone sia stata prodotta da Abraham Cresques e da suo figlio Jahuda su richiesta del re di Aragona. Originariamente redatto su 6 fogli, preziosamente miniati in vari colori tra cui l'oro e l'argento. I fogli divisi a metà per il lungo vennero incollati su 5 tavole di legno. E’ un portolano, ossia una carta degli “approdi” caratterizzata da linee rette che si irradiano da una rosa dei venti centrale e da altre laterali, intersecandosi per tutta la superficie della terra. Per raggiungere il porto non si doveva far altro che seguire il vento indicato dal portolano mantenendo la rotta con la bussola. 69 La forma della Terra e l'immagine del mondo 70 Fin dal XIV secolo l’Italia e la Spagna diedero un grande contributo alla cartografia e alla nautica con una vasta produzione di carte portolani che descrivevano l’intero bacino Mediterraneo fino al mar Nero. Le prime carte, tuttavia, sono solitamente lineari, cioè rappresentano solo la linea della costa con i relativi toponimi, mentre l’entroterra è spoglio, sia perché l’informazione geografica era ovviamente carente, sia perché i dettagli interni erano inutili ai fini della navigazione. Imago Mundi – Quaderno 3 Una delle primissime carte medievali è la carta di Angelino Dulcert, sulla quale un’iscrizione informa che “hoc opus fecit Angelino Dulcert ano MCCCXXXVIIII de mense Augusti in civitate maioricarum” Le note e le legende sono scritte in latino, e la mappa si caratterizza in quanto rappresenta aspetti sconosciuti alle opere coeve prodotte a Genova e a Venezia, si distingue inoltre per essere il primo portolano nel quale s'identifica l'isola di Lanzarote, la più orientale dell'arcipelago delle Canarie, come Isola di Lanzarotus Marocelus, un riferimento al navigatore genovese Lanzerotto Malocello. Inoltre questa mappa tenta di rappresentare il nord Europa e include informazioni relative all'Africa, non concentrandosi solo sulle rappresentazioni relative al mar Mediterraneo che caratterizzano le opere dell'epoca. Gli studiosi hanno dibattuto per oltre mezzo secolo sulla questione della nazionalità dell’autore. 71 La forma della Terra e l'immagine del mondo Infatti a Firenze nel 1887 fu scoperta una carta sicuramente italiana del 1330 dell’autore Angelino Dalorco o Dalorto: la somiglianza tra le due carte induceva a considerarle dello stesso autore (alcuni ritengono che si tratti sempre del genovese Angelino Dalorto, emigrato a Maiorca dove avrebbe fondato un'officina cartografica). 72 Nei secoli XV e XVI, con l’aprirsi della navigazione negli oceani, e delle imprese marinare, i difetti e le insufficienze delle carteportolano si manifestano in modo palese: il trascurare la forma sferica della Terra, la mancanza di coordinate di riferimento, i meridiani che non convergono verso i poli, unitamente allo spirito nascente del Rinascimento fanno si che la cartografia cominci ad avere una connotazione scientifica. A partire dal XV secolo, grazie all’invenzione della stampa, che permise la riproduzione e il diffondersi della “Geographia” di Tolomeo, si assiste ad uno straordinario sviluppo delle tecniche cartografiche su base scientifica, che diede inizio alla moderna rappresentazione basata sull’individuazione di punti mediante le coordinate geografiche. La prima traduzione in latino della Geografia di Tolomeo (con il titolo di Cosmographia) risale al 1406-1407 e al 1482 l’edizione fiorentina in lingua volgare. La realizzazione delle carte e la loro diffusione era affidata a professionisti: cartografi, incisori ed editori, si avevano 3 fasi per la realizzazione di una carte geografica: il disegno su carta, l’incisione su lastre di rame, la stampa. La pubblicazione delle carte era concessa in privilegio ad uno stampatore per 10 anni. Scaduto il privilegio era possibile anche ad altri stampatori utilizzare la lastra originale per tirare nuove copie. In Italia i principali centri di produzione di carte geografiche furono Roma (Lafrei) e Venezia (Camocio, Forlani, Bertelli). Imago Mundi – Quaderno 3 Nel 1548 esce a Venezia l’edizione della Geografia in volgare la cui parte cartografica è curata da Giacomo Gastaldi, è in formato tascabile, il mappamondo tolemaico è sostituito da due mappamondi moderni, alle carte tolemaiche sono alterante 34 carte moderne aggiornate, comincia a svilupparsi l’idea dell’Atlante. Altre tappe fondamentali della storia della cartografia furono: • La rivoluzione copernicana (Copernico, 1473-1534) Copernico (1473-1543) enuncia la teoria eliocentrica: la Terra è sferica; i pianeti, compresa la Terra, ruotano su orbite circolari intorno al Sole; la Terra è il centro dell'orbita lunare. Galileo (1564-1642) conferma e dà fondamento scientifico alla tesi di Copernico. Kepler (1571-1630), a partire dai dati di Tyge Brahe (1546-1601), enuncia le leggi del moto dei pianeti. Fernel (1497-1558) effettua misure di distanza e di latitudine e determina la circonferenza terrestre con un errore dell'1%. Picard (1620-1682) ne perfeziona ulteriormente la misura. • La carta di Mercatore (Gerard Kremer, 1512-1594): proiezione cilindrica modificata (ad usum navigantium). Una delle innovazioni principali in ambito cartografico è la proiezione cilindrica conforme sviluppata dall’olandese Gerard Kremer detto Mercatore (1512-1594). La caratteristica principale di tale carta, fondamentale per la navigazione, è che la lossodromia, cioè la linea che congiunge due punti tagliando con angolo costante tutti i meridiani che taglia, coincide con una retta. Una rotta di navigazione tenuta mantenendo costante la direzione rispetto al 73 La forma della Terra e l'immagine del mondo nord, la tecnica dell’epoca, è rappresentata perciò con una linea retta. 74 La rotta con direzione costante che veniva seguita mediante le indicazione della bussola (linea in rosso tracciata sula Terra) veniva rappresentata con una retta nella proiezione cilindrica conforme. • Triangolazione, cioè misura di punti distanti mediante una rete, con misura di tutti gli angoli e una base della rete (Snellius, 15801626) La triangolazione è un metodo di rilevamento del terreno introdotto dal geodeta olandese Snellius nel 1617 e consiste nel collegare i punti scelti sul terreno fino a formare un insieme di triangoli aventi a due a due un lato in comune. Nell’esecuzione del rilievo è opportuno che i triangoli abbiano forma più equilatera possibile perché è più agevole la compensazione e perché si copre una superficie maggiore rispetto ad un triangolo qualsiasi. Imago Mundi – Quaderno 3 In realtà già nell’edizione stampata ad Anversa nel 1533 del “Cosmographicus liber Petri Apiani mathematici”, Reinerus Gemma Frisius (1508-1555) per la prima volta formulava il principio della triangolazione come sistema per il corretto posizionamento dei luoghi sulla superficie terrestre e per la loro accurata rappresentazione cartografica. Se i triangoli sono collegati fra loro in modo univoco, cioè da un triangolo si passa al successivo attraverso uno ed un solo lato comune, la triangolazione si dice a catena; essa è caratterizzata dalla notevole estensione in lunghezza e dalle molteplici forme articolate che può assumere, sempre in dipendenza dal tipo di rilievo da effettuare. Se invece da un triangolo si può accedere agli altri triangoli attraverso più vie, la triangolazione si dice a rete. La triangolazione geodetica è una tecnica geodetica basata sulla determinazione, da una base di stazionamento, di tre valori fondamentali di un secondo punto del territorio: distanza in linea d'aria dalla stazione, angolo orizzontale, angolo zenitale. La triangolazione topografica consiste nel collegare idealmente una serie di punti nel terreno formando una rete di triangoli adiacenti, per determinare le coordinate planimetriche. 75 La forma della Terra e l'immagine del mondo La triangolazione e lo sviluppo della base geodetica permisero ulteriori grandi passi avanti nella cartografia del XVII secolo. 76 Tra il 1500 e il 1600 comincia a svilupparsi la cartografia regionale ad opera di Giovanni Antonio Magini e dell’olandese Abramo Ortelius. Le nuove tecniche di riproduzione migliorano ed offrono prodotti di buona qualità. Giovanni Antonio Magini (1555 1617) professore di Astronomia all’Università di Bologna dal 1588, Magini intrattenne rapporti con astronomi e matematici del suo tempo come Keplero, Tycho Brahe e con i cartografi quali Ortelio e Mercatore. Grazie all’amicizia dei Gonzaga ebbe modo di consultare preziosi materiali cartografici conservati nelle corti di vari principi italiani di cui si servì per realizzare la sua opera più importante, l’Italia, Imago Mundi – Quaderno 3 pubblicata nel 1620. l’Opera comprende 61 tavole geografiche e un commentario di 24 pagine. Curò una edizione di Tolomeo in latino, pubblicata a Venezia nel 1596, in cui sono contenute 37 tabulae novae commentate da Magini, ricavate da Mercatore e Ortelio. La Terra comunque, fino al 1700 circa, era considerata sferica. Nel 1671 Jean Picard (1620-1687) avanzò per primo l’idea che la Terra non fosse perfettamente sferica in seguito ad alcune sue misurazioni. Misurò il tratto di meridiano passante per l’Osservatorio di Parigi, da Parigi ad Amiens, usando il metodo della triangolazione, il sistema proposto nel 1533 da Reinerus Gemma Frisius e sviluppato dall’olandese Willebrord Snell. La lunghezza di un grado di meridiano a latitudine 49,5° nord calcolata da Picard fu di 57060 tese (111,210 km). La lunghezza standard era stata definita confrontando la tesa francese pari a 6 piedi parigini (1,949 m) con la lunghezza di un pendolo semplice battente i secondi di 440,5 linee (144 linea a piede). Nel 1671 Picard comunicava i risultati della sua rilevazione nella Mesure de la Terre. 77 La forma della Terra e l'immagine del mondo Usando una base più lunga determinò il meridiano (circonferenza polare) con una precisione mai raggiunta prima: 40.033 km. Una misura più precisa era impossibile, non potendo quantificare lo schiacciamento polare. 78 Jean-Felix Picard (1620, 1682) abate e astronomo francese. Fu la prima persona a misurare la lunghezza della Terra con una ragionevole accuratezza, tramite un'indagine condotta tra il 1669 ed il 1670; con l'aiuto del libro Cosmographia di Francesco Maurolico, nel quale il matematico italiano descrive un metodo per misurare la Terra, e delle misurazioni di Willebrord Snell, Picard riuscì nell'impresa misurando un grado di latitudine lungo il Meridiano di Parigi. Il Meridiano di Parigi fu definito il 21 giugno 1667 dai matematici dell’Académie Royale des Sciences. In questo giorno di solstizio d'estate essi tracciarono sul pavimento il meridiano e successivamente le altre direzioni necessarie alla corretta installazione del futuro Osservatorio di Parigi. Due obiettivi servivano a puntare gli strumenti dell’osservatorio: Imago Mundi – Quaderno 3 L’obiettivo Nord, eretto nel 1736 nel parco (privato) del Moulin de la Galette a Montmartre; L’obiettivo Sud, terminato nel 1806 da Antoine Vaudoyer e posto all’inizio del giardino dell’Osservatorio, e in seguito spostato nel Parc Montsouris 79 La “mire du Sud” Pochi mesi prima, il 22 dicembre del 1666, l’Académie Royale des Sciences aveva tenuto la sua prima seduta. Entrambe le istituzioni erano state create da Luigi XIV e da Jean Baptiste Colbert (16191683), suo ministro, che avevano voluto accogliere le richieste avanzate dalla comunità scientifica francese nel quadro di un unico progetto culturale. L’Osservatorio non divenne però, come era nei piani di Colbert, un centro di ricerca nazionale, ma fu consacrato fin dalla sua origine alla sola attività astronomica. La forma della Terra e l'immagine del mondo Nel 1668, mentre i lavori erano ancora in corso, Colbert chiamò in Francia l’astronomo bolognese, Gian Domenico Cassini (1625– 1712), all’epoca corrispondente dell’Académie Royale des Sciences. 80 L’italiano giunse a Parigi nel 1669: il suo soggiorno avrebbe dovuto essere solo temporaneo; viceversa, nonostante gli appelli del papa, nel 1671 Cassini si insediava nell’Osservatorio, negli appartamenti a lui destinati e, nel 1673, otteneva la naturalizzazione francese. Insediatosi nell’Osservatorio parigino, Cassini ebbe a disposizione i mezzi necessari per dotarlo dei migliori strumenti possibili, tra cui grandi telescopi di Eustachio Divini (1610-1685) e di Giuseppe Campani (1635-1715). Da quel momento e fino al 1793 quattro generazioni di Cassini si alternarono alla guida dell’Osservatorio di Parigi. Impossibile riassume in questa sede il contributo di Cassini al progresso delle conoscenze astronomiche. A lui si devono tra l’altro la scoperta dei quattro satelliti di Saturno e la divisione dell’anello che porta il suo nome. Fondamentali furono i suoi studi sulle comete, sulle macchie solari e sulle eclissi dei satelliti di Giove. La pubblicazione delle effemeridi calcolate dall’Osservatorio di Parigi iniziò nel 1679 a opera dell’abate Jean Picard (1620 - 1682), astronomo, membro dell’Académie Royale des Sciences. Imago Mundi – Quaderno 3 Gian Domenico Cassini (1625-1712) L’incontro tra Cassini e Jean Picard gli aprì nuove prospettive ed egli si impegnò in un progetto ben più vasto: tracciare una linea meridiana attraverso tutta la Francia da Dunkerque ai Pirenei. Durante un breve ritorno in Italia, accompagnato dal figlio Jacques, Cassini ebbe l’opportunità di correggere gli errori che il tempo aveva recato alla sua meridiana in San Petronio. L’opera pubblicata nel 1695 è la relazione dei lavori eseguiti dallo scienziato, che fu coadiuvato dal matematico Domenico Guglielmini (1655-1710), autore della “Memoria delle operazioni fatte, e delli strumenti adoprati nell'vltima ristorazione della meridiana”. “La fin que l’Académie s’est proposée s’en appliquant aux observations astronomiques – scrive Cassini - à toujours été de les rapporter à l’avancement de la Géographie & de la Navigation ; & dans ce dessein rien n’étoit plus utile que de déterminer quelle partie de la circonférence de la terre répond précisément à un degré du Ciel”. 81 La forma della Terra e l'immagine del mondo Tutte le misurazioni dell’arco di meridiano, a partire da quella di Jean Picard tra Parigi e Amiens, si inquadrano in questo unico programma. E così pure tutti i viaggi, a cominciare da quelli di Picard a Uraniborg e di Jean Richer nell’isola di Cayenne, verranno compiuti per stabilire le differenze di longitudine dei luoghi, differenza calcolata attraverso le osservazioni delle eclissi dei satelliti di Giove. (Il problema era sorto dopo che Jean Richer (1630-1696) aveva constatato nel 1672 nell’isola di Cayenne, dove era in missione, che la lunghezza del pendolo battente i secondi era minore che a Parigi). “Le Roy – continua Cassini – ayant été informé de l’utilité qu’on avoit tirée de l’observation des Eclipses des Satellites de Jupiter pour établir les longitudes, ordonna que l’on fit par cette méthode de nouvelles Cartes de la France”. 82 Già nel 1659 Huygens aveva scoperto l’esistenza della forza centrifuga dovuta alla rotazione terrestre e aveva notato che agiva differentemente a seconda della latitudine, massima all’equatore e nulla ai poli. Come poteva non sortire un effetto sulla forma della Terra? Newton (1643–1727) approfondì la questione nei “Philosophiae naturalis principia matematica” (1687). Nel libro III, intitolato De mundi systemate, Newton formulò il principio della gravitazione universale: l’universo è regolato da un unico principio, quello di una forza attrattiva proporzionale alla massa dei corpi e che diminuisce secondo il quadrato delle distanze. Sulla base dei dati sperimentali disponibili, tra i quali quelli di Jean Picard e Jean Richer – latitudine, lunghezza del pendolo in rapporto alla latitudine e misura del grado di meridiano - dimostrò che la figura della Terra è quella Imago Mundi – Quaderno 3 di uno sferoide schiacciato ai poli e rigonfio all’equatore, a causa del movimento di rotazione e della sua massa. Osservò che se la Terra non avesse il suo movimento giornaliero, sarebbe perfettamente sferica a causa dell’uguale gravità in ogni sua parte. Proprio per la sua rotazione essa prende, a suo parere, una forma ellissoidale, infatti la soluzione matematica delle equazioni della gravitazione universale portava a un ellissoide: solido ottenuto dalla rotazione completa di un'ellisse intorno ad uno degli assi. Ogni particella di materia, in quanto dotata di massa, è soggetta a: forza di gravità diretta al centro di gravità e direttamente proporzionale al quadrato della distanza da esso; forza d'inerzia centripeta diretta ortogonalmente all'asse di rotazione e proporzionale linearmente alla distanza da esso. 83 La forma della Terra e l'immagine del mondo Newton cercò di calcolare l’appiattimento della Terra supponendola fluida e omogenea e utilizzando la sua teoria di attrazione universale. 84 Per i suoi calcoli doveva determinare l’attrazione ai poli e all’equatore di un ellissoide di rivoluzione. In conclusione trovò un appiattimento di 1/230. Newton calcolò l’appiattimento terrestre considerando che due canali partenti uno dal polo e l’altro dall’equatore e congiungentesi al centro, fossero in equilibrio. Huygens suppose invece che la superficie fosse in ogni punto perpendicolare alla somma di forza centrifuga e gravità. Egli osservò infatti che un filo a piombo non si dirigeva verso il centro della terra ma veniva deviato dalla forza centrifuga. Nel 1690 eseguì un nuovo calcolo dell’appiattimento e ottenne un valore di 1/578, meno esatto di quello di Newton. La differenza fondamentale tra i due studiosi risiedeva nella concezione di attrazione. Determinazione dell’appiattimento della Terra attraverso le misure geodetiche. Lo schiacciamento ai poli è stato aumentato per renderne più evidente l’effetto. Le verticali sono le normali all’ellisse e non concorrono al centro della Terra. La lunghezza di un arco d'ellisse di piccola ampiezza è pressoché uguale a quella dell’arco di cerchio avente come centro il centro di curvatura dell’arco. Quindi, per una Terra appiattita, la lunghezza di un arco Imago Mundi – Quaderno 3 di ampiezza un grado è superiore ad alte latitudini che a basse latitudini. Tra astronomia e geografia si sviluppò così una scienza autonoma: la geodesia. La necessità di tradurre il grado, unità di misura della longitudine e della latitudine, in un’unità di misura lineare attraverso la quale calcolare la dimensione della Terra e definire la scala di riduzione della rappresentazione cartografica, indusse gli scienziati alla raccolta di dati sperimentali che fece crollare la certezza consolidata che il globo terrestre fosse perfettamente sferico. Nella prima metà del XVIII secolo il mondo scientifico fu attraversato dalle polemiche tra newtoniani e cartesiani sulla misura e figura del pianeta, mentre il tentativo di elaborare modelli matematici capaci di dare un’interpretazione coerente dei dati sperimentali raccolti, troverà soluzione solo con gli sviluppi successivi della geodesia sia terrestre sia, attualmente, satellitare. Christiaan Huygens 85 La forma della Terra e l'immagine del mondo 86 Huygens non accettava l’idea di attrazione universale. Pensava che la gravità non consistesse in una attrazione fra masse ma in una reazione al movimento centrifugo. A grandi distanze dalla Terra, le due leggi di attrazione risultano pressoché identiche ma avvicinandosi alla superficie terrestre la differenza acquista importanza e lo si riscontra nei risultati del calcolo dell’appiattimento. Fu comunque merito di questi due teorici l’affermazione che la Terra fosse appiattita. Si poneva ora il problema di verificare sperimentalmente le loro proposizioni. Le polemiche scoppiate in Francia tra newtoniani e cartesiani sulla figura della Terra portarono Cassini a fare varie misurazioni. L’idea fu quella di utilizzare misure di triangolazione geodetica effettuate a diverse latitudini. Tali lavori di triangolazione, intrapresi a partire dal 1683 verso nord da Gian Domenico Cassini e verso sud da La Hire (1640-1718) e interrotti nel 1683 alla morte di Colbert, ripresero nel 1700. Nel 1701, con l’aiuto del figlio Jacques (16771756), Cassini calcolò che la lunghezza di un arco di meridiano a distanza di un grado cioè un grado medio tra Parigi e Bourges nel nord della Francia era più piccola che nel sud: la Terra sarebbe dunque allungata nel verso dell’asse di rotazione, anziché appiattita. Tra 1700 e il 1718 Cassini, Maraldi e La Hire prolungarono i lavori di triangolazione da Dunkerque a Collioure, ai piedi dei Pirenei. A partire dalle loro misure, che confermarono la diminuzione di lunghezza di un grado d’arco verso nord, Cassini confermò l’allungamento della Terra e s’oppose tenacemente alle idee dei teorici: aveva inizio la disputa sulla forma della Terra. Morto Gian Domenico nel 1712, Cassini figlio, detto Cassini II, succeduto al padre nella guida dell’Osservatorio, portando nel 1718 a termine le misurazioni dell’arco di meridiano fatte da Parigi fino ai Pirenei e da Parigi fino all’estremità settentrionale della Francia, Imago Mundi – Quaderno 3 trovò che il grado medio di latitudine era di 57097 tese (111,282 km) a sud di Parigi e di 56960 tese (111,015) a nord. Se l’arco di meridiano diventava più corto andando a nord, Jacques Cassini vedeva confermata l’ipotesi che la figura della Terra non era quella di un ellissoide appiattito ai Poli, come sostenuto da Newton e da Christiaan Huygens (1629-1695), bensì era quella di un ellissoide allungato. 87 Carte de France corrigée par ordre du Roy sur les observations de M.rs de l’Académie des Sciences La carta geografica mostra, rimarcandole con un tratto più scuro e ombreggiato, le correzioni effettuate, dopo le osservazioni astronomiche compiute tra il 1671 e il 1681 da Jean Picard,Gabriel Philippe de La Hire e Gian Domenico Cassini alla carta del Royaume de France del geografo Guillaume Sanson (1633-1703), pubblicata nel 1672. Alle p. 429- 430 del tomo dei Mémoires de l’Académie Royale des Sciences in cui è edita la carta, è stampata La forma della Terra e l'immagine del mondo 88 una nota che guida nella lettura della carta stessa. Il primo meridiano è fissato nel meridiano che passa per l’Osservatorio di Parigi, anziché nel meridiano dell’Isola di Ferro, come in uso nella cartografia dell’epoca. Le nuove misurazioni, definite osservando per calcolare la differenza di longitudine dei luoghi i satelliti di Giove, comportarono la riduzione di circa un quinto della superficie totale fino a quel momento attribuita al regno di Francia. Per togliere i dubbi e far cessare la disputa, l’Académie Royale des Sciences decise di inviare, su ordine del re, due missioni geodetiche per misurare gli archi di meridiano a latitudini molto differenti, cosa che avrebbe dovuto facilitare il confronto: una al Circolo Polare Artico nel 1736, l’altra all’Equatore, nel 1735 in Perù allo scopo di misurare l’archi di meridiano. La spedizione polare fu guidata da Pierre Louis Moreau de Maupertuis (16981759). Matematico, astronomo, biologo, Maupertuis era un convinto sostenitore di Newton. Nel 1737 rientrava a Parigi dalla spedizione in Lapponia: le misurazioni effettuate dimostravano in maniera inequivocabile l’appiattimento polare del globo. Nel 1735 Maupertuis potè proclamare al ritorno dalla Lapponia che la Terra era effettivamente schiacciata ai poli, e lo fece con tanto entusiasmo che Voltaire lo soprannominò “lo schiacciatore della Terra”. Pierre Louis Moreau de Mapertuis intraprese nel 1736 in Lapponia una spedizione che gli consentì di stabilire con esattezza lo schiacciamento della Terra ai poli, fatto che lo scienziato evidenzia col gesto della mano sinistra sul mappamondo (Museo di St. Malo). Imago Mundi – Quaderno 3 Oltre a Maupertuis avevano partecipato all’impresa gli astronomi Alexis-Claude Clairault (1713-1765), Charles-Étienne-Louis Camus (1699-1768) e Pierre-Charles Le Monnier (1715-1799), tutti membri dell’Académie. Al loro arrivo in Svezia gli scienziati francesi furono affiancati dall’astronomo e fisico Anders Celsius (17011744) – il celebre inventore del termometro centigrado - professore all’università di Uppsala. Curiosamente Maupertuis portò con se anche due ragazze finlandesi. Riferì all’Accademia nel 1737 e i suoi risultati confermavano che la Terra era schiacciata ai Poli. Con la spedizione, e con l’avventuroso resoconto esposto in Sur la figure de la Terre (1738), ottenne grande fama, ma ne approfittò per attaccare pesantemente i suoi oppositori, in particolare Jacques Cassini, e persino i suoi amici ne rimasero sorpresi. Nel 1737 lo studio delle misure geodetiche ottenute nella spedizione in Lapponia indicava chiaramente che la Terra era appiattita ai poli anziché allungata e l’appiattimento trovato, inteso come il rapporto tra la differenza tra i semiassi e il semiasse equatoriale, corrispondeva a 1/178. Era evidente che le misure del meridiano francese dovevano essere errate. La missione in Lapponia non chiuse però il dibattito ed i sostenitori dell’idea di una Terra allungata non vollero sentire ragioni. Nel 1740 Cassini de Thury e La Caille effettuarono una nuova misurazione della meridiana francese e confermarono che la lunghezza di un arco di meridiano aumentava spostandosi verso nord. I risultati riportati dalla spedizione in Perù, rientrata nel 1744, tolsero gli ultimi dubbi. Anche le misure geodetiche davano dunque ragione ai teorici: la Terra è appiattita. Apportarono anche un secondo risultato, ancora più fondamentale: l’appiattimento determinato, circa di 1/200, era più vicino al valore calcolato da Newton che a quello trovato da Huygens, confermando così la concezione di 89 La forma della Terra e l'immagine del mondo attrazione universale del primo a discapito della teoria del secondo. Il sistema di Newton era doppiamente vincitore: sia rispetto a chi parteggiava per l’allungamento terrestre, sia rispetto alle tesi di Huygens. 90 Carta della Lapponia Imago Mundi – Quaderno 3 Relazione dell’astronomo e idrografo Pierre Bouguer (1698-1758) sulla spedizione incaricata di determinare la figura della Terra, misurando l’arco di meridiano all’Equatore. La spedizione, guidata da Louis Godin (1704-1760), da CharlesMarie de La Condamine (1701-1774) e dallo stesso Bouguer era partita da La Rochelle il 16 maggio 1735 per giungere il 29 maggio del 1736 a Quito, la località, all’epoca compresa nel territorio peruviano, scelta per l’inizio delle operazioni. L’impresa si rivelò subito difficilissima per le enormi difficoltà poste dal terreno montuoso: spesso le basi di rilevamento delle triangolazioni furono misurate tra scarpate, mentre gli strumenti usati per le rilevazioni furono smontati e rimontati in continuazione, cosa che rischiò di comprometterne il funzionamento, rendendo incerti i dati ottenuti. Bouguer inoltre si mostrò preoccupato dei possibili effetti determinati dall’attrazione gravitazionale delle montagne. A tutto ciò si aggiunse il fatto che i tre scienziati furono ben presto in disaccordo sui procedimenti rispettivamente usati e i loro rapporti personali si deteriorarono fino alla rottura. Rientrato per primo in patria nel giugno del 1744, Bouguer rese conto delle sue operazioni all’Académie Royale e cinque anni più tardi pubblicò l’opera descritta. Anche La Condamine rese pubblici i suoi rilevamenti e tra i due iniziò una penosa polemica, mentre Godin rientrato per ultimo, non scrisse nessuna relazione ufficiale. In ogni caso pur essendo le misure di grado prese all’equatore da ciascuno dei tre scienziati diverse di loro, esse presentano limiti di oscillazione entro un intervallo massimo di 60 tese, cioè di circa 117 m. Solo dopo Brouguer, La Condamine, Boscovich e Maire, che lo quantificarono, Bessel riuscì (1841) a fissare la misura del semiasse maggiore terrestre a 6.376,83 km e del semiasse minore a 6.355,10 km. Altre misurazioni furono effettuate in seguito e 91 La forma della Terra e l'immagine del mondo portarono alla determinazione sempre più precisa dell’indice di appiattimento terrestre e della lunghezza del meridiano terrestre ma solo con l'impiego di sonde spaziali si è potuto affinare ancora queste misure. Oggi, il meridiano "medio" è lungo 40.009,152 km, il semiasse maggiore (Nord) 6.378,388 km e quello minore (Sud) 6.356,912 km. Il valore di appiattimento ritenuto attualmente valido è 1/298,25. Alla scuola francese si deve il merito del definitivo passaggio ad una cartografia scientifica ed ufficiale, non più realizzata da singoli studiosi, ma dagli stati. Dal 1625 al 1845 i Cassini portarono a termine la cartografia della Francia compilando 182 fogli in scala 1:86400. 92 L’ultima misurazione settecentesca dell’arco di meridiano di Parigi, da Dunkerque a Barcellona fu compiuta nel pieno della Rivoluzione francese da Pierre-François-André Méchain (17441804) e Jean-Baptiste-Joseph Delambre (1749-1822). Essa servì come base per determinare di un nuovo sistema di misurazione, quello metrico decimale. La creazione di un sistema di misurazione standardizzato e condiviso da tutti era da tempo negli auspici della comunità scientifica. La Rivoluzione lo concretizzò. Nel 1791 l’Académie Royale des Sciences nominò una Commission des poids et des mésures, composta da Jean-Charles Borda (17331799), Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Caritat de Condorcet (17431794), Joseph Louis Lagrange (1736 – 1813), Pierre-Simon de Laplace (1749 - 1827) e Gaspard Monge (1746-1818). Il 28 Germinale 1795 la Convenzione della Francia rivoluzionaria, introducendo il sistema metrico decimale, stabilì quale unità di lunghezza - detta metro - la decimilionesima parte del quadrante Imago Mundi – Quaderno 3 meridiano della Terra: il valore provvisoriamente accettato fu poi leggermente modificato in base a successive misure del grado di meridiano (fino ad allora misurato in tese) e nel 1799 la Commission des poids et des mésures in base ai calcoli elaborati sui risultati dell’impresa, fece costruire il regolo in platino denominato successivamente metro legale con decreto del 24 aprile 1799 in due esemplari, uno per l'Archivio ed uno per l'Osservatorio. L’impresa si concluse, dopo mille vicissitudini, solo nel 1799. E’ noto tuttavia l'errore compiuto da Méchain nelle sue rilevazioni, un errore di 3” sulla latitudine di Barcellona. Più tardi il 26 aprile del 1803 Méchain riuscì a ripartire per una nuova missione finalizzata al prolungamento dell’arco di meridiano da Barcellona fino alle Baleari, ma morì di febbre gialla nel 1804 e il suo lavoro fu portato a termine più tardi da Jean-Baptiste Biot. L'introduzione del sistema metrico decimale fu decretata mentre erano in corso grandi operazioni di triangolazione, condotte in gran parte da Méchain e Delambre, che collegavano la Francia continentale con l'Inghilterra, la Spagna, le Baleari, la Corsica, la Toscana: queste operazioni giunsero a conclusione nei primi anni dell' 800, ma, come dice Wolf nell'opera già citata, la pazienza degli uomini della rivoluzione non poté sopportare l'attesa. Fu tuttavia solo verso la metà dell'Ottocento che il sistema metrico decimale venne adottato prima in Francia e poi nelle altre nazioni. Negli ultimi decenni del Settecento gli strumenti, le tecniche di misurazione e la caratteristica passione dell’età dei lumi per la raccolta dei dati resero disponibile una grande quantità d’informazioni sistematiche sul mondo, che i geografi iniziarono a integrare in una descrizione organica del globo terrestre. 93 La forma della Terra e l'immagine del mondo II 14 ottobre 1960 l'XI Coriférénce Générale des Poids et des Mesures ha stabilito come campione operativo la lunghezza d'onda nel vuoto della riga rossa del kripton 86, cioè dell'isotopo del kripton avente numero di massa 86, il metro viene definito come 1.650.763,73 volte tale lunghezza. Siccome le misure di massima precisione sono quelle interferenziali, basate sull'interferenza delle onde elettromagnetiche, si è ritenuto infatti opportuno assumere come campione una lunghezza d'onda. In pratica il valore del metro non cambia, però il nuovo campione può essere trasferito, interferometricamente, con la precisione di un milionesimo di milionesimo di millimetro. 94 Nel 1799 Pierre Simon Laplace (1749-1827) dimostrò nel “Traitè de mécanique célèste” che l’ellissoide non corrisponde esattamente alla forma reale della terra, che ha invece una forma irregolare. Tale scoperta fu sviluppata in seguito definendo una superficie di riferimento costituita dalla superficie libera dei mari e dal suo prolungamento ideale sotto i continenti. Nel 1849 George Gabriel Stokes (1819-1903) dimostrò la possibilità di determinare la forma di tale superficie a partire da sole misurazioni di gravità. Essa fu chiamata geoide nel 1873 da Johann Benedict Listing (1808-1882) e da allora l’ellissoide di rotazione che meglio vi si adatta per parametri dimensionali e per orientamento fu considerata solo una superficie di riferimento. Imago Mundi – Quaderno 3 Un modello di geoide Nel 1841 Federico Bessel (1784-1846), concludendo l'elaborazione di tutte le misure del grado effettuate fino ad allora, fissò l'ellissoide di rotazione terrestre dando i valori 6376,83 km per il semiasse maggiore e 6355,10 per quello minore (i valori attualmente adottati per l'ellissoide internazionale, o ellissoide di Hayford, sono rispettivamente 6378,388 e 6356,912 con una circonferenza meridiana di 40009,152 ed una circonferenza equatoriale di 40076,592 km). Nonostante le successive determinazioni della lunghezza della circonferenza terrestre, il valore del metro è stato lasciato invariato, restando definito come la lunghezza del campione conservato a Parigi. Fiedrich Wilhelm Bessel Fino ad oggi gli studi geodetici si sono concentrati sulla determinazione del geoide e dell’ellissoide che meglio vi si adatta, 95 La forma della Terra e l'immagine del mondo localmente o globalmente. Dal 1800 ad oggi sono stati proposti numerosi ellissoidi. Uno degli ellissoidi più adottati è quello misurato da Hayford nel 1909, adottato come ellissoide internazionale al Congresso geodetico di Madrid nel 1924. Tale ellissoide è stato utilizzato con differenze di orientamento in diversi sistemi geodetici, tra i quali quello italiano del 1940 e quello medio europeo del 1950. 96 Con le conoscenze ed i mezzi del 1984 è stato calcolato l’ellissoide WGS84 (World Geodetic System 1984), con un orientamento medio globale sui parametri del geoide misurato allora. Si tratta del sistema di riferimento che si sta imponendo come un standard mondiale, anche grazie alla diffusione del sistema GPS. Attualmente la geodesia oltre che dei tradizionali strumenti per la triangolazione sul terreno si basa anche sull’aerofotogrammetria (l’interpretazione di foto aeree opportunamente rettificate ed Imago Mundi – Quaderno 3 inquadrate e su accurate misurazioni rese possibili dalle tecnologie satellitari. L’epoca dei lumi produsse, oltre agli avanzamenti nel campo della geodesia, anche significativi progressi nella rappresentazione cartografica, migliorata con l’introduzione nel 1728 delle curve di livello per la rappresentazione altimetrica del terreno in luogo delle tecniche di ombreggiatura e della rappresentazione a mucchi di talpa precedentemente utilizzate. Nel XIX secolo e nel XX ebbero infine impulso decisivo le tecniche di proiezione sul supporto piano costituito dalla carta geografica dei dati derivanti dalla superficie curva dell’ellissoide. Furono sviluppate proiezioni con proprietà geometriche diverse che le rendono adatte ad applicazioni differenti. Tra tutte è da ricordare, dopo la già citata proiezione cilindrica di Mercatore, la proiezione di Gauss (1777-1855), cheè alla base di una delle più utilizzate rappresentazioni della cartografia moderna (UTM) e sue applicazioni sono anche gli altri i sistemi Gauss-Boaga e GaussKruger. 97 Imago Mundi – Quaderno 3 2. Allegato A: Deviamento dalla figura della Terra figura sferica 1. Kant: geografia fisica, vol I Milano 1807 La superficie della terra è coperta di montagne e di rocce assai disuguali, le quali formano sì enormi masse, che appena osiamo guardare nelle loro cavità e precipizj. Nulla di meno tutte queste disuguaglianze sono trascurabili in confronto della grandezza del globo. La terra più alta è l’America; quivi s’incontrano le più alte creste delle montagne. La punta più alta di esse è il Chimborasso nel Perù, il quale s’innalza 3217 tese parigine sulla superficie del mare. Il massimo circuito della terra importa 20,557,645 tese; in conseguenza la montagna più alta è la 6390 parte dell’equatore. Gli ordinarj grani d’arena per lo più hanno la grossezza di una mezza linea, e questa presa sei mila volte dà tre mila linee, cioè 250 pollici, |23| o sia 21 piedi meno due pollici; ed un globo di 21 piedi di circuito ha per noi una notabile grandezza. Or un grano di arena assai insignificante ha con questo globo la stessa correlazione, che la montagna più alta colla terra; e siccome niuno direbbe, che questo globo avesse perduta la sua rotondità per esservesi attaccati alcuni granelli di arena, così niuno si avviserà di mettere in dubbio la rotondità della terra per le sue montagne. Intanto, malgrado che le montagne influiscono sì poco nella determinazione della figura sì poco nella determinazione della figura della terra, pure da alcune esperienze e da molte esatte osservazioni è risultato doversi attribuire alla terra una forma diversa dalla sferica, la quale ancora non conosciamo abbastanza, benchè la questione se essa sia una sferoide compressa, oppur ovale da lungo tempo sia stata decisa. L’astronomo Richer, che dall’accademia delle scienze di Parigi fu spedito nel 1671 all’isola Cayenne nell’America meridionale, la 98 Imago Mundi – Quaderno 3 quale giace a cinque gradi verso il Nord dall’equatore, per farvi delle osservazioni astronomiche, trovò, che il suo orologio esattissimo a pendolo preso con se a Parigi, |24| restava quivi giornalmente 2 minuti 28 secondi indietro, perlocchè dovette accorciare il pendolo di 1 ¼ di linea, per fargli battere i secondi. Questa esperienza confermata da un osservazione di dieci mesi, e riportata in Francia, suscitò l’attenzione e l’esame di tutti gli astronomi e filosofi.[1] Halley inglese osservò nel 1675 sull’isola di sant’Elena il medesimo fenomeno; ed altri osservarono il movimento accelerato del pendolo sotto i poli, e la prolungazione necessaria di esso per farlo battere i secondi. Un pendolo a secondi in Quito sotto il 0,° 25 di latitudine meridionale è lungo 438 82/100 linee, a Cayenne sotto il 5°, di latitudine settentrionale 439 19/16, a Parigi di 48° 50’ di latitudine 440 17/30, a Pelle di 66° 47’, di latitudine 441 17/360. Da ciò si vede chiaramente, che sotto |25| l’equatore i pesi perdono della loro gravità, e sotto il polo ne acquistano; ovvero che la forza di attrazione, come cagione di qualunque gravità, opera meno nella vicinanza dell’equatore che verso i Poli. Di ciò presto se ne comprese la ragione; giacchè per mezzo della rotazione della terra, nella quale i punti del Polo stanno fermi, le regioni vicine a questi fanno solamente in 24 ore piccolissimi giri, mentre i punti sotto l’equatore fanno un giro di 5400 miglia geogr., e quindi deve conchiudersi, che l’attrazione sotto i Poli operi più liberamente e senza ostacolo, e che sotto l’equatore si diminuisca per mezzo della forza centrifuga cagionata da una maggior rotazione. Huygens ad Haag in Olanda, e Newton subito ne conclusero, che la terra non poteva essere un globo perfetto, ma che era innalzata sotto l’equatore, ed un poco compressa sotto i due Poli; poichè a principio nello stato di una fluidità, la forza centrifuga nata sotto l’equatore per mezzo della rotazione richiedeva, che quivi le parti si 99 Deviamento della figura della terra dalla figura sferica 100 estendessero o s’innalzassero, allontanandosi dal centro, cagionando in tal guisa un concorso di materia proveniente dalla parte de’ Poli. Da ciò risultò per conseguenza |26| una figura il di cui diametro è maggiore nell’equatore che nell’asse, o sia una sferoide compressa. Il calcolo però sulla proporzione dell’asse a confronto del diametro dell’equatore per ambedue riuscì differente. Huygens lo ritrovò come 577 a 578, Newton come 229 a 230, cioè quello fissò la differenza a un miglio e mezzo, questo a quattro miglia. Le loro conclusioni furono ancora confermate con una scoperta di Cassini nel 1691. Questi trovò, che Giove il quale in 9 ore 51 minuti gira intorno al suo asse, ha una figura piatta, e che il diametro dell’equatore sia di un quindicesimo maggiore di quello dell’asse. Quindi se ne concluse, che quello che in lui per mezzo di maggiore celerità di rotazione era stato cagionato in misura maggiore, dovesse in proporzione aver luogo anche nella terra. Ma Cassini dubitò di queste conclusioni fondate in parte sopra le sue proprie scoperte, e piuttosto attribuì alla terra una figura elittica ovale, sostenendo che nella determinazione della figura della terra non si dovesse aver riguardo alle speculazioni e conclusioni a priori, ma bensì alle vere misure; e queste parevano decidere intieramente per la figura |27| elittica suddetta. Picard nel 1669 aveva misurato presso Parigi una base di 5663 tese colla massima esattezza, aveva sempre unito un triangolo all’altro fino ad Amiens, ed aveva trovato per mezzo del calcolo trigonometrico di essi la distanza de’ circoli paralleli di Amiens e del punto più meridionale, di 78907 tese: ma la differenza della latitudine per mezzo di osservazioni astronomiche era 1°, 22’, 58’’, un grado importava 57057 tese. Cominciando dall’anno 1683 misurò Cassini, unito ad altri celebri geometri, il meridiano di Parigi, principiando dall’osservatorio fino a Callioure nel Roussillon. Ne risultò la distanza di 360648 tese; e secondo la riduzione al livello del mare, di 360614 tese: e siccome Imago Mundi – Quaderno 3 la differenza della latitudine importava 6,° 18’, 57’’, ne risultarono per un grado 57097 tese; dunque 37 tese di più di quello che aveva trovato Picard. Nell’anno 1718 fu misurato il meridiano verso Dunkerke e nella distanza dei due punti importò 125454 tese, e la differenza della latitudine 2,° 11,’ 52’’ ciocchè diede 56960 tese per la grandezza di un grado, o 100 tese di meno di ciò che Picard aveva trovato. I gradi verso il Polo |28| diventarono in conseguenza più corti; quelli verso il mezzo giorno più lunghi. Dunque dovevano essere più curvi per descrivere un arco maggiore verso il Polo, e più piatti verso l’equatore. Cassini perciò avendo per fondamento una base esattamente misurata (cioè di 8°, 40’, 44’’) maggiore di qualunque altra usata da’ matematici sino a quel tempo, tenne per decisa la figura ovale della terra, e credette con tutto il diritto e sicurezza di poter determinare la figura della terra, ed il suo deviamento della figura sferica. Egli calcolò il primo grado del meridiano cominciando dall’Equatore a 58019 tese il medio, o quarantesimo quinto 57130 id. il novantesimo, o ultimo del quadrante 56224 id. la periferia dell’intiero meridiano 20.563.100 id. la periferia dell’equatore 20.454.274 id. l’asse terrestre 6.579.368 id. il diametro del meridiano 6.510.796 id. di modo che l’asse risultava più lungo del diametro equatoriale per 6572 tese, o una novantesima quinta parte della sua lunghezza, cioè 21 miglia geografiche. Cassini replicò poi più volte le sue |29| misure, cangiò i luoghi, gli stromenti, e il modo di misurare, ma trovò sempre il medesimo 101 Deviamento della figura della terra dalla figura sferica 102 risultato, cioè, che la terra intorno l’equatore sia piatta e bassa, e sotto i Poli più curva e voltata, ed in conseguenza abbia la figura di un uovo. Le misure erano troppo precise, i calcoli troppo esatti, perchè si fosse potuto contraddirvi. Ciò non ostante ragioni fisiche richiedevano intieramente l’opposto, cioè, che si supponesse la terra verso l’equatore più alta e curva, e verso i poli più bassa e piana. Si dispose dunque un doppio viaggio per misurare i gradi de’ meridiani: Condamine, Godin, e Bouguer partirono per Quito città appartenente al Perù nell’America meridionale, la quale ha solamente 13’ 17’’, cioè quasi nessuna latitudine settentrionale; e siccome ella è in territorio spagnuolo, partì in loro compagnia l’abile Antonio de Ulloa. Nell’anno seguente andarono Maupertuis, Clairaut, Camus e le Monnier a Tornea per misurare il 66° del meridiano che taglia il circolo polare. Questi ultimi finirono più presto il loro lavoro, e ritornarono nell’agosto del 1737 a Parigi. Essi trovarono il grado di 57322 tese; |30| dunque 365 tese più lungo di quello che misurò Picard fra Parigi ed Amiens, 361 tese maggiore del grado di mezzo della distanza de’ paralleli di Colliauro e Dunkerke, e quasi 1000 tese maggiore di quello che dovrebbe essere, secondo il calcolo di Cassini. È però facile, che in questa misura sia corso un errore. Melanderhielm nel 1803 ha compita una misura ripetuta, e scrive a la Lunde, che Svanberg unito a tre altri astronomi Svedesi aveva trovato questo grado sotto una latitudine di 60,° 20’, di 57,199 tese, cosa che dà, per lo schiacciamento della terra 1/313, che corrisponde meglio alle altre proporzioni, e dimostra ancora che la figura della terra non sia tanto irregolare.[2] La società meridionale che fece le sue misure di tre gradi nelle alte pianure di Quito, e che dovette sormontare maggiori ostacoli, ritornò non prima del 1744. Essa trovò i tre gradi ciascuno di 56753 tese, e perciò 692 tese minore che il medio francese, 25 Imago Mundi – Quaderno 3 tese |31| maggiore di quello che se ne aspettava Maupertuis, e maggiore di 1370 tese del calcolo di Cassini. Il calcolo e la misura di ambedue le società, delle quali la meridionale era però più esatta, convenivano in ciò, che i gradi della terra siano maggiori sotto il circolo polare e minori sotto l’equatore, e che in conseguenza la terra sia piatta sotto i poli, ed elevata sotto l’equatore. Ma nel determinare la deviazione della terra, dalla figura sferica in qualche cosa differirono. Ciò importò. Secondo Maupertuis L'asse 6.525.600 tese il diametro dell’equatore 6562.480 id. la differenza 36.380 id. la proporzione 177.3.173.33 id. Secondo Bouguer L’asse 6.525.377 id. il diametro dell’equatore 6562.026 id. la differenza 36649 id. la proporzione 178.179 id. Ma ancora non si era contenti di queste misure. Cassini, e l’abbate de la Caille replicarono la misura del grado fra Parigi ed Amiens, e lo trovarono 17 tese maggiori di prima. Il nominato de la Caille misurò poi nel 1751 al Capo di Buona Speranza il |32| 33° di latitudine meridionale, e lo trovò di 57037 tese, di modo che quivi la terra doveva essere più piatta che sotto il Polo settentrionale. 103 Deviamento della figura della terra dalla figura sferica Boscowich misurò nel 1755 il 43° fra Roma e Rimini; Beccaria nel 1768 il 44° nel Piemonte; Liesganig nel 1770 alcuni gradi del meridiano di Vienna nell’Austria ed in Ungheria. Nella Pensilvania misurarono Mason, e Dixon il 39’’. Tutti questi gradi differirono l’una dall’altro, e non corrisposero alla longitudine destinata in caso della disuguaglianza supposta da Newton, o da Maupartuis, e da Bauguer. Dalla seguente tavola si vede il risultato delle loro misure. Latitudine media del grado misurato. 104 Tese. Nome de’ misuratori. 0° 0’ Lat. mer. 56753 sec. Bauguer e Condam. 33° 18’....................................... 59037 ” De la Caille 39° 12’ Lat. sett. 56888 ” Mason e Dixon 43° 0’....................................... 56979 ” Boscowik e Maire 44° 44’....................................... 57069 ” Beccaria 45° 0’....................................... 57028 ” De Thury 45° 57’....................................... 56881 ” Liesganig 48° 48’....................................... 57086 ” Liesganig 49° 23’....................................... 57069 ” Cassini 66° 20’....................................... 57422 ” Maupertuis, Camus. |33| Pare dunque, che niun meridiano della terra sia consimile all’altro, e che la parte meridionale non sia intieramente formata come la settentrionale; che la terra in generale non abbia una forma geometrica regolare, la quale la natura non ama, e che noi in nessun luogo di essa rincontriamo. Colla ipotesi di Bouguer si accordano i tre gradi del Perù, di Parigi e della Lapponia. Egli non dà la forma elittica ai meridiani come Imago Mundi – Quaderno 3 Newton, e fissa benanche differentemente la proporzione del diametro coll’asse. Newton veramente l’aveva posta come 229: 230; ma Bouguer la stabilì di 178: 179, o in modo, che egli trovò il diametro dell’equatore di 36649 tese maggiore dell’asse, cioè (contando 3808 tese per un miglio geografico) maggiore di 10 miglia. Secondo le più recenti osservazioni lo schiacciamento è uguale alla trecento trentaquattresima parte del diametro equatoriale, in modo che il diametro non importa ancora 6 miglia geografiche. 105 Deviamento della figura della terra dalla figura sferica La seguente Tavola dimostra le lunghezze dei gradi secondo Newton e Bouguer. Longitudine secondo Gradi di latitudine 106 0...... NEWTON BOUGUER 56637...... 56753 10...... 56659...... 56754 20...... 56724...... 56766 30...... 56823...... 56813 40...... 56945...... 56917 50...... 57074...... 57083 60...... 57196...... 57292 70...... 57295...... 57501 80...... 57360...... 57655 90...... 57382...... 57712 1. ↑ |24| Ved. Riches recueil d’observations faites en plusieurs voyages. Paris 1693. 2. ↑ |30| Ved. Intelligezblatt der allgem Litterat. zeitung. del 1803 num. 115 pag. 948. Imago Mundi – Quaderno 3 3. Allegato B: La geografia scientifica 1. Snellius e la prima triangolazione Quando Keplero scoprì l'ellitticità delle orbite, risolvendo il problema millenario dei moti planetari, per quanto riguarda le dimensioni della Terra si era rimasti ancora alla misura effettuata dagli Arabi 8 secoli prima e cioè a 43 mila chilometri; valore tuttavia accettato con grande diffidenza per la coesistenza dell'altra determinazione fatta da Posidonio - 37800 km - avallata dall'autorità di Tolomeo. Ma per una di quelle concomitanze non certamente casuali che s'incontrano così frequentemente nella storia della scienza, quando Cassini e Richer effettuarono la prima determinazione moderna della parallasse solare, era stata portata a compimento appena da un anno la prima misura, di precisione moderna, della circonferenza terrestre. L'era del metodo moderno, quello delle triangolazioni, era stata già inaugurata da Snellius, in Olanda, nel 1614. Non si tratta, nell'essenziale, che del vecchio metodo di Eratostene, l'innovazione riguardando solo la misura della lunghezza dell'arco di meridiano che viene ottenuta con un procedimento detto appunto di triangolazione; però tale procedimento consente una precisione che è rimasta insuperata fino ai giorni nostri. Consiste nel classico metodo trigonometrico di misura delle distanze applicato in ripetizione: partendo da una base effettivamente misurata sul terreno con un'asta, mediante misure di angoli si ottiene la misura di una seconda base assai più lunga della prima; da questa se ne ottiene una terza, e così via fino ad ottenere per mezzo di sole misure goniometriche la lunghezza di un arco di meridiano di sufficiente ampiezza. Willebrord Snellius (1580-1626) mediante un'asta metallica di 3,768 metri (1 ruta olandese) misurò nei pressi di Leida una base di 328 metri; traguardando poi dagli estremi a e b di questa 107 La geografia scientifica base, mediante un quadrante di ottone di 60 cm di raggio, due punti di riferimento c e d sul terreno e risolvendo i due triangoli così ottenuti ricavò la distanza tra c e d. 108 Schema parziali della triangolazione - la prima nella storia - effettuata da Snellius nei Paesi Bassi per misurare la lunghezza di un arco di meridiano. Dagli estremi di questa base secondaria era possibile vedere sia la torre della cattedrale di Leida che il campanile del villaggio di Zoeterwoude e quindi, ripetendo il procedimento, poté ottenere la distanza fra queste due località: da tale nuova base ottenne la distanza fra Leida e L'Aia (15800 metri) e così proseguendo attraverso i polders olandesi sviluppò una rete di triangoli congiungente Alkmaar a nord del paese con Bergen a sud ottenendo per la distanza fra queste due città 34597 rute. Infine, poiché dall'ombra di alte torri a mezzogiorno vero la linea Alkmaar-Bergen apparve fare un angolo di 11°16' col meridiano, la lunghezza Imago Mundi – Quaderno 3 dell'arco di meridiano compreso fra il parallelo di Alkmaar e quello di Bergen risultò di 33930 rute, pari a 127,85 km. L'osservazione dell'altezza della Stella Polare dette per la differenza di latitudine 1°11',5 ricavandosi quindi per il grado di meridiano la lunghezza di 107,29 km e per la circonferenza meridiana della Terra 38600 km. Il valore ottenuto non è più vicino al vero di quello dei Greci, ma l'impresa di Snellius ebbe grande importanza per il "rodaggio" del metodo. Il risultato fu pubblicato nel 1617 sotto il titolo "Eratosthenes batavus de Terrae vera quanitate"; dopo la pubblicazione, Snellius rilevò alcuni errori di misura e di calcolo e si mise all'opera per correggerli, ma purtroppo morì prima di portare a compimento il lavoro di revisione. L'elaborazione delle nuove misure fu completata solo un secolo più tardi e risultò che la revisione di Snellius portava la circonferenza terrestre a 40370 km, un risultato veramente ammirevole per gli strumenti di cui disponeva Snellius e che mostra la precisione di cui il metodo è suscettibile. 2. La catena di Riccardo Norwood Nel 1633 Riccardo Norwood, professore di matematica e di nautica a Londra, tentò la misura col vecchio metodo degli Arabi e cioè ricorrendo invece che alla triangolazione alla misura diretta dell'arco di meridiano sul terreno. Con una catena di 30 metri misurò la distanza fra Londra e York, città situate quasi sullo stesso meridiano; seguì la strada tenendo conto mediante la bussola delle varie direzioni, nonché della pendenza dei tratti non orizzontali, trovando per l'arco di meridiano la lunghezza di 275 km. La differenza di latitudine, stabilita osservando l'altezza del Sole a mezzogiorno, prima a Londra, e poi esattamente due anni dopo alla 109 La geografia scientifica stessa data a York, risultò 2° 28' ottenendosi quindi per la circonferenza terrestre la lunghezza di 40200 km: un ottimo valore. 3. Jean Picard e le grandi triangolazioni francesi 110 Nel 1669 Jean Picard (1620-1682) dette inizio all'era delle grandi triangolazioni francesi. Dall'esame del lavoro di Snellius aveva tratto il convincimento che bisognava partire da una base misurata sul terreno molto più lunga: cercò per questo un tratto di strada diritta e piana sufficientemente lunga e lo trovò fra Villejuive e Juvisy, a sud di Parigi. Misurò questo tratto mediante due aste di legno di 390 cm (due tese francesi) che riportava alternativamente lungo una corda in tensione: due misure successive fornirono 11041,9 e 11043,0 metri, con un'incertezza quindi solamente dello 0,1 per mille. Su questa base sviluppò una vasta rete di triangoli traguardando torri e campanili mediante un quadrante con due cannocchiali, uno fisso e l'altro girevole, muniti di crocicchio di fili al fuoco dell'obiettivo e dell'oculare, dispositivo questo introdotto nell'Astronomia vent'anni prima da Gascoigne. Il lato più lungo osservato, quello che univa Malvoisine a Mareuil, misurava 62,199 km e le mire vennero traguardate di notte accendendo in loro prossimità grandi fuochi. Lo stesso lato, ottenuto indirettamente dalla combinazione di altri triangoli, risultò 62,192 km: una differenza di soli 7 metri. Attraverso le successive misure goniometriche era stata quindi mantenuta la precisione dello 0,1 per mille con la quale era stata misurata la base primaria: risultato raggiunto con le solite tre regole auree dell'osservatore e dello sperimentatore: perfezione di strumenti, estrema diligenza nell'operare, grande sagacia nell'individuare e valutare le fonti di errore. Imago Mundi – Quaderno 3 Ogni volta che traguardando una mira dagli estremi di un lato si misuravano i due angoli alla base di un triangolo, si aveva cura anche di traguardare viceversa dalla mira i due estremi in modo da misurare pure l'angolo al vertice: misura questa superflua dal punto di vista della pura geometria, ma utile operativamente per verificare se la somma dei tre angoli è esattamente 180°. Di solito Picard trovava una differenza di pochi secondi d'arco che ripartiva fra i tre angoli, in ugual misura oppure proporzionalmente all'incertezza stimata, se qualche angolo era ritenuto meno "sicuro" degli altri (per minore visibilità atmosferica, per la natura della mira, ecc.). Al termine delle operazioni Picard aveva stabilito una grande poligonale di tre lati (a rigore tre archi di cerchio massimo) di lunghezza nota con grande precisione ed avente gli estremi in Sourdon, a nord, ed in Malvoisine, a sud. L'orientamento di ciascun lato venne stabilito mediante osservazioni della Stella Polare (tenendo conto ovviamente della distanza della stella dal polo celeste) e fu così possibile "proiettare" ciascun lato sulla linea meridiana ed ottenere la lunghezza dell'arco di meridiano compreso fra i paralleli di Sourdon e di Malvoisine che risultò 68431 tese, pari a 133,362 km. L'ampiezza di quest'arco, cioè la differenza di latitudine fra queste due località, fu determinata misurando a Sourdon ed a Malvoisine, con un settore zenitale avente la precisione di 3", la distanza zenitale della stella delta di Cassiopea: l'arco risultò di 1°11'57" ottenendosi quindi per la lunghezza di 1° di meridiano 111,212 km. Un'estensione della rete di triangoli fino ad Amiens dette come valore del grado 111,196 km e ciò da un'idea dell'attendibilità dei risultati. Dalla media di questi valori si ottenne la lunghezza di 40033 km per la circonferenza meridiana della Terra, con l'incertezza di 4 km e cioè dell'l su 10.000. In realtà però l'errore nella circonferenza era alquanto maggiore di quanto si poteva 111 La geografia scientifica 112 dedurre dalla precisione della misura del grado, e ciò per il fatto che la Terra non è una sfera ma piuttosto un ellissoide. La relazione su questa determinazione fu pubblicata nel 1671 in una memoria intitolata "Mesure de la Terre". Cosicché, giusto un anno prima che si desse inizio, con la spedizione a Cayenna, alle moderne misure della parallasse solare, si era giunti ad avere un'informazione sulla dimensione della Terra adeguata alle esigenze delle misure astronomiche che sarebbero state effettuate nei decenni seguenti. Richer durante il suo soggiorno a Cayenna nel 1672-73 aveva constatato che un pendolo esattamente regolato a Parigi per battere il secondo, laggiù ritardava di 2 minuti in 24 ore e cioè che il pendolo battente il secondo era sensibilmente più corto a Cayenna che a Parigi. Huyghens e Newton calcolarono poi che la Terra per effetto della rotazione doveva essere un ellissoide con schiacciamento compreso fra 1/280 e 1/580 a seconda che si accettassero rispettivamente le ipotesi estreme di un globo di densità uniforme oppure crescente da zero in superficie ad infinito al centro. Il ritardo del pendolo osservato da Richer era quindi da attribuire all'effetto combinato della maggiore forza centrifuga e della maggiore distanza dal centro del globo. Comincia così in questi anni a prendere corpo un campo di ricerche autonomo rispetto sia all'Astronomia che alla Geografia, ai cui fini erano fino ad allora esclusivamente volte le indagini sulla dimensione della Terra, e che ricevette il nome di Geodesia. 4. La triangolazione dello Stato Pontificio nel 1750 Fra le operazioni geodetiche ricorderemo ancora la triangolazione attraverso lo Stato Pontificio effettuata nel 1750 dai gesuiti Ruggero Boscovich e Cristoforo Maire per incarico di Papa Benedetto XIV (il famoso cardinale Lambertini di Bologna). La relazione fu data Imago Mundi – Quaderno 3 alle stampe nel 1755 sotto il titolo "De litteraria expeditione per pontificiam ditionem ad dimetiendos duos meridiani gradus et corrigendam mappam geographicam". Misurata con un'asta di legno una base di 11,767 km lungo il litorale presso Rimini, da questa fu sviluppata per vette di montagne una successione di triangoli congiungente Rimini con Roma (cupola di S. Pietro): l'arco di meridiano compreso fra i paralleli estremi risultò di 161253,6 passi romani (equivalenti a circa 240 km), mentre l'ampiezza di tale arco, stabilita con l'osservazione delle stelle del Cigno e dell'Orsa Maggiore, risultò 2°9'45": si ebbe quindi per un grado la lunghezza 74568,1 passi, pari a 111,048 km, valore che per la latitudine di 43° era in buon accordo con la figura ellissoidica stabilita allora da Bouguer Bibliografia e sitografia 113 http://www.vialattea.net/eratostene/tempesti/bessel.html Carl B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano 2001 A. Schiavi, Vademecum cartografico, V&P Università, Milano 2002 http://www.geometrie.tuwien.ac.at/karto/index.html#14 http://www.leganavale.it/portale/cultnaut_lez5.asp http://www2.unibo.it/musei-universitari/PercorsoNS/indice1.htm http://www-gap.dcs.st-and.ac.uk/~history/ La geografia scientifica http://users.libero.it/prof.lazzarini/geometria_sulla_sfera/geo.htm http://www.arrigoamadori.com/lezioni/SuperficieInR3/SuperficieIn R3.htm http://www.iesperemaria.com/Valencia/Organitzacio/Depts/FisQuim /Astrofisica/astro/index.htm http://www.nauticoartiglio.lu.it/SA_CD2002/stelle/eratostene/gloss/i index.html http://digilander.libero.it/diogenes99/Cartografia/Cartografia01.htm http://web.unife.it/progetti/matematicainsieme/matcart/appiat.htm 114 Imago Mundi – Quaderno 3 Direzione Fernando Sansò Redazione: Edoardo Marzorati Michelangelo Michelini Liceo Scientifico “P. Carcano” – Como Comitato Scientifico Giuseppina Cardile Valeria Cereda Maristella Galeazzi Massimiliano Pagani Andrea Pini Comitato Filosofico – Letterario Roberta Brandimarte Marina Doria Claudio Fontana Raffaella Frigerio Domitilla Leali 115 Il progetto triennale “Imago Mundi” è nato da una cooperazione tra il Corso di Studi in Ingegneria Civile e Ambientale del Polo di Como del Politecnico di Milano e alcune scuole della provincia con l’obiettivo di analizzare l’impatto dalle nuove tecnologie spaziali (La Terra vista dallo spazio è infatti il sottotitolo del progetto), nella concezione filosofica del mondo, nella sua conoscenza scientifica, nelle tecnologie di uso comune, nella letteratura e più in generale nella comunicazione che di tali materie si occupa. Delle numerose attività svolte seminari, conferenze, assemblee, riunioni di scuola e lavori di classe si è voluto lasciare testimonianza attraverso tre quaderni che raccogliessero i materiali analizzati e le successive elaborazioni. Questo è il 3° ed ultimo quaderno di questo progetto. Ancora una volta desidero ringraziare i docenti che hanno partecipato al lavoro e gli studenti tutti, che hanno dato slancio al progetto. Fernando Sansò