Lingua e società12 - Università del Salento

Transcript

Lingua e società12 - Università del Salento
I diversi usi delle lingue La vitalità di una lingua e la sua capacità di affermarsi sul territorio dipendono da
molte cause.
E’ certamente una di queste è la sua attitudine a essere utilizzata nei diversi
momenti della vita sociale.
Le lingue infatti possiedono una molteplicità di usi, il latino, per fare un esempio, in
passato era lingua tribale, nazionale, vernacolare, coloniale, internazionale, di
comprensione per gli immigrati, diplomatica, scientifica e liturgica, e per questo era
una lingua scritta e codificata e in continua espansione; ma quando, un poco alla
volta, per questi usi sono state adottate le parlate romanze derivate da esso, più
efficaci per comunicare informazioni in modo più immediato e per esprimere nuovi
concetti, il latino è rimasto solo come lingua liturgica (parzialmente) nell'ambito della
Chiesa cattolica romana e come lingua sapienzale e scolastica negli ambienti della
cultura, diventando così una lingua priva di vitalità, ormai incapace di evolversi e di
adeguarsi al mutare della situazione, perdendo la possibilità di essere lo strumento
delle comunicazioni correnti.
Fra tutti gli usi che una lingua può avere, quello religioso è certamente uno dei più
importanti ma anche uno dei più statici, perché permetteì la diffusione della lingua
in tutti gli strati della popolazione, anche se spesso solamente in forme limitate alle
necessità del puro atto liturgico, ma tende a bloccare ogni evoluzione o
trasformazione della lingua perché la liturgia, una volta codificata, cerca di evitare
ogni modificazione. La fortuna di una lingua utilizzata nelle funzioni amministrative è legata alla effettiva
capacità di agire e di incidere sulla vita sociale e privata da parte di un sistema di
governo, in quanto un'amministrazione inefficiente certamente coinvolgerà nel suo
fallimento anche la lingua, mentre se è valida contribuirà a diffonderla. È questo il caso della lingua inglese nel territorio indiano durante e dopo la
colonizzazione britannica: essa venne adottata come lingua amministrativa sia
perché il sanscrito, lingua tradizionale della cultura indù, era ormai una lingua
morta, sia perché le lingue locali erano moltissime e in genere di limitata diffusione
territoriale, ma, soprattutto, la lingua inglese era vista (dagli inglesi) come "la
chiave di ogni forma di progresso". L'inglese così si è inserito rapidamente al di sopra delle lingue locali come veicolo
per esprimere non solo le necessità di un unico potere centralizzato, ma anche per
creare una prima coesione culturale e nazionale all'interno dell'India. L'uso commerciale è uno dei più poveri per una lingua, in quanto le trattative
finalizzate al trasferimento di beni, di servizi e di moneta possono avvenire con
codici linguistici semplificati al massimo, e in genere è proprio questo che succede,
poiché oggi per le attività commerciali si adottano codici internazionali facilmente e
immediatamente comprensibili, le transazioni di mercato sono fatte con linguaggi
standardizzati e ridotti all'essenziale.
L'uso culturale e scientifico è legato alla capacità di chi parla quella lingua di
elaborare e di trasmettere messaggi culturali e informazioni scientifiche: il popolo
che in un certo momento storico è alla guida dell'evoluzione culturale e del
progresso scientifico e tecnologico riesce sempre a imporre la sua lingua come
strumento per trasferire le innovazioni; così i greci, i latini, gli arabi, gli italiani (per
l'arte figurativa e la musica), i francesi, gli inglesi, i tedeschi, gli americani, sono
riusciti in momenti diversi a imporre la loro lingua su spazi molto vasti o addirittura
mondiali nell'ambito di particolari settori della cultura e delle scienze. L'uso diplomatico nasce da accordi internazionali, a loro volta determinati dalla
situazione di potere nel momento in cui questi accordi sono stati ratificati, mentre
quello scolastico dalla volontà politica di favorire una determinata lingua oppure
dalla necessità pratica di utilizzare una determinata lingua nell'insegnamento per
mancanza di maestri, strumenti e sussidi didattici in una lingua diversa. Dopo l'unificazione del Regno d'Italia pochissimi cittadini del nuovo Stato usavano
l'italiano per le loro comunicazioni normali (nel 1861 la lingua italiana era usata
abitualmente da meno del 10 % della popolazione del Regno) ma esso venne
imposto come lingua nazionale allo scopo di creare, anche per mezzo di essa, uno
Stato unitario.
Oggi, dopo 150 anni di politica linguistica a favore dell'italiano, quasi tutti i cittadini
apprendono a parlare in questa lingua e la utilizzano per l'uso comune, come lingua
scolastica, lingua amministrativa, lingua ufficiale, lingua nazionale e lingua religiosa;
ma vi sono in Italia comunità che continuano a utilizzare parlate locali come lingue
materne e di relazione (sono comunità etniche alloglotte rispetto all'italiano), e altre
(minoranze nazionali) cui è stato riconosciuto il diritto di conservare la loro lingua
nazionale (tedesco, sloveno) anche come lingua ufficiale (limitatamente al loro
territorio e a certi momenti) e come lingua scolastica. Alcune espressioni linguistiche che nascono sotto lo stimolo di necessità di uso,
inizialmente semplificate al massimo possono un poco alla volta assumere una
più elevata dignità espressiva col consolidarsi delle attività che le hanno fatte
nascere e del gruppo umano che le ha utilizzate. Abbiamo già brevemente visto il caso delle lingue franche, formatesi in un preciso
contesto geografico. La costa asiatica del Mediterraneo orientale era un'area in cui
confluivano le merci e si incontravano i mercanti provenienti dai grandi spazi asiatici
con quelli delle città marinare europee. Ne nacque un linguaggio particolare che, nel momento in cui nel Levante l'attività
mercantile assunse una dimensione così ampia da improntare tutta la cultura e i
modelli di vita della popolazione della regione, divenne presto lingua di relazione
anche per chi non praticava il commercio. Ma quando le grandi vie commerciali presero altre direzioni e il Levante non fu più
la zona degli scambi fra Europa e Asia, anche la lingua franca cominciò a
decadere e a perdere la sua importanza.
Una lingua franca che col tempo ha cambiato valore è il kiswahili, nato attorno al x
secolo come lingua di contatto commerciale fra le popolazioni bantu della costa
africana dell'Oceano Indiano e gli arabi che giungevano in questi porti per i traffici
commerciali. Facilmente assimilabile dalle popolazioni bantu, si diffuse rapidamente verso il cuore
dell'Africa, divenne presto lingua di comunicazione fra tutte le svariate popolazioni
bantu di questa parte dell'Africa.
Quando il Tanganica e Zanzibar divennero indipendenti si fusero nella Tanzania
(nel 1964) al kiswahili venne affidato il compito di fungere da lingua nazionale, in
modo da unificare tutte le popolazioni del nuovo Stato attorno a una forma
espressiva comune senza ricorrere alle lingue coloniali europee. .
Diventato lingua nazionale di un paese il kiswahilí si è arricchito continuamente,
fino a diventare oggi, spinto anche da una vivace dinamica demografica, una delle
lingue più utilizzate in tutto il continente africano. Se le lingue franche hanno grande interesse per il geografo perché sono il risultato
di situazioni socio-territoriali ben definite, e anzi sono, almeno nell'origine, finalizzate
a consolidare queste situazioni, le lingue creole presentano un interesse di uguale
rilievo, perché sono nate nell'ambito di spazi modellati da particolari tipi di
colonizzazione.
Le lingue creole sono quelle forme di espressione sorte in seguito alla tratta degli
schiavi attraverso un processo di formazione molto lungo e complesso.
Gli schiavi africani trasportati nelle piantagioni delle Antille e in altri territori coloniali
provenivano da differenti gruppi linguistici, ma una volta giunti nelel americhe i
dovevano trovare un modo per comprendersi fra loro e per comunicare coi loro
padroni. Elaborarono così un linguaggio comune, semplificando al massimo le loro parlate
africane originarie e adottando forme e parole dalla lingua dei padroni (inglese,
francese, spagnolo, portoghese). Quando gli schiavi cominciarono ad elaborare una loro nuova e comune cultura,
anche in forme elementari, la loro lingua cominciò ad avere una maggiore
consistenza espressiva e a codificarsi in forme durevoli, diventando così quelle
espressioni linguistiche come (sabir, pidgin) definite creole. Quando la schiavitù terminò le Lingue creole avevano ormai assunto una notevole
ricchezza espressiva e, in qualche caso, anche una dignità letteraria, per cui, al
momento dell'indipendenza dai paesi colonizzatori, esse assicurarono una
coesione culturale a questi nuovi microstati
Anche se poche di esse sono diventate lingua ufficiale (come il creolo-francese
della Repubblica delle Seicelle) tuttavia la loro importanza nella vita di relazione,
politica e culturale all'interno degli Stati indipendenti è molto elevata, anche perché
gran parte delle manifestazioni espressive di queste popolazioni sono solamente
orali in quanto l'analfabetismo è molto diffuso, e la lingua scritta (l'inglese o il
francese) non ha per ora possibilità di imporsi sulla lingua creola nella gestione
delle normali relazioni interpersonali. Bilinguismi e multilinguismi
le lingue assolvano a necessità diverse, per cui una persona può sentire il bisogno
di ricorrere a più lingue per esprimersi a seconda delle differenti esigenze di
comunicare. Ma spesso occorre modificare il codice linguistico, perché la nostra
vita di relazione ci mette in contatto con persone di lingue differenti dalla nostra. I casi di bilinguismo o di multilinguismo sono innumerevoli, perché solo pochi
gruppi linguistici sono così chiusi in se stessi da non aver alcun contatto con
comunità di lingua diversa, o così forti e compatti da non avere necessità di mutare
la propria parlata in alcun momento della propria attività. Un tempo si tendeva a considerare il bilinguismo in modo negativo in quanto, se la
lingua rappresenta un momento di aggregazione di una comunità durante la sua
azione di trasformazione del territorio in cui vive, esso era visto come il risultato di
una imperfezione o di una perfezione ancora non raggiunta in almeno uno di questi
due momenti.
Il bilinguismo più comune nasce dal fatto che popolazioni diverse sono insediare
sullo stesso territorio e si trovano in continuo rapporto di lavoro e scambio.
E la presenza di due lingue differenti sullo stesso territorio può far pensare a due
modelli organizzativi in competizione e dunque all'esistenza di una conflittualità di
una popolazione con l'altra, ciascuna con le sue tradizioni, le sue esigenze sociali e
spirituali, la sua cultura di base e i suoi motivi di aggregazione e, soprattutto, con
differenti posizioni circa il rapporto col territorio.
Se infatti ogni gruppo etnico sente come elemento esistenziale fondamentale il
controllo esclusivo o dominante del proprio territorio, il bilinguismo può indicare una
sofferenza almeno in merito al rapporto gruppo etnico-territorio, in quanto a ogni
lingua corrisponde una particolare visione del mondo.
Tuttavia oggi si pensa che al plurilinguismo corrisponda una positiva situazione di
pluriculturalismo, da valorizzare specie in campo educativo, e che l'utilizzo abituale
di diverse lingue non sia cosa da combattere, ma anzi da coltivare come modo di
essere normale delle società moderne (Fishman, 1979). È però difficile pensare che le due, o più, lingue utilizzate su uno stesso territorio
possano rimanere a lungo in una posizione di perfetto equilibrio.
La dinamica linguistica segue certamente le tendenze della dinamica sociale, per
cui quello dei due gruppi linguistici che possiede una maggiore forza creativa e una
più forte capacità di incisione sull'insieme sociale riesce a imporre in tempi più o
meno lunghi anche la propria lingua. A volte il sovrapporsi di un gruppo più forte su un territorio già abitato da una
popolazione male organizzata e con scarse capacità culturali non produce
immediatamente l'avvicinarsi progressivo dei più deboli alla lingua dei più forti.
Normalmente l'acculturazione del più debole verso il più forte tende a fare del
bilinguismo un fatto transitorio, o almeno in continua evoluzione, perché i rapporti di
forza fra i due sistemi economici, sociali e culturali possono variare nel tempo. Le grandi trasformazioni economiche provocate in Europa dalla Rivoluzione
industriale hanno creato numerosi casi di nuovi bilinguismi in un continente che,
fino a quando rimaneva bloccato nell'economia contadina, aveva scarse possibilità
di mettere a contatto o di sovrapporre culture differenti.
La nascita dei distretti minerari e industriali in aree che prima dell'avvento
dell'industria erano esclusivamente rurali ha intaccato la stabilità della società
contadina facendo affluire nelle aree in evoluzione nuovi gruppi sociali, che per la
loro capacità finanziaria e imprenditoriale hanno potuto facilmente dare una nuova
organizzazione dello spazio
indebolendo la cultura
dell'ambiente rurale
trasformando í contadini in operai. Quando la sovrapposizione sociale è rimasta limitata al territorio urbano,
solamente la popolazione delle città è diventata bilingue col risultato di avere un
territorio rurale che parla la lingua etnica, ma conosce, almeno entro certi limiti, la
lingua urbana, e una città che parla la lingua urbana e conosce la lingua dei
contadini.
I censimenti linguistici Si è già visto che la lingua è un elemento essenziale (almeno nella fase iniziale di
formazione) di una comunità etnica. Tuttavia la lingua assume un rilievo importante
nella nascita di una nazione.
Il problema della lingua nazionale è diventato un fatto politico di notevole
importanza. La politica nazionalistica perseguita da quasi tutti gli Stati europei ha finito col
diventare una oppressione più o meno marcata sia delle minoranze nazionali che
delle comunità etniche alloglotte all'interno dei singoli Stati e ha fatto nascere di
conseguenza una lunga serie di contestazioni sull'esistenza o meno di questi
gruppi alloglotti.
Lo strumento che è stato adottato per valutare la presenza e la consistenza di
questi gruppi è stato, di norma, il censimento della popolazione, adattato con
particolari accorgimenti per registrare non solo i dati demografici e sociali che si
hanno solitamente coi censimenti, ma anche certe particolari caratteristiche
culturali della popolazione, in modo da avere degli indicatori da utilizzare per
valutare la quantità e la qualità degli alloglotti. E, abbastanza evidente che i dati demografici (quantità della popolazione residente
o presente, sesso, classi d'età ecc.) e in gran parte anche quelli sociali (tipo di
abitazione, settore di occupazione, qualifica ecc.) hanno grande importanza pratica
per la pianificazione economica, ma hanno quasi sempre scarso contenuto politico,
e pertanto solo raramente si ha interesse a manipolarli. Ma i censimenti etnico-linguistici hanno, quasi sempre (pochi sono gli Stati che
possono permettersi l'indifferenza politica nei riguardi di questi problemi), un
contenuto politico molto forte, in quanto vengono effettuati in appoggio o contro
precise rivendicazioni nazionalistiche o di tutela etnica.
Poiché il censimento deve misurare la consistenza della comunità alloglotta
mediante domande, le cui risposte diventano indici di questa consistenza, è facile
intervenire sulle domande in modo da avere risposte più adatte al risultato che si
vuole ottenere, e per questo motivo i censimenti etnici hanno sempre presentato
un delicato problema politico e hanno suscitato e suscitano tutt'ora polemiche
assai dure.
Attraverso la loro manipolazione infatti si possono ottenere dati di comodo, utili per
dimostrare l'irrilevanza di una comunità etnica o addirittura la sua inesistenza,
oppure, inversamente, è possibile esaltare il numero degli appartenenti alla
comunità e farla apparire più ampia e vitale di quanto effettivamente essa sia.
Se infatti si vuole misurare la presenza di alloglotti di un certo territorio, le
domande che si possono porre sono molte. Si può infatti chiedere «che lingua parli?», ma anche «che lingua sai parlare?»,
oppure «che lingua sei in grado di parlare?», oppure «sei in grado di comprendere
quella lingua?», e a seconda della domanda posta si ottengono risultati diversi.
Per comprendere meglio queste differenti politiche censuarie è bene analizzare
alcuni dei più noti censimenti linguistici europei. In Italia i censimenti demografici che si sono interessati dei dati linguistici sono
solamente quattro (1861, 1901, 1911, 1921), più quelli postbellici, a partire dal
1961.
Ma solamente nel primo censimento dello Stato unitario, nel 1861, venne posta a
tutta la popolazione del Regno la domanda sulla "lingua parlata". Nello Stato appena nato ( la lingua italiana era certamente allora una delle meno
utilizzate). La difficoltà di rilevare in modo scientifico tutte le varie parlate locali,
l'impreparazione dei rilevatoti, la scarsa dimestichezza della maggioranza dei
cittadini italiani con i censimenti e l'ambiguità delle domande resero i risultati di
questa operazione poco affidabili. Nel 1901 e successivamente anche nel 1911, la rilevazione venne fatta solo per
quei Comuni nei quali risultava già la presenza di gruppi parlanti una lingua
straniera (e cioè: francese, tedesco, una lingua slava, greco, albanese e catalano)
e anche in questo caso l'accertamento dell'uso di questa lingua veniva fatto
direttamente dal rilevatore in base alla sua osservazione. Nel 1921, la tecnica di rilevamento venne ancora cambiata. La rilevazione
linguistica venne fatta nei Comuni dove vivevano notoriamente famiglie alloglotte
e il quesito riguardava la lingua d'uso del capofamiglia, estendendo poi
automaticamente questa lingua a tutti i componenti del gruppo familiare. . Dopo questo censimento il fascismo, che impedì ogni rivelazione a carattere
linguistico solo 1961 il censimento si preoccupò ancora degli alloglotti, ma
esclusivamente nei territori delle province di Bolzano e di Trieste.
Nella Confederazione elvetica
attualmente si richiede la lingua anche alla
popolazione presente, in modo da avere un quadro culturale relativo a tutti i
lavoratori stranieri: le lingue previste sono le quattro nazionali (tedesco, francese,
italiano e ladino) e un numero molto elevato di altre lingue anche non europee, in
modo da tener conto anche degli immigrati africani e asiatici. IL censimento elvetico non ha mai creato problemi all'interno del paese, in quanto il
suo risultato non può spostare i rapporti di forza all'interno dello Stato, poiché la
Costituzione federale ha affidato il potere ai cantoni, che lo esercitano
indipendentemente dalla distribuzione dei gruppi linguistici al loro interno. Al contrario in Belgio, dove il problema linguistico tra fiamminghi e
rischiato molte volte di spaccare il paese.
valloni ha
l Belgio dal 1950 ha rinunciato a compiere indagini ufficiali sulla consistenza dei
due gruppi linguistici rivali e ha adottato un regime di bilinguismo indipendente
dalla consistenza numerica dei due gruppi. Nel Regno Unito, dopo l’introduzione delle leggi a tutela delle lingue celtiche in
Scozia e Galles, il censimento è fatto ponendo la domanda «sei in grado di parlare
gallese o scozzese?» in modo da censire come appartenenti a questi due gruppi
linguistici anche coloro che queste lingue non le usano più ma che in qualche modo
e in qualche misura le conoscono, dando così una maggiore importanza al dato
etnico.
Anche nel censimento irlandese si cerca di aumentare al massimo il numero dei
parlanti gaelico, chiedendo «sei capace di parlare gaelico?», il che evidentemente
non è la stessa cosa che chiedere a uno se effettivamente parla quella lingua. La rappresentazione cartografica
delle
aree
linguistiche
I censimenti linguistici forniscono le informazioni necessarie per comprendere la
consistenza numerica e la distribuzione territoriale di coloro che utilizzano una
determinata espressione linguistica e dovrebbero quindi essere la materia prima
per costruire carte geografiche tematiche in grado di rappresentare graficamente la
distribuzione territoriale dei fenomeni linguistici.
I risultati della cartografia linguistica sono ancora deludenti, innanzitutto i rischi di
una manipolazione ideologica del risultato cartografico sono maggiori di quelli che
affliggono le rilevazioni censuarie, in quanto una carta geografica linguistica ha una
forza politica molto maggiore del risultato di un censimento, e pertanto è più
soggetta a essere manipolata ad arte.
In secondo luogo è obiettivamente difficile, quasi impossibile, rappresentare
graficamente un fenomeno che nello spazio è così incerto e indefinito quale
un'area linguistica. I problemi che si devono affrontare per costruire una carta geografica che mostri la
distribuzione territoriale di una o più lingue sono molti. Il primo è quello di stabilire cosa si vuole rappresentare. Infatti quando si dice, per
esempio, "lingua italiana", si compie un'astrazione che non persuade tutti, la lingua
italiana è molto ricca di varietà locali, alcune delle quali possono essere definite
come dialetti. Il secondo problema è quello della scala. È ben difficile che si possano ottenere
risultati utili con scale di scarso dettaglio, perché in questo caso si perderebbero un
gran numero di situazioni linguistiche che, essendo frammentate e disperse sul
territorio, non raggiungono mai singolarmente un'estensione significativa alla scala
prescelta.
E questo è un caso abbastanza frequente, in quanto molto spesso le comunità
etniche sono sparse in tante piccole isole linguistiche, che rappresentano — per le
loro caratteristiche geografiche — gli ultimi rifugi delle popolazioni che ancora
mantengono viva una cultura minore: solo adottando una scala adatta si può
rappresentare l'insieme di tutte queste piccole comunità e dare un'idea visiva
dell'estensione dell'area complessivamente interessata da questa cultura e delle
condizioni di dispersione in cui essa si trova, mentre, al contrario, adottando una
scala di scarso dettaglio, si può far scomparire del tutto dalla carta questa
situazione minoritaria. Il terzo problema è quello dei dati da utilizzare per rappresentare il fenomeno
linguistico. Si è già visto come i censimenti linguistici sono pochi, fatti con criteri
dissimili e che sono quasi sempre poco attendibili.
Il problema è che gran parte delle carte linguistiche oggi in circolazione sono
basate su dati stimati o rilevati con criteri non ufficiali, o semplicemente ipotizzati: in
questi casi esse portano in sé sempre il particolare punto di vista e la visione
ideologica di chi le ha elaborate. Il quarto problema è quello del momento che si vuole raffigurare. I fenomeni
linguistici, come tutti i fatti umani, mutano più o meno rapidamente con l'evolversi
delle vicende che interessano l'uomo.
Disegnare una carta linguistica significa evidenziare la situazione di un determinato
momento storico che non tutti sono disposti ad accettare: molto spesso le carte
geografiche che mostrano la situazione territoriale di comunità etniche e di
minoranze nazionali in fase di contrazione non sono accettate da parte dei
rappresentanti di questi gruppi, proprio perché esse mostrano non tanto la
situazione ideale della comunità, ma piuttosto quello che si ritiene essere il risultato
di un periodo di oppressione. E mentre le carte fisiche o quelle politiche sono fatte per rappresentare situazioni e
fenomeni immobili almeno nel breve periodo, le carte tematiche che vogliono
mostrare i fenomeni sociali (fra cui la cultura e la lingua) hanno anche il problema di
raffigurare nel modo più attendibile un istante in continua evoluzione. Un'altra seria difficoltà è quella dei confini delle aree linguistiche: rappresentarli con
una linea può essere una tentazione pericolosa, perché è ben difficile che sul
territorio si possa trovare una netta separazione lineare (come per un confine
amministrativo) fra due aree linguistiche, che invece si uniscono quasi sempre con
una fascia di sovrapposizione in cui una delle due prevale lentamente sull'altra. Una carta linguistica attendibile è così un'aspirazione che solo raramente viene
realizzata in modo soddisfacente; molto spesso rimane un prodotto anche molto
bello dal punto di vista estetico, ma utile solamente a suscitare polemiche,
recriminazioni e rivendicazioni. Anche l'uso dell'informatica, che è oggi di grande praticità nella elaborazione delle
carte tematiche, non sembra essere di grande giovamento in questo particolare
caso.