“Verrò a farvi visita” Annuncio della Visita Pastorale del Vescovo alla
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“Verrò a farvi visita” Annuncio della Visita Pastorale del Vescovo alla
“Verrò a farvi visita” Annuncio della Visita Pastorale del Vescovo alla diocesi Carissimi, come già sapete verrò a farvi visita presto. L’apostolo Paolo diceva a Barnaba, suo compagno di fatiche apostoliche: “Torniamo a visitare i fratelli in tutte le città dove abbiamo annunziato la parola del Signore, per vedere come stanno” (Atti 15,36). Anch’io faccio come Paolo e Barnaba e vengo a trovarvi nelle vostre parrocchie e centri pastorali per vedere “come state” quanto a vita cristiana, quali sono i vostri bisogni spirituali più urgenti, quali le iniziative per farvi fronte. 1. Cos’è, cosa non è una Visita Pastorale Non sono un ispettore che viene a controllare e a dare ordini, ma un padre che vuole far crescere nella fede la sua famiglia, in obbedienza al desiderio di Gesù, che è il vero ed unico nostro “buon pastore”. Il codice di diritto canonico obbliga coloro che hanno responsabilità di governo a far visita frequente alle proprie comunità: così deve fare il parroco con le famiglie, il superiore religioso con i conventi, il vicario zonale con le parrocchie; e così fa il vescovo con i sacerdoti, le associazioni dei fedeli, le istituzioni ecclesiastiche, le comunità parrocchiali della diocesi affidata alle sue cure (can. 396). Non si tratta di formalità burocratiche, ma di iniziative pastorali da attivare ogni quinquennio con grande diligenza e amore sia per i parroci, che portano avanti il lavoro tra tante difficoltà, sia per le comunità, che oggi faticano non poco per rimanere fedeli al Vangelo e alla Chiesa. È una Visita che va preparata diligentemente con incontri anche al di fuori della comunità cristiana per una migliore conoscenza dell’ambiente e delle condizioni di vita nella “città”. In questo particolare momento della storia, poi, in cui avviene un passaggio di millennio con grandi svolte culturali e sociali, urge una sorta di “ricominciamento” della Chiesa, con un nuovo annuncio del Vangelo ai tanti che – pur se battezzati – non lo conoscono, e non riescono quindi a credere e tanto meno ad agire da credenti. Una evangelizzazione nuova per fervore dei “missionari” (e tutta la comunità è invitata a riscoprire la sua innata missionarietà, legata alla propria identità cristiana), per nuove metodologie di avvicinamento e di annuncio, per un nuovo linguaggio più aderente alla vita. Una evangelizzazione che deve ripartire dalla Parola di Dio studiata, meditata, compresa, accolta con rispetto ed amore, e che deve interessare in maniera particolarissima le famiglie e i giovani, due ambienti e due situazioni oggi a rischio, aggrediti come sono da tanti fattori di disgregazione. Una evangelizzazione che deve promuovere i laici, uomini e donne, perché imparino ad amare e a servire la Chiesa, assumendo le proprie responsabilità: è meglio che tutti facciano un poco per ciascuno, anziché pochi facciano tutto! È un compito immane, – lo so –, ma a guidare la Chiesa è lo Spirito Santo di Dio che ne garantisce l’indefettibilità e il permanente rinnovamento. Posso anzi dire che, nonostante gli sconquassi del presente, il nostro è un tempo meraviglioso, ricco di promesse e di possibilità, ed insieme profondamente bisognoso di Dio. Coraggio, dunque, sorelle e fratelli carissimi, e aprite il cuore alla gioia dell’incontro. Sarò ben lieto di chiedere la vostra collaborazione per questo “rilancio” della fede cristiana, puntando sulla vostra corresponsabilità di chiesa. Nessuno dica: “Ma io che c’entro? È faccenda di preti: se la sbrighino loro!”. Non è vero: la fede è faccenda di tutti, è un dono il cui possesso è tanto più garantito quanto più è condiviso con altri. Siamo tutti testimoni della fatica del Papa, il grande evangelizzatore dei nostri tempi, per far arrivare il Vangelo di Cristo ad ogni uomo che pensi e che soffra. A questo scopo s’è fatto itinerante di nazione in nazione, ovunque sia stato invitato, pur con tanta sofferenza addosso e tra non poche contraddizioni, al fine di annunciare Cristo e di mostrarlo al vivo con la propria vita. 2. Una tappa di un cammino fatto insieme Come ho avuto modo di dire fin dall’inizio del mio episcopato cinque anni fa, dopo la stagione Come ho avuto modo di dire fin dall’inizio del mio episcopato cinque anni fa, dopo la stagione preparatoria fatta di revisione organizzativa del tessuto diocesano (dai vicariati alle zone, dalle parrocchie alle unità pastorali, dallo spontaneismo del servizio alla ministerialità laicale…); di celebrazione del IV Congresso Eucaristico diocesano con il rilancio della Messa della domenica come giorno del Signore; di partecipazione corale al Grande Giubileo attraverso la rete dei pellegrinaggi ai dodici santuari mariani locali, ripristinando la sempre utile pietà popolare; passiamo ora al tempo della Visita Pastorale per favorire ancor più il senso di appartenenza alla Chiesa diocesana e ricomporre il tessuto della vita comunitaria sia nelle parrocchie che nella diocesi. Per sviluppare con la dovuta serietà tale Visita occorreranno dai tre ai quattro anni di tempo, nei quali proveremo a meglio focalizzare il tema decisivo della evangelizzazione nuova nelle famiglie e con i giovani. Solo al termine di questo percorso sarà possibile arrivare a quella riflessione corale sul cammino pastorale che va sotto il nome di Sinodo. Delineare un percorso, però, può essere relativamente facile; difficile è compierlo insieme. È necessario infatti, in tempi di comportamenti solitari, riscoprire la forza e l’efficacia dell’insieme : una parola, questa, che è tutto un programma, in quanto allude contemporaneamente alla somiglianza (semel - similis) e alla simultaneità (simul), fuse talmente da formare unità nella pluralità. Sul piano della fede, questa unità nella pluralità è il risultato dell’amore divino; e tale è e dev’essere anche la Chiesa di Cristo, costruita sul modello dell’amore trinitario. Essa esiste, infatti, per riaffermare la signoria di Dio su tutti gli uomini e per fare d’una moltitudine dispersa di genti un popolo solo, unificato e salvato dall’amore (LG 1). Qualcuno dirà che questa è un’utopia; noi vogliamo dimostrare invece che è già realtà, per la forza di quello Spirito che insegna giorno dopo giorno alla Chiesa, – e ai popoli tramite la Chiesa, – le vie della giustizia e della solidarietà; della riconciliazione e del perdono. Tutta la storia – lo sappiamo – converge verso Dio; anche il tumulto delle nazioni, anche il sospiro dei poveri, anche la fatica di chi persegue giustizia e diritto. Guardando anzi ai tempi lunghi possiamo dire con certezza che l’umanità sta crescendo e la civiltà dell’amore la sta fermentando. Occorre allora prepararsi seriamente alla Visita Pastorale con opportune iniziative: con la visita dei catechisti alle famiglie, con l’ascolto della Parola di Dio nei gruppi familiari, con riflessioni sistematiche, ma soprattutto con la preghiera. Urge anche una verifica di ciò che si fa sulla linea della prima evangelizzazione e della catechesi ai diversi livelli, della vita liturgica in cui si celebra e si attua il mistero della salvezza, della carità vissuta come condivisione e aiuto ai più bisognosi. È parimenti necessario lo sviluppo della ministerialità che genera per la sua parte corresponsabilità ecclesiale, e lo sviluppo della comunione tra le varie realtà aggregative all’interno della parrocchia. La parrocchia deve essere sempre più una grande famiglia di fratelli e amici che vivono l’uno per l’altro, l’uno con l’altro. Se uno mi chiedesse: “Cosa interessa di più al Vescovo: una parrocchia bene organizzata ed efficiente, o una comunità che vive nella fraternità e nella concordia?”, direi che interessa di più la concordia, la ricerca dell’unità. Oggi la comunione tra persone, anche dentro la famiglia, s’è fatta dolorosa, faticosa, difficile: una ragione di più per ricercarla in ogni modo e con ogni mezzo. Per la crescita di questo spirito di comunione sono state istituite a suo tempo le unità pastorali, e cioè più centri o più parrocchie chiamate a lavorare insieme , con un unico parroco moderatore (o anche, se ci sarà, con un parroco solidale e, laddove è richiesto ed è possibile, un unico Consiglio pastorale parrocchiale); e questo criterio di responsabile collaborazione vale anche se le parrocchie sono grandi, dal momento che nello stesso territorio c’è oggi intensa mobilità e ci sono comuni interessi e bisogni. L’unità pastorale, insomma, è più un modo di lavorare che una struttura giuridica. Dico sempre, usando una metafora calcistica, che oggi bisogna lavorare “a zona” (unità pastorale) e non più “a uomo” (parrocchia). Si supereranno in tal modo le ristrettezze campanilistiche e si darà vita ad un tessuto comunitario più coeso e responsabile. C’è una pagina del libro degli Atti degli Apostoli che racconta com’era la comunità cristiana delle origini: “Ascoltavano con assiduità l’insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano alla Cena del Signore, pregavano insieme” (Atti 2,42). Così deve essere anche oggi una comunità cristiana. 3. Apriamo le vele al soffio dello Spirito Proprio in questi giorni un fanciullo simpaticissimo, David, mi ha dato il ricordino della sua prima comunione con su scritto a margine: “Se il Signore non costruisce la diocesi, invano si affatica il Vescovo!” (che terribili questi bambini!…). È vero, verissimo: se Dio non interviene abbondantemente con la forza del suo santo Spirito, non saranno né organizzazioni, né strutture rinnovate, né programmi, né convegni a far “nuova” la nostra Chiesa locale. Al primo posto perciò va messa, come ho detto, l’azione dello Spirito Santo, il quale – come il vento – soffia dove e come vuole (Gv 3,8). Ma sta a noi catturarne l’impeto con la fedeltà e la perseveranza, per farlo diventare forza motrice della nostra storia sia religiosa che civile e sociale. Ricordo la consegna che Giovanni Paolo II ci ha dato all’inizio del nuovo millennio: Tornate a parlare della santità, di questa “misura alta della vita cristiana ordinaria”, che passa attraverso il radicalismo del discorso della montagna: “Siate perfetti come il Padre vostro nei cieli” (Mt 5,48). Dovete porre, anzi, “la programmazione pastorale nel segno della santità”, che è per ogni cristiano una precisa esigenza battesimale, al punto che “per un battezzato è un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalista e di una religiosità superficiale” (NMI 31). Ecco: la Visita Pastorale vuol essere proprio questo “scossone” al nostro torpore routinario per riscoprire il gusto e la fierezza di essere cristiani oggi, innamorati di Gesù Cristo e capaci di testimoniare la consolazione che egli dà a coloro che credono alla sua parola. È tempo di scrollarci di dosso vecchie abitudini religiose impastate di pigrizia, per le quali esistono solo “pretese” (di riti religiosi, di sacramenti, di presenza d’un prete, di abitudini tra il magico e il folcloristico…), e non anche “fatiche” e impegno per il benessere della comunità, per la bellezza di santa madre Chiesa. Non chiedetevi, cari cristiani, cosa deve fare il prete, la parrocchia, il vescovo per voi; ma chiedetevi cosa voi potete e dovete fare per la Chiesa, per la vostra comunità! In una società e in una cultura di soli diritti soggettivi e di “pretese” che generano arroganza e presunzione, è tempo di tornare a parlare dei doveri e delle responsabilità, certamente faticosi ma necessari se si vuole una Chiesa più vera e una società più seria. In una stagione di perdurante emarginazione dei credenti nella palude dell’insignificanza è tempo di venire fuori dalle catacombe e di proporre apertamente, con una testimonianza serena e coerente, la bellezza e la forza della propria vita cristiana. E anche di intervenire con più coraggio e audacia nella costruzione della “città” terrena, affidata alla nostra responsabilità di uomini liberi e ragionevoli. Qualcuno mi dirà che pretendere tutto questo da una semplice Visita Pastorale è un po’ troppo. Può darsi. Però ogni occasione, e questa in particolare, è buona per ridestare le coscienze. E una piccola scintilla di santità in coloro che nascono nuovamente dallo Spirito può generare un incendio incontenibile. Non ha detto Giovanni Paolo II ai giovani della GMG: “Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo”? ***** Ci accompagni in questa missione la Vergine Maria “della Visitazione”, Lei che ogni giorno e in ogni momento è “in visita” dei suoi figli, Lei ai cui piccoli santuari abbiamo peregrinato nell’anno del grande giubileo. Ci consenta di “metterci anche noi in cammino per raggiungere in fretta la città” (Lc 1,39), dove la gente aspetta annunci di speranza e fatti di Vangelo. A Lei rivolgo la preghiera d’un grande vescovo mio amico, don Tonino Bello: “Santa Maria, madre tenera e forte, nostra compagna di viaggio sulle strade della vita, ogni volta che contempliamo le cose grandi che l’Onnipotente ha fatto in te, proviamo una così viva malinconia per le nostre lentezze, che sentiamo il bisogno di allungare il passo per camminarti vicino. Asseconda il nostro desiderio di prenderti per mano, e accelera el nostre cadenze di camminatori un po’ stanchi. Divenuti anche noi pellegrini della fede, non solo cercheremo il volto del Signore, ma, contemplandoti quale icona della sollecitudine umana verso coloro che si trovano nel bisogno, raggiungeremo in fretta la città recandole gli stessi frutti di gioia che tu portasti un giorno a Elisabetta lontana”. Vi benedico. Perugia, 31 maggio 2001 Festa della visitazione di Maria Il vostro vescovo + Giuseppe * In ogni domenica dei tre mesi precedenti la Visita Pastorale si proponga nella preghiera dei fedeli questa intenzione: “Perché Gesù, pastore grande della sua Chiesa, venga a noi attraverso il Vescovo e la sua Visita Pastorale per incoraggiarci nella via del rinnovamento, e con la forza del suo santo Spirito ci trasformi in una comunità più forte nella fede e più generosa nel servizio al prossimo, preghiamo”.