Sicurezza farmaci per l`osteoporosi in post

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Sicurezza farmaci per l`osteoporosi in post
REAZIONI AVVERSE E INTERAZIONI FARMACOLOGICHE NELLA
GESTIONE DI DONNE CON OSTEOPOROSI POST-MENOPAUSA
1. INTRODUZIONE
La gestione farmacologica della malattia, dovrebbe tener conto del rapporto tra gli
effetti benefici del trattamento e la probabilità di avere effetti avversi. Lo scopo di
questa rassegna è quello di esplorare il rischio di reazioni avverse al farmaco e le
interazioni farmaco-farmaco nei trattamenti per l'osteoporosi post-menopausa.
Sono state esaminate le prove di reazioni avverse, da documenti normativi, studi
randomizzati e controllati, indagini di farmacovigilanza e una serie di casi. I
bifosfonati sono associati a effetti gastrointestinali, dolore muscoloscheletrico,
così come, molto raramente, fibrillazione atriale, frattura atipica, ritardata
guarigione delle fratture, osteonecrosi della mandibola, reazioni di ipersensibilità
e tossicità renale.
Gli effetti cutanei e l’osteonecrosi della mandibola sono effetti preoccupanti
(entrambi molto rari), proprio perché non ci sono ancora dati di farmacovigilanza.
I modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni sono associati a vampate di
calore, crampi alle gambe e, molto raramente, tromboembolia venosa e ictus. Il
ranelato di stronzio è stato collegato a reazioni di ipersensibilità e tromboembolia
venosa (entrambi molto rari), mentre la teriparatide è stata associata a mal di testa,
nausea, vertigini e dolore agli arti. La veridicità delle conoscenze dipende dalla
frequenza delle reazioni, e la causalità non è sempre facile da stabilire per più
reazioni
avverse
rare.
Le
interazioni
farmaco-farmaco
sono
rare.
I trattamenti per l'osteoporosi sono generalmente sicuri e ben tollerati, anche se
sono associati a qualche rarissima reazione avversa grave. Mentre queste sono
causa di preoccupazione, il rischio deve essere valutato rispetto ai benefici del
trattamento stesso, cioè, la prevenzione delle fratture da osteoporosi.
La gestione dell'osteoporosi ha una priorità assoluta per la salute pubblica. La
malattia colpisce circa un terzo delle donne di età superiore ai 50 anni, con
un0rischio combinato di frqttura dell’anca, dell’avambbaccio, o vrattura
vertebrale di circa il 50%, al pari con il rischio associato alle malattie
cardiovascolari.
I costi della terapia in Europa sono stati stimati a € 31700000000 nel 2000 e si
prevede di raddoppiare da qui al 2050 a causa della crescita demografica della
popolazione. L’utilizzo di trattamenti sicuri è evidentemente essenziale per ridurre
quest’onere. Fortunatamente esiste una vasta gamma di trattamenti per
l’osteoporosi che riducono il rischio di fratture vertebrali dal 40 al 75% e, in
alcuni casi, non vertebrali per circa il 20% e delle fratture dell'anca fino al 40%.
Come per ogni malattia, la gestione farmacologica del paziente con osteoporosi
deve sempre considerare l'equilibrio tra il rischio di reazioni avverse e gli effetti
benefici in termini di riduzione del rischio. Per l'osteoporosi, il risultato delle
fratture non vertebrali è associato a un significativo aumento dei livelli di
morbilità e disabilità e, nel caso di fratture vertebrali e dell'anca, un aumento della
mortalità. La scelta del trattamento deve essere fatta per raggiungere la massima
riduzione del rischio di frattura con la presenza minima di reazioni avverse. Nel
complesso, i trattamenti per l’osteoporosi sono molto ben tollerati, anche se studi
di farmacovigilanza hanno evidenziato alcune gravi e rare reazioni avverse al
farmaco, che meritano ulteriori indagini. Il gruppo di lavoro dell’European
Society for Clinical, aspetti economici di osteoporosi e osteoartrite (ESCEO), si è
concentrato sullo studio delle reazioni avverse e delle interazioni farmacofarmaco nella gestione di donne con osteoporosi.
La reazione avversa al farmaco è definita come un’involontaria risposta nociva o
sgradevole a un medicinale. Conoscere le reazioni avverse è importante per
predire il rischio della terapia, determinare la modifica del dosaggio o la
sospensione del trattamento. In medicina generale, le reazioni avverse al farmaco
sono molto più comuni di quanto molti medici suppongono. In un’analisi
osservazionale prospettica di quasi 20.000 ricoveri in ospedale, il 6,5% dei
pazienti ha avuto una qualche forma di reazione avversa al farmaco, soprattutto a
causa di aspirina, diuretici, warfarin e farmaci anti-infiammatori. La fatalità
globale di tale analisi è stata di 0,15%. Nonostante questo, molte delle reazioni
sono prevenibili attraverso un'adeguata sorveglianza e l'educazione di medici e
pazienti. In questo studio sono state esaminate le reazioni avverse che si
manifestano con i trattamenti per l'osteoporosi seguenti: bifosfonati (alendronato,
risedronato, ibandronato e acido zoledronico), denosumab, modulatori selettivi dei
recettori per gli estrogeni (SERM, raloxifene e bazedoxifene), ranelato di stronzio,
teriparatide e PTH (ormone paratiroideo). L'interpretazione precisa del rischio di
reazioni avverse e interazioni farmaco-farmaco è difficile a causa della varietà di
fonti d’informazione che forniscono diversi livelli di evidenza.
L'individuazione di una reazione avversa dipende dalla frequenza relativa
dell'evento e dalla temporalità, dal meccanismo della tossicità indotta dal farmaco,
dal numero di pazienti esposti e dai metodi utilizzati per rilevare l'effetto. Ci sono
tre principali fonti d’informazione oltre ai documenti normativi: studi
randomizzati controllati (RCT), la fabmacovigilanza, e case report. Le prove da
RCT sono limitate alle più comuni reazioni avverse, a causa delle piccole
dimensioni della popolazione, al massimo, di poche migliaia di pazienti, così
come dei tempi di osservazione relativamente brevi.
D'altra parte, gli effetti collaterali rari potrebbero non essere rilevabili da studi
randomizzati e diventano evidunti solo in indagini di farmacovigilanza, che
possono riguardare centinaia di migliaia di pazienti nel corso di molti anni di
trattamento. Bisognerebbe costituire anche, una fonte d’informazione, per quanto
riguarda gli eventi avversi molto rari, sebbene non siano sempre facili da stabilire.
Da notare che, i trattamenti per l'osteoporosi, che sono stati in uso clinico più a
lungo, hanno una maggiore probabilità di avere riportato casi di reazioni avverse
rare, rispetto ai trattamenti più recenti.
2. REAZIONI AVVERSE AI BIFOSFONATI
I bifosfonati sono derivati stabili del pirofosfato inorganico e potenti farmaci antiriassorbimento osseo. Essi sono ampiamente prescritti e molto efficaci per limitare
la perdita ossea nell’osteoporosi. I bifosfonati aumentano la densità ossea poiché
vanno a inibire l’azione degli osteoclasti, bersaglio principale di questa classe di
farmaci. Il meccanismo d’azione è fortemente influenzato dalla presenza o meno
dell’atomo di azoto. I bifosfonati privi dell’azoto, vengono metabolizzati
all’interno delle cellule e trasformati in un composto analogo dell’ATP, ma non
idrolizzabile. Questo composto, sostituendosi all’ATP, blocca il metabolismo
energetico della cellula. A causa di questi processi, l’osteoclasto va incontro ad
esaurimento energetico e quindi apoptosi. Per quanto riguarda invece i bifosfonati
contenenti
azoto,
il
meccanismo
cambia.
Questi
bloccano
l’enzima
farnesilpirofosfato sintasi, che agisce nella via metabolica dell’acido mevalonico,
determinando il blocco della sintesi di alcuni metaboliti essenziali per consentire
le modifiche post-traduzionali delle piccole proteine G (come il proto-oncogene
H-Ras e il regolatore citoscheletrico Rho A.). Tutto questo interferisce con la
trasmissione dei segnali cellulari, richiesti per la proliferazione, portando
alterazioni morfologiche fino alla morte per apoptosi.
Ci sono stati una serie di recenti commenti sulla sicurezza e la tollerabilità dei
bifosfonati nell'osteoporosi, nonché in oncologia, dove in dosi maggiori sono
applicate, al fianco degli agenti antitumorali, per prevenire complicanze
scheletriche e alleviare il dolore osseo. Tutti i bifosfonati discussi di seguito, si
sono dimostrati efficaci in studi di fase III. Le sperimentazioni di fase III, per
l'alendronato, sono state eseguite a metà degli anni 90 dal Fracture Intervention
Trial (FIT), che ha dimostrato efficacia contro fratture vertebrali e non vertebrali.
L'alendronato è stato il primo bisfosfonato orale e ha 15 anni di dati di
sorveglianza post-approvazione. Efficacia analoga nel prevenire le fratture
vertebrali è stata riscontrata nel risedronato per via orale. Risedronato è stato
lanciato alla fine degli anni 90, e ora ci sono 10 anni di sorveglianza postapprovazione per quest’agente. Ibandronato ha dimostrato efficacia contro fratture
vertebrali, ma studi clinici non hanno dimostrato efficacia per quanto riguarda le
fratture non vertebrali e la riduzione del rischio di frattura dell'anca. Ibandronato
viene prescritto, sia come formulazione orale mensile (5 anni di sorveglianza postapprovazione), che come formulazione per via endovenosa (IV), (4 anni di
sorveglianza post-approvazione). Tra i bifosfonati, per i quali vi sono prove certe
di azione sulla prevenzione di entrambe le fratture, vertebrali e non vertebrali, tra
cui quelle dell'anca, il più recente disponibile è l’acido zoledronico. L'acido
zoledronico è stato prescritto come formulazione da somministrare una volta
all'anno a partire dal 2007, e ci sono 3 anni di sorveglianza post-approvazione.
2.1. Effetti gastrointestinali
Nelle loro formulazioni orali, i bifosfonati possono irritare la mucosa del tratto
gastrointestinale superiore, poiché essa è esposta a concentrazioni elevate topo
l’assunzione. La corretda osservanza delle istruzioni per la somministrazione può
ridurre la frequenxa degli effetti GI. Queste includono, la deglutizione del farmaco
con un grande bicchiere d'acqua e rimanendo in posizione verticale, per almeno
30 minuti dopo l'assunzione (60 min per ibandronato).
Le reazioni avverce a carico dei tratti GI superiori sono comuni con l'alendronato.
Risultano essere le più frequenti reazioni avverse da risedronato, durante il
monitoraggio del farmaco sulla popolazione, anche se la regolamentazione delle
autorità non cita un aumento della frequenza di reazioni a carico del tratto GI
superiore con risedronato e, le analisi di dati raggruppati di RCT, non hanno
trovato prove di un aumento del rischio rispetto al placebo.
Per quanto riguarda l'ibandronato, la tollerabilità GI è stata inizialmente pensata
essere critica per alti dosaggi, necessari per la somministrazione orale mensile
(150 mg), ma i ricercatori non hanno trovato differenze apparenti di reazioni
avverse gastrointestinali tra somministrazioni mensili e formulazioni quotidiane.
Le compresse di alendronato, risedronato, ibandronato, per la somministrazione
orale, contengono anche lattosio, che causa disturbi addominali in alcuni pazienti,
ma questo è raramente un problema grave. Due notizie contrastanti sono emerse,
riguardanti l’associazione tra l’uso a lungo termine per via orale dei bifosfonati
(fino a cinque anni) e l’incidenza del cancro esofageo, entrambe provenienti dal
Regno Unito General Practice Research Database (GPRD). Una di queste ha
riportato un tasso di 2/1,000 in 5 anni (contro un tasso di base di 1/1,000), mentre
l’altra non ha riportato un’associazione con il cancro gastrico rispetto ai non
utilizzatori. Un’altra analisi, condotta su 15.000 pazienti identificati in studi
randomizzati o in sondaggi post-approvazione, ha trovato tassi di cancro esofageo
simili a quelli normali presenti nella popolazione, con un’incidenza di 1/1,000.000
pazienti-anni di esposizione. La Food and Drug Administration (FDA)
raccomanda attualmente di evitare la somministrazione di bifosfonati per via orale
in pazienti con esofago di Barrett, un precursore del cancro esofageo, e ha chiesto
ulteriori ricerche sui possibili fattori di rischio.
2.2. Dolore muscolo scheletrico
Il dolore muscolo scheletrico, il dolore osseo cronico, i dolori articolari e i dolori
muscolari, sono stati associati all’assunzione di entrambi i bifosfonati, sia quelli
utilizzati per via orale che IV. Infatti, nel 2008 la FDA aveva già lanciato un
avvertimento a riguardo. La base patologica rimane poco chiara, ancora non si sa
per certo se ci può essere un legame con i livelli di (PHT) ormone paratiroideo
elevati. Il dolore muscoloscheletrico può verificarsi in qualsiasi momento durante
il corso del trattamento, anche se ci possono essere alcune sovrapposizioni con le
reazioni della fase acuta. Può essere difficile da gestire, soprattutto se grave.
L’arresto del trattamento può dare sollievo completo dei sintomi, anche se ci sono
casi di lenta o incompleta risoluzione.
2.3. Reazioni acute
Reazioni di fase acuta sono state riportate con l’alendronato, ibandronato, e acido
zoledronico e sono caratterizzate da febbre di basso grado, a volte con brividi, e
sintomi tipo influenzali, come fatica, malessere, mal di testa, mialgia, artralgia e
dolore alle ossa. Queste sono attribuite all’attivazione alterata e alla proliferazione
delle cellule T. L'esordio può avvenire entro 3 giorni dalla somministrazione del
farmaco. La reazione è transitoria e si risolve generalmente entro 3 giorni. Queste
reazioni avverse sono classificate come “rare”, ma sembrano essere più frequenti
con la somministrazione IV di bisfosfonati e sono molto rare dopo
somministrazione orale. Dopo somministrazione per via IV, la malattia similinfluenzale (33 sintomi) è stata riportata, con un’incidenza del 4,9%, con
Ibandronato IV, verso 1,1% per ibandronato orale. Questo tipo di reazione sembra
essere anche comune sia dopo la prima iniezione di Ibandronato che dopo
somministrazioni successive. Sintomi di fase acuta sono inoltre stati registrati,
dopo l'infusione di acido zoledronico (31,6% dopo la prima invusione verso 6,2%
nel gruppo placebo, meno dopo la seconda infusione). Le reazioni di fase acuta
possono essere trattate in modo sintomatico con paracetamolo o altri analgesici o
antipiretici. La probabilità di sperimentare quecta reazione può essere ridotta con
la somministrazione di analgesici per qualche giorno, dopo la somministrazione
dei bifosfonati.
2.4. Fibrillazione Atriale
La preoccupazione, per la possibilità che i bisfosfonati possano indurre
fibrillazione atriale, è stata incentivata dall'osservazione di un piccolo ma
significativo aumento, durante lo studio HORIZON, di questo tipo di eventi
avversi, durante l’utilizzo di acido zoledronico (50 eventi [1.3%] con acido
zoledronico contro 20 eventi [0.5%] con placebo). Risultati simili sono stati
riportati per l'alendronato, in un'analisi del FIT trial, in cui c'è stata una tendenza
verso la significatività per la fibrillazione atriale (47 eventi [1.5%] con
alendronato, contro 31 eventi [1.0%] con placebo). Possibili meccanismi,
coinvolti con la modifica della conduzione atriale da bifosfonati, comprendono
omeostasi intracellulare degli elettroliti ed effetti proinfiammatori, profibrotici e
antiangiogenici. Studi osservazionali non sono riusciti a rilevare un aumento di
fibrillazione atriale con tutti i bifosfonati. Non ci sono prove RCT che risedronato
possa essere associato a fibrillazione atriale, e la sorveglianza post-approvazione
indica un’incidenza di \1/1, 000.000 pazienti-anni con questo agente. Allo stesso
modo, non è stato dimostrato alcun aumento dei casi di fibrillazione atriale in una
qualsiasi delle prove con Ibandronato. Infine, una recente metanalisi ha concluso
che, anche se ci sono dati che collegano l'uso dei bifosfonati con la fibrillazione
atriale, la natura esatta del rischio non è ancora chiara a causa dell’eterogeneità
delle prove e la mancanza d’informazioni su alcuni degli agenti. Nel 2008, la FDA
ha concluso che nessun cambiamento nel trattamento deve essere apportato
rispetto alla fibrillazione atriale.
2.5. Frattura atipica sottotrocanteriche e ritardata guarigione delle fratture
La comparsa di fratture atipiche e sottotrocanteriche e la ritardata guarigione della
frattura con bifosfonati, sono state oggetto di una riunione del gruppo di lavoro
ESCEO e di una relazione di una Task Force dell’American Society for Bone.
Case
reports
hanno
attirato
l'attenzione
sull'associazione
tra
fratture
sottotrocanteriche ed esposizione a bifosfonati, forse in relazione alla
soppressione, a lungo termine, del turnover osseo. Ulteriori risultati di supporto,
per quanto riguarda il deterioramento del tessuto osseo e della qualità strutturale,
con l’uso a lungo termine di bisfosfonati, sono stati presentati al meeting annuale
dell’American Academy dei chirurghi ortopedici, nel marzo 2010. Non ci sono
prove RCT di un aumento del rischio di fratture sottotrocanteriche con uno
qualsiasi dei bifosfonati. Sono stati riportati casi di fratture atipiche o ritardata
guarigione dalle fratture con alendronato, anche se non risultano differenze
quantitative nella microarchitettura ossea. Vi sono anche prove di una serie di casi
con risedronato, per il quale, sondaggi post-approvazione indicano \1/100.000
pazienti-anno. Ci sono tre casi di fratture atipiche sottotrocanteriche con
Ibandronato, avvenute dopo 4 mesi-1 anno di trattamento con Ibandronato,
preceduto da 3-10 anni di trattamento con alendronato. Non è risultata una
ritardata guarigione della frattura nello studio HORIZON (3,2% con L'acido
zoledronico
vs
2,7%
con
il
placebo,
risultato
non
significativo).
L'evidenza di un legame tra l'aumento delle fratture atipiche sottotrocanteriche o
la ritardata guarigione della frattura e la terapia a lungo termine con bifosfonati, in
genere, viene da una serie di casi retrospettivi con un piccolo numero di pazienti
coinvolti. Ipotesi attuali includono una possibile associazione tra la riduzione del
turnover sseo indotta da bisfosfonati e altri vattori di rischio, come la giovane
età all’inizio della terapia e la concomitante terapia con corticosteroidi, inibitori
della pompa protonica o altri trattamenti anti-riassorbimento. Ulteryori studi, tra
studi controllati e randomizzati, metanalisi, e studi caso-c ntrollo, sono necessari
per determinabe il ruolo di altri fattori di rischio concomitanti.
3. REAZIONI AVVERSE DA DENOSUMAB
L'efficacia di Denosumab, nella prevenzione delle fratture in osteoporosi postmenopausale, è stata dimostrata verso il placebo, nel trial FREEDOM.
Denosumab è un anticorpo monoclonale, interamente umano, diretto contro il
ligando RANK e un potente inibitore del riassorbimento osseo mediato da
osteoclasti. Denosumab è stato approvato per uso clinico molto recentemente,
quindi le prove riguardanti la sicurezza e le reazioni avverse sono basate sugli
studi di fase III e documenti normativi. Non ci sono ancora dati di
farmacovigilanza. Non ci sono state differenze significative tra Denosumab e
placebo in termini d’incidenza totale di eventi avversi (secondo il trial HALT).
Dopo la messa in commercio, le reazioni avverse con un'incidenza del 2% o
maggiore, e una differenza significativa rispetto al placebo, sono state: eczema e
flatulenza. Gravi eventi avversi che si verificano con un’incidenza dello 0,1% o
maggiore e una differenza significativa rispetto al placebo, includono
commozione cerebrale.
3.1. Infezioni
I dati ottenuti da studi randomizzati, indicano una maggiore incidenza d’infezioni
gravi con Denosumab rispetto al placebo (4,4% vs 3,6%, rispettivamente),
comprese le infezioni della pelle, dell'orecchio, del tratto gastrointestinale e del
tratto urinario. Queste possono essere correlate a batteri o agenti patogeni non
specificati. Tutto ciò è biologicamente plausibile poiché RANKL è espresso su
linfociti T attivati e B, che, nei linfonodi, sono responsabili del riconoscimento
degli antigeni estranei. L'inibizione di RANKL, operata da denosumab, può
quindi giocare un qualche ruolo nell’arresto di questi processi, anche se sono
necessarie ulteriori ricerche. L'infezione del tratto urinario è classificata come
“comune” da parte della FDA. Gli effetti avversi cutanei osservati con denosumab
(eczemi), erano generalmente infezioni localizzate nelle estremità inferiori e
spesso si verificavano, nei pazienti con fattori di rischio come le ferite della pelle
e disturbi di stasi venosa. Il decorso clinico generalmente consisteva nel pieno
recupero senza ricadute.
3.2. Osteonecrosi della mandibola
Tenendo conto delle osservazioni con i bifosfonati, si può prevedere che un
potente
agente
anti-riassorbimento
come
denosumab,
potrebbe
anche
rappresentare un potenziale rischio per l'osteonecrosi della mandibola. Non ci
sono stati casi di osteonecrosi della mandibola negli studi di fase III, effettuati su
denosumab. Esiste un case report di osteonecrosi della mandibola, in un paziente
maschio che aveva ricevuto denosumab in concomitanza a cure oncologiche.
Inoltre, questo effetto è stato riscontrato in 34 soggetti che hanno ricevuto
denosumab durante una terapia per la malattia metastatica. Il tasso può essere
stimato in circa 2/100, ma il rischio reale è sconosciuto e, questo tipo di casi,
dovrebbero essere monitorati. Va notato che in questa prova comparativa il tasso
d’incidenza di osteonecrosi della mandibola è stato 1,4% nei pazienti trattati con
acido zoledronico.
3.3. Cancro
Alcuni RTC (trials clinici randomizzati e controllati) hanno dimostrato che, donne
osteoporotiche, trattate con denosumab, presentano tassi leggermente più elevati
di malignità (4,0% trattate con denosumab verso 3,3% con placebo), nei casi di
cancro del pancreas, del tratto gastbointestinale, dell’apparato riproduttivo e del
seno. L’aumento di malignità del tumore al seno è stato il più comune effetto
indesiderato (0,5% denosumab verso 0,3% placebo). I meccanismi alla base di
questi processi rimangono `oco chiari, soprattutto in assenza di un modello
animale appropriato, infatdi, per esempio, denosumab non è attivo nei roditori. Il
tasso può essere stimato come “evento molto raro”, anche se sono necessari
ulteriori controlli.
Un sondaggio post-marketing, che ha coinvolto più di 4.500 donne, è stato avviato
su donne in postmenopausa che ricevono l'agente per un massimo di 10 anni.
4. REAZIONI AVVERSE AI SERM
I SERM sono modulatori selettivi dei recettori per gli estrogeni. La caratteristica
che li distingue dagli agonisti e antagonisti puri dei recettori, è che, secondo i vari
tessuti dove agiscono, esplicano una differente attività, garantendo la possibilità di
fungere da agonista su alcune funzioni o tessuti, e da antagonista su altri. Un
SERM di seconda generazione è considerato il raloxifene, questo possiede la
peculiarità di agire da agonista solo a livello osseo e sul metabolismo del
colesterolo (combattendo l’osteoporosi), ma non ha attività su seno e utero,
pertanto non favorisce l'incidenza di tumori. Il tamoxifene è invece classificato
come SERM di prima generazione poiché manifesta un’azione agonista parziale a
livello dell’utero. L'efficacia del SERM raloxifene, nella prevenzione delle
fratture da osteoporosi, è stata ampiamente studiata nei risultati multipli del
Raloxifene Evaluation (MORE). I suoi effetti sul cancro al seno e altri risultati
sono stati esplorati nel trial STAR e nel trial RUTH. Il raloxifene è stato lanciato
nel 1990 e ha 13 anni di sorveglianza post-approvazione. Ci sono due nuovi
arrivati nella classe. Il SERM basedoxifene e il lasofoxifene che sono stati
registrati dall’EMA nel 2009, ma solo basedoxifene è attualmente disponibile per
l'uso clinico. L'efficacia di basedoxifene, nel prevenire fratture osteoporotiche in 3
anni, è stata indagata, rispetto al placebo, e sono stati studiati anche i profili di
sicurezza nei confronti del cancro all’endometrio, alle ovaie e al seno, grazie ad
un RTC effettuata in donne osteoporotiche post-menopausa, anche per più di 3
anni. Lasofoxifene è stato studiato per 5 anni, nella post-menopausa dal trial
PEARL (Valutazione e riduzione del rischio con lasofoxifene) che ha segnalato
l'efficacia caratterizzata dall'aumento della densità minerale ossea e dalla
riduzione delle fratture vertebrali.
4.1. Vampate di calore e crampi alle gambe
Le reazioni avverse più comuni dei SERM sono legate ai loro effetti vasomotori.
L'incidenza di caldo, vampate di calore e crampi alle gambe sono risultati
significativamente aumentati nelle prove con raloxifene rispetto al placebo.
I meccanismi alla base di questi fenomeni, si ritiene siano legati all'effetto della
concorrenza dei SERM sul recettore degli estrogeni in questione. In un'analisi
effettuata su circa 900 donne, che partecipavano agli studi di fase III, il rischio
relativo di vampate di calore è stato stimato come 1,32% in più rispetto al
placebo, senza alcun impatto evidente sul corso naturale delle vampate di caldo.
Per quanto riguarda la temporalità, un'analisi di 8 anni ha indicato che l'aumento
del rischio è stato maggiore nei primi 6 mesi dall'inizio della terapia con
raloxifene. Questi effetti sono classificati, per il raloxifene, come “molto comuni”,
per le vampate di calore e “comuni” per i crampi alle gambe, secondo le
indicazioni dell’EMA. Tassi simili di vampate di calore e crampi alle gambe sono
stati riportati per bazedoxifene e lasofoxifene.
4.2. Tromboembolismo Venoso
Come la terapia ormonale sostitutiva, il trattamento con SERM è associato a un
aumentato rischio di tromboembolia venosa, compresa la trombosi venosa
profonda e l’embolia polmonare. La frequenza di tromboembolia venosa è
aumentata durante gli studi di fase III effettuati con raloxifene, con un rischio
relativo di circa 1,7% rispetto al placebo. Alcuni casi hanno ottenuto qualche
controindicazione all’uso di raloxifene (ad esempio i casi d’immobilizzazione o
ipercoagulabilità). Questo tipo di reazioni vengono classificate dall’EMA come
reazioni avverse “non comuni” da raloxifene. Per quanto riguarda bazedoxifene e
lasofoxifene, esistono meno dati. È stata dimostrata una maggiore incidenza di
trombosi venosa profonda durante studi RTC con bazedoxifene (0,7% con 20
mg/die di bazedoxifene rispetto allo 0,3% del placebo). Lo studio PEARL ha
dimostrato che, il lasofoxifene raddoppia il rischio relativo del manifestarsi di
eventi tromboembolici, anche se il rischio assoluto rimane molto piccolo (2,9
eventi tromboembolici venosi per 1.000 pazienti-anno con 0,5 mg/die di
lasofoxifene rispetto a 1,4 eventi con placebo e 0,7 eventi per embolia polmonare
su 1.000 pazienti-anno verso 0,2 eventi con placebo). L’EMA classifica la
reazione avversa di trombosi venosa profonda come “non comune” sia per
lasofoxifene che per bazedoxifene.
4.3. Eventi cardiovascolari e ictus
Durante il trial RUTH si è manifestato un aumento del rischio d’ictus fatale con
raloxifene, anche se, l’analisi secondaria dello studio ha indicato che, il rischio
d’ictus varia in base allo stato di fumatore o non fumatore. L’analisi dell’insieme
dei dati a riguardo, ha dimostrato che, il raloxifene non ha alcun significativo
impatto positivo o negativo, sugli eventi cardiovascolari o cerebrovascolari.
Quest’osservazione è supportata anche dai risultati dello studio RUTH durante il
quale non vi è stata alcuna differenza significativa, tra le popolazioni in studio
(gruppo raloxifene e gruppo placebo), di morte per cause cardiovascolari. Inoltre,
studi su animali hanno dimostrato che, alte dosi di raloxifene, possono essere
associate con alcuni effetti neuroprotettivi. In un altro studio, dosi elevate di
raloxifene (120 mg/die), sono state associate a un miglioramento dei risultati dei
test cognitivi. Durante il trial PEARL, si è rilevato un moderatissimo aumento,
non significativo, d’ictus fatale da lasofoxifene. Per il bazedoxifene invece,
durante i 3 anni di studio di fase III, non vi è stata alcuna differenza rispetto al
placebo. L’EMA classifica l’incidenza di ictus come un evento “molto raro”.
4.4. Effetti ginecologici
Raloxifene e bazedoxifene non hanno alcun impatto sullo spessore endometriale.
Non vi era alcuna differenza significativa nell’incidenza di cancro uterino,
carcinoma dell’endometrio, iperplasia, carcinoma ovarico o sanguinamento postmenopausa tra raloxifene e placebo, secondo lo studio CORE. Si è manifestato un
aumento dell’incidenza di polipi, anche se, tutti questi erano benigni e non
associate al cancro dell’endometrio. Polipi uterini si sono manifestati anche con
lasofoxifene rispetto al placebo nello studio PEARL. Il tasso di questi eventi può
essere stimato come “molto raro”.
5. REAZIONI AVVERSE DA RANELATO DI STRONZIO
Il ranelato di stronzio è un agente attivo per via orale che diminuisce il
riassorbimento osseo e aumenta i marcatori di formazione ossea, con un risultato
netto di miglioramento della microarchitettura. L’efficacia del ranelato di stronzio
nella prevenzione di fratture vertebrali e non vertebrali, comprese le fratture
dell’anca (in un sottogruppo di pazienti a rischio di fratture dell’anca), è stata
dimostrata in donne osteoporotiche in post-menopausa durante lo studio SOTI (3
anni) e lo studio TROPOS (5 anni). Non ci sono stati problemi significativi di
sicurezza in nessuno di questi studi di fase III. Il ranelato di stronzio è in uso
clinico dal 2004 e ha 6 anni di sorveglianza post-approvazione.
5.1. Tromboembolismo venoso
Con il ranelato di stronzio non si è dimostrato nessun aumento di tromboembolia
venosa, nelle popolazioni SOTI e TROPOS. Tuttavia, quando le due popolazioni
prova, sono state messe in rapporto con l’incidenza annuale di tromboembolia
venosa, oltre i 5 anni, il risultato è stato dello 0,9% con il ranelato di stronzio
rispetto allo 0,6% del placebo. Sono necessari0quindi, ulteriori indagini, per
stabilire il rischio reale. Uno studio retrospettivo, ha identificato nella banca dati
GPRD, 11.546 donne con osteoporosi non trattate, 20.084 donne con osteoporosi
trattate con alendronato, 2.408 donne con osteoporosi trattate con ranelato di
stronzio e 115.009 donne senza osteoporosi. Il rischio di tromboembolismo
venoso
in
questo
campione,
basato
sulla
popolazione,
è
risultato
significativamente aumentato nelle pazienti con osteoporosi non trattata rispetto
alle pazienti senza osteoporosi. Non sono state dimostrate differenze invece,
riguardo ai tassi di tromboembolismo venoso, in pazienti osteoporotici trattati e
non trattati, a prescindere dal loro trattamento (ranelato di stronzio o alendronato).
Simili risultati sono stati ottenuti da altri due studi osservazionali, quindi, i dati
post-marketing risultano essere rassicuranti.
5.2. Reazioni di ipersensibilità
Il ranelato di stronzio è stato associato a rari casi di reazione di ipersensibilità da
farmaco, caratterizzata da eosinofilia e sintomi sistemici (trial DRESS).
L’incidenza di questa reazione avversa è estremamente bassa, stimata in 1/54,000
pazienti-anni di trattamento. Questo è stato discusso in una recente revisione del
gruppo di lavoro ESCEO. Il riconoscimento precoce e la corretta gestione del
fenomeno, fermando la somministrazione dell’agente, sono necessari per
migliorare la prognosi.
6. REAZIONI AVVERSE DA TERIPARATIDE O PTH (1-84)
La teriparatide, il frammento 1-34 N-terminale del PTH umano, presenta delle
proprietà ossee. È stato dimostrato essere in grado di ridurre efficacemente
fratture vertebrali e non vertebrali in donne affette da osteoporosi da più di 21
mesi, in post-menopausa. Il suo uso è limitato a 24 mesi di trattamento.
Teriparatide è in uso clinico dal 2002 e ha 8 anni di sorveglianza postapprovazione. PTH (1-84) è stato approvato per la prevenzione di fratture
vertebrali nel 2006.
6.1. Disturbi del sistema nervoso
Negli studi controllati con placebo e teriparatide o PHT (1-84), ci sono state un
numero minore di reazioni avverse, tra cui mal di testa, nausea e vertigini, che
sono state valutate come “comuni” e “molto comuni” da parte dell’EMA. La
teriparatide sembra anche essere associata a un aumento del dolore agli arti, che è
noto come “molto comune” da parte dell’EMA. In uno studio, nato col tentativo
di verificare l’efficacia della combinazione teriparatide e raloxifene in
osteoporosi, gli spasmi muscolari sono stati l’unica reazione avversa segnalata a
essere collegata al trattamento con teriparatide.
6.2. Osteosarcoma
Non ci sono stati casi di osteosarcoma negli RTC con teriparatide o con PTH (184), anche se pare che la teriparatide induca osteosarcoma negli animali da
esperimento. È stato segnalato un caso di osteosarcoma da teriparatide in una
donna post-menopausa, di 70 anni, con una complessa storia clinica. Questa
reazione avversa è stata classificata come “estremamente rara”. Tuttavia questo ha
portato a un avvertimento della FDA, compresa la dichiarazione che ai pazienti
che hanno metastasi scheletriche, morbo di Paget o epifisi aperte, non deve essere
prescritto teriparatide.
7. INTERAZIONI FARMACO-FARMACO NELL’ OSTEOPOROSI
Le interazioni farmaco-farmaco sono rare nella gestione dell’osteoporosi. La cosomministrazione di bifosfonati orali e di calcio o farmaci acido-soppressori o
anche altri farmaci per via orale, contenenti cationi bivalenti, è conosciuta per
interferire con l’assorbimento del bifisfonato. La supplementazione di calcio deve
pertanto essere effettuata in tempi distanti dall’assunzione dei bifosfonati. Un
apparente aumento del rischio di frattura è stato riportato in soggetti trattati con
farmaci acido soppressori (inibitori della pompa protonica), ma non con gli
antagonisti del recettore H2 dell’istamina. Quest’aumento del rischio si manifesta
nei pazienti in terapia con acido-soppressori in combinazione con bifosfonati
rispetto alla terapia con soli bifosfonati. Data la natura del rischio, questo
problema richiede ulteriori studi. Ino|tre sono controindicati, durante una terapia
con bifosfonati, agenti che irritano la mucosa gastrica (ad esempio farmaci
antinfiammatori non steroidei) a causa degli effetti GI dei bifosfonati. Non sembra
essere fonte di preoccupazione per le interazioni, l’ibandronato. I danni renali
dovuti a bifosfonati, potrebbero essere aggravati da farmaci antinfiammatori non
steroidei, antibiotici amminoglicosidici, terapie antiretrovirali o diuretici. Per
quanto riguarda l’acido zoledronico, la funzione renale deve essere monitorata e
devono essere usati con cautela i farmaci che agiscono sulle aritmie cardiache. Un
caso di aumento transitorio degli enzimi epatici con acido zoledronico e
ibuprofene, è stato registrato. Ancora non sono stati dimostrati e segnalati casi di
interazioni farmaco-farmaco con denosumab. Colestiramina e colestipolo possono
anche interferire con l’assorbimento e il riciclo enterepatico del raloxifene. La
levotiroxina può diminuire l’assorbimento del raloxifene. Ci sono poche
interazioni farmaco-farmaco che riguardano il ranelato di stronzio. Pare che le
interazioni che riguardino questo farmaco siano quelle con i chinoloni, le
tetracicline, alluminio e magnesio idrossidi. La somministrazione di ranelato di
stronzio deve essere distanziata dall’assunzione di calcio nella dieta, di almeno 2
ore.
C’è una possibile interazione tra teriparatide e altri trattamenti che
interessano il calcio sierico, anche se l’interazione non è stata rilevata per
digossina e i tiazidici.
8. CONCLUSIONI
In conclusione le reazioni avverse gravi e le gravi interazioni farmacologiche sono
molto rare nella gestione dell’osteoporosi post-menopausa. In questa rassegna
sono stati esaminati i trattamenti per l’osteoporosi più comunemente utilizzati in
Europa e i nuovi agenti utilizzati in questo campo. La causalità dell’evento
avverso è notoriamente difficile da attribuire per le reazioni avverse rare al
farmaco, come ad esempio l’osteonecrosi della mandibola e la frattura atipica
sottotrocanterica. La causalità non può essere stabilita in via definitiva se non vi è
un certo numero di presupposti: 1) una temporalità plausibile, in relazione alla
somministrazione; 2) un ragionevole meccanismo; 3) una frequenza che differisce
dal tasso di manifestazione base della popolazione; 4) prove di dechallenge e
rechallenge (anche se questa non è chiaramente un’opzione nel caso di eventi che
mettono in pericolo la vita). Un esempio di difficoltà di causalità in osteoporosi è
l’osteosarcoma da teriparatide che sembra avvenire con una velocità simile al
tasso di base della popolazione anziana. Le migliori prove di causalità dovrebbero
idealmente provenire da dati di RCT ma questo è praticamente impossibile per gli
eventi rari. Per esempio c’erano solo due segnalazioni di osteonecrosi della
mandibola da bifosfonati nei dati RCT e uno di questi era nel gruppo placebo. Il
monitoraggio dei rischi e la farmacovigilanza sono quindi elementi essenziali per
qualsiasi programma di sicurezza dei farmaci. Infatti, gli studi post-approvazione
sono necessari per prendere delle decisioni riguardanti le reazioni avverse gravi.
Le rare reazioni avverse sono in genere riportate solo in farmacovigilanza o come
case reports. Una strategia di gestione sanitaria dovrebbe sempre mettere in
relazione il rischio di reazioni avverse e i benefici del trattamento, cioè la
prevenzione di fratture osteoporotiche. Tutti i trattamenti trattati in questa
rassegna, hanno dimostrato efficacia nel ridurre le fratture vertebrali nelle donne
con osteoporosi post-menopausa, e alcuni anche le fratture non vertebrali e quelle
dell’anca. Bisogna evidenziare che, forse il rischio più grande associato a reazioni
avverse da farmaco, potrebbe0essere che un paziente, per paura di una reazione
avversa non prenda il farmaco in modo appropriato, aumentando così il rischio di
frattura. In questo contesto,0grande importanza riveste l’informaziole ai pazienti
sugli eventi0avversi. In conclusione i trattamenti per l’osteoporosi sono
generalmente sicuri e ben tollerati. Essi sono associati a un paio di reazioni
avverse gravi, molto rare, come ad esempio l’osteonecrosi della mandibola,
frattura atipica e fibrillazione atriale. Mentre questi sono motivo di
preoccupazione e dovrebbero essere oggetto di ulteriori indagini, il rischio di
questi rari eventi, che si verificano con una prevalenza di meno di 1 su 10.000
pazienti, deve essere valutato rispetto ai benefici del trattamento stesso, cioè la
prevenzione delle fratture osteoporotiche e la morbilità associata.
Rene´ Rizzoli, R.; Reginster J.Y.; Boonen, S.; Breart, G.; Diez-Perez, A.;
Felsenberg, D.; Kaufman, J.M.; Kanis, J.; Cooper,C.; Adverse Reactions and
Drug–Drug Interactions in the Management of Women with Postmenopausal
Osteoporosis. Springer, 28 novembre 2010.