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Commentary, 19 gennaio 2017
LA PROPAGANDA COME STRUMENTO DI POLITICA
ESTERA: IL CASO DELLA RUSSIA DI PUTIN
©ISPI2017
ALESSANDRO VITALE
’uso della propaganda come strumento di politica
estera è noto da secoli. Nell’epoca contemporanea
è servito in particolare a giustificare guerre e interventi militari. Nel caso della Russia – che nell’attuale
fase di restaurazione politica interna ha visto la ripresa del
controllo dello Stato da parte di una classe politica già in
possesso per un settantennio delle leve del potere e una
consistente continuità amministrativa – questo strumento,
rivitalizzato da un quindicennio, è stato sottovalutato nelle
analisi dei political scientists occidentali. È un paradosso,
se si pensa a quante e quali tecniche siano state sviluppate
nel periodo sovietico in tema di disinformazione, propaganda i agitacija, operazioni coperte e disorientanti, alterazione della storia, discredito nei confronti di nemici, costruzione di falsi dossier, e sulle quali si sono formati gli
attuali detentori del potere, eredi di concrete istituzioni
preposte alla propaganda e che vi fanno ricorso in modo
massiccio anche nella conduzione contemporanea della
politica estera.
L
soft power, ma utilizza i metodi della “strategia indiretta”
del passato, trasformata in agitazione politica e ricerca di
supporter riuniti in network per l’influenza e l’azione politica in Occidente e nelle Repubbliche ex sovietiche indipendenti. Gli strumenti vanno dall’uso di media tradizionali alla creazione di canali televisivi all’estero (media-offshoring), a quello di internet con interi uffici dedicati alla disinformazione e all’orientamento dell’opinione
pubblica e dei governi, di troll factories che agiscono con
centinaia di addetti nei social media, nei blog e nei forum,
diffondendo commenti pilotati, false informazioni e utilizzando le tecniche più sofisticate della guerra psicologica. Non sono state abbandonate le tradizionali pubblicazioni disorientanti, basate su documenti artefatti, presentati
parzialmente o sulla de-contestualizzazione storica. In alcuni casi tali pubblicazioni sono apparse solo all’estero,
così come film e documentari prodotti in grande quantità
dal 2005 e finalizzati a influenzare l’opinione pubblica
internazionale.
Le tecniche di Information Warfare (IW) sono state perfezionate e si sono moltiplicate dai tempi della creazione di
una fake façade della realtà sovietica. I nuovi media hanno
fornito formidabili strumenti per la rinata potenza politico-militare, che non agisce solo per consolidare un proprio
Le tecniche sono ancora quelle studiate in passato, in
campo politico-militare, descritte ad esempio dall’analista
americano T. L. Thomas: il discredito, l’inganno degli
oppositori e il disorientamento dell’opinione pubblica (si
pensi alla martellante retorica dei “fascisti” in Ucraina o
Alessandro Vitale, Università degli Studi di Milano
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Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo.
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nei Paesi Baltici). Si servono poi della “distrazione” (creazione di minacce immaginarie per fornire obiettivi inconsistenti e indurre la paralisi), dell’invio ai nemici di una
grande quantità di informazioni contraddittorie,
dell’esaurimento delle forze, inducendo a impiegarle per
obiettivi inutili o fittizi, dell’inganno, provocando la concentrazione dell’attenzione e delle forze su temi e obiettivi
irrilevanti, del divide et impera, inducendo fratture nel
campo avverso (UE, NATO, partiti politici o coalizioni,
anche mediante finanziamenti selettivi per influenzare
elezioni e durante cicli elettorali), della deterrenza, creando
l’impressione di un’insormontabile superiorità, della provocazione, al fine di indurre azioni a sé favorevoli, della
suggestione, offrendo informazioni che colpiscano la legalità, moralità, ideologia, i valori del nemico (ad esempio
con una “guerra culturale” fra “valori tradizionali cristiani”
e “liberalismo” occidentale, a volte utilizzando contraddittoriamente la storyline dell’“età d’oro” del regime sovietico). Si fa poi uso del discredito di interi paesi o classi
politiche agli occhi della popolazione o dell’opinione
pubblica internazionale mediante tesi complottiste. Gli
esempi di applicazione recenti sono innumerevoli. La disinformazione serve a preparare l’opinione pubblica prima
di operazioni militari, come si è visto nella campagna
crimeana o nel Donbas. Tutti questi metodi fanno parte
della strategia (dottrina Gerasimov) del “conflitto
non-lineare” (o hybrid warfare), nel quale sopravvivono i
concetti militari dell’era sovietica: denial (blocco di informazioni utilizzabili dall’avversario), deception (sforzi
per ingannare), distraction e disinformation (Volkov),
considerati come strumenti non-militari di importanza superiore rispetto a quelli militari tradizionali.
Le finalità perseguite da un’autentica geopolitics of information (A. Grigas, G. Csurgai) sono manifeste e/o latenti. Fra le prime vi è il dichiarato contrasto al soft power
occidentale, visto come “guerra non lineare” e alle sue
“mire di destabilizzazione dello Stato russo” e del suo
“cortile di casa” (near abroad) mediante “rivoluzioni colorate”. Fra le seconde vi è la creazione, mediante information tools e campagne comunicative, di una fake reality
basata sulla manipolazione del passato, che consenta il
perseguimento e la legittimazione di obiettivi specifici di
politica estera, quali la riacquisizione dell’influenza nel
near abroad, l’influenza sulle istituzioni straniere, nazionali e sovranazionali, logorandone l’autorità, la credibilità
e la loro rete di alleanze e indebolendo l’efficacia del loro
decision-making.
©ISPI2017
L’uso della propaganda a fini di politica estera non è certo
una prerogativa della Russia di Putin. Tuttavia, gli strumenti usati e i metodi per conseguire precise finalità di
politica estera ne fanno un uso fra i più efficaci al mondo.
La sua specificità è che non può essere ridotta al soft power, dato che risponde a frequenti strategie offensive, con
metodi consolidati e di antica origine, che possono causare
o esacerbare conflitti, contrasti interetnici e regionali, divisioni fra istituzioni e raggruppamenti politici, ma anche
giustificare ex post violenze, guerre o interventi militari.
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