Reminescenze di un viaggio d`amore di Valentina Veneziano

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Reminescenze di un viaggio d`amore di Valentina Veneziano
Reminescenze di un viaggio d’amore di Valentina Veneziano
Nadine era appena entrata nell’appartamento dello zio Théo in Rue de Paradis. Era
stanca e stava cercando di non pensare al motivo per il quale si trovava là. Era
venuta a Parigi, cité de l’amour, per cancellare la sensazione che si portava addosso
o meglio, l’identità che da sempre la caratterizzava, quella di essere una pietra
grezza, lasciata in disparte, quasi impercettibile, ma allo stesso tempo lucente e
penetrante. Ma questo lei non lo sapeva, non sapeva di essere penetrante.
Si diresse verso la sua vecchia stanza attraversando il lungo corridoio ricco di
manuali e libri di letteratura italiana, perché suo zio era fissato per autori come
Calvino, Tabucchi e Gadda. Non riuscì a portare la sua vecchia valigia Samsonite
rosa fino alla sua stanza perché fu attratta da un mucchio di fogli A4 sul mobiletto di
legno che sua madre tanto adorava.
In quei giorni stava leggendo Un amour de Swann di Proust che da sempre si era
ripromessa di leggere, ora più che mai, dato che avrebbe soggiornato in territorio
francese. Questa lettura la rendeva ancor più indiscreta e sognatrice.
Sapeva che non era corretto sbirciare nelle cose altrui, ma la curiosità in Nadine è
come un vampiro instancabile, bramoso di sangue.
Sul primo foglio, c’era un titolo scritto in rosso che da subito attirò la sua
attenzione.
Reminescenze di un viaggio d’amore così diceva l’intestazione che lesse a voce alta
mentre si accasciava sul parquet ormai scolorito. Continuò a leggere sempre più
rapidamente forse perché aveva paura che entrasse qualcuno in quell’appartamento
così gotico tanto da ricordarle uno di quei romanzi di Ann Radcliffe, letti durante un
corso di letteratura inglese all’Università. Nadine era persa nell’oblio di quelle pagine
che erano scritte fortunatamente in un francese a lei accessibile.
Quelle pagine narravano una storia. Era il racconto di un uomo, che dopo quattro
anni di matrimonio, non amava più la moglie e che, da un anno e mezzo, aveva una
relazione con una giovane ragazza. L’uomo non riusciva a districarsi da quel tortuoso
intreccio, comunemente conosciuto come uno dei più classici triangoli amorosi.
Forse ancora non era consapevole o non abbastanza innamorato della ragazza o
molto probabilmente, pensò Nadine, perché è difficile staccarsi da un modo di vivere
che ormai ti accompagna da molto tempo. Lui aveva deciso di partire. Pensava che
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allontanandosi da quel “ménage à trois” avrebbe trovato la soluzione a tutti i suoi
problemi e quindi il viaggio si sarebbe trasformato in una pausa di riflessione presa
da un mondo sospeso da tempo.
Mentre i fogli continuavano a diminuire, man mano che Nadine arrivava all’epilogo di
quella storia, si recò nella sua vecchia stanza.
L’uomo della storia, al ritorno dal suo viaggio, aveva abbandonato la moglie e a
breve sarebbe diventato papà. Avrebbe avuto un figlio dalla sua giovane nuova
compagna.
Nadine non continuò a leggere le ultime trenta righe del racconto perché il suo
sguardo fu catturato da una vecchia foto, appesa alla parete di fronte a lei, che non
aveva mai notato prima.
La fotografia, in bianco e nero, ritraeva un uomo ed una giovane donna seduti su una
panchina in Piazza San Marco a Firenze. L’uomo era girato di spalle ed indossava
un cappotto scuro. La ragazza era seduta sulle sue gambe, la mano destra era
appoggiata sulla spalla dell’uomo mentre la mano sinistra teneva un ombrello, aperto
e bianco, simile a quello delle dame francesi del settecento. Pioveva, ma alla
ragazza sembrava non importare perché stava ridendo. Il suo sorriso era quasi
accattivante, non volgare ma piuttosto penetrante. La cornice di quel volto erano un
paio di orecchini di perle. Impossibile non notarli perché erano lucenti quasi quanto il
sorriso della giovane donna.
A Parigi, in quell’istante, iniziò a piovere. Nadine era attonita, frastornata. Toccò i
suoi orecchini di perle lucenti mentre riponeva i fogli sul mobiletto di legno che sua
madre tanto adorava. Non lesse le ultime trenta righe della storia perché lei già
conosceva la fine.
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