università degli studi di macerata

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
ISTITUTO DI STUDI STORICI
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
STORIA DEL DIRITTO
CICLO XXIII
SACRA HIEROSOLYMITANA RELIGIO
PROFILI STORICO-GIURIDICI E RELAZIONI INTERNAZIONALI
Tutors
Dottorando
Chiar.mo Prof. AURELIO CERNIGLIARO
Dott. ANTONIO RAPISARDI
Chiar.mo Prof. GIACOMO PACE GRAVINA
Coordinatore
Chiar.mo Prof. MASSIMO MECCARELLI
ANNO ACCADEMICO 2010-2011
INDICE
CAPITOLO PRIMO
L’ORDINE DI MALTA : UNA FOTOGRAFIA DI FINE SETTECENTO
1.1 Quadro istituzionale
2
1.2 Lingue, Priorati, baliaggi e commende : struttura del patrimonio
giovannita
8
1.3 Nazionalizzazione e Monarchizzazione: due categorie a confonto
17
1.4 Il riformismo del Gran Maestro de Rohan
30
CAPITOLO SECONDO
1798 – 1815 : LA RICERCA DI UN’ALTERNATIVA
2.1 La perdita di Malta
41
2.2 La Convention del 1798 ed il Trattato di Amiens del 1802
51
2.3 La parentesi zarista : profili costituzionali
60
2.4 I plenipotenziari giovanniti al Congresso di Vienna
85
CAPITOLO TERZO
DA VIENNA A NEW YORK
(1815-1994)
3.1 I Congressi della Restaurazione
100
3.2 Gli anni della Luogotenenza
110
3.3 I rapporti con l’Italia e con il suo ordinamento giuridico
118
3.4 La posizione del S.M.O.M. nella comunità internazionale
127
FONTI NORMATIVE
139
BIBLIOGRAFIA
141
1
CAPITOLO PRIMO
L’ORDINE DI MALTA : UNA FOTOGRAFIA DI FINE SETTECENTO
SOMMARIO: 1.1 Quadro istituzionale – 1.2 Lingue, priorati, baliaggi e commende: struttura del
patrimonio giovannita– 1.3 Nazionalizzazione e Monarchizzazione: due categorie a confronto
– 1.4 Il riformismo del Gran Maestro de Rohan
1.1
Quadro istituzionale
Corre l’anno 1776 quando frà Emmanuel de Rohan-Pulduc1, settantesimo Gran
Maestro dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme e ventiseiesimo Principe
di Malta, chiama il Capitolo Generale della Sacra Milizia a riunirsi in sede
legislativa. Sono trascorsi centoquarantacinque anni dall’ultima convocazione,
datata 16312, ed il progetto è assai ambizioso: un’opera di generale
riorganizzazione delle strutture politico-amministrative, giurisdizionali e
normative dell’arcipelago melitense. Tale cammino riformatore, ispirato da un
anelito di consolidamento giuridico, si concretizzerà anzitutto nel varo, tra il
1776 ed il 1782, del cd “Codice del Sacro Militare Ordine Gerosolimitano”3,
ma anche nel riordino, datato 1777, dell’amministazione della giustizia e delle
forze armate del Principato, nonchè nella pubblicazione della nuova
1
Sulla figura del Gran Maestro de Rohan (Principe Regnante dal 1775 al 1797) cfr. F.
L’ultimo periodo della storia di Malta sotto il governo dell’Ordine
Gerosolimitano, Malta, 1835; L. DE CARLO, Storia de Gran Maestri e cavalieri di Malta,
Malta, 1853; N. GALEA, Grand Master Emannuel De Rohan (1775-1797), Malta, 1996.
2
“Nel nostro Codice non è prescritto il tempo da tenersi il Capitolo Generale: le circostanze
de’ tempi lo fissano; sebbene in ogni convocazione si stabilisce il giorno da celebrarsi il
susseguente. Nel Capitolo Generale del 1631 si era indicato di celebrarsi nel 1641; si tenne
poi in effetto nel 1776” in A. MICALLEF, Lezioni su gli Statuti del Sagr’Ordine Gerosolimitano
nell’Università degli studi di Malta per l’anno 1792 , Malta, 1792, pag. 20
3
Codice del Sacro Militare Ordine Gerosolimitano, riordinato per comandamento del Sacro
Capitolo, celebrato nell’anno MDCCXXVI, sotto gli auspici di Sua Altezza Eminentissima il
Gran Maestro Frà Emanuele de Rohan, Malta, 1782
PANZAVECCHIA,
2
compilazione del diritto municipale di Malta, che vedrà la luce nel 17844. Il
riformismo di Rohan assurge alla dignità di una pagina, scritta al centro del
Mediterraneo, del coevo assolutismo illuminato, iscrivendo il Gran Maestro
francese alla schiera dei principi paternalisti: attraverso l’omogeneità
legislativa, egli, sulla scia di un percorso iniziato dal suo predecessore Frà
Manuel Pinto de Fonseca (regnante dal 1741 al 1773)5, desidera rafforzare
l’unità politica del territorio posto sotto il dominio della croce ottagona. La
convocazione del Capitolo Generale, già decisa durante il breve magistero
(1773-1775) di Frà Francisco Ximenes de Texada nella speranza che
l’assemblea “opère l’hereuse révolution qui doit en être l’objet”, rappresenta
un passaggio obbligato dal momento che, oltre alla “riforma dei costumi” ed
alle “cose concernenti la pubblica utilità”, prerogativa istituzionale del
Capitolo è la “regola del governo”6. E’ Antonio Micallef, uomo di Chiesa e di
Legge, a tratteggiare la forma di governo della Milizia nelle sue Lezioni su gli
Statuti del Sagr’Ordine Gerosolimitano nell’Univeristà degli Studi di Malta
per l’anno 1792, così presentandola, all’inizio del Capitolo IV: “nissuna delle
tre specie di governi fu scelta; naturalmente non fu il Monarchico, perché
soggetto a frequenti cambiamenti; l’Aristocratico, perché nel giro di breve
tempo in istato di pochi si può restringere; il Democratico, perché appresso
tutte le nazioni si vede con somma facilità in licenziose convertito”.7
A ben osservarne l’organigramma costituzionale, l’Ordine si presenta come un
unicum tra le istituzioni di Ancien Règime: una efficace sintesi tra una
monarchia elettiva, come il Papato, ed una repubblica aristocratica, come la
Serenissima, al vertice della quale sta il Magnus Magister Hospitalis Sancti
Joannis Hierosolymitani. Egli è, insieme, massima autorità religiosa di uno
degli Ordini cavallereschi della cristianità, come ben enfatizza la dignità
cardinalizia concessa dal Romano Pontefice Urbano VIII nel 1630, e supremo
“capo della società civile” insediata nell’Arcipelago, come esplicitato dal
4
Del Diritto Municipale di Malta. Nuova compilazione con diverse altre Costituzioni, Malta,
1784
5
Sulla figura del Gran Maestro Pinto de Fonseca, cfr. infra, Cap. I, par. 3.
6
I corsivi sono tratti dal testo del Codice del 1782, in particolare Stat. I, Capit.
7
A.MICALLEF, Lezioni su gli Statuti del Sagr’Ordine Gerosolimitano nell’Università degli
studi di Malta per l’anno 1792, op. cit., pag. 15
3
rango di Principe del Sacro Romano Impero conferito dall’Imperatore nel
16078: il tutto efficacemente sintetizzato nella formula appellativa di “Sua
Altezza Eminentissima il Principe e Gran Maestro”, coniata su Pinto ed ancor
oggi in uso9. Nella figura del Magnus Magister, in quanto sovrano
dell’Arcipelago e superiore dell’Ordine, si sommano pertanto, de facto, tutti i
poteri, religiosi e civili, di un Principato modellato sull’assolutismo d’impronta
settecentesca.
L’elevazione alla suprema carica, di carattere vitalizio, disciplinata da un
Caeremoniale super electione varato dal Romano Pontefice Urbano VIII con la
bolla “In specula Militantis Ecclesiae” del 1614, e definitivamente codificata
nel 1634, era figlia di una complessa procedura elettorale articolata in quattro
gradi, che voleva, al tempo stesso, fungere da garanzia dell’indipendenza del
Principato e da presidio del carattere religioso della Milizia.
Al Gran Maestro è riservata la titolarità del potere esecutivo, da esercitarsi
ponendosi al vertice del Consiglio Ordinario, altrimenti detto Venerando
Consiglio; è un organo collegiale, definito dal Micalleff come un “Senato
aristocratico”, di cui fanno parte il Vescovo di Malta, il Priore della chiesa cocattedrale di San Giovanni a La Valletta, i pilieri (ossia i capi) delle otto
Lingue10, detti anche balì conventuali, nonché ulteriori tre membri scelti dal
Gran Maestro tra coloro che rivestono la dignità di Priore, a turno, con
mandato biennale recante l’obbligo di residenza in Convento, la sede centrale
dell’Ordine, per un totale di 15 membri. Avremo modo di ritornare sul
fondamentale ruolo delle Lingue nell’organigramma istituzionale melitense;
per il momento, a supporto dell’immagine del Consiglio Ordinario come
organo detentore del potere esecutivo, è necessario rilevare la circostanza per la
quale a ciascuno dei pilieri spettava una particolare carica legata alla
8
Notizie più dettagliate su tali titoli in F.GAZZONI, Ordine di Malta, Milano, 1979, pag. 13,
nota 16
9
Attuale Gran Maestro del Sovrano Militare Ospedaliero Ordine di San Giovanni di
Gerusalemme, detto di Rodi, detto di Malta, è S.A.E. il Principe e Gran Maestro Frà Matthew
Festing, eletto dal Consiglio Compito di Stato in data 11 marzo 2008. (cfr. Activity Report
2010,Commuications Office of the Sovereign Military Hospitaller Order of St. John of
Jerusalem of Rhodes and of Malta, Roma, 2010)
10
Termine con cui si indicavano le circoscrizioni geografiche e amministrative che
componevano l’Ordine.
4
sovrintendenza di un Ufficio (finanze, forze armate, marina, guardiacoste,
fortificazioni, approvvigionamento, Sacra infermeria, cancelleria e affari
esteri), la cui cura era tradizionalmente affidata alla Lingua da egli diretta. A
titolo d’esempio, il Piliere della Lingua d’Italia assumeva la carica di
Ammiraglio ed era il responsabile politico di un branca di vitale importanza per
la stessa ragion d’essere della Milizia: il factum navium.11
A conferma di una commistione profonda tra potere esecutivo e giudiziario,
nonché di una certa attitudine alla classificazione tipica del tempo, va
sottolineato come lo stesso Consiglio Ordinario, denominato Segreto quando
agiva come organo del potere esecutivo (con il compito di “risolvere su tutte le
materie sì economche, che politiche dello Stato”), divenisse Criminale quando
“si convoca per giudicare i Rei” nonché “Tribunale di prima istanza nelle liti
sopra Precedenze, Preminenze, Elezioni a Dignità Convenutali, Promozioni a
Priorati e Baliaggi conseguimento di Commende e validità di Pensioni”.12
Tribunale d’appello avverso le decisioni dell’organo succitato è il Consiglio
Compito, la cui composizione è fonte di ulteriori conferme circa la mancanza
di seprazione alcuna tra i poteri, essendo esso formato dagli stessi componenti
dell’organo di primo grado (Gran Maestro in testa) con l’aggiunta di “altri
sedici Cavalieri della piccola Croce”; lungi dall’essere casuale, il numero di
mebri aggiunti rispondeva alla necessità di dare la possibilità alle otto Lingue
di esercitare “il diritto di nominare e scegliere i suoi due”, selezionandoli tra i
più anziani. Il Consiglio Compito, nella stessa composizione or ora descritta,
aveva altresì la prerogativa di decidere sulle più importanti questioni di politica
interna ed estera (era infatti una versione più ampiamente “rappresentativa” del
Consiglio Ordinario), tra cui quella di stabilire “se conviene fare la pace o
tregua” e ”se devonsi dalle Isole Vassalle della Sagra Religione estrarre
artiglierie”. Lo stesso organo assumeva la denominazione di Consiglio di Stato
quando, in occasione della morte del Gran Maestro, si riuniva al precipuo
11
Sul ruolo della flotta nella struttura militare dell’Ordine, cfr. U. MORI UBALDINI, La Marina
del Sovrano Militare Ordine di San Giovanni di Gerusalemme ,di Rodi e di Malta, Roma,
1971; sull’importanza del factum navium nella storia dell’isola dei Cavalieri, cfr. il
fondamentale testo di A.BROGINI, Malte, frontière de chrétienté (1530- 1670), Roma, 2006
12
I corsivi sono tratti da A. MICALLEF, Lezioni su gli Statuti, op. cit., pag. 26
5
scopo di trattare e fornire una soluzione a tutti gli affari inerenti al Magistero
rimasti correnti. E’ interessante notare come le deliberazioni assunte dal
Consiglio, convocato per l’esercizio delle funzioni da ultimo citate,
assumessero una forza cogente speciale, valendo “come se fossero state
promulgate dal Capitolo Generale” ovvero non impugnabili; una vera e
propria clausola di salvaguardia tanto del buon funzionamento della Milizia nel
periodico verificarsi della fattispecie della “sede vacante” ma , al tempo stesso,
altresì della primazia del Gran Magistero, essendo vietato, onde evitare
tentazioni “eversive”, “d’interloquire, sia per derogare o restringere, le
Preminenze, Privilegj, Prerogative, e Diritti del Gran Maestro”.13
Ancora il medesimo organo, che abbiamo visto agire in ambito tanto
giudiziario quanto esecutivo, è titolare di importanti attribuzioni nell’esercizio
del potere legislativo, assumendo in questa specifica veste la denominazione di
Consiglio delle Ritenzioni, organo al quale il Capitolo Generale “può e suole
rimettere la decisione” di quelle questioni che necessitino di esame
particolarmente approfondito e che possiede financo la prerogativa di fornire
soluzione ad un problema trattato e non risolto dal Capitolo Generale “a
dirittura…senza che dal Capitolo Generale gli sia stato rimesso”.
E’ nuovamente Micalleff a guidarci verso la disamina del Capitolo Generale,
ch’egli definisce come “il supremo legislatore del Sagr’Ordine”. Di esso fanno
parte, in virtù della loro dignità personale, tutti i “membri permanenti” del
Consiglio Ordinario (ovvero Gran Maestro, Vescovo di Malta, Priore di San
Giovanni in La Valletta e gli otto balì conventuali); sono altresì membri di
diritto tutti i Priori (tra i quali il Gran Maestro sceglieva i tre membri “non
permanenti” del Consiglio Ordinario), e tutti i balì capitolari (capi di baliaggi,
circoscrizioni queste che potevano, assieme ai priorati, comporre una Lingua)
ed onorari (di creazione papale). Completavano l’organico un procuratore per
ciascuna Lingua (denominato Procuratore de’ fratelli) ed un procuratore per
ciascun Capitolo Provinciale (detto Procuratore de’ commendatori). L’ampio
numero di membri (tra i quali si è voluta sottolineare la presenza dell’intero
13
A. MICELLEF, Lezioni su gli Statuti del Sagr’Ordine Gerosolimitano nell’Università degli
studi di Malta per l’anno 1792, op. cit., pag .31
6
Consiglio Ordinario) sarebbe stato certamente nemico di un efficace esercizio
delle alte funzioni dell’organo in parola: esso pertanto agiva in concreto
attraverso un sistema di deleghe. I componenti si dividevano per Lingua
d’appartenenza e ciascun gruppo eleggeva, a scrutinio segreto, due personalità,
l’insieme delle quali andava a costituire il gruppo dei cd “sedici capitolanti”.
Questi giuravano di “stabilire, deposto ogni umano riguardo, tutto ciò che
giudicheranno conducente all’utile ed onore della Sagra Religione, e dei
Fratelli” di fronte al Gran Maestro ed ai restanti membri del Capitolo Generale
che, dal canto loro, accettavano “di avere per rate e grate tutte le disposizioni
che dai Sedici saranno prese”. Fondamentale il ruolo del Procuratore del Gran
Maestro, legittimato a partecipare, da membro esterno, al consesso dei sedici:
sebbene egli sia titolare di un voto semplicemente consultivo, questi
rappresenta un vero e proprio trait-d’union tra il supremo organo legislativo ed
il vertice dell’organizzazione di governo; basti pensare che i sedici sono tenuti
al segreto sui loro lavori con la sola riserva di comunicare al Gran Maestro per
il tramite del suo Procuratore. La potestà dei Sedici riveste carattere generale,
al Capitolo Generale spettando l’emanazione e la revisione di Statuti ed
Ordinazioni senza limitazioni ratione materiae;
le deliberazioni venivano
prese a maggioranza qualificata dei due terzi, sulla base di una sorta di “ordine
del giorno” denominato “ruolo pubblico” redatto prima della convocazione del
Capitolo Generale da parte del Consiglio Compito in modo tale che i
capitolanti “esaminino tutta l’intera attuale Legislazione, la maniera come si
amministra la pubblica azienda, e diano i mezzi di togliere i pregiudizi e
rimediare ai mali essendoci”; da ribadire come non venga previsto alcun
meccanismo giuridico di impugnazione delle decisioni così formate,
concludendosi il Capitolo con la pubblicazione della nuova produzione
normativa da parte del Vice Cancelliere.
Se è vero che il Montesquieu scrive nel 1754 che “c’est l’Ordre peut-être le
plus respectable qu’il y ait dans l’universe, et celui qui contribue le plus à
entretenir l’honneur et la bravoure de toutes le nations où il est répandu”14,
14
Lettera di Montesquieu al Conte di Guasco datata 9 aprile 1754, citata in H.J.A. SIRE, The
Knights of Malta, New Haven and London 1996, pag. 231
7
appare tuttavia evidente come la dimensione pubblicistica della Religione solo
in apparenza prestava ossequio alle teorie del pensatore francese sulla
separazione e sul bilanciamento dei poteri, il quadro costituzionale della
Milizia presentandosi piuttosto, secondo la felice definizione di D’Avenia,
come “una sorta di matrioska istituzionale”15.
1.2 Lingue, priorati, baliaggi e commende: struttura del patrimonio melitense
Come si è cercato di illustrare nel paragrafo precedente, la ratio che
sovrintendeva alla struttra delle istituzioni melitensi, così come testimoniato
altresì dal complesso meccanismo elettivo della suprema carica, era
rappresentata dal tentativo di garantire un equilibrio tra le Lingue di cui
l’Ordine si componeva. La Lingua rappresentava in seno all’architettura
istituzionale della Milizia la circoscrizione geografica, l’unità amministrativa
di più ampie proporzioni; come segnalato, esse erano in numero di otto ed in
particolare : Provenza, Alvergna, Francia, Aragona, Castiglia, Italia, Alemagna
ed Inghilterra16. A capo di ciascuna di esse veniva posto un Piliere, dignità alla
quale era collegata la responsabilità di un Ufficio specifico, una sorta di vero e
proprio dicastero tradizionalmente assegnato alla medesima Lingua, secondo il
seguente elenco.
Se il Piliere della Lingua di Provenza assumeva la carica di Gran
Commendatore, occupandosi delle finanze, quello della Lingua di Alvergna
assurgeva alla dignità di Maresciallo, sovrintendendo alle forze armate; il
Piliere della Lingua di Francia, chiamato Ospedaliere, curava il funzionamento
della Sacra Infermeria a Malta; il vertice della Lingua d’Italia diveniva
Ammiraglio conseguentemente guidando la marina melitense; Turcopiliere era
invece il guardacoste, ruolo tradizionalmente assegnato al rappresentante della
Lingua d’Inghilterra17; del tema delle fortificazioni era incaricato il Gran Balì,
15
F. D’AVENIA, Nobiltà allo specchio. Ordine di Malta e mobilità sociale nella Sicilia
moderna, Palermo, 2009, pag. 26
16
LaLingua d’Inghilterra venne soppressa da Enrico VIII nel 1540 e soltanto nel 1782 rivivrà
attraverso l’istituzione della Lingua Anglo-Bavara.
17
La carica sarà assunta ad interim dal Gran Maestro nel periodo di soppressione della Lingua.
8
epressione della Lingua d’Alemagna; la materia degli approvvigionamenti era
appannaggio del Gran Conservatore, proveniente dalla Lingua d’Aragona,
laddove la Lingua di Castiglia esprimeva, infine, il Gran Cancelliere, titolare
della responsabilità in materia di affari esteri. L’istituzione delle Lingue viene
fatta risalire all’ultimo decennio del secolo XIII, dopo che già sotto il
magistero di Hugues de Revel (1258-1277), attraverso la convocazione per ben
sei volte del Capitolo Generale, si era dato vita ad una radicale riforma
amministrativa dell’Ordine. In una lettera indirizzata al Priore di Saint- Gilles,
datata 1268, il Gran Maestro individuava sette aree geografiche come distinte
fonti di provenienza delle entrate della Milizia: se si considera che egli
guardava alla Spagna come ad un’unica area, è già possibile rinvenire in questo
documento una primitiva origine delle circoscrizioni, così come ci sono state
tramandate.18Il contenuto patrimoniale, di natura fondiaria, di ciascuna Lingua,
e, attraverso esso, il cd “Comun Tesoro”19 dei Giovanniti, conobbe poi un
estemamente significativo incremento, quando vennero trasferiti all’Ordine i
beni del soppresso Ordine del Tempio20.
Immediatamente successiva, collocandosi nel 1320 sotto il Magistero di Hélion
de Villeneuve, fu il collegamento di ciascuna Lingua ad una delle alte cariche
da attribuirsi al proprio Piliere, secondo lo schema tratteggiato sopra, con una
precedenza, di carattere onorifico, data alla Lingua di Provenza, dovuta alla
circostanza di avere quel territorio, secondo la tradizione, dato i natali al
18
La lettera è citata in H.J.A. SIRE, The Knights of Malta, op. cit, pag. 104
Ancor oggi il responsabile della gestione patrimoniale e finanziaria dell’Ordine riveste la
carica di Ricevitore del Comun Tesoro ed è membro di diritto del Sovrano Consiglio ex art. 20,
par. 2 della Carta Costituzionale del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di
Gerusalemme, detto di Rodi, detto di Malta, promulgata il 27 giugno 1961, riformata dal
Capitolo Generale straordinario del 28/30 aprile 1997, promulgata con Decreto Conciliare del 4
dicembre 1997.
20
Per volontà di Papa Clemente V, con Lettera Apostolica Ad providam Christi del 2 maggio
1312, venne disposta la soppressione dell’Ordine dei Templari e la contestuale attribuzione di
tutti i beni, privilegi, indulgenze ed immunità di questo ai Cavalieri Giovanniti.
19
9
monaco benedettino Gerardo, considerato pressoché unanimemente21, il
fondatore dell’Ordine.22
A ben guardare, le Lingue dell’Ordine Giovannita corrispondevano a quelle
circoscrizioni territoriali che negli altri Ordini religiosi del tempo, prendevano
il nome di “provincie”; si trattava di enti a preminente vocazione
amministrativa che vedevano la loro principale prerogativa nella gestione
economica dei beni fondiari in ciascuna di esse ricadenti. Nel tempo, come
vedremo nel paragrafo seguente, avrà modo di evindenziarsi la funzione più
tipicamente politica delle Lingue, per opera tanto della deriva nazionalistica di
importanti frange di Cavalieri, quanto per lo svilupparsi degli appetiti dei
principi territoriali sul patrimonio melitense.
In termini di apporto di uomini e mezzi, le otto Lingue possedevano pesi
ponderati differenti. Per restare al punto d’osservazione fornitoci dal secolo
XVIII, può essere interessante osservare come, su una base di 1495 cavalieri23,
il 37 % fosse di provenienza francese ed il 42% di origine italiana; se si
considerano anche gli altri membri dell’Ordine, cappellani e serventi d’arme,
viene fuori che la natio francese e quella italiana potevano vantare lo stesso
numenro di appartenenti alla Milizia per un valore pari ai quattro quinti del
totale. Anche dal punto di vista della rendita, ovvero del quantum versato nelle
casse del Comun Tesoro, le tre Lingue francesi avevano un ruolo
predominante, rappresentando nel loro insieme quasi la metà dei proventi
21
In C. PACELLI, Circa il Sovrano Militare Ordine di Malta, in Il Diritto Ecclesiastico, 64,
1953, II viene riportata la tesi per la quale il fondatore sarebbe invece stato Raymond du Puy,
secondo Gran Maestro dell’Ordine seguendo la cronologia ufficiale, anch’egli Beato per Santa
Romana Chiesa.
22
Assai poche sono le certezze sulla reale identità di colui che, a tutt’oggi, viene considerato il
fondatore dell’Ospedale in Gerusalemme (cfr. Activity Report 2010,Commuications Office of
the Sovereign Military Hospitaller Order of St. John of Jerusalem of Rhodes and of Malta,
2010). Lungi dal voler prendere posizione sull’argomento, si cita soltanto la tesi che, accanto a
quella che ne sostiene l’origine provenzale, ha conosciuto maggiore eco e che ne sostiene
invece la provenienza amalfitana, attribunedogli il nome di fra’ Gerardo de’ Sasso da Scala
(cfr, tra gli altri, F.TURRIZIANI COLONNA, Sovranità ed indipendenza nel Sovrano Militare
Ordine di Malta, Città del Vaticano, 2002, pag. 29). La Chiesa Cattolica lo ha elevato alla
gloria degli altari, facendone un Beato: ancor oggi viene ricordato il 13 ottobre.
23
I dati forniti si riferiscono al 1710 e vengono citati in A. BLONDY, L’Ordre de Malte au
XVIII siècle – Des dernières splenders à la ruine, Paris, 2002, pag. 21.
14
Ibidem, (i dati si riferiscono al Bilancio decennale 1778-1788)
10
giovanniti24 il cui 24 % proveniva dalla Lingua di Francia, il 19 % dalla
Provenza ed il 7 % dall’Alvergna. Questa superiorità francese, in termini di
uomini e mezzi, veniva rafforzata ulteriormente dalla circostanza per la quale,
eccezion fatta per alcune commende situate nelle Fiandre austriache, il
patrimonio fondiario delle tre Lingue d’Oltralpe ricadeva nei limiti territoriali
del Regno di Francia, del cui prestigio politico le tre Lingue finivano per
beneficiare. E’ facile immaginare quanta influenza tale situazione potesse
esercitare tanto nelle vicende politiche interne al Convento, i cui delicati e
complessi meccanismi di funzionamento erano figli del tentativo di equilibrare
il peso delle diverse Lingue, quanto nella sua azione esterna.
Interessante sottolineare come il Micallef nelle sue Lezioni si affretti a
precisare che “le Lingue non sono Tribunali”: il loro compito era infatti quello
di deliberare sulla “maniera di amministrare i beni del Sagr’Ordine situati nei
loro rispettivi limiti e di dare il loro sentimento, qualora sono interrogate”25.
Se si pensa che ciascuna Lingua era altresì titolare della prerogativa di
concedere
“grazie”
su
materie
di
particolare
importanza
come
l’amministrazione delle commende e le procedure di ricezione nella Milizia26,
si possono intuire le ragioni per le quali il Blondy perviene alla conclusione di
accusare le Lingue “d’être devenus, au XVIII siècle, de véritables contrepouvoirs du Couvent”.
Ciascuna Lingua si divideva amministrativamente in più Priorati; in
particolare, se le tre aree insistenti su territorio francese ne conoscevano ben
sette, di cui due pertinenti alla Lingua di Provenza (Saint Gilles e Tolosa), tre
alla Lingua di Francia (Francia, Aquitania e Champagne) ed uno, omonimo,
alla Lingua di Alvergna, la Lingua d’Italia si frammentava in ben sette
“circoscrizioni territoriali” quali Lombardia, Venezia, Pisa, Roma, Capua,
Barletta e Messina. Volgendo lo sguardo ad occidente, le due Lingue iberiche
davano invece vita a cinque entità amministrative di cui due (i Priorati di
25
I corsivi sono tratti da A.MICALLEF, Lezioni su gli Statuti, op. cit., pag. 33
Ibidem, pagg. 32-40. Tali “grazie” dovevano essere deliberate dall’Assemblea della Lingua a
maggioranza qualificata e poi confermate, ancora a maggioranza qualificata dal Consiglio
Compito.
26
11
Castiglia e Leon e di Portogallo) corrispondenti alla Lingua di Castiglia e tre
(la Castellania d’Amposta ed i Priorarti di Catalogna e di Navarra) afferenti
alla Lingua d’Aragona. Se si prescinde dalla Lingua d’Inghilterra, scomparsa
nel 154027, completa il quadro d’insieme la Lingua d’Alemagna suddivisa,
oltre che nell’omonimo Priorato, altresì in quelli di Boemia e di Brandeburgo.
Il potere dell’uomo posto al vertice di ciascun Priorato era soggetto, oltre che a
quello del Gran Maestro, alle deliberazioni dell’assemblea dei cavalieri
appartenenti alla circoscrizione territoriale. Questa veniva convocata dal Priore
con
cadenza
semestrale,
assumendo,
alternativamente,
la
duplice
denominazione di “Capitolo” o “Assemblea” Priorale; nonostante il primo
venisse convocato a Giugno e la seconda a Novembre di ogni anno, i due
consessi avevano le stesse prerogative. Parlando dell’Assemblea, infatti, il
Micallef scrive che “a questo Consesso, ossia Tribunale, pare che possa
applicarsi tutto ciò che si è detto del Capitolo Provinciale”28.
E’ peculiare come tali istituzioni priorali, cui partecipavano, oltre al Priore (o il
suo Luogotenente) ed ai Balì capitolari, “tutt’ i Commendatori, Cavalieri,
Cappellani
Conventuali
e Serventi
d’Arme”29,
fossero
titolari
della
giurisdizione sia civile che criminale, oltre che del potere disciplinare, nei
confonti dei membri del Sovrano Ordine residenti nei confini del Priorato, non
potendo tuttavia pronunciare sentenze la cui pena avesse previsto la privazione
dell’abito o la confisca dei beni, la cui competenza spettava invece al Consiglio
Ordinario residente a Malta, titolare altesì della giurisdizione d’appello avverso
le decisioni del Capitolo/Assemblea Priorale.
Oltre a procedersi all’estrazione dei Commissari che avrebbero portato avanti il
complesso procedimento di ricezione dei postulanti “in gremio Religionis”30,
nell’ambito del Capitolo Priorale si procedeva altresì alla scelta dei
Commissari che avrebbero compiuto le visite alle Commende per verificarne i
27
Al momento in cui la Corona Inglese confisca i beni della Lingua d’Inghilterra, questa
appariva suddisa in due Priorati: quello d’Irlanda, con sede a Kilmainham e quello
d’Inghilterra con sede a Clerkenwell. Cfr, H.J.A. SIRE, The Knights of Malta, op. cit., pag. 175
28
A.MICALLEF, Lezioni sgli Statuti, op. cit., pag. 64
29
Ibidem, pag. 59
30
Sul fondamentale ruolo dei Commissari nell’ambito dei “processi di nobiltà”, vedi F.
D’AVENIA, Nobiltà allo specchio, op.cit.
12
miglioramenti. Si trattava di una operazione assai delicata, essendo la
commenda l’unità patrimoniale e territoriale di base del complesso
meccanismo geografico-politico-economico facente capo alla Sacra Milizia;
ciascun Priorato, infatti, dal punto di vista territoriale, altro non era se non
l’insieme delle commende in cui era amministrativamente suddiviso. Giusto
per dare un’idea in termini numerici, basti pensare che, tra la metà del secolo
XVI e la metà del secolo XVIII, i ventuno Priorati che abbiamo ricordato
sopra, si presentavano costituiti da conquecentoquarantasette commende.31
Tuttavia, prima di approfondire l’istituto della commenda, è opportuno
segnalare come, accanto ai Priorati, ciascuna Lingua conoscesse altresì un
diverso modo di aggregare il patrimonio fondiario, corrispondente al nome di
baliaggio, che non prevedeva la suddivisione in commende. Originariamente i
baliaggi altro non erano se non le commende possedute dalla Religione in
Oriente ed abbiamo già visto come i loro titolari fossero membri di diritto del
Capitolo Generale di Malta, con la qualifica di balì capitolari. Perdute quelle
terre per le note vicende legate all’epopoea crociata, dalla fine del XIII secolo
in poi cominciarono ad essere creati questi nuovi cespiti al fine di poter
gratificare coloro i quali avevano reso altissimi servigi alla Milizia; in
particolare, fu previsto che i Pilieri delle Lingue, che legittimamente
aspiravano al ruolo di Priore, al fine di non dovere attendere i tempi lunghi
dettati dal ristretto numero di Priorati e dal carattere vitalizio della carica,
venissero investiti della titolarità di un baliaggio capitolare, sopravvivendo i
diritti ed i privilegi legati all’antica carica. Nei due secoli presi come
riferimento per dare contezza del numero dei priorati, ci troviamo di fronte a
ben venti baliaggi, pressoché la metà dei quali (ben nove) istituiti nei sette
priorati di cui si componeva la Lingua d’Italia.
Denominate obedientiae negli Statuti redatti dal già citato secondo Gran
Maestro dell’Ordine frà Raymond de Puy, successivamente indicate
indifferentemente con i termini domus o mansiones, l’utilizzo dei quali voleva
evidentemente porre l’accento sul carattere più eminentemente ospedaliero
31
I dati numerici sono tratti dalle dettagliate mappe geografiche contenute in H.J.A. SIRE, The
Knights of Malta, op.cit., parte II, pagg. 101-206
13
delle attività dei monaci cavalieri, le commende prenderanno il nome di
preceptoriae, e, a partire dal Duecento, commendatoriae, volgarizzatosi poi nel
sostantivo oggi in uso.32 Seppur a proposito dell’Ordine di Santo Stefano33,
Danilo Barsanti ha ricordato come “in diritto canonico la commenda
consisteva nell’affidare un beneficio ecclesiatico in custodia o in temporanea
amministrazione al titolare di un beneficio contiguo. Poi per estensione essa
passò ad indicare il godimento di un beneficio da parte di un cavaliere di un
dato ordine cavalleresco”. Con esplicito riferimento all’Ordine di San
Giovanni di Gerusalemme è possibile dire che la nascita delle commende,
databile a cavallo tra la fine del secolo XI e l’inizio del Duecento, giunge come
un momento di stabilizzazione del patrimonio, in una fase dunque successiv a
rispetto a quella dell’accumulazione fondiaria avvenuta per il tramite delle
donazioni ricevute dall’Ospedale nel periodo crociato. A ben guardare, la
struttura amministrativa datasi dai Cavalieri conosceva una variegata tipologia
di commende; anzitutto, nell’ambito di ciascun Priorato era possibile
rintracciare una commenda definita di “camera magistrale” poiché il suo
conferimento perteneva in via esclusiva al Gran Maestro; vi erano poi le
commende denominate di “grazia magistrale” e di “grazia priorale”, ovvero
quelle che rispettivamente il Gran Maestro ed il Priore34, a cadenza
quinquennale, avevano facoltà di assegnare scegliendole tra quelle andate
vacanti per morte, promozione o rinunzia del Cavaliere titolare del beneficio
stesso. Da segnalare altresì come, a partire dal secolo XVII, si vennero
costituendo le cd “commende di patronato familiare” legate alle dinamiche
sociali sviluppatesi intorno al fascino (ed al ritorno economico) dato
dall’appartanenza all’Ordine di San Giovanni: un soggetto, facoltoso ma privo
32
Il SIRE (The Knights of Malta, op. cit, pag. 102) fa notare come la derivazione etimologica
sarebbe da far risalire al verbo latino commendare che egli traduce nell’inglese “to entrust”
(dare in custodia). Fa poi notare come nelle derivazioni inglese e francese del termine
(rispettivamente commander e commandeur) sia stata inserita l’idea di “commmand”(nel senso
di autorità o comando), del tutto estranea all’origine dell’espressione.
33
Il Sacro Militare Ordine di Santo Stefano Papa e Martire venne istituito da Cosimo I de’
Medici nel 1561 nella qualità di Granduca di Toscana. Ancor oggi in vita, appartiene al
patrimonio dinastico-familiare della casa Asburgo-Lorena e come tale è riconosciuto dalla
Repubblica Italiana, il cui Ministero degli Affari Esteri ne autorizza il porto delle insegne.
14
di ascendenze nobiliari, destinava un determinato cepite patrimoniale in
vincolo all’Ordine, ricevendone in cambio l’ammissione tra le sue fila con il
titolo di commendatore e, talvolta, la possibilità di nominare il successore35.
Tuttavia, eccezion fatta, per i casi segnalati, l’assegnazione in via ordinaria
della commenda avveniva invece attraverso un procedimento di selezione dei
confratelli pretendenti alla titolarità dell’Ufficio, gestito dalla Lingua di
appartenenza e denominato “smutizione”36. Colui il quale veniva prescelto per
l’assegnazione della commenda, ne percepiva certamente la rendita, assumendo
tuttavia nei confronti della Religione una serie di obbligazioni che è possibile
ricondurre a due fioni principali : quelle di carattere materiale e queli di
carattere finanziario. Tra le prime, particolare importanza rivestiva l’obbligo di
“miglioramento”37 del patrimonio affidato in gestione; avendo infatti l’Ordine
elaborato un vero e proprio “system of incentives to good management”38,
l’avere apportato delle migliorie nella rendita del cespite rappresentava la
condicio sine qua non per poter accedere ad una promozione, consistente
nell’affidamento di un bene ancor più redditizio o nel raggiungimento delle alte
cariche in seno alla Religione. Efficacemente il D’Avenia scrive che “un
commendatore non poteva quindi permettere che la sua commenda rendesse
meno di quanto non avesse fatto sotto il titolare precedente”39. I custodi di
questo peculiare sistema di generazione di plusvalenze erano i Priori, titolari,
per il tramite del Capitolo, della prerogativa di visita, un vero e proprio potere
ispettivo da esercitarsi a cadenza quinquennale. Jean-Marc Roger, comparando
i dati economici del patrimonio fondiario gerosolimitano con quelli degli altri
34
A differenza del Gran Maestro, sulla cui scelta non potevano sussitere limiti territoriali, il
Priore poteva, per evidenti ragioni, esercitare tale prerogativa scegliendo esclusivamente tra le
commende del Priorato cui faceva capo.
35
Sul fenomeno delle commende di patronato e sulla sua consistenza cfr. F.D’AVENIA, Le
commende gerosolimitane in Sicilia: patrimoni ecclesiastici, gestione aristocratica, in La
Sicilia dei cavalieri. Le istituzioni dell’Ordine di Malta in età moderna (1530-1826), a cura di
L. BUONO e G.PACE GRAVINA, Roma, 2003, pag. 37
36
Sulla “smutizione” e sui requisiti per accedere alla carica di commendatore, cfr. F.D’AVENIA,
Le commende gerosolimitane, op. cit, pag. 38
37
Per un numeroso campionario di “miglioramenti” cfr. F.D’AVENIA, Le commende
gerosolimitane in Sicilia: un modello di gestione decentrata, in “Annali di Storia moderna e
contemporanea”, VI (2000), pagg. 488-492
38
La felice espressione è dovuta a H.J.A. SIRE, The Knights of Malta, op. cit., pag. 107
39
F.D’AVENIA, Le commende gerosolimitane, op, cit., pag. 43
15
ordini religiosi, ha sostenuto che, proprio attraverso il sistema delle ispezioni e
dei miglioramenti, “l’Ordre eut bien, tout au moins à la fin de l’Ancien
Régime, une politique èconomique volontariste […] Par ces caractères aussi,
Saint- Jean se distingue des ordres religieux propremet dit”.40
Se il primo ordine di obblighi assunti dal Commendatore rivestiva carattere
materiale, il secondo era di tipo eminentemente finanziario, essendo egli tenuto
al versamento di una percentuale delle rendita ottenuta nelle casse del Comun
Tesoro. Tale percentuale, inizialmente di caratura variabile, venne stabilizzata,
a partire dal 1262, nella misura di un terzo della rendita annuale: tale
imposizione fiscale prendeva il nome di responsione e veniva versata nelle
mani del ricevitore priorale, a capo di un vero e proprio Ufficio fiscale
chiamato “ricetta”, avente molteplici altre competenze in materia.41
Se è vero che questo modello di gestione decentrata rappresentava un punto di
forza della politica economica della Milizia, occore tuttavia tener presente
come, così facendo, il flusso di denaro gestito dalle Ricette priorali fu di
notevole importanza; tenuto conto anche della lentezza che caratterizzava gli
scambi finanziari dell’epoca, l’immobilizzazione parziale della ricchezza
presso questi Uffici finiva per accrescere il peso dei singoli Priorati nell’ambito
delle Lingue, prima, e dello stesso Convento, poi, finendo per stimolare gli
appettiti dei sovrani territoriali e fungendo da incentivo a quel processo di
“nazionalizzazione” dell’Ordine del quale ci accingiamo a parlare.
40
J.M. ROGER, L’Ordre de Malte et la gestion de ses biens en France du milieu du XVI siècle à
la Révolution, in Revue d’histoire de l’Eglise de France, 1984, Vol. 70, pag. 267-271.
41
Riscuotevano, ad esempio, i cd “diritti di passaggio” pagati dai confratelli al momento della
loro ricezione nell’Ordine, e gestivano, per conto del Comun Tesoro, le commende rimaste
vacanti a seguito della morte del titolare, fino a nuova assegnazione. Cfr. F.D’AVENIA, Le
commende gerosolimitane, op, cit., pagg. 54- 76
16
1.3 Nazionalizzazione e Monarchizzazione: due categorie a confronto
Nel suo Il Cavaliere e la Dama42, pubblicato sul finire del secolo XVII, il
cardinale De Luca così disserta in materia di ordini militari cavallereschi:
“Sono queste Religioni, ovvero ordini militari prevalentemente di due specie;
una cioè di quelle, le quali sono vere e formali religioni regolari con i tre voti
essenziali di povertà, castità ed obedentia […]secondo i decreti del Concilio di
Trento…[I cavalieri] sono incapaci di contrarre matrimonio, e di ottenere i
benefici ecclesiastici secolari, né possono possedere cosa di proprio…Di
questa specie è l’accennata Religione di S.Giovanni Gerosolimitano. L’altra
specie più frequente è di quelli ordini li quali si dicono religiosi largamente e
impropriamente per un certo uso di parlare, ma in effetti non sono tali per
essere istituti ecclesiastici”
43
. E’ effettivamente un tempo in cui gli ordini
militari cavallereschi possono presentarsi all’occhio dell’osservatore sotto
diverse forme; vi sono quelli posti sotto la protezione di un sovrano, come
quello di Santo Stefano in Toscana44, altri istituiti da principi territoriali come
l’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro45 di casa Savoia; l’Ordine Teutonico46,
42
G.B.DE LUCA, Il Cavaliere e la Dama ovvero discorsi familiari nell’ozio tusculano
autunnale dell’anno 1674, Roma, 1675
43
Ibidem, pagg. 63-64.
44
Cfr. supra
45
L’origine di questo Ordine risale al 1572, quando Papa Gregorio XIII affida al Duca
Emanuele Filiberto di Savoia il Gran Magistero dell’Ordine di San Lazzaro e questi decide di
unificarlo a quello di San Maurizio, da tempo afferente al patrimonio dinastico della dinastia
sabauda. Solo nel 1851 Vittorio Emanuele II, abolendo la classe dei Cavalieri di Giustizia, lo
trasformò da Ordine religioso- miltare ad Ordine di merito.
46
L’Ordine Teutonico, eretto in Terra Santa nella prima metà del XII secolo, dopo essere stato
soppresso in epoca napoleonica, viene riorganizzato nel 1834 da Francesco II d’Austria.
“Risparmiato” dalla Repubblica Austriaca nel 1919 poiché ritenuto lato sensu soggetto alla
protezione della Santa Sede, oggi vede alla propria giuda un Superiore Generale con il rango
ecclesiastico di Abate.
17
è un esempio di quelli che presentano natura monastica e sono caratterizzati da
un solido legame con il territorio di appartenenza. Prescindendo dalla
differente foggia delle rispettive insegne, è tuttavia possibile estrapolare un
dato comune a questa internazionale cristiana militante, ovvero la progressiva
prevalenza dell’aspetto civile su quello militare: nonostante la verbosità delle
coeve definizioni di cavalleria47, essere membro di un Ordine non indica più
tanto la vocazione all’eroica impresa in armi quanto l’interesse, tutto
privatistico, all’amministrazione di terre dalle quali percepire rendite, all’essere
titolare di specifiche immunità giudiziarie e godere di peculiari esenzioni
fiscali48. Se fino alla metà del secolo XVII, i cadetti delle famiglie
aristocratiche europee avevano affollato i ruoli della Religione animati dall’eco
dello spirito crociato, la lunga guerra di Candia può, in questo senso, essere
letta come un ideale spartiacque : da quel momento in poi, venendo meno il
collante ideologico dato dalla necessità di combattere una lotta di fede contro i
turchi ottomani, l’appartenenza all’Ordine di San Giovanni diventa
desiderabile in quanto capace di sanzionare l’appartenenza
all’élite
aristocratica, e di conseguenza, a quella che è stata definita ascrizione
“all’area del privilegio”49 di chi ne veste l’abito. Una ulteriore,
47
Spiccano, nell’ampia trattatista in materia, Il cavaliere romito. Storia panegirica del V.P.F.
Ambrogio Mariano di S.Benedetto, scritto da APOLLINARE da S.GAETANO nel 1693 a Napoli o,
ancora un secolo dopo, alcune delle dissertazioni di Ludovico Antonio Muratori datate 1793.
48
Nel suo saggio “Elementi per una storia dell’Ordine di Malta nell’Italia moderna”,
«Mélanges de l’École française de Rome, Moyen Age – Temps Modernes», tome 96 (1984), 2,
Angelatonio Spagnoletti ricorda come Papa Benedetto XIV nel 1753 confermò tutti i privilegi
concessi dai pontefici alla Sacra Milizia e “stabilì esplicitamente l’esenzione dei cavalieri
dell’Ordine dalla giurisdizione di chicchessia e dei beni che essi amministravano da
imposizioni ecclesiastiche o da pesi laicali” (pag. 1025, nota 17).
49
A.SPAGNOLETTI, “Elementi per una storia dell’Ordine di Malta nell’Italia moderna”, op. cit,
pag. 1029. L’Autore sostiene che gli ordini militari “assolovono la funzione di tutela della
mobilità sociale di un’area del privilegio che gli interventi dei sovrani e, per quanto riguarda
18
complementare, causa del mutamento di funzione sociale degli ordini militari
cavallereschi va poi ricercata nella crescita, negli stessi decenni, dell’identità
dello Stato moderno che, sostituendosi ad essi, attribuisce un qualcosa di di più
e di diverso alle aristocrazie nazionali, strutturando quella nobiltà di servizio
che caratterizzerà i secoli a venire. In questa prospettiva, non è difficile
immaginare i prodromi della contesa tra un Ordine cavalleresco multinazionale
in difficoltà, quantomeno a Malta, per la necessità di trovare le basi sulle quali
fondare un nuovo spirito di unità, ed i nascenti Stati nazionali, gelosi delle sue
prerogative “sovrane” e del suo notevolissimo patrimonio fondiario.
Dal carattere non centralizzato dell’amministrazione dei suoi Priorati e delle
sue commende, l’Ordine aveva tratto buona parte della sua forza e della sua
vitalità: come si è sostenuto50, era un decentramento che meglio rispondeva alla
sua natura di organizzazione aristocratica internazionale, un modello
d’amministrazione che dava l’impressione di trovarsi in presenza di una
gestione aristocratico-feudale laica più che ecclesiastico-regolare, come la
natura di Ordine religioso della Milizia avrebbe potuto far pensare.
Caratteristica peculiare dei meccanismi di assegnazione dei benefici melitensi
era data dal fatto che ciascun confratello poteva essere investito della dignità di
Commendatore, Balì o Priore esclusivamente nell’ambito del Priorato di
appartenenza, con l’importante eccezione data dalle Lingue d’Italia e di
Provenza dove invece vigeva il regime della cd “promiscuità” che prevedeva
l’Ordine di Malta, le particolari vicende di tante città italiane, tendono a rendere sempre più
affollata.” (pag. 1027).
50
Cfr. supra, Cap. I, par. 2
19
che le cariche potessero essere assegnate a tutti i Cavalieri appartenenti alla
Lingua, prescindendo dal Priorato di appartenenza.51
Orbene, se si considera che i confini amministrativi delle Lingue e dei Priorati
non coincidevano con quelli politici dell’Europa del tempo ma piuttosto ad essi
si sovrapponevano, di modo tale che più Stati estendevano la loro giurisdizione
su un solo Priorato o viceversa, si intuisce come l’Ordine fosse riuscito fino ad
allora, attraverso tale strategia, a preservare e garantire la preminenza dei suoi
valori ed interessi internazionali sulle logiche particolaristiche delle monarchie
nazionali. Tuttavia, proprio, i cambiamenti socio-culturali cui si accennava
prima, avrebbero di lì a poco portato ad emegere le diverse componenti
nazionali di ciò che era stato fino ad allora un corpus nobiliare europeo, unito
sotto la croce gerosolimitana. Ed il grimaldello capace di scardinare quel
monolite, fu rappresentato proprio dal delicatissimo tema dell’assegnazione dei
benefici fondiari; a tal proposito, scrive lapidariamente Spagnoletti che “è sulla
questione della provvista delle commende, dominata da spinte provenienti
dall’interno e dall’esterno dell’Ordine […] che si gioca il destino dell’Ordine
come forza di raccolta delle migliori energie delle “élites” aristocratiche
europee e, di conseguenza, valido interlocutore delle singole monarchie
assolutistiche”.52 Questo preoccupante fenomeno appare in tutta la sua forza se
consideriamo come spettro d’indagine il rapporto tra l’Ordine e la Santa Sede,
tradizionalmente protettrice della Milizia; infatti, nonostante i reiterati privilegi
51
Ancora Spagnoletti, nel suo Stato, aristocrazie e Ordine di Malta nell’Italia moderna,
Roma, 1988, sostiene che “tale promiscuità di rivelava certamente giovevole agli interessi
dell’Ordine che così era in grado di inserire i propri Cavalieri in un circuito largo di
provviste. Accentuato ne risultava il carattere soprannazionale dell’istituzione e favorito era il
distacco dei nobili crociati dal più stretto legame delle fedeltà statuali.”, pag. 172.
52
A.SPAGNOLETTI, “Elementi per una storia dell’Ordine di Malta ”, op. cit, pag. 1030.
20
concessi dai Romani Pontefici alla Religione Gerosolimitana escludessero
qualsivoglia interfenza papale nei meccanismi di assegnazione dei benefici,
riconoscendone l’esclusiva pertinenza magistrale, dalla Curia romana venivano
emanati con frequenza imbarazzante “brevi” di deroga che laceravano gli
Statuti melitensi assegnando le commende dei sette Priorati della Lingua
d’Italia a cavalieri curiali.53 Solo per dare un’idea basterà citare il Papa
Alessandro VII (al secolo Fabio Chigi) che, nel 1658, nomina il nipote
Sigismondo Chigi alla guida del Priorato di Roma e destina la pingue
commenda di Bologna allo zio cardinale Flavio Chigi54. Il lamento del
malcostume pontificio, che profittava della plurisecolare protezione accordata
ai Giovanniti, non dimenticando di far pesare, a titolo di memento mori, la sorte
toccata ai Cavalieri del Tempio ed a quelli del Santo Sepolcro55, è ben
testimoniata nelle parole di Bartolomeo del Pozzo che, nella sua celebre
Historia della Sacra Religione Militare di S.Giovanni Gerosolimitano detto di
Malta, scrive che sono “degni i Cavalieri italiani di compatimento, i quali
entrati in questa Religione col supporto di godere un giorno un pezzo di pane,
e di giunger a qualche honore promesso loro dagli Statuti dell’Ordine, s’eran
non solo obbligati con voti; ma rinunciato la maggior parte il proprio
Patrimonio, havendo speso il poco residuo delle loro sostanze in Servitio
53
Il Priorato di Roma, in particolare, era ormai “appannaggio esclusivo di cardinali anche non
cavalieri” ricorda R.A. DE VERTOT, Histoire des Chevaliers hospitaliers de Saint Jean de
Jérusalem appellez depuis Chevaliers de Rhodes et aujourd’hui Chevaliers de Malthe, Parigi,
1737
54
I cardinali acquaistavano la “capacità” attraverso ina apposita dispensa apostolica. Cfr. R.A.
DE VERTOT, Histoire des Chevaliers, op. cit., pag. 126.
55
Da non confondersi con l’attuale Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme,
isituito da S.S. Pio IX nel 1868, quello di cui nel testo affondava le proprie radici nell’epopea
crociata e venne sopresso dal Papa Innocenzo VIII nel 1489 con un Breve che disponeva altresì
l’assegnazione dei beni ai Giovanniti.
21
dell’Ordine, consumata la gioventù in viaggi, e caravane, sparso il sangue, e
esposta in mille cimenti la vita; e pure trovandosi alla fine della carriera, dopo
acquistato il jus delle Commende, e delle Dignità, vedersi in ultimo defraudati
d’ogni cosa, ne restarsi con altro pecunio difatiche, che una povera e stenta
vecchiaia”56.
L’opera, scritta all’alba del Settecento, testimonia le tensioni che turbavano il
delicato equilibrio della Religione, il lento ma costante indebolimento delle
gerarchie giovannite: lo stesso Gran Maestro usciva sminuito nel suo ruolo
egemone per non esser capace di contrastare il fenomeno.
Delusi dal Magistero, scalzati dal nepotismo papale, i cavalieri, in cerca di
nuove solidarietà, finirono per rivolgere la loro attenzione, a partire dai primi
decenni del secolo dei Lumi, ai loro sovrani che, forti di una crescente
articolazione dei loro apparati, infastiditi dalla presenza sul loro territorio del
coacervo di interessi che ruotavano attorno al patrimonio giovannita, dettero
vita alla nazionalizzazione dell’Ordine, utilizzando come cavallo di Troia la
fine del regime di promiscuità nella distribuzione delle commende.
Quanto stava accadendo aveva radici lontane : già nel 1540, e poi ancora a più
riprese nel corso di tutto il Seicento, per esempio, il corpo nobiliare
napoletano57 aveva chiesto al Re di opporsi all’assegnazione delle commende
meridionali a cavelieri “extraregnicoli”58 e la risposta ricevuta si era limitata ad
56
B. DAL POZZO, Historia della Sacra Religione Militare di S.Giovanni Gerosolimitano detto
di Malta, Verona, 1703-1705, Vol. II, pag. 343.
57
Cfr. M. GATTINI, I priorati, i baliaggi e le commende del Sacro Militare Ordine di s.
Giovanni nelle provincie meridionali prima della caduta di Malta, Napoli, 1928, pag. 162
58
L’espressione è utilizzata da A. SPAGNOLETTI ad indicare cavalieri non sudditi del Regno sul
cui territorio insisteva il beneficio giovannita, a prescindere dal Priorato di appartenenza.
22
un laconico“si scriverà al Gran Maestro per vedere cosa si può fare”59; né il
fenomeno appariva limitato alla sola Lingua d’Italia, se è vero che nel 1678 in
Aragona, le locali cortes si erano pronunciate nel senso di negare l’attribuzione
di una commenda ad uno straniero, costringendo il Re ad intervenire nel senso
“che non si facessero novità”60. Particolarmente interessante, poiché ben
documentata dal testo pubblicato dall’autore Filippo Solombrini, nella qualità
di avvocato della città di Napoli, l’allegazione61 presentata nel 1726 dalla
nobiltà meridionale al Consiglio Collaterale del Regno di Napoli. Vi si può
leggere l’eco di antiche istanze basate sulla migliore cura che i locali avrebbero
potuto avere dei beni, e il soparaggiungere di considerazioni del tutto nuove,
fondate sull’opportunità che debba essere il principe a dover dire l’ultima
parola in materia di onore e decoro ed a conseguentemente dispensare quanto
(come le commende gerosolimitane) onore e decoro possono apportare ai
cavalieri del Regno. Se, nei primi decenni del Settecento, tali istanze non erano
ancora pronte per essere recepite, la situazione muterà sul volgere del secolo.
L’occasione propizia ebbe il volto e la determinazione di Vittorio Amedeo III,
Re di Sardegna, il quale, nel 1781, chiede formalmente al Consiglio
dell’Ordine di porre fine al regime della “promiscuità” nell’assegnazione dei
benefici nei sette priorati di cui si componeva la Lingua d’Italia, facendo ben
intendere che non avrebbe più tollerato, sulle commende ricadenti sul suo
59
F. SOLOMBRINI, Ragioni del Regno di Napoli per mezzo delle quali chiaramente si dimostra,
che le commende, balie, e priorati che la sacra religione di Malta ha nel regno stesso, non si
debbano conferire, se non a’cavalieri religiosi nazionali, Napoli, 1726, citato in A.
SPAGNOLETTI, Stato, aristocrazie e Ordine di malta nell’Italia moderna, op. cit. pag. 181
60
B. DAL POZZO, Historia, op. cit., Vol. II, pag. 457.
61
Il riferimento corre alle succitate Ragioni .
23
territorio, titolari che non fossero sudditi sabaudi.62 Da Malta, con intento
temporeggiatore, si richiese sulla questione un parere delle assemblee priorali:
se i cavalieri piemontesi63 si compattarono intorno al loro Re, provocando di
fatto la loro separazione dal Priorato di Lombardia (nei cui confini ricadeva
tutta l’Italia nord occidentale), negli altri priorati fu facile, nascondendosi più o
meno velatamente dietro l’irremovibilità del Re sabaudo, liberarsi dal peso
della responsabilità non dimenticando tuttavia di sottolineare il fatto di sentirsi,
da qual momento, liberi da legami nei confronti degli altri. Nel giugno 1782 i
tre priorati di Capua, Barletta e Messina, favorevoli alla fine della promiscuità,
scelsero di restare uniti, giacchè tutti soggetti a Ferdinando di Borbone;
nell’agosto dello stesso anno, l’assemblea priorale di Roma votò a favore della
divisione; negli stessi giorni, Ferdinando Duca di Parma, sulla scia del sovrano
sabaudo, dichiarava che non ci sarebbe stato più spazio, nelle commende
ricadenti sul territorio ducale, per titolari “stranieri”. Soltanto il Priorato di
Pisa, non a caso quello meno consistente in termini di estensione territoriale e
numero di cavalieri (e commende disponibili), si schierò contro la divisione: il
verbale della loro assemblea64 ci restituisce una significativa consapevolezza
del significato ultimo di quanto stava accadendo: ponendo fine all’unicità della
Lingua ed alla promiscuità nella distribuzione delle dignità, si sarebbero create
per i cavalieri toscani, tante “porzioni” dell’Ordine quanti erano “i principi
negli Stati”. Per quanto interessatamente lungimiranti e dotati di buon senso
62
Cfr. M. GATTINI, I Priorati, op. cit., pagg. 161-165
Il verbale dell’Assemblea Priorale di Lombardia, tenutasi l’11 maggio 1781 è citato in
A.SPAGNOLETTI, Stato, aristocrazie, op. cit., pag. 182. Per i cavalieri piemontesi “procurare il
vantaggio della Religione” significava “accorrere tutti a concordare colle mire de’ rispettivi
sovrani”
64
Citato in A.SPAGNOLETTI, Stato, aristocrazie, op. cit., pag. 184.
63
24
storico, anche i cavalieri toscani dovettero ben presto rifugiarsi sotto la tutela
del Granduca Pietro Leopoldo. Nel 1784, infatti, venne ratificato dai sovrani
“italiani” e dal Gran Magistero dell’Ordine il cd “piano conciliativo” redatto
dal balì Carlo Abele de Loras65 ove veniva formalmente sancita la cessazione
della comunione tra i sette Priorati della Lingua d’Italia. Se il Priorato di Roma
restava a disposizione del Romano Pontefice, i tre priorati ferdinandei
venivano considerati come un corpus unico anche se il Gran Maestro avrebbe
potuto perseverare nella “promiscuità” per decidere la titolarità delle tre dignità
priorali66, dei quattro baliaggi insistenti sui tre Priorati67, e delle tre commende
di camera magistrale68. Al termine di questo processo, la Lingua d’Italia, ormai
quasi del tutto “nazionalizzata” restava unita praticamente solo nel nome: i
sovrani avevano fatto sentire il loro peso nelle vicende dell’Ordine di Malta,
non tanto per annientarlo (rimaneva un’istituzione religiosa, dotata di
imponente vis attractiva a tacer d’altro per il suo ruolo di custode dei crismi
della nobiltà) quanto per omologarlo al nuovo corso caratterizzato, per dirla
con Spagnoletti, dal “grado di maturità ed autoconsapevolezza che lo Stato
settecentesco ha ormai raggiunto”69.
Viene spontaneo, a questo punto, interrogarsi sulle strategie elaborate a Malta
per reagire all’evoluzione, oltre che degli eventi, del clima culturale, politico,
sociale della quale abbiamo tentato di tratteggiare i punti salienti. Se, come
65
Cfr. M. GATTINI, I Priorati, op. cit., pagg. 161-165; A.SPAGNOLETTI, Stato, aristocrazie, op.
cit., pag. 184; A.SPAGNOLETTI, Elementi , op. cit, pag. 1033.
66
Capua, Barletta e Messina
67
Santo Stefano di Monopoli e Santa Trinità di Venosa (Priorato di Barletta) , Sant’Eufemia e
San Giovanni a Mare (Priorato di Capua),
68
Vedi supra, Cap. I, par. 2. Le commende di camera magistrale erano una per ogni priorato ed
in particolare : San Giovanni Battista del Ponte di Polizzi (Priorato di Messina); Maruggio
(Priorato di Barletta); San Pietro di Cicciano (Priorato di Capua).
25
abbiamo visto, le monarchie europee si trasformavano in complessi apparati
capaci di sviluppare nuovi modelli di gestione del potere, l’Ordine di Malta
sentì l’esigenza di reagire, tentando per tutto il corso del Settecento di porsi
sullo stesso piano, attraverso la pianificazione di quella che è stata definita la
“monarchisation de la personne du Grand Maître” e la contestuale “étatisation
de l’Ordre”70. Nonostante le copiose attribuzioni di titolature pervenute nei
secoli precedenti al Gran Maestro dell’Ordine di San Giovanni tanto da parte
papale quanto da parte imperiale71, ancora fino alla fine del Seicento la
percezione che a nelle cancellerie europee si aveva della suprema carica
giovannita era quella del superiore di ordine religioso, di un principe di rango
ecclesiastico. Già il portoghese Anton Manuel de Vilhena, eletto alla dignità
magistrale nel 1722, aveva fatto elaborare un progetto dal quale emergeva la
necessità di ottenere dal Papa e dall’Imperatore l’autorizzazione a vestire i
segni esteriori della sovranità, al fine di apparire “sacré comme chef d’un ordre
illustre ayant, en cette qualité, le rang de cardinal et couronné comme solverai
à l’imitation del èlecteurs ecclésistiques de l’Empire”72.
Sarà tuttavia con l’elezione alla suprema carica giovannita del balì portoghese
Emanuel Pinto de Fonseca, avvenuta nel 1741, che questa tendenza
raggiungerà il suo apice, anche grazie alla notevole durata del suo Gran
Magistero, destinato ad accompagnare la Religione sino al 1773, anno della sua
morte, alla venerabile età di 92 anni. Entrato nella Milizia a soli due anni (a
69
A.SPAGNOLETTI, Elementi , op. cit, pag. 1034.
Devo le categorie utilizzate all’opera di A.BLONDY, L’Ordre de Malte au XVIII siècle. Des
dernières splendeurs à la ruine, Paris, 2002
71
Cfr. F. GAZZONI, L’Ordine di Malta, Macerata, 1979, pag. 13, nota 16.
72
Il progetto, datato 1736, anno della morte di Vilhena, è citato in A.BLONDY, L’Ordre de
Malte, op. cit., pag. 29.
70
26
seguito di dispensa papale), cresciuto a Malta, dove già all’età di 11 anni era
divenuto paggio del Gran Maestro aragonese Ramon Perellos, Pinto riceve una
solida formazione giuridica e scala ben presto le gerarchie del Convento.
Riveste la carica di vice cancelliere, conosce il diritto che regola la vita della
Religione e quello che disciplina i suoi rapporti con le legislazioni nazionali
straniere, ha seguito personalmente le relazioni diplomatiche dell’Ordine con i
principali attori della scena internazionale.73 E’, insomma, diremmo oggi, un
uomo di Stato che vuole attribuire alla sua funzione un’aura regale, come si
scriveva prima, “à l’imitation” delle grandi corti europee; si circonda di un
vero e proprio gabinetto formato dai uomini ch’egli nomina personalmente
affinchè rivestano i ruoli di Siniscalco, Ciambellano, Maggiordomo,
Ricevitore. Tuttavia, è proprio sul campo dei rapporti internazionali che Pinto
intende giocare la sua partita: conscio della valenza politica che l’attribuzione
degli onori diplomatici74 ai suoi inviati avrebbe avuto sullo scacchiere europeo,
dona stabilità a quelle che fino ad allora erano state (eccezion fatta per le
relazioni con la Santa Sede) ambascerie straordinarie o, per usare un termine
moderno, missioni speciali utilizzate per partecipare alla litania degli
avvenimenti dinastici delle monarchie europee (intronazioni, nascite,
matrimoni, lutti)75 o per rendere queste partecipi delle vicende gerosolimitane.
E’ sotto il magistero di Pinto che le ambascerie presso il Re di Francia, il Re di
73
Traggo le notizie da C. TESTA, The life and times of Grand Master Pinto, op.cit.
Sul tema del cerimoniale diplomatico anteriormente al Congresso di Vienna, cfr. A.
MARESCA, Il procedimento protocollare internazionale, vol II. Procedure diplomatiche ed
extradiplomatiche, Milano, 1969
75
Per un esempio di missione speciale, si può citare quanto accaduto alla morte di Pinto,
quando il capitano Luigi Requesens viene inviato con rango di ambasciatore dal Viceré di
Sicilia per annunciare l’elezione dell’aragonese Francisco Ximenes de Texada.
74
27
Spagna, l’Imperatore (oltre che il Romano Pontefice) diventano permanenti76.
Può essere interessante, al fine di far trasparire da queste pagine lo spirito del
tempo, ricordare come, nel 1742, il balì de Froullay, amabasciatore di Pinto
presso Luigi XV, Grande di Spagna ed in quanto tale titolare del massimo
rango nella complessa gerarchia degli onori di corte, chieda ed ottenga dal
sovrano francese di poter godere di questi onori77non intuitu personae ma in
quanto ambasciatore dell’Ordine, da trattarsi al pari degli inviati diplomatici
delle monarchie europee. Ed ancora, degna di una sceneggiatura, appare la
vicenda degli onori da riservarsi al ministro giovannita alla corte papalina: tra
intrighi e colpi di scena, la storia si dipana per oltre un decennio, dal 1746 al
1759, conivolgendo le cancellerie di Roma, Madrid, Parigi, Vienna e Venezia e
si conclude con il trionfale ingresso nella città eterna del bali de Breteuil,
plenipotenziario di Pinto presso il Romano Pontefice.78
Tutto quanto narrato, lungi dal mero valore di cronaca, ha invece il merito di
mettere bene in luce il ruolo giocato dalla Religione nei suoi rapporti con le
Potenze cattoliche: quei segni d’onore, nella società di Antico Regime avevano
significati codificati, precisi e testimoniavano lo sforzo dell’Ordine teso ad
essere considerato un soggetto con cui trattare alla pari. Era in gioco, per
esempio, il delicatissimo tema della tassazione, oltre che dell’attribuzione,
come abbiamo visto, dei beni che insistevano nei diversi territori: elevando
l’arcipelago al rngo di Principato, Pinto sperava di spostare il piano della
contesa dal diritto interno al diritto internazionale. Ancora, più efficacemente,
76
77
Cfr. F.GAZZONI, L’Ordine di Malta, op. cit. pag. 75
I cd “honneurs du Louvre” ancor superiori a quelli tributati ai dignitari a Versailles.
28
per il tramite di questa sua peculiare politica estera, Pinto trasforma il modello
di governo delocalizzato tipico di un ordine religioso, nel governo centralizzato
di un nuovo soggetto a vocazione statuale; per dirla con Blondy “par ses
ambassadeurs, Pinto s’addressa directement aux souverains pour traiter des
affaires, d’État à État”79, scavalcando i responsabili di Lingue e Priorati, fino
ad allora punti di forza del decentramento melitense. Va altresì rimarcata
l’estrazione di questi diplomatici, la scelta della cui identità era il frutto di un
lungo negoziato tra l’Ordine accreditante e la Potenza di turno, scgliendosi
comunque sempre un membro dell’Ordine “regnicolo”, spesso appartenente
alla corte del sovrano accreditatario80. Questa deriva centralistica, di stampo
assolutistico, tentata da Pinto attraverso i suoi ministri, sarà effeicacemtne
stigmatizzata da una memoria, datata 1763, vergata dal Gran Priore di Francia
ove si legge che “l’ambassaduer est l’homme du Grand Maître; le moyen sûr
de tout concentrer dans l’un et donc de concentrer tout dans l’autre”81.
Alla luce di quanto accadrà nei decenni successivi, non è forse eccessivo
affermare che questo tentativo di sfidare le monarchie europee sul loro terreno,
era davvero desinata a fermarsi sul piano della mera imitazione. Troppo diverse
le caratteristiche della Sacra Religione, priva di una vera identità popolare, con
la sua funzione di baluardo della Fede in profonda crisi, installata su un piccolo
arcipelago al centro di un Mediterraneo che aveva perso la centralità
geopolitica
appartenutagli
prima
del
78
dominio
degli
oceani,
perché
Traggo queste vicende dalla narrazione, ricca di particolari, contenuta in C.PETIET, Ces
Messieurs de la Religion ou l’Ordre de Malte au XVIII siècle, Paris, 1992, pagg. 205-216.
79
A.BLONDY, L’Ordre de Malte, op. cit., pag. 37
80
Per restare ai casi citati supra, il balì de Froullay era un cortigiano di Luigi XV ed il balì de
Breteuil era il cugino dell’Ambasciatore del Re di Francia presso la Santa Sede.
81
Il manoscritto è citato in A.BLONDY, L’Ordre de Malte, op. cit., pag. 40
29
quell’imitazione potesse funzionare. Come nota conclusiva, può non essere
superfluo far notare come, degli anni del magistero portoghese, rimanga
soprattutto l’ossessione nei confronti della rappresentazione del suo potere: in
un recente saggio, una storica dell’arte82 ha rimarcato come ciò trovi la sua
apoteosi nel celebre Ritratto del Gran Maestro Manuel Pinto de Fonseca83
commissionato all’artista francese Antoine Favray nel 1747: attraverso “il
manto rivestito d’ermellino e la corona chiusa sormontata dalla croce” il
dipinto diventa un “panegirico, un’icona del potere assolutistico […] che si
concretizza a piena nella formula del ritratto di Stato” finendo per tradursi in
“una magniloquenza che assume toni quasi anacronistici”.84
1.3 Il riformismo del Gran Maestro de Rohan
L’ultimo quarto del Settecento finisce per caratterizzarsi, per il Principato
giovannita, come l’età degli ultimi spendori85. Indebolitosi fin quasi a divenire
inerme il tradizionale nemico turco-barbaresco, si opacizza la componente
puramente militare dell’appartenza all’ordine cavalleresco; in più parti
d’Europa giunge a maturazione il tempo delle contese giurisdzionalistiche e,
nell’arcipelago, cresce il livello dello scontro tra membri dell’Ordine e
popolazione indigena86. L’Ordine attraversa inoltre una importante crisi
finanziaria, come emerge dal Bilancio decennale pubblicato dal Segretario del
82
A.SCIARPELLETTI, I Cavalieri: la stagione dei grandi ritratti, in S.MACIOCE (a cura di), I
Cavalieri di Malta e Caravaggio La Storia, gli Artisti, i Committenti, Roma, 2010
83
Olio su tela, cm. 248 x 190, presso St. John’s Co-Cathedral, La Valletta, Malta
84
A.SCIARPELLETTI, I Cavalieri, op. cit., pag. 152
85
Devo la locuzione al sottotitolo del citato saggio di Alain Blondy che definisce il secolo
XVIII come quello che porterà l’Ordine, per l’appunto, “des dernières splendeurs à la ruine”.
86
Su questa specifica tematica, cfr, A. MENNA, Storia dell’Isola e dell’Ordine di Malta (1798 –
1815), Napoli, 1978
30
Comun Tesoro nell’aprile 178887: l’esiguità dell’avanzo tra i proventi “fiscali”
e le spese generali è prova di una crescente debolezza economica che non può
non aver conseguenze sul piano politico. E’ in questo clima che nasce, sotto la
guida del Gran Maestro francese Emanuel de Rohan-Polduc, eletto nel 1775,
una spinta al consolidamento giuridico che ha un forte valore semantico:
perseguire, il rafforzamento del piano politico attraverso un progetto di
uniformità legislativa. L’intento riformatore investe le radici profonde della
vita giuridica e politica del Principato giovannita, facendo iscrivere a buon
diritto il Gran Maestro del’Ordine alla schiera di quei principi europei che ,
negli stessi anni, stanno dando vita alla stagione dell’assolutismo illuminato,
del paternalismo. Sono gli anni in cui vanno alle stampe il Codice Estense
(1771), il Regolamento Giudiziario Civile di Giuseppe II per l’Impero
d’Austria (1781), la Leopoldina (1786) fino all’Allgemeines Landrecht
prussiano del 1794. A Malta più che altrove è necessario dar vita ad un
processo di semplificazione del sistema delle fonti del diritto attraverso il quale
poter partecipare a quel movimento che, nell’Europa continentale, sta
dichiarando la “fine del modello giuridico d’Ancien Régime e l’avvento dei
sistemi legali fondati sullo strumento codicistico”88. Nell’arcipelago maltese,
geograficamente isolato ma culturalmente non periferico grazie all’estrazione
multinazionale dei Cavalieri, il riformismo si mostra sensibile ai dettami del
giusnaturalismo e del razionalismo tipici delle coeve tendenze francesi ma
anche al richiamo della tradizione giuridica napoletana, da quella scuola
provenendo i migliori giuristi locali. Non è dunque un caso se il Gran Maestro
de Rohan, sul finire degli anni settanta del Settecento, chiami sull’isola il
giurista pugliese Giovanni Donato Rogadeo, nominandolo Segretario di Stato
per la Giustizia. Nato a Bitonto nel 1718, prima della chiamata magistrale,
87
Il Bilancio Decennale del Comun Tesoro dal Primo maggio 1778 a tutto aprile 1788, è
pubblicato in M. de PIERREDON, Histoire politique de l’Ordre Souverain de Saint-Jean de
Jérusalem (Ordre de Malte) de 1789 à 1955, Paris, 1956, Vol I, pag. 20
88
E. DEZZA, “Per li tempi d’avvenire siano abolite le torture”.Nota sulla discilina del processo
penale nel Codice Municipale di Malta del 1784, in Saggi di storia del processo penale
nell’età della codificazione, Padova, 2001.
31
Rogadeo esercita per circa un trentennio la professione forense a Napoli89,dove
partecipa, con ruolo non minore, alla proiezione della scuola giuridica
napoletana verso le punte più avanzate del pensiero europeo. Dotato di una
personalità non docile, Rogadeo si fa notare per le sue posizioni polemiche nei
confonti degli aspetti più conservatori dei custodi dell’attività forense,
mostrandosi profondo conoscitore delle modalità di amministrazione della
giustizia del Regno, pienamene cosciente della necessità di avviare al suo
epilogo la stagione dei pratici del diritto comune. Con linguaggio
contemporaneo, lo si protrebbe definire un “autore scomodo”, come testimonia
la circostanza per la quale la sua opera più celebrata, il Saggio di un’opera
intitolata il Il diritto pubblico e politico del Regno di Napoli intorno alla
sovranità, alla economia del governo e agli ordini civili, finisce per essere
pubblicata, nel 1767, senza l’indicazione dell’Autore e con la specifica di una
fantomatica Cosmopoli come luogo di edizione90. Nell’esercizio della
professione forense, in più di svariate occasioni, si pone al servizio della
Religione giovannita, del quale, seguendo una tradizione familiare, entra a far
parte nella qualità di Cavaliere di Giustizia91. Chiamato a Malta con un
appannaggio che, con i suoi 2600 ducati annui, apparve ai contemporanei di
straordinaria entità (basti considerare che quello di cui godeva il Principe si
aggirava sui 6000), suscitando l’immediata diffidenza del ceto forense locale, il
giurista bitontino avvia il proprio progetto riformatore tentando di dare
uniformità alla prassi ed agli orientamenti della locale giurisprudenza; a tal
fine, istituisce un nuovo organo cui attribuisce il nome di “Supremo Magistrato
di Giustizia”: il provvedimento92 entra in vigore nel 1777 e, nel suo primo
89
Per una biografia di Rogadeo cfr. VILLAROSA (Marchese di), Notizie di alcuni cavalieri del
Sacro ordine gerosolimitano illustri per lettere e per belle arti, Napoli, 1841, pagg. 284-286
(dove il cognome del giurista, di nobile estrazione, viene indicato come “Rogadei”)
90
Cfr. E.DEZZA, “Per li tempi d’avvenire siano abolite le torture”, op, cit., pag. 8, nota 25, in
cui si chiarisce che il volume “in realtà viene dato alle stampe a Lucca, nella più tollerante
Toscana di Pietro Leopoldo, presso lo stampatore Vaccolini”.
91
Nella sua prosa apologetica, il Marchese di Villarosa (Notizie, op. cit., pag. 283) racconta
che il Rogadeo “difese con molto valore in diverse circostanze il Sacro Ordine
Gerosolimitano, e ne ottenne un annua pensione di ducati 200, e di essere ricevuto
nell’istess’Ordine in qualità di Cavaliere di Giustizia (onore non nuovo alla famiglia Rogadei)
sanz’alcun pagamento.”
92
Constituzione per la erezione del Supremo Magistrato di Giustizia nel Principato di Malta e
del Gozo, Malta, 1777.
32
paragrafo, pur confermando la giurisdizione di primo grado degli organi fino
ad allora esistenti nel Principato93, unifica il grado d’appello devolvendolo al
nuovo “grande tribunale”94, a capo del quale il Gran Maestro nomina “il nobile
Giandonato Rogadeo ricevuto tra cavalieri di giustizia della nostra veneranda
Lingua d’Italia, da Noi espressamente chiamato per occupare tale carica e
destinato nostro Secretario per gli affari di giustizia e specialmente per la
legislazione di questo principato”95. La novità è accolta con disappunto dai
giuristi locali come testimonia un passo della Storia di Malta di Giovanni
Antonio Vassallo96: “il foro e le leggi abbisognavano di riforme e venne, non
v’era uopo, chiamato da Napoli l’avv. Gandonato Rogadeo, il quale aveva
colà pietite, con abilità, cause dell’Ordine”. Creato il nuovo organo, prosegue
il Vassallo, “gli uditori e tutto il ceto legale, accorti della malizia dello
straniero, il quale assai di malocchio guradava loro come consiglieri del Gran
Maestro, gli mossero guerra”. E’ in questo clima che, nonostante tutto,
Emanuel de Rohan attribuisce al giurista pugliese il compito di dedicare le sue
cure alla redazione di un Codice municipale. La precedente compilazione97 era
stata infatti realizzata sotto il magistero del portoghese Antonio Manoel de
Vilhena, datava 1723, ed altro non era se non una raccolta di prassi organizzate
per titoli.
Il suo compilatore, padre Paccarotti, segretario del Gran Maestro lusitano,
aveva semplicemente messo ordine tra le varie fonti normative, copiosamente
ispirandosi al lavoro effettuato circa mezzo secolo prima dal Gran Maestro
Gregorio Carafa dei principi della Roccella “per il buon governo e ottima
93
Cfr. C. CARCERERI DE PRATI, Le riforme giudiziarie a Malta nella seconda metà del XVIII
secolo, introduzione a Codice di Malta 1777/1784, Milano, 2001. Tali organi erano : la Gran
Corte di Castellania, la Corte Capitaniale della Città Notabile, la Corte Governatoriale del
Gozo, le Corti della Magistral Segrezia, il Consolato del Mare.
94
Sulla categoria, cfr., tra gli altri, M. SBRICCOLI e A. BETTON (a cura di), Grandi Tribunali e
rote nell’Italia di antico regime, Macerata, 1993
95
Constituzione, op.cit., pag. 5
96
G.A. VASSALLO, Storia di Malta, Malta, 1854
97
Leggi e costituzioni prammaticali rinnovate , riformate ed ampliate dal Serenissimo, ed
Eminentissimo Fra D. Antonio Manoel de Vilhena de’ conti di Villaflor, Gran Maestro della
Sacra Religione Gerosolimitana e dell’Ordine Militare del S.Sepolcro, Prencipe di Malta, e
Gozo, &c., Malta, 1724
33
direzione del suo Stato e vassallaggio”98. Il Rogadeo è cosciente
dell’inadeguatezza, dovuta all’obsolescenza, di questi strumenti normativi e,
forte della sua formazione napoletana, intraprende l’opera di redazione del
progetto, senza privarsi di indirizzare ai contemporanei una sorta di manifesto,
al tempo stesso politico e giuridico, sul tema. Nel 1780 manda così alle stampe
i cd cinque Ragionamenti,99 con la duplice finalità di, da una parte, tentare di
sopire le polemiche che instacabilmente il clero locale ed il ceto forense
melitense sollevavano contro il suo operato per il timore di poter perdere le
rispettive posizioni di privilegio, e, dall’altra, di chiarire i capisaldi della sua
opera di rinnovamento. Se il quarto ed il quinto dei cinque punti sviluppati nel
ponderoso volume di oltre quattrocento pagine, sono dedicati alla trattazione di
questioni più squisitamente processualpenalistiche quali, rispettivamente, il
delicatissimo, ma, al tempo stesso, modernissimo tema dell’abolizione della
tortura e della limitazione dell’utilizzo della pena capitale, è comunque
interessante ricordare come tali “punti nodali della polemica giuspolitica
settecentesca […] vengono individuati e trattati da Rogadeo con una
sensibilità che ci appare prettamente illuministica”.100 I primi tre punti, invece,
sono dedicati a perorare la causa della necessità della riforma (primo
ragionamento), da attuarsi attraverso un codice ch’egli giudica “urgentissimo”
poiché è mancata nell’arcipelago per troppo tempo tanto un’attività di
armonizzazione giurisprudenziale del diritto romano quanto di riduzione ad
unità di quello che definisce il “diritto patrio”, così come a denunciare
(secondo ragionamento) la grave crisi del sistema giustizia dell’arcipelago che
poggia su “una ridevole compilazione” alla quale gli appare “improprio e
irreligioso dare il nome di Codice”, non rinunciando (terzo ragionamento) alle
già citate invettive contro il ceto togato locale che si ostina ad opporsi alla
98
Leggi e costituzioni prammaticali ordinate dal Ser.mo e Rever.mo Fra Gregorio Carafa dei
Principi della Roccella, degnissimo Gran Maestro della S.Religione Gerosolimitana, Principe
di Malta e Gozo, per il buon governo e ottima direzione del suo Stato e vassallaggio,
pubblicata sotto il maggio 1681, Malta, 1681
99
G.D. ROGADEO, Ragionamenti del cavaliere Giandonato Rogadeo sul regolamento della
giustizia e sulle pene, drizzati a S.A.E. Fra Emanuele de Rohan, Gran Maestro dell’Ordine
Gerosolimitano, del S.Sepolcro e di S.Antonio di Vienna, Principe di Malta e del Gozo, Lucca,
1780.
100
E.DEZZA, “Per li tempi d’avvenire siano abolite le torture”, op, cit., pag. 11
34
riforma “perché ferale alle loro rapine ed al loro dispotismo, il cui unico
sostegno è riposto negli usi del Paese”.101 Travolto dalle polemiche interne,
Giandonato Rogadeo sarà costretto a lasciare Malta prima di veder completato
il proprio lavoro; sarà nel 1784 che, previa rivisitazione e completamento del
progetto da parte del giurista maltese Federico Gatt, verrà pubblicato quello
che chiamiamo “Codice Municipale”102. Tale opera, a dispetto del nome
conferitotole, non può e non deve essere ascritta al rango delle codificazioni
nel senso che i contemporanei attribuiscono a questa espressione; dall’analisi
della sua struttura e della sua natura più corretto appare inserirla piuttosto nel
novero delle cosiddette “consolidazioni”, laddove per consolidazioni si
intendano, seguendo l’intuizione di Mario Viora103, delle collezioni normative.
Diviso in sette libri, i cui contenuti spaziano dal diritto civile a quello penale,
dalla normativa sostanziale a quella processuale, dalla disciplina commerciale a
quella militare, il Codice, nel sistema iuris melitense svolge la funzione di
raccogliere, ordinare ed attribuire nuova sistematicità a regolamentazioni già
esistenti, cui solo occasionalmente aggiunge elementi di innovativa modifica.
L’opera si inserisce appieno in un modello di organizzazione delle fonti tipico
della stagione del diritto comune, caratterizzato dalla coesistenza, accanto al
diritto di produzione principesca (quale vuole essere appunto il Codice
Municipale), di due ulteriori fonti normative : gli usi locali di fonte
consuetudinaria e l’utriumque ius romano-canonico. Il progetto di Rogadeo
presenta il vantaggio, tutto illuministico, di essere scritto in italiano, la lingua
ufficiale del Principato giovannita e risulta caratterizzato, ancora in omaggio al
dogma della chiarezza della legge, da uno stile complativo che lascia poco
spazio alla speculazione filosofico-dottrinale, risolvendosi in un dettato
normativo schietto ed incisivo. Claudio Carcereri de Prati ha ricordato come,
101
I corsivi sono tratti da G.D. ROGADEO, Ragionamenti, op. cit.
C. CARCERERI DE PRATI, Le riforme giudiziarie, op. cit., fa notare come, sebbene così fosse
chiamato nel decreto ufficiale di promulgazione, il testo venne pubblicato con il titolo “Del
Diritto Municipale di Malta”, l’espressione Codice essendo stata utilizzata per il Codice
gerosolimitano. A Malta sarebbe invece attualmente noto con la locuzione “Codice de Rohan”
che, invece, negli ambienti e nella letteratura dell’Ordine, sta ad indicare proprio il Codice del
1776/1782.
103
Cfr. M.E. VIORA, Consolidazioni e codificazioni. Contributi alla storia della codificazione,
Torino, 1967
102
35
nel 1875, un secolo dopo la sua entrata in vigore, in un contesto sotrico del
tutto mutato, il Codice Municipale di Rohan venisse ancora applicato dalla
Corte d’Appello di Malta per la soluzione di una controversia in quanto
“conservato in osservanza nelle Corti di Giustizia di queste isole e non […]
abrogato, né espressamente, né implicitamente”.104
Appare a questo punto doveroso specificare che il Codice Municipale di Malta
rappresentava, nel più complesso sistema iuris facente capo all’Ordine
Gerosolimitano, uno jus proprium delle isole dell’arcipelago, il risultato di un
compromesso tra la Religione e la popolazione indigena del territorio sul quale
essa insisteva il proprio dominio territoriale. Nel testo analizzato, nulla viene
disposto circa la struttura costituzionale della Milizia, in una separazione netta
del diritto pubblico che la dice lunga circa il carattere contingente con cui
l’Ordine viveva, per inveterata tradizione errante, la propria presenza nella cd
“porta d’Italia”, nonostante più di due secoli fossero passati dal proprio
insediamento al centro del Mediterraneo. Questa peculiare concezione della
propria sovranità, talmente insita nella natura stessa dell’Ordine da poter
prescindere dall’esistenza di un popolo (nel senso dei “cives” isituzionali) e di
un territorio era chiarissima alla dottrina melitense. Quando, nel 1792, ancora
sotto gli auspici del Gran Maestro de Rohan, il sacerdote Antonio Micallef,
ammesso nell’Ordine come cappellano conventuale nel 1751, dal 1784 titolare
della commenda di Cirasole, afferente al Priorato di Lombardia105, nella sua
qualità di Professore di Diritto Civile presso l’Università degli Studi di
104
C. CARCERERI DE PRATI, Le riforme giudiziarie, op. cit., pagg. XVI-XVII
Traggo la notizia da F.D’AVENIA, Nobiltà allo specchio, op. cit., pag. 33. L’Autore ricorda
altresì come le commende attribuite ai cappellani conventuali, “che ricevevano gli ordini sacri
per l’esclusivo servizio dell’Ordine”, fossero solitamente di minor valore rispetto a quelle che
si assegnavano ai cavalieri di giustizia.
105
36
Malta,106dà alle stampe le sue Lezioni su gli Statuti del Sagr’Ordine
Gerosolimitano nell’Università degli Studi di Malta per l’anno 1792107, nel
capitolo
III
dell’opera,
significativamente
intitolato
“Sovranità
del
Sagr’Ordine”, egli afferma che l’Ordine possiede il “carattere di Sovrano
Secolare nei Stati di sua residenza”. Tale concezione di “roving
sovereignty”,108 di sovranità errante, pacatamente ma fermamente teorizzata dal
Micallef, si mostrerà utilissima all’Ordine, alla luce della imminente perdita
dell’arcipelago maltese ad opera del Bonaparte. “Ma un Re senza regno, ed un
Sovrano senza territorio vi sarà qualch’uno, che non lo crederà possibile” pare
confutare il nostro Professore, che immediatamente fuga ogni dubbio citando
Grozio: “Mosé (dice il celebre Autore) era vero ed effettivo Monarca del
popolo Ebreo, quando andava ramingo”109. A differenza di quanto accaduto
con l’esperienza di Rogadeo, nelle sobrie pagine di Micallef, scirtte in italiano,
ogni polemica sembra essersi sopita e l’intento dell’opera pare non voler
dichiaratamente spingersi oltre la mera didattica indirizzata al ceto dei
“pratici”: raramente l’Autore si lascia andare a dissertazioni teoriche,
divagazioni filosofiche, sembrando invece più spesso guidato da una cospicua
dose di quel buon senso, pratico, per l’appunto, di chi è conscio delle esigenze
106
L’Univesità degli Studi di Malta er a stata fondata dal Gran Maestro Pinto nel 1769.
A. MICALLEF, Lezioni, op. cit. Due curiosità: nella richiesta di autorizzazione alle stampe
del volume formulata al Gran Maestro, l’Autore dichiara di voler procedere “per risparmiarsi
così a se la nojosa pena di dettare, ed a’discepoli quella di scrivere”; si tratta ora di leggere il
manoscritto per poterlo approvare ed il Gran Maestro francese, per assolvere questo compito
nomina il Commendator Antonio Miari, un cavaliere bellunese che ritroveremo più avanto
nella trattazione come Plenipotenziario dell’Ordine al Congresso di Vienna (cfr. infra, Cap. II,
par. 4). Per ragioni che non conosco, il 9 ottobre 1791 S.A.E. sostituì il Miari, evidentemente
indisponibile, con il Commendator Michele Benedetto Grimaldi.
108
Elaboro la definizione, utilizzando la nozione di “roving ambassador” in uso nella pratica
diplomazia contemporanea per indicare quei funzionari diplomatici, privi di un tradizionale
accreditamento presso un Governo, che esercitano funzioni il più delle volte nell’ambito della
diplomazia multilaterale.
107
37
dei suoi lettori. I due cavalieri nominati dal Gran Maestro per leggere l’opera e
riferire al Sacro Consiglio affinchè decida sull’autorizzazione ale stampe110, si
mostrano consapevoli del taglio adottato dal giurista maltese e scrivono che, a
parer loro,
“coteste Lezioni danno molto lume e molta chiarezza alla
disposizione ossia espressione letterale dello Statuto, e mostrano, che l’Autore
è profondamente versato nella Nostra Giurisprudenza”.111 Se, con l’opera di
Micallef, si conclude la stagione delle riforme voluta dal Gran Maestro de
Rohan, e con essa si chiude altresì la complessa storia giuridica del Settecento
maltese, occorre dare atto che il momento più alto di questa pagina, certamente
decentrata ma non meritevole d’essere negletta, della giuspubblicistica europea
viene vissuto con la pubblicazione, datata 1782, del Codice del Sacro Militare
Ordine Gerosolimitano112noto ai più come “Codice de Rohan”. Come si è detto
all’inizio della trattazione113, dopo centoquarantacinque anni di inattività, il
Gran Maestro francese, perseguendo quel progetto di rafforzamento dell’unità
politica del Principato da ottenersi anche attraverso la semplificazione ed il
consolidamento normativo, convoca il Capitolo Generale in sede legislativa. E’
il 1776 ed i lavori di redazione del testo definitivo si protarranno, pur con
alterne fasi, sino al 1779, anno in cui il testo riceverà l’approvazione di Papa
Pio VI: sarà definitivamente dato alle stampe nel 1782. Come già dicevamo per
il Codice Municipale, anche in questo caso l’espressione “codice” non va
109
A. MICALLEF, Lezioni, op. cit., pagg.16-17.
Si tratta, oltre che del già citato Commendator Michele Benedetto Grimaldi, del Sacerdote
Commendator Maturino Francesco de Müller
111
A. MICALLEF, Lezioni, op. cit., pagg.7-8
112
Codice del Sacro Militare Ordine Gerosolimitano, riordinato per comandamento del Sacro
Capitolo, celebrato nell’anno MDCCXXVI, sotto gli auspici di Sua Altezza Eminentissima il
Gran Maestro Frà Emanuele de Rohan, Malta, 1782
113
Cfr. infra, Cap. I, par. 1.
110
38
intesa in senso contemporaneo ma piuttosto come una raccolta sistematica di
fonti variegate, una sistemazione cronologica di norme di diversa origine e di
diversa epoca.
L’opera si presenta suddivisa in sei parti114, la più interessante delle quali (non
foss’altro che per la sua consistenza che, da sola, supera di gran lunga la
somma delle altre cinque) appare certamente essere la seconda, a sua volta
divisa in ventitre titoli.115
Ciascuno dei titoli si presenta come una raccolta di Statuti, ordinazioni
capitolari (in rapporto gerarchico tra loro) e consuetudini : fonti di diversa
estrazione, dunque, raggruppate ratione materiae. Per quanto, dopo l’ultimo
Capitolo Generale del 1631, la cultura giuridica abbia attributo significati
diversi a definizioni tecniche come queste, va detto che, nell’ambito del Codice
Gerosolimitano, gli Statuti, acompagnati sempre dal nome del Gran Maestro
regnante al momento della promulgazione, sono provvedimenti dotati di una
forza cogente tale da poter essere revocati solo attraverso un apposito
provvedimento del Capitolo Generale, laddove le ordinazioni, dal canto loro,
sono emanate in nome del Capitolo e sono destinate a durare fino alla prossima
convocazione dell’organo legislativo, a meno di apposita conferma.
114
I) Cronologie de’ Gran Maestri; II) Statuti e ordinazioni promulgate nel Capitolo Generale
del 1776; III) Cerimoniale da assumersi nella elezione de’ Gran Maestri; IV) Cerimoniale da
assumersi nell’armare li Cavalieri e dar l’abito dell’Ordine; V)Regolamento per la
conservazione e taglio de’ boschi appartenenti all’Ordine nel Regno di Francia; VI) Privilegi
concessi all’Ordine da diversi Pontefici.
115
I) Della Regola; II) Del Ricevimento de’ Fratelli; III) Della Chiesa; IV) dell’Ospitalità; V)
Del Comun Tesoro; VI) Del Capitolo; VII) Del Consiglio e de’ Giudizi; VIII) Dello Sguardio;
IX) Del Maestro; X) De’ Baglivi; XI) De’Priori; XII) Dell’Ufficio de’ Fratelli; XIII) Delle
Elezioni; XIV) Delle Elezioni; XV) Delle commende ed amministrazioni; XVI) Delle visite;
XVII) Dei Contratti e delle alienazioni; XVIII) Delle Allogazioni o siano Affiti; XIX) Delle
Proibizioni e Pene; XX) Della Cancelleria; XXI) Delle Albergie; XXII) Delle Galere e dei
Vascelli; XXIII) Della Significazione delle Parole.
39
Se tra le due fonti esiste un rapporto gerarchico che vede prevalere lo Statuto
sull’ordinazione, gli usi, segnalati all’interno di ogni titolo, dall’espressione
“consuetudine” accompganta da una numerazione romana crescente,
rappresentano la base di questo sistema delle fonti. Scritto in italiano, con parti,
quelle più risalenti, redatte in latino, francese o spagnolo (a seconda del
cronologico susseguirsi delle diverse nazionalità dei Gran Maestri), il Codice
Rohan ricostruisce l’assetto costituzionale della Milizia ponendone al vertice il
Principe Gran Maestro, figura diarchica nella quale si sommano l’autorità
civile e quella religiosa; del resto, scriverà Micallef, “il nostro Sagr’Ordine va
considerato in due aspetti: uno come vera Religione, e percò immediatamente
soggetto alla Santa Sede; l’altro” come già ricordato, “con il carattere di
Sovrano Secolare nei Stati della sua residenza.”116Singolare la circostanza per
la quale, ancor oggi, l’articolo 5 della Carta Costituzionale del Sovrano
Ordine117, rubricato sotto il titolo “fonti del diritto melitense” annoveri ancora
esplicitamente, sia pur attribuendogli valore di fonte residuale, “il Codice de
Rohan, quando non in contrato con le attuali disposizioni”.
116
A. MICALLEF, Lezioni, op. cit., pag. 12
Carta Costituzionale del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di
Gerusalemme, detto di Rodi, detto di Malta, promulgata il 27 giugno 1961, riformata dal
Capitolo Generale Straordinario del 28/30 aprile 1997, promulgata con Decreto consiliare del
04 dicembre 1997
117
40
CAPITOLO SECONDO
1798 – 1834 : DA MALTA A ROMA
SOMMARIO: 2.1 La perdita di Malta. – 2.2 La Convention del 1798 ed il Trattato di
Amiens del 1802. – 2.3 La parentesi zarista: profili costituzionali. – 2.4 I plenipotenziari
giovanniti al Congresso di Vienna – 2.5 Un’alternativa a Malta: i Congressi della
Restaurazione.
2.1
La perdita di Malta
Nel secolo XVI, ai tempi oscuri e feroci inaugurati dalla riforma di
Lutero e dei successivi conflitti di religione, due ordini cavalleresco-militari
ottenevano il riconoscimento di sovranità su due feudi sino ad allora vassalli.
Nel 1525 il il Gran Maestro dell’Ordine Teutonico, Alberto di Hohenzollern,
aveva ottenuto dalla Polonia il riconoscimento di sovrano ereditario del Ducato
di Prussia-Brandeburgo. Appena cinque anni dopo, nel 1530, l’imperatore
Carlo V concedeva in feudo all’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme
l’arcipelago maltese.
Il primo evento viene considerato in genere – lungo un percorso
storiografico abbondantemente frequentato118 – l’atto di nascita di quella che
sarebbe poi diventata la nazione tedesca. L’inizio, cioè, di un lungo,
plurisecolare processo di unificazione degli Stati di lingua tedesca attorno allo
Stato-nazione più potente e strutturato dell’intera Confederazione germanica: la
Prussia degli Hohenzollern. Processo che sarebbe giunto a formale
118
La bibliografia sulla nascita della Germania è praticamente sterminata. Rimando, per
comodità, all’opera monumentale di uno dei più autorevoli storici tedeschi, in cui si analizza
anche il dibattito storiografico sul tema: H.A. WINKLER, Grande storia della Germania. Un
lungo cammino verso Occidente, 2 voll., Roma 2004.
41
compimento nel 1871, sotto l’oculata gestione militare e diplomatica del
cancelliere Otto Von Bismarck.
Per quello che invece riguarda la storia di Malta, le analogie storiografiche con
il più illustre Ducato nord-orientale sembrano arrestarsi solo all’atto della
concessione feudale. La Prussia si strutturava – a partire dell’evento - come
Stato-nazione lungo le direttrici di sviluppo di una continuità territoriale e di
un’ereditarietà dinastica, in quel legame tra lignaggio e terra che rappresenta
uno dei vincoli originari più robusti delle nazioni moderne; procedeva nella
configurazione di un sistema burocratico e militare, atto a conquistare e
regolare in una struttura moderna i territori che via via si aggiungevano al
nucleo originale del ducato prussiano119; abdicava alla possibile vocazione
orientale (dettata in principio dalla sua posizione geografica); si postulava
come una delle più forti potenze dell’Europa occidentale120.
L’arcipelago facente capo a Malta, invece, era destinato ad altra sorte. Nel
1798 veniva sottratto all’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni, interrompendo
così quell’identità territoriale che era uno dei presupposti della nazione. La
perdita di Malta sembra così potersi leggere come la fine di un possibile
percorso storico, di cui è necessario tracciare alcuni momenti principali.
Uno di questi momenti fu appunto il diploma imperiale di Carlo V, firmato il
24 marzo 1530 a Castelfranco di Emilia, con cui “le città, le castella, le isole di
Tripoli, Malta e del Gozo, con tutti i territori e le loro giurisdizioni, sono
concesse, in perpetuo feudo nobile libero e franco con mero imperio al Gran
Maestro ed all’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme”121
119
Anche il rapporto tra la creazione di una burocrazia e l’esigenze di amministrazione di
esercito e territorio viene visto come cifra peculiare della nascita degli stati moderni, cfr. C.
TILLY, a cura di, La formazione degli stati nazionali nell’Europa occidentale, trad. it., Bologna
1984. In particolare per il caso prussiano vedi H. ROSENBERG, La nascita della burocrazia.
L’esperienza prussiana. 1660-1815, trad. it., Roma 1968.
120
Alla fine della guerra dei Trent’anni il piccolo principato aveva ottenuto la Pomerania
orientale (un territorio sul Baltico di grande rilievo commerciale) che ne aveva da un lato
accresciuto l’importanza economia, dall’altro segnato la traccia per una espansione verso
occidente, disegnando la sua vocazione occidentale, piuttosto che orientale. La sua vocazione
sarebbe stata poi confermata – e la sua espansione ulteriormente ingrandita – dalle successive
annessione nel corso del Settecento di altri territori: Slesia, Prussia occidentale.
121
Devo la citazione a A. MENNA, Storia dell’isola e dell’Ordine di Malta, Napoli, 1978, p. 31.
La traduzione dal latino, così come i corsivi, sono dell’autore.
42
La formula dell’infeudazione era regolata da una clausola del diploma di
concessione, che prevedeva che “[...] si contingerit ipsam Religionem
recuperare Insulam Rhodum, et ea ratione, aut alia ex causa ipsam Religionem
ab huiusmodi Insulis, et locis infeudatis discedere, et alibi mansionem, et
sedem eorum stabilire, non liceat ipsis huiusmodi infeudata in aliam quamvis
personam quovis titulo sino expresso ipsius directi domini feudalis transferre,
seu alienare; sed potius si sine licentia, et consensu alienare praesumpserint,
ad Nos, nostrosque Successores praedictos pleno iure revertantur”122.
La clausola aveva certo importanti ricadute di diritto che stabilivano il
mantenimento dell’alto dominio da parte del Re di Sicilia, dichiarando tale
feudo inalienabile, e che sono oggetto di un attento e recente studio123. Ma
presenta anche degli indizi – dal punto di vista della possibile costruzione di
una nazione di Malta – di un legame tra un territorio (l’arcipelago maltese) e di
una realtà giuridico-politico-culturale (l’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni
di Gerusalemme) formalmente improntato ad un’apparente precarietà.
Nonostante la concessione, fortemente caldeggiata dal papa Clemente VII,
mirasse a “procurare una sede perpetua all’Ordine di San Giovanni, anche al
fine di far continuare la lotta antislamitica”124, l’Ordine continuò a ritenersi,
dal punto di vista strettamente giuridico, un “organismo sovrano senza
Stato”125. Dal punto di vista più squisitamente ideologico, invece, restava tra le
righe del documento - a galleggiare sull’orizzonte di un nostalgico avvenire - la
speranza che l’Ordine potesse riprendere possesso di quello che era stato il
proprio territorio di riferimento, Rodi.
A Rodi i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme si erano trasferiti nel
1308, dopo essersi stabiliti a San Giovanni d’Acri, nel 1187, e poi, per qualche
anno, a Cipro. Trasferimenti forzati, legati alle successive cadute in mano
islamica di ognuno di questi avamposti che i Cavalieri – in omaggio alla
122
Cit. in M. MONTERISI, L’Ordine a Malta, Tripoli e in Italia, Milano, 1940, p. 262
Mi riferisco a U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di
legittimità. La questione del Sovrano Militare Ordine di San Giovanni Gerosolimitano, detto di
Malta, Milano 2006, pp. 15 e ss.
124
A. MENNA, Storia dell’isola e dell’Ordine di Malta, op. cit., p. 30.
125
Ibidem, p. 27
123
43
propria tradizione cavalleresco-crociata, avevano contribuito a difendere
strenuamente126.
L’elemento territoriale – quello che Smith definisce come un elemento
fondamentale del nazionalismo, come elemento dal “significato più
esoterico”127 – sembrava, ancora nel 1500, nel caso dell’Ordine, difficile a
individuarsi con certezza, legato come era alle mutevoli condizioni strategiche
e al precipitoso riconfigurarsi delle mappe geopolitiche che il mobile fronte tra
la Cristianità e il mondo islamico disegnava in modo diverso di volta in volta.
Ciò non toglie che il connubio tra Malta e l’Ordine rappresentò, per oltre due
secoli e mezzo, un vincolo solido tra il Territorio e l’istituzione. Connubio che
Nicola Neri – pur con tutte le precauzioni doverose per lo storico – così
definisce felicemente: “non tutta la storia dell’Isola è però storia dell’Ordine,
e non tutta la storia dell’Ordine è storia dell’Isola. Sinuosi ed incerti sono i
confini che delimitano la vita di questi due protagonisti, e, comunque, la
perfetta coincidenza durata per tutto l’arco della storia moderna può ben
permetterci ora di parlare tanto di “Cavalieri di Malta”, che di “Malta dei
Cavalieri”128.
Ed è – come sottolinea lo stesso Neri – “sul terreno della fede che la storia
delle isole maltesi si salda con quella dei Cavalieri”129 .Cristiana – per
religione e per tradizione – era l’Isola, che poteva vantare la propria
evangelizzazione per opera diretta di San Paolo, in virtù di una testimonianza
degli Atti degli Apostoli130. Cristiano – per religione e per tradizione –
l’Ordine, che aveva forgiato al propria identità nel conflitto armato contro
l’Islam, inaugurato al tempo delle prime crociate. Nato come congrega volta
all’assistenza dei pellegrini cristiani in Terra Santa, per volontà del beato
Gerardo, nei primi anni del 1100, l’Ordine acquisì lo status monastico
cavalleresco nel 1113, con l’erezione a congregazione religiosa cattolica da
126
Su questo vedi A. MENNA, Storia dell’isola e dell’Ordine di Malta, op.cit., pp. 23-29, e U.
CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna, op. cit., pp. 17 e ss.
127
A. D. SMITH, National Identity, London 1991, p. 75.
128
N. NERI, “L’enigma maltese”. La diplomazia dei cavalieri al Congresso di Vienna, 2005,
pp. 10-11.
129
Ididem, p. 10.
44
parte di papa Pasquale II. Papa Innocenzo II, successivamente, riconobbe il
diritto dell’esercizio delle armi agli ospedalieri, suggerito dall’esigenza di una
difesa armata dei luoghi santi. Questa nuova missione, intestata ai Cavalieri di
San Giovanni di Gerusalemme, dettò il continuo peregrinare dell’Ordine di
luogo in luogo, sino al definitivo – apparentemente definitivo – insediamento
nell’arcipelago maltese131.
In questo avamposto del mondo cristiano, nel ruolo di baluardo di difesa contro
le incursioni dei pirati barbereschi dell’Africa settentrionale132, i Cavalieri
corroborarono
la
loro
identità
cristiana
in
funzione
antislamica.
Contemporaneamente – nel rispetto di tale identità –strutturarono la propria
politica estera attorno al principio di un universalismo religioso: rifiutarono –
decisione encomiabile per coerenza, ma in netta controtendenza rispetto
all’evoluzione di una diplomazia che si andava tessendo sempre di più lungo
una trama che vedeva come principali soggetti di riferimento gli Stati nazionali
– di prendere parte ai conflitti tra Principi cristiani, mantenendo una ferma
neutralità nelle guerre tra nazioni; parteciparono invece alle coalizioni militari
multinazionali cementate dal principio della cristianità, come la Lega Santa
contro i Turchi vittoriosa a Lepanto133.
Non è forse dunque un caso il fatto che a spezzare questo vincolo identitario tra
i Cavalieri e Malta, basato sulla cristianità, fosse chi venne considerato l’uomo
della rivoluzione e della scristianizzazione: Napoleone Bonaparte134.
130
Cfr., sulle peripezie del viaggio di San Paolo a Malta, gli Atti degli Apostoli, capp. XXVII e
XXVIII.
131
Per qualche cenno della storia precedente alla concessione in feudo di Malta cfr. A. MENNA,
Storia dell’isola e dell’Ordine di Malta, op. cit., pp. 23 e ss.
132
U. MORI UBALDINI, La Marina del Sovrano Militare Ordine di S. Giovanni di
Gerusalemme, di Rodi, di Malta, op.cit.
133
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna, op. cit., pp. 17-18.
134
Sulla percezione di Napoleone come anticristo, da parte del mondo cristiano, c’è una estesa
vulgata letteraria – contemporanea e non – spesso di non altissimo profilo, che lo individua
come uno dei riferimenti criptici di Nostradamus e non vale la pena citare. Ancora sul tema
della percezione di Napoleone come avverso alla tradizionale pietas cristiana, nella sua foga
modernizzatrice e democratica, una suggestione certamente più densa riguarda l’impatto
suscitato dalla proclamazione dell’editto di Saint-Cloud, di cui restituisce un intenso riflesso il
Dei Sepolcri di Ugo Foscolo
45
I rapporti tra l’isola di Malta e la Francia prerivoluzionaria si erano incanalati,
almeno dal Seicento in avanti, lungo corsie preferenziali, all’interno della fitte
rete delle relazioni internazionali europee che l’Ordine aveva intessuto135.
Dominante la presenza, durante tutto il XVIII secolo, di Cavalieri provenienti
dalle tre Lingue di Francia (Francia, appunto, Alvernia e Provenza). Frequente
– anzi, frequentissima – l’attribuzione del titolo di Gran Maestro a membri
dell’Ordine di origine francese. Considerevole – nella misura del 50% di tutte
le entrate del bilancio – la percentuale di rendite provenienti dalle proprietà
dell’Istituzione ubicate nel Regno di Francia. Intenso – e nettamente maggiore
a quello delle navi di altre Potenze europee – il traffico di bastimenti francesi
nel porto di Malta, anche in ragione della posizione centrale occupata dall’Isola
lungo l’asse tra il porto di Marsiglia e il Levante, che rappresentava la
principale direttrice del commercio francese nel Mediterraneo136. Erano questi,
gli indicatori di una relazione privilegiata tra la Francia dei Borboni e l’Ordine
di Malta, sancita dalla protezione ideologica esercitata dai Re Cristianissimi
sull’Ordine stesso137.
La situazione era radicalmente mutata all’indomani della Rivoluzione. Per
quanto un numero minoritario di Cavalieri – in particolare di origine francese –
potesse risultare sedotto dal fascino del giacobinismo, la maggior parte
dell’Ordine si irrigidì attorno al proprio tratto culturale aristocratico-cristiano,
presentandosi e operano – perlomeno agli occhi dei francesi – come un
soggetto politico fieramente controrivoluzionario.
Il confronto, tuttavia, tra le due realtà non si limitò alla contrapposizione tra
due modelli ideologici – la Francia laica, rivoluzionaria e nazionalistica, da un
lato; dall’altro l’Ordine di Malta, cattolico, conservatore e multinazionale – ma
si tradusse concretamente in una crescente, in termini di intensità, serie di
scaramucce diplomatiche e ritorsioni economiche: l’Ordine svolse un ruolo nel
finanziare il fallito tentativo di fuga di Luigi XVI nel 1791; nel 1792 la
Repubblica giacobina confiscò i possedimenti dei Cavalieri in territorio
135
Sul tema cfr. C. PETIET, Le Roi et le Grand Maître. L’Ordre de Malte et la France au XVIIe
siècle, Paris, 2002
136
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna, op. cit., p. 19.
137
Ibidem.
46
francese, ottenendo come risposta il mancato riconoscimento da parte
dell’Ordine (riconoscimento che – in ogni caso – ottenne più tardi, nel 1796);
nel 1793, ad ulteriore inasprimento del confronto, vennero chiusi tutti i porti
dell’arcipelago maltese alle navi da guerra francesi, mentre le navi mercantili
mantennero il loro diritto di accesso a patto di ammainare, all’entrata, il
tricolore rivoluzionario138.
L’allentarsi – sino alla facilmente prevedibile rottura – di questo legame tra
Francia e Malta – aveva imposto una riconfigurazione del sistema diplomatico
dell’Ordine, spingendolo verso nuovi alleati o protettori stranieri, come la
Russia, l’Austria e la Gran Bretagna139. In particolare con la Russia zarita
venne firmata nel 1797 una Convenzione per la fondazione del Gran Priorato
cattolico di Russia e per il riconoscimento dell’onorevole titolo di Protettore
dell’Ordine allo zar Paolo I140. Ancora nel 1797 – sempre per quanto riguarda
l’avvicinamento di Malta a un altro possibile interlocutore, in chiave
antifrancese – era stato eletto Gran Maestro, dopo la morte del francese
Emmanuel de Rohan Polduc, il barone Ferdinando Von Hompesch, primo tra i
Gran Maestri a provenire dalla Lingua di Alemagna, la cui elezione stabiliva
un sostanziale e solido legame tra i Cavalieri e l’Austria, indicando
inequivocabilmente quest’ultima come probabile protettrice dell’Ordine141. Gli
sviluppi successivi del conflitto avrebbero poi aperto le porte alla candidatura
di un’altra possibile potenza tutelare dell’Arcipelago, la Gran Bretagna, che si
sarebbe poi presentata come l’opzione vincente all’interno di questa folta
schiera di patrocinatori – invero non particolarmente disinteressati – della
causa maltese142.
Appaiono dunque facilmente decodificabili le preoccupazioni francesi, delle
quali venne investito personalmente Napoleone, in quanto nominato dal
Direttorio Generale in Capo dell’Armata d’Oriente. Il concentrarsi degli
138
Ibidem.
Sul tale sistema di relazioni internazionali cfr. D. GREGORY, Malta, Britain and European
Powers, 1793-1815, Cranbury and London 1996.
140
A. P. VELLA, Malta and the Czars. Diplomatic Relations Between The Order Of St. John
And Russia. 1697-1802, s.l., 1965, pp. 23-26. Ritorneremo più avanti sull’importanza di tale
relazione, nell’analisi dei rapporti tra l’Ordine e lo zar Paolo I.
141
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna, op. cit., p. 20
139
47
appetiti delle principali potenze europee – appetiti probabilmente legittimati
dall’ammiccante politica estera dell’Ordine, dettata dallo stato di necessità
prevedibilissima minaccia francese – rischiava di compromettere la conquista
di quella che veniva considerata una teste di ponte strategicamente
irrinunciabile (per la sua posizione al centro del Mediterraneo) per la conquista
dell’Egitto143. Lo stesso Ministro degli Esteri francese Talleyrand si era
preoccupato di sollevare, in questi termini, il problema davanti Napoleone: “Il
Direttorio approva le vostre idee su Malta. Dopo che l’Ordine si è scelto per
Gran Maestro un austriaco, de Hompesch, il Direttorio si è confermato
nell’antico sospetto che l’Austria volesse impadronirsi di Malta [...].È nostro
interesse impedire qualunque accrescimento marittimo dell’Austria, e il
Direttorio desidera che prendiate le provvidenze necessarie per far sì che
Malta non cada nelle sue mani.”144
Incontrando, come è facile immaginare, piena approvazione del Bonaparte, che
aveva iniziato a rimuginare piani di invasione di Malta sin dalla Campagna
d’Italia145.
Il pretesto per l’azione militare, visto il pieno accordo tra gli organi di governo
e di comando francesi sull’operazione fu semplice da trovare: già Napoleone
considerava formalmente nemica Malta dal 1793, per l’aiuto dato alle Forze
della controrivoluzione europea e per l’appoggio logistico fornito alle navi
spagnole e britanniche in guerra con la Repubblica146. Il puntuale casus belli fu
ricavato dal rifiuto del Gran Maestro, il 9 giugno 1798, di far attraccare la flotta
francese (composta da due divisioni) nel porto di La Valletta. Rifiuto, per
inciso, prevedibile, visto che la fedeltà del trattato di Utrecht del 1713,
sottoscritto da Malta, imponeva che nei porti dell’Arcipelago non potessero
essere accolte più di quattro navi per volta di una potenza belligerante147. Fu
142
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., pp. 25 e ss.
Ibdemi, p. 23
144
Cit. in Agostino SAVELLI, Storia di Malta dai primordi ai giorni nostri,, Milano, 1943, p.
234
145
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 13.
146
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 20.
147
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., pp. 24-25
143
48
quanto bastò a Napoleone per passare alle vie di fatto, circondando l’Isola e
conquistandola dopo appena qualche giorno d’assedio.
Più che le ragioni dell’interesse francese, o pretesti per legittimare tale
interesse, stupisce la facilità con cui cadde la principale roccaforte del
Mediterraneo. C’è chi l’attribuisce alla eccessiva fedeltà dell’Ordine alla lettera
dei trattati e del suo statuto giuridico internazionale, che gli proibivano di
misurarsi in guerra con un’altra nazione ancora formalmente cristiana148. Altri
storici preferiscono spiegare il crollo di Malta con la ricostruzione di un oscuro
ordito di tradimenti, defezioni e corruzioni che avrebbe portato alcuni Cavalieri
di Lingua francese o tedesca a minare dall’interno le difese dell’Isola, a
vantaggio dell’azione napoleonica. Viene citata una cronaca del tempo,
contenuta nel cosiddetto Codice Cicogna, che dimostrerebbe la connivenza con
le truppe francesi di alcuni principali responsabili del sistema di difesa
dell’Arcipelago, come l’ingegnere in capo dell’Ordine Tousard: connivenza
dimostrata dal fatto che poi lo stesso Tousard venne nominato generale da
Napoleone, e chiamato al suo seguito nella Campagna d’Egitto. Viene
sottolineata la complicità passiva del Gran Maestro Hompesch, che pare si
dimostrasse clamorosamente inadeguato alla difesa dell’Isola, in omaggio a
una intesa sulle franco-austriaca sulle sorti del Mediterraneo, precedentemente
stipulata149.
Le teorie complottistiche, in genere, sono materiale da gestire con molta
cautela, nelle ricostruzioni storiche. Pure in questo caso la menzione a questa
lettura cospirativa degli eventi va fatta, per sottolineare come già nella
percezione dei contemporanei venisse sollevato (non è dato capire, in verità,
con quanta consapevolezza) il tema di una questione maltese difficile a porsi
nella cornice e nei termini di una questione nazionale. Il legame identitario tra
un territorio, una popolazione e un’élite di governo, nel caso di Malta e
dell’Ordine, era stato facilmente spezzato, prima ancora che dalle armi di
Napoleone, dalla evidentemente insidiosa convivenza tra nazioni diverse,
nell’Ordine stesso. Dinnanzi a questa frammentazione, l’azione di Napoleone
148
149
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 25.
Su questo vedi A. MENNA, Storia dell’isola e dell’Ordine di Malta, op. cit., pp. 11-18.
49
non aveva prodotto, come avrebbe prodotto altrove, una reazione di
nazionalismo, basato sulla costruzione di una liturgia laica che pure avrebbe
conosciuto, nel corso dei decenni, infauste derive150. C’era stato, al contrario, al
livello diplomatico, un rivolgersi da parte dei Cavalieri a nazioni madri e
protettrici, di cui l’Ordine sembrava riconoscersi di volta in volta filiazione. Al
livello sotterraneo, invece, erano esistite (questo, quantomeno, era il sospetto)
delle relazioni poco cristalline che avevano dimostrato la fragilità
dell’impostazione universalistica e sovranazionale dei Gerosolimitani.
Napoleone impose al Gran Maestro Hompesch la capitolazione di Malta il 18
giugno
1798.
Volle
che
si
chiamasse
“Convenzione”,
invece
che
“capitolazione”, per mitigare la connotazione autoritaria che quest’ultimo
termine avrebbe imposto alla pace. Ma tale omaggio all’onore cavalleresco non
cambiava la sostanza dei provvedimenti: il Gran Maestro, e con lui gli altri
Cavalieri, dovettero prendere la via dell’esilio, dopo aver rinunziato ai “diritti
di proprietà e di sovranità” su Malta, Gozo e Comino, in cambio della generica
promessa di un equivalente Principato a titolo di risarcimento151.
Il Gran Maestro dovette adeguarsi ai provvedimenti, dopo aver indirizzato alle
Grandi Potenze una lettera di protesta per l’atteggiamento francese, e dopo aver
manifestato a Napoleone, sul filo del Diritto, le sue
riserve a firmare la
cessione di un alto dominio che apparteneva formalmente ancora al sovrano
delle Due Sicilie, in virtù della lettera del diploma imperiale di concessione
firmato da Carlo V152. Uno studioso di relazioni internazionali non potrà che
apprezzare, probabilmente, la diligente vocazione giuridica di Von Hompesch,
nell’appellarsi alla clausola di un dettame imperiale del 1530. Tuttavia pare
d’obbligo rilevare come tale impugnazione – formalmente inappuntabile –
sbiadisse dinnanzi al vigore con cui, negli stessi decenni, l’azione napoleonica
e la reazione antinapoleonica si andavano costruendo intorno ai concetti –
150
Mi riferisco ancora una volta al caso prussiano, in riferimento al quale lo storico Mosse
legge, sulle righe della lunga durata storica, le origini del nazionalismo tedesco proprio nella
resistenza prussiana contro Napoleone, cui si deve per esempio, l’istaurarsi del culto dei caduti
che sarebbe stato portato a piena maturazione durante il Terzo Reich: cfr. G. L. MOSSE, Le
guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, trad. it, Roma-Bari 1990, in particolare pp.
16-39. Sul tema vedi anche Id., Le origini culturali del Terzo Reich, trad. it, Milano 1968.
151
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 21.
50
sdrucciolevoli eticamente, è certo, ma di più forte impatto nazionalistico – di
superiorità e di primato di una nazione sull’altra153.
Risulta, di fatto, che le accuse di Hompesch non sortissero grande effetto sul
Bonaparte, che si limitò a chiosarle con una promessa beffarda: “Voi potete
fare tutte le riserve che vi piacerà; noi sapremo bene, se occorre, annullarle a
cannonate. Al ritorno da Alessandria ci impadroniremo pure della Sicilia, così
uniremo il feudo all’alto dominio”154
2.2 La Convention del 1798 ed il Trattato di Amiens del 1802
Fu dunque questa la fine di un vagito nazionale ? E cosa sarebbe
accaduto se il territorio di Malta fosse rimasto feudo dei Cavalieri ? Si sarebbe
avviata, anche Malta, lungo il cammino della formazione di uno Stato-nazione
? Si sarebbe riconosciuta – come Germania e Italia – nello sgranarsi di un
rosario di nomi ricorrenti e di numeri ordinali, tipici delle successioni
dinastiche ? Avrebbe inventato, costruito o semplicemente irrobustito una
tradizione culturale atta a sorreggere un processo di identificazione
nazionale?155 O ancora: avrebbe puntato su una base etnico-nazionale su cui
edificare una élite burocratico-amministrativa? Avrebbe trovato una lingua
comune che esprimesse un’affinità di sentire, secondo i principi del
nazionalismo romantico?
Le ipotesi controfattuali sono convenzionalmente pratica poco grata agli
storici156. Eppure non è tanto l’articolarsi di apodosi interrogative, ciò che
appare stonare con l’analisi della storia del Principato di Malta. Il disegno di
152
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 25.
Mi riferisco ai celebri Discorsi alla nazione tedesca di Johann Gottlieb Fichte (per una
recente edizione italiana a cura di Gaetano Rametta, cfr. Id., Roma-Bari 2005)
154
Cit. in A. SAVELLI, Storia di Malta dai primordi ai giorni nostri, cit., p. 244.
155
Per quest’ultimo aspetto delle costruzioni di identità collettive si rimanda a E.J. HOBSBAWM
e T. RANGER (a cura di), L’invenzione della tradizione, trad. it., Torino, 2002.
156
Anche se va detto, ad onor del vero, che tale pratica è stata – forse provocatoriamente –
sdoganata in un recente lavoro collettivo a proposito del Risorgimento italiano da alcuni
autorevoli storici come Mario Isnenghi, Emilio Gentile, Giovanni Sabbatucci ed altri: cfr. P.
CHESSA, a cura di, Se Garibaldi avesse perso. Storia controfattuale dell’Unità d’Italia,
Padova, 2001.
153
51
un progetto nazionale, nel caso di Malta, più che dal possibile approccio
metodologico, sembra piuttosto essere smentito dall’esame delle condizioni
che avrebbero dovuto incorniciare tale disegno: sembrano in definitiva, ad
un’analisi di ampio respiro, impossibili da riscontrarsi tutte quelle
caratteristiche, tutti quei presupposti che altrove avevano permesso la
formazione di uno Stato-nazione.
Non esisteva, in primo luogo e come già accennato, una dinastia capace di
imporre sotto il segno della propria continuità di sangue una coerenza di
governo attraverso i secoli: difficile trovare qualche tratto comparabile ai
Valois di Francia, ai Tudor inglesi, agli Asburgo spagnoli e austriaci, agli
Hohenzollern prussiani e tedeschi. Le modalità di successione al ruolo di Gran
Maestro dell’Ordine non prevedevano l’elemento di consanguineità come
stigma identitario di un processo nazionale, come altrove era invece – in tempi
diversi, con modalità spesso turbolente – era avvenuto. Retaggio dell’età
moderna il principio di successione, perentoriamente riaffermato durante il
congresso di Vienna, continuava ad essere una forma di legittimazione e di
riconoscimento identitario fortemente sentita anche ad Ottocento inoltrato:
persino nella Francia violentemente modernizzata, dal punto di vista politico,
dalle rivoluzioni borghesi157.
Mancava, in secondo luogo, un’identità culturale (fosse anche essa puramente
o prevalentemente religiosa) attorno alla quale potesse coagularsi un principio
di nazione. Se la pace di Westfalia del 1648 aveva imposto in Europa, lungo la
traccia di un’identificazione tra Stato e confessione religiosa, l’esperienza delle
Chiese nazionali come ossatura delle rispettive formazioni statali, i Cavalieri
dell’Ordine praticavano ancora – probabilmente in tono anacronistico – l’idea
di una Respublica Christiana europea che liquidava i conflitti tra le realtà
nazionali come inciampi politici, fenomeni effimeri tra i quali si dispiegava –
alla fine ineluttabilmente vittorioso su essi – uno spirito di Christianitas
157
Basti pensare, in questo senso, alla premura con cui Luigi Bonaparte, al momento di
instaurare il suo Impero per molti versi anticipatore di un populismo moderno, sottolineò – pur
con qualche forzatura – la sua discendenza da Napoleone Bonaparte, proclamandosi Napoleone
III. Sulla esasperata pretesa di tale continuità di Luigi Bonaparte non mancò di ironizzare Karl
Marx ne Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, trad. it., Roma 2006.
52
universale158. E anche, in prospettiva, il nascere delle contemporanee religioni
della politica (esperienza che avevano conosciuto e che avrebbero portato a
compimento nel Novecento gli Stati di più recente unificazione, come
Germania e Italia, sotto i regimi totalitari e in chiave ultranazionalistica)
sarebbe stato comunque stato ostacolato dalla presenza di un forte spirito
religioso-cattolico che non avrebbe tollerato
reinterpretazioni e letture
politiche del proprio messaggio culturale159.
Non esisteva, in terzo luogo, una lingua dominante. L’Ordine si caratterizzava
per la presenza – e la convivenza – sotto una cifra culturale religiosa dominante
di cavalieri che appartenevano a vari nazioni linguistiche. Vi erano
rappresentate infatti le già ricordate otto Lingue, o nazioni, ciascuna di esse
facente capo a un responsabile politico, o Piliere.160
I limiti di questo composito organigramma basato su fondamenta linguisticonazionali, a scapito del preteso universalismo dell’Ordine, erano rivelati dal
dato storico che spesso – in deroga al dettame di fratellanza religiosa e
transnazionale – i cavalieri pare si mostrassero eccessivamente sensibili alle
pressioni esercitate dalle rispettive nazioni di provenienza. Il sospetto
tradimento dei cavalieri di lingua francese – abbiamo visto come fosse stato
addotto come spiegazione alla facilità con cui Napoleone aveva conquistato la
roccaforte maltese – o la più dimostrabile inclinazione dei cavalieri tedeschi
verso l’Austria, veri o falsi che fossero, denunziavano comunque qualche
smagliatura di coerenza nella natura sovranazionale dell’Ordine: nei momenti
più nevralgici della storia dello stesso, i suoi membri sembrava vivessero il
legame tra loro come in conflitto con il vincolo linguistico che li legava alla
rispettive nazioni di provenienza.
Mancava, di conseguenza, una nazionalità chiaramente egemone. Il
plurinazionalismo degli Asburgo, per esempio, si era comunque retto
158
Su questo vedi la Prefazione di M. DE LEONARDIS, a U. CASTAGNINO BERLINGHIERI,
Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., pp. 7-10.
159
Sul tema vedi E. GENTILE, Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi,,
Roma-Bari 2007, pp. XVII-XXVI (per una definizione del concetto di religione della politica)
e pp. 212 e ss. per la complicata sopravvivenza di questi apparati ideologici all’interno di
sistemi religiosi tradizionali.
160
Cfr. supra, Cap. I, par. 2
53
sull’esistenza di una nazione dominante sulle altre: quella di lingua tedesca,
rispetto a quella slava o magiara. E così altre forme di imperi multinazionali,
come quello zarista, si erano condensate attorno al nucleo – alcune volte
numericamente maggioritario, altre volte semplicemente egemone sul piano
sociale ed economico – di un nucleo etnico-nazionale forte, garantendosi in
questo modo una sopravvivenza prolungata, per quanto sofferta161. Nel caso
dell’Ordine, la pretesa universalistica o transnazionale poggiava sulla
convivenza di nuclei nazionali – tedesco, francese, italiano, spagnolo – di pari
dignità (a prescindere dal rilievo maggiore che poteva assumere uno sull’altro,
di tanto in tanto, per differenti contingenze storiche) e portati a riconoscersi tra
loro e tra loro affrontarsi sulla base di un’appartenenza nazionale. Ancora una
volta, la vicenda della sin troppo facile conquista di Malta abbiamo visto come
potesse esser letta alla luce delle debolezze di un multinazionalismo così
composito.
Infine anche quello che è riconosciuto come uno degli elementi identitari più
forti nell’alimentare uno spirito nazionalistico – la costruzione di nemico su cui
modellare per contrasto la propria identità di nazione – sembrava nel caso dei
Cavalieri di Malta essere assai annacquato. Mentre Francia e Germania
corroboravano il proprio profilo culturale di Stati unitari identificando una
nell’altra il nemico contro il quale coagulare una nazionalizzazione di massa,
contrapponendosi come nazione ad un altra nazione162, la figura di nemico
attorno a cui si era sbalzata per contrasto l’identità dell’Ordine – il turco, il
musulmano – sembrava rispondere poco a questi requisiti di nazionalizzazione.
Era, in realtà, anch’esso un nemico sovranazionale, che si modellava –
specularmente – sulle stesse caratteristiche di universalismo religioso che i
Cavalieri immaginavano per se stessi. Ed era, soprattutto, un nemico – quello
musulmano – che pur ereditando i tratti spaventosi manifestatisi per secolo (dai
quali proprio i Cavalieri avevano ricavato la propria ragion d’essere e la
161
Interessante, dal punto di vista delle contraddizioni di questi imperi e sul loro graduale
crollo, il recente saggio di P. MACRY, Gli ultimi giorni. Stati che crollano nell’Europa del
Novecento, Bologna, 2009.
162
Su questo vedi G. L. MOSSE, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e
movimenti di massa in Germania (1815-1933), trad. it., Bologna, 1975.
54
propria funzione storica, come paladini della Cristianità) li storicizzava
mestamente tra il XVIII e il XIX secolo nelle sembianze del macilento impero
Turco-Ottomano: una creatura politica ormai agonizzante – al pari e forse in
misura maggiore rispetto agli altri imperi destinati al crollo nei primi del
Novecento – che continuava ad influire sulle vicende dell’Europa delle Nazioni
solo in virtù della sua patologica astenia163. Poco credibile ormai persino come
nemico: e sempre più destinato ad essere individuato – se ci si passa la facezia
– come una letterale “testa di turco” incapace di reagire ai colpi sofferti dalle
ormai dominanti potenze europee.
Qualunque interpretazione si voglia dunque abbozzare sul concetto di
nazionalismo, e qualunque connotazione storiografica o politologica si voglia
suggerire per il fenomeno, appare abbastanza chiaro che il caso dell’Ordine e
di Malta ne risulterebbe quasi del tutto estraneo164. E anche volendo misurare la
storia dei Cavalieri e dell’Isola sulla generica e ormai convenzionale
definizione di Nazione come “plebiscito quotidiano”165, risulterebbe compito
invero arduo stabilire – nel caso di Malta – quale fosse l’oggetto di tale
plebiscito: non una tradizione comune, non una lingua, non un’identità
nazionali, non un nemico reale dal quale difenderle.
Può esistere, secondo alcuni politologi, un nazionalismo senza territorio. Può
anche verificarsi che proprio dall’assenza di un territorio, dalla perdita di una
porzione di terra irredenta, un sentimento nazionalistico tragga forza evocativa
e ragioni d’identità convertendosi in questione nazionale: si pensi al caso della
Alsazia e Lorena, alternativamente per il revanscismo francese e tedesco, o
163
Sono legate alla debolezza dell’Impero turco-ottomano, infatti, tutte le vicende diplomatiche
e militari europee ottocentesche e primo-novecentesche (sino alla Grande Guerra) sorte dalla
corsa da parte delle potenze europee per garantirsi lembi di territorio dell’impero: vicende che
nel loro complesso sono definite dalla storiografia “questione d’oriente”.
164
È praticamente impossibile riferire in termini esaustivi la bibliografia sul dibattito sul
nazionalismo come fenomeno storico e politologico. Ci si limita a segnalare alcune letture
fondamentali: A. D. SMITH, Le origini etniche delle nazioni, trad. it., Bologna, 1998; M.
HROCH, Social Preconditions of National Revival in Europe. A Comparative Analysis of the
Social Composition of Patriotic Groups among the Smaller European Nations, Cambridge,
1985; B. ANDERSON, Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, trad. it.,
Roma, 2005; E. J. HOBSBAWM, Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà,
trad. it., Torino 1991; E. GELLNER, Nazioni e nazionalismi, trad. it., Roma, 1997; F. CHABOD,
L’idea di nazione, Roma-Bari, 1961.
165
Il riferimento è alla definizione di Renan di nazione come “plebiscito di tutti i giorni”; cfr.,
per una traduzione italiana, E. RENAN, Che cos’è una nazione, Roma, 2004, p. 16
55
delle terre irredente italiane per il caso del nazionalismo risorgimentale e
prefascista166. Nel caso dell’Ordine di Malta, tuttavia, prima ancora che un
territorio da rivendicare (questa ragione sarebbe stata offerta loro, in fondo, da
Napoleone Bonaparte), sembravano mancare le coordinate storiche e culturali
essenziali atte ad inquadrare la questione di Malta come una questione
nazionale presso le sedi internazionali.
Pure non pare una forzatura storiografica, il tentativo di leggere – per contrasto,
più che per analogia – la questione di Malta alla luce del modello storiografico
di Nazione. Non deve, anzi, sembrarlo, per la semplice ragione che di questo
tentativo pare si siano fatti portatori gli unici titolati a farlo: e le principali
potenze europee e gli stessi Cavalieri gerosolimitani, nella rivendicazione del
trattato di Amiens del 1802.
Al trattato si giunse dopo le intricate vicende diplomatiche che intercorsero tra
la conquista napoleonica di Malta e i primi negoziati di pace tra Francia e Gran
Bretagna nell’ottobre del 1801. Vicende che avremo modo di dipanare nel
paragrafo successivo, per render contezza dell’evoluzione della questione
maltese entro le coordinate variabili della diplomazia europea. Il trattato venne
firmato ad Amiens il 27 marzo 1802, con l’intenzione di regolare lo scacchiere
geopolitico squassato dalle campagne napoleoniche e dalla reazione britannica,
provando a ripristinare delle condizioni di convivenza internazionale nel
Mediterraneo: la Francia avrebbe rotto l’accerchiamento marittimo impostole
dalla Gran Bretagna, in cambio della restituzione dell’Egitto alla Turchia e al
mantenimento del tradizionale controllo delle rotte mediterranee da parte
dell’Inghilterra. Apparve, sin dall’inizio, una pace di cartapesta, basata sul
tentativo improbabile di far convergere due imperialismi portati naturalmente a
confliggere su obiettivi comuni ad entrambi. Il fatto che Coleridge lo definisse
– con un aplomb che occultava giudizi più aspri –
166
“lo strano trattato”,
Un nazionalismo di questo tipo, basato sulla percezione di un bene nazionale perduto, è
attentamente analizzato in Carlos Escudé, a partire dal caso specifico argentino: C. ESCUDÉ,
Patología del nacionalismo. El caso argentino, Tesis, Buenos Aires 1987; e Id., Argentine
Territorial Nationalism, in “Journal of Latin American Studies”, XX, 1, (maggio 1988), pp.
139-165.
56
denunziava la scarsa fiducia che esso lasciava trapelare sul conseguimento di
una pacificazione duratura167.
Interessa in questa sede, soffermarsi però sugli aspetti della complessa pace che
investivano la situazione di Malta e dell’Ordine dei Cavalieri. Nonostante lo
stesso Ordine fosse stato spodestato dell’Isola – oltre che di fatto da
Napoleone, di diritto anche dal Re di Napoli168, e poi ancora di fatto dalla Gran
Bretagna dopo che essa era riuscita a conquistare militarmente l’arcipelago – i
rappresentanti delle potenze europee sembrarono sulla carta convergere
sull’opportunità di una restituzione dell’Arcipelago ai Gerosolimitani.
Parteciparono alla stesura i plenipotenziari della Repubblica Francese
(Giuseppe Bonaparte), di Gran Bretagna (il marchese Cornwallis), la Spagna
(don Giuseppe Nicola Azara) e la Repubblica Batava (Rogero Giovani)169.
Erano le potenze firmatarie delle pace in generale, le uniche titolate dunque a
discutere i negoziati: pure stonava, per quello che riguardava l’articolo
specifico del trattato che si riferiva alla questione maltese, l’assenza di un
rappresentante del legittimo titolare del feudo, il sovrano del Regno delle Due
Sicilie.
Tale articolo, articolo 10 del trattato, recitava: “Le isole di Malta, Gozo e
Comino saranno restituite all’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, per
essere da lui tenute alle stesse condizioni con le quali egli le possedeva avanti
la guerra e sotto le seguenti stipulazioni. [...] I Cavalieri dell’Ordine, le cui
Lingue continueranno a sussistere dopo il cambio delle ratifiche, fissato a
Parigi, entro lo spazio di trenta giorni o al più presto se può farsi dalla parti
contraenti, sono invitati a ritornarvi in Malta. Subito dopo che il cambio avrà
luogo, formeremo un Capitolo Generale e procederemo all’elezione del Gran
Maestro, scelto tra quei cavalieri delle Nazioni che conservano le proprie
167
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., pp. 88-89.
Il 28 luglio del 1798, all’indomani della conquista napoleonica, infatti, Sua Maestà Siciliana
avvalendosi del titolo di “alto dominio” che formalmente ancora manteneva sull’arcipelago –
nonostante esso fosse stato tenuto in pochissima considerazione dai francesi – aveva privato
“con un dispaccio ufficiale la Religione Gerosolimitana di tutti i suoi beni, delle proprietà e
delle pertinenze sull’arcipelago di Malta”, N. Neri, “L’enigma maltese”, cit., p. 36.
169
A MENNA, Storia dell’isola e dell’Ordine di Malta, op. cit., p. 129.
168
57
Lingue, a meno che non sia stata fatta dopo il cambio delle ratifiche
preliminari”. [...]
I governi della Repubblica di Francia e della Gran Bretagna, desiderando
mettere l’Ordine di Malta in uno stato di indipendenza intero a loro riguardo,
convergono che non vi sarà in avvenire né lingua francese né lingua inglese e
che niun’individuo appartenente ad una di queste Potenze potrà essere
ammesso all’Ordine. [...] L’Ordine sarà regolato quanto allo spirituale o al
temporale con medesimi statuti che erano in vigore allorché i cavalieri sono
sortiti dall’isola, in quanto non è derogato dalla neutralità dell’Ordine e
dell’isola di Malta. Le forze di S.M. britannica evacueranno l’isola e le sue
dipendenze, nei tre mesi che seguiranno il cambio delle ratifiche e al più presto
a quell’epoca sarà rimessa all’Ordine di Malta, nello stato in cui si trova
perché il Gran Maestro od i suoi commessi da lui autorizzati, secondo gli
statuti dell’Ordine, siano nella detta isola per prendere possesso a che la forza
armata da Sua Maestà Siciliana sia arrivata.
L’indipendenza dell’isola di Malta, Gozo e Comino egualmente per il presente
trattato, sono messe sotto la protezione e garanzia della Francia, della Gran
Bretagna, della Russia e della Prussia.”170
In più si prevedeva, sempre sulla carta, la difficile – praticamente inattuabile costituzione di una Lingua di Malta che permettesse l’identificazione tra
l’Ordine e i cittadini maltesi, a garanzia anche dei cittadini non nobili171.
Si può discutere a lungo sul carattere peloso di questa benevolenza nei
confronti dell’Ordine e di Malta, da parte soprattutto della Gran Bretagna, così
come è più che legittimo avanzare l’ipotesi che proprio la difficile praticabilità
di queste clausole costituisse un ottimo pretesto per prorogare all’infinito la
permanenza armata dell’Inghilterra sull’isola, nella poco trepidante attesa – da
parte britannica – che tale clausole giungessero a compimento172. Quello che
più ci interessa, per il momento, è la possibilità di leggere, tra le righe del
170
Cit. in A. SAVELLI, Storia di Malta dai primordi ai giorni nostri, op. cit., p. 306.
U.CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, op. cit., pp.
35-36.
172
Ibidem.
171
58
Trattato, il problema di riannodare le vicende di Malta e dell’Ordine attorno ad
un problema riconoscibile come questione nazionale.
Venivano imposto un veto su quelle Lingue, in particolare quella francese, che
avevano costituito un veicolo di egemonia da parte di potenze straniere: vista la
scarsa indipendenza dimostrata in passato dai Gran Maestri nei riguardi delle
Nazioni d’origine, si impediva la elezione alla carica di Cavalieri di Lingua
francese o inglese.
Si scioglieva nella sostanza, anche se non nella forma, quel vizio giuridico –
nella prospettiva di uno stato-nazione – di uno Ordine sovrano senza Stato:
l’Alto Dominio del sovrano delle Due Sicilie era oscurato, sino quasi ad essere
di fatto cancellato. Non solo per la mancanza di un delegato del Re di Napoli
alle conferenze preliminari al Trattato ma anche per la disinvolta assenza di un
riferimento di tale genere nel testo dell’articolo 10: in esso “non un invito, non
un ricordo – scrive uno storico – del Regno di Sicilia, in cui risiedevano i
successori dell’Imperatore Carlo V, da cui riconoscersi in perpetuo il feudo. Si
era verificata una causa di indignità del Sovarno di Sicilia?”173
Si rivendicava la tradizione culturale dell’Ordine, non solo nel ripristino dei
suoi statuti e regole, ma anche nella sua funzione storica di guardiano
dell’Occidente contro il pericolo (abbiamo visto più fittizio che reale) islamico:
un passo del trattato garantiva l’apertura dei porti a tutte le nazioni, fuorché ai
Barbareschi174.
Si auspicava infine la creazione di una lingua maltese, capace di costituire un
tramite tra la struttura dell’Ordine e i cittadini dell’isola, una lingua “aperta a
tutti i cittadini che avessero voluto aderirvi senza l’obbligo di produrre
documentazioni e prove di nobiltà”175 Al principio di identità orizzontale – tra
pari all’interno di un ordine gerarchico nobiliare – si sostituiva un principio di
identità verticale, sul quale i maltesi potessero essere riconoscibili tra loro non
per l’appartenenza ai ranghi dell’aristocrazia, ma per la fruizione di una lingua
e di una cultura comuni: il principio di cittadinanza che già aveva sperimento la
Francia durante la Rivoluzione e – allo stesso tempo – durante la costruzione
173
174
A MENNA, Storia dell’isola e dell’Ordine di Malta, op. cit, p. 130.
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 35.
59
della Nazione francese176. Il principio che – per contrasto – stavano
sperimentando gli stati in guerra con la Francia, che in contrapposizione del
nazionalismo francese plasmavano il proprio. Il principio che – solitamente –
siamo portati a considerare come l’avvio della nazionalizzazione delle masse.
Non fu possibile. E se non fu possibile fu perché già prima, durante e
immediatamente dopo l’occupazione napoleonica sarebbe stata la Gran
Bretagna a tentare di britannizzare l’Isola, con l’avvio di una politica di
nazionalizzazione che avrebbe definitivamente cacciato l’Ordine – prima
ancora che le armi napoleoniche – dall’arcipelago. Un Ordine, di per sé, già
frammentato al proprio interno e incapace – per vicende estere e per faide
interne – di svolgere un ruolo di egemonizzazione culturale sui cittadini
maltesi177
2.3 La parentesi zarista: profili costituzionali
La Gran Bretagna, direttamente o indirettamente, aveva svolto un ruolo
determinante nella liberazione di Malta dall’occupazione francese.
Erano stati, fondamentalmente, gli stessi cittadini dell’Isola ad insorgere contro
il presidio napoleonico. Il nuovo cambio di dominazione (giacché dominatori,
infatti, erano considerati probabilmente da buona parte della popolazione i
Cavalieri, a causa della loro idiosincrasia a strutturare in identità nazionale il
legame feudale che li univa a Malta) era stato accolto dagli abitanti senza
particolari segni di insofferenza. Anzi, un settore della cittadinanza, quello
riconducibile alla borghesia, aveva registrato con speranza l’espulsione
dell’Ordine, dal quale essa era stata esclusa, sia in termini di partecipazione
alla struttura dell’Ordine stesso, quanto con riferimento alla gestione del
175
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 91.
Interessante, a questo riguardo – per l’analisi dei complessi rapporti tra rivoluzione,
democrazia e nazionalizzazione per il caso francese – la lettura di P. ROSANVALLON, La
rivoluzione dell’uguaglianza. Storia del suffragio universale in Francia, Milano, 1994.
177
Il termine, per quanto abusato, è giustificato dall’autorevolezza del pensiero di Antonio
Gramsci sul concetto di “egemonia culturale” come percorso di creazione di consenso e di
controllo sociale.
176
60
governo dell’Isola; la classe media dell’arcipelago vedeva nei francesi la
possibilità di assumere un ruolo egemone all’interno della conduzione della res
publica. Inoltre, persino alcuni segmenti del Clero maltese sembrava avessero
riposto qualche illusione, a seguito della cacciata dei Cavalieri, nella possibilità
che alcuni benefici ecclesiastici, sino a a quel momento esclusivo appannaggio
dell’Ordine, venissero restituiti alla Chiesa locale178.
I primi giorni di governo francese servirono da subito a dimostrare quanto
fossero state bugiarde le speranze di Clero e Borghesia. Già all’indomani
dell’occupazione vennero imposti, “senza alcuna mediazione culturale e
umana”179, i principi giacobini: furono soppressi i conventi, venne
drasticamente limitato il libero esercizio del culto e si procedette alla
spoliazione dei beni artistici degli edifici di culto. Provvedimenti che, nel loro
insieme, convinsero il Clero a ricredersi sulla propria possibilità di convivenza,
o financo di sopravvivenza, con l’occupante francese.
Anche la borghesia assistette con sgomento al tentativo di nazionalizzazione
forzata dei maltesi da parte delle truppe d’occupazione che, dopo aver agito
con pugno di ferro contro l’identità cattolica degli isolani, provarono a
impiantare, con una messe di decreti ed editti, una liturgia laica e nazionale che
si ispirava ai simboli della rivoluzione francese: venne celebrato come festa
civile l’anniversario della presa della Bastiglia, si procedette ad una rapida
ridenominazione della toponomastica di piazze e strade, in ossequio ai principi
del 1789 si piantò davanti al palazzo del Gran Magistero di La Valletta uno dei
principali simboli della
rivoluzione, l’Albero della Libertà180. Si inasprì,
inoltre, il carico fiscale a danno dei maltesi, cementando così un malcontnto
trasversale contro l’occupante straniero181.
178
U.CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 23.
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 29.
180
Sulla forza dei simboli repubblicani – in particolare retaggio di quel laboratorio di liturgie
democratico-nazionali che fu la Rivoluzione francese – nel costituire un’identità (spontanea o
forzata che essa fose) cfr., in particolare per il caso delle repubbliche giacobine italiane, M.
RIDOLFI, Le feste nazionali, Bologna 2003; e soprattutto Id., a cura di, Almanacco della
Repubblica. Storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie repubblicane,
Milano 2003
181
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 29.
179
61
L’ostilità di tutte le classi fece in breve tempo di Malta un centro di
irradiazione di spirito antigiacobino in Italia182, di cui si fece interprete e
portatore soprattutto il Clero che guidò la sollevazione popolare di contadini e
borghesi183.
La scintilla dell’insurrezione scoccò in seguito all’ennesimo atto di
spoliazione: il sequestro e la successiva messa all’asta dei beni della Chiesa del
Carmine a Mdina; da lì la rivolta si estese a tutto l’arcipelago184. Tuttavia, a
favorire il dilagarne, fu certamente la sconfitta, subita ad Abukir nell’agosto
del 1798 dalla flotta d’Oriente di Napoleone, diretta verso l’Egitto, ad opera
dell’armata britannica: l’incrinarsi del mito dell’invincibilità napoleonica
permise che l’insurrezione antifrancese si propagasse nelle isole maltesi con
rapidità imprevista185.
Alla fine di ottobre la flotta britannica, sotto il comando di Nelson, interveniva
direttamente aiutando gli insorti a sgomberare Gozo dai residui di resistenza
francese. Resistenza che, una volta liberata quasi del tutto Malta , si raccolse
sotto il comando del generale francese Claude-Henry Belgrand de Vaubois
intorno alla fortezza di La Valletta: roccaforte che cadde, solo due anni dopo,
ancora a seguito dell’intervento delle navi da guerra inglesi186.
Al di là delle vicende militari, di importanza assai relativa, è il tema della
politica internazionale quello che emerge, in modo spesso non del tutto piano,
dall’episodio dell’occupazione e della successiva liberazione dell’arcipelago.
La Gran Bretagna, che aveva da sempre covato un interesse strategico per
l’arcipelago187, vedeva il proprio ruolo di tutore legittimato presso gli abitanti
grazie all’influenza esercitata durante l’insurrezione e nella definitiva
liberazione del febbraio del 1800.
È proprio attorno a questa liberazione (che è gia di per sé un termine che
andrebbe misurato sulle esame delle vicende storiche) che si andavano
182
M. DE LEONARDIS, Malta da feudo Gerosolimitano a colonia britannica (1798-1815), in
“Controrivoluzione”, febbraio-settembre 1998, nn. 54-57, pp. 40-42.
183
E.GENTILE, L’insurrezione di Malta contro l’occupazione militare dei Francesi, Roma,
1936, pagg. 71-86
184
Ibidem
185
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 30.
186
U.CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 24.
62
aggrovigliando le relazioni internazionali tra le principali potenze europee.
Esorcizzato con l’espulione dei francesi lo spettro di un focolaio di rivoluzione
giacobina a Malta, il fronte anitnapoleonico andava sgretolandosi a causa di
differente definizione di ruoli sulla titolarità dell’arcipelago maltese. C’era da
un lato la Gran Bretagna, che si faceva forte della sua potenza navale per
rivendicare una permanenza nell’Isola, giustificata con il rischio di un
perennemente imminente pericolo di reazione napoleonica che andava arginata
preventivamente. C’era, dall’altro, il Regno delle Due Sicilie, che sottolineava
il suo diritto di sovranità sullo stesso territorio: non ritenendone valida la
cessione alla Francia da parte dell’Ordine, e insistendo presso le potenze
europee sull’opportunità che venisse riconosciuto, pubblicamente riaffermato e
definitivamente sancito a livello internazionale il pieno possesso delle isole a
vantaggio di Sua Maesta Siciliana. Opportunità innanzitutto giuridica, ma
sorretta da un diffuso sentimento di italianità presente presso i maltesi, che
consideravano come naturale loro referente proprio il sovrano di Sicilia188.
Vi era infine la Russia, che, per le tumultuose vicende che scossero le gerarchie
dell’Ordine e delle quali scriveremo a breve, si considerava anch’essa
legittimata a spendere qualche pretesa sulla sorte dell’arcipelago.
Per adesso importa definire le confuse relazioni che tra Londra e Napoli sulla
questione di Malta. Confusione che altro non era se non il riflesso
dell’ambiguo
atteggiamento
mantenuto
del
governo
britannico:
pur
mantenendo fermamente il proposito di occupare stabilmente la roccaforte
mediterranea,
i
rappresentati
inglesi
continuavano
a
profondersi
in
dichiarazioni che attestavano la certa titolarità del sovrano del Regno delle Due
Sicilie sull’arcipelago maltese. Chi incarnò compiutamente le contraddizioni di
questo atteggiamento fu l’ammiraglio Nelson: dalla sua corrispondenza è
possibile cogliere un barlume dell’imbarazzo di dover coniugare i dettami di
realpolitik della Gran Bretagna (che imponevano l’acquisizione di Malta, in
funzione strategica per il controllo del Mediterraneo) con l’affettata
affermazione dei diritti di Napoli sulla stessa isola. Se infatti, scrivendo
187
188
P. GREGORY, Malta, Britain and European Powers, cit., pp. 58-67,
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., p.. 30.
63
all’ammiraglio conte St-Vincent, affermava perentoriamente che “l’isola di
Malta è evidentemente proprietà del Re di Napoli, ed ogni discussione sarebbe
inutile su questo punto”189, in un’altra lettera, quasi contemporanea, diretta
all’ambasciatore inglese presso la corte napoletana, Lord Hamilton, metteva di
fatto altrettanto perentoriamente in discussione la piena sovranità del Re
siciliano e poneva pretestuose condizioni alla restituzione del possesso al
dichiarato legittimo proprietario: “In caso che Malta cada nelle mani del Re
delle due Sicilie, durante l’assedio della flotta britannica in questi mari; i
vascelli di guerra francesi, con tutto ciò che si trova a bordo, che si trovano
nei porti di Malta, non gli saranno consegnati. Mi prendo la libertà di
aggiungere che, in caso che Napoli, in altro periodo, si ritrovasse obbligata ed
avesse il desiderio di cedere Malta, se non si troverà un articolo a proposito,
Malta non sia ceduta senza il consenso di S.M. Britannica”190.
Le relazioni diplomatiche tra Gran Bretagna e Regno delle Due Sicilie si
addentrarono, dalla conquista napoleonica sino al Congresso di Vienna, lungo
questo
accidentato
binario
circolare
scandito
da
formali
e
cortesi
riconoscimenti di Londra, visibili sgarbi istituzionali nei confronti del sovrano
di Napoli, lamentevoli ma pacate rimostranze da parte di quest’ultimo,
approssimative giustificazioni di volta in volta fornite da Nelson, dal Ministro
degli Esteri Grenville, dall’ambasciatore Hamilton che concludevano
comunque con la solenne dichiarazione degli inquestionabili diritti sovrani del
regno di Napoli sul territorio maltese.
Tra le numerose sgrammaticature diplomatiche, per esempio, vi fu la mancanza
di rappresentanti del sovrano Ferdinando III di Sicilia (IV di Napoli) al
momento della capitolazione della guarnigione francese di Malta. Nonostante
la forze siciliane avessero partecipato attivamente all’assedio navale, pur nelle
difficili condizioni del regno borbonico, attaccato o minacciato ripetutamente
dalle truppe napoleoniche, la resa del generale de Vaubois fu firmata solo
davanti al generale inglese Pigot191.
189
A. DUMAS, “I borboni di Napoli”, Napoli, 1861, II, p. 253,
Nelson a Hamilton, ASN, Esteri Malta, ott. 1798, in Neri, “L’enigma maltese”, cit., p. 34.
191
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 25.
190
64
Le lamentele del primo ministro napoletano John Acton vennero liquidate con
una serie di prestesti, tra i quali il veto posto dal generale francese alla presenza
di emissari del Regno delle Due Sicilie e altre ragioni poco lusinghiere sulla
scarsa affidabilità delle truppe napoletane192. Non mancarono, a chiosa di tali
sommarie giustificazioni, la garanzia da parte del ministro Grenville che l’isola
di Malta sarebbe stata presidiata da forze inglesi, russe e napoletane per essere
poi restituita all’Ordine mantenendo salvo l’alto dominio del Re di Sicilia193.
La medesima litania di claudicanti giustificazioni, garanzie e riconoscimenti
venne messa in scena in occazione di un’altra scortesia diplomatica di cui si
rese protagonista la Gran Bretagna ai danni di Ferdinando III: la mancanza
della bandiera del Regno delle due Sicilie tra quelle issate nel presidio di Malta
appena riconquistato. Fu la stessa regina di Napoli, a lamentarsene con una
lettera, garbata ma dolente, alla moglie dell’ambasciatore, Lady Hamilton: “Lo
spiegamento della sola bandiera inglese e l’ignorare completamente la nostra
è stato qui oggetto di derisione, e l’ingiuria fu da noi sentita maggiormente,
perché proviene da un amico. Siamo tanto benevoli all’Inghilterra da essere
contenti che una potenza così amica tenesse una posizione di salvaguardia
della Sicilia, eppure la trascuranza delle forme e i torti fattici dopo che non vi
abbiamo mancato di ogni attenzione, di confidenza, cordiale assistenza ed
erogate enormi spese, sono tanto dolorosi che pur pensandoci non sarebbe de
credersi se non fosse la realtà”194.
Lamentela supportata anche dalle rimostranze dell’ambasciatore napoletano a
Londra, Castelcicala, presso Grenville, che ottennero risposte cordiali ma
insoddisfacenti195. Venne accampata, questa volta, la scusa che l’accordo di
Pietroburgo tra Russia, Gran Bretagna e Regno di Napoli non era da
considerarsi più valido. L’accordo di Pietroburgo era un compromesso verbale
raggiunto proprio a Napoli nel 1799, che prevedeva un’azione congiunta tra le
tre potenze per la riconquista definitiva di Malta, sancita alla fine in caso di
192
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., pp. 56-57.
U.CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 25.
194
Carteggio inedito di Maria Carolina a Lady Hamilton, cit. in Neri, “L’enigma maltese”,
cit.,, pp. 57.58.
195
P. PIERI, La questione di Malta e il governo napoletano (1798-1803), Firenze, 1927, pag. 14
193
65
vittoria dalla presenza dei rappresentanti dei tre governi alle tratative di pace e
dalla presenza delle tre bandiere a simboleggiare la cooperazione di tutti gli
Stati196.
Dinnanzi alle accuse di Castelcicala che esso non fosse stato rispettato dalla
Gran Bretagna, proprio per l’esclusione dei rappresentanti e delle bandiere
russa e napoletana, venne contestata da parte britannica la reale vigenza
dell’accordo: la Russia si era infatti, nel frattempo, defilata dalla coalizione
antinapoleonica, ed issare solo le bandiere britannica e napoletana avrebbe
costituito, secondo le motivazioni inglesi, uno sgarbo nei confronti dello Zar197.
Ovviamente la contingente ragione di opportunità politica non ostava alla
decisione già presa, stando alle dichiarazioni del governo britannico, che
“Malta non si può considerare che come una posizione militare, e che in nesun
caso si sarebbe recato dano ai diritti, vantaggi e convenienza di S. Maestà”198
e che “l’occupazione di Malta era considerata come un’occupazione militare
durante la guerra, da disporsi poi dell’occorrente su di essa alla pace”199.
La stessa crisi si manifestò, negli stessi termini e come abbiamo già visto, al
momento delle trattative della pace di Amiens: quando, senza essere
rappresentato, il Re di Sicilia vide ulteriormente e formalmente confermati i
propri titoli di sovraità su Malta.
Era già abbastanza ovvio, agli occhi degli sconfortati rappresentanti del
Regno delle Due Sicilie, che l’Inghilterra non avesse intenzione alcuna di
lasciare il possesso di Malta. La prova decisiva fu fornita loro dal
rafforzamento del contingente britannico nell’isola, rafforzamento sul quale
il comandante delle truppe napoletane del presidio, il colonnello Fardella,
riferiva al Segretario di Stato Principe di Trabia con molto zelo e con poca
speranza: “Sono capitati finora 11 vascelli; 16 fregate, 54 trasporti con
9000 uomini di truppa di terra. Di giorno in giorno si attendono più legni di
guerra e mercantili e maggior numero di reggimenti. Tutta l’armata viene
196
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., pp. 51-53.
P. GREGORY, Malta, Britain and European Powers, cit., p. 100.
198
Da una lettera di Grenville all’ambasciatore inglese Lord Paget, del 18 dicembre 1800, cit.
in N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 57.
199
Cit. in P.PIERI, La questione di Malta e il governo napoletano (1798-1803), op.cit., p. 15,.
197
66
da Gibilterra e Mahony, e si è saputo che l’anzidetto generale in capo ha
lasciato 6000 uomini in Portagallo [sic], di rinforzo a quelle truppe
britanniche ivi esistenti. Moltissimi trasporti hanno viveri per l’armata, e
molta munizione di guerra. L’artiglieria è anche in gran quantità tanto in
macchine quanto in soldati ed ufficialità. Tra i corpi di linea ci sono due
reggimenti di cavalleria, uno è l’undicesimo di Dragoni leggeri, l’altro è
bavaro, denominato il reggimento Hompech; sono però senza cavalli, ma
bensì portano selle e arnesi corrispondenti. La truppa ha principiato a
sbarcare, e forse il generale Abercrombié dimorerà nell’isola più di quello
che si credea200.”
Il lungo indugiare, protrattosi sino ai limiti del grottesco, con buona pace della
cortese e accondiscendente prosa diplomatica, dei due Governi, ormai
chiaramente rivali, su posizioni di finti alleati, era indotto da diverse esigenze.
Dal canto suo la Gran Bretagna, priva di titoli di legittima sovranità sulle isole
e forte solo del diritto dei vincitori di guerra, attendeva, prima di rendere palese
l’espropriazione, di poter sopperire all’esigenza di giustificazione di un tale,
illegittimo atto allegando un consenso, vero e presunto, della popolazione di
Malta: un “Melitensium amor” per la Gran Bretagna che avrebbe concesso a
quest’ultima di addurre, con qualche forzatura sul piano giuridico, delle pretese
sull’Isola201.
In questo senso tutta l’opera politica di Alexander Ball, il comandante inglese
delle forze di terra di Malta, è stata letta come il tentativo di legittimare la
presenza di fatto dei britannici nell’isola presso l’opinione pubblica
internazionale202 attraverso una fitta costruzione di consenso volta a carpire la
benevolenza dei maltesi, presentando la Gran Bretagna come l’unica potenza
capace di garantire la loro sicurezza e indipendenza..
La politica del Ball, come è stato scritto, “atta ad accativarsi le simpatie della
popolazione locale, ancora effettivamente divise con i napoletani, in vista di un
200
Fardella a Trabia, 23 novembre 1800, ASN, Esteri, Malta, f. 2806, cit. in N.NERI,
“L’enigma maltese”, cit., pp. 70-71.
201
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit.,p. 32.
202
Uso questo termine con qualche anacronismo, cfr. J.HABERMAS, Storia e critica
dell’opinione pubblica, trad. it., Roma-Bari 2006.
67
duraturo e radicato rapporto”203, fu facilmente intuita anche dai rappresentanti
del governo napoletano, i quali assistevano progressivamente e passivamente
al sottrarsi il patrimonio naturale di consenso dei maltesi che la strategia del
Ball tendeva a contrapporre agli antichi protettori. Anche in questo caso è
possibile leggere, tra le righe del carteggio tra il Principe di Trabia e il
colonnello Fardella, la considerazione piccata del comandante su come Ball
provasse a migliorare le condizioni di vita degli isolani, sottraendo vantaggi
alle truppe napoletane. Fardella riferisce, tra gli altri, del caso dell’ospedale
militare riservato ai suoi soldati e girato in fruizione ai maltesi: “Intanto qui
tutto incarnisce, e con stento si trova di che provvedersi per mangiare.
L’ammiraglio Keith non è ancor venuto, né so quando lo vedremo. Il generale
Abercrombié con diversi proclami fa delle proposizioni ai maltesi per farli
servire con l’armata britannica, uno dei quali editti l’acchiudo a V.E. acciò
vegga la formazione d’un corpo di pioneri che si cerca di formare con
emolumenti e paghe degl’individui. I nostri ammalati dall’ospedale ov’erano
ne sono usciti da più giorni, e gli è stato assegnato altro luogo meno buono di
quello che occupavano. Così finalmente volle questo signor governatore Ball,
che ha stimato anteporre i maltesi alla truppa di S.M. io bastantemente ho
fatto il mio dovere e V.E. lo sa, ma per non tirar l’arco troppo alla lunga ho
ceduto alla circostanza dei tempi; sia ciò per mio discarico204.
D’altro canto il Regno delle Due Sicilie, dinnanzi a questi tentativi di
delegittimazione dei napoletani davanti agli occhi dei maltesi e delle potenze
europee, dinnanzi a questo principio di nazionalizzazione degli isolani sulla
base di arruolamenti e concessioni di nuovi diritti in funzione della costruzione
del consenso filo britannico, non poteva che affidarsi a pacate rimostranze
diplomatiche verso la Gran Bretagna, e ad aspre corrispondenze private tra
rappresentanti dello governo napoletano. Di fronte alla continua minaccia
napoleonica era troppo importante il mantenimento di un’alleanza, a tratti
“dipendenza”, come è stato scritto205, con la potenza inglese: vincolo
203
N.NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 63.
Fardella a Trabia, 23 novembre 1800, ASN, Esteri, Malta, f. 2806, in Neri, “L’enigma
maltese”, cit., pp. 71-72
205
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 27.
204
68
testimoniato anche dalla presenza di un primo ministro d’origine inglese, John
Acton, presso la corte napoletana e dalla benevolenza dimostrata, pur già
esistendo una crisi con il governo inglese, dal sovrano delle Due Sicilie nei
confronti di Nelson con l’investitura del feudo ducale di Bronte, come grato
riconoscimento per la riconquista del regno di Napoli206.
Era, quali che fossero le ragioni, una cortese finzione destinata a cadere, in
modo quasi definitivo anche dal punto di vista formale. Quando il generale
Ralph Abercromby rilevò Alexander Ball nel comando delle forze inglesi di
Malta, nel novembre del 1800, non prendeva possesso delle isole “in nome del
Re di Napoli” come il suo predecessore, ma come “commissario del Re
d’Inghilterra”207, e comunicava al generale Pigot che “La forza di Sua Maestà
Britannica, con l’aiuto dei maltesi, (si dimentica l’apporto militare delle
truppe napoletane al comando del Fardella) ha espulso dall’isola di Malta e
dalle sue dipendenze le truppe della Repubblica francese. La Gran Bretagna
prende la nazione maltese sotto la sua protezione. Ordina al Ball di lasciare il
governo di Malta (cessava così il governo di colui che si era proclamato
garante degli interessi di Sua Maestà Siciliana). Ordina al generale Pigot di
non permettere che siano avanzate e discusse le pretese di nessun’altro [sic]
Sovrano o Corporazione. (Si allude all’Ordine di San Giovanni di
Gerusalemme?). Tutti i diritti, privilegi ed immunità della Chiesa e dello Stato
sono confermati al popolo. Il Vescovo di Malta è il Capo della Chiesa Maltese.
Nessun, [sic] potere inquisitorio emanato dalla sede di Roma può essere
206
207
Ibidem
N.NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 72.
69
ammesso né riconosciuta alcuna autorità ecclesiastica in nessun altro
Sovrano”208.
Oltre che al sovrano di Napoli, sembrava essere posto un veto preventivo anche
alle future pretese dell’Ordine di San Giovanni. Era in sostanza la
prefigurazione dei punti nodali e della gestione dell’accordo di Amiens, dove
sia il Ferdinando III che l’Ordine rappresentarono solo in qualità di convitati di
pietra209.
Abbiamo provato a individuare le, si passi la definizione, “debolezze
contrattuali” del governo di Napoli rispetto ai suo alleati, in particolare
l’alleato-rivale britannico. Le debolezze dell’Ordine, invece, erano legate, più
che a questioni di minacce esterne, ad una profonda crisi interna che
attraversava la struttura gerosolimitana e che sembrava porre in discussione
alcuni pilastri ideologici e normativi che avevano retto per secoli.
Non era stato solo la sconfitta militare, e la perdita di Malta, a causare il crollo
di tale struttura secolare. Altre realtà politiche avevano subito lo schiaffo di una
sconfitta inferto dalla truppe di Napoleone, senza uscirne distrutte, e al
contrario, distillandone ragioni e forze per irrobustire la propria identità e la
propria funzione storica. Nel caso dell’Ordine la sconfitta rappresentava una
cartina di tornasole che denunciava un profondo malessere che minacciava
adesso di rodere dall’interno le fondamenta di una struttura politica e religiosa
che sembrava (unica, forse, assieme alla Chiesa Cattolica) aver retto l’urto
della Modernità.
Era probabilmente null’altro che mera apparenza: un’apparenza dietro la quale
si celava, come scrive il Monterisi l’“anacronismo” di “combattere per l’idea
religiosa quando più terrene cure occupavano l’anima degli uomini e ne
preparavano la rovina”210. Era, forse, il segno di un tempo che scorreva,
procedeva, e che spingeva l’ideale cavalleresco, prima ancora che l’Ordine
come portato secolare, al di fuori della Storia, più che al di fuori
208
F. DE ROBERTO, [cit. in Menna, p. 55].
A.MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, Napoli 1978, pp. 55-56
210
M.MONTERISI, Storia politica e militare del Sovrano Militare Ordine di S. Giovanni di
Gerusalemme detto di Malta, Milano 1940, II, p. 219.
209
70
dell’arcipelago maltese: “E forse, scrive lo studioso degli ultimi giorni
dell’Ordine a Malta, è nella frase che si dice espressa dall’Hompesh, a chi
dopo la brevissima tregua d’armi concesa dal Bonaparte, lo incitava a
riprendere la lotta: “Non c’è più nulla da fare” era racchiusa la
consapevolezza della inesorabile marcia degli eventi e del fato di Malta”211.
Certo, la vicenda della perdita di Malta aveva restituito un Ordine mutilato
nella sua pluricentenaria composizione, per la fuoriuscita delle Lingue di
Francia e d’Inghilterra, e profondamente toccato nei suoi assetti economici, a
causa delle manomissioni dei propri beni sofferte in diversi Stati212: ma le ferite
reali suppuravano più profonde, rispetto a queste escoriazioni altrimenti
sanabili. Era la crisi di un ideale messo in discussione da una modernità fatta di
nazioni aggressive, burocrazie efficienti, geometrie diplomatiche, interessi
strategici ed economici: a volte recanti una scialbatura ideologica, altre volte
palesemente nudi.
Grosso modo nello stesso segmento di secolo Hegel, riflettendo sulla natura e
sui cambiamenti del romanzo epico, sanciva la morte del Cavaliere classico
dinnanzi alla nuova “prosa della realtà”, in cui agli ideali epici si sostituiscono
i nuovi ideali dello Stato moderno213. L’asserzione di un mondo ordinato in
prosa, dentro il quale poco spazio restava alla figura del Cavaliere, può forse,
se si perdona l’apparente forzatura, essere utilizzata anche al di fuori delle
categorie critiche hegeliane per gettare una luce nuova sulle complesse
dinamiche che scossero l’Ordine: o, per meglio dire, sul tentativo di resistere
dei suoi cavalieri, e soprattutto del suo Gran Maestro, in una realtà ormai
rigidamente scritta e inscritta nella prosa dei ragionamenti diplomatici, delle
opportunità strategiche, delle nuove configurazioni geopolitiche.
È da questa fitta rete di una sintassi della realpolitik ancora non a pieno
compresa che viene imbrigliato l’estremo tentativo del Von Hompesch di
rivendicare un ruolo sovrano per l’Ordine, ed è la medesima rete che fa da
211
C.RAPOZZI, Il rifugio triestino dell’Ordine di Malta (luglio 1798-luglio 1799), Trieste 1971,
p. 167.
212
A.MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit., p. 105.
213
Mi rifersico alle celebri lezioni di Estetica di Hegel, tenute ad Heidelberg e a Berlino tra il
1817 e il 1829. Per un edizione italiana cfr. G. W. F. HEGEL, Estetica, a cura di Nicolao
Merker, Torino 1976.
71
sfondo a quello che è stato definito “uno scisma che contribuì allo sfacelo
dell’Ordine”214. Il Gran Maestro, come abbiamo visto cacciato da Malta, si
stabiliva a Trieste il 27 luglio del 1798, in esilio sotto la protezione
dell’Austria215. Appena giunto, iniziò una verbosa opera di sensibilizzazione
presso le corti europee. Scriveva per esempio al Marchese del Gallo, Ministro e
Segretario di Stato del Re di Napoli: “Qui annesso troverà, Vostra Eccellenza,
un manifesto con cui gli si faranno chiari i modi di indegna seduzione e mero
tradimento in chi meno doveva trovarsi, con cui è stata operata la troppa nota
e funesta catastrofe dell’armata francese. Non dubito che, Vostra Eccellenza,
come la prego, piacerà volerla rasegnare a Sua Maestà Siciliana, aprendole di
tenere tutto, con cui si sono le cose passate in Convenzione e che vorranno
ridonare a me e all’Ordine mio, il compatimento ed i tratti della generosa
bontà e protezione. Io La supplico a non voler privare l’Ordine del suo potente
e reale patrocinio nelle attuali dolorissime circostanze e di permettergli la
continuazione e il godimento dei suoi privilegi e delle sue proprietà come per
l’addietro. Nonché espulso da Malta, l’Ordine non lascia però di esistere.
Tuttavia esisterà se così piacerà a Sovrani suoi protettori in luogo di onorata
residenza , ove la sua maggiore ambizione ed il più vivo desiderio sarà quello
di esercitare ancora i suoi antichi istituti e di essere utile nuovamente a tutte le
potenze sue alleate ed amiche. Pergo l’Eccellenza Vostra di voler impegnare
con la sua sperimentale cortesia ed interessamento per l’Ordine perché Sua
Maestà Siciliana si renda propizio alle mie istanti preghiere e voglia
perseverare ad essere il più alto scudo e fermo sostegno dell’Ordine nella
presente sua critica situazione216.”
Epistole di uguale tono furono inviate anche all’Imperatore Francesco II, al
Papa, al sovrano di Spagna217. E qualche settimana dopo il Gran Maestro si
preoccupò anche di redigere qualche riga anche ai confratelli dell’Ordine:
214
A.MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit., p. 93.
Le vicende dell’esilio sono narrate attentamente in C.RAPOZZI, Il rifugio triestino
dell’Ordine di Malta, cit.
216
Cit. in A.MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit., pp. 64-65.
217
Cfr. C. RAPOZZI, Il rifugio triestino dell’Ordine di Malta, cit, pp. 94-100.
215
72
“Con più vivo rammarico, Fratelli amatissimi, ritorniamo al doloroso
argomento della disgrazia che abbiamo sofferto in Malta. L’intrapresa
della Repubblica francese contro l’Ordine va ricordata insieme ai modi in
cui siamo stati costretti dai traditori e dai ribelli a ricorrere, nostro
malgrado, ad una sospensione di armi. Niuno di voi avrà dimenticato i
sentimenti che in quella occasione abbiamo dimostrato e professato in
unione alla veneranda congregazione di Stato. Niuno di voi avrà
dimenticato in quali persone siamo stati costretti dalla più sventurata di
tutte le fatalità a rimettere i nostri interessi, il notro decoro e la gloria
dell’Ordine. Non ci attendevamo che ci venisse imposta una convenzione la
quale ha destato tutto il nostro più vivo risentimento ed orrore e che
abbiamo voluto respingere, sia detestandola al sommo, sia ricusandola
assolutamente. Ma i perversi traditori non ci avevano lasciato più né libertà
né campo alcuno a riflessioni o rifiuto218”.
Erano parole che suonavano già a testamento politico. Di fatto la voluminosa
produzione epistolare di Hompesch non ebbe gli effetti dallo scrivente sperati.
Il Sovrano di Sicilia rispose alla devota supplica privando la Religione
Gerosolimitana dei suoi beni, pertinenze e proprietà219. Meno clamoroso, ma
sicuramente assordante fu invece il silenzio offerto alle sollecitazioni degli altri
destinatari, tra cui Francesco II e il Papa Pio VI, preoccupati di non alterare,
chi per una ragione, chi per un'altra, i delicati equilibri europei con prese di
posizioni troppo nette a favore dell’Ordine220.
Ma nubi ancora più scure si addensavano sul capo del Gran Maestro e che
portavano un nuova carico di grane: non già solamente indifferenza, ma chiara
ostilità. Nell’agosto del 1798 il Gran Priorato di Russia presentava un
durissimo manifesto di condanna contro Von Hompesch: dopo un cappelletto
iniziale nel quale si stigmatizza l’aggressione napoleonica, il manifesto si
concentra, con giudizi assai aspri, sull’operato del Gran Maestro, del quale si
mettono impietosamente a nudo le responsabilità nella cessione di Malta ai
218
Cit. in A.MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit., pp. 66-67.
A.MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit., p. 65.
220
Cfr. C. RAPOZZI, Il rifugio triestino dell’Ordine di Malta, cit, pp. 99-101.
219
73
francesi. Lasciando in dubbio se tali responsabilità fossero dovuto a semplice
ma grave inadempienza, o ad una collusione con il nemico:
“Abbiamo indicato all’indignazione pubblica il crimine odioso che ha
messo Malta nelle mani dei francesi e noi ci siamo promessi di perseguitare
gli autori. Noi andiamo oggi a compiere un dovere imposto dall’onore e di
cui non abbiamo differito l’adempimento. Parrebbe che noi attendiamo più
ampia luce per pronunziarci con conoscenza di cause su un fatto di questa
importanza. È doloroso condannare per noi come uno dei principali motivi
di rovina dell’Ordine colui che i nostri suffragi elessero. Ma quando un
avvenimento la cui causa non può esistere che nell’imprevidenza, la più
condannevole, nella debolezza e nella perfidia, quando la voce della stessa
probità l’accusa, quando il suo silenzio fornisce una presunzione decisiva
contro di lui, non esitiamo a domandargli conto del Sacro deposito che noi
gli abbiamo affidato e di cui era responsabile di fronte al suo Ordine ed
all’Europa. Da molto tempo il Gran Maestro era avvertito che l’armata dei
francesi era destinata contro Malta, dal mese di febbraio non si cessava di
suggerire a voce o per iscritto le precauzioni e i mezzi di difesa. E egli
rigettava tutti i mezzi di difesa che la ragione gli presentava e rispondeva al
maresciallo dell’Ordine che tutto era fatto. E quando i francesi misero in
esecuzione l’occupazione niente avevano preparato per riceverli”221.
Frutto di incapacità e di tradimento che fosse, l’operato di Hompesch mostrava,
a detta del manifesto, la sua inadeguatezza rispetto alla tradizione cavalleresca
dell’Ordine e alle nuove minacce cui esso era soggetto, e quindi lo rendeva
inadatto a mantenere il titolo di Gran Maestro. I fratelli del Gran Priorato di
Russia lo dichiaravano dunque decaduto dalla carica, rifiutavano di sottostare
alla sua autorità, si sottomettavano invece alla protezione dello zar Paolo I e
invitavano i fratelli degli altri priorati a fare altrettanto222:
“Noi,
dunque, riuniti sotto la gloriosa protezione di Paolo I l’Imperatore di
tutte le Russie e protettore del nostro Ordine, disapproviamo solennemente
221
Cit. in A.MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit., pp. 72-73.
Sul cosiddetto “manifesto” del Gran Priorato di Russia cfr, oltre ai già citati A.MENNA e N.
NERI pp. 42-44, A.BLONDY, Paul Ier, L’Ordre De Malte et L’Église Romaine, in Revue des
études slaves, LXX/2, 1998, pp. 411-430, in particolare pp. 419-420.
222
74
tutti gli atti contrari alle leggi della nostra istituzione e riguardiamo come
cpme degradati dal loro rango e dignità coloro che hanno fatto, accettato e
consentito l’infame trattato di Malta e così tutti quelli che saranno convinti
di aver cooperato direttamente od indirettamente a quest’opera di iniquità.
Noi rinunziamo, da questo momento, ad ogni sorta di realzione con simili
persone indegne e corrotte, infine noi dichiariamo che non riconosceremo
per l’avvenire come fratelli [che] quelli che manifesteranno la conformità
dei loro sentimenti ai nostri223”
La struttura dell’Ordine era dunque scossa da un vero e proprio “colpo di
Stato”, come è stato definito224, contro il Gran Maestro, portato avanti dai
cavalieri russi: un colpo di stato che ricevette l’immediato e interessato avallo
del suo più diretto beneficiario, lo zar Paolo I. Il quale, il 10 settembre del
1798, preso atto del manifesto, nell’accettare l’atto di sottomissione
dell’Ordine promise di grantirne statuti e tradizione:
“Noi confermiamo l’esposto in tutto il suo vigore ed a testimonianza del
nostro tradimento [sic] per lo zelo dei membri dell’Illustre Ordine di San
Giovanni aspettiamo sotto la nostra protezione tutto il corpo ben
intenzionato. Noi promettiamo non solo di mantenerlo nelle sue istituzioni,
privilegi ed onori, ma ancora di fare tutto il possibile per il suo
ristabilimento nel suo primiero e rispettabile stato di contribuire all’utilità
di tutta la Cristianità in generale, particolarmente di ogni Stato ben
regolato.
Noi abbiamo dato ordini ad ogni nostro ministro nelle corti straniere di
dare, in nostro nome, l’assicurazione formale che, prendendo sotto la
nostra suprema protezione l’Illustre Ordine di San Giovanni, noi non
intendiamo avanzare alcuna pretesa che potrebbe pregiudicare i loro
diritti”225.
223
Cit. in A. MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit., pp. 73-74.
Per questa definizione vd., per esempio, A. BLONDY, L’Ordre de Malte et Malte dans les
affaires polonaises et russes au XVIIIe siècle, in Revue des études slaves, LXVI/4, 1994, pp.
733-755, p. 749; Frà O. DE SHERBOWITZ-WETZOR and Frà C. TOUMANOFF, The Order of
Malta and the Russian Empire, Roma 1969, pp. 23 e ss.
225
Cit. in A. MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit.,, p. 74.
224
75
Era solo il preludio al vero e proprio scisma. Nell’ottobre dello stesso anno i
Cavalieri del Gran Priorato di Russia, viste le condizioni dell’Ordine, sì ancora
formalmente sovrano ma senza ormai territorio su cui esercitate la propria
sovranità e senza reggente riconosciuto che tale sovranità rappresentasse (a
causa della destituzione dell’Hompesch), proclamavano Gran Maestro Paolo I,
nella speranza che restituisse l’Ordine all’antico splendore.
“Noi, Balì, Gran Croci, Commendatori, Cavalieri dell’Ordine di San
Giovanni di Gerualemme, dopo aver preso in considerazione la triste
situazione dell’Ordine, la mancanza assoluta di mezzi in cui versa, la
perdità della sua Sovranità, la dispersione dei suoi membri erranti senza
capo e senza punto di unione, i pericoli che minacciano l’Ordine ed i
progetti usurpatori che tendono all’occupazione delle sue proprietà e della
[sic] sua rovina totale, volendo e dovendo, per questa ragione, usare tutti i
mezzio che Dio ci ha dati per prevenire la distruzione di un’[sic] Ordine
così antico e celebre che riunisce il fior della nobiltà e che ha reso tanti
servigi alla Cristianità, di un Ordine la cui istituzione riposa sui buoni
principi che sono i migliori sostegni dell’autorità legittima e che tende ad
asicurare la sua conservazione e la sue esistenza, penetrati dalla
riconoscenza che dobbiamo alle intenzioni e dai ben fatti di Sua Maestà
l’Imperatore di tutte le Russie verso il nostro Ordine, pieni di rispetto delle
sue virtù e di fiducia nella sua sacra parola decretiamo non solo di
mantenerci nei nostri stabilimenti, privilegi ed onori ma ancora di usare
tutti i mezzi che sono in suo potere per ristabilire il nostro Ordine in uno
stato rispettabile in cui si trovava e dove si cooperava al bene dell
Cristianità in generale e a vantaggio di ciacun Stato ben governato. Infine
considerando l’impossibilità in cui ci mette la dispersione del nostro Ordine
d’eseguire, nelle attuali circostanze, le antiche norme ed usi prescritti dalla
sua Costituzione e dai suoi Statuti e vogliamo, nel frattempo, con l’elezione
di un successore di Lisle Adame La Vallette, assicurare la dignità ed il
potere, attaccati alla Sovranità dell’Ordine. In conseguenza noi Balì, Gran
Croci, Commendatori, Cavalieri del Gran Priorato di Russia e d’altri
membri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, riuniti a Pietroburgo,
76
nostra residenza, tanto in nome nostro che in quello delle altre Lingue, che
riuniscono a noi per accessione solida ai nostri pincipi, Proclamiamo, Sua
Maestà l’Imperatore di tutte le Russie, Paolo I, Gran Maestro dell’ Ordine
di San Giovanni di Gerusalemme. In virtù della presente proclamazione noi
promettiamo, conformemente ai nostri statuti e leggi, per un’[sic] impegno
solenne e sacra obbedienza, sottomissione e fedeltà a Sua Maestà
l’Imperatore come nostro Eminente Gran Maestro”226.
La proposta, dal punto di vista formale, si presentava inaccettabile: erano
visibili le gravi anomalie giuridiche di un’elezione avvenuta al di fuori delle
tradizionali modalità di elezione che avevano retto la successione dei Gran
Maestri, ed esisteva – de iure – la presenza di un Gran Maestro ancora
formalmente in carica nonostante la sua frettolosa detronazione. Né la situzione
di emergenza, denunziata dagli stessi cavalieri come “impossibilità di eseguire
le antiche norme ed usi prescritti dalla Costituzione e dagli Statuti”
dell’Ordine, poteva giustificare del tutto le pesanti forzature giuridiche della
proclamazione.
Pure lo zar non parve preoccuparsi dei dettagli costituzionali. Accettò l’offerta
appenda qualche settimana dopo227. E si affrettò a dichiarare che avrebbe
rispettato quegli Statuti che erano stati appena violati con la sua stessa
proclamazione a Gran Maestro:
“Accedendo al desiderio che i Balì, Gran Croci, Comm. e Cavalieri
dell’Illustre Ordine di San Giovanni di Gerusalemme del Gran Priorato di
Russia e di altri cavalieri riuniti nella nostra capitale hanno manifestato, in
nome di tutti i confratelli benpensanti, noi prendiamo il titolo di Gran Maestro
e rinnoviamo l’assicurazione solenne, che abbiamo data precedentemente
come Protettore, non solo di mantenere intatti tutti gli stabilimenti e privilegi
dell’Ordine illustre tanto per ciò che concerne il libero esercizio della
Religione e ciò che si rapporta all’esistenza dei Cavalieri della Religione
romana, che per la giurisdizione dell’Ordine, di cui noi trasferiamo la sede
nella nostra residenza, ma ancora di usare costantemente tutti i mezzi per lo
226
227
Cit. in ivi, p. 70.
A.BLONDY, Paul Ier, L’Ordre De Malte et L’Église Romaine, cit., pp. 422-423.
77
sviluppo dell’Ordine e il suo ristabilimento in uno Stato rispettabile, che
risponde al fine salutare della sua istituzione, alla sua durata, al suo
vantaggio. Noi rinnoviamo che caricandosi del governo supremo di
quest’Ordine e assumendosi l’obbligo di fare tutto ciò che dipenda da noi per
rendergli i diritti che gli sono stati tolti ingiustamente, non siamo affatti
intenzionati, nella nostra qualità d’Imperatore di tutte le Russie, di formare
pretese su qualche specie di diritti e di vantaffi che sia a detrimento delle altre
Potenze, nostre amiche. La nostra benevolenza per l’Ordine in generale e per
ciascun dei membri in particolare, resterà invariabile”228.
Appare probabile che lo spodestamento da parte dello zar cogliesse di sorpresa
il Gran Maestro Von Hompesch: il quale, nella sua foga epistolare, non aveva
mancato di vergare anche su Paolo I qualche riga di struggente attestazione di
stima, affetto, fiducia. Struggente, soprattutto, alla luce dello sviluppo
successivo degli eventi: nel giugno del 1798 lo definiva “uomo per sempre
dolce, caro e venerato a qualunque individuo di questo nostro Ordine Militare
e a chiunque altro abbia a cuore la preservazione dello stesso, il suo benessere
e la sua gloria”; lo appellava quale “passionato protettore del nostro Sacro
Ordine” e considerava, incautamente, visto quantoo sarebbe avvenuto qualche
settimana dopo, che “la Munificenza di S.M. l’Imperatore di tutte le Russie è
puramente nobile, generosa, disinteressata” ed esercita la sua protezione
“senza alterare nella minima parte la nostra Costituzione naturale, il nostro
governo interno ed esterno”. La qual cosa, concludeva lo sventurato Von
Hompesch, “non è il minore dei benefici del non mai abbastanza encomiato
Augusto Monarca”229.
E pure, tale disarmante e disarmata sorpresa rischia di essere l’ennesima
conferma dell’incapacità di Hompesch di decodificare la sintassi politica di un
mondo che stava evolvendosi, al di là e, spesso, al di sopra, delle immutabili
regole deontologiche e normative dell’Ordine cavalleresco. L’avvicinamento
tra l’Ordine e gli zar era iniziato già da tempo, almeno sotto il governo di
Caterina II, attraverso la fiugra del balì Giulio Renato Litta: quando il cavaliere
228
Cit. in A. MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit., p. 76.
78
di Lingua italiana era stato inviato dal Gran Maestro De Rohan su richiesta
della zarina allo scopo di presiedere all’addestramento militare delle truppe
russe230.
Era
un
avvicinamento
inquadrato
nel
contesto
di
una
rinnovata
accondiscendenza degli zar nei confronti della Chiesa Cattolica231. Tale
inclinzazione si era ulteriormente accentuata con Paolo I, che mostrava – in
questo senso – una sensibilità ancora più marcata rispetto ai suoi predecessori
verso la Religione di Roma: mantevena la speranza di avvicinare le confessioni
cattolica e ortodossa, e sentiva su di sé il dovere di tutelare i milioni di sudditi
polacchi che professavano il cattolicesimo232. A queste esigenze di ordine
interno si aggiungeva una sincera ammirazione – sincera, anche se spesso
caratterizzata da tratti infantilmente mistici – per l’epica e i racconti
cavallereschi233. L’Ordine rappresentava dal suo punto di vista e nel suo
immaginario la perfetta proiezione storica di una sintesi di valori misticocavallereschi.
C’erano inoltre, sciocco sarebbe negarlo, delle esigenze geopolitiche che
rendevano Malta, attraverso la conquista dell’egemonia sull’Ordine, una
posizione strategicamente decisiva nella politica internazionale della Russia,
tradizionalmente spinta verso il Mediterraneo234.
Di fronte a queste ambizioni di varia natura, non avrebbe dovuto rappresentare
motivo di stupore alcuno il fatto che, alla prima opportunità, lo zar decidesse di
esercitare un pesante intervento sull’Ordine. Clamorose, per la palese
incuranza delle norme, furono certo le modalità attraverso questo intervento si
espresse. Non solo perché esso fu senza mediazione alcuna: non una pressione
esercitata attraverso il Gran Maestro, come era avvenuto in passato, per
l’Austria o la Francia, che avevano spinto per l’elezione di Gran Maestri
pertinenti alle proprie rispettive Lingue, ma l’acquisizione in prima persona del
229
I virgolettati sono tratti da una lettere di Von Hompesch diretta al Ricevitore dell’Ordine a
Torino, Felice Cacherano d’Oscasco, riportata in N.Neri, “L’enigma maltese”, cit.,, pp. 41-42.
230
A.VELLA, Malta and the Czars, cit., pp. 20-21.
231
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna, cit., pp. 30-31.
232
Ibidem
233
A.BLONDY, Paul Ier, L’Ordre De Malte et L’Église Romaine, cit., pp. 412-413.
234
N.NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 39.
79
Gran Magistero. Ma soprattutto perché questa acquisizione avvenne violando
apertamente almeno quattro principii basilari che regolavano la successione
alla prima carica dell’Ordine.
In primo luogo si era venuti meno ai dettami dello stesso Pio VI che tutte le
Lingue e i Priorati dovevano essere presenti al momento delle elezioni, e che la
deposizione di un Gran Maestro non poteva dipendere dal voto di un singolo
Priorato. Nel caso specifico non erano stati presenti i priorati di Bohemia e
d’Austria, le tre Lingue di Francia erano state abolite dal Direttorio e la Lingua
di Castiglia e il Gran Priorato di Leon continuavano a riconoscere come loro
legittimo capo.
In secono luogo, lo zar Paolo I era formalmente, pur con tutta la sua sensibilità
verso la Chiesa di Roma, di religione greco-ortodossa, quindi uno scismatico, e
la sua nomina a capo di un Ordine Cattolico direttamente soggetto al Papa,
denunziava, oltre che un vizio di forma, più di qualche smagliatura logica.
In più (terzo elemento che avrebbe reso dal punto di vista formale
improponibile la nomina di Paolo I) lo zar era un uomo sposato, dal quale era
abbastanza arduo immaginare il rispetto del voto di castità che (assieme a
quello di povertà e di obbedienza) rappresentava uno degli elementi
caratterizzanti della cavalleria religiosa.
In quarto luogo, da ultimo, lo zar era solamente una Grande Croce onoraria,
anche se era divenuto Protettore, dell’Ordine, e quindi come membro non a
pieno titolo inserito nelle gerarchie dell’Ordine stesso, non avrebbe potuto
ambire alla suprema carica dell’organizzazione cavalleresca235.
Vi erano dunqe ottime ragioni, alla luce degli Statuti interni dell’Ordine, del
diritto canonico, e, non ultimo, del buon senso, per ritenere nulla la deposizione
del Gran Maestro Hompesch e la elezione, in sua vece, di Paolo I. Ma le buone
ragioni passarono in secondo piano rispetto alla trama di politica internazionale
che si tesseva attorno a Malta e, di conseguenza, attorno alla Religione
gerosolimitana, ritenuta ormai un cavallo di Troia attraverso cui conquistare il
possesso dell’Isola.
235
Sulle critcihe al processo di elezione di Paolo I alla carica di Gran Maestro cfr. A.VELLA,
Malta and the Czars, cit., pp. 35-36.
80
Si costruì attorno a questa questione, in teoria puramente interna all’Ordine, un
gioco di alleanze e di frizioni parallelo a quello che abbiamo visto impostarsi
sulla questione di Malta. La Spagna si dimostrò immediatamente contraria
all’elezione: il re spagnolo si autonominò Gran Maestro, una carica che
iniziava ad essere invero eccessivamente trafficata, essendo il re il terzo ad
avocare a sé il titolo, dopo Hompesch e lo zar, in risposta alla proclamazione di
Paolo I. Atto che causò l’immediata ritorsione della Russia, che ruppe i
rapporti diplomatici con la corte di Madrid236.
Le altre potenze, che inziavano a coalizzarsi in funzione prima antinapoleonica
e poi antibrittanica, accettarono invece la forzatuta. L’Austria pose buon viso a
cattivo gioco: Francesco II, nautrale protettore di Von Hompesch, preoccupato
di non perdere l’appoggio russo nelle Seconda Coalizione contro Napoleone, fu
costretto a riconoscere Paolo I, e ad imporre l’abdicazione al Gran Maestro
austriaco, abdicando in definitiva egli stesso al ruolo di paladino del
Cattolicesimo237.
Il suo esempio venne seguito dai cavalieri del Gran Priorato d’Austria e di
Boemia, che pur riluttanti, non si opposero all’elezione: confessarono qualche
imbarazzo nell’accettare la nuova situazione, ammonendo sui pericoli “di
sottrarsi alle forme stabilite [...] perché il rispetto delle leggi è uno dei
caratteri dell’uomo saggio e nel contempo del vero religioso, nonché la
salvaguardia di un bene organizzato governo”. Ma dopo tali lungimiranti
dichiarazioni di principio, nel caso specifico, in attesa del placet papale, non
posero veti sostanziali alla situzione, dichiarando di voler evitare “tutto ciò che
potrebbe urtare lo spirito dei nostri fratelli del Gran Priorato di Russia che si
sono pronunziati irrevocabilmente”238.
Persino la Francia, la potenza che aveva espulso i Cavalieri dall’arcipelago
maltese, una volta persa Malta, aveva l’interesse che essa venisse tolta a quella
Gran Bretagna che andava manifestando sempre più concrete intenzioni di
mantenere il possesso dell’isola, e venisse restituita agli antichi proprietari.
Caldeggiava dunque l’elezione dello zar a capo dell’Ordine, vedendo in tale
236
237
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., pp. 49-50
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 29.
81
protezione diretta della Russia una possibilità in più perché l’isola tornasse allo
status precedente al 1798239.
Per ragioni analoghe anche il Regno delle Due Sicilie si mostrò
anch’esso favorevole all’elezione del nuovo Gran Maestro. Il rapporto con la
Gran Bretagna – come abbiamo visto – andava mostrando punti di frizione, via
via che Londra dava sempre più chiari segni di non voler restituire (perlomeno
nei tempi brevi) l’arcipelago al legittimo proprietario siciliano. La nomina
dello Zar a guida suprema dell’Ordine lasciava pensare che la Russia,
nell’improbabilità che essa potesse gestire direttamente questo lontano
avamposto, lo avrebbe restituito sostanzialmente al sovrano di Sicilia. Chi
affermò con più decisione questa ipotesi fu il rappresentante di Sua Maestà
Siciliana a Pietroburgo, il duca di Serracapriola. In un fitto carteggio con il
Primo ministro Acton, l’ambasciatore passava con disinvoltura sui gravi vizi di
forma dell’elezione: “Ancorché quest’Ordine dovesse soffrire una mutazione
totale, nella sua costituzione come tanti ordini monastici, qual male sarebbe
quando quest’istituto cambiasse aspetto per conservare l’Ordine? Quando
questo viene ad avere la fortuna di ricevere la protezione dell’istesso sovrano
che ha preso a cuore la difesa delle Religione e dei Troni?”240
E sottolineava quindi i vantaggi, anche a costo di qualche prezzo da pagare, in
termini di coerenza con le norme vigenti, che la sostituzione di Von Hompesch
con lo zar avrebbe comportato: “L’imperatore è sì glorioso di essere il
restauratore dell’Ordine che apprezza questo titolo al pari della Sua Corona.
Con la dichiarazione data per Malta, vedrete che questa viene a depositarsi
nelle vostre mani e dell’Inghilterra. Per tutto quello che può riguardare il
ristabilirsi dell’Ordine dei Cavalieri sarà la voce della vostra corte ad essere
ascoltata. Vostra Maestà troverà che dalla Russia più che dalle altre potenze,
non eccettuata l’Inghilterra, dovete trovare ogni assistenza per i vostri sistemi:
i più salutari per la conservazione di quella fortezza, per l’utilità delle potenze
marittime che hanno salvato l’Europa dalla sua totale rovina. Neppure dalla
238
Cit. in A. MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit., p. 83.
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 33.
240
Cit. in A.MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit., p. 78.
239
82
Francia ancorché cambiasse costituzione né dalla Spagna si può sperare la
sicurezza avvenire241.
L’unico a tirarsi fuori da questo valzer di progetti, dichiarazioni, alleanze
sembrò essere il Pontefice. Tra i più titolati ad esprimere un giudizio
sull’elezione, in quanto capo supremo spirituale dell’Ordine, Pio VI si trincerò
in un silenzio, non riconoscendo formalmente il nuovo Gran Maestro né
restituendo la carica a Von Hompesch: la qual cosa fu interpretata dallo zar
come un cenno di ostilità, causando qualche screzio diplomatico tra Russia e
Santa Sede242.
Solo il 16 marzo 1799 si pronunziò ufficialmente, una lettera del Segretario di
Stato vaticano Odescalchi indirizzata al Luogotenente personale dello zar,
Litta, stigmatizzando “degradazione irregolare” la deposizione di Hompesch”,
dovuta alla “marcia precipitosa del Priorato di Russia”, che aveva causato una
scissione all’interno dell’Ordine243.
Non era una parola definitiva. L’Ordine continuava ad essere diviso tra uno
Capo de iure (Hompesch) e uno de facto (Paolo I) – più un terzo, difficile a
definirsi, rappresentato dall’autoproclamatosi tale sovrano di Spagna – con
delle alleanze tra Cavalieri e Priorati imbastitesi più per assecondare le
esigenze delle singole Nazioni di afferenza che per salvaguardare l’Ordine
stesso244. Un principio di normalizzazione si sarebbe visto solo dopo
l’abdicazione imposta a Von Hompesch dall’imperatore d’Austria (che lo
stesso Gran Maestro presentò come volontaria)245, l’uccisione di Paolo I e la
rinunzia da parte del successore, Alessandro I – pur mantenendo il titolo di
Protettore dell’Ordine – a rivestirne la più alta carica246.
Lo stesso zar diede un contributo a questa normalizzazione, offrendo – come è
stato scritto – “una gran prova di responsabilità e di senso della storia
241
Ibidem
N.NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 49.
243
Cit. in A.BLONDY, Paul Ier, L’Ordre De Malte et L’Église Romaine, cit., p. 425.
244
U.CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 30
245
C.RAPOZZI, Il rifugio triestino dell’Ordine di Malta, cit. 253-262
246
A.BLONDY, Paul Ier, L’Ordre De Malte et L’Église Romaine, cit., p. 428.
242
83
richiedendo una elezione del successore secondo gli Statuti”247. Venne eletto,
dopo il rifiuto del Balì Ruspoli, dalla maggioranza dei Gran Priorati, ad
eccezione di quello tedesco che proponeva la ricandidatura di Von Hompesch,
e nominato da papa Pio VII il 9 febbraio del 1803, il Gran Maestro Giovan
Battista Tommasi.
Rappresentava un ripristino delle garanzie statutali, per le modalità con cui era
avvenuta l’elezione: ratificata dala Santa Sede l’abdicazione di Hompesch,
Tommasi ottenne il consenso di tutti i Priorati eccetto quegli spagnoli. Ma
rappresentava, soprattutto, un ripristino degli antichi valori di cui l’Ordine si
era dichiarato paladino e che le conseguenze
della perdita di Malta
sembravano aver intaccato. Già predestinato successore del Gran Maestro De
Rohan, Tommasi era stato indicato soprattutto per la coerenza con i principii
Religione Gerosolimitana e per le virtù militari.
I suoi primi provvedimenti come Gran Maestro confermarono le aspettative
che erano state riposte in lui dalla stragrande maggioranza dei cavalieri maltesi.
In un progressivo avvicinamento alla Terra promessa stabilì la sede in Sicilia:
prima a Messina, nel 1803, poi a Catania248, l’anno successivo. Avviò
instancabili trattative diplomatiche per far applicare l’articolo 10 del trattato di
Amiens, che prevedeva la restituzione di Malta all’Ordine, rimasta lettera
morta
per
l’ostruzionismo
sostanziale
della
Gran
Bretagna.
Vista
l’impossibilità di ottenere il riconoscimento concreto del trattato, covò un
progetto di sbarco, fosse anche simbolico, dei Cavalieri sull’isola. Morì a
Catania, il 13 giugno 1805, dopo aver testimoniato il ritorno dell’Ordine ai suoi
antichi valori249.
Il problema era, ancora una volta, che la politica internazionale sembrava
ormai da tempo muoversi su binari che deragliavano dall’etica cavalleresca. In
questo senso, la morte gli risparmiò l’ennesima delusione: la perdita definitiva
247
P.CAUCCI VON SAUKEN, La perdita di Malta e il Gran Maestro Tommasi a Messina, in
AA.VV., La presenza dei Cavalieri di San Giovanni in Sicilia, I, Roma, 2001, p. 71.
248
“il piano nobile del Palazzo situato nella piazza stessa di S. Filippo con le corrispondenti
officine, fu abitata senza pigione dal fu Gran Maestro Tommasi” in C. MARULLO DI
CONDOJANNI, La Sicilia ed il Sovrano Militare Ordine di Malta, Messina, 1953, pag. 192, che
trae la notizia dall’Archivio del Duca di Carcaci – Vol. Riveli e Borderò.
249
Per un breve profilo di Tommasi vd. ivi, pp. 67-76.
84
di Malta e la sua inclusione nell’Impero britanico, sancite nel Congresso di
Vienna.
2.4 I plenipotenziari giovanniti al Congresso di Vienna
Non si trattò, in verità, che di una normalizzazione temporanea. Tommasi fu,
sino al 1879, l’ultimo Gran Maestro eletto. Dopo di lui la vacanza della carica
venne ricoperta provvisoriamente con una successione di Luogotenenti che
dilatò per quasi un’ottantina d’anni una situazione di emergenza, legata ai
ritardi con i quali sembrava riassestarsi la struttura gerarchica dell’Ordine dopo
la tremenda scossa della campagna napoleonica250. Ne scriveremo al paragrafo
seguente. Si ritiene opportuno, qui, solamente accennarvi per sottolineare come
in un momento nevralgico per le sorti di Malta, il momento della ratifica
ufficiale della destinazione dell’isola, che si sarebbe conclusa con il Congresso
di Vienna, l’Ordine si presentava agli occhi delle Potenze europee con un
ulteriore deficit di legittimità, portato evidente di una situazione interna che
arrancava ancora sulla via di una faticosa normalizzazione.
La sconfitta diplomatica che esso subì, e di sconfitta si deve a onor del vero
parlare, rispetto all’obiettivo dei Cavalieri di riconquistare la sovranità
sull’arcipelago maltese, non dipese, ovviamente, solo da tale condizione
deficitaria: ormai troppi interessi geopolitici si erano consolidati attorno a
Malta. Pure la difficile situazione interna dell’Ordine non aiutò certo i reclami
della Religione giovannita. Durante le trattative e i negoziati, anzi, la questione
della sovranità di Malta si sovrappose a problemi e dubbi più essenziali che
riguardavano la stessa possibilità di sopravvivenza dell’Ordine, come struttura
artistocratica e multinazionale, e sulla sua capacità di tener fede, proprio in
funzione della sua visibile debolezza, alla funzione storica che aveva sempre
mantenuto: la lotta navale contro i pirati barbareschi. Ed alla fine, il fatto che la
250
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 119.
85
sopravvivenza dell’Ordine venne garantita dalle altre monarchie europee venne
registrato dai Cavalieri, se non come una vittoria, come una disfatta evitata.251
Il trattato di Amiens, ed in particolare l’articolo che prevedeva il ritorno
dell’Ordine a Malta, era rimasto ormai lettera morta. Lo stesso ambasciatore
napoletano a Londra, Castelcicala, aveva ormai registrato dietro il
temporeggiare del Governo britannico la chiara intenzione di non restituire
l’arcipelago al legittimo sovrano e, quindi, la ormai certa inutilità dell’accordo
di Amiens. Scriveva infatti al ministro Acton che “giammai nelle numerose
combinazione che la politica ha presentato ve n’è stata una più difficile, più
impicciata e più complicata di quella che quello sterile scoglio offre in questo
momento”. Attribuiva le ragioni di questa impasse all’atteggiamento inglese, e
concludeva ormai disilluso: “Questa inesplicabile condotta è stata l’origine di
tanti mali che ora deploriamo di Amiens riguardo Malta”252.
L’opera di sensibilizzazione, o di nazionalizzazione, di Ball aveva prodotto i
suoi frutti. La Gran Bretagna, pur senza titoli giuridicamente validi, si
presentava al consesso europeo come legittimo occupante dell’arcipelago.
Legittimità conferitale dalla volontà, ben guidata dall’alto, degli abitanti che
essa rimanesse a tutela delle isole. La scritta che si leggeva sul portale del
palazzo del Gran Magistero così recitava: “Magnae et invictae britanniae
Europae vox et melitensium amor has insulas confirmat”; essa avrebbe
sintetizzato felicemente l’essenza della strategia politica di Londra: conquistare
il consenso dei maltesi, per ottenere il riconoscimento dell’Europa al dominio
su Malta253.
Mancava ancora il crisma dell’ufficialità. Nel 1813 il governatore inglese di
Malta, sir Thomas Maitland, spazzavia via ogni ambiguità sulle intenzioni
britanniche dichiarando, grazie anche all’occasione offertagli da un’epidemia
che avevo colpito la popolazione, e rispetto alla quale il governo dell’isola
aveva agito con efficacia e determinazione, che l’ambizione del governo
attuale era quella di “consolidare e stabilire sopra una ferma e permanente bae
251
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna, cit., pp. 125-132.
Castelcicala ad Acton, 10 luglio 1802, cit, in M. ARRIGONI, Come gli inglesi andarono a
Malta e vi restarono, Istituto per gli Studi Politici Internazionali, Milano 1940, p. 115.
253
A.MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit., p. 185.
252
86
la felicità e la prosperità di queste isole”. Perché non venissero lasciati dubbi
di sorta aveva aggiunto che Sua Maestà britannica “si è graziosamente
compiaciuta di provvedere al loro benessere, l’alta considerazione che ha dato
al loro stato fin qui incerto e non stabilito e la sua graziosa determinazione di
riconoscere di qui immensi i Maltesi e i Gozitani come sudditi della Corona
britannica e come intitolati alla sua più ampia protezione”254.
Qualche mese dopo lo stesso governatore completava l’opera, decretando
una sorta di lieve e cordiale damnatio memoriae255. Imponeva che sparissero i
riferimenti ai precedenti dominatori dell’Isola, ordinando che “tutti gli stemmi
e gli altri emblemi di sovranità, di qualunque specie possano essere, siano
rimossi, però con quel grado di rispetto e di decenza dovuto ad un Ordine di
ragguardevole antichità e di molto ben meritata reputazione”. Al posto degli
antichi simboli, “verranno poste le insegne di S.M.” e “tutte le corti di giustizia
stabilite in queste possessioni siano da qui innanzi intitolate corti di giustizia
di S.M., che li giudici siano denominati in tutte le petizioni e in tutte le
circostanze, giudici di S.M e che per queste isole in qualunque passo dei
processi legale del quale potesse essere in addietro usato il nome di Gran
Maestro si debba in futuro mettere il nome di S.M.”256.
Dinnanzi a questa affermazione simbolica della conquista, non pare certo
si ascoltasse, come recitava la già citata frase del portale, la voce dell’Europa.
Di fatto fu più il silenzio che prevalse: nessuna Potenza, nelle condizioni in cui
le guerre napoleoniche avevano posto la Gran Bretagna come nume tutelare
della sopravvivenza europea dalla minaccia francese, poteva mettere in
discussione le decisioni di Londra, conformi o meno che esse fossero al diritto
internazionale. Men che mai l’Ordine, che Potenza non lo era mai stato. Men
che mai, ancora, il Regno delle Due Sicilie, che dall’Inghilterra dipendeva
ancora per la ricostruzione dei suoi territori, smembrati dall’azione di
Napoleone. In questo senso la risposta di Coleridge al Re di Napoli, di fronte
254
Maitland, 15 ottobre 1813, cit. in M. ARRIGONI, Come gl’inglesi andarono a Malta e vi
restarono, cit., pp. 12-13.
255
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 39.
256
Maitland, 4 febbraio 1814,cit. in M. ARRIGONI, Come gl’inglesi andarono a Malta e vi
restarono, cit., p. 126.
87
alla timida richiesta di riconferma dell’antico diritto feudale su Malta, (“Tacete,
la vostra esistenza come Nazione dipende esclusivamente dall’appoggio
dell’Inghilterra. Non solo lo Stato, ma la libertà e la vita dello stesso
Ferdinando sono avvinti alla sorte inglese”257), non era improntata ad alcun
garbo diplomatico, ma aveva il rozzo pregio della chiarezza. E spiegava, al di
là di ogni dubbio, quale fosse rispetto a Londra la forza contrattuale di chi
avrebbe voluto la restituzione di Malta.
In questo gioco poco equilibrato di forze, l’assegnazione formale alla Gran
Bretagna dell’Isola rappresentava solo una formalità, che venne espletata nel
marzo del 1814, con il trattato di Chaumont. Il trattato, fu frutto dei negoziati
della conferenza di pace di Chatillon, città francese ubicata dietro le linee
alleate. Rappresentò, in sostanza, un’anteprima in scala minore del Congresso
di Vienna, dove si confrontarono Francia, Gran Bretagna, Russia, Austra e
Prussia sulle sorti di un’Europa apparentemente sulla via di una pacificazione.
Tra le questioni tra dipanare, quella dell’arcipelago maltese fu una delle meno
complicate: il trattato di Chaumont, all’articolo 7, disponeva che “l’isola di
Malta e le sue dipendenze appartengono in proprietà e sovranità a S.M.
Britannica”258. La definitiva consacrazione di un possesso che già Londra
deteneva di fatto da un quindicennio, e che stabiliva il formale ingresso
dell’Isola nell’Impero britannico.
Il riferimento a questo trattato, su cui spesso, nella storiografia generalista, il
più maestoso Congresso di Vienna proietta un’ombra, è d’obbligo: spiega, in
parte, l’andamente dei negoziati di Vienna per quello che interessava le
richieste dell’Ordine. I plenipotenziari inviati dal Luogotenente Guevara Sardo
a negoziare la riassegnazione di Malta si trovarono di fronte alla situazione di
non dover più, come era stato in precedenza, rivendicare l’articolo di un trattato
disatteso (quello di Amiens), ma di raclamare la revoca di un altro trattato
appena stipulato (quello di Chaumont). Ai danni, per di più, della potenza
vincitrice che si postulava come ago della bilancia dell’intero equilibrio
europeo.
257
258
Cit. in A. MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit., p. 182.
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., pp. 112-115.
88
Era per ovvie ragioni una situazione complessa. E questo motiva la prudenza,
la cautela, la circospezione che segnarono sin dall’inizio l’operato dei
negoziatori gerosolimitani inviati a partecipare alle trattative del congresso di
Vienna. Già nel febbraio del 1814, quando ancora non si sapeva molto sul
luogo e sulle prospettive dei futuri negoziati, il Luogotenente dell’Ordine
aveva nominato due Cavalieri “da inviare a un congresso che potrà esservi per
la pacificazione generale delle Potenze attualmente belligeranti”259: erano stati
scelti Girolamo Laparelli e Antonio Miari. In particolare nella presenza del
primo di essi al Congresso, Laparelli rivestano infatti la carica di Gran Priore
di Inghilterra, risiedevano le speranze dell’Ordine di ricevere un trattamento
benevolo dal Governo di Castlereagh. Laparelli però, per una sopraggiunta
malattia, non potè recarsi alle negoziazioni, e venne sostituito da Daniello
Berlinghieri: quest’ultimo, figura di spicco nel mondo culturale toscano, era un
letterato classicista che aveva ottenuto l’incarico di Ricevitore del Priorato di
Pisa, ed era al momento delle nomina da oltre un lustro Rettore dell’Università
degli Studi di Siena, carica che avrebbe ricoperto sino al 1826260.
Contestualmente alla nomina vennero redatte delle istruzioni, che servissero ai
plenipotenziari come generali linee guida per il reclamo, da adattare
eventualmente al clima e al contesto che si sarebbe venuto a creare durante le
negoziazioni261.
Erano ventuno punti. Il primo fissava l’obiettivo minimo da conseguire: “[...]
assicurare con il consenso, ed approvazione non che gradimento di tutte le
Potenze così la conservazione e la sussistenza del più antico ed illustre degli
Ordini Equestri, in una parola dell’Ordine Gerosolimitano, come il suo
maggior bene e gloria in avvenire”262.
259
Cit. in U.CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna , cit., p. 67.
Per le modalità e le ragioni di queste nomine, e per una breve descrizione dei Cavalieri
scelti, cfr. ivi, pp. 68-70.
261
Il testo delle istruzioni, registrato come “Istruzioni per i due Plenipotenziari in un
Congresso di pace”, con data 23 febbraio 1814, si trova depositato presso l’Archivio Storico
del Sovrano Ordine Militare di Malta. Non avendo a disposizione l’originale, cito i punti da N.
NERI, “L’enigma maltese”, cit., pp. 129-141, che li riporta fedelmente.
262
Ivi, p. 129
260
89
Ai punti successivi si spiegava come ottenere queste assicurazioni, riponendo,
nel rispetto della natura multinazionale dell’Ordine, fiducia nelle mani dei
rappresentanti delle grandi Potenze europee e, nel rispetto della forte
connotazione religiosa dell’Istituto, nel Pontefice, al quale chiedere “l’alto suo
appoggio
presso
le
Potenze
preponderanti”263.
Sarebbe
toccato
ai
Plenipotenziari intuire i modi, i tempi e gli interlocutori privilegiati, giacché “a
così saggi, dotti, ed esperti Personaggi inutile è suggerire quello che in
generale dovranno dire dell’Ordine, ché suoi sentimenti, ché suoi desideri, e
delle sue disposizioni e quanto aggiungere per cattivarsi la benevolenza, il
favore, e l’appoggio dei Plenipotenziari di così alte Potenze264.”
Per quello che riguarda lo scopo ultimo di questi abboccamenti, esso doveva
essere, in prima istanza, la richiesta di un ripristino della sovranità su Malta:
“[...] La necessita di conservare un Ordine così antico, ed un tempo così
illustre, e benemerito di tutta l’Europa, sara da insistere a tutto potere per
fargli riavere il suo dominio in Malta, ove principalmente possa rendere
ancora a tute le Corone degl’importanti servizi, e custodendo un così
essenziale punto nel Mediterraneo, e prestanto alla Flotta, ai navigatori,
algi infermi di tutte le Nazioni, e al commercio di tutti i Popoli quelle
sicurezze, quei ripari, soccorsi, e comodi, di cui con sommo suo dispendio è
stato sempre largo e liberale verso tutti per quasi tre secoli consecutivi.”
Il ripristino del possesso, inoltre, “al modo stesso che in addietro abbia ad
essere libero, ed indipendente nell’esercizio della sua Sovranità e
Neutralità”265.
Solo nel finale questo radicale conservatorismo sembrava cedere al dubbio che
forse le condizioni politiche internazionali erano troppo mutate per poter
semplicemente, con un tratto di penna, riportare interamente il tempo
263
Ivi, pp. 130-131.
Ivi, pp. 131-132.
265
Ivi, pp. 132-134.
264
90
all’indietro, all’era prerivoluzionaria francese. Quindi,dopo aver augurato un
ritorno anche dell’Ordine stesso agli Statuti tradizionali, le istruzioni passavano
rapidamente in esame la possibilità che Malta non potesse venir concessa. In
quel caso, recitavano gli ultimi articoli delle “Istruzioni”, i plenipotenziari
“solleciteranno la restituzione di Malta, e non potendola ottenere, un altro
stabilimento nel Mediterraneo; la restituzione o un compenso delle proprietà
perdute; la riunione delle soppresse o disperse Lingue, i mezzi di difesa per lo
stabilimento che si otterrà”266.
Su questo punto, sul luogo alternativo a Malta, in caso di rifiuto della stessa da
parte delle Potenze europee, sembrava prevalere una dolente reticenza, quasi ad
esorcizzare la possibilità che tale rifiuto si verificasse. Lo stesso Maiari chiese
un supplemento di informazioni, manifestando l’opportunità che venissero date
indicazioni più precise su quale sito eventualmente chiedere in assegnazione.
Ma le precisazioni del Luogotenente furono altrettanto evasive che le
precedenti istruzioni: ci si affidava ai “talenti ed alla perspicacia” dei
plenipotenziari “di scegliere e domandare quel luogo, che giudicheranno poter
convenire, e che gli suggeriranno le circostanze”267.
Non era solo (e non era tanto) la pertinacia nel richiedere l’antico possesso a
rendere anacronistiche, e dunque inadeguate perché avulse da un’analisi lucida
del radicalmente modificato contesto internazionale, le istruzioni emanate
dall’Ordine. Anzi, questo vizio di sclerosi era, tra tutti, quello più
comprensibile, giacché al momento in cui vennero redatte le direttive (nel
febbraio del 1814) non era ancora stato stipulato il trattato di Chaumont che
aveva formalmente chiuso, in un prospettiva internazionale, la questione
maltese268. Una diffusa rigidità analitica affiora da tutti gli altri punti del testo,
e finì di conseguenza con il connotare lo stesso approccio che veniva
consigliato ai plenipotenziari.
Era assai poco lungimirante, l’idea, per citare uno di questi punti, che i
Cavalieri dovessero insistere sull’identità di buon governo aristocratico e
religioso, quando già questo istituto era stato cassato dalla Storia come
266
267
Ivi, p. 139.
Cit. in U.CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna , op. cit., pp. 78-79.
91
obsoleto, e l’unico esempio che rimaneva in Europa, lo Stato pontificio, inziava
a intravedere la sua fine, che si sarebbe consumata di lì a poco più di una
cinquantina d’anno (per i colpi di uno Stato, per inciso, tutt’altro che informato
agli ideali rivoluzionari e tendenzialmente conservatore).
Oppure, per fare un altro esempio, il suggerimento che i ministri si curassero di
sottolineare la funzione storica e strategica che l’Ordine aveva esercitato,
quello di baluardo contro il nemico islamico, strideva con una realtà
internazionale del tutto mutata, in cui il pericolo turco era quasi totalmente
debellato e sul principio di lotta di civiltà (che solo agli albori del ventunesimo
secolo sarebbe stato maldestramente rispolverato) iniziava a prevalere, nei
rapporti tra culture differenti, il principio di civilizzazione dell’“altro”.
Principio imbevuto di carità, a dir il vero, che avrebbe mostrato la sua
recondita ferocia dopo la seconda metà dell’Ottocento, nella brutale “corsa
all’Africa” delle potenze coloniali che alcuni vedono come un indice della
violenta contemporaneità269: ma già agli inizi del secolo esso andava
manifestandosi, al posto della guerra santa, come rivestitura ideologica di
legittimazione delle nuove forme di colonialismo. Di fatto stava affermandosi
l’idea di includere, con trattati capestro, con forme di assoggettamento
economico, di nazionalizzazione forzata, di imposizione dei dettami culturali
dell’Occidente ed con altre espressioni di quella che viene chiamata “violenza
simbolica”270, i paesi che sino ad allora avevano rappresentato il nemico
musulmano e in particolare barbaresco271.
Era questo il limite delle istruzioni dettati ai Cavalieri: i punti di forza del loro
reclamo sembravano congelati almeno al secolo precedente, senza che in essi
sembrasse tenersi conto dei mutamenti che l’Europa e lo stesso Ordine avevano
subito: “In effetti – scrive Nicola Neri – nel corso delle Crociate l’Ordine era
nato con questo spirito e a queste condizioni. Ma all’apertura del congresso di
Vienna, il “turco” non era più un nemico, il Sacro Romano Impero era caduto,
la Riforma, la Rivoluzione Francese e Bonaparte erano sopraggiunti, e
268
N.NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 135.
E. TRAVERSO, La violenza nazista. Una genealogia, Bologna, 2002.
270
Sul concetto di “violenza simbolica” cfr. P. BOURDIEU, Ragioni pratiche, Bologna, 1995.
271
U.CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna, cit., pp. 104-105.
269
92
l’Ordine stesso aveva, negli ultimi secoli, allentato la tensione religiosa e
militare”272. In più, altra zavorra ereditata da un passato ormai ingombrante,
nella prospettiva scelta dall’Ordine, persisteva la resistenza della Milizia a
riconoscersi come Nazione. Continuava a prevalere la concezione di se stesso
come istituzione multinazionale ma non sovranzionale e dipendente quindi
dalle principali nazioni rappresentate in esso: le istruzioni recitavano di
chiedere dunque alle Potenze “appoggio”, “approvazione” e “gradimento” e
impostare tutte le rivendicazioni sulla base di questa preventiva richiesta di
benevolenza273.
Un commentatore francese contemporaneo agli eventi, il De Flassan, che entrò
in una polemica a distanza con i plenipotenziari (in particolare con il
Berlinghieri) per le modalità e persino per i toni con i quali essi avevano gestito
le negoziazioni, rimproverò proprio questo atteggiamento eccessivamente
timido, quasi devozionale, sul fondamentale tema della sovranità dell’Ordine;
lo storico francese riteneva che essa dovesse essere rivendicata al Congresso
come sovranità “originaria” e non “emanata”, piuttosto che essere presentata
come il frutto di una concessione di Potenze altre, che solo esse quindi
avrebbero potuto ribadire274. Il Berlinghieri, invece, rispondeva all’accusa
insistendo sul fatto che la sovranità dell’Ordine poteva essere intesa solo come
“emanazione della sovranità delle alte Potenze, di cui la nobiltà che compone
compone l’Ordine è nata suddita. Non essendo sovrano che per volontà di
queste Potenze, era a questa volontà, come alla loro giustizia, che bisognava
rivolgersi, per essere mantenuti in questo insigne onore”275.
272
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 138.
Cfr. supra.
274
Gaétan de Raxis de Flassan è autore di un’opera storica sul congresso di Vienna: Histoire
du Congrès de Vienne. Par l’auteur de l’histoire de la diplomatie française, 3 voll., Paris 1829.
La lettera che esprime la polemica con Berlinghieri è invece Lettre de Monsieur De Flassan,
chevalier de Saint Jean de Jèrusalem, etc., en résponse à la lettre de M. le Commandeur
Berlinghieri, l’un des ministres plénipotentiaires de Malte au Congrès de Vienne, Paris 1829.
Entrambi i documenti sono citati da U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e
principio di legittimità, cit., p. 129.
275
Il virgoletto è tratto dalla lettera inviata da Daniello Berlinghieri in risposta alla polemica
opera storiografica di De Flassan: Lettre de M. le Commandeur Berlinghieri ancien ministre
plénipotentiaire de l’Ordre souverain de Saint Jean de Jèrusalem au Congrès de Vienne, à
Monsieur De Flassan, chevalier de plusieurs ordres, sur la partie de son histoire de ce congrès
relative aux négotiations concernant ledit Ordre, Paris 1829.
273
93
Questa incapacità a concepirsi come realtà autonoma e di autonoma sovranità,
che era appunto una delle ragioni cui il De Flassan addebitava il fallimento
della missione, impedì, per esempio, che l’Ordine, di fronte allo strapotere
delle cinque Potenze che decisero di fatto la maggior parte delle questioni del
Congresso (Gran Bretagna, Russia, Austria, Prussia e Francia)276, potesse
intrecciare una trama di relazioni internazionali assieme alle restanti Potenze
per creare un fronte comune: “Non vi era, dunque, nessun programma di
massima, commenta il Neri, nel cercare di coalizzarsi con le altre Potenze
minori e cercare di esprimere un peso specifico nel corso delle negoziazioni,
non vi era l’intento di riconnettersi con il passato alto dominio dell’Isola di
Malta, il Regno di Napoli, che pure avrebbe espresso una volontà di protezione
dell’Ordine, e non si pensava neppure ad abbracciare decisamente la causa e
gli interessi di una Grande Potenza, ma solo l’indirizzo di rivolgersi
generalmente e indistintamente alle “Potenze preponderanti””277.
Va detto, in ogni caso, che questa visione dell’Ordine, visione di sé e della
storia nel quale esso si trovava ad operare, rivolta al passato non era una
semplice vertigine di reazionarismo: poteva ritrovare qualche ragione di
giustificazione nell’impostazione che gli stessi architetti del Congresso
avevano voluto fornire, quantomeno pubblicamente, alle negoziazioni,
finalizzate alla costruzione di un’Europa che sarebbe stata incardinata sul
principio della legittimità e quindi della restaurazione, per quanto possibile,
dell’ancien régime. Le analisi di Talleyrand e Metternich sull’esigenza di
cancellare il trauma della Rivoluzione e di Napoleone, opera di per sé
proibitiva, visto che il 1789 e ciò che ne era seguito aveva segnato, prima
ancora che i destini politici delle dinastie, la coscienza collettiva dei francesi e
degli europei278, ripristinando al loro antico trono i tradizionali sovrani, le loro
distinzioni, sofisticate, a tratti sofistiche, tra sovranità legittime e illegitime, tra
concessioni territoriali valide e nulle perché avvenute in regime di coercizione,
276
H.G.NICOLSON, Il Congresso di Vienna. Saggio sull’unità degli Alleati: 1812-1822,
Firenze, 1952
277
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., pp. 131-132.
278
Sulle ricadute durature nelle memoria collettiva del giacobinismo, vedi S. LUZZATTO, Il
terrore ricordato. Memoria e tradizione dell’esperienza rivoluzionaria, Torino, 2000.
94
le complesse definizioni di troni vacanti279 potevano solo all’apparenza
vellicare, nell’Ordine, la speranza di un riassetto integrale dell’Europa (e,
dentro l’Europa, di Malta) allo status quo precedente alla guerra.
Ma la vulgata storiografica di un “congresso della restaurazione”, presente
anche in molta manualistica sull’età contemporanea, non tiene nella giusta
considerazione quello che fu, decisamente più che il legittimismo, il principio
che governò le politiche dei congressisti: il principio dell’equilibrio, e del
bilanciamento delle potenze europee. Nel nome e sotto il segno di tale
principio venne costruita un’Europa rinnovata, più che semplicemente
restaurata; per questa ragione vennero tollerate anche parziali o radicali
sconfessioni del carisma della continuità dinastica: sconfessioni che, nel loro
insieme, costituivano “l’eccezione al principio di legittimità nella restaurata
Europa”280. Il ritorno di Malta all’Ordine rientrava agevolmente sotto il
concetto di restaurazione. Poteva forse, con qualche forzatura giuridica in più,
esser letta come un’applicazione del principio di legittimità281. Ma era
certamente incompatibile con il principio dell’equilibrio giacché corollario
irrinunciabile di questo ultimo principio era che la Gran Bretagna mantenesse il
controllo sul Mediterraneo anche in virtù del possesso dell’arcipelago maltese.
Fu questo l’errore di miopia dei plenipotenziari, che, sulla traccia indicata loro
dalle “Istruzioni”, si mossero esclusivamente per la rivendicazione di Malta o
di un’altra isola del Mediterraneo. Venne elaborata una memoria, che fu
presentata in copia a Metternich e agli altri ministri delle Potenze riunite in
congresso282. È stato definito il “documento ufficiale più significativo
dell’attività dei plenipotenziari dell’Ordine”283, e parte di questa importanza è
certamente dovuta al fatto che esso riflette, come lo avevano fatto le istruzioni,
tutte le sbavature dell’anelasticità della strategia di rivendicazione dei
279
Sulle teorie di Talleyrand e Metternich sul concetto di legittimità cfr. U. CASTAGNINO
BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., pp. 41-61.
280
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna, cit., pp. 125-127.
281
Anche se in realtà formalmente, come abbiamo visto, - volendosi rispettare la lettera del
diritto - il principio di legittimità avrebbe previsto il ritorno dell’arcipelago al Regno di Sicilia.
282
Il documento, dal titolo Mémoire présenté par les Ministres plénipotentiaires de l’Ordre
souverain de Saint Jean de Jérusalem au Congrès de Vienne è riportato per ampli stralci in
U.CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., pp. 85-92.
283
N.NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 148.
95
Cavalieri: si insisteva su un excursus storiografico che metteva in luce i valori
religiosi e cavallereschi dell’Ordine, dalla fondazione dell’XI secolo sino alla
perdita di Malta, si stigmatizzava “la sovversione di tutti i principi morali
causata da sedicenti massime filosofiche” che aveva “lacerato i legami più
sacri e più necessari al mentenimento della sicurezza”. Si ammetteva, in tono
dimesso, qualche responsabilità, nel dichiarare che “l’Ordine di San Giovanni,
d’istituzione religiosa militare e nobiliare, non potè essere preservato dal
veleno che la rivoluzione dirigeva principalmente verso queste corporazioni”,
e si accusavano pochi influenti cavalieri, i quali “dimentichi dei loro
giuramenti e dei doveri della riconoscenza, agitarono in mille modi un popolo
imprudente e incredulo” del tradimento che aveva permesso la facile
capitolazione dell’Isola in mano francese. Chiusa definitivamente questa
pagina nera, l’Ordine, a detta delle memorie, si presentava adesso pronto a
riprendere la sua funzione di difesa dal nemico nel Mediterraneo e nella Storia.
Si chiedeva dunque che venissero restituiti tutti i beni espropriati dai vari
sovrani e che venisse assegnata una sede all’Ordine. Sul luogo i Cavalieri
reputarono non fosse opportuno indicare esplicitamente Malta, per quanto si
lasciasse intendere che quella fosse la sede tradizionale e ormai naturale
dell’Ordine, e si appellarono “ai Monarchi stessi ed ai loro rappresentanti, che
conoscono perfettamente gli interessi di tutti gli Stati e ciò di cui si può
disporre per compensare le perdite subite da ciascuno di essi, esaminare e
determinare [...] qual è il luogo più adatto per il ristabilimento della sede
dell’Ordine”284. Certo il nuovo stabilimento doveva avere delle caratteristiche
molto simili a Malta; sottolinea Neri a tal proposito che “non avrebbe dovuto
essere troppo lontano dal centro del Mediterraneo, ed aveva un porto capace
di contenere una squadra con tutti i tipi di bastimenti, uno spazio adeguato per
un arsenale, ed un lazzaretto, tutte le cose strettamente legate ed incarnanti la
natura dell’Ordine”285. A garantire l’immagine di riacquistata compattezza,
dopo le lacerazioni legate ai tradimenti interni, che l’Ordine voleva offrire alle
Potenze europee venne presentata al Congresso, detto per inciso, un’altra
284
I virgolettati si riferiscono a passi puntuali delle Memorie, citati in U. CASTAGNINO
BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., pp. 87-89.
96
memoria, presentata dai cavalieri di Lingua francese, che per quanto
confermasse nella sostanza le richieste di Miari e Berlinghieri, formalmente
smentiva il ritorno della Religione a quell’unità che veniva rivendicata come
punto tradizionale di forza dell’Ordine286. Non era certo, in ogni caso, questo
dettaglio a rendere complesse le negoziazioni. Il muro invalicabile che
divideva i cavalieri da Malta continuava ad essere rappresentato dal veto posto
dalla Gran Bretagna ad un’ipotesi di questo tipo. Veto sempre più ineludibile,
visto che l’Inghilterra, già titolata a presentarsi come l’ago della bilancia
dell’equilibrio europeo, aveva visto rafforzare ulteriormente il suo ruolo e il
suo peso all’interno delle vicende del Congresso, grazie alla parentesi dei
Cento giorni di Napoleone che aveva consolidato, agli occhi delle altre
Potenze, la Gran Bretagna come garante unica e necessaria al mantenimento
della pace in Europa287. Dinnanzi a tale veto, anche la diplomazia parallela
intentata dal Miari attraverso contatti con gli altri governi europeei (Prussia,
Austria, Napoli, Russia) non produsse che cordiali e formali riconoscimenti del
valore e della gloriosa storia dell’Ordine, senza che si arrivasse mai a nette
prese di posizione pubbliche in favore dei Cavalieri288.
L’Atto finale del Congresso, datato 9 giugno 1815, che segnò la fine dei lavori,
non faceva menzione alcuna a Malta. Lasciando, col proprio silenzio, immutati
i termini del Trattato di Chaumont. Né si faceva riferimento ad altre possibili
sedi da assegnare all’Ordine. E nemmeno si sospendeva ufficialmente la
questione rinviandola ad altra data. Solo un silenzio che produsse una
lamentela ufficiale dei delegati dell’Ordine. Miari e Berlinghieri, nella
circolare di congedo dagli altri diplomatici, si rammaricavano del fatto che non
fosse stata loro presentata “una qualche notificazione ufficiale sul fatto che
questa illustre Assemblea avrebbe discusso gli interessi dell’Ordine, e preso in
considerazione la giusta domanda che i suoi rappresentati gli avevano fatto
per ottenere il suo ristabilimento utile, e, di conseguenza, la giusta indennità
che l’Ordine aveva motivo di sperare per l’isola di Malta, dopo che le Potenze
285
N.Neri, “L’enigma maltese”, cit., p. 151.
Ivi, pp. 152-154.
287
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 112.
288
N.NERI,“L’enigma maltese”, cit., pp. 154-162
286
97
firmatarie del trattato di Parigi ne avevano assicurato il possesso
all’Inghilterra”289.
CAPITOLO TERZO
DA VIENNA A NEW YORK (1815-1994)
SOMMARIO: 3.1 I congressi della Restaurazione – 3.2 Gli anni della Luogotenenza – 3.3 I
rapporti con l’Italia ed il suo ordinamento giuridico – 3.4 La posizione del S.M.O.M. nella
comunità internazionale
3.1 I congressi della Restaurazione
Il quarto di secolo che va dalla rivoluzione giacobina al Congresso di Vienna
rappresenta per la Religione gerosolimitana il concretizzarsi di una débâcle: in
questi termini, abbiamo visto, essa viene descritta nelle memorie dei Cavalieri,
nei carteggi diplomatici e nelle missioni dei Plenipotenziari, nelle relazioni
redatte a vantaggio dei Luogotenenti dell’Ordine o dei corrispondenti esteri
delle varie Lingue in esso rappresentate290.
Ben oltre l’umano sconforto, che irrompe da quelle righe di cui abbiamo
provato a offrire testimonianza, vergate con l’animo di uomini di Fede, Ordine
e di Tradizione costretti ad assistere impotenti alla frana di un mondo di ancien
régime violentato dagli ideali rivoluzionari, è certo che il sisma rivoluzionario
e napoleonico avesse rappresentato per le vecchie istituzioni europee (e tra
queste l’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme), come è stato scritto, “la fine
di un’epoca”: “È l’inizio della fine. Conclusa l’epoca della sovranità sull’isola
si apre quella fase che vedrà scomparire in breve tempo la maggior parte
dell’antico patrimonio gerosolimitano”291.
289
U.CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 112.
Cfr. supra.
291
G.PACE GRAVINA, La fine di un’epoca, in L. BUONO e G. PACE GRAVINA, a cura di, La
Sicilia dei Cavalieri. Le istituzioni dell’Ordine di Malta in età moderna (1530-1826), Roma,
2003, pp. 317-320..
290
98
Non era solo un patrimonio di beni immobili, di commende, di territori. Non
era solo un patrimonio materiale che andava scomparendo. Era anche, forse
soprattutto, un patrimonio di valori, di rappresentazioni del mondo che
venivano bruscamente soppiantati da altri, portati in punta di baionetta dalle
armate francesi.
La lotta dei Cavalieri sarà dunque, dalla perdita di Malta in avanti, la lotta per
resistere ad una fine che sembra ormai imminente e inesorabile. Uno dei
migliori interpreti di questo sentimento fu il già citato Antonio Miari. Uomo di
presitigio, proposto più volte per il Gran Magistero, legato da stima reciproca a
molte personalità europee e per questo incaricato di portare avanti difficili
negoziati diplomatici, Miari sostenne il fardello delle trattative durante i
congressi (Vienna, prima; dopo, Verona) che avrebbero dovuto chiarire il
futuro dell’Ordine292. Nel vortice degli estenuanti incontri, spesso scoraggianti
per i risultati, presso le corti europee (in particolare gli Asburgo d’Austria) per
provare a strappare un qualche risaricmento alla Religione melitense, Miari
esponeva al Luogotenente Busca: “Ma fate pure che si abbino degli eccellenti
principi e delle ottime intenzioni. Se non ci ammettono al Congresso di Verona,
quando tutti i Sovrani Alleati e varj altri sono uniti, ove ricorreremo noi per
ottenere que’sussidj e quegli ajuti, de’quali tanto in oggi abbisogniamo per
prolungare la nostra attuale esistenza? Uniti potrebbero prontamente,
d’accordo, ed in concorso farci quegli assegni che giudicassero nella loro
saviezza all’uopo necessarj. Separati una volta, non otterremo più nulla da
alcuno [...]. Pure periamo ancora che saremo e chiamati ed intesi;
vedremo.Che se mai la cosa avesse ad andare altrimenti, e fossimo in realtà
giunti all’ultima scena della nostra Opera, Oh griderò bene io pure con voi:
“Signori, la colpa non è nostra: abbiamo fatto quanto è stato in nostro potere:
i principj del secolo hanno trionfato dei nostri sforzi; ma noi abbiamo non di
meno la coscienza netta”293.
292
Per un profilo di Antonio Miari vedi G.SABINI, Un ambasciatore dell’Ordine di Malta al
Congresso di Vienna: Antonio Miari, in Rivista Internazionale, 2-1938, pp. 12-15.
293
Lettera di Miari a Busca, cit. in A. FARINELLI TOSELLI, Vicissitudini dell’Ordine dei
Cavalieri di Malta nei primi anni dell’Ottocento . Archivio dell’Ordine di Roma. Incartamento
Busca (1821-1834), in Bibliografia analitica degli scritti relativi alla chiesa di San Giovanni
Battista a Ferrara, Ferrara, 1981, pp. 313-324
99
La storia dell’Ordine, per quanto riguarda questo scorcio di secolo, è dunque la
storia di una resistenza, intesa come somma di richieste, atti, provvedimenti
attraverso i quali restare ancorati ad una tradizione che si sgretolava
irreversibilmente, attraverso i quali ripristinare quelle strutture e quelle
sovrastrutture che avevano garantito la sopravvivenza della Religione di San
Giovanni di Gerusalemme durante i secoli.
E in questo senso che convergono quelli che uno storico chiama “fronte
interno” e “fronte esterno” lungo i quali si definisce la lotta dell’Ordine:
intendendo come fronte esterno la battaglia diplomatica per ottenere un
territorio sul quale ripristinare la sovranità e per conseguire almeno un
risarcimento dei beni confiscati; intendendo invece come “fronte interno” il
tentativo di rimettere ordine all’interno di un’Istituzione squassata dai
tradimenti, dalle divisioni (giunte persino alla forma clamorosa dello scisma),
delle cariche interine protrattesi a dilatare un duraturo stato di emergenza294.
Fronti strettamente legati tra loro, nella percezione dei Cavalieri, giacché era
convinzione diffusa, da un lato, che solo la riacquisizione di un territorio e dei
beni requisiti avrebbe consentito il ripristino delle funzioni storiche dell’Ordine
e il riassestamento interno. Mentre dall’altro, secondo gli interlocutori dei
ministri gerosolimitani, la ricomposizione e il rinsaldamento interni delle
strutture della Religione gerosolimitana erano condizioni preliminari perché
venissero concessi ad essa i beni confiscati e un territorio da gestire: senza
queste garanzie, qualsiasi territorio si volesse affidare in sovranità all’Ordine,
si sarebbe trasformato in un focolaio di destabilizzazone dell’equilibrio
europeo. O, per dirlo con le parole del primo ministro napoletano Acton, in un
“novello pomo della discordia”295.
È per questa ragione che i Cavalieri dispiegarono la loro lotta, agendo
contemporaneamente sia sul fronte interno che su quello esterno. Per quello
che riguarda l’aspetto interno, si trattava di dare una stabilità alle gerarchie
melitensi, eleggendo, come obbligatoria tappa iniziale, un nuovo Gran Maestro
la cui nomina potesse godere di conferma papale. Dopo lo scisma del Gran
294
295
N. NERI, “L’enigma maltese”, cit., pp. 154-164.
Cit. in A.MENNA, Storia dell’Ordine e dell’Isola di Malta dal 1798 al 1815, cit., p. 166.
100
Priorato di Russa e la coabitazione nella carica di un Gran Maestro de facto (lo
zar Paolo I) e un Gran Maestro de iure (Von Hompesch), si era giunti con la
nomina
al
Gran
Magistero
di
Tommasi
ad
una
momentanea
normalizzazione296. Alla sua morte, avvenuta a Catania il 13 giugno 1805, non
riuscendosi a trovare un accordo tra le diverse componenti del Convento ai fini
della nomina del suo successore, venne nominato ad interim come
Luogotenente Innigo Guevara Suardo. I cavalieri elettori avrebbero voluto
eleggere come guida Giuseppe Caracciolo di S. Erasmo, ma non essendo in
numero sufficiente, si limitarono alla sua candidatura delegando la nomina al
Pontefice. A questa candidatura dal basso, si opponeva Napoleone Bonaparte,
che premeva invece per la nomina di un Gran Maestro a lui gradito, Antonio
Miari. Pio VII non prese posizione, per evitare che si alterassero i delicati
equiibri europei297. Cosicché per scansare una nomina troppo favorevole a
Napoleone, pur trattadonsi della prestigiosa figura di Miari, che svolgeva un
ruolo cruciale nelle relazioni estere dell’Ordine e per non avallare la nomina
del Caracciolo (che aveva perduto ormai credito presso i Cavalieri a causa della
sua
inclinzazione
autoritaria
e
assai
poco
rispettosa
degli
Statuti
dell’Ordine)298, il Papa decise di sospendere il procedimento, non nominare
Gran Maestro alcuno e di confermare la luogotenenza a Guevara Suardo.
Alla morte di questi, nel 1814, riaffiorò la candidatura di Miari, il quale però,
pur sostenendo la necessità di elezione di un Gran Maestro, declinò l’offerta,
per la sua “impossibilità a reggere una così grave responsabilità in un
momento tanto delicato per l’Ordine”299. Si seguì dunque nella pratica poco
ortodossa di nominare luogotenenti ad interim: nel 1814 fu la volta di Andrea
296
U.CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna, cit., pp. 36-37.
N.NERI, “L’enigma maltese”, cit., p. 140.
298
Caracciolo si era di fatto autoproclamato Gran Maestro a Messina, senza avere alcun avallo
papale, innescando di fatto un gioco pericoloso che vantava recenti e ancora dolorosi
precedenti: cfr. U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità,
op. cit., p. 39.
299
Correvano infatti i giorni del Congresso di Vienna, che vedeva il Miari impegnato nei
complessi colloqui con i ministri delle Potenze europee. Il virgolettatto è tratto da N.NERI,
“L’enigma maltese”, cit., p. 158.
297
101
Di Giovanni, ed alla morte di quest’ultimo, avvenuta
nominato alla carica Antonio Busca
300
nel 1821, venne
.
È proprio sotto la guida di Busca che avviene il trasferimento della sede
dell’Ordine a Ferrara da Catania, dove la Religione si era stabilita per oltre
vent’anni. Nonostante la lunga permanenza nella città del Gran Magistero,
Catania era stata pensata sin dall’inzio come sede provvisoria, in attesa che le
Potenze europee deliberassero sul’assegnazione a beneficio dell’Ordine di un
territorio appropriato per il reinsediamento dei Cavalieri e delle istituzioni di
rappresentanza e di governo gerosolimitane. Conclusesi con un nulla di fatto le
trattative di Vienna, sia per quanto riguardava la restituzione dei beni
confiscati, sia per quanto concerneva l’assegnazione di Malta, sia per le
questioni che toccavano i temi sensibili della regolamentazione interna
all’Ordine, le speranze residue dei Cavalieri si concentravano adesso sul
Congresso di Verona, dove il Luogotenente Busca confidava nel poter
spendere il favore che Metternich aveva sempre manifestato nei confronti
dell’Ordine301.
Ma erano, ancora una volta, speranze destinate ad essere disattese: Metternich,
pur legato alla Religione melitense da affinità ideologiche e pur essendone,
inoltre, formalmente membro302, si vide costretto a rinviare la discussione sulla
sorte dell’Ordine a tempi più favorevoli per la soluzione delle delicate
questioni in sospeso303. Le lettere di Miari a Busca, come già visto, esprimono
tutto il senso di una delusione che il fallimento di Vienna aveva già suscitato,
ma che le difficoltà incontrate dai ministri della Religione a Verona (persino,
sin dall’inizio, per ottenere i passaporti con cui recarsi nei territori austriaci per
poter esporre le loro richieste ai diplomatici europei304) confermava
oltremisura. In queste lettere Miari sgrana all’attenzione del superiore un triste
rosario di dinieghi. Non gli Stati italiani hanno appoggiato la causa
300
G.PACE GRAVINA, La fine di un’epoca, op. cit., pp. 318-319.
Sulle relazioni tra il Luogotenente e il Primo ministro austriaco vedi A.C. BREYCHAVAUTHIER DE BAILLAMONT, Busca et Metternich (1821-34). Une période peu connue de
l’Hsotire de l’Ordre, in Revue de l’Ordre Souverain de Malte, 1959, 3, pp. 105-112.
302
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna e principio di legittimità, cit., p. 61.
303
A.C.BREYCHA-VAUTHIER DE BAILLAMONT, Busca et Metternich (1821-34), cit., p. 106
301
102
dell’Ordine: intenti ormai a firmare “miserabili paci co’ Barbareschi”, essi “si
credono al sicuro d’ogni danno, d’ogni insulto da lor parte”; non la Francia,
che ha un governo costituzionale che non mostra favore ai Cavalieri, e che
comunque è di scarsa consistenza: “quanti ne abbiam veduto succedersi entro
il giro di pochi anni!”; non l’Inghilterra che “non ci è stata mai un solo istante
propizia, e crederà di essere ancora più tranquilla per conto del possedimento
di Malta, se di noi si perderà per sin la memoria”; non la Russia, non la
Prussia, la Baviera “che ci hanno abolito, appropriandosi dei nostri beni”. E
conclude: “Dopo tutto ciò voi stupirete, se le mie speranze non sono ben vivaci,
se il mio coraggio è alquanto dimesso. Forse stupirete meno, se aveste fatto
anche voi sette in ott’anni di dura scuola, come ho fatto io”305.
Anche nel Regno delle Due Sicilie la situzione non alimentava alcuna
illusione: il governo di Napoli era ormai apertamente ostile, e l’avversione
verso i Cavalieri venne ulteriormente esasperata con la successione di
Francesco I di Borbone al padre Ferdinando. Quest’ultimo aveva restituito le
commende siciliane all’Ordine, ma nel 1825 il figlio, già incoronato, revocò il
provvedimento e confiscò nuovamente i beni ai Cavalieri306.
Fu in questo clima, ed a causa di questo clima, che Busca decise di
abbandonare il Convento di Catania307. Il Pontefice, tra i pochi sovrani
seriamente interessati alle sorti dei Cavalieri, aveva dato la propria
disponibilità a offrire una sede
nei territori, a condizione che l’Ordine
dimostrasse di poter garantire un’autosufficienza economica308. A garanzia
comprovata, nonostante le evidenti difficoltà economiche nelle quali la
Religione versava, e chiesta apertamente dal Luogotenente la città di Ferrara
come destinazione, il Papa acconsentì. L’11 luglio 1826 il trasferimento della
sede da Catania a Ferrara venne formalizzata in un’Assemblea dell’Ordine
304
G.SABINI, Un ambasciatore dell’Ordine di Malta al Congresso di Vienna: Antonio Miari,
cit., p. 13.
305
I virgolettati sono tratti da A. FARINELLI TOSELLI, Vicissitudini dell’Ordine dei Cavalieri di
Malta nei primi anni dell’Ottocento, cit., pp. 315-316.
306
F.D’AVENIA, Le commende gerosolimitane in Sicilia: patrimoni ecclesiastici, gestione
aristocratica, in L.BUONO E G. PACE GRAVINA, a cura di, La Sicilia dei Cavalieri, cit., pp. 3588; p. 86.
307
G.PACE GRAVINA , La fine di un’epoca, cit., p. 318.
103
sotto la presidenza del Vice Cancelliere Amabile Vella, dove venne letto il
Breve Pontificio di approvazione e si stabilirono le condizioni del
trasferimento309.
Non era una soluzione definitiva. Pur nelle manifeste delusioni che segnarono
l’opera diplomatica dei ministri dell’Ordine, continuava ad essere accarezzata
l’ipotesi di un territorio sul quale esercitare una sovranità diretta. Sino al
trasferimento a Roma le numerose sedi – Trieste, Messina, Catania, Ferrara –
vennero sempre vissute come sospensioni momentanee della sovranità in attesa
di un territorio proprio da organizzare sull’esempio di Rodi e di Malta.
Era forse questo l’elemento che gli stessi Cavalieri vedevano come punto
cruciale: il ritorno alla gestione di un territorio in sovranità che garantisse il
ripristino di quella tradizione di autogoverno, incrinata la quale, con la perdita
di Malta si erano manifestati le prime crisi all’interno dell’Ordine.
Ad uno sguardo poco più che superficiale, appare chiaro come le
contraddizioni cossero ben prima dell’atto di forza di Napoleone, tuttaiva, per i
contemporanei, l’inizio della catastrofe era coinciso con la perdità della
sovranità. Il governo di un territorio era stata una delle funzioni qualificanti
dell’Ordine: dopo l’esperienza rodiota, i Cavalieri avevano ottenuto da Carlo V
l’arcipelago di Malta. E vale forse la pena raccontare come i Cavalieri avessero
altresì gestito, episodio310 assai poco noto della millenaria stoira giovannita, sia
pur per breve tempo l’isola di Saint-Christophe e le sue dipendenze, nel mar
dei Caraibi, tra il 1651 ed il 1665.
L’opportunità era stata offerta al Gran Maestro dell’Ordine da un Cavaliere di
Lingua francese, che operava come governatore di quei possedimenti francesi
in America: Philippe de Longvilliers de Poincy. Personaggio per molti tratti
bizzarro, Poincy aveva impostato il suo governo dell’isola con marcati tratti di
autoreferenzialità, gestendolo quasi come un possesso personale: gestione non
308
A. FARINELLI TOSELLI, Vicissitudini dell’Ordine dei Cavalieri di Malta nei primi anni
dell’Ottocento, cit., p. 316.
309
Il verbale della riunione è riportato in ivi, p. 321.
310
Su questa vicenda vedi J.C. DUBÉ, L’Ordre de Malte en Amérique au XVIIe siècle: Razilly,
Poincy, Montmagny, in C. RIZZA, Le découverte de nouveaux mondes: aventures et voyages
imaginaires au XVII siècle, Fasano, 1993, pp. 73-83; e D. ALLEN, The Social and Religious
104
priva di quelle ricadute grottesche che connotano ogni esercizio autoritario del
potere311. Dietro gli atteggiamenti esasperati ed estremi, dietro una gestione
principesca del governo e della propria immagine312 si era irrigidita in Poincy
una ferma volontà di mantenere il controllo dell’isola anche oltre l’incarico
affidatogli dal sovrano, e rifiutò di abbandonare il governo anche quando fu
chiamato a sostituirlo l’inviato francese Patrocle de Thoisy313.
L’insubordinazione fu risolta da Poincy con la proposta di cedere la sovranità
dell’isola all’Ordine: proposta che, al di là delle brame di potere del Cavaliere,
che avrebbe così continuato a mantenere per conto dell’Ordine il governo
dell’isola, si basava sulla constatazione oggettiva che i Cavalieri avrebbero
potuto, grazie alla loro esperienza nel campo, munire i possedimenti francesi di
tutte le fortificazioni necessarie.
Avrebbero inoltre potuto, variabile aggiornata di quella lotta contro le civiltà
non cristiane che essi ritenevano la loro funzione primaria, misurarsi
nell’evangelizzazione delle popolazioni indigene.314
Nel 1651 l’ambasciatore dell’Ordine presso la Corte francese comprò
“Compagnie des Isles de l’Amérique”, in bancarotta, i diritti di propietà della
parte francese dell’isola di Saint-Christophe e di altre isole minori315.
Ma l’esperienza durò poco: nel 1665 l’isola fu rivenduta al ministro Colbert316.
Al di là delle ovvie difficoltà legate alla gestione e al controllo di un territorio
così lontano dall’allora quartier generale dell’Ordine, esisteva una ragione
idologica, forse ancor prima che geopolitica, a rendere assai poco probabile
una permanenza dei Cavalieri nelle colonie americane: l’Ordine continuava a
rivendicare una funzione storica (la lotta contro il nemico “turco” o barbaresco)
e una vocazione strategico-geografica (quella mediterranea) senza le quali era
World of a Knight of Malta in The Carribean, c. 1632-1660, in Libraries and Culture, 1990 (2)
pp. 147-157.
311
Su questa gestione vedi J.C. DUBÉ, L’Ordre de Malte en Amérique, op. cit., p. 76.
312
D. ALLEN, The Social and Religious World, op. cit., p. 148.
313
J.C. DUBÉ, L’Ordre de Malte en Amérique au XVIIe siècle, cit., p. 76.
314
D. ALLEN, The Social and Religious World, op. cit., p. 149.
315
Ivi, p. 148.
316
J.C.DUBÉ, L’Ordre de Malte en Amérique au XVIIe siècle, cit., p. 83.
105
difficile concepire la sua stessa ragion d’essere317. Non è dunque per un
qualche amore d’antiquariato che è sembrato opportuno rispolverare
quest’episodio della Storia dell’Ordine di Malta.
Piuttosto queste remote vicende spiegano ulteriormente l’importanza
dell’elemento mediterraneo nell’autorappresentazione e nelle funzione che
l’Ordine stesso credeva, spesso resistendo eroicamente ma vanamente
all’evolversi dei tempi, di dover svolgere nel mondo occidentale. E tale fedeltà
alla propria tradizione emerge e spiega anche le tormentate negoziazioni sul
territorio da assegnare ai Cavalieri dopo la perdita di Malta.
Nel 1806, per citare un caso più vicino ai tempi ora in esame, il re di Svezia
Gustavo IV Adolfo propose una soluzione della questione maltese, che avrebbe
ripristinato la sovranità dell’Ordine su un territorio. Il re, sebbene di religione
protestante, aveva coltivato un’ammirazione per gli Statuti gerosolimitani e
grazie ai contatti tra alcuni rappresentanti della sua corte e le alte gerarchie
della Religione fece arrivare al Luogotenente Guevara Suardo la proposta della
concessione, da parte della corona svedese, dell’isola di Gotland nel Mar
Baltico318. Nella stessa lettera in cui il sovrano offriva all’Ordine, dietro
pagamento di un tributo annuale di 15.000 Luigi di Francia, l’isola come
“riparazione per i mali sofferti” e “nella speranza di una tranquilla
ricollocazione al centro dell’Europa”, venivano elencati i vantaggi di Gotland:
il suolo fertile, la mitezza e la purezza dei 30.000 abitanti, l’ubicazione
favorevole per il controllo dei commerci del Nord Europa319.
Pure, nonostante le pregevoli qualità dell’isola, la proposta venne accolta
tiepidamente dal Luogotenente Guevara Suardo. Riunitosi il Sovrano Consiglio
dell’Ordine a Catania, il 19 settembre del 1806, venne redatta una risposta nella
quale, pur apprezzando l’interesse e i favori del re svedese, si prendeva tempo
317
È in questo senso che Allen, per spiegare il breve periodo dell’Ordine nelle colonie
americane, parla di una “retorica” giovannita, giustificabile esclusivamente con la sua
ubicazione fisica al centro del Mediterraneo: cfr. D. ALLEN, The Social and Religious World of
a Knight of Malta in The Carribean, cit., p. 150.
318
Sull’episodio vedi N.E.IHRE, L’offre du Roi Gustave IV Adolphe de Suède de l’île de
Gottland à l’Ordre S.M. de Malte, in Annales de l’Ordre Souverian Militaire de Malte, 1969,
4, pp. 69-75.
106
sulla decisione se accettare o meno320. Erano ancora vive le speranze di poter
riottenere Malta, o quanto meno di un’altra isola mediterranea che avesse
caratteristiche geopolitiche analoghe, e si temeva che l’accettare l’isola baltica
avrebbe compromesso la posibilità di conseguirne dalle Potenze europee una
più adatta alla tradizione e alla storia dell’Ordine321. Ci si riservava di
riprendere il tema quando fossero definitvamente cassate le pretese di avere
un’isola mediterranea.
Quando ciò avvenne, ed il Convento venne riportato bruscamente alla realtà
dalle alchimie politiche delle Corti europee, ormai la situazione era cambiata in
Svezia: le difficoltà interne ed estere sembravano preoccupare il Re Gustavo
IV Adolfo, più di quanto non lo preoccupasse il destino dell’Ordine322.
Per quel momento tutte le possibili ipotesi di territori mediterranei da
concedere alla Religione erano stati scartate. Malta, come abbiamo visto, per il
veto inglese. Le isole dell’arcipelago di Corfù per l’ostilità del conte di Corfù,
Capo d’Istria, che presente al Congresso di Vienna come consigliere
dell’Imperatore Alessandro, covava il desiderio che esse andassero alla Gran
Bretagna perché “questa un giorno le avrevve restituite a una Grecia
liberata”323.
Anche l’isola d’Elba, che sembrava meglio compatibile con il principio di
legittimità, giacché il sovrano legittimo, Napoleone, dopo la sua fuga aveva
lasciato vacante il suo principato324, venne abbandonata come ipotesi, per lo
scarsa volontà riscontrata, come denunziarono i plenipotenziari dell’Ordine,
presso i ministri delle Potenze europee.
L’Ordine era dunque stato costretto a vagare di città in città, sino al
trasferimento definitivo a Roma, nel 1834. Dove, quantomeno, la sua ormai
sacrificata funzione strategica di baluardo del Mediterraneo, poteva essere
319
Ivi, p. 70.
Ivi, pp. 71 e ss.
321
U. CASTAGNINO BERLINGHIERI, Congresso di Vienna, cit.,, pp. 39-40.
322
N. E.IHRE, L’offre du Roi Gustave IV Adolphe de Suède de l’île de Gottland à l’Ordre S.M.
de Malte, op.cit., p. 75.
323
N. NERI, “L’enigma maltese”, op. cit., p. 165.
324
Una delle accuse del già citato storico De Flassan ai negoziatori gerosolimitani fu proprio
quella di non aver insistito sull’unico territorio la cui assegnazione non poteva provocare
320
107
sostituita, nel ricongiungimento territoriale con la capitale della Cristianità,
dalla simbolica funzione di roccaforte della Fede.
3.2 Gli anni della Luogotenenza
Il Luogotenente Antonio Busca325 morì poco dopo il traferimento del Convento
nella città di Roma. Nel maggio del 1834 Papa Gregorio XVI affidava, tramite
breve pontificio, la luogotenenza del Magistero a Carlo Candida326,
discendente della nobile famiglia Filangieri, il quale aveva già ricoperto il
prestigioso e delicato incarico di Ministro dell’Ordine presso la Sede
Apostolica.
Sotto la luogotenenza di Candida sembrò aprirsi una fase di restaurazione
dell’Ordine, imbastita, più che sull’improbabile tentativo di recupero
dell’antica sovranità territoriale ormai compromessa, sulla ricostruzione di
quelle condizioni minime che all’Ordine
stesso potessero
garantire
quantomeno una dignitosa sopravvivenza. Candida, infatti, durante il suo
mandato, impose una brusca svolta alle strategie irredentiste che tutti i suoi
predeccessori avevano sino a quel momento seguito. Piuttosto che, come è
stato scritto, “spaziare con il pensiero su inafferrabili orizzonti”327, tracciati sul
disegno di recuperare Malta o di ottenere un altro territorio su cui affermare la
una rinnovata autorità, il Luogotenente si preoccupò di ricomporre quella
geografia territoriale, economica e politica dell’Ordine ormai seriamente
compromessa da un quarantennio di sconfitte militari e diplomatiche.
accuse di illegittimà, proprio per la vacanza del trono: cfr. U.CASTAGNINO BERLINGHIERI,
Congresso di Vienna e principio di legittimità, op. cit., p. 119.
325
Antonio Busca era nato a Milano nel 1767 ed era stato ricevuto nella Religione, poco più
che in fasce, nel Priorato di Lombardia nel 1770.
326
B. FILANGIERI DI CANDIDA, Carlo Candida ed il Sovrano Militare Ordine di Malta. Cenni
storici, Napoli, 1908
108
Al momento della sua nomina, infatti, in tutta l’Europa cattolica erano
sopravvissuti i soli Priorati di Roma e di Boemia. Gli antichi beni, territoriali e
non, dell’Ordine si trovavano per lo più ad essere sotto confisca. Il credito
presso le Corti europee, come era stato dimostrato durante i numerosi congressi
ufficiali e abboccamenti privati, non aveva fruttato nulla in più che
riconoscimenti verbali e pompose attestazioni di stima nei confronti dei
Cavalieri. Bisognava, in sostanza, ripartire da zero, e proseguire, in alternativa
a macroscopiche, immediate e improponibili rivendicazioni, su una politica di
ridotti e concreti reclami.
Nel 1839 Candida registrò il suo primo successo con il riconoscimento, da
parte dell’Imperatore d’Austria, della riapertura del Priorato del LombardoVeneto, con sede a Venezia, che veniva anche dotato di una commenda.
Sull’onda del prestigio ottenuto da tale riconoscimento, venne ricostituito
anche il Gran Priorato di Pisa e qualche tempo dopo l’Ordine venne
riconosciuto anche nello Stato Sardo e nel ducato di Parma.
Ma il fortunato esito dell’opera di Candida si misurò soprattutto intorno alla
questione dei rapporti con il Regno delle Due Sicilie. Dopo la caduta di Malta,
si è potuto osservare come le relazioni tra la Religione Gerosolimitana e la
Corte di Napoli si fossero compromesse sino a tramutarsi in una vera e propria
ostilità, neppure eccessivamente velata, da parte della Corona dei Borboni nei
confronti dell’Ordine, accusato indirettamente (e spesso anche direttamente) di
aver causato, per imperizia militare e per miopia strategica, la facile conquista
dell’isola mediterranea per mano francese.
In questo clima, conseguire la riapertura di un Priorato nel Regno delle Due
Sicilie e il riconoscimento dell’Ordine nei territori borbonici, come era già
avvenuto nei territori austriaci, si prospettava come operazione assai
complessa, e bisognosa di un’attenta e robusta preparazione politicodiplomatica. Certo, alcune mutate condizioni sembravano suggerire uno
spiraglio di speranza, per i Cavalieri, indipendentemente dalle strategie
politiche di Candida: il matrimonio, per esempio, di Ferdinando IV con la
327
A. D’AURIA, L’Ordine di Malta nel Mezzogiorno d’Italia : 1743 – 1913, Taranto, 2002,
pag. 89
109
principessa Maria Teresa d’Austria, aveva stretto i vincoli familiari e
diplomatici tra i regnanti napoletani e la Corte di Vienna. E di questo rafforzato
legame poteva sperare di poter beneficiare, di riflesso e in qualche misura,
anche l’Ordine, del quale gli Ausburgo continuavano a presentarsi come
principali
protettori. Sotto questa luce la riapertura del Gran Priorato del
Lombardo-Veneto in territorio austriaco si presentava come un precedente utile
a stimolare l’emulazione di altre case regnanti e, in particolare, dei Borboni. E
ancora: i cordiali rapporti tra i Borboni stessi e la Santa Sede (anch’essa
protettrice
non
solo
politica
ma
anche
spirituale
delle
Religione
Gerosolimitana) lasciavano sperare in possibili intercessioni del Papa presso
Federico IV allo scopo di perorare la causa dell’Ordine.
È chiaro che il semplice, e in fin dei conti lieve, inclinarsi del contesto politico
a favore dei Cavalieri non sarebbe ex se bastato, se il Candida, a partire da tali
ottimistiche considerazioni, non si fosse adoperato a sviluppare un puntuale
piano diplomatico di rivendicazione presso il Governo di Napoli. Il
Luogotenente dunque, anche per la mancanza di una rappresentanza ufficiale
dell’Ordine presso il sovrano borbone, affidò la mediazione a due confratelli
ben introdotti negli ambienti della Corte napoletana. Il primo di essi, Francesco
Porco328, apparteneva alla nobiltà messinese ed aveva, una volta entrato
nell’Ordine, servito a Malta; perduta l’Isola, aveva prestato i propri servizi alla
marina borbonica. Ben più inserito nei quadri della dinastia napoletana era
invece il secondo dei due personaggi, cui il Luogotenente Candida aveva
affidato la delicata missione: Carlo Marulli329. Discendente dalla nobile casa di
Barletta, Marulli aveva rispettato le tradizioni familiari avviandosi alla carriera
militare ed entrando giovanissimo tra le fila dei Cavalieri Giovanniti.
Soprattutto, ad ancora sul solco dell’esempio dei suoi avi e dei suoi fratelli
maggiori, aveva mantenuto una esplicita fedeltà verso la dinastia borbonica
anche durante il periodo dell’occupazione napoleonica e del governo di Murat
nel Regno delle Due Sicilie; il fratello maggiore del Marulli, Troiano, aveva
328
Nato il 26 dicembre 1774, Francesco Porco (o Porcio) fu Gran Priore di Napoli e Scilia nel
biennio 1840-41
329
Successore del Francesco Porco di cui alla nota precedente nel ricoprire l’Ufficio di Gran
Priore di Napoli e Sicilia dal 1841 al 1842
110
infatti, in nome della fedeltà ai Borboni, sdegnosamente rifiutato il grado di
generale offertogli da Murat, ed era stato quindi costretto a sopportare la
confisca dei propri beni da parte del governo filofrancese; Carlo era stato
invece coinvolto nel 1803, a riprova del proprio legittimismo, in una congiura
capeggiata dal conte Giovanni Antonio Vernier contro i napoleonici, che aveva
come scopo ultimo l’unificazione di tutti gli Stati italiani sotto lo scettro
borbonico.
Grazie a queste credenziali, il Marulli si offriva come il candidato ideale per
poter far arrivare le richieste dell’Ordine al Re napoletano; in particolare,
l’obiettivo politico che più stava a cuore al Candida era quello di ottenere da
Federico IV un decreto di ripristino dell’Ordine nei suoi Stati: ciò avrebbe di
conseguenza permesso anche la riapertura degli antichi Priorati.
Le trattative avrebbero probabilmente corso il rischio di impantanarsi nella
solita trama di reciproche diffidenze e di egoistici calcoli economici, se non
fosse giunto nel Regno di Napoli, ad imprimere un’insperata accelerazione alle
negoziazioni in favore dell’Ordine, il colera del 1836. Le ricadute
dell’epidemia, infatti, avevano in qualche modo esaltato il ruolo della
Religione Gerosolimitana, sottolinenado la sua antica funzione di Ordine
ospedaliero. I Cavalieri si erano distinti per l’assitenza ai malati e ai
convalescenti sopravvissuti al grande contagio nel Regno delle Due Sicilie, e
avevano offerto costantemente alla Corona, tramite un ospedale e un corpo
sanitario adeguato, il loro aiuto per mitigare gli effetti dell’ epidemia. Il
Sovrano non era rimasto indifferente a tali offerte e a tali servizi, e la
concessione di un Ospedale per l’Ordine si era posto come il primo passo verso
il riconoscimento dell’Ordine stesso, prima, e dei suoi Priorati, poi.
L’assistenza ai malati e la gestione di un istituto ospedaliero rappresentavano
certo un impegno economicamente oneroso per i Cavalieri (soprattutto alla
luce del poco felice stato in cui le finanze dell’Ordine versavano, ormai da
molti decenni), ma rappresentava, agli occhi del Candida, un investimento
politico destinato a maturare buoni frutti. Di fatto, nel 1839, venne finalmente
nuovamente restaurata la presenza dell’Ordine nei territori del Regno
Borbonico: venne costituito ex novo il Gran Priorato del Regno delle Due
111
Sicilie, con sede a Napoli, che assorbiva i tre antichi priorati soppressi di
Messina, di Capua e di Barletta. Venivano inoltre concesse all’Ordine da
Ferdinando II, a parziale risarcimento dei beni confiscati, alcune commende in
precedenza sequestrate, un grande locale da fungere come edificio di culto ed
un donativo di quattromila ducati per le spese immediate330.
Era il maggior successo conseguito dalla Luogotenenza del Candida che potè
infine gioire, poco prima della sua morte, anche del ripristino dell’Ordine nel
Regno di Sardegna, nel 1845. Poche settimane dopo il Luogotenente spirò,
passando il testimone a Filippo Colloredo, Gran Priore del Lombardo-Veneto,
che assunse la Luogotenenza nel 1845.
Ma anche il successo politico dell’Ordine, testimoniato dalla fondazione del
Gran Priorato del Regno borbonico, era in procinto essere messo in discussione
dagli eventi successivi, legati a quel fenomeno di ampio respiro storiografico
che suole definirsi come “Risorgimento” italiano.
L’inizio di tale pagina della storia patria, collocato grossomodo a ridosso dei
moti italiani del 1848, era destinato a scuotere vigorosamente anche la storia
dei Cavalieri di Malta. I moti, originatisi a Palermo, avevano portato alla
costituzione di un Parlamento siciliano, sorto allo stesso tempo in ragione di
istanze di stampo liberale e di spinte separatiste della Sicilia rispetto al governo
di Napoli, che aveva suscitato qualche preoccupazione nel luogotenente
Colloredo: preoccupazioni invero fondate,
giacché uno dei radicali
provvedimenti del governo rivoluzionario, datato 5 agosto 1848, fu la confisca
e la destinazione all’Erario di parte dei beni appartenenti alla Corona
borbonica, o destinati da essa in concessione a Ordini religiosi o a soggetti
privati331. A rivolta sedata, a meno di un anno di distanza dall’esplosione dei
moti, tanto il ripristino dello status quo ante quanto la restaurazione
dell’autorità dei Borboni sulla Sicilia erano stati meno immediati di quanto, da
parte dell’Ordine, si potesse sperare. Per quanto infatti una legge del 15 maggio
330
REGNO DELLE DUE SICILIE, Regio Decreto n. 6315 del 27 luglio 1840
112
del 1849 abrogasse tutti i decreti, le leggi e i provvedimenti messi in atto dal
governo rivoluzionario, il recupero dei beni dell’Ordine si dimostrò sin
dall’inzio operazione parecchio difficile: laddove si era proceduto con efficacia
e rapidità per tutti gli altri beni confiscati, nel caso di quelli gerosolimitani
vennero disseminati lungo il percorso burocratico di recupero inciampi di ogni
sorta, atti nel loro insieme a rendere assai lento e farraginoso l’iter per la
riassegnazione delle commende ai Cavalieri.
A ingarbugliare ulteriormente la situazione sopraggiunse, nel 1860, lo sbarco
dei Mille in Sicilia. Giuseppe Garibaldi, nominatosi dittatore in nome di
Vittorio Emanuele II, il 17 maggio del 1860 emanò un decreto con cui
riportava in vigenza i provvedimenti del governo rivoluzionario del 1848: si
trattava, in sostanza, di un’abolizione del decreto di abolizione del 1849, che,
nei fatti, riponeva sotto sequestro i beni dell’Ordine (tra gli altri) parzialmente
restituiti (o sulla via di una completa restituzione) nel decennio successivo ai
moti rivoluzionari. Tali beni divennero oggetto di un contenzioso giuridico tra
la Direzione Generale del Demanio e il rappresentante dell’Ordine, il ricevitore
Lanza. Una controversia che venne risolta in via cautelare con il blocco dei
beni e l’impossibilità che essi fossero venduti dallo Stato sabaudo, sino alla
risoluzione della questione
giuridica: l’Ordine, per quanto minacciato di
confisca, riuscì infatti, grazie ai servigi legali del Commendatore Ferretti, ad
ottenere una sospensiva in attesa che la parte interessata producesse tutte “le
dimostrazioni e i documenti diretti a provare che ai detti beni non possono
essere applicate le disposizioni date dal Parlamento di Sicilia nel 1849, e
richiamate in vigore dal Generale Dittatore Garibaldi”332.
Parve poter offrire una via d’uscita alla situzione di stallo venutasi a creare il
progressivo incrinarsi del rapporto tra Garibaldi ed i Savoia. Esauritosi il
fervore rivoluzionario di Vittorio Emanuele II con il conseguimento dei suoi
obiettivi territoriali e politici e la proclamazione del Regno d’Italia, isolata con
qualche imbarazzo la figura del condottiero in perenne rivoluzione, ritenuta
ormai ingombrante per la stessa casa regnante che pure si era servita
332
Per le citate vicende giuridiche vedi A.D’AURIA, L’Ordine di Malta, op. cit., pp. 160-161,
da cui è tratto anche il virgolettato
113
spregiudicamente del suo aiuto, il tentantivo dei Piemontesi era adesso quello
di procedere ad una vera e propria normalizzazione che purgasse i residui
caratteri democratici del movimento risorgimentale333.
In tal senso sembrava che nella suddetta normalizzazione potesse anche
rientrare, nella prospettiva che più poteva coinvolgere l’Ordine, anche
l’abrogazione di tutti i decreti promulgati da Garibaldi durante la sua Dittatura:
non ultimo, anche quello del maggio del 1860. In realtà, a dispetto delle
speranze dell’Ordine, l’atteggiamento del nuovo governo italiano si mostrò
assai disinvolto nel selezionare, tra i provvedimenti del Generale, quelli che
andavano rimossi da quelli che invece ragioni di opportunità suggerivano di
mantenere anche a costo di qualche sacrificio in termini di coerenza politica
poiché rappresentavano un vantaggio economico per la Corona. Tra questi
ultimi, per esempio, rientravano anche le numerose confische portate avanti a
danno degli ordini religiosi, che sarebbero poi continuate anche a danno del
Papato stesso con la futura acquisizione manu militari dei territori pontifici.
Il successore di Colloredo, il Balì Alessandro Borgia, nominato Luogotenente
alla morte del predecessore, nel marzo del 1865, ereditò una situazione dunque
per molti versi drammatica, segnata dall’impoverimento generale dell’Ordine e
dall’indigenza di numerosi cavalieri, privati della quasi totalità delle rispettive
commende. Qualche miglioramento della condizione della Religione sembrò
presentarsi nel 1872, quando già da un anno aveva assunto la carica di
Luogotenente Giovan Battista Ceschi di Santa Croce334.
Pur infatti rimanendo pressocché invariato lo stato di sequestro dei beni
gerosolimitani, il governo italiano predispose provvisoriamente l’erogazione di
333
Per uno studio sulla dialettica tra democratici e moderati durante e dopo il processo di
unificazione italiana cfr. A. GRAMSCI, La questione meridionale, Editori Riuniti, Roma 2005.
334
Su questo periodo della storia dell’Ordine, cfr. H.J.A. SIRE, The Knights of Malta, op. cit..
pp.247 e ss.
114
una pensione ai Cavalieri di Malta che erano stati privati di commende. Cosa
ancor più importante, durante la Luogotenenza di Ceschi, alcuni accadimenti,
del tutto imprevisti, sembrarono suggerire una possibilità di ritorno dell’Ordine
all’antico splendore. Nel 1876 la Religione, per intercessione della Corte di
Vienna, era riuscita a recuperare il convento di Tantur, presso Gerusalemme e
sotto il controllo dell’Impero turco-ottomano.
Sembravano dunque rinverdirsi gli antichi fasti, con il ritorno dei Cavalieri nei
Luoghi sacri e il ripristino di una sovranità territoriale che, per quanto minima
per estensione, dopo la perdita di Malta di quasi un secolo prima non si era più
potuta esercitare. In più, a sigillare il clima di speranza, nel 1879 Papa Leone
XIII volle restituire all’Ordine la pienezza della carica del Gran Magistero,
nominando Gran Maestro lo stesso Ceschi e interrompendo così la lunga teoria
di Luogotenenti che aveva costituito una delle ragioni di debolezza nella
struttura e nella rapprentazione dell’Ordine. Restava certo, al netto delle
illusioni e delle estemporanee rifioriture della tradizione gerosolimitana, la
consapevolezza di un punto di domanda che si sarebbe mantenuto per tutta la
durata del Regno d’Italia: un dubbio, intorno alle cause per le quali la
Religione riusciva a ricevere riconoscimenti da Paesi non cristiani e per
tradizione nemici (come l’Impero della Sublime Porta) e sembrava invece
tardare nell’ottenere quanto le era dovuto da Paesi formalmente cattolici come
l’Italia. Su questo interrogativo si è spesa spesso la storiografia relativa
all’Ordine di Malta, con risposte che appaiono in genere parziali: la situzione
di profonda e endemica crisi presente e immanente nel nuovo Regno (crisi
manifestatasi di volta in volta con la questione meridionale, il brigantaggio, la
questione romana, i fenomeni insurrezionali tardo-ottocenteschi e primonovecenteschi, la difficile governabilità affidata alla Destra e alla Sinistra
Storiche, la debolezza della struttura dello Stato liberale) che costrinse il
Governo italiano a posticipare qualsiasi decisione sulle sorti dell’Ordine,
nell’imminenza di problemi più gravi sui quali si decideva la stessa
sopravvivenza dello Stato Sabaudo. Oppure, l’incapacità dei Cavalieri di
stringere alleanze con gli altri Stati cattolici, al fine di esercitare pressioni su un
115
Governo, quello italiano, giocoforza sensibile per la propria, cronica debolezza,
agli input imposti dalle altre Potenze europee335. Quello che è certo è che, tra il
fiorire di ipotesi eziologiche, la situzione dell’Ordine e dei suoi rapporti con la
Corona italiana rimase sostanzialmente immutata per tutta le seconda metà
dell’Ottocento e per i primi decenni del Novecento. Solo ogni tanto un sussulto
di ottimismo, destinato a trasformarsi costantemente in disillusione: come
quando, nel 1912, il governo di Giolitti occupò, nell’ambito della guerra italoturca, l’isola di Rodi. Questa momentanea conquista soffiò ancora una volta
sulle braci della speranza dei Cavalieri di Malta: si sperò di poter recuperare,
qualora il Governo italiano avesse mantenuto l’occupazione dell’Isola e
l’avesse poi girata all’Ordine, la sovranità di Rodi, che rappresentava, forse
ancor più che Malta, un ritorno pieno alla tradizione. Ma anche in queto caso il
sogno sfumò davanti all’imporsi di un realismo politico che certo non faceva
difetto ai Savoia. La Corona non era interessata a una guerra per mantenere il
possesso di Rodi. Un’altra guerra, ben più allettante, si affermava all’orizzonte:
la Prima Guerra Mondiale, vista dalla Corte sabauda come il completamento
del Risorgimento. E, cosa questa ancor più imbarazzante per l’Ordine, si
trattava di una guerra che indentificava il naturale nemico dell’Italia proprio in
quegli Asburgo che erano stati e continuavano ad essere i principali paladini
della Religione gerosolimitana.
3.3. I rapporti con l’Italia ed il suo ordinamento giuridico.
Il peculiare carisma della Scara Milizia, nonostante l’epilogo della sua epopea,
analizzato nelle pagine che precedono, informa di sé i rapporti dell’Ordine,
ormai stabilitosi in Roma, con il Regno d’Italia. L’atteggiamento riservato
dall’amministrazione sabauda trova una felice sintesi nel parere che il
Consiglio di Stato emette nel 1869 ove si legge che l’Ordine, a differenza degli
enti ecclesiastici, non è soggetto all’autorità del Governo, da esercitarsi
attraverso il Regio Exequatur, poiché esercita sui suoi beni un “ricordo di
335
Riflessioni storiografiche di tale natura si trovano in A.D’AURIA, L’Ordine di Malta, op. cit,
pp. 229-230
116
sovranità”336. Sono anni nei quali vengono alla ribalta giurisprudenziale
soprattutto controversie di carattere fondiario aventi ad oggetto beni immobili
pertinenti al patrimonio melitense, conferiti in commende o baliaggi ricadenti
in territorio italiano. Il clima culturale dell’epoca era pregno di un liberalismo
che finiva per tradursi un una duplice ed opposta tendenza: se, da una parte, lo
Stato sabaudo tendeva a presentarsi sulla scena come l’esclusivo titolare di
prerogative istituzionali, esso, dall’altra, ponendosi come arbitro al di sopra
delle parti, sembrava ritirarsi di fronte a tutto quanto presentasse profili
privatistici, lasciando al diritto civile campo libero in materia di disciplina della
convivenza civile. E’ in questo clima che si inscrive il più o meno consapevole
tentativo, operato dalla giurisprudenza di fine Ottocento, di mettere da parte
ogni sedimentazione storica che le vicende dei cavalieri di San Giovanni
recavano con sé, per ricondurre l’Ordine alla categoria delle associazioni
private. Numerose sentenze dei regi tribunali furono solite, ad esempio,
risolvere il problema dei conferimenti dei benefici melitensi e della relativa
successione, semplicemente attribuendo all’Ordine la nuda proprietà del bene
immobile e qualificando il titolare della commenda o del baliaggio come mero
usufruttuario del bene stesso.337 Si trattava di una impostazione che, attraverso
la sottrazione di qualunque specificità al peculiare regime cui quei cespiti erano
sottoposti in virtù della loro attrazione al patrimonio melitense, perseguiva il
fine tutto politico di ricondurre al potere giurisdizionale italiano ed al suo
diritto civile tutte le questioni inerenti beni ed istituti ad esso, seppur connessi
per il legame territoriale, istituzionalmente estranei. Il punto nodale della
questione era dunque da ricercarsi nella qualificazione che l’ordinamento
sabaudo era disposta a riconoscere all’Ordine Giovannita: la questione venne
afforntata di petto dalla Corte di Cassazione nel 1935. Con la stipula dei Patti
Lateranensi, cui andava ascitto il merito di avere previsto la possibilità
dell’esercizio di giurisdizioni non nazionali nell’ambito dell’ordinamento
336
Cfr. Parere del Consiglio di Stato del 29 ottobre 1869 n. 3278/819. L’atto è citato in F.
GAZZONI, L’Ordine di Malta, Milano, 1979 che rimanda a C. ASTORRI, Il Sovrano Ordine
militare di Malta e le sue commende familiari nel diritto italiano, Roma, 1930.
337
Cfr. la copiosa giurisprudenza citata in G. BONI, Civiltà giuridica e tutela della specificità.
Il trattamento riconosciuto al Sovrano Ordine di Malta, Firenze, 1994, pag. 151.
117
italiano, l’atteggiamento giurisprudenziale mostrava maggiori aperture nei
confronti della Sacra Milizia. Se già nel 1932, sia pure incidentalmente, le
Sezioni Unite avevano avuto occasione di definire l’Ordine come un “ente di
diritto pubblico internazionale”338, in questa circostanza la qualificazione
appariva preliminarmente necessaria per fornire soluzione ad un problema di
stampo tipicamente amministrativo: la legge n. 1037 del 1850, estesa alle
provincie meridionali nel 1862, prevedeva infatti che le associazioni
necessitassero della previa autorizzazione governativa per convalidare
l’efficacio dell’acquisto di immobili destinati all’assolvimento delle loro
finalità. La Suprema Corte confezionò in quella circostanza una definizione
dell’Ordine Giovannita destinata a godere di grande fortuna al punto da essere
riprodotta, pressoché pedissequamente, per i decenni a venire dalla
giurisprudenza tanto di merito che di legittimità.339 La Corte, ricordando il
mancato coinvolgimento dell’Ordine come soggetto destinatario di quella
politica legislativa che si era posta l’obiettivo di sopprimere o comunque
limitare la capacità degli enti ecclesiastici e morali in genere, sposò la tesi per
la quale la mancanza di un territorio istituzionale non fosse pregiudizievole per
l’attribuzione della soggettività giuridica internazionale, concludendo che la
natura dell’Ordine e la posizione da esso occupata nell’ambito ordinamentale
italiano erano tali da elevarlo al rango di “persona del diritto internazionale,
esistente all’infuori della sovranità nazionale dello Stato”. Da tale precetto,
ritornando alla fattispecie che aveva orginato il giudizio, faceva discendere
l’esenzione dell’Ordine dalla necessità di una preventiva autorizzazione
governativa per l’acquisto di immobili da utlizzare a fini istituzionali “per una
norma consuetudinaria di diritto internazionale recetta nel nostro diritto
interno”. La pronuncia appena citata appare come un vero e proprio
spartiacque nel panorama della corposa giurisprudenza italiana avente ad
oggetto l’Ordine Gerosolimitano: per quanto non accolta con unanime
consenso da parte della dottrina340, quanto in essa sancito a proposito della
338
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE,10.03.1932, n. 870 in Foro it.., 1932, I, c. 544 e ss.
Cfr. CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE I, 18.03.1935, n. 926 in Foro it., 1935, I, c. 1485 e ss.
340
Cfr., ad esempio, C. SALVINI che, annotando la sentenzade qua in Giur .it., c. 415 e ss
aveva sostenuto l’inconsistenza delle argomentazioni addotte dalla Corte, contestando
339
118
soggettività internazionale della Sacra Milizia, non sarà più posto in
contestazione dall’autorità giudiziaria italiana. Non si può negare che, nel corso
del ventesimo secolo, saranno differenti le conseguenze che la magistratura
farà discendere da questo assunto, ma, come ha scritto Geraldina Boni, “la
linea direttrice avviata dalla Cassazione
con la sentenza del 1935 viene
adottata da tutta la giurisprudenza; di tal che la soggettività internazionale
dell’Ordine diviene di fatto uno ius receptum”341. Più in particolare, è sul
campo applicativo della cd “immunità ristretta”342 che si sono registrati negli
anni i più significativi interventi. Se, infatti, fino ai primi decenni del
Novecento, l’interpretazione attribuita al noto brocardo par in parem non habet
iurisdictionem era talmente stringente che, a prescindere dalla fattispecie
oggetto di controversia, il giudice nazionale non avrebbe mai potuto sottoporre
a giudizio uno Stato straniero, la tendenza sviluppatasi e definitivamente
affermatasi nel corso del secolo ha invece conosciuto la distinzione tra acta
iure imperii, ovvero quelli compiuti nell’esercizio dei poteri connessi alla
titolarità della sovranità, per i quali permane l’immunità dalla giurisdizione
nazionale, e gli acta iure gestionis, ovvero quelli per il compimento dei quali
non venendo in gioco le prerogative di stampo squisitamente pubblicistico, è
invece ammesso il sindacato della magistratura territoriale. Così, ad esempio,
quando l’Ordine affidò all’amministratore di una società commerciale il
mandato di acquistare grano in Argentina per rivenderlo in Germania rifiutando
poi il pagamento concordato ed eccependo agli aditi giudici italiani il difetto di
giurisdizione, le Sezioni Unite della Cassazione non esitarono a negare
l’immunità pretesa sostenendo che, avendo in quella occasione stipulato un
mero contratto di mandato, non corredato da alcuna peculiare formalità,
l’Ordine aveva mostrato “di voler agire iure privatorum e di volersi
vivamente le conclusione cui essaera pervenuta. Per un interessante contradditorio,cfr. la nota
di A. VISCONTI, La sovranità dell’Ordine di Malta nel diritto italiano, in Riv. dir. priv. 1936,
II, p.195 e ss.
341
G. BONI, Civiltà giuridica, op. cit., pag. 142.
342
Sterminata in materia la bibliografia che va da D.ANZILOTTI, L’esenzione degli Stati
stranieri dalla giurisdizione, in Riv. dir. internaz., 1910, pag. 377 e ss. a R. QUADRI, Diritto
internazionale pubblico, Palermo, 1949, pag. 395 fino a M. PANEBIANCO, Giurisdizione
interna ed immunità degli Stati stranieri, Napoli, 1967.
119
uniformare all’ordinamento giuridico interno dello Stato italiano”343.
Viceversa, in ambito giuslavoristico, ancora le Sezioni Unite hanno, più
recentemente, sostenuto il difetto di giurisidizione del giudice italiano quando,
l’Ordine ha risolto unilaterlamente il rapporto di lavoro con il Segretario
Generale A.C.I.S.M.O.M344, suscitandone l’azione giudiziaria. Era accaduto
che con Decreto del Sovrano Consiglio del dicembre 1990, fosse stato
approvato un nuovo Statuto che prevedeva la soppressione della carica in
questione ed il giudice di legittimità ha sostenuto che, essendo l’attività del
Segretario Generale “strettamente inerente alle funzioni istituzionali e
pubblicistiche (nell’ambito dell’ordinamento melitense) dell’A.C.I.S.M.O.M”
qualunque valutazione sulla questione sarebbe necessariamente andata “ad
impingere sulla sfera di sovranità e di autorganizzazione” dell’Ordine.345
Come si è cercato di mostrare con questi esempi, è possibile affermare che il
delicato tema della posizione dell’Ordine di Malta nell’ordinamento italiano si
trova oggi solidamente ancorato sulla incontestata attribuzione alla Religione
della personalità giuridica internazionale da parte della magistratura italiana:
questa tuttavia, lungi dal far discendere da questo assunto una incondizionata
abdicazione delle sue prerogative, si è riservata, attraverso la distinzione cui si
acennava sopra, di verificare per ogni singola fattispecie la natura degli ineressi
in gioco, tenendo ben presenti quelle caratteristiche tipiche dell’Ordine che, per
la mancanza di un territorio, per la mancanza di cittadini istituzionali, per il suo
essere da più di due secoli “ospitato” in territorio italiano, lo rendono,
nonostante la sua appartenenza al novero dei soggetti internazionali, “altro”
rispetto alla tradizionale figura della Stato straniero.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, meritevole di una trattazione separata
appare il complesso tema dei rapporti tra Regno d’Italia, prima, e Repubblica
Italiana, poi con il Sovrano Ordine, sul diverso crinale dato da quella
particolare branca del diritto internazionale pubblico che è il diritto
343
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE, 14.07.1953, n. 2281, in Foro it., 1954, I, c. 24 e ss.
L’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta
345
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE, 26.02.1993, n. 2415 in Giust. civ. 1993, I, p. 2730
344
120
diplomatico346. E’ interessante notare come l’art. 11 del R.D. n. 2210 del 16
dicembre 1927 rendesse esplicita la peculiarità dell’Ordine anche sotto tale
profilo, così recitando: “Per i personaggi del Corpo diplomatico estero,
accreditato presso la nostra Real Corte, sono stabilite norme speciali. Norme
speciali
saranno
stabilite
con
Nostro
Decreto
per
il
S.M.O.
di
Malta.”347Effettivamente, a tale norma venne data attuazione con Regio
Decreto n. 2029 del 28 novembre 1929 ove si dettagliavano le “norme
relativew al trattamento del S.M.O.M. nell’ordine delle precedenze a Corte e
neele pubbliche funzioni”. Vi si poteva, tra le altre cose, leggere che “la
rappresentanza del Gran Magistero del Sovrano Militare Ordine di Malta,
regolarmente accreditata con espressa delega del Gran Maestro […], segue
immediatamente le rappresentanze del Corpo Diplomatico Estero”348.
Analizzando tale norma sotto il profilo del diritto diplomatico, appare peculiare
anzitutto l’acreditamento da operarsi attraverso la “delega” magistrale e non
tramite il consueto sistema delle lettere credenziali del soggetto accreditante
seguite dal gradimento da parte dell’accreditatario; ancor più singolare si rivela
la circostanza che fosse una norma di diritto interno italiano a stabilire che il
Gran Maestro del Sovrano Ordine non fosse libero di autonomanente scegliere
i membri della rappresentanza, dovendo questa essere composta “di cavalieri
di giustizia ed eccezionalmente in mancanza di questi, di cavalieri di onore e
devozione”. Sebbene certa dottrina abbia ritenuto che da questa normativa
scaturisse il riconoscimento da parte italiana del diritto di legazione attiva
dell’Ordine ed il conseguente godimento da parte dei componenti la
rappresentanza delle immunità tipicamente riconosciute agli appartenenti al
Corpo Diplomatico349, ha probabilmente ragione Francesco Gazzoni quando
scrive che “sembra difficile ritenere che, in forza della predetta legge, sia stato
346
Sul diritto diplomatico, vedi l’opera di A.MARESCA, Teoria e tecnica del diritto
diplomatico, MILANO, 1986
347
Regio Decreto n. 2210 del 16 dicembre 1927 in Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 201
del 17 dicembre 1927
348
Regio Decreto del 28 novembre 1929 n. 2029, in Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n.
280 del 2 dicembre 1929
349
Il riferimento corre a G.CANSACCHI, Il diritto di legazione attivo e passivo dell’Ordine di
Malta, la cui impostazione perplime non foss’altro per la contingenza del godimento dello
status, immaginato come temporalmente limitato alla durata della cerimonia.
121
accreditato l’invio di una vera e propria missione diplomatica (sia pure
occasionale) […]. A tutto concedere potrebbe trattarsi di inviati di cerimonia,
il cui status non sembra comportare – in assenza di stabili rapporti diplomatici
– il godimento delle tipiche prerogative ed immunità degli agenti diplomatici,
potendosi pensare ad una parificazione solo formale ed onorifica, ma non
sostanziale e giuridica”350. La conferma della correttezza di tale impostazione
sembra giungere dal tenore letterale della comunicazione inviata al Gran
Cancelliere dell’Ordine dal Ministro degli Esteri italiano nel 1951 con la quale
il Governo della Repubblica dopo essersi impegnato a “riconoscere, a persona
da designarsi, la qualifica di delegato dell’Ordine” sentiva l’esigenza di
specificare come tale “riconoscimento non implicherà il godimento di alcun
privilegio od immunità diplomatica”351. Sebbene tale ultima precisazione
sembrava volesse fugare ogni dubbio in merito alla possibile qualificazione del
delegato come “agente diplomatico”, va tuttavia rimarcato come, rispetto alla
normativa regia succitata, si registrino alcuni passi in avanti: non si trattava
più, infatti, di una disciplina unilaterale, e come tale, in ogni momento
modificabile o revocabile, ma di un, sia pur operato a livello epistolare,
accordo tra i due rispettivi vertici politici della diplomazia352; il delegato
dell’Ordine avrebbe avuto carattere permanente finalizzato “alla trattazione di
questioni sulle quali esso [il Sovrano Ordine] desidera intrattenere il Governo
italiano” e non occasionale ovvero limitato alla rappresentanza nelle cerimonie
di Corte; un ulteriore segno di normalizzazione dei rapporti era dato dalla
circostanza per la quale il Ministero degli Esteri italiano si riservava di fornire
il gradimento della personalità che, a differenza che in passato, il Gran
Magistero era del tutto libero di individuare per la copertura dell’incarico.
Si assisteva dunque in quegli anni ad un graduale uniformarsi dei rapporti
istituzionali tra Repubblica italiana ed Ordine di Malta alla prassi diplomatica
internazionale; e fu su questa scia che il primo diplomatico italiano accreditato
350
F.GAZZONI, L’Ordine di Malta, op.cit., pagg. 89-90.
Il testo completo di tale missiva è riportato in G.BONI, Civiltà giuridica, op. cit., pag. 119,
oltre che in F.GAZZONI, L’Ordine di Malta, op.cit., pag. 90
352
In ambito S.M.O.M. il Gran Cancelliere riveste, tra le altre incombenze, quella di Ministro
degli Esteri.
351
122
presso la Religione potè presentarsi nella seconda metà del 1956 al
Luogotenente di Gran Maestro, Venerando Balì Ernesto Paternò Castello di
Carcaci, con lettere credenziali firmate dal Presidente della Repubblica
Giovanni Gronchi e controfirmate dal Ministro degli Affari Esteri Gaetano
Martino,
con
la
qualifica
di
Inviato
Straordinario
e
Ministro
Plenipotenziario353. Significativo fu il discorso pronunciato dall’Ambasciatore
Mameli durante la cerimonia di presentazione delle Lettere Credenziali presso
il Gran Magistero dell’Ordine; in particolare il diplomatico italiano parlò
esplicitamente di “stabilimento delle relazioni diplomatiche” che giungeva a
coronamento delle “relazioni sempre così felicemente esisitite tra l’Italia e
l’Ordine Sovrano”.354
Fu in questo clima di progressiva “normalizzazione” delle relazioni tra la Sacra
Milizia ed il governo italiano che, in data 11 gennaio 1960, fu portato a
compimento uno scambio di Note Diplomatiche355 tra il Ministro degli Esteri
della Repubblica Italiana Giuseppe Pella ed il Balì Gabriele Apor de Altorja,
rappresentante diplomatico dell’Ordine accreditato presso il Quirinale. Lo
scambio di Note rappresenta una delle modalità che la prassi diplomatica
conosce per la conclusione di trattati internazionali ed è a tale categoria che va
ascritto l’accordo siglato nel 1960. A ben guardare, gli articoli che lo
compongono nulla aggiungono a quanto non fosse già stabilmente seguito nella
prassi seguita dai rapporti italo-melitensi degli anni immediatamente precedenti
la stipula; vennero infatti formalmente riconosciute le “prerogative sovrane del
Capo dell’Ordine nell’esercizio delle sue funzioni di governo, come Capo di
Stato estero”356, nonché “le immnuità diplomatiche […] alle sedi di proprietà
del Sovrano Ordine nelle quali attualmente si esercitano le prerogative della
sua sovranità (Aventino, via Condotti)”357 ed infine “la personalità giuridica
delle Istituzioni del S.M.O. di Malta (Baliaggi, Commende, Fondazioni, ecc.)
353
Si trattava dell’Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, S.E. Francesco Giorgio Mameli.
Uno stralcio del discorso è pubblicato in F.GAZZONI, L’Ordine di Malta, op. cit., pag. 91,
nota 51
355
MINISTERO AFFARI ESTERI, Scambio di Note tra la Repubblica Italiana e il Sovrano Militare
Ordine di Malta per la regolamentazione dei reciproci rapporti, Roma, 1962, 3-6
356
MINISTERO AFFARI ESTERI, Scambio, cit.. art. 2
357
Ivi, art. 3
354
123
quali enti di Diritto Pubblico Melitense”358. Una diffusa dottrina, con a capo
Gazzoni359 e Cansacchi360e, più recentemente, Geraldina Boni361 e Fabrizio
Turriziani Colonna362, sulla base di tale assunto, concorda nell’attribuire
all’accordo un carattere non già costitutivo ma meramente “ricognitivo e
dichiarativo di una realtà di fatto già esistente”363; viene a tal proposito
utilizzato come dato letterale probante le intenzioni dei contraenti, quanto
riportato nel Preambolo dell’accordo ove si può leggere che esso detta “le
norme alla quali le Parti si sono sempre attenute e tuttora si attengono per la
regolamentazione dei rapporti medesimi”364.
Vi è poi da sottolineare come, quand’anche si volesse negare allo Scambio di
Note del 1960 la natura di accordo internazionale365, essendo ormai trascorsi
cinquanta anni dalla sua conclusione ed essendosi le Alte Parti costantemente
attenute a quanto in esso sancito, ad esso andrebbe comunque tributata la forza
di dare vita ad una regola di comportamento capace di consolidare quella
opinio iuris ac necessitatis da porre a fondamento di quella prassi
consuetudinaria che nel diritto internazionale pubblico, in assenza di un
legislatore universale, svolge un ruolo fondamentale nel sistema delle fonti.
Ad ulteriore, finale, riprova del pregressivo intensificarsi delle relazioni
diplomatiche tra la Repubblica ed il Sovrano Ordine, va poi citato il Decreto
del Presidente della Repubblica, che, su proposta del Ministro degli Affari
Esteri, nel 1980 ha elevato dal rango di Legazione a quello di Ambasciata, la
Rappresentanza diplomatica italiana presso la Milizia.366
358
Ivi, art. 5
F.GAZZONI, L’Ordine di Malta, op. cit., pag. 105
360
G.CANSACCHI, L’Ordine di Malta e l’ordinamento giuridico melitense, in Il Foro Padano,
19 (1964), cc. 1375-1376
361
G.BONI, Civiltà giuridica, op. cit.
362
F. TURRIZIANI COLONNA, Sovranità e indipendenza nel Sovrano Militare Ordine di Malta,
Città del Vaticano, 2006
363
F.GAZZONI, L’Ordine di Malta, op. cit., pag. 105
364
MINISTERO AFFARI ESTERI, Scambio, cit., Preambolo
365
Tra gli Autori critici, vedi A. BERNARDINI, Ordine di Malta e diritto internazionale, in
Rivista di Diritto Internazionale, 50 (1967), cc. 497-562, e soprattutto B. CONFORTI, Sui
privilegi e le immunità dell’Ordine di Malta, in Il Foro italiano, 113 (1990), I, cc. 2598- 2604.
Sulle critiche di questa dottrina, cfr., infra, Cap. III, par. IV.
366
Decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1980 n. 1055, in Raccolta Ufficiale
delle Leggi e dei Decreti del Presidente della Repubblica Italiana, Roma, 1980
359
124
Per tradizione, il Capo dello Stato italiano, seguendo la prassi seguita dalla
quasi totalità delle cancellerie straniere che intrattengono rapporti diplomatici
con la Religione, accredita presso il Gran Magistero del Sovrano Ordine, lo
stesso Capo Missione accreditato presso il Vaticano. Questa peculiarità, lungi
dal rappresentare una limitazione del diritto di legazione passiva dell’Ordine è
dettata dalla circostanza del mancato possesso di un territorio melitense ove
materialmente ubicare le Rappresentanza straniere. Concedere il gradimento
all’agente diplomatico accreditato presso la Santa Sede significa aggirare il
problema facendo affidamento sull’art. 12 del Trattato Lateranse in base al
quale i rappresentanti stranieri accreditati presso la Segreteria di Stato Vaticana
e residenti in territorio italiano, godono “di tutte le prerogative ed immunità
che spettano agli agenti diplomatici secondo il diritto internazionale”. Per
quanto infine concerne il diritto di legazione attiva, è da segnalare come
l’Ordine sia solito, anche se non si può certo parlare di una prassi, accreditare
presso il Quirinale un cittadino italiano già appartenente alla carriera
diplomatica della Repubblica.
3.4 La posizione del S.M.O.M. nella comunità internazionale
Da un punto di vista metodologico, la scelta di affrontare il tema dei rapporti
del Sovrano Ordine con la Repubblica Italiana in via preliminare rispetto al
delicato argomento cui sono dedicate queste pagine, lungi dall’essere dettata da
ragioni campanilistiche, è apparsa necessaria. Come sopra ricordato367, dal
1834 l’Ordine di Malta ha ubicato la propria sede centrale nella città di Roma
ed è pertanto nel territorio italiano che, di norma, si estrinsecano le sue attività
e le sue prerogative di governo. Tale circostanza ha condotto Benedetto
Conforti368 a definire la soggettività internazionale dell’Ordine come una
costruzione teorica di “mera fabbricazione italiana”369; è una posizione dalla
quale ci si permette di prendere le distanze, convinti che la particolare
367
Vedi, supra, Cap. III, par. 2
Professore emerito dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, già giudice della
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, è attualmente Accademico dei Lincei.
369
B. CONFORTI, Lezioni di diritto internazionale, Napoli, 1987, pag. 22
368
125
attenzione che la dottrina italiana ha dedicato alla questione sia stata dovuta
alla inevitabile frequenza dei contatti istituzionali tra le due entità e dal
costante stimolo a vagliare l’opportunità di stipulare accordi che promana dalla
presenza dell’uno (l’Ordine) in seno all’altra (la Repubblica), dal punto di vista
territoriale; ed è alla luce di tale circostanza che andrebbe altresì valutata la
schiacciante predominanza, da un punto di vista quantitativo, delle pronunce
italiane rispetto alla prassi giurisprudenziale straniera in materia. Operata
questa premessa, appare opportuno segnalare da subito che il dibattito sulla
particolare posizione detenuta dall’Ordine nella comunità internazionale deve
la sua fortuna a tre fattori essenziali; se il primo di essi è certamente
rappresentato dalla sostanziale assenza di un territorio ed il secondo dalla
mancanza di cittadini nel senso comune del termine370, il terzo elemento di
peculiarità è dato dalla natura di ordine religioso che riveste la Sacra Milizia,
che informa di sé i rapporti tra la stessa ed il Vaticano. Un’analisi della
posizione occupata dall’Ordine di Malta sulla scena internazionale deve,
pertanto, anzitutto sciogliere il nodo dell’indipendenza della Religione dalla
Santa Sede, poiché dalla soluzione di questo problema dipende l’ammissibilità
della pretesa melitense di vedersi riconosciuta la personalità giuridica
internazionale. La prima osservazione da fare è che questa “doppia anima”
dell’Ordine, quella internazionale e sovrana e quella religiosa, hanno sempre
convissuto; anche nei momenti storici nei quali la sovranità dell’Ordine non
veniva messa in discussione, i suoi membri pronunciavano i voti religiosi, così
come oggi fanno gli appartenenti al Primo Ceto della Milizia371, così generando
una interferenza tra ordinamento melitense ed ordinamento canonico. Non è
possibile negare che la ormai quasi millenaria storia dell’Ordine sia stata
costellata da una costante presenza della Santa Sede, che, attraverso l’esercizio
di una primazia giuridica, ha, più che esercitato un’influenza, dato vita ad una
protezione, limitandola tuttavia alla sfera “interna” della vita della Religione,
370
I membri dell’Ordine sono da ritenersi, in questa ottica, “cittadini istituzionali”.
L’art. 9 par. 1 della Carta Costituzionale del S.M.O.M. spiega come “I Cavalieri […]
appartenenti al primo ceto emettono la Professione dei Voti di povertà, di castità e di
obbedienza a norma del Codice, tendendo così alla perfezione evangelica. Sono religiosi a tutti
gli effetti del Diritto Canonico…”
371
126
astenendosi invece dall’esercitare poteri tutte le volte in cui entrava in gioco
l’attività “esterna”, quella cioè avente la proiezione internazionale della
Milizia. Può essre interessante ricordare come, nel 1884, l’Associazione
Italiana dei Cavalieri di Malta (A.C.I.S.M.O.M.) stipulò, con il Ministero della
Guerra dell’Italia sabauda, un accordo finalizzato all’assistenza sanitaria da
prestarsi ai militari italiani372in caso di guerra; in quella occasione, nonostante
si fosse nel pieno della cd “questione romana”, ed i rapporti tra il Regno
d’Italia e la Santa Sede fossero pertanto assai tesi, la Segreteria di Stato non
intervenne neppure, mostrando segno di rispetto per l’autonomia esterna
dell’Ordine. Altrettanto probante appare la circostanza per la quale, al
momento della stipula dei Patti Lateranensi, la Santa Sede non mise in agenda
il tema dell’extraterritorialità degli uffici dell’Ordine non ubicati in territorio
vaticano, anche in quella occasione reputando che, trattandosi di una tematica
avente rilevanza esterna e non contenente implicazioni “religiose”, l’Ordine
avrebbe ben potuto essere capace di seguire un suo autonomo percorso
negoziale con il Regno d’Italia. Tuttavia, la questione dei rapporti tra Santa
Sede ed Ordine Gerosolimitano ha conosciuto un autentico punto di svolta
all’inizio degli anni cinquanta del secolo scorso a seguito di una controversia
originata dalla circostanza che vide la Sacra Congregazione dei Religiosi
(organo della Curia romana) emanare dei provvedimenti che il governo dei
Cavalieri ritenne illegittimi poiché lesivi della propria sovranità.373 Nel
novembre del 1951 il Gran Maestro Ludovico Chigi Albani della Rovere374,
avvalendosi dei privilegi storicamente concessi e confermati dalla Chiesa
all’Ordine, chiese al Papa Pio XII di dirimere la questione. Il Romano
Pontefice, con chirografo del 10 dicembre dello stesso anno375, eresse un
Tribunale ad hoc, al fine di “determinare la natura delle qualità di Ordine
372
per il testo dell’Accordo cfr. C. ASTORRI, Il Sovrano Ordine Militare di Malta e le sue
commende familiari nel diritto italiano, Roma, 1930.
373
La vicenda, che ebbe una vasta eco nella cronaca del tempo, è ampiamente dettagliata in
H.C. ZEININGER DE BORJA, L’Ordre de Saint-Jean et ses affiliés, in Diritto Ecclesiastico,
1954, pag. 24 e segg.
374
76° Principe e Gran Maestro del Sovano Ordine, era stato eletto nel 1931 e sarebbe morto
pochi giorni dopo aver intrapreso l’azione “giudiziaria” di cui nel testo, proseguita dal
Luogotenente del Gran Magistero Antonio Hercolani Fava Simonetti
127
sovrano e di Ordine religioso del Sovrano Militare Ordine Gerosolimitano di
Malta […], l’ambito dellla rispettiva competenza, e le relazioni reciproche e
nei confronti della Santa Sede”. Il Tribunale, composto da Cardinali di Santa
Romana Chiesa, il 24 gennaio 1953 pronunciò la sua sentenza che venne
pubblicata negli Acta Apostolicae Sedis il successivo 30 novembre376. E’
interessante notare come la sentenza venne comunicata all’Ordine di Malta per
via diplomatica, ovvero con Nota della Segreteria di Stato vaticana del 18
febbraio 1953, attraverso l’ambasciatore giovannita presso la Santa Sede.
Nuovamente per via diplomatica, il Sovrano Ordine, con Nota del 12 marzo
1953, comunicava alla Segreteria di Stato l’accettazione del contenuto della
stessa, proponendone al tempo stesso una interpretazione operata dal Sovrano
Consiglio.377 Effettivamente, ad un’attenta analisi ermeneutica, il contenuto
della pronuncia cardinalizia appare estremamente conciso, caratterizzato da
una sobrietà che presta il fianco a chiavi di lettura differenti, persino
confliggenti tra loro. L’Ordine si mostrò inamovibile sulla assimilabilità della
propria sovranità a quella dei soggetti primari della comunità internazionale,
volgendo a proprio favore quei passi della sentenza nei quali il Tribunale
sembrava andare in quella direzione378; allo stesso tempo tentò di arginare gli
effetti della perentoria affermazione della natura religiosa dell’ente379,
limitandone la conseguente subordinazione alla Congregazione dei Religiosi ai
soli Cavalieri professi ed ai Cappellani della Milizia; infine insistette per
affidare la soluzione delle controversie380 tra Ordine e Santa Sede alla
375
Il testo del chirografo pontificio venne pubblicato in Diritto Ecclesiastico, 1953, II, pag.
305.
376
Cfr. Actae Apostolicae Sedis, 30 novembre 1953, vol. XLV, pag. 765 e segg.
377
Tale Nota, conosciuta in dottrina come “interpretativa”, è pubblicata in M. DE PIERREDON,
Histoire politique, op. cit., Vol. II, pagg. 13-14 ed è in realtà una lettera a firma del
Luogotenente Hercolani Fava Simonetti.
378
“La qualità di Ordine sovrano […] ripetutamente riconosciuta dalla Santa Sede […].
consiste nel godimento di alcune prerogative inerenti all’Ordine stesso come soggetto di diritto
internazionale”. Il testo tra virgolette diquesta e delle due successive note è tratto dalla
sentenza di cui alla nota 367
379
“L’Ordine Gerosolimitano di Malta […] è una religione e più precisamente un ordine
religioso approvato dalla Santa Sede” e poi ancora “dipende dalla Santa Sede e, in particolare,
come ordine religioso, dalla Sacra Congregazione dei Religiosi, a norma del diritto canonico e
delle vigenti costituzioni dell’Ordine stesso”
380
“le questioni miste sono risolte d’accordo dalla Sacra Congregazione dei Religiosi e dalla
Segreteria di Stato di Sua Santità”.
128
Segreteria di Stato (il Ministero degli Esteri del Vaticano). Infine, ed ancora
per via diplomatica, la Segreteria di Stato con Nota del 23 marzo 1953,
comunicò all’Ordine di avere “preso nota di quanto è stato scritto”.381 In
definitiva, come ha scritto Cansacchi, “il preso nota della Santa Sede”, che non
respinse né contraddisse l’interpretazione fornita, “significa la perfezione di un
accordo interpretativo, raggiunto dalla due Alte Parti interessate su alcuni
punti
controversi
del
giudicato”.382Nella
stessa
Rivista
di
Diritto
Internazionale, che aveva pubblicato il contributo di Cansacchi, Giuseppe
Sperduti rispondeva che il fatto stesso che fosse stato legittimo emanare la
Sentenza Cardinalizia al fine di giudicare sulla natura dell’Ordine testimoniava
la soggezione della Milizia alla Sede Apostolica e la conseguente impossibilità
di convertire la pronuncia e la Nota interpretativa in un accordo internazionale
a carattere interpretativo383. Si sono volute citare due autorevoli opinioni
contrapposte, significativamente edite l’una di seguito all’altra nell’ambito
dello stesso numero di un’altrettanto autorevole rivista giuridica, per
sottolineare la vivacità del dibattito che la vicenda sollevò nelle dottrina
italiana del tempo384; tuttavia, a distanza di oltre mezzo secolo dalla pronuncia
della sentenza, ci sentiamo di concordare con Gazzoni quando scrive che “non
può pensarsi che essa abbia alcunché innovato rispetto al passato”; piuttosto,
continua l’Autore, ad essa andrebbe ascritto il merito di avere fissato “in forma
sobria e precisa una situazione quale fin dall’origine si era andata
sviluppando nel tempo”385. Il tempo sembra dare ragione a questa
impostazione, se si pensa che la Carta Costituzionale del Sovrano Ordine
promulgata nel 1961386, al suo art. 4 precisava che “la posizione dell’Ordine
381
Cfr. S. LENER, Natura e prerogative del Sovrano Militare Ordine Gerosolimitano di Malta,
in Civiltà cattolica, 1954, IV
382
G. CANSACCHI, La soggettività internazionale dell’Ordine di Malta in una recente sentenza
ecclesiastica, in Rivista di Diritto Internazionale, 38 (1955), pagg. 39-48.
383
G. SPERDUTI, Sulla personalità internazionale dell’Ordine di Malta, in Rivista di Diritto
Internazionale, 38 (1955), pagg. 49-55.
384
Per una completa ricostruzione del dibattito dotrtrinale, vedi F. TURRIZIANI COLONNA,
Sovranità ed indipendenza, op. cit., Cap. II, par. II, pag. 133 e segg.
385
F. GAZZONI, L’Ordine di Malta, op.cit., pagg. 60-61
386
Carta Costituzionale del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di
Gerusalemme, detto di Rodi, detto di Malta, approvata dal Sommo Pontefice Giovanni XXIII
con il Breve Apostolico Exigit Apostolicum officium del 24 giugno 1961, promulgata il 27
giugno 1961.
129
nei confornti della Santa Sede è diefinita dalla Sentenza del Tribunale
Cardinalizio istituito dal Sollo Pontefice Pio XII con il Chirografo “Il Sovrano
Militare Ordine” del 10 dicembre 1951, pronunziata il 24 gennaio 1953”,
laddove la Carta Costituzionale attualmente in vigore387, significativamente
innovando, all’art. 4 par. 6 si limita a dire che “la natura religiosa non sclude
l’esercizio delle prerogative sovrane spettanti all’Ordine in quanto soggetto di
diritto internazionale riconosciuto dagli Stati”. Ancora, dal punto di vista
tecnico fornito dal diritto diplomatico, se l’art. 4, par. 3 della Costituzione del
1961 liquidava i rapporti Ordine – Santa Sede con un laconico “la Santa Sede
ha gradito una Rappresentanza Diplomatica dell’Ordine”, lasciando spazio ad
una qualificazione degli stessi alla luce della mera cortesia, il testo attualmente
in vigore sancisce, all’art. 4, par. 5 che “l’Ordine ha una rappresentanza
diplomatica presso la Santa Sede, secondo le norme del diritto internazionale”.
L’agente diplomatico melitense viene ricevuto in Vaticano con il rispetto del
medesimo cerimoniale seguito dalla Sede Apostolica per l’accreditamento
degli inviati degli altri Stati, compresa la pubblicazione negli Acta Apostolicae
Sedis dell’annuncio della presentazione delle credenziali nelle mani del
Romano Pontefice e la sua inclusione in seno all’Eccellentissimo Corpo
Diplomatico presso la Santa Sede nell’ambito dell’Annuario Pontificio. Per
quanto invece attiene al diritto di legazione passivo, la Costituzione del 1997
prevede, all’art. 4, par. 4 che “il Sommo Pontefice nomina Suo rappresentante
presso l’Ordine un Cardinale di Santa Romana Chiesa, al quale vengono
conferiti il titolo di Cardinalis Patronus e speciali facoltà. Il Cardinale
Patrono ha il compito di promuovere gli interessi spirituali dell’Ordine e dei
suoi membri e i rapporti tra la Santa Sede e l’Ordine”. La circostanza per la
quale la Sede petrina non accrediti presso il Gran Maestro un Nunzio
Apostolico, come ci si potrebbe aspettare, ma un Cardinale Patrono, lungi
dall’apparire come una deminutio dell’Ordine, è al contrario da ascrivere a
387
Carta Costituzionale del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di
Gerusalemme, detto di Rodi, detto di Malta, promulgata il 27 giugno 1961, riformata dal
Capitolo Generale Straordinario del 28/30 aprile 1997, promulgata con Decreto consiliare del
04 dicembre 1997
130
quella tradizione che ha visto storicamente la Sede Apostolica concedere la
protezione di un Principe delle Chiesa ad ordini religiosi, ordini cavallereschi o
intere nazioni come il Portogallo o l’Austria. Se si pensa che, l’art. 19, per. 3
della Costituzione del 1997 prevede che “per tutto ciò che concerne il carattere
spirituale delle opere dell’Ordine” sia prevista la diversa figura, di carattere
più spiccatamente religioso, del Prelato dell’Ordine nominato dal Papa388, si
comprende che la cura principale del Cardinale Patrono, come quella di
qualsivoglia altro rappresentante diplomatico della Santa Sede, sia quella di
“promuovere […] i rapporti tra la Santa Sede e l’Ordine”.389
A conferma della validità della tesi per la quale la citata Sentenza Cardinalizia
del 1953, al di là del valore formale che gli si voglia attribuire, non ha, poi, di
fatto, cambiato sostanzialmente il modo in cui la comunità internazionale
affronta la tematica del riconoscimento della soggettività internazionale del
Sovrano Ordine, appare utile ricordare come, dopo la sua pronuncia, gli Stati
che già intrattenevano relazioni diplomatiche con la Milizia le abbiano
mantenute e come un numero crescente di Paesi le abbiano instaurate,
manifestando negli atti di riconoscimento il loro convincimento di negoziare
con un soggetto internazionale pleno iure, capace di esercitare le prerogative
tipiche della sovranità tanto nell’ambito della sua organizzazione interna
quanto nel contesto della sua proiezione esterna.
Nel dare un notevole impulso alla crescita del numero dei Paesi con i quali il
Sovrano Ordine intrattiene piene relazioni diplomatiche un ruolo preminente è
stato rappresentato dall’attribuzione, da parte dell’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite390 del ruolo di Osservatore. Alla luce dell’importanza, insieme
teorica e pratica, di tale riconoscimento, vale la pena soffermarsi sulle vicende
che lo originarono, non ultimo per il fondamentale ruolo svolto dalla
388
Art.19, par 1, ultimo cpv. Carta Costituzionale del 1997 “il Prelato codiuva il Cardinale
Patrono nell’esercizio del suo ufficio presso l’Ordine”. Un'altra testimonianza di privilegio
accordato dalla Santa Sede alla Sacra Milizia è insita nella circostanza per la quale il Romano
Pontefice non è libero di scegliere il Prelato ma deve nominarlo nell’ambito di una terna di
nomi proposta dal Gran Maestro, previo voto deliberativo del Sovrano Consiglio.
389
Art. 4, par. 4 Carta Costituzionale del 1997.
390
Sul funzionamento tecnico dell’Organizzazione e sul suo ruolo primario nell’ambto della cd
“diplomazia multilaterale”, si veda, tra gli altri, B. CONFORTI e C. FOCARELLI, Le Nazioni
Unite, Padova, 2010.
131
Rappresentanza Pernamente della Repubblica Italiana presso le Nazioni Unite,
all’epoca dei fatti guidata dall’Ambasciatore Francesco Paolo Fulci. Nell’estate
del 1994, 28 Paesi membri delle Nazioni Unite391, guidati dall’Italia,
presentarono
una
richiesta
di
inserimento
nell’agenda
dei
lavori
dell’Assemblea Generale di un punto recante il titolo “Status di Osservatore
del Sovrano Militare Ordine di Malta, in considerazione delle speciale ruolo
svolto nelle relazioni internazionali umanitarie”392; alla richiesta veniva
allegato, oltre ad una bozza di risoluzione, altresì un “memorandum
esplicativo” di due dense pagine dove si può leggere che “l’Ordre souverain et
militaire de Malte a été la première insitution humanitaire du monde”393 e poi
ancora che “l’action de l’Ordre est aujourd’hui bien plus étendue qu’elle ne l’a
jamais été”.394 Il ruolo della Repubblica Italiana nella vicenda fu di primissimo
ordine, come testimoniato dal telegramma inviato alla Rappresentanza
Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite dal nostro Mnistero degli Affari
Esteri in data 10 marzo 1994395. Il testo, così recitando, non necessita di
commenti : “Confermasi opportunità andare incontro aspirazione Sovrano
Ordine Militare di Malta ottenere Status di Osservatore presso le Nazioni
Unite, presentando in una delle prossime sedute dell’Assemblea Generale,
conformemente a suggerimento Segretario Generale delle U.U., nostro
progetto di risoluzione in tal senso”. Era stato, dunque, lo stesso Segretario
Generale delle Nazioni Unite, all’epoca dei fatti l’egiziano Boutros-Ghali396, a
chiedere in forma privata al nostro Rappresentante Permanente di avviare, in
seno alle Nazioni Unite, un’azione di “sensibilizzazione” delle altre
delegazioni397. La richiesta, avanzata in ossequio all’art.15 delle regole di
391
Interessante notare come del grippo facesse parte la Repubblica di Corea che non
intratteneva relazioni diplomatiche con l’Ordine.
392
NATIONS UNIES, Assembléè générale, Doc. A/48/957 del 29 giugno 1994 e Doc. A/48/957
Add. 1 del 22 luglio 1994
393
Ivi, Mèmoire explicatif, par. 1
394
Ivi, Mèmoire explicatif, par. 5
395
RAPPRESENTANZA PERMANENTE D’ITALIA PRESSO LE NAZIONI UNITE, Telegramma in arrivo
n. 278, protocollo 1456, pubblicato in F.P.FULCI, L’Ordine di Malta all’O.N.U., New York,
1997.
396
Boutros Boutros-Ghali, già Ministro degli Affari Esteri dell’Egitto dal 1977 al 1991, fu il
sesto Segretario Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, carica che ricoprì per un
mandato quinquennale dal 1992 al 1996.
397
F.P.FULCI, L’Ordine, op. cit., pagg. 1-2.
132
procedura dell’Assemblea Generale398, venne esaminata dal Comitato Generale
dell’Assemblea, composto dai Rappresentati di 28 Stati membri; fu in quel
contesto che il Rappresentante del Regno Unito, non ritenendo opportuno
avallare l’idea per la quale il Sovrano Ordine giocasse uno “speciale ruolo […]
nelle relazioni internazionali umanitarie”, il che avrebbe indirettamente
implicato una forma di riconoscimento della Milizia come attore del sistema
diplomatico, chiese ed ottenne la modifica del titolo della richiesta in un più
neutro “Attribution à l’ordre souverain et militaire de Malte du statut
d’observateur auprès de l’Assemblée Génerale”.399Nonostante l’ostruzionismo,
oltre che degli inglesi, altresì di Francia, Federazione Russa, Cina ed India, la
richiesta venne inserita nell’agenda della seduta plenaria dell’Assemblea
Generale. Secondo l’Ambasciatore Fulci, “appare chiaro che la richiesta di
inserimento all’o.d.g. fu accolta, ancorchè all’inizio non disponesse di una
chiara maggioranza, per l’errore “tattico” commesso dai 5 membri
permanenti: parlando per primi e pronunciandosi contro, avevano non poco
irritato gli altri componenti il Comitato Generale, disturbati dall’idea che lo
“strapotere” dei Cinque Grandi dovesse prevalere anche fuori dal Consiglio
di Sicurezza”400. Il progetto di risoluzione, presentato all’Assemblea Generale
in seduta plenaria il 24 agosto 1994, godeva del patrocinio di ben 73 Paesi;
toccò all’Italia, in quanto Paese promotore, presentarlo alla comunità
internazionale. In quel contesto il Rappresentate Permanente del nostro Paese,
così s’indirizzò all’Assemblea :“Comment pourrait-on definir l’Ordre de Malte
? Ce n’est certainement pas une organisation non gouvernementale, ni un Etat
vu qu’il n’a ni territorie ni population propres: il est ce que les Romains
avaient coutume d’appeler un “sui generis institutio” se trouvant dans la
situation unique d’avoir perdu sa puissance territoriale il y a deux siècles mais
de jouir de la reconnaissance internationale. En fait, 64 Etats Membres de
398
UNITED NATIONS, Rules of Procedures of the General Assembly, art. 15, cpv. 1 “Additional
items of an important and urgent character, proposed for inclusion in the agenda less than
thirty days before the opening of a regular session or during a regular session, may be placed
on the agenda if the General Assembly so decides by a majority of the members present and
voting”. Doc. A/520/Rev. 17
399
NATIONS UNIES, Assemblée Générale, Doc. A/BUR/48/SR. 113, 29 juillet 1994
400
F.P.FULCI, L’Ordine, op. cit., pag. 5.
133
l’Organisation de Nations Unis ont des relations diplomatiques pleines et
entierès avec l’ordre – un privilège dont ne jouit, je me permets le dire, aucune
autre
institutions
de
cette
nature.”401Nonostante
l’opposizione
dei
Rappresentanti di Stati Uniti d’America e Regno Unito, sostenitori dell’idea
per la quale lo status di Osservatore avrebbe dovuto essere riservato
esclusivamente agli Stati non membri delle Nazioni Unite ed alle
organizzazioni intergovernative, il progetto di risoluzione venne approvato per
consensus, ovvero senza neppure essere messo ai voti. La risoluzione402è
formata da due paragrafi con funzioni di preambolo (significativa la
circostanza per la quale nel primo di essi si torni ad enfatizzare “its special role
in International humanitarian relations” come nel titolo della prima richiesta
di inserimento all’o.d.g. dell’Assemblea) ed altri due di carattere dispositivo.
Nel primo
l’Assemblea Generale decide di invitare il Sovrano Ordine a
partecipare ai suoi lavori “in the capacity of observer” mentre nel secondo
chiede al Segretario Generale delle Nazioni Unite di adottare le misuere
necessarie per dare attuazione alla risoluzione stessa. Dalla lettura dei verbali
delle sedute degli organi assembleari emerge anzitutto un interessante dato
letterale rappresentato dalla circostanza per la quale tutte le delegazioni
intervenute, comprese quelle contrarie all’adozione del provvedimento finale,
si riferiscono all’Ordine appellandolo come “Sovrano”, esattamente come sarà
poi deifinito nella risoluzione; colpisce poi il fatto che, per i numerosi
rappresentanti diplomatici intervenuti, l’elemento discriminante che non
avrebbe consentito di qualificare l’Ordine di Malta come una mera
organizzazione non governativa (tipologia di enti che, in ambito ONU, siedono
in seno all’ECOSOC, ovvero il Consiglio Economico e Sociale) fosse
costituito proprio dalla titolarità di quella soggettività di diritto internazionale
che permetteva all’Ordine di intrattenere relazioni diplomatiche con, all’epoca
della 48ª sessione dei lavori dell’Assemblea Generale, 64 Paesi membri.
401
402
NATIONS UNIES, Assemblée Générale, Doc. A/48/PV. 103, 24 août 1994
UNITED NATIONS, General Assembly, Doc A/RES/48/265, 24 august 1994
134
Alla data di luglio 2010, quando è stato pubblicato l’ultimo Rapporto ufficiale
delle Attività403, il Sovrano Militare Ordine di Malta intratteneva relazioni
diplomatiche con 104 Stati, ai quattro angoli del mondo, molti dei quali non di
professione cattolica. La rete diplomatica giovannita, però, a differenza di
quella degli altri attori della comunità internazionale, non esercita una valenza
di rappresentanza politica, professandosi l’Ordine sul piano internazionale
come “neutral, impartial and non-political”404. Le Ambasciate su cui sventola
la croce ottagona hanno il compito di supportare l’attività umanitaria ed
assistenziale posta in essere dall’Associazione Nazionale dei Cavalieri presente
nel Paese di accreditamento405o quella del Corpo Internazionale di Soccorso
dell’Ordine, conosciuto come Malteser International406; è interessante notare
come, tra le attività principali da disimpegnarsi da parte degli uffici diplomatici
melitensi, il Segretariato per gli Affari Esteri del Gran Magistero nel citato
Rapporto scelga di enfatizzare tre aspetti di quella che oggi si definisce
“diplomazia umanitaria” ovvero offrire tutela diplomatica agli operatori
quando le attività assistenziali dell’Ordine hanno come teatro Paesi “where the
rule of law is less than fully guaranteed”, ottenere privilegi fiscali e doganali
“to cover medical supplies amd other goods essential in an emergency”,
promuovere la cooperazione con organizzazioni umanitarie operative sul
campo.407 Non può pertanto sorprendere come la gran parte dello sforzo
negoziale internazionale del Sovrano Ordine si traduca in accordi di
cooperazione, in ossequio al dettato dell’art. 2, par. 2 della Carta Costituzionale
che così recita : “Fedele ai precetti divini e ai consigli di Nostro Signore Gesù
Cristo, guidato dagli insegnamenti della Chiesa, l’Ordine afferma e diffonde le
virtù cristiane di carità e fratellanza, esercitando, senza distinzione di
403
Activity Report 2010, Commuications Office of the Sovereign Military Hospitaller Order of
St. John of Jerusalem of Rhodes and of Malta, Roma, 2010
404
Ivi, pag. 90
405
Le Associazioni Nazionali sono attualmente in numero di 47. Cfr. ivi, pag. 102. A norma
dell’art. 34, par. 1 della Carta Costituzionale “Le Associazioni sono erette con decreto del Gran
Maestro, previo voto deliberativo del Sovrano Consiglio. I loro statuti sono redatti tenendo
conto della legislazione interna degli Stati in cui hanno sede e sono approvati dal Gran
Maestro, previo voto deliberativo del Sovrano Consiglio”.
406
“Malteser International is the worldwide relief agency of the Sovereign Order of Malta for
humanitarian aid with the status of a non-governmental organisation”. Malteser International
Annual Report 2010, Colonia, 2010.
135
religione, di razza, di provenienza e di età, le opere di misericordia verso gli
ammalati, i bisognosi e le persone prive di patria. In modo particolare esercita
l’attività istituzionale nel campo ospedaliero, inclusa l’assitenaza sociale e
sanitaria, ance in favore delle vittime delle calamità eccezioniali e delle
guerre, curandone l’elevazione spirituale e rafforzandone la fede in Dio”.
Tra questi accordi di cooperazione ve n’è uno che merita una speciale
menzione per il suo valore semantico: si tratta del Protocollo d’Intesa siglato
nel 2008 tra l’Associazione Italiana dei Cavalieri e la Guardia Costiera
italiana408 al fine di realizzare congiuntamente “progetti integrati di solidarietà
sociale”.
E’ attraverso questo accordo che i volontari del C.I.S.O.M.409, personale
medico ed infermieristico in testa, hanno potuto prestare assistenza ai migranti
in rotta dalle coste nord-africane verso Lampedusa. E’ un affascinante segno
del tempo, ed è traducendone le suggestioni che Giacomo Pace Gravina410 ha
scritto che “in quei mari che per secoli hanno rappresentato il teatro di scontri
sanguinosi con l’Islam, solcati dalle galere dei cavalieri impegnati nella
continua lotta per la difesa della fede, oggi l’Ordine combatte quotidianamente
una guerra contro nemici ancora più insidiosi della flotta turca”.
Come il Principe e Gran Maestro Frà Matthew Festing ha recentemente
ribadito, “la missione dell’Ordine si riassume nei due principi fondamentali del
suo carisma : alimentare, difendere e testimoniare la fede (tuitio fidei) e
servire i poveri e gli ammalati (obsequium pauperum)”411; ed è alla luce di
queste interpretazione autentica dell’odierno ruolo della Religione che appare
chiaro come, nell’epoca della quale ci è stato dato in sorte di essere testimoni,
“la tuitio fidei si è saldata con l’obesquium pauperum, la militanza attiva dei
407
Activity Report 2010, op. cit, pag. 90
The Order of Malta newsletter – Dicembre 08, Roma, 2008.
409
Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, fondato nel 1970, rappresenta il “braccio
operativo” dell’A.C.I.S.M.O.M. ed effettua, sovente in collaborazione con la Protezione Civile
Italiana, operazioni di soccorso ed assistenza alle popolazioni colpite da calamtà naturali.
410
G. PACE GRAVINA, Obsequium pauperum : per una lettura istituzionale del carisma
melitense, in Il “privilegio” dei “proprietari di nulla”. Identificazione e risposte alla povertà
nella società medievale e moderna, a cura di Aurelio Cernigliaro. Atti del Convegno di studi
(Napoli 22-23 ottobre 2009), pag. 181 e segg.
408
136
cavalieri e della loro organizzazione è adesso completamente rivolta a
contrastare gli spettri della malattia e della povertà”.412
411
SOVRANO MILITARE ORDINE DI SAN GIOVANNI DI GERUSALMME DI RODI E DI MALTA,
“Regolamenti e Commenti promulgati da S.A.E. il Principe e Gran Maestro Frà Matthew
Festing con l’approvazione del Sovrano Consiglio il 18 febbraio 2011”, Roma, 2011
412
G. PACE GRAVINA, Obsequium pauperum, op. cit., pag. 192
137
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Codice del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di
Gerusalemme, detto di Rodi, detto di Malta, promulgato il 1° agosto 1966,
riformato dal Capitolo Generale Straordinario del 28/30 aprile 1997,
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138
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