Le stagioni di Selinunte

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Le stagioni di Selinunte
Le stagioni di Selinunte
Vita e storia di una città antica
di Sicilia
Convegno
C
Caasstteellvveettrraannoo – Selinunte
Liceo Classico
10 giugno 20
Programma
Mattina - Ore 10,00
Saluti
Prof. Francesco Fiordaliso
Preside dell’ISIS di Castelvetrano
Dr. Giovanni Pompeo
Sindaco di Castelvetrano
On. Prof. Alessandro Pagano
Assessore Regionale ai Beni Culturali, Ambientali e alla Pubblica
Istruzione
Dr. Antonino Lumia
Dirigente Generale del Dipartimento dei Beni Culturali, Ambientali ed
Educazione Permanente
Roberto Bertini
Presidente Consorzio Universitario UNISOM
Dott.ssa Martine Fourmont
Centre National de la Recherche Scientifique
Introduzione
Caterina Greco (Trapani)
Quadro della ricerca
Vincenzo Tusa (Palermo)
Selinunte: origini e storia della ricerca
Pomeriggio - Ore 15,30
Lo spazio cultuale
Carlo Zoppi (Torino)
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Il cantiere reale e il cantiere in immagine: le bugne per il sollevamento
dei blocchi nella Selinunte di età classica
Maria Clara Conti (Torino)
Le terrecotte archittoniche di Selinunte: nuovi dati
Lo spazio civico
Dieter Mertens (Roma)
Selinunte: l’agorà, stato della ricerca
Lo spazio cultuale
Sebastiano Tusa (Palermo), Claudio Parisi Presicce (Roma)
Il santuario sub-urbano della Malophoros, stato della ricerca
Lo spazio domestico
Martine Fourmont (Paris)
Selinunte: l’isolato FF1 Nord, stato della ricerca
Lo spazio funerario
Antonia Rallo (Roma)
Selinunte: la necropoli ellenistico-punica di Manuzza Nord, stato della
ricerca
Lo spazio economico
Aldina Cutroni Tusa (Palermo)
Selinunte: Le monete, stato della ricerca
Sebastiano Tusa (Palermo), Ferdinando Lentini (Castelvetrano)
Selinunte: lo scavo alla foce del Modione
Dibattito e conclusioni
Arch. Giuseppe Gini
Soprindente Beni Culturali e Ambientali, Trapani
On. Prof. Alessandro Pagano
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Assessore Regionale ai Beni Culturali, Ambientali e alla Pubblica
Istruzione
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1 – Caterina Greco
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2 - Vincenzo Tusa
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Rispetto alle altre colonie greche occidentali le origini di Selinunte
presentano degli aspetti particolari: vedi Naxos, Siracusa, Agrigento ed
altre ancora. Per la fondazione ad opera dei Megaresi Iblei abbiamo due
date fondamentali: quella di Tucidide (628 a.C.) e quella di Diodoro (650
a.C.).
Sugli inizi dei suoi primi anni di vita hanno influito anche le
popolazioni non greche che abitavano nella Sicilia sia orientale che
occidentale. Per prima cosa ci si chiede: perchè essa è stata fondata nella
parte sud-occidentale dell’isola quando invece i Megaresi, venuti dalla
Grecia, fondarono la loro colonia nella parte orientale?
Cercherò di dare una spiegazione nel corso del mio intervento.
Ritengo infatti che un accenno agli inizi della vita della comunità
selinuntina sia necessario ed indispensabile per comprendere pienamente
l’entità e la qualità della relativa ricerca storico-archeologica, sulla quale
cercherò di fornire quelle notizie e quei dati che possano dare un quadro
quanto più possibilmente completo di detta ricerca
Partirò dai viaggiatori dei secoli scorsi che ci hanno lasciato il ricordo
della loro visita, iniziando da Tommaso Fazello, il noto monaco
domenicano che alla metà del XVI secolo scoprì Selinunte lasciandoci il
ricordo che ha permesso ad un numero sempre crescente di viaggiatori di
visitarne le rovine ed agli studiosi di iniziare le loro ricerche.
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Selinunte ha attirato l’interesse oltre che degli studiosi anche di
uomini e donne di cultura specialmente da quando la cultura archeologica
ha interressato un numero sempre crescente di persone con il risultato di
un miglioramento del loro livello culturale.
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3 - Carlo Zoppi
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Non è inconsueto osservare al centro del paramento esterno e interno
di alcuni dei blocchi lapidei, utilizzati nel mondo greco per le costruzioni
di maggiore impegno, delle sporgenze di forma per lo più quadrangolare,
le cosiddette bozze o bugne. Tali bugne sono state interpretate come
funzionali alla presa delle corde utilizzate per il sollevamento dei blocchi.
Anche se non tutti gli studiosi sono d’accordo circa questa interpretazione
un fatto è certo: le bugne avevano originariamente una funzione
esclusivamente tecnica ed erano destinate a essere asportate al termine
della costruzione degli edifici. Solo dalla tarda età classica furono talora
conservate perché considerate elementi decorativi. E’ questo il motivo per
cui fino almeno alla fine del V secolo esse sono visibili solo in strutture
non completate (ad esempio il tempio di Segesta) o in parti degli edifici
quali le fondazioni, non destinate in antico a essere in vista.
Sorprende dunque la loro presenza nel muro che delimita l’angolo
nord-ovest
del
grande
santuario
dell’acropoli
di
Selinunte,
immediatamente alle spalle del tempio D. L’analisi dei blocchi che
compongono tale muro permette infatti di riconoscere una chiara ricerca
decorativa nella resa del paramento, ricerca che dal punto di vista della
cronologia risulta tra le più antiche dell’architettura greca. Il tratto di muro
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in questione è infatti databile, grazie alle ricerche dell’équipe francese
effettuate tra gli anni settanta e ottanta, ai primi decenni del V secolo,
all’inizio cioè dell’età classica.
L’osservazione dei singoli blocchi ha inoltre permesso di stabilire che
molti di essi sono elementi di reimpiego, appartenenti cioè in origine a una
struttura smantellata in antico, successivamente rilavorati al fine di
suggerire l’impressione di una struttura non finita. Ciò è particolarmente
significativo alla luce del fatto che nulla di simile è riscontrabile nella
contemporanea architettura sia selinuntina sia siceliota.
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4 - Maria Clara Conti
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Il rivestimento in terracotta del tetto caratterizza, con la sua articolata
struttura e la vivacità della decorazione, l’architettura templare della
Grecia di Occidente nel corso dell’età arcaica. Tale rivestimento in Sicilia
comprende innanzi tutto la cassetta, la lastra destinata a proteggere
dall’umidità e dagli agenti atmosferici il geison, ovvero la cornice che alla
sommità dell’edificio riceveva l’estremità delle travature del tetto e ne
accompagnava lo sporto. Sopra la cassetta era poi collocata la sima, la
lastra che costituiva la gronda del tetto e che sui lati lunghi dell’edificio
smaltiva all’esterno l’acqua piovana mediante una serie di gocciolatoi. La
copertura vera e propria delle falde del tetto era composta da tegole
solitamente piane e coppi di forma semicircolare o pentagonale. Alla
sommità del tetto coppi di maggiori dimensioni chiudevano la giunzione
degli spioventi garantendone l’impermeabilizzazione.
La superficie delle lastre di sime e cassette divenne supporto di una
vivace decorazione, costituita da motivi geometrici e floreali dipinti in
rosso e in nero sul fondo chiaro dell’argilla, che distingueva vistosamente i
contorni e le forme del tetto rispetto alle sottostanti strutture dell’edificio.
La tecnica di realizzazione degli elementi delle coperture, le forme
delle lastre di rivestimento e le decorazioni dipinte evolvono e mutano nel
corso del tempo consentendo di proporre per questo tipo di manufatti una
cronologia puntuale.
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A Selinunte sono stati rinvenuti in numero notevole frammenti di
terrecotte
architettoniche,
divenuti
oggetto
di
studio
dalla
fine
dell’Ottocento. La ricerca attualmente in corso e della quale si propongono
in questa sede alcuni significativi risultati ha esaminato le terrecotte
custodite al Museo di Castelvetrano e i numerosi frammenti, ancora
inediti, rinvenuti nel corso degli scavi della Soprintendenza Archeologica,
tra gli anni cinquanta e gli anni ottanta, sull’acropoli e sulla collina
occidentale nonché i reperti venuti alla luce grazie alle indagini effettuate
dall’Università di Torino sulla collina orientale di Selinunte, custoditi nei
magazzini del Parco Archeologico.
Alcuni tetti appartengono a edifici non più identificabili sul terreno,
pochi sono invece riferibili a un particolare edificio templare. I frammenti
recentemente identificati hanno consentito sia più complete ricostruzioni
per i tetti già noti agli studi sia l’identificazione di nuove coperture.
Lo studio dei tetti evidenzia, anche in questo particolare aspetto
dell’edilizia templare, l’originalità e la creatività proprie della cultura
architettonica selinuntina.
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5 – Dieter Mertens
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6 - Claudio Parisi Presicce
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Il territorio di Selinunte, a Ovest del fiume Modione (l’antico
Selinos), è delimitato da una serie di aree sacre contigue, di cui sono parte
il complesso monumentale denominato Santuario della Malophoros, il
Tempio M e il Santuario presso la foce del fiume. La frequentazione a
scopi cultuali di tali spazi è documentata già all’epoca dello stanziamento
della colonia, o al più tardi tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C.
Dislocazione e orientamento degli edifici sacri sembrano dipendere da un
preciso disegno urbanistico: il santuario presso la foce del fiume e il
Tempio M risultano allineati sul prolungamento di due assi viari dei due
sistemi della c.d. acropoli e di Manuzza; l’orientamento dell’edificio sacro
della Malophoros potrebbe essere ricondotto alla presenza nelle mura
arcaiche di una porta sul medesimo asse del sacello.
Il santuario alla foce del Selinos
Nel primo venticinquennio del VI secolo a.C., al centro di una vasta
area sacra recinta da un muro, fu edificato un sacello senza peristasi con
profondo vestibolo chiuso (c.d. edificio Triolo Nord) e altare monumentale
antistante. In occasione di un intervento di ripristino successivo al 409 a.C,
.il vestibolo fu dotato di un portico a quattro pilastri con capitelli ‘a gola
egizia’ di tradizione punico-orientale. Tra le offerte votive, le figure di
kourophoros e kourotrophos (dea stante che regge un bambino, dea in
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trono che allatta un infante), rappresentate più che in ogni altro santuario,
rimandano ad una funzione divina prevalentemente connessa con il
nutrimento e l’educazione e con la riproduzione umana e vegetale. È stata
così proposta un’attribuzione del santuario a Hera, divinità il cui ruolo
sembra essere peraltro fondamentale nella fase dell’insediamento coloniale
in un territorio sconosciuto. L’identificazione trova sostegno in un
documento epigrafico frammentario rinvenuto nell'area. Attività cultuali,
documentate da focolari, pietre sacrificali, stele anepigrafi e deposizioni,
sono attestate ancora fino alla metà del III secolo a.C., ben oltre la
distruzione dell’edificio sacro, intervenuta a seguito di un evento sismico
nella seconda metà del IV secolo a.C.
Il Santuario della Malophoros
Nel primo quarto del VI secolo a.C. fu edificato il primo “megaron”,
un sacello rettangolare indiviso; la realizzazione di un cortile antistante la
fronte orientale determinò la sostituzione degli altari più antichi, presso i
quali avevano avuto luogo le cerimonie cultuali fin dalla fine del VII sec.
a.C., con tre nuovi altari di pietre più a Est. Alla metà del VI secolo a.C.,
gli spazi sacri del santuario ricevono compiuta definizione con la
costruzione dei muri di peribolo e la separazione del temenos della
Malophoros da quelli di Ecate e di Zeus Meilichios. Nella zona alta
dell'area sacra viene costruito un nuovo “megaron” a pianta rettangolare
tripartita, con altare monumentale antistante. Nella seconda metà del V
sec. a.C. l’ingresso al peribolo viene monumentalizzato da un propileo.
Il nome Malophoros, «colei che porta i frutti della terra», compare su
una base iscritta dal temenos di Ecate, e figura tra le principali divinità
della città nella celebre iscrizione del Tempio G. Che si tratti di un’epiclesi
della dea Demetra si desume dalla testimonianza di Pausania, che ricorda a
Megara Nisaea un santuario di Demetra Malophoros. Al culto demetriaco
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e a un contesto tesmoforico, rimandano le terrecotte dalla stipe votiva che
richiamano riti connessi con la continuità della stirpe umana e la
promozione della fertilità agraria, su cui si fondano il benessere e la
stabilità della comunità cittadina. Di celebrazioni anche nelle ore notturne
è testimonianza l’altissimo numero di lucerne rinvenute nel santuario.
L’area occidentale del recinto sacro è consacrata a Zeus Meilichios,
divinità menzionata nella lex sacra di Selinunte, e a una divinità paredra.
Le strutture monumentali, ossia un tempietto distilo, un portico e l’altare
esterno risalgono all’inizio del V sec. a.C. Intorno all’altare sono state
rinvenute numerose deposizioni e una serie di stele, in parte aniconiche, in
parte antropomorfe, una delle quali reca la dedica al “Meilichios”. I
sacrifici, prescritti dalla lex sacra ad espiazione di un delitto di sangue,
sono testimonianza di una dimensione privata e gentilizia del culto, oltre
che della sua funzione politica. Dal santuario proviene inoltre una serie di
defixiones, maledizioni incise su laminette in piombo.
Il santuario presso la Fonte della Gaggera
La fonte di acqua potabile che riforniva il Santuario della Malophoros
e l’area presso la foce del fiume sembra essere inserita all’interno di un
temenos, delimitato dal muro a gradoni a Nord dell'area sacra di Zeus
Meilichios. A pochi metri dalla fonte è stato messo in luce, tra le altre
strutture, un basamento, datato nel corso del VI secolo a.C., forse
pertinente a un altare simile a quello della Malophoros.
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Il Tempio M (di Eracle ?)
L’edificio sacro, a pianta rettangolare bipartita, fu edificato nel corso
del VI secolo a.C. La trabeazione di ordine dorico possedeva un fregio con
metope lisce. Una scalinata metteva in comunicazione il tempio con un
piazzale pavimentato a una quota più bassa, dove si conservano le tracce di
una struttura rettangolare, probabilmente un altare monumentale.
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7 – Martine Fourmont
Selinunte, lo spazio domestico:
L’isolato FF1 Nord, stato della ricerca
L’isolato FF1 Nord è situato sull’acropoli di Selinunte, a Nord-Ovest
della zona dei templi. È in quest’area che ho svolto le mie ricerche il cui
scopo era di osservare il modo di sviluppo e l’evoluzione dell’abitato
sulla superficie di un isolato, scavato però solo parzialmente. Questa
ricerca completava l’altro versante dell’indagine dell’équipe francese,
quello dello studio della rete viaria i cui risultati, pubblicati da R. Martin
e da J. de La Genière, sono stati ulteriormente ampliati da D. Mertens.
Negli ultimi decenni l’indagine sull’abitato della colonia megarese è
avanzata in diverse zone della vastissima superficie del Parco
archeologico di Selinunte. Lo studio condotto su FF1 Nord intende
contribuire alla ricerca sull’urbanistica, sull’evoluzione della pianta
urbana, sulla tipologia delle case e sulla loro storia.
La prima parte della mia relazione presenterà per grandi linee gli
elementi che entrano nella riflessione archeologica, i dati del terreno, la
topografia, etc., e ci fa chiedere “cosa abbiamo davanti ai nostri occhi
quando, oggi, passeggiamo sull’acropoli selinuntina nella zona
dell’isolato FF1 Nord?”
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Si procederà adoperando un costante confronto tra i ruderi visibili, lo
studio architettonico, le fonti scritte, lo scavo stratigrafico e l’analisi dei
materiali.
Si vedrà che non possiamo ricostruire tutto per tutti i periodi, dalla
fondazione della colonia megarese - con un breve accenno ad un periodo
anteriore -, all’apice di Selinunte e della civiltà greca nel V secolo, ad un
secondo classicismo nel IV secolo e al passaggio al periodo ellenisticopunico tra la fine del IV e la prima metà del III secolo.
Si vedrà invece come procede il confronto tra fonti scritte e
archeologia.
La relazione presenterà le grandi unità abitative che oggi si possono
ancora leggere e tenterà di far capire la notevole distanza che esiste tra la
“storia assoluta” e la realtà archeologica. Via via che l’argomento sarà
sviluppato si potrà seguire l’approccio metodologico e il suo
indispensabile e continuo adattamento ai dati incontrati sul terreno.
Si vedrà, infine, come si arriva ad una visione molto articolata - e
spesso piena di sfumature – delle strutture e dell’abitato a noi pervenuti.
+++
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8 – Antonia Rallo
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9 - Aldina Cutroni Tusa
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La mia relazione sull’economia monetale di Selinunte ha preso
l’avvio negli anni cinquanta del secolo scorso. Essa si è sviluppata nel
tempo svolgendosi sui materiali portati alla luce dagli scavi della
Soprintendenza, sull’approfondimento di alcune problematiche risultanti a
seguito del rinvenimento di un ripostiglio nei pressi di Capo Granitola
subito immesso nel commercio clandestino, sul rapporto tra moneta
emessa dalla polis selinuntina, relativa chora ed aree di influenza.
Allo stato attuale ho incentrato la ricerca sulla rilettura più
approfondita dei ritrovamenti monetali provenienti dai saggi e dalle
ricerche condotti dalla Missione francese, ma sopratutto dall’area
compredente il Quartiere FF1 Nord sistematicamente messo in luce dalla
dott.ssa Martine Fourmont.
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Dai risultati di questa ricerca conto di ottenere un’ulteriore ed
approfondita conferma dei dati finora ottenuti rielaborandoli globalmente,
in una visione la più completa possibile su quella che sono state la politica
economica di Selinunte a livello globale e le sue aperture al mondo
esterno.
***
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10 - Ferdinando Lentini
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arcchheeoollogi
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L’area indagata nel corso di tre brevi campagne di scavo (febbraiomarzo 2004, luglio 2005, dicembre 2005-gennaio 2006) si trova lungo il
tratto finale della foce del fiume Modione. Qui, in alcune planimetrie
redatte tra il 1865 ed il 1872, S. Cavallari rilevava, parzialmente ricoperte
da sabbia, la presenza di “Avanzi di edifizii” e un tratto di “Prima cinta di
mura nel sobborgo occidentale” Con maggiore dettaglio J. Hulot tra il
1904 ed il 1910 mette in pianta nuove strutture come un “Petit fort de
basse époque”, situato a breve distanza in direzione Nord / Ovest
dall’odierna porta XVII, tratti di “Murs du port” ed una “Chapelle en
ruines” identificabile con una struttura a pianta rettangolare sormontata sul
lato Ovest da un piccolo arco, realizzata con elementi di reimpiego.
All’epoca del nostro primo intervento nel febbraio del 2004, le uniche
strutture visibili nell’area erano il “Petit fort de basse époque” e la
“Chapelle en ruines”. La motivazione che ci spinse a prendere in esame
quest’area, fu l’abbondanza di materiale fittile tardo-antico / bizantino
disperso su una duna artificiale di terra di riporto parallela al fiume,
formatasi a seguito dei lavori di scavo della trincea per la recinzione del
Parco Archeologico lungo il fiume.
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La terza campagna di scavo, finalizzata ad indagare quel edificio
denominato da Hulot “Chapelle en ruines”, ci ha indotti a credere che la
zona intorno alla foce del Modione, dopo Kaukana e S. Leone, può essere
considerata la sede del terzo insediamento tardo-romano e bizantino della
Sicilia giunto fino ai nostri tempi con tutte le sue componenti: abitazioni,
edificio di culto, approdo marittimo / fluviale e probabile necropoli.
Abbiamo ragione di credere che quest’ultima possa trovarsi nelle
immediate vicinanze della “Chapelle” come testimonia il rinvenimento di
un frammento di stele funeraria con epigrafe, riutilizzato in uno dei muri in
epoca medievale.
Il quartiere sorse su un’area già occupata da abitazioni di età classica
comprese forse in isolati annessi alle strutture portuali e delimitati ad
Ovest dalla cinta muraria arcaico-classico di cui non conosciamo l’esatta
estensione su questo versante della città. Delle strutture murarie greche si
sono conservati soltanto dei brevi tratti, realizzati con blocchi di medie
dimensioni e da pietrame minuto e terra, fondati su uno strato di argilla
sterile e visibili solo a livello di spiccato di fondazione.
L’unico vano che abbiamo scavato di un’abitazione / magazzino(?),
costruito tra il V ed il VI secolo d.C. e di cui non conosciamo ancora
l’estensione, è a pianta quadrata.. L’ingresso era aperto a Nord/Ovest su un
tratto di strada o di largo spiazzo con orientamento Nord / Ovest-Sud / Est,
delimitata sul margine Est da un tratto di muro di blocchi, forse
perimetrale, riferibile ad una probabile insula di cui il vano
summenzionato farebbe parte. Il lato Ovest della presunta strada non è
delimitato da alcun muro, scalzato forse ed asportato da ondate di piena
del fiume. Sotto la pavimentazione della strada, una spessa colmata di terra
scura, ricca di frammenti fittili (per lo più coppi a bordo inspessito,
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ceramica da fuoco tipo “Pantellerian ware”, ceramica sigillata africana), di
ossa e pietrame, andò a ricoprire le strutture di età greca.
Un’intensa attività edilizia, dunque, che sembra testimoniare a favore
della realizzazione di un progetto prestabilito che ebbe come fine la
costruzione di nuove strutture intese a riqualificare quest’area dal punto di
vista commerciale, attraverso l’esecuzione di una preventiva opera di
demolizione, di spianamento e di riutilizzo di materiale lapideo prelevato
da edifici di età greca.
L’attività edilizia riguardò anche la costruzione di un banchina lungo
la sponda sinistra della foce orientale del Lanarium, più vicina alle pendici
dell’Acropoli. Proprio sul lato Sud della banchina abbiamo effettuato il
nostro rinvenimento più importante. L’intersezione dei diversi muri,
allettati su uno spesso strato di sabbia inclinato verso il mare e ricoperto da
uno strato di limo formava dunque un lungo vespaio di fondazione
costruito in modo tale da seguire l’andamento della sponda del fiume. I
vani del vespaio furono colmati con terra mista a pietrame e a frammenti
di ceramica (soprattutto anfore di produzione nordafricana e coppi a bordo
inspessito) la cui datazione sembra dare ulteriore conferma circa la
realizzazione di un progetto unitario che tra la fine del IV ed il V/VI sec.
d.C. vide la nascita e lo sviluppo di un approdo marittimo / fluviale
piuttosto efficiente, meta di imbarcazioni provenienti soprattutto
dall’Africa settentrionale e da Pantelleria, in grado di rifornire di
vasellame fine da mensa e da fuoco i diversi insediamenti rurali dislocati
sulla piana costiera. risalendo il pendio Ovest dell’Acropoli, ricalcava un
importante asse stradale greco per il collegamento dell’area portuale
occidentale con quello orientale.
Genericamente al Medioevo è da attribuire lo smantellamento di parte
della banchina.
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Non conosciamo il motivo che spinse Hulot ad interpretare come
“Chapelle en ruines” un edificio a pianta rettangolare caratterizzato da un
piccolo arco a tutto sesto inquadrante una nicchia semicircolare ricavata su
alcuni blocchi del muro orientale della struttura. Evidentemente aveva
visto qualche elemento, tra le costruzioni circostanti visibili al suo tempo,
che lo indusse ad identificare nella costruzione un edificio di culto. In
effetti la sua interpretazione non si discosta dalla nostra formulata dopo
l’intervento di scavo.
La recente indagine archeologica ha potuto appurare, al di sotto
dell’arco che si appoggia sul muro Est, l’esistenza di una piccola vasca a
pianta quadrata con quadrifoglio e croce inscritti all’interno destinata al
rito del battesimo. La vasca battesimale è sopraelevata – con presenza di
gradini – ed è da collegare con alcuni esmpi noti in Palestinia.
Dal punto di vista strutturale, il nostro piccolo battistero sembra da
collagare con l’ecclesia vicina.. L’assenza di autonomia strutturale del
battistero trova riscontro in alcune basiliche bizantine dell’Africa del
Nord. Nel resto della Sicilia, la nostra struttura rimane al momento un caso
isolato per il fatto che molti edifici di culto noti non sono ancora stati
indagati in tutte le loro parti. Possiamo dunque affermare di aver rinvenuto
il primo battistero protobizantino in Sicilia. Una datazione al VI secolo
potrebbe essere la più opportuna, sulla base di confronti con edifici simili
per forma e per tecnica muraria. Il prosieguo delle indagini archeologiche
riserverà grandi sorprese soprattutto con l’individuazione dell’ecclesia e la
definizione del complesso episcopale (episcopeion) che pensiamo sia da
rintracciarsi nell’edificio parzialmente scoperto sul lato Est del battistero.
Un tratto di muro con un ampio ingresso monumentale al centro con ai lati
due ingressi più piccoli che si affacciano su uno stretto ambitus forse
metteva in comunicazione l’area di culto con quella portuale.***
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