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LA MANIPOLAZIONE DEL CORPO IN ADOLESCENZA
Una riflessione bioetica
(in Saggi - Child Development & Disabilities 2005; 31 (2): 67-77)
Luisa Borgia
Membro del Comitato Nazionale per la Bioetica
Docente di Bioetica Università di Camerino
Nel 2000 il Museo Americano di Storia Naturale di New York ha ospitato una
eccezionale mostra sui diversi metodi di manipolazione del corpo (pittura del corpo,
scarificazione, piercing...) utilizzati dai nostri antenati nel corso di 30.000 anni,1
dimostrando come non vi sia cultura in cui non siano state adottate tecniche di
tatuaggi permanenti o temporanei, per molteplici motivi: per bellezza, come segno di
cambiamento o ribellione, per esibire uno status, per contrassegnare un momento
della vita (in particolare l’ingresso nella maturità), per identificarsi con gli spiriti, dei
o antenati, come segnale di appartenenza a un gruppo o per mostrare una distinzione
di genere.
In generale la Body Art riflette il concetto di bellezza, prestigio, nobiltà, religione
della propria società.
Nel Giappone del 18° secolo, invece, i tatuaggi completi del corpo erano prerogativa
degli individui ai margini della società, segno di coraggio e resistenza al dolore.
Dalla storia emergono anche altre indicazioni sul significato di simili pratiche:
a) con finalità mediche, come è emerso dallo studio dell’uomo di 4000 anni
trovato sui ghiacci delle Alpi, per il quale il tatuaggio potrebbe aver significato
1
J.H. Tanne, Body Art: Marks of Identità, British Medical Journal, 2000, 320:64.
una attenuazione del dolore (come dimostrano i segni di tatuaggi vicino alla
spina dorsale, alle gambe e ai punti in cui le radiografie hanno evidenziato
degenerazioni delle giunture);
b) con finalità terapeutiche/esoteriche, all’interno di esorcismi per allontanare gli
spiriti maligni (un rito utilizzato anche dai monaci buddisti).2
Tecniche antiche, dunque, ma che si ripropongono in ogni civiltà.
Fin qui l’antropologia.
E la Bioetica?
Una riflessione bioetica sembrerebbe giustificata se rivolta a nuove tecniche di
intervento sul corpo umano, mentre la manipolazione del corpo a fini di identità
socio-culturale è antica quanto l’uomo.
In realtà le valutazioni bioetiche hanno ragion d’essere per la nuova prospettiva di cui
si avvale la riflessione bioetica, fondata su principi universalmente riconosciuti come
fondamentali per il rispetto della dignità dell’uomo e sistematizzati in una disciplina
unitaria.
In questa cornice interpretativa possiamo inserire dunque anche le manipolazioni del
corpo in età adolescenziale (piercing, tatuaggi, body-art), che possono essere oggetto
di una riflessione bioetica se comprese nella tematica più ampia dei comportamenti a
rischio in adolescenza.
Proprio in questo periodo emergono più frequentemente situazioni di conflittualità e
di “sfida del rischio”: come se l’adolescente dovesse rischiare per comprendere
l’estensione dei propri limiti e tratteggiare la propria immagine diversamente da
quella strutturata nella famiglia, realizzando così la propria identità socio-culturale.
E’ giustificato parlare di comportamenti a rischio nel caso dei piercing e degli altri
interventi sul corpo?
Sì, se per “comportamento a rischio” intendiamo una condotta che cagioni un
“danno alla salute fisica e psichica e/o alla vita e responsabile di maggiore incidenza
di morbilità e mortalità in un’epoca della vita meno esposta alla malattia e alla
2
YO Oumeish, The philosophical, cultural and historical aspects of complementary, alternative, unconventional and
integrative medicine in old world, Arch. Dermatol., 1998, 134: 1373-1386.
morte”3 (comportamenti autolesivi
consci o inconsci; comportamenti alimentari
abnormi; attività sessuale promiscua; comportamenti a rischio nell’ambito di attività
sportive o ricreative).4
Da
diverse
pubblicazioni
scientifiche
sta
infatti
emergendo
sempre
più
dettagliatamente la connessione diretta tra tatuaggi, piercing e infezioni virali,
batteriche, allergie e melanomi,5 tanto che l’Unione Europea ha lanciato un allarme
diffondendo i risultati di una ricerca in cui esortava tutte le autorità competenti ad
attivare delle contromisure sanitarie appropriate.
In alcuni paesi, per prevenire il contagio di possibili infezioni, chi ha subito un
tatuaggio non può donare il sangue prima che sia trascorso un anno dall’intervento.
La letteratura scientifica si sta occupando sempre più spesso delle conseguenze
dei tatuaggi e dei piercing, e, solo a titolo esemplificativo, un articolo pubblicato su
JAMA denuncia casi di infezione da Pseudomonas aeruginosa in seguito a piercing
nella porzione superiore dell’orecchio,6 uno dei luoghi prescelti per l’inserimento di
monili attraverso il piercing.
Lo stupore di veder crescere il fenomeno della manipolazione del proprio
corpo tra i giovani e i giovanissimi7 attraverso pratiche primitive o appartenenti in
3
M.L. Di Pietro, R. Minacori, Dimensioni della salute e prevenzione dei comportamenti a rischio in adolescenza, in
Medicina e Morale, 2005/1: 65-90.
4
L. Wallander, L.J. Siegel (eds.), Adolescent Health Problems: Behavioral perspectives, New York, The Guilford
Press, 1995.
5
Tra le complicazioni primarie più frequentemente riportate in letteratura si riportano:
- infezioni: epatite B, C, HIV, tetano e tubercolosi, endocarditi infettive (causate dalla mancanza di sterilità delle
attrezzature)
- reazioni allergiche ai pigmenti (più rare, ma particolarmente fastidiose, perché i pigmenti sono difficili da rimuovere);
- comparse di granulomi e cheloidi (questi ultimi si evidenziano soprattutto in seguito alla rimozione del tatuaggio);
- complicazioni nella Risonanza Magnetica Nucleare (in soggetti con eyeleiner permanente che subiscono una RMN
degli occhi sono comparsi gonfiori, bruciature e interferenze con la qualità dell’immagine);
- reazioni allergiche al nichel e all’ottone,componenti dei monili utilizzati nei piercing;
- condilomi acuminati in seguito al piercing del pene;
-sono stati inoltre riscontrati casi di endocarditi infettive e di angina di Ludwig.
6
W.E. Keene et al., Outbreak of Pseudomonas aeruginosa Infections Caused by Commercial Piercing of Upper Ear
Cartilage, JAMA, 2004, 291: 981-985.
Dall’indagine emerge che, tra i clienti di un chiosco di bigiotteria nell’Oregon, sono stati accertati 7 casi di infezione, di
cui 4 hanno richiesto l’intervento chirurgico con serie conseguenze; sono stati evidenziati altri 18 casi sospetti.
I casi riportati dipendono dal mancato ricorso a pratiche igieniche da parte del piercer, che non avrebbe utilizzato
capsule e aghi individuali, adoperando lo stesso dispositivo per centinaia di operazioni.
Le infezioni riguardavano tutte la cartilagine dell’orecchio, zona non irrorata, quindi esclusa dall’efficacia
dell’antibiotico in caso di infezione, dal momento che non c’è il sangue necessario per portare il farmaco a destinazione.
7
Secondo una ricerca Eurispes condotta su un campione di giovanissimi (tra i 12 e i 18 anni), il piercing seduce in Italia
il 20,3% degli studenti, mentre il 6,6% sceglie i tatuaggi.
tempi passati solo a determinate categorie (carcerati, marinai,…) è affiancato da un
dubbio: siamo proprio sicuri che gli adolescenti percepiscano queste tecniche come
segni indelebili oltre che a rischio per la salute?
Se ogni altro intervento sul corpo è ammesso dalla società (lifting, chirurgia
estetica di diverso genere…), appare paradossale che un segno sul proprio corpo non
possa scomparire.8
Persino il “trucco permanente”, che si sta diffondendo tra le ragazze, non viene
percepito nelle sue dimensioni reali, ma viene adottato semplicemente per risparmiare
tempo o per la difficoltà fisica di ricorrere al trucco provvisorio.
In alcuni casi il trucco permanente si affianca alla chirurgia ricostruttiva (in
particolare del viso e del seno) per simulare la pigmentazione naturale o viene
utilizzato nei casi di alopecia (per ridisegnare le sopracciglia) o di vitiligine.
Qualunque sia il motivo, chi si sottopone a queste tecniche deve essere
informato dei rischi connessi, in modo da prendere una decisione adeguata e
consapevole.
Ecco un punto cruciale in ambito bioetico: la conoscenza, la corretta
informazione di ogni possibile rischio prevedibile e il relativo rapporto con il
beneficio atteso sono alla base della liceità di ogni intervento sul corpo.
Crescente preoccupazione suscitano alcuni studi condotti sui bambini in cui si
registrano complicanze mediche da piercing, in misura superiore ai tatuaggi;9 ma
l’inquietudine maggiore deriva dall’età media cui le bambine al di sotto dei 14 anni si
sottopongono a piercing: età che si sta progressivamente riducendo.
Nel caso di minori, da un punto di vista esclusivamente medico-legale,
andrebbe richiesto un consenso informato sottoscritto anche da entrambi i genitori in
cui siano elencati tutti i rischi connessi alla tecnica prescelta.
8
G.Pietropolli Charmet, A. Marcazzan, Piercing e tatuaggio. Manipolazioni del corpo in adolescenza, Milano, Franco
Angeli, 2000.
9
DG. Dunlop, M. McCabe, R. Evans, P. Richmond, Ear piercing and children’s right, British Medical Journal, 1994,
308: 1636-1637. In altri studi si registrano infezioni batteriche, emorragie,lesioni, cicatrici. La parte del corpo più
esposta risulta l’ombelico tra le femmine e l’orecchio tra i maschi. In particolare, le infezioni da piercing sull’ombelico
necessitano di un tempo maggiore di guarigione (a volte fino a nove mesi), a causa dell’umidità della zona, spesso
coperta da vestiti (il sudore favorisce la formazione dei batteri). Dal momento che il ricorso ad antibiotici di uso
comune come l’amoxicillina può risultare inefficace, spesso si consiglia l’utilizzo di antibiotici più potenti come la
ciprofloxacina, che però non è approvata per l’uso su minori di 18 anni….
In una visione bioetica (ben più ampia di quella medico-legale) non si possono
considerare i bambini (specie molto piccoli, per i quali non si può parlare di un
consenso adeguato) “destinatari passivi” della volontà dei propri genitori, ma soggetti
che devono partecipare alla “gestione” della propria salute secondo la loro età e
maturità, esercitando un diritto sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui
diritti dei bambini.10
In tutti gli altri casi in cui i soggetti abbiano raggiunto un grado di maturità tale
che consente di sottoscrivere un consapevole consenso informato, il principio di
autonomia che supporta la decisione di sottoporsi a un piercing o a un tatuaggio deve
necessariamente essere controbilanciato dal principio di responsabilità da parte
dell’operatore, che deve garantire il rispetto di tutte le regole igieniche del caso e
deve assicurare una onesta e completa informazione sui rischi.
Innanzitutto è fondamentale che ciascun soggetto conosca le modalità di
esecuzione del tatuaggio11 e del piercing12 e comprenda che ciascun intervento sul
corpo apre un varco nella principale barriera protettiva, la pelle, sviluppando il
rischio di infezioni.
E’ inoltre opportuno conoscere i rischi connessi agli inchiostri e ai pigmenti
usati nei tatuaggi e nei trucchi permanenti.
Tranne un certo numero di tinture e coloranti approvati per uso estetico,
nessuno di questi è ammesso per l’iniezione nella pelle e molti pigmenti non sono
neppure consentiti per il contatto della pelle, anzi, la maggior parte dei prodotti
chimici usati nei tatuaggi sono pigmenti industriali originariamente usati per altri
scopi quali la stampa o la verniciatura delle automobili.13
10
L. Dillner, Britain ignores UN convention on children’s right, British Medical Journal, 1994, 308: 1123-1124. In
questo articolo si lamenta l’assenza di Linee Guida che sconsiglino il piercing dell’orecchio nei bambini. In Gran
Bretagna c’è solo una Linea Guida di Buona Pratica rivolta ai professionisti del settore medico-sanitario, con alcune
raccomandazioni per i genitori che intendono attuare questa tecnica sui figli.
11
L’ago, collegato a una piccola macchina con i tubi che contengono la tintura, perfora ripetutamente la pelle (un'azione
che assomiglia a quella di una macchina per cucire), inserendo goccioline molto piccole dell'inchiostro con ogni
puntura. La procedura, che può durare fino a parecchie ore per un grande tatuaggio, causa una piccola quantità di pus
con livelli di dolore variabili.
12
Il piercing del corpo generalmente si pratica senza alcuna anestesia. L’operatore spinge un ago vuoto attraverso una
parte del corpo, quindi inserisce una parte di monili nel foro. Alcuni piercer possono utilizzare le pistole, ma queste
sono difficili da sterilizzare.
13
R. Watson, Tattooists use pigments designed as car paint, British Medical Journal, 2003, 327:182.
Non ci sono purtroppo normative che obblighino le aziende a inserire nelle
etichette degli inchiostri la composizione chimica che, in quanto coperta da brevetto,
non può essere conosciuta né dal cliente, né da chi effettua il tatuaggio.
Ma c’è un'altra considerazione che va affrontata prima di decidere se
intraprendere o meno un intervento di tatuaggio: l’indelebilità del segno. Può
accadere che il disegno col tempo si possa sbiadire e offuscare14 o, più
semplicemente, non si desideri più mantenere quel segno sul corpo, relativo alla
percezione della propria immagine e della propria identità, che può mutare nel tempo,
così come possono risultare demodé o imbarazzanti i disegni che inizialmente erano
trendy.
Il malcontento è più frequente tra coloro che hanno effettuato un trucco
permanente, non solo per i cambiamenti della moda, ma per le naturali modificazioni
che la pelle e il viso subiscono con il passare del tempo.
I problemi relativi alla rimozione di un tatuaggio sono molteplici e di diversa
natura: di tipo economico (sono infatti necessari diversi trattamenti laser, di alcune
settimane o mesi, che comportano una spesa considerevole), di qualità dell’intervento
(i risultati spesso sono insoddisfacenti), di rischi per la salute.
Malgrado i progressi nella tecnologia del laser, rimuovere un tatuaggio è un
processo complesso, che comporta sempre segni permanenti.
Oltre al laser, le tecniche di rimozione più utilizzate consistono nella
dermoabrasione (gli strati della pelle vengono raspati con un fraise della spazzola
metallica o del diamante, lasciando sulla pelle una cicatrice), nella scarificazione (il
tatuaggio è asportato con una soluzione acida, generando una cicatrice), nella
salabrasione (i pigmenti sono rimossi con una soluzione salina), nella rimozione
chirurgica (si utilizzano degli espansori di tessuto inseriti sotto la pelle, affinché la
cicatrice risulti esteticamente più gradevole).
Qualcuno tenta di camuffare un tatuaggio non più gradito con uno nuovo,
sottoponendosi all’iniezione di nuovi pigmenti per comporre un altro disegno.
14
Se colui che effettua il tatuaggio inietta i pigmenti troppo profondamente nella pelle, questi possono migrare oltre i
luoghi originali, con conseguente distorsione dell’immagine rappresentata.
E i tatuaggi provvisori? Quelli applicati con un batuffolo inumidito di cotone
sembrerebbero avere come unico effetto negativo la transitorietà. La maggior parte di
essi contiene additivi approvati per uso cosmetico; tuttavia negli USA c’è allarme per
l’importazione di tatuaggi provvisori sprovvisti delle etichette richieste dalla FDA e
contenenti colori non consentiti per uso cosmetico, che avrebbero causato numerose
reazioni allergiche.15
Come si può notare da questa panoramica sulle problematiche sanitarie
connesse ai tatuaggi e ai piercing, ci si muove in un ambito in cui la carenza di
normative lascia spazio all’improvvisazione e impedisce una adeguata tutela dei
soggetti, che, è utile ribadire, sono spesso minori, perciò ascrivibili nella categoria dei
soggetti “vulnerabili”.
Le Autorità delle diverse nazioni cominciano a varare misure di tutela, ma
poche sono le Linee Guida su questo argomento.
Attualmente si segnalano quelle dettagliatissime emanate nel 1998 dal
Ministero della Salute della Nuova Zelanda, in materia di sicurezza connessa alla
pratica del piercing.16
In Italia il Ministero della Sanità ha emanato nel 199817 le “Linee Guida per
l’esecuzione di procedure di tatuaggio e piercing in condizioni di sicurezza”.
Le altre Linee Guida reperibili sono quelle emanate dagli ordini
professionali.18
Dal 1994 una Direttiva Europea19 stabilisce che, per evitare irritazioni cutanee
o, peggio, lesioni all’epidermide, gli oggetti metallici inseriti in parti perforate del
15
Sempre la FDA ha emanato un allarme per l'importazione di hennè destinato a essere utilizzato sulla pelle. L’hennè è
approvato soltanto come tintura dei capelli, non per l'applicazione diretta sulla pelle. Inoltre, l’hennè produce
tipicamente una tinta marrone rossastra, per questo destano preoccupazione gli ingredienti aggiunti per ottenere la
colorazione nera e blu.
16
http://www.moh.govt.nz/moh.nsf/Files/SkinP/$file/SkinP.pdf
17
“Linee Guida per l’esecuzione di procedure di tatuaggio e piercing in condizioni di sicurezza”, contenute nella
Circolare del Ministero della Salute emanata il 2 settembre 1998. E’ possibile visionarla nel sito Cittadinolex al
seguente indirizzo: http://www.cittadinolex.kataweb.it/Article/0,1519,667%7C54,00.html .
18
1) http://www.piercing.org/pexy/guidelines/guidelines.html , pagina contenente gli “Infection-Control Practice
Standards for Body Piercing”, adattati a partire dalle linee guida predisposte dai CDC di Atlanta, USA.
2) http://www.safepiercing.org/guides/aftercare_body.pdf , pubblicate dalla APP (Association of Professional
Piercers), USA.
3) http://www.interview.it/associa/assoc10.htm , pagina della ATIR (Associazione Tatuatori Italiani Riuniti), che
riporta il Codice Etico Sanitario degli associati.
corpo devono avere una percentuale massima di nichel compresa fra lo 0,03% e lo
0,07%, a prescindere dal metallo base utilizzato per realizzare il piercing (che può
essere acciaio, alluminio, titanio, rame, argento o oro).
Percentuali superiori a queste sono ritenute particolarmente pericolose perché,
attraverso i piercing, entrano in contatto con gli strati più profondi dell’epidermide,
talvolta anche in modo permanente: una regola, al momento, lasciata alla libera
adesione di ogni singolo Paese, ma anche dei produttori di gioielli che vorranno
offrire maggiore sicurezza ai loro clienti offrendo monili “garantiti” da un “bollino
blu europeo”.20
In Italia la Direttiva è stata recepita nel 2000 con Decreto del Ministero della
Sanità.21
Nel nostro Paese questo argomento ha cominciato ad essere affrontato
pubblicamente nel 2003, a seguito dello scalpore suscitato dalla morte di un ragazzo
milanese di 24 anni per un’epatopatia acuta insorta a seguito di un’infezione
procurata da un piercing sulla lingua.
Immediatamente la Regione Lombardia, con un Decreto dell’Assessore
Regionale alla Sanità del 2003, ha stabilito che piercing e tatuaggi possono essere
effettuati solo da operatori sanitari e che chiunque vi si sottoponga deve firmare un
atto di consenso informato completo di tutte le informazioni sui rischi; in caso di
minori c’è l’obbligo della sottoscrizione anche per i genitori. Lo stesso Decreto
prevede inoltre che tutte le attività estetiche (non solo quindi piercing e tatuaggi)
debbano essere praticate in ambienti adatti e controllati da ASL e Comuni.
Nel 2004 anche la Regione Toscana, con una Legge Regionale,22 ha
disciplinato le attività di estetica, tatuaggio e piercing, richiedendo efficaci requisiti
19
Direttiva Europea 94/27/CEE, dodicesima modifica della Direttiva 76/769/CEE relativa alla limitazione
dell’immissione sul mercato e dell’uso di talune sostanze e preparati pericolosi. Nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità
Europee C 205/5 del 20 luglio 1999 sono stati pubblicati i titoli e i riferimenti delle norme tecniche utilizzabili per la
dimostrazione della conformità ai prodotti della Direttiva 94/27/CEE. Le norme, elaborate dal Comitato Tecnico
CEN/TC 283 “Metalli Preziosi”, stabiliscono, tra l’altro, anche il metodo con cui la misurazione della percentuale di
nichel nel piercing deve essere effettuata in laboratorio, metodo che prevede anche l’uso dell’acido muriatico puro.
20
Per ottenere il bollino blu europeo, il gioiello deve essere accompagnato dal resoconto di prova che, oltre alla
descrizione della forma del monile e alla indicazione del metallo-base utilizzato, deve riportare il numero della norma
UNI-CEN di riferimento, il marchio chiaro e indelebile del laboratorio che ha eseguito il test, il luogo in cui la prova è
stata eseguita e l’attestazione dell’esito positivo.
21
Decreto Min. San. 21/03/2000, pubblicato in G.U. 138 del 15/06/2000.
igienico-sanitari e la garanzia che l'operatore sia adeguatamente formato e aggiornato
e operi in centri strutturalmente idonei (non sono ammesse le pratiche in forme
ambulanti).
La Legge fa inoltre esplicito divieto di effettuare tatuaggi e piercing sui minori
di 18 anni, a meno che non abbiano il consenso dei genitori. E’ vietata anche
l’esecuzione di queste tecniche su parti del corpo in cui si prevedono difficoltà di
cicatrizzazione o conseguenze invalidanti.
E’ sintomatico il fatto che la Regione Lombardia e poi la Regione Toscana,
solo in seguito a un episodio eclatante, siano state le uniche ad applicare le Linee
Guida emanate dal Ministero della Salute del 1998, rimaste fino ad allora lettera
morta.
Quelle Circolari, di fatto, istituirono una sorta di “patentino” per piercer e
tatuatori: per poter esercitare queste pratiche il Ministro prevedeva la frequenza a
corsi di 30 ore, ma, nell’attesa che quei corsi fossero organizzati, gli interessati
potevano chiedere alle ASL di zona un permesso temporaneo, che certificasse il
rispetto delle norme igieniche e di sicurezza. Gli appositi corsi, a distanza di anni
dall’emanazione delle Linee Guida, sono pochissimi…
Le istituzioni, quindi, seppur con modi e tempi diversi, stanno tentando di
arginare il fenomeno delle complicazioni da piercing e tatuaggi attraverso la
regolamentazione.
Ma può avere efficacia una strategia condotta esclusivamente a colpi di norme?
Bisogna prendere atto della necessità di una “politica” preventiva che si
traduca in formazione ed educazione permanente ai ragazzi in merito a tutti i
cosiddetti comportamenti a rischio, tra cui le manipolazioni sul corpo.
22
Legge Regionale n. 28 del 31/05/2004, “Disciplina delle attività di estetica e di tatuaggio e piercing”, la prima legge
organica in materia emanata da una Regione.
Anche il Friuli Venezia Giulia aveva emanato la Legge Regionale n. 12 del 22/04/2002 “Disciplina organica
dell’artigianato”, in cui però dedicava un solo articolo piuttosto vago (art. 35 del Capo II “Disciplina dell’attività di
estetica e di parrucchiere misto”) all’ “Attività di tatuaggio e di piercing”: “L’esercizio dell’attività di tatuaggio e di
piercing, esercitata in luogo pubblico o privato, anche a titolo gratuito o temporaneo, è subordinato all’accertamento dei
requisiti di sicurezza e igienico-sanitari dei locali e delle attrezzature da parte dell’Azienda per i servizi sanitari
competente per territorio”.
L’aspetto più delicato riguarda sicuramente le modalità di approccio con gli
adolescenti: come affrontare il concetto di “rischio” in un momento della vita in cui
un tratto caratteristico è l’ “idea di invulnerabilità” che proietta l’adolescente al
centro dell’universo, in un mondo di fiaba.
Se la “fiaba personale” può aiutare l’adolescente a migliorare la stima in se
stesso, rafforzando la propria autonomia e la propria identità, può altresì indurre a
ignorare il pericolo intrinseco nei comportamenti a rischio sulla base di un
“ottimismo ingiustificato”: una sorta di “immunità” rispetto ai coetanei nella stessa
situazione, che porta a considerare esclusivamente gli aspetti positivi di una attività.23
Sicuramente i ragazzi e i loro genitori devono essere correttamente e
approfonditamente informati sulle modalità con cui si effettuano queste tecniche, sui
rischi connessi alla pratica del piercing, del tatuaggio, sulla indelebilità dei tatuaggi,
sui rischi relativi alla loro eventuale rimozione, e sulle precauzioni da adottare in caso
si scelga consapevolmente di effettuare simili manipolazione sul corpo.
Tatuaggi e piercing, apparentemente utilizzati per uso “estetico”, esprimono
una intenzione comunicativa la cui forza è testimoniata dalla violenza stessa di queste
pratiche che dipingono, forano, inscrivono il corpo. Il senso del messaggio rischia,
tuttavia, di rimanere oscuro agli adulti, che mancano degli strumenti per
decodificarlo.
Per questo i ragazzi si stanno spingendo “oltre”, sottoponendosi a piercing
in parti più intime del corpo, rischiando complicazioni serie e permanenti.
In un’indagine riportata in letteratura,24 su 134 soggetti intervistati in merito
ai propri piercing in parti intime, meno del 20% si riteneva masochista, sadico,
feticista, esibizionista o narcisista, poco più della metà pensava di essere
“avventuroso”: la maggior parte ha dichiarato di aver scelto queste perforazioni
perché “forniscono nuove eccitanti sensazioni”.
23
M.L. Di Pietro, R. Minacori, Dimensioni della salute, id.
H. Ferguson, Body piercing, British Medical Journal, 1999, 319: 1627-1629. In questo articolo si riportano i risultati
di un’indagine condotta sui lettori della rivista Body Art, cui hanno aderito 134 di essi che avevano effettuato piercing
nelle parti più intime del corpo.
24
A volte, da questi esperimenti di piercing, può accadere che alcuni artisti si
propongano presentando il proprio corpo come oggetto d’arte e di riflessione
attraverso la Body Art.
La motivazione dichiarata sta nella voglia di misurarsi, di scoprire le
potenzialità del proprio corpo, di vedere il punto estremo cui poter giungere.
La sensazione iniziale è quella dello “star bene”, di avere una grande forza,
perché si riesce a portare il corpo a un limite che altri non riescono nemmeno a
concepire: è lo strumento per acquisire fiducia in se stessi.
“Puoi fare tante cose, puoi fare più di quel che pensi”…25
Non possiamo però tacere che queste “espressioni artistiche” abbiano insite
una forma di crudeltà, anche masochistica, in quanto l’artista si rivolge
principalmente contro se stesso (come nella Body Art degli anni ’70, che aveva
come obiettivo il corpo dell’artista, oggetto di sperimentazione e sofferenza),
riflettendo l’aggressività del mondo circostante.
Un tipo di arte alla ricerca di sentimenti forti e del dominio di questi
sentimenti; il dominio totale dell’artista sul proprio corpo, inteso come oggetto
da manipolare esteticamente, anche mettendo da parte l’etica.
Anzi, nel caso della crudeltà (emblema del movimento dark che ha eletto il
vampiro e il necrofilo a personaggi prediletti), l’estetica viene contrapposta
all’etica, l’artificiale lotta contro il naturale e l’agognata modificazione del
proprio corpo in senso cyborg è possibile rinunciando al corpo naturale, vissuto
come macchina biologica obsoleta e limitata.26
Nella Body Art irrompe prepotentemente anche il concetto di rischio:
l’infezione, la contaminazione (in particolare l’AIDS) divengono elementi di
vita possibile con cui fare i conti, un’ eventuale causa di morte. Così, spesso, la
malattia e la morte si inseriscono nella raffigurazione artistica, come è
25
La frase riportata è tratta da Skoid: corpi in ex-stasi, un’intervista effettuata da Serena Valeri al gruppo “Skoid” e
reperibile al seguente indirizzo: http://www.frameonline.it/Fuoricampo_Skoid.htm
26
F.M. Battisti, Arte e Scienza, in Archivio Attivo Arte Contemporanea, reperibile sul sito http://www.caldarelli.it .
avvenuto in secoli precedenti (per esempio nel ‘600, secolo perseguitato in
Europa dalle pestilenze.27
Emerge quindi un elemento che accomuna tutte queste forme di
manipolazioni del corpo: il rifiuto del corpo stesso.
Non potendolo modificare, si infierisce simbolicamente contro esso con un
segno distintivo, viene tatuato, così come vengono “tatuati” i muri delle città e
tutti quegli spazi che appaiono anonimi e insignificanti.
Da tutte le considerazioni effettuate finora, emerge chiaramente che le
forme di manipolazioni del corpo, specie in adolescenza, vengono vissute
senza una precisa consapevolezza (soprattutto dei rischi connessi), ma come
forma di comunicazione privilegiata e privata.
È perciò necessario cominciare a favorire un dibattito su questi
comportamenti degli adolescenti che, al pari di altre forme di comunicazione
corporea (si pensi ai disordini alimentari come l’anoressia o la bulimia)
implicano un coinvolgimento profondo della famiglia e del gruppo dei pari.
Riprendendo il tema dei comportamenti a rischio, e collocandoci
nell’ambito della prevenzione, è necessario definire quale strategia adottare.
Ci sono diverse modalità di intervento,28 che partono da presupposti diversi:
1-
La riduzione del rischio, che propone dei rimedi per diminuire il
rischio di alcuni comportamenti, ma non interviene sulla correzione
dei comportamenti stessi;
2-
La strategia della paura, che presenta gli effetti deleteri di un
comportamento, e punta sul terrore come deterrente;
3-
L’educazione alla salute che, con una metodologia maieutica, si
prefigge di portare l’adolescente alla consapevolezza di ciò che può
salvaguardare la propria salute e alla successiva modifica (o
prevenzione) dei comportamenti a rischio, in una prospettiva di scelta
che sia frutto di libertà coniugata alla responsabilità.
27
28
Ibidem.
M.L. Di Pietro, R. Minacori, Dimensioni della salute, id.
L’educazione, dunque, come educazione del sentimento morale anche
nel campo della prevenzione e della salute.29
In una ricerca del 199630 emerge una stretta relazione tra la percezione
della liceità di un comportamento a rischio e la decisione di agirlo: i
comportamenti considerati più pericolosi erano valutati anche altamente
immorali, riflettendo la condanna morale dei genitori.
Il condizionamento del gruppo dei pari, tuttavia, può costituire
nell’adolescente l’elemento discriminante nella decisione finale.
Per questo, l’educazione non può essere demandata a una sola agenzia
educativa; la formazione, per diventare habitus mentale, attitudinale e
comportamentale, deve essere coerente tra tutti i formatori, siano essi
consapevoli come i familiari e gli insegnanti, siano essi inconsapevoli come
chi si occupa di comunicazione o chi, suo malgrado, sia assunto come
modello comportamentale (personaggi dello sport, della moda, dello
spettacolo).
L’educazione sanitaria (mantenere la salute come equilibrio e prevenire
le malattie) è pertanto corpus integrante della educazione in senso lato e
trova il fondamento bioetico nel principio di libertà-responsabilità: della
comunità che istruisce, educa e tutela e del cittadino che si impegna a usare
i mezzi per salvaguardare il bene-salute per sé e per gli altri.
29
Ibidem.
L. Salvatori, R. Rumiati, Percezione del rischio negli adolescenti italiani, Giornale Italiano di Psicologia 1996,
XXIII:85-106.
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